Giustizia: carceri ancora senza una guida, nuovo Capo del Dap all’insegna dell’umanità di Patrizio Gonnella (Presidente di Antigone) Il Garantista, 10 settembre 2014 Il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria è senza capo da fine maggio 2014, Era quella una data significativa perché coincideva con la decisione che il Consiglio d’Europa avrebbe dovuto prendere intorno alla situazione carceraria italiana. La decisione è stata presa, ovvero è stato previsto un altro anno di osservazione internazionale pur nella valutazione positiva di quanto nel frattempo fatto in termini di deflazione numerica e riconoscimento dei diritti dei detenuti. Decisivo a riguardo è stato il lavoro della Commissione presieduta da Mauro Palma. Nel 2013 partivamo dall’anno zero, visti gli oltre 25 mila detenuti privi di un posto letto regolamentare e viste le condizioni di vita degradate nelle 205 prigioni del Paese, A partire dalla primavera del 2013 si sono sovrapposti interventi normativi e amministrativi diretti a produrre cambiamenti nel senso auspicato dalla Corte di Strasburgo. Il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ha dunque un ruolo strategico, tanto più in una fase meno congestionata come è quella attuale. Il Dap deve avere un progetto, una mission chiara. Pochi tra co-laro che sono stati al vertice del Dap sono stati scelti per le loro competenze specifiche in ambito penitenziario. Nicolò Amato, capo Dap dal 1983 al 1993 ovvero per lunghi dieci anni, aveva le idee chiare. Basta rileggersi il suo libro Diritto, delitto, carcere del 1987. Il nostro caro Sandro Margara aveva anche lui le idee chiare, nel senso dì proporsi quale garante di una pena rispettosa dei vincoli e delle finalità costituzionali. Margara, però, al vertice del Dap c’è stato poco meno di due anni. Fu mandato via dall’allora ministro della Giustizia Oliviero Diliberto che lo definì troppo poco incline alla sicurezza e troppo incline al trattamento. Dal 1983 il capo è sempre stato un magistrato. Spesso è finito sotto le grinfie dello spoil system. Governi di tutti colori hanno così politicizzato un. incarico che per sua natura non dovrebbe esserlo. Il Dap, come l’Arma dei Carabinieri o la Polizia di Stato, è una organizzazione fortemente centralizzata e gerarchica. Al Dap conta il Capo e contano ì direttori generali delle singole aree. Da loro dipende la gestione di 50 mila lavoratori, 80 mila tra detenuti e persone in misura alternativa, la manutenzione di 205 istituti di pena, la costruzione di eventuali nuove carceri, i rapporti con sindaci, procure, associazioni. di volontariato. Più che nominare un capo Dap vorremmo che il Governo opti per un progetto Dap. Un progetto individuale e collettivo che cambi il paradigma della carcerazione, che punti sulla responsabilità di detenuti e personale, che azzeri le pratiche segregative e umilianti, che punti ad aprire le celle e non a chiuderle. Conta per questo progetto chi sarà il capo Dap ma conta anche chi andrà a essere il capo del personale, chi a dirigere la formazione, chi a gestire l’ufficio detenuti, chi a tenere i rapporti con gli enti locali e le regioni o chi a bandire e seguire gli appalti milionari. Dunque ci vuole un’idea forte e dai contorni netti. Il capo Dap è un funzionario pubblico di primissima fascia. È tra le figure di vertice dello Stato. Ha un trattamento economico e previdenziale anch’esso di primissimo livello. Sulla sua nomina vorremmo che ci fosse trasparenza, valutazione dei meriti e delle competenze complesse. Può essere un magistrato ma non deve esserlo per forza. È ragionevole che sia un magistrato a tenere i rapporti con le Procure ma non è questa la principale delle attività di un capo dell’amministrazione penitenziaria. I detenuti sottoposti al regime di cui all’articolo 41-bis secondo comma sono circa 700. Quelli ristretti in sezioni di alta sicurezza sono circa 8 mila. Tutti gli altri 45 mila sono detenuti comuni molti dei quali privi di una particolare statura criminale. Nei loro confronti deve prevalere una gestione di tipo trattamentale, così dice la legge. Pertanto, più giusto sarebbe collocare al vertice del Dap chi al trattamento e a una gestione umano-centrica ci crede e a essa ha dedicato una vita intera. Sarebbe bello se anche dalle varie correnti della magistratura arrivasse un segnale in questa direzione, dal quale si evinca un interesso al progetto e non al posto. Il sistema penitenziario italiano è stato giudicato fuori dalla legalità internazionale nel 2013. Ce lo ricorda continuamente Marco Pannella grazie al quale i riflettori sul carcere non si sono mai spenti. Alla sentenza del 2013 non si è arrivati per caso ma essa è stata l’effetto di una cattiva politica e di un’amministrazione incapace di cestinare prassi degradanti sclerotizzatesi nel tempo. Un vero cambio di direzione dovrebbe prendere atto di tutto questo e modificare completamente la logica con cui procedere alle nomine, quanto meno alla luce dei tanti fallimenti del passato. Giustizia: Associazioni; Consiglio dei Ministri nomini presto Capo Dap e indichi progetto Ansa, 10 settembre 2014 Il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e quello per le Politiche Antidroga sono da mesi senza guida: non manca solo il "capo" ma anche un "progetto" per due settori profondamente modificati sulla base dell’emergenza e della bocciatura da parte della Consulta della Fini-Giovanardi. Per questo le associazioni Antigone, Società della ragione, Forum droghe e Cnca - in una conferenza stampa alla Camera - hanno sollecitato il Consiglio dei Ministri a sbloccare le nomine dei due Capi Dipartimento. "Questioni molto delicate sono al momento affidate alla buone cure degli uffici periferici e degli operatori, e non dell’amministrazione centrale dello stato. Chiediamo che già domani il governo faccia chiarezza", ha detto Stefano Anastasia, presidente della Società della ragione. "Non solo la nomina di un capo - ha aggiunto Susanna Marietti, coordinatrice di Antigone - ma la scelta di un progetto, sulla base delle indicazioni del Consiglio d’Europa". Franco Corleone, coordinatore dei garanti dei detenuti, chiede al ministro della Giustizia, Andrea Orlando "un confronto perché ci dia almeno il suo identikit" del Capo del Dap: "chiarisca cioè quale ritiene sia il mandato da affidare al capi del Dap, se assicurare i tre metri quadri o cambiare il carcere. Quel che è certo è che alle carceri non serve un geometra ma una figura capace di un segnale di netta discontinuità". Anche il garante nazionale dei detenuti, figura istituita dal decreto Cancellieri nel dicembre scorso, non è stato ancora indicato, ragion per cui il provvedimento salutato positivamente da associazioni ed esperti del settore è rimasto lettera morta. Corleone: qual è il mandato del nuovo Capo Dap? "Cosa chiediamo a Orlando? A giugno i garanti hanno inviato una lettera al ministro chiedendo un incontro, credo che non ci sia stato né l’incontro né una risposta. Ribadiamo una richiesta di confronto per capire qual è l’identikit del capo Dap, in modo che quando sarà fatta la nomina potremo vedere se risponde all’identikit. Qual è il suo mandato? Assicurare i 3 metri quadri o cambiare il carcere? Questo già fa la differenza". Lo dice, durante una conferenza stampa alla Camera, Franco Corleone, garante dei detenuti della Toscana. Da mesi si attendono le nomine del capo del Dap, del garante nazionale dei detenuti e del capo del Dipartimento per le politiche antidroga. Giustizia: carceri e droghe, la situazione oltre la storiella dei "criminali a piede libero…" di Selene Cilluffo www.today.it, 10 settembre 2014 Dopo l’approvazione dello svuota carceri e l’incostituzionalità della Fini-Giovanardi sembrava che in Italia le cose sarebbero cambiate radicalmente. Ma non è esattamente così. Durante la stesura e l’approvazione del decreto Cancellieri sulle carceri tante sono state le polemiche: c’era chi diceva che diversi delinquenti sarebbero stati a piede libero e chi invece puntava il dito contro un provvedimento "non sufficiente" per una situazione penitenziaria disastrosa. Nonostante tutto ciò il decreto è stato approvato a dicembre. Le polemiche infuocate si sono scatenate anche con la sentenza della Cassazione che ha definito la Fini-Giovanardi una legge non costituzionale. Anche in questo caso c’era la paura che pericolosi criminali potessero girovagare liberi in giro per le città del nostro Paese. Ancora sovraffollamento, mentre l’Europa ci guarda Eppure così non è stato: "Il sovraffollamento carcerario continua nei limiti che è stato denunciato e siamo ancora sotto osservazione da parte della Corte europea dei diritti umani, nonostante siano stati apprezzati a giugno i decreti che hanno fatto fronte all’emergenza" spiega Susanna Marietti, di Antigone, l’associazione che da anni si occupa di diritti dei detenuti e che promuove la campagna "Tre Leggi: tre proposte per ripristinare la legalità nelle carceri" e contrastare in modo sistemico il sovraffollamento, agendo anche su quelle norme che producono carcerazione senza produrre sicurezza. Tra queste c’è la Fini-Giovanardi, incostituzionale dal 12 febbraio 2014. Il problema è che lo stesso decreto Cancellieri ha seguito solo la logica emergenziale, dovuta alla condanna della corte di Strasburgo: "Nell’ultimo anno e mezzo la serie di riforme fatte andavano nella giusta direzione ma non sono state dettate da un piano politico ragionato" continua Marietti. I detenuti da dicembre sono effettivamente scesi: "Erano quasi 65mila a dicembre e oggi siamo a 54mila detenuti ma potrebbero diminuire di molto se fossero applicate le leggi. C’è il problema del personale, misure alternative ma anche beni e servizi. Serve un’amministrazione adeguata che dia vita a un carcere diverso" spiega Franco Corleone, garante dei detenuti della regione Toscana. Manca un progetto e i responsabili Da mesi mancano tre figure fondamentali per gestire la questione carceri e quella droghe: il capo Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (Dap), il Garante Nazionale delle persone prive della libertà e il capo del Dipartimento per le Politiche Antidroga. Tutti nomine che per legge devono essere fatte dal Consiglio dei ministri. Per denunciare questa situazione Antigone, Società della Ragione, Forum Droghe e Cnca hanno indetto una conferenza stampa alla Camera. Queste tre figure fondamentali dovrebbero essere parte di un progetto che davvero possa cambiare qualcosa e a fondo. In effetti da quando la Fini-Giovanardi è stata definita incostituzionale, non tutti i detenuti che potevano richiedere la scarcerazione lo hanno fatto. C’è anche chi ha impugnato le carte e non ha ottenuto la libertà: "La droga è la principale emergenza penitenziaria. C’è una legge che dice che su questo tema ogni tre anni andrebbe fatta una conferenza nazionale, ma sono anni che nulla si muove" spiega Stefano Regio del Cnca. Dalle associazioni che si occupano di queste tematiche c’è la paura che quello che dovrebbero fare amministrazione e istituzioni ricada poi sulle realtà che si occupano di queste tematiche e sui privati cittadini: "Chi è detenuto fa fatica a sbrogliarsi nella burocrazia e per questo adesso in carcere c’è chi sta scontando una pena illegale, perché ci è arrivato con la Fini-Giovanardi. Queste tre nomine che mancano non sono tre nomine a caso e la loro mancanza fa cadere di fatto i diritti dei detenuti che sono alcuni dei soggetti più deboli della società" conclude Regio. Arriva anche l’occhio dell’Onu Il tutto andrebbe fatto al più presto. Oltre alla lente della Corte europea dei diritti umani, che dalla sentenza Torreggiani e dalla prima condanna tiene l’Italia ancora sotto osservazione, a ottobre arriverà anche l’Onu, "per la revisione periodica universale", attraverso cui gli ispettori verificheranno la situazione dei diritti umani in tutti i paesi della Nazioni Unite, quindi anche nel nostro. "Speriamo solo di arrivare a quella data con un carcere più umano" si augurano da Antigone. Giustizia: l’Anm "Riforma punitiva". Renzi lancia la sfida "Brrr, che paura..." di Liana Milella La Repubblica, 10 settembre 2014 Magistrati irritati per il taglio delle ferie deciso d’autorità. Bocciato anche l’impianto delle nuove norme su civile e penale. Il premier tira dritto: "Brrr, che paura...". Rispunta al Senato la responsabilità civile "dura" voluta dalla Lega: ipotesi fiducia. Il taglio delle ferie? "Un grave insulto per il metodo usato". La prescrizione? "Un intervento debole". La riforma del civile? "Poco efficace se lasciata all’iniziativa volontaria delle parti". Il falso in bilancio? "Preoccupano le pressioni per una norma di facciata". Le intercettazioni? "Si annunciano complicazioni per acquisire i tabularti telefoni e per pubblicare le telefonate nei provvedimenti". Rivoluzionaria la riforma Orlando? "Debole". "Una delusione". "Frutto di un approccio superficiale, di diversi cedimenti e timidezze". "Un compromesso". Infine l’accusa peggiore: "Interventi di scarso respiro e norme punitive, ispirate a logiche che credevamo appartenere al passato". Così, in due paginette che diventano pubbliche a metà mattina, scritte nella notte ma pensate da giorni, l’Anm boccia la riforma del Guardasigilli Andrea Orlando, su cui il premier Matteo Renzi ha messo la faccia. Tant’è che proprio lui, e non il ministro, replica ironico. "L’Anm? Brrrr... che paura" dice quando ormai è sera. E sfida i magistrati. "Noi andremo avanti. Certo che vado avanti. L’Anm ha fatto il primo comunicato contro il governo quando ho detto che si metteva lo stipendio massimo dei magistrati a 240mila euro". Poi caldeggia la sua riforma della responsabilità civile, su cui sta per incombere un colpo di scena della Lega. Dice: "Se un dottore sbaglia paga, se un giornalista sbaglia paga, perché un magistrato non deve pagare? Siamo riusciti a scontentare sia l’Anm che Forza Italia...". Raccontano all’Anm che un presidente furibondo come Rodolfo Maria Sabelli in queste ore non s’era mai visto. Pur in ferie in America, ha seguito la riforma. E da lì sono venute le prime critiche su prescrizione e intercettazioni, su responsabilità civile e lo stesso decreto sul civile. Poi, all’improvviso, ecco Renzi che si impunta sia sulle ferie dei magistrati, sia sulla riduzione dei termini feriali. Le prime tagliate da 45 a 30 giorni, i secondi portati dal 6 al 30 agosto anziché dal primo agosto al 13 settembre. Sabelli non viene consultato. Ecco perché ora parla di "un grave insulto non per l’intervento in se stesso ma per il metodo usato e per il significato che esso esprime". Inaccettabile, poi, che la riduzione si faccia per decreto, anche se entrerà in funzione dal 2015. E Orlando? Il Guardasigilli si blinda nel silenzio. Neppure una dichiarazione. Lui, del resto, è stato protagonista in questi giorni di un duro braccio di ferro con Renzi che ha rallentato di 5 giorni l’entrata in vigore del decreto sul civile. Il premier ci voleva dentro le ferie tagliate, Orlando insisteva per aprire prima un tavolo con l’Anm. Discuterne almeno. Se non altro per evitare quello che poi puntualmente si è verificato, la collera dei giudici. Il ministro ne parla pubblicamente anche a Bologna, alla festa del Pd, ma Renzi non molla, vuole il taglio delle ferie e basta. Adesso arriva la bocciatura dell’Anm che rompe col governo e col Pd. Dice la responsabile Giustizia del Pd, la renziana Alessia Morani: "Hanno partecipato ai tavoli al ministero della Giustizia. Un intervento ingeneroso e fortemente ideologizzato". Provocatorio l’alfaniano Enrico Costa: "Strana progressione in coincidenza col taglio delle ferie. Convinzioni o convenienze?". Quasi fosse una beffa, mentre viene attaccato, il governo è costretto a darsi da fare per salvare i magistrati dalla vera tegola che oggi potrebbe abbattersi su di loro. La Lega, al Senato, per la firma di Stefano Candiani, ha riproposto il famoso emendamento Pini sulla responsabilità diretta delle toghe, che è già passato alla Camera grazie al voto segreto. Se venisse approvato dopo la doppia lettura sarebbe legge. Il Carroccio può farcela, soprattutto dopo l’uscita dell’Anm, il governo pensa di blindare la maggioranza col voto di fiducia sul singolo emendamento o presentando come suo emendamento la riforma Orlando sulla responsabilità. Giustizia: le accuse stonate dei magistrati di Carlo Federico Grosso La Stampa, 10 settembre 2014 Ad oltre dieci giorni dall’approvazione della riforma della giustizia da parte del governo, i primi articolati cominciano a circolare. Alcuni testi sono stati completati; su altri i tecnici stanno ancora lavorando per definire gli ultimi dettagli controversi, ma l’opera sarebbe quasi completata. Era ora, anche se stupisce che il governo, a fine agosto, abbia approvato una riforma che, in diversi specifici punti, doveva ancora essere scritta. Nulla di grave, se le novità che si prospettano dovessero risultare utili per ridare fiato ad uno dei servizi fondamentali dello Stato. Le prime reazioni manifestate ieri all’apparire delle indiscrezioni sugli articolati sono state, tuttavia, fondamentalmente critiche. Colpisce, soprattutto, la dura requisitoria dell’Associazione Nazionali Magistrati, che ha accusato l’esecutivo di avere predisposto una riforma caratterizzata da norme punitive dei giudici e l’ha bollato di superficialità ed inaccettabile timidezza. Oggetto di attacco sono state, in particolare, le novità che s’intendono introdurre sul piano dell’ordinamento giudiziario (responsabilità civile dei giudici, riduzione delle ferie dei magistrati e del periodo d’interruzione feriale) e, in materia penale, la nuova disciplina ipotizzata della prescrizione, delle impugnazioni, delle intercettazioni ed il rischio che novità importanti quali il ripristino del falso in bilancio e l’introduzione del delitto di auto-riciclaggio siano vanificate a causa delle pressioni di segno contrario. Un giudizio completo sulla riforma potrà essere espresso soltanto quando sarà possibile leggere tutti i testi varati dal governo. Già alla luce di quanto è emerso fino ad ora è comunque possibile procedere a valutazioni sufficientemente puntuali. Come ho già avuto occasione di accennare su questo giornale, il successo della riforma si gioca, soprattutto, sul terreno della giustizia civile. Io ho qualche dubbio che i meccanismi predisposti nel decreto sullo smaltimento dell’arretrato riusciranno davvero là dove analoghi meccanismi (sezioni stralcio, ecc.) in passato sono falliti e che la delega sul nuovo processo civile riuscirà veramente a dimezzare, come pretende Renzi, la durata dei processi civili. I nuovi istituti sono stati comunque prefigurati; la scommessa va pertanto giocata fino in fondo, nella speranza che, effettivamente, abbia successo. Ma veniamo alla giustizia penale ed ai profili di ordinamento giudiziario. Gli interventi prefigurati in materia penale non saranno sicuramente in grado di risolvere i nodi cruciali di tale settore. Essi, in parte, rappresentano comunque un tentativo di operare nella giusta direzione: anche se non ridurranno in modo significativo la durata dei processi, o non elimineranno del tutto il fenomeno della prescrizione dei reati, potranno in ogni caso apportare qualche beneficio, ed in questa prospettiva siano pertanto bene accetti. Si consideri, innanzitutto, il tema della prescrizione. L’Anm è stata, sul punto, molto critica: "Non si è modificata la legge ex Cirielli" e la riforma "si è risolta nella debole scelta d’introdurre due sospensioni temporanee ed eventuali del suo decorso". Certo, la riforma avrebbe potuto essere più incisiva: avrebbe, ad esempio, potuto stare al passo dei principali Paesi europei, che bloccano la prescrizione con l’inizio del processo. Qualcosa è stato comunque fatto: si è prevista la sospensione per due anni del decorrere della prescrizione nel corso del giudizio di primo grado, il che significa aggiungere in ogni caso due anni a quanto stabilito dalla legge ex Cirielli, e quindi modificarla. Si sono poi regolate le fasi successive del processo, cercando di evitare per quanto possibile che anche in queste fasi i reati potessero estinguersi troppo agevolmente. Si consideri, in secondo luogo, l’ampiamento dell’istituto del patteggiamento (esteso fino a tre anni di reclusione e alla fase di appello) e l’introduzione dell’istituto della "condanna emessa su richiesta dell’imputato" (una sentenza che può essere emessa, a richiesta, nei confronti degli imputati rinviati a giudizio che confessino i reati commessi e che può raggiungere gli otto anni di reclusione). Entrambe queste novità potranno incidere, in modo più o meno marcato, sul numero dei processi celebrati e quindi sul carico di lavoro dei magistrati. Più discutibili appaiono gli interventi previsti in materia di impugnazioni e di intercettazioni. L’Anm pare dolersi del fatto che la riforma delle impugnazioni sia rinviata ai tempi incerti della legge-delega e che "si annuncino complicazioni nell’acquisizione dei tabulati (autorizzazione del Gip) e nella pubblicazione del testo delle intercettazioni". Temendo che circoscrivere le impugnazioni significhi indebolire le garanzie processuali degli imputati, io valuto invece positivamente l’allontanarsi nel tempo della prospettiva di tale riforma. Dato che sul tema delle intercettazioni e dei tabulati non si sono ancora visti testi definitivi, sarebbe stato d’altronde prudente sospendere ogni valutazione. Veniamo, infine, ai temi dei delitti di falso in bilancio e di auto-riciclaggio e delle riforme ordinamentali. La disciplina prevista di tali due reati mi sembra assolutamente appropriata. Semmai, sarebbe stato opportuno introdurla utilizzando lo strumento legislativo del decreto-legge, che avrebbe assicurato tempi certi. Per ciò che concerne le riforme ordinamentali, la disciplina ipotizzata della responsabilità civile dei giudici (responsabilità diretta dello Stato; diritto di rivalsa nei confronti del magistrato colpevole; limite quantitativo della rivalsa pari ad una percentuale dello stipendio annuale) mi sembra un ragionevole compromesso fra i diversi punti di vista (si tratta d’altronde di una riforma che ci allinea alla maggioranza dei Paesi europei e necessaria per evitare sanzioni pecuniarie da parte della Corte). Si potrà d’altronde discutere se sia opportuno ridurre le ferie ai magistrati e/o dimezzare il periodo di sospensione feriale delle udienze. Non capisco perché prospettare riforme di questo tipo dovrebbe tuttavia suonare automaticamente come accusa infamante per i magistrati e che in tal modo, riproponendo logiche che si riteneva superate, si pretenderebbe di riformare la giustizia riformando i magistrati. La magistratura, come ogni altro ordine di dipendente pubblico, quanto a retribuzione, responsabilità, carico di lavoro e ferie, deve in ogni caso attenersi alle scelte politiche liberamente assunte dal potere legislativo e rispettarle. Giustizia: dalla magistratura arriva un nuovo "alt" ai progetti del premier di Marcello Sorgi La Stampa, 10 settembre 2014 Dopo lo sciopero delle forze di polizia, contro il blocco degli stipendi degli statali, è in arrivo quello della magistratura, contro il progetto di riforma della giustizia preannunciato dal governo. La bocciatura dell’Anm, il sindacato dei giudici, è completa, sebbene in Parlamento non siano ancora arrivati tutti i testi esaminati dal Consiglio dei ministri e il governo abbia scelto la strada del decreto solo per la giustizia civile, riservando a quella penale lo strumento del disegno di legge, più aperto al confronto. Con un durissimo atto d’accusa, i magistrati definiscono la riforma "inefficace e punitiva", rimproverano a Renzi di averli additati come fannulloni con la scelta di ridurgli le ferie da 45 a 30 giorni e di volerli destabilizzare con l’introduzione della responsabilità civile basata sbrigativamente sul principio del "chi sbaglia paga", senza le necessarie garanzie che dovrebbero proteggerli da azioni pretestuose, intentate dagli imputati al solo scopo di rallentare i processi. Quanto al resto, prescrizione, falso in bilancio, intercettazioni, il sospetto avanzato dall’Anm è che le proposte siano state concordate con Berlusconi, per non eliminare gli effetti delle "leggi ad personam" varate dagli esecutivi di centrodestra. Il governo ha reagito a un attacco di tale pesantezza confermando tutti i suoi obiettivi in materia di giustizia. Ma la nota dell’Anm ha anche il senso di una chiamata alle armi del largo fronte trasversale schierato contro la riforma in Parlamento. Renzi rischia di ritrovarsi così, su un terreno delicato su cui tutti i governi che lo hanno preceduto hanno dovuto arrendersi, nelle stesse condizioni in cui Prodi, Berlusconi, D’Alema e Amato, con progetti non molto dissimili dal suo, videro montare una fortissima opposizione, che a poco a poco rischiava di paralizzare le Camere. Di qui a pochi giorni il premier dovrà anche decidere una linea di priorità per le molte riforme che ha messo in cantiere. La legge di stabilità e la manovra di fine anno hanno un percorso obbligato (in arrivo tagli di spesa del 3 per cento per i ministeri, decisi nell’ultimo vertice a Palazzo Chigi); la riforma del Senato e quella elettorale, già approvate rispettivamente a Palazzo Madama e a Montecitorio, attendono una seconda lettura; la riforma della scuola è alla fase del confronto preliminare, ma s’è già attirata reazioni che non promettono nulla di buono. Inoltre, proprio nel semestre di presidenza italiana dell’Unione, il premier è pressato dall’Europa per dar corso, dopo i numerosi annunci, alla realizzazione delle riforme. Renzi, tuttavia, è sereno: ieri sera a "Porta a porta" s’è detto sicuro di farcela, e alla minoranza del Pd, che lo incalza, ha risposto che non pensa affatto a lasciare la segreteria del partito. Giustizia: per la prima volta magistrati criticati da Pd e Fi insieme di Massimo Franco Corriere della Sera, 10 settembre 2014 Sembra quasi che l’Anm rimproveri a Renzi di aver seguito logiche berlusconiane. Succede di rado che Pd e Forza Italia usino parole critiche non troppo dissimili nei confronti della magistratura. La giustizia è sempre stato il nucleo rovente di quella "guerra dei vent’anni" che secondo Silvio Berlusconi ha distorto i rapporti tra politica e giudici. Il fatto che ieri l’Anm (Associazione nazionale magistrati) abbia diramato una nota durissima contro la riforma abbozzata dal governo, ha provocato però questo mezzo miracolo. Difficile dire come sarà valutato da tutto il Pd: in questa fase, oltre alle dichiarazioni contano i silenzi. Né è chiaro quanto l’Anm abbia deciso a freddo l’attacco, prevedendone fino in fondo le conseguenze. Ma l’impressione è che l’Anm abbia voluto fare emergere la maggioranza parlamentare "informale" che sta dietro alla riforma. Quando si esprime per iscritto "delusione" per le misure di Palazzo Chigi, e si parla di una riforma punteggiata da "norme punitive ispirate a logiche del passato", sembra quasi che l’Anm rimproveri a Matteo Renzi di avere seguito una logica berlusconiana. Non solo. Il presidente del Consiglio è accusato di avere seminato "dichiarazioni e slogan che vogliono dissimulare, con esibita enfasi, diversi cedimenti e timidezze". È vero: l’Associazione è una sorta di sindacato, e con i rappresentanti delle categorie Palazzo Chigi non intrattiene buoni rapporti, in tempi di tagli dovuti alla crisi economica. Forse, però, definire "un grave insulto" la decisione governativa di diminuire le ferie dei magistrati, ridotte nelle intenzioni da 46 a 25 giorni annui, non è il terreno migliore sul quale incontrare il sostegno dell’opinione pubblica. Non a caso, alcuni senatori del Pd hanno definito "incredibile" una rivolta della categoria per l’annuncio di Renzi sulle loro ferie. "I privilegi devono finire per tutti". E a ruota, da Fi sono partiti altrettanti strali contro una protesta che, a sentire la portavoce berlusconiana alla Camera, Mara Carfagna, "fa sorgere il dubbio che l’unico obiettivo sia di difendere antichi e anacronistici privilegi". Si tratta di uno scontro che segue di pochi giorni quello tra il premier ed i sindacati delle forze dell’ordine; e che conferma quanto sarà complicato seguire la strategia teorizzata da Renzi, di governare scontentando il meno possibile. "Non sono ottimista, più o meno balliamo intorno allo zero, non è sufficiente per ripartire. È lo stop alla caduta ma non la ripartenza", ha ammesso ieri sera in tv. E per quanto il suo sogno sia quello di eliminare "la cultura del piagnisteo" e di "mandare a letto gli italiani con fiducia nel futuro dell’Italia", nemmeno lui riesce ad offrire al Paese un antidoto all’incertezza. Lo iato tra quanto si propone di fare e la realtà economica è piuttosto vistoso, e preoccupante, anche. Le sue ironie sui "professionisti delle tartine" che organizzano convegni solo per criticare il governo, gli servono per polemizzare con quanti a sua avviso non vogliono provare a cambiare. Le frecciate contro i banchieri "ai quali non sto simpatico" rientrano in questa narrativa che contribuisce alla sua popolarità; e che finora ha pagato. Le stesse dimissioni del commissario per i tagli alla spesa, Carlo Cottarelli, confermate ieri da Renzi, sono state frenate. "Gli ho chiesto di aspettare la finanziaria se no dai l’impressione che non si può fare". È una preoccupazione giusta. Ma forse anche il segno di una inconfessabile fragilità. Giustizia: Anm; riforma deludente e inefficace, riduzione delle ferie è "un grande insulto" Corriere della Sera, 10 settembre 2014 Duro il giudizio dei magistrati: "Interventi di scarso respiro". "Norme punitive, ispirate a logiche del passato". Ma la porta resta aperta: "Pronti a discutere di tutto". Duro il giudizio dell’Associazione nazionale magistrati nei confronti della riforma della Giustizia prospettata dal governo. Le notizie finora diffuse, secondo l’Anm, "non possono che suscitare delusione": se l’impianto venisse confermato, la riforma sarebbe "inefficace e frutto di compromesso", con "norme punitive ispirate a logiche del passato". Un passato di berlusconiana memoria. "La magistratura associata non pone veti ed è pronta a discutere di tutto ma non potrà tacere di fronte all’inefficacia di una riforma della giustizia definita rivoluzionaria", è la stroncatura dell’Anm. Secondo il sindacato delle toghe, le iniziative del governo "consistono in interventi contenuti e sono in parte frutto di compromesso". Per questo sono "inefficaci". Interventi che, tra l’altro, "non toccano il tema centrale delle risorse, quello che condiziona in larga misura l’efficienza della macchina giudiziaria, e sono destinati a produrre risultati assai inferiori alle attese". "I ripetuti annunci diffusi dal nuovo Esecutivo circa l’imminente riforma della giustizia e l’intensa attività che ha impegnato l’intera estate hanno generato molte aspettative e speranze. Purtroppo, le notizie finora diffuse non possono che suscitare delusione", spiega l’Anm in una nota. E questo nonostante le entusiastiche dichiarazioni pubbliche e gli slogan promozionali che l’accompagnano: dichiarazioni e slogan che vogliono dissimulare, con esibita enfasi, diversi cedimenti e timidezze". In attesa che siano resi noti i testi ufficiali definitivi, l’Associazione elenca i mali dei disegni di riforma: "È nel settore penale che si evidenziano i caratteri del compro-messo e del cedimento a pressioni e a veti". "L’annunciata modifica della disciplina della prescrizione, oggi patologica e patogena, non tocca la riforma del 2005 (con la c.d. legge ex Cirielli) - spiega l’Anm - prodotto di una delle varie leggi ad personam: si risolve invece nella debole scelta di introdurre due nuove ipotesi di sospensione temporanea ed eventuale del suo decorso. L’intervento sulle impugnazioni pare rinviato ai tempi incerti della legge delega. Si annunciano complicazioni nella disciplina di acquisizione dei tabulati telefonici (che sarebbe sottoposta all’autorizzazione del gip) e della pubblicazione del testo delle intercettazioni nei provvedimenti giudiziari, peraltro con lesione dei diritti di difesa. Quanto ai nuovi reati di falsità in bilancio e di auto-riciclaggio, destano preoccupazione le pressioni di cui danno conto i mezzi di informazione, per realizzare una riforma di facciata, a fronte di un’emergenza del Paese costituita dalla corruzione e dalla criminalità organizzata ed economica". Sulla responsabilità civile dei magistrati, "l’eliminazione del filtro di ammissibilità delle azioni di responsabilità civile dei magistrati trascura una casistica che abbonda di atti di citazione carenti dei minimi requisiti formali, dando così il via libera ad azioni strumentali". L’elenco delle mancanze individuate dall’Anm prosegue. "Nessun intervento è annunciato nelle delicate materie etiche e bioetiche". "Nel settore civile - spiega l’Anm - pur essendo positiva l’introduzione di strumenti tesi a promuovere la composizione stragiudiziale delle liti, in una logica di efficienza, questi saranno però poco efficaci se lasciati all’iniziativa volontaria delle parti, gravati di maggiori oneri economici e non assistiti da forti incentivi e da sanzioni che scoraggino cause manifestamente infondate". L’Anm tocca poi anche temi pratici, come quello delle ferie e della sospensione dei termini feriale, nel merito e nel metodo definito "un grave insulto", anche per il significato che esso esprime. Sugli interventi di natura ordinamentale, i disegni di riforma della giustizia "per quanto ad oggi noto, appaiono il prodotto di un approccio molto superficiale. Offendono la magistratura con l’insinuazione che la crisi della giustizia dipenda dalla presunta irresponsabilità e scarsa produttività dei magistrati e reiterano la mistificazione di una riforma della giustizia che si pretende di realizzare con la riforma dei giudici". Lo afferma la Anm. Giustizia: Area; riforma sottende rappresentazione propagandistica e mistificatoria Ansa, 10 settembre 2014 "Da settimane si attendevano i provvedimenti del Governo in tema di giustizia, in particolare attendevamo di conoscere il contenuto esatto del decreto legge che dovrebbe consentire un netto miglioramento dell’efficienza del settore civile. Attendevamo provvedimenti capaci di incidere effettivamente sulla durata dei processi: interventi sul personale di cancelleria ormai allo stremo, riorganizzazione della geografia giudiziaria, interventi legislativi appropriati, tecnicamente competenti e capaci di darci norme processuali semplici, che non si prestino ad essere strumentalizzate dalla parte che ha torto. Invece nel momento in cui si rendono noti i contenuti della riforma emergono interventi sulla sospensione feriale dei termini processuali, che inciderà soprattutto sulle ferie degli avvocati, e di riduzione delle ferie dei magistrati. È una scelta che sottende una rappresentazione propagandistica e mistificatoria, che rifiutiamo". È quanto afferma il Coordinamento di Area, che riunisce le correnti di sinistra delle toghe. "È inutile allungare i giorni previsti per un viaggio - afferma Area - se nessuno mette nuova benzina nel serbatoio. In particolare, la riduzione delle ferie dei magistrati non sarebbe che l’adeguamento di diritto a una situazione di fatto - il lavoro durante le teoriche ferie - già necessaria per il rispetto dei tempi di deposito delle sentenze etc. Ma ogni suggerimento sembra essere destinato a essere vano di fronte a un governo che non dimostra la volontà di ascoltare. Insomma, ancora una volta siamo alle prese con interventi di dubbio effetto e dal sapore amaro, che nulla hanno a che fare con l’efficienza cui tutti teniamo in massimo grado. Si preferisce offrire alla opinione pubblica l’immagine di una inefficienza da attribuire ad avvocati, cancellieri e magistrati, senza invece ricorrere a quegli interventi strutturali che la responsabilità in capo all’organo di governo imporrebbe". Giustizia: Ferranti (Pd); riforma sarà strutturale, ma meglio non usare decreto legge Adnkronos, 10 settembre 2014 La riforma che il governo si appresta a presentare e il Parlamento ad esaminare "intende affrontare in maniera strutturale le emergenze della giustizia". Quindi, anche se la questione della riduzione delle ferie dei magistrati "non può essere un tabù, non dobbiamo focalizzare l’attenzione solo su questo aspetto, come se la riforma si riducesse soltanto al tema riduzione delle ferie dei magistrati o meno". Lo dice all’Adnkronos Donatella Ferranti, del Pd, presidente della commissione giustizia della Camera, dopo la dura presa di posizione dell’Anm. "In tempi non sospetti - prosegue l’esponente Dem - dissi che il decreto legge forse non era lo strumento più adatto per affrontare una modifica che sembrerebbe non entrare in vigore subito e che incide sulla riforma dell’ordinamento e anche su altri aspetti. Ad esempio oggi un giudice scrive le sentenze anche durante le ferie, se si riduce il periodo feriale è chiaro che questo non potrà avvenire e che occorrerà intervenire sulla decorrenza dei tempi del deposito". "Non c’è nessuna volontà punitiva e probabilmente la reazione dell’Anm deriva da una mancata conoscenza delle bozze di riforma. In ogni caso -insiste Ferranti- eviterei di focalizzare l’attenzione solo su questo problema. La riforma riguarda l’arretrato civile, che viene aggredito con il decreto legge, e poi prescrizione, criminalità, auto-riciclaggio, processo civile e penale, materie che andranno inserite in disegni di legge. Quindi è una riforma che nasce in un’ottica positiva per affrontare in maniera strutturale le emergenze della giustizia". "Ora attendiamo che il governo presenti i testi definitivi, anche per dare modo al Parlamento di organizzarsi, rispettare i tempi e affrontare un confronto che consenta di trovare le soluzioni più equilibrate. Finora sono arrivate critiche da tutti gli operatori: gli avvocati sono scontenti, oggi protestano i magistrati. Naturalmente in Parlamento ascolteremo tutti con lo stesso metodo usato dal ministro per arrivare ad una sintesi, anche se poi alla fine ciascuno dovrà assumersi le proprie responsabilità. Quello che è importante sottolineare -conclude Ferranti- è che si chiuda la stagione della delegittimazione della magistratura e delle riforme fatte contro qualcuno". Senatori Pd: incredibile Anm su riduzione ferie "La presa di posizione dell’Anm ha dell’incredibile. È bastato l’intervento annunciato dal premier Renzi di ridurre i giorni di ferie ai magistrati, a scatenare una rivolta della categoria. I privilegi devono finire per tutti, 46 giorni di riposo, nell’attuale stato della Giustizia, sono francamente troppi". Lo affermano i senatori del Pd Claudio Moscardelli e Francesco Scalia. "Purtroppo i rilievi mossi dall’Anm appaiono viziati da questo aspetto-aggiungono i senatori- oltre che dalla norma che riduce la sospensione feriale dei tribunali da 45 a 25 giorni", concludono i senatori del Pd. Giustizia: responsabilità civile dei magistrati, l’Italia rischia la procedura d’infrazione Ue di Francesco Grignetti La Stampa, 10 settembre 2014 La riforma della giustizia, dopo molti annunci, ha iniziato il suo iter formale. Il decreto legge sul processo civile è partito ieri in direzione del Quirinale per la firma del Capo dello Stato. Come annunciato, il decreto prevede i meccanismi di deflazione del contenzioso, l’arbitrato e la negoziazione assistita tramite gli avvocati, il taglio alle ferie dei magistrati. A partire dal 2015 i giudici si vedranno quindi tagliare le ferie da 45 a 30 giorni; i tribunali resteranno chiusi dal 6 al 30 agosto e non più dal 1 agosto al 15 settembre. Si annunciano intanto sgravi fiscali per chi vorrà adottare i percorsi alternativi al processo. Una potente spinta verso il nuovo, unitamente a quanto già previsto: l’arbitrato sarà un titolo immediatamente esecutivo; chi perderà un processo tradizionale pagherà sempre le spese legali a chi vince; gli interessi di mora passeranno dall’I all’8%. Nessuno può prevedere quali saranno gli effetti sulla montagna di processi civili che s’imbastiscono ogni anno, ma il ministro Andrea Orlando, Pd, spera di dare un bel colpo all’arretrato (5 milioni le cause civili pendenti) e all’altissimo indice di litigiosità. La riforma si comporrà anche di diversi disegni di legge. Uno di questi modifica i meccanismi della responsabilità civile dei giudici. Pochi sanno che sull’Italia pende l’ennesima sanzione europea. Il viceministro Enrico Costa, Ncd, ha fatto fare alcuni calcoli: dato che dal 24 novembre 2011 il nostro ordinamento (cioè la legge Vassalli del 1988) è stato dichiarato dalla Corte di Strasburgo non conforme al diritto comunitario, e che l’Italia ha ricevuto una lettera di messa in mora dalla commissione europea il 26 settembre 2013, c’è il fondato pericolo che venga aperta una procedura d’infrazione. Ciò significa che rischiamo una sanzione di almeno 37 milioni di euro (e che cresce di altri 36mila euro al dì). "Io sono certo - dice Costa - che il governo si sarebbe mosso anche a prescindere dal rischio della sanzione, in quanto la normativa del 1988 si è dimostrata fragile. Tant’è che nel nostro ddl ci sono alcune innovazioni, quali l’abolizione del filtro, che non sono oggetto di osservazioni". E poi c’è la giustizia fatta di incarichi. Si è alla vigilia della seduta del Parlamento per nominare i membri del Csm. Per il ruolo di vicepresidente sono in ballo l’ex sottosegretario Massimo Brutti e l’ex sindaco di Arezzo Giuseppe Fanfani, interpreti di due anime diverse del Pd. Per la Corte costituzionale crescono le quotazioni di Luciano Violante e Antonio Catricalà. Giustizia: ora il processo civile è in mano agli avvocati di Marino Longoni Milano Finanza, 10 settembre 2014 La giustizia civile è nelle mani degli avvocati. Il governo Renzi. dopo anni di sterili tentativi, ha deciso di imboccare l’unica strada che può portare in tempi relativamente brevi a una vera riduzione dei tempi del processo civile. Tre i punti qualificanti del decreto legge varato dal Consiglio dei ministri del 29 agosto: 1) l’affidamento alla classe forense della responsabilità della gestione diretta di gran parte del contenzioso; 2) sanzioni pesanti per togliere convenienza alle liti temerarie e a quelle che hanno lo scopo principale di allungare i tempi dei pagamenti; 3) un meccanismo efficiente di riscossione dei crediti. Il primo punto ricalca quanto già sperimentato in Francia dal 2011 e quanto richiesto a gran voce dal Consiglio nazionale forense da molto tempo anche in Italia. Renzi punta, in sostanza, a un’alleanza con gli avvocati e mette nelle loro mani la risoluzione dei contenziosi futuri. Per le cause pendenti, le parti possono decidere di trasferirle a un arbitrato: in questo caso la risoluzione della controversia sarà affidata ad avvocati nominati dal consiglio dell’ordine locale. Cambia anche il meccanismo di conciliazione, che sarà imperniato sul ruolo dei legali, eliminando del tutto, per alcune materie, gli organismi di conciliazione. Altri punti qualificanti della riforma sono le norme contro le liti temerarie. In primo luogo viene modificato il regime di compensazione delle spese: si toglie discrezionalità al giudice, che finiva nella maggior parte dei casi per compensare le spese, e s’introduce con forza il principio che chi perde paga anche le spese della controparte. Altro disincentivo la norma sul tasso di interessi, che viene sganciato dall’interesse legale e legato al ben più alto valore dell’interesse di mora nelle transazioni commerciali. Il tasso legale ora è dell’1%. Il tasso di mora dell’8,15%. In questo modo il contenzioso dovrebbe finire di essere un modo per allungare i tempi dei pagamenti. Un accorciamento dei tempi del contenzioso può essere garantito dalla possibilità per il giudice di trasformare d’ufficio il rito ordinario in rito sommario, molto più stringato e veloce: basti pensare che la durata media del processo nel primo caso è intorno ai cinque anni. nel secondo meno di un anno. Non meno importante la riforma delle esecuzioni: oggi il creditore ha molte difficoltà ad avere notizie certe sulle proprietà o i redditi del debitore e questo spesso rende impossibile la riscossione del credito. Da domani l’ufficiale giudiziario potrà fare uso dell’anagrafe tributaria, la più completa banca dati sui cittadini italiani. e questo semplificherà di molto le procedure di riscossione. Funzionerà? Non c’è dubbio che, forse per la prima volta, si introducono con forza strumenti obiettivamente interessanti che puntano sulla classe dei professionisti per superare le lentezze della pubblica amministrazione. A questo punto gli avvocati non hanno più alibi, perché ora la giustizia civile è nelle loro mani. Anche gli ostacoli, di natura tecnica o politica, che hanno finora bloccato le procedure di soluzione alternativa delle liti dovrebbero essere superati. Lo Stato fa un passo indietro, riconosce che l’obiettivo di tutela universale dei diritti dei propri cittadini è fallito. Lascia spazio agli avvocati e alle procedure di conciliazione che possono significare, anche per chi ha completamente ragione, la necessità di accettare un compromesso (quindi la rinuncia parziale al proprio diritto) pur di chiudere la controversia in tempi ragionevoli. Da questo punto di vista, la conciliazione è una tassa occulta, a carico di chi ha ragione. Perché è evidente che una giustizia che arriva dopo dieci anni non è più giustizia. Come in molti altri campi la Pubblica amministrazione è costretta a dichiarare il proprio fallimento e ad affidarsi al ruolo sostitutivo dei professionisti. Gli stessi ai quali, negli ultimi anni ha cercato, senza riuscirci, di spezzare le reni. Giustizia: l’Istat ricalcola il Pil, 15 miliardi in più da droga, contrabbando e prostituzione di Valentina Conte La Repubblica, 10 settembre 2014 Le nuove regole europee includono la criminalità. L’aumento del 2011, anno pilota, è stato del 3,7%. Un Pil che lievita. La pressione fiscale, il deficit e il debito che calano. I consumi delle famiglie e la produttività dell’industria che si impennano. Grazie alla spesa in ricerca e sviluppo. Ma anche a droga e prostituzione. Un sogno o un incubo? No, solo statistica. O meglio l’applicazione delle nuove regole europee - il Sec 2010 - ai conti nazionali. Il nuovo Pil, il Prodotto interno lordo ricalcolato e presentato ieri dall’Istat - relativo per ora al solo anno di riferimento 2011 (per il 2013 appuntamento al 22 settembre) - non manca di stupire. E far discutere. Due anni di lavoro per arrivare alla nuova definizione. Sfruttando inedite basi di dati, fonti e metodi cambiati, censimenti. E ampliando il perimetro di ciò che è pubblica amministrazione. Il risultato è un Pil, quello del 2011, che cresce di 59 miliardi, +3,7% (da 1.580 a 1.639 miliardi). Meglio di quanto registrato da Francia (+3,2%) e Germania (+3,4%). Di conseguenza, un rapporto con il deficit che cala di due decimi (-0,2%) e una pressione fiscale giù di quasi un punto (-0,9%). Ma il debito, quell’enorme zavorra, ora al record di 2.168 miliardi? Peserà meno? Il calcolo l’Istat non lo fa. Spetta alla Banca d’Italia. E arriverà poi. "Se il balzo del 3,7% relativo al Pil 2011 fosse confermato anche per il 2014, il rapporto tra debito e Pil si abbasserebbe del 4,8%, dal 135 al 130%", ragiona però Sergio De Nardis, capoeconomista di Nomisma. Cinque punti sotto: un anno "regalato" di sacrifici da fiscal compact, la regola europea che ci impone dal 2015 una riduzione di un ventesimo del debito in eccesso. Nel 2011 eravamo al 120%. Con il nuovo livello di Pil comunicato ieri, avremmo avuto il 115,8%. Un altro pianeta. Sorpresa anche dal fronte della produttività dell’industria, il vero tallone d’Achille dell’Italia. "Incrociando i nuovi dati emerge che è cresciuta del 12-13% nel 2011", spiega ancora De Nardis. Una grossa spinta al nuovo Pil viene dall’economia illegale, "non criminale", insistono Roberto Monducci e Gian Paolo Oneto, responsabili per la contabilità nazionale dell’Istat. Ebbene, i tre ambiti decisi dall’Europa e al loro discusso esordio - traffico di droga, prostituzione e contrabbando di sigarette e alcol - pesano per 15,5 miliardi alla crescita del Pil (un punto netto): 10,5 dalla droga, 3,5 dalla prostituzione, 1,2 dall’indotto, 300 milioni dalle sigarette. Apporto più ampio quello della spesa in ricerca e sviluppo, 20,6 miliardi (1,3%), non più voce di costo ma investimento. Proprio come le armi e le attrezzature da guerra (navi, sottomarini, aerei militari, veicoli), ma minore contributo al Pil: 3,5 miliardi (0,2%). L’economia sommersa (già da tempo nel Pil) viene stimata ex novo, con un’incidenza ridotta rispetto al passato (11,5% dal 16% del 2008). Si tratta di 187 miliardi di euro che sommati ai 15,5 dell’illegale fanno balzare oltre i 200 miliardi il peso dell’economia non osservata (illegale più sommerso). Nel deficit scompare la spesa per interessi relativa ad operazioni swap (con titoli derivati): 1,8 miliardi in meno, trasferiti sul debito. Un bel viatico che potrebbe riscrivere pagine di storia economica italiana. Infine esportazioni e importazioni: calano entrambe (del 2,9 e 2%) per via delle merci transitorie, ora incluse solo in quanto trasformate. Napoli: detenuto si impicca nel carcere di Poggioreale, è il 31° suicidio del 2014 www.radiocarcere.com, 10 settembre 2014 Vincenzo De Matteo, 63 anni, detenuto nel padiglione Avellino del carcere Poggioreale di Napoli, si è impicca nel bagno della sua cella con un asciugamano, mentre gli altri compagni erano all’ora d’aria. Vincenzo De Matteo, stava scontando un cumulo di pene e sarebbe dovuto uscire dal carcere nel 2018. Salgono così a 31 le persone detenute che hanno rinunciato a vivere nei primi 9 mesi del 2014, per un totale di 103 decessi, ovvero una media di oltre 11 morti al mese Il comunicato del Sappe "È detenuto italiano di 63 anni, V.D.M.. l’ennesimo ristretto suicida in un carcere italiano. È accaduto a Napoli Poggioreale, dove scontava un fine pena fissato al 2018 per vari reati tra i quali rapina. Si è impiccato nel bagno della cella. Nonostante l’intervento degli uomini della Polizia Penitenziaria, non c’è stato nulla da fare. Purtroppo, nonostante il prezioso e costante lavoro svolto dalla Polizia Penitenziaria, con le criticità che l’affliggono, non si è riusciti ad evitare tempestivamente ciò che il detenuto ha posto in essere nella propria cella. Ricordiamo che oggi Poggioreale ospita più di 1.800 detenuti, un numero superiore alla capienza regolamentare di circa 1.500 posti". La notizia arriva dal Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, il primo e più rappresentativo della Categoria, per voce del leader Donato Capece. Aggiunge il leader del primo Sindacato della Polizia Penitenziaria: "Quel che mi preme mettere in luce è la professionalità, la competenza e l’umanità che ogni giorno contraddistingue l’operato delle donne e degli uomini della Polizia Penitenziaria con tutti i detenuti per garantire una carcerazione umana ed attenta pur in presenza ormai da anni di oggettive difficoltà operative come il sovraffollamento, le gravi carenze di organico di poliziotti, le strutture spesso inadeguate. Siamo attenti e sensibili, noi poliziotti penitenziari, alle difficoltà di tutti i detenuti, indipendentemente dalle condizioni sociali o dalla gravità del reato commesso". E Capece sottolinea come "negli ultimi vent’anni anni, dal 1992 al 2012, abbiamo salvato la vita ad oltre 17.000 detenuti che hanno tentato il suicidio ed ai quasi 119mila che hanno posto in essere atti di autolesionismo, molti deturpandosi anche violentemente il proprio corpo. Numeri su numeri che raccontano un’emergenza purtroppo ancora sottovalutata, anche dall’Amministrazione penitenziaria che pensa alla vigilanza dinamica come unica soluzione all’invivibilità della vita nelle celle senza però far lavorare i detenuti o impiegarli in attività socialmente utili". Sassari: detenuto suicida in cella, la conferma dall’autopsia di Gianni Bazzoni La Nuova Sardegna, 10 settembre 2014 Prosegue l’inchiesta della Procura sulla morte del detenuto algherese. Si guarda a ciò che è accaduto prima della tragedia. Nessun segno di violenza sul corpo e neppure altri elementi che possano portare a pensare a una causa di morte diversa dal suicidio. L’autopsia eseguita ieri dal medico legale Francesco Lubino ha confermato la prima ipotesi formulata sul decesso di Francesco Saverio Russo, il detenuto algherese trovato privo di vita - sabato sera - in una cella del nuovo carcere di Bancali. Dopo questo passaggio (i familiari hanno nominato un consulente di parte), il magistrato titolare dell’inchiesta Cristina Carunchio deciderà quali passi compiere e se disporre ulteriori approfondimenti, anche per quanto riguarda la gestione delle fasi precedenti la tragedia. Sul dopo, infatti, sembra tutto chiaro. Anche le attività messe in atto per cercare di salvare la vita al giovane algherese: le pratiche di rianimazione sono state portate avanti per quasi cinquanta minuti. Ma per il detenuto non c’è stato niente da fare. Articolo 21. Francesco Saverio Russo aveva ottenuto il beneficio previsto dall’articolo 21 e poteva lavorare all’esterno in un laboratorio di informatico gestito dal fratello. Usciva la mattina e tornava la sera, accompagnato sempre dalla madre. A fine luglio, però, il diritto era stato revocato. Sulle motivazioni ci sono posizioni discordanti: negli ambienti familiari di Russo si parla di violazioni di poco conto, dal carcere invece sostengono che il mancato rispetto di precise disposizioni porta inevitabilmente alla sospensione del beneficio: "Una regola che vale per tutti". L’ambiente. Bancali è un carcere nuovo, un gioiellino se si pensa a quello che era San Sebastiano. Male strutture, si sa, non sono tutto, specie se diventano "contenitori di corpi", come dice radio carcere. Nel penitenziario che è destinato anche ad accogliere ospiti destinati al 41bis, quindi calibri importanti, da qualche tempo il clima sarebbe diventato più pesante rispetto ai primi mesi di apertura. Una situazione ambientale resa più problematica dal fatto che solo pochi reclusi hanno l’opportunità di lavorare: le richieste inevase sarebbero tante e la carenza di risorse non consentirebbe di fare decollare progetti che, invece, esistono. Equilibrio fragile. In un carcere conta molto l’anima, la vita delle persone che vivono - a vario titolo - dentro la grande casa con le sbarre. Gli umori cambiano da un momento all’altro, spesso basta una mezza notizia, un impedimento qualsiasi per fare crollare l’ottimismo messo insieme a fatica. E chi sta da solo in cella, in genere, fa più fatica a resistere. Le reazioni. Francesco Saverio Russo aveva manifestato qualche preoccupazione alla madre, ma era stato tranquillizzato. Anche se l’udienza al Riesame fissata per novembre era parsa troppo lontana per chi auspica il ripristino del diritto di poter uscire quotidianamente dal carcere come faceva fino a qualche settimana prima. Comunicazioni complesse. Dentro un carcere le comunicazioni burocratiche tra le diverse aree sono spesso complesse, e non è solo un problema di Bancali. I tempi spesso si allungano, le risposte tardano, a volte si "perdono gli attimi". E un giorno in cella - si dice - ha un peso tre volte superiore a quello passato fuori. Strane sorprese. Il giudice di sorveglianza, segue la vita del carcere attraverso quelle dei detenuti. Conosce ogni variazione, sa tutto in tempo reale o quasi. Del suicidio - il primo che si verifica a Bancali - gira voce che abbia appreso la notizia parecchie ore dopo il grave fatto. Pare al suo ingresso in carcere il giorno seguente. E anche questa, se confermata, è una cosa strana. Confronto. La morte di una persona, specie in una situazione di disagio (come accade in carcere) in qualunque modo avvenga è sempre una sconfitta durissima. E richiama l’attenzione di tutte le istituzioni coinvolte, apre un confronto che troppe volte è solo teorico e non lascia spazio alla pratica soluzione dei problemi di tutti i giorni. Sassari: la morte di Saverio è una crudele lezione di Luigi Manconi La Nuova Sardegna, 10 settembre 2014 A metà della scorsa settimana, attraverso una serie di complicati passaggi, mi viene chiesto di telefonare a una signora di Alghero, che diceva di avere urgenza di parlare con me. Dal treno che mi porta a Milano chiamo quel numero e mi risponde una persona che si presenta come Vanna Pinna e che mi racconta la vicenda giudiziaria e carceraria del figlio. La signora appare molto scossa emotivamente perché allarmata per la sorte del figlio che attraversa un periodo particolarmente pesante. Il suo nome è Saverio Russo ed è detenuto nel carcere di Bancali per un cumulo di pena, dovuto a più reati di non troppo grave entità. La detenzione, si sa, è sempre una brutta bestia e Saverio la soffre in misura particolare: tanto più che lo scorso 23 luglio gli era stato revocato il cosiddetto "articolo 21". Ovvero il beneficio concesso ai detenuti che tengono buona condotta e che permette loro di uscire dall’istituto per un numero variabile di ore, al fine di svolgere un’attività lavorativa. Russo lavorava in un negozio di informatica e questo, evidentemente, gli garantiva una qualche stabilità di vita e una qualche prospettiva di futuro. Poi, quel beneficio gli è stato revocato e, certo, non sono in grado di valutare se sia stata una scelta opportuna o ingiusta. D’altra parte, nessuno può dire se e quanto quel provvedimento di revoca abbia davvero influito su una decisione che, in ogni caso, avrà avuto un complesso di motivazioni, alcune decifrabili e altre inconoscibili. Come tutto ciò che attiene alla sfera più profonda dell’animo umano. Quando la mamma di Saverio Russo mi raccontò lo stato in cui si trovava il figlio, promisi che avrei fatto quanto nelle mie possibilità - e le mie possibilità sono davvero assai esili - perché si riconsiderasse quella decisione che sembrava condizionare così tanto lo stato d’animo del giovane. Il giorno dopo, ancora in treno, cominciai a scrivere su un blocco notes l’inizio di una lettera, indirizzata al direttore del carcere di Bancali. Ecco le prime righe: "Gentile dottoressa Incollu, mi permetto di disturbarla per sottoporle una vicenda che mi è stata segnalata di recente. Riguarda Francesco Saverio Russo, attualmente recluso nel carcere da lei diretto. Nei giorni scorsi ho parlato al telefono con la madre di Russo, che mi segnalava lo stato di profonda depressione ("è disperato") in cui si trova il figlio". E pregavo la direttrice di seguire con particolare attenzione Russo. Lunedì, dal mio studio al Senato, mi accingevo a completare e spedire la mia sollecitazione a Sassari, quando ho ricevuto una telefonata dalla Garante dei diritti delle persone private della libertà, Cecilia Sechi, che mi informava del suicidio dell’uomo. Scrivo ora quest’articolo e riporto quelle righe di una lettera non spedita, perché questo suicidio (l’ennesimo che si consuma all’interno delle carceri italiane) ci racconta molte cose. Innanzitutto come la vita dei reclusi sia fragile e vulnerabile, sempre precaria e sempre sul punto di precipitare, dominata dall’incertezza e dall’insensatezza. E dove un evento, insignificante per tutti, diventa fattore di crisi irreversibile per qualcuno. E dove, ancora, sembra che il destino delle persone - e fin la loro vita e la loro morte - sia condizionato drammaticamente dai ritardi e dagli equivoci, da azioni distratte o sciatte e da sguardi superficiali. E ciascuno di questi eventi (il rinvio di un’analisi medica o il ritardo nel comunicare una liberazione anticipata) possono determinare un esito tragico. Poi, c’è probabilmente altro. Si dice che nel carcere di Bancali il clima nelle ultime settimane sia diventato più pesante e che la gestione dell’ordine interno si sia significativamente "indurita". E si dice che sia carente la comunicazione tra vari settori, tutti delicatissimi, dell’organizzazione interna (come l’area trattamentale); e quella tra l’istituto e le autorità esterne di controllo. Sembra addirittura che il magistrato di sorveglianza abbia appreso della morte di Russo (avvenuta la sera di sabato 6) solo al momento del suo ingresso in carcere lunedì 8. Sono tutte questioni da approfondire e non spetta certo a me farlo, ma almeno si rifletta sulla crudele lezione che la morte di Saverio Russo ci consegna. Quello del carcere è un universo che vive di un equilibrio instabile e scivoloso, che richiede la massima sensibilità, al di là delle colpe - sempre che vi siano - sotto il profilo penale o amministrativo. Emerge un problema di enorme responsabilità morale, che riguarda tutti: dal poliziotto penitenziario alla direzione, dagli amministratori del territorio in cui il carcere si trova fino a quegli esponenti politici che non vogliono rimanere indifferenti allo strazio che si consuma dietro quelle mura. S.M.C. Vetere (Ce): detenuto muore dopo trasferimento all’ospedale, indagati 10 medici www.campanianotizie.com, 10 settembre 2014 Dieci medici indagati per la morte di Pasquale Rammairone, 70enne di Aversa, morto all’ospedale Melorio di Santa Maria Capua Vetere. L’uomo era stato trasferito dal carcere di Santa Maria Capua Vetere lo scorso 24 giugno. La magistratura dovrà accertare le cause che hanno portato ad eseguire con grave ritardo l’ordinanza del giudice di sorveglianza di Napoli che aveva firmato il provvedimento con cui si disponeva il trasferimento del detenuto in una struttura idonea a curarlo. Genova: detenuto tenta il suicidio per difficile convivenza con gli altri reclusi, salvato Tm News, 10 settembre 2014 Un detenuto, di cui non sono state rese note le generalità, ha tentato di togliersi la vita nella sua cella del carcere genovese di Marassi. L’uomo ha cercato di soffocarsi, stringendosi un sacchetto di plastica intorno testa ma è salvato dagli agenti della polizia penitenziaria. All’origine del gesto, secondo quanto reso noto dal Sappe, il sindacato autonomo della polizia penitenziaria, la difficile convivenza con gli altri detenuti. "Possiamo davvero parlare di una tragedia sventata", ha spiegato il vice segretario regionale del Sappe, Francesco Migliorelli. "Non fosse stato per il tempestivo intervento dei poliziotti, oggi -ha concluso Migliorelli - conteremmo un altra morte in carcere". Bologna: carcere della Dozza, sopralluogo del Garante regionale dei detenuti, Desi Bruno www.bologna 2000.com, 10 settembre 2014 La Garante regionale dei detenuti, Desi Bruno, nella visita alla Casa circondariale di Bologna di lunedì scorso, ha potuto constatare un "evidente miglioramento delle condizioni di vita generali dei detenuti", ottenuto, innanzitutto, grazie alla riduzione del numero dei detenuti stessi; una riduzione che fino a qualche anno fa, quando la Dozza stava per "esplodere" con 1.200 presenze, sarebbe stata impensabile. Alla data dell’8 settembre, nella casa circondariale di Bologna risultano essere presenti 659 detenuti - a fronte di una capienza regolamentare di circa 450 - (di cui 56 donne, 345 gli stranieri); 393 i condannati in via definitiva; 94 in alta sicurezza; 4 in semilibertà; 21 possono lavorare all’esterno; 143 i tossicodipendenti; circa 30 persone nella sezione "protetti". Alla decisa riduzione del numero delle presenze si accompagna la vigenza del cosiddetto "regime a celle aperte", con ampi orari di apertura delle celle: i detenuti di ogni sezione, ad eccezione della sezione infermeria (dove sono ospitati malati, appartenenti a circuiti penitenziari differenti), possono restare all’esterno della propria camera di pernottamento dal mattino alle 18 circa. "È tendenzialmente garantita la separazione degli imputati dai condannati in via definitiva- rileva l’Ufficio della garante-, mentre è ancora da definire l’organizzazione di un’apposita sezione detentiva, dedicata alle persone che sono nell’imminenza della scarcerazione". Alla Dozza continua poi positivamente l’esperienza dell’officina meccanica interna: una decina i detenuti che vi lavorano, regolarmente assunti; va rimarcato che alcuni ex detenuti, che avevano lavorato nell’officina durante il periodo detentivo, sono stati poi assunti dalla medesima impresa. Procede anche l’attività della sartoria della sezione femminile anche con commesse da importanti ditte esterne. Diverse le iniziative in cantiere, dalla costituzione della squadra di rugby che parteciperà al campionato, alla puntuale organizzazione del Polo universitario regionale, dal recupero di spazi all’interno della struttura (con lavori di ristrutturazione che consentiranno di predisporre ambienti per lavorazioni interne) ai lavori di tinteggiatura per tutte le sezioni detentive che necessitano di un intervento, rispetto ai quali si verificherà lo stato di avanzamento dei lavori in occasione delle prossime visite. A fronte di note positive che hanno elevato la qualità della vita per i ristretti alla Dozza, permane la cronica criticità legata alla carenza del lavoro, con la quasi totalità dei detenuti che lavora a rotazione per qualche mese all’anno esclusivamente in mansioni cosiddette domestiche alle dipendenze dell’Amministrazione penitenziaria. L’implementazione delle attività lavorative "resta la questione nodale nell’ambito del percorso di umanizzazione della pena che si sta perseguendo in ambito regionale, risultando a questo punto prioritario trovare modalità di impiego utile del tempo che i detenuti possono trascorrere all’esterno delle proprie celle". Nel corso della visita, la Garante ha ascoltato i detenuti e ha fornito delucidazioni in ordine alle numerose sollecitazioni sollevate anche in forma collettiva, non riuscendo così a completare la visita di tutte le sezioni detentive (sono state visitate la sezioni infermeria ed i tre piani delle sezioni giudiziarie, fra cui anche quelle che ospitano l’alta sicurezza). Seguirà un ulteriore sopralluogo per visitare gli altri reparti. In particolare, i detenuti hanno lamentato la scarsa quantità del vitto, i prezzi alti degli alimenti acquistati dal sopravvitto, con diverse segnalazioni che hanno riguardato problemi di umidità nelle celle (anche con infiltrazioni nella sezione che ospita i semiliberi). Hanno inoltre informato la Garante che numerosi ricorsi presentati, ai sensi delle recenti novità legislative, ai fini dell’accertamento di condizioni detentive inumane e degradanti, sono stati dichiarati inammissibili dal magistrato di sorveglianza competente perché ritenuti generici, in quanto molti detenuti stanno utilizzando moduli che mancano delle indicazioni necessarie per l’istruttoria in caso di ricorso. L’Ufficio della Garante ritiene prioritario "che vengano fornite informazioni puntuali alla popolazione detenuta circa le modalità di proposizione del ricorso, con la disponibilità a collaborare in questo senso, al fine di tutelare il diritto della popolazione detenuta ad avvalersi di rimedi risarcitori nel caso in cui abbia subito una detenzione inumana e degradante, e al contempo non sovraccaricare l’attività degli uffici giudiziari e amministrativi con ricorsi del tutto inutili". Napoli: Rostan (Pd); verificherò di persona le condizioni delle carceri cittadine di Marina Bonifacio www.italia-24news.it, 10 settembre 2014 Si recherà in prima persona nelle case circondariali napoletane per "toccare con mano il dramma di chi vive le nostre carceri". Lo scrive nel suo blog la deputata democratica Michela Rostan commentando la situazione delle carceri in Italia. La deputata prende spunto da un tragico fatto di cronaca: un suicidio verificatosi oggi nell’istituto di Poggioreale. Per Michela Rostan si tratta "dell’ennesimo tragico epilogo a cui vanno incontro tutti quei detenuti che - per una ragione o per un’altra - non reggono alle condizioni, spesso disumane, alle quali vengono sottoposti quotidianamente". Condizioni disumane e intollerabili che producono spesso come tragico epilogo eventi del genere. E che vanno a snaturare la stessa funzione alla base delle case circondariali. "Il carcere e tutte le altre forme di restrizione della libertà personale - scrive ancora Rostan - dovrebbero tendere non soltanto a sanzionare il reo, ma anche, e soprattutto, a favorirne il reinserimento sociale ed il recupero sul piano psicofisico". La tragica morte di oggi, come tante altre in passato, dimostrano tuttavia che "in Italia e specie nel Mezzogiorno, siamo ben lontani dal raggiungimento di questi obiettivi di civiltà", nota la deputata. Pianosa (Li): Parco dell’Arcipelago; con l’aiuto dei detenuti salveremo l’isola piatta Il Tirreno, 10 settembre 2014 Le macerie e il degrado stanno lasciando spazio all’ottimismo. È quanto sta accadendo a Pianosa, l’ex isola del diavolo, 10,3 chilometri quadrati di territorio piatto, fino a quindici anni fa sede di un carcere di massima sicurezza. Sono lontani gli anni del penitenziario, della comunità locale che garantiva servizi e vita propria all’isola. Dopo la chiusura del carcere l’isola è passata al Parco dell’Arcipelago toscano, Aquavision ha garantito collegamenti quotidiani spingendo per la riqualificazione turistica del gioiello del Tirreno. Ma i problemi non sono mancati. L’incuria, progressivamente, ha attaccato le case e i manufatti del paese, in lotta contro l’abbandono. Lo splendido porticciolo è in degrado, Forte Teglia è sorretto da impalcature. Il piccolo centro storico rischia di cadere a pezzi, le facciate delle case ormai disabitate sono visibilmente danneggiate, alcuni edifici sono a rischio dal punto di vista strutturale. Solo con risorse importanti e l’impegno degli enti coinvolti, Parco e Demanio su tutti, l’isola potrà cambiare la sua faccia. E domenica, nel corso dell’evento culturale ed enogastronomico organizzato dal Comune di Campo, Parco e amministrazione penitenziaria, si è avuto la sensazione di un impegno comune, che finalmente possa andare oltre alle solite dichiarazioni di facciata. "Abbiamo avuto una nuova conferma di come ci sia la volontà di collaborare da parte di tutti - fa sapere il sindaco di Campo nell’Elba Lorenzo Lambardi, presente all’iniziativa organizzata domenica - il vero salto di qualità per Pianosa lo si potrà avere grazie agli investimenti del Parco e del Demanio, ma credo che già adesso l’aria sia cambiata". Il riferimento del sindaco Lorenzo Lambardi è al protocollo di intesa firmato recentemente con il Parco e l’amministrazione penitenziaria, che punta ad intensificare la presenza sull’isola dei detenuti in stato di semilibertà da impiegare per i lavori di piccola manutenzione e gestione del territorio. Una manutenzione di cui l’isola piatta ha estremo bisogno: "Il centro storico e il porticciolo fanno i conti da anni con l’incuria e l’abbandono - racconta il sindaco Lambardi - alcuni buoni risultati e miglioramenti si vedono già, soprattutto per quanto riguarda il decoro e l’accoglienza ai turisti. Ma c’è ancora molto da fare. L’accordo con i detenuti può dare una grande mano per migliorare l’aspetto dell’isola, così come sono importanti i progetti in essere per l’enogastronomia, con lo sviluppo dell’agricoltura di qualità e a chilometri zero". La rinascita dell’agricoltura di qualità Una giornata per valorizzare le eccellenze di Pianosa, quelle offerte dall’orto che i detenuti stanno curando sull’isola e i prodotti del generoso mare toscano. Oltre che delle bellezze naturalistiche e archeologiche, l’escursione organizzata domenica sull’isola dal Parco Nazionale ha permesso di andare alla riscoperta di alcuni prodotti tipici, sapientemente cucinati dallo chef Alvaro Claudi insieme al personale della cooperativa San Giacomo. Il tutto dopo l’osservazione del cielo con gli Astrofili elbani. Un modo per festeggiare Pianosa che sta rinascendo. I detenuti che sono al lavoro sull’isola, "40 per ora" come ha annunciato il direttore dell’amministrazione penitenziaria Vittorio Cerri, hanno ricostruito i muri a secco e ristrutturato la torretta del muro del carcere. Un progetto pilota che permettere l’intensificazione della manutenzione dei percorsi verdi, delle aree archeologiche la sistemazione di muri e l’ampliamento dell’orto. "Mi sembra che Pianosa stia cambiando in meglio - ha detto il presidente del Parco Nazionale dell’Arcipelago, Giampiero Sammuri - questo rapporto molto buono che abbiamo con l’autorità penitenziaria, con il comune di Campo ci consente di lavorare in modo produttivo insieme". Le emergenze restano molte sull’isola quella più importante è il patrimonio immobiliare abbandonato, ma la strada per i recupero è appena iniziata. "È una realtà importante - ha commentato l’assessore regionale Gianfranco Simoncini - come Regione dovremo sostenere questo percorso. Pianosa rappresenta un patrimonio bellissimo che deve essere valorizzato e recuperato". Reggio Calabria: fino 15 settembre iscrizioni a percorso formativo "Da esclusi a cittadini" www.ildispaccio.it, 10 settembre 2014 Si chiuderanno il prossimo 15 settembre, le iscrizioni al percorso formativo "Da esclusi a cittadini", promosso dal Centro Servizi al Volontariato dei Due Mari di Reggio Calabria, in collaborazione con la Caritas Diocesana Reggio Calabria - Bova, la Conferenza Regionale Volontariato Giustizia, il seac, i cappellani e l’Istituzione carceraria. Il corso, rivolto a quanti intendono candidarsi come volontari presso gli istituti penitenziari della provincia di Reggio Calabria, ha il duplice scopo di promuovere il volontariato in carcere e di qualificare la presenza dei volontari, offrendo loro un percorso che fornisca competenze e strumenti utili. Il volontario carcerario, infatti, è chiamato a svolgere un ruolo fondamentale nel sistema penitenziario odierno che versa in una condizione di permanente emergenze a causa del sovraffollamento e delle condizioni strutturali spesso fatiscenti. La detenzione quindi, molto spesso, limita non solo la libertà personale, ma priva la persona della sua umanità. Il volontario può portare "dentro" quell’umanità e quel rispetto che la detenzione troppo spesso rinnega, può favorire l’ascolto e il recupero della dignità del detenuto, può creare un ponte con la società e tutto ciò che sta fuori le mura di cinta. La partecipazione al percorso, che è gratuita, non è comunque vincolante e ciascuno potrà, poi, liberamente decidere se cimentarsi in questo (affascinante) servizio. Verona: stagione Areniana; gli spettacoli "Carmen" e "Madama Butterfly" per i detenuti Verona Sera, 10 settembre 2014 Opportunità arrivata grazie alla disponibilità della Fondazione Arena, con l’organizzazione della presenza di una decina di persone a due spettacoli del Festival 2014. La garante: "Traguardo culturale raggiunto". "Una stagione, quella Areniana 2014, che una decina di persone detenute difficilmente dimenticherà: grazie alla disponibilità della Direzione della Fondazione Arena, è stato possibile organizzare la loro presenza a due spettacoli, Carmen e Madama Butterfly. A far sì che questa straordinaria opportunità si trasformasse in realtà hanno provveduto le Direzioni del carcere e della Magistratura di Sorveglianza, insieme alle associazioni Altri Noi Onlus e La Fraternità". Lo rende noto la Garante dei diritti delle persone private della libertà personale Margherita Forestan. "Un traguardo culturale raggiunto - conclude Forestan - dal quale partire per altre azioni di inclusione, vero passaggio obbligato per dare senso alla pena e tangibile prova di volontà di recupero". Droghe: persone, non molecole di Susanna Ronconi Il Manifesto, 10 settembre 2014 Nei lunghi anni della Fini-Giovanardi e del "suo" Dipartimento antidroga, c’è stato, come si sa, un mondo di operatori, scienziati, consumatori e cittadini che non ha mai smesso di opporsi e lottare per una alternativa. Meno forse si sa che dentro questo mondo c’è stato chi, diverso per ruolo e competenze, in "direzione ostinata e contraria" ha continuato a lavorare sul piano della ricerca e dell’operatività, per un diverso modo di leggere i fenomeni del consumo di droghe e di intervenire. Un lavoro di controtendenza sul piano nazionale ma fortemente ancorato ai contesti internazionali ed europei, un lavoro caparbio caratterizzato da risorse materiali fragili compensate da impegno e competenza. Appartiene a questo mondo di minoranza - se paragonato al pensiero dominante della "malattia del cervello" - quello che, per iniziativa di Forum Droghe e Cnca, si è incontrato a Firenze tra il 4 e il 6 settembre per proporre, discutere e sviluppare con oltre cento operatori del pubblico e del privato sociale un nuovo modello operativo in tema di consumi di droghe, un "Modello operativo ecologico verso il controllo del consumo". Di cosa si tratta e perché sta riscuotendo tanto interesse? Si tratta innanzitutto di uno sviluppo dell’approccio di riduzione del danno, e già questo lo mette all’ordine del giorno, dopo anni di ostracismo del "quarto pilastro" delle politiche sulle droghe. Ma soprattutto si tratta di una sfida scientifica e operativa, che innova su tre piani principali. Il primo, lo sguardo: il percorso che ha portato a questa proposta (un processo di ricerca e sperimentazione durato oltre 3 anni, incluso un progetto europeo) ha riattraversato decenni di ricerca internazionale sui consumi e ne ha sviluppata a livello locale, evidenziando come i consumatori di qualsiasi sostanza - che, è bene ricordarlo, per la stragrande maggioranza hanno un consumo non problematico - mettono in atto strategie efficaci di autocontrollo del proprio consumo, e che anche quando arrivano a momenti di "fuori controllo" sanno poi ritornare a consumi più moderati. E che, inoltre, apprendono dalla propria esperienza in modo evolutivo. Insomma, semplificando, la "malattia cronica recidivante" non è il destino, come sostiene il dominante sguardo medico. Secondo, gli interventi. La protezione dall’abuso e da un uso dannoso punta a sostenere le pratiche "naturali" di autoregolazione, verso un consumo il cui grado di "controllo" non è dettato da standard ma da ciò che il consumatore pensa sia bene per sé. Questa prospettiva suggerisce che l’astinenza non sia il solo buon obiettivo, ma che lo sia riuscire a sostenere uno stile di vita desiderabile. Terzo, il contesto: quel "ecologico" significa che il consumatore va pensato nel suo ambiente e non solo di fronte a una molecola, e che questo ambiente a sua volta è (può essere) fattore di protezione e sostegno all’autoregolazione. Il confronto serrato tra operatori, ricercatori, consumatori ha aperto una prospettiva, che ruota non attorno al "deficit" di chi consuma ma alle sue risorse e apprendimenti (come del resto avviene in tutta la promozione della salute), attorno a obiettivi non prestabiliti da servizi e politiche ma legittimamente restituiti alla sovranità del soggetto (come del resto dettano le migliori metodologie della relazione di aiuto). Sostenere l’autocontrollo, insomma, è una prospettiva e una pratica che include, dopo un lungo ostracismo morale coperto da ragioni pseudoscientifiche, il consumatore tra i cittadini, quelli che hanno sovranità sulla propria salute e sul proprio stile di vita. Immigrazione: detenzione e accoglienza inadeguata… la vita dei richiedenti asilo in Ue di Maurizio Molinari Redattore Sociale, 10 settembre 2014 Rapporto del Consiglio europeo sulle condizioni dei richiedenti asilo in 15 paesi Ue. Oltre 36 mila richieste in Italia nel 2014, in Ue sono oltre 36 mila. Stimati entro fine anno fino a 160 mila sbarchi in Italia. Fra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. Questo l’adagio popolare che può sintetizzare bene i risultati del rapporto presentato oggi a Bruxelles dall’Ecre, il Consiglio europeo dei rifugiati e degli esuli, sulle condizioni dei richiedenti asilo in quindici paesi europei (Austria, Belgio, Bulgaria, Cipro, Germania, Francia, Grecia, Ungheria, Irlanda, Italia, Malta, Olanda, Polonia, Svezia e Regno Unito). A fronte di un’Ue che parla di una politica comune d’asilo, resta una realtà in cui chi l’asilo lo richiede non può raggiungere il nostro continente se non mettendo a rischio la sua vita con viaggi su carrette del mare. E, anche una volta arrivato in Europa, il richiedente asilo è spesso trattenuto in centri di detenzione o ospitato in strutture di accoglienza in condizioni inadeguate al rispetto dei diritti fondamentali della persona. La ricerca elogia gli sforzi del governo italiano, che con l’operazione mare nostrum ha salvato oltre centomila vite, ma lancia anche un allarme secondo cui, entro la fine dell’anno, potranno essere fino a 160 mila gli sbarchi in Italia. Le cifre sono per lo più note e parlano da sole: fino ad agosto 2014 in Italia sono arrivati 106.000 migranti, la maggior parte da Siria ed Eritrea (114 mila gli arrivi in Ue via mare fino ad agosto), un numero senza precedenti. Come senza precedenti è il numero di morti in mare, che ha superato le duemila persone. Oltre 36 mila sono state le richieste d’asilo fino a ora nel 2014, mentre erano quasi 28 mila nel 2013. Di queste 36.000 richieste, 17.700 provengono da bambini, e circa 9700 sono stati i minori non accompagnati. Numeri grandi, ma non grandissimi, se si pensa che le richieste di asilo in tutta Europa, nel 2014, hanno superato le 535 mila. L’Italia, per domande di asilo, si colloca al quinto posto dopo Svezia, Germania, Francia e Regno Unito. I centri di accoglienza italiani stanno ospitando circa 60 mila persone, e il 55% dei richiedenti asilo si trova in centri di accoglienza del sud (solo la Sicilia ospita il 25% del totale). Gli standard sono diversi da centro a centro, il che rende le condizioni di accoglienza disomogenee. Allargando l’analisi agli altri paesi europei, ci sono molti cattivi esempi ma anche qualche pratica virtuosa: in Ungheria il 26% di tutti i richiedenti asilo e quasi la metà (42%) degli uomini singoli sono detenuti (aprile 2014), anche i minori non accompagnati sono trattenuti insieme agli adulti per lunghi periodi, nonostante la legge lo vieti. A Cipro, dove la detenzione riguarda un numero minore di casi, le condizioni sono simili a quelle di una vera e propria prigione: le persone sono detenute in celle sotto uno stretto sistema di sorveglianza, possono trascorrere in luoghi comuni solo poche ore al giorno e vengono ammanettate per trasferimenti all’interno o fuori del centro. Mentre in alcuni Paesi, come il Belgio e l’Olanda, le famiglie di richiedenti asilo con bambini non vengono più detenute alle frontiere, lo sono invece in paesi quali Malta, Grecia e Bulgaria. In Italia, non è prevista detenzione per richiedenti asilo, che hanno invece libertà di entrare ed uscire dai centri d’accoglienza e di muoversi sul territorio. Un altro buon esempio è la Svezia, che ha garantito ai profughi siriani un permesso di soggiorno permanente per i richiedenti asilo siriani. In Francia, nel 2013, un richiedente asilo vulnerabile aspettava in media 12 mesi per ottenere un posto in accoglienza. Al 31 dicembre 2013, la lista prioritaria per le persone vulnerabili in attesa d’accoglienza contava 15.000 persone. Senza accesso all’accoglienza, i richiedenti asilo, che per legge non possono lavorare, sono obbligati a cavarsela come possono per guadagnarsi da vivere. "Concordiamo sul fatto che il soccorso in mare nel canale di Sicilia debba essere considerato una responsabilità europea e che gli sforzi italiani nell’operazione "Mare Nostrum" debbano essere supportati dagli altri Stati Membri e dalla stessa Commissione Europea. "Frontex Plus", per il momento, non sembra andare in questa direzione. Piuttosto punta al rafforzamento dei controlli e della sorveglianza", sottolinea Christopher Hein, Direttore del Consiglio Italiano per i Rifugiati. Un paradosso su cui il rapporto si concentra è che comunque, una volta arrivati in Europa, i profughi siriani hanno un tasso di concessione dell’asilo di oltre il 90%. Perché, ci si chiede dunque, si rende loro così difficile entrare nell’Ue? Soprattutto visto che l’Unione Europea sta ospitando solo il 3% dei tre milioni di profughi siriani che cercano di sfuggire dalla guerra. Come ha detto l’Alto Commissario Onu per i Rifugiati riguardo la poca attitudine degli Stati membri Ue a favorire i reinsediamenti e i trasferimenti di profughi: "Mai così tanti hanno fatto così poco per così pochi". L’Europa prenda nota. Il rapporto dell’Ecre fa parte del progetto di un database sull’asilo in Europa, che coinvolge i quindici paesi presi in esame dalla relazione e che verrà esteso presto alla Croazia e in seguito alla Turchia. Il database è consultabile al link www.asylumineurope.org, e contiene informazioni dettagliate sulla procedura d’asilo, le condizioni d’accoglienza e di detenzione per i richiedenti asilo. India: italiani detenuti; esame caso rinviato da Corte Suprema per mancanza di tempo Ansa, 10 settembre 2014 La Corte Suprema indiana non è riuscita a discutere oggi il ricorso di Tomaso Bruno e Elisabetta Boncompagni, da quattro anni in carcere a Varanasi dopo una condanna all’ergastolo con l’accusa di aver ucciso un compagno di viaggio. L’udienza era stata calendarizzata con il numero di lista 11 presso la prima sezione della Corte, la quale ha però esaminato un solo caso che si è rivelato molto complesso. "Presumibilmente - ha detto all’Ansa Marina Maurizio, madre del giovane di Albenga - la seduta dovrebbe slittare al prossimo martedì. Speriamo che la Corte ci assegni una posizione più avanzata e che non ci siano altre cause molto lunghe davanti alla nostra". Domani sul website della Corte sarà disponibile il calendario delle prossime sedute. I coniugi Bruno e il padre di Elisabetta, Romano Boncompagni, si trovano in questi giorni a Varanasi per stare vicino ai due ragazzi. "È un’odissea giudiziaria - ha commentato la madre di Tomaso - ma prima o poi mio figlio lo porterò a casa". L’esame del ricorso (contro una sentenza di secondo grado) era stato avviato un anno fa ma da allora non era mai stato discusso nel merito dalla Corte per mancanza di tempo nonostante fosse regolarmente inserito nel calendario settimanale. Egitto: al-Jazeera, oltre 140 mln di firme per rilascio giornalisti Aki, 10 settembre 2014 Sono più di 140 milioni le persone che hanno aderito alla campagna lanciata su Twitter e su altri social media intitolata "FreeAJStaff" per il rilascio di tre giornalisti di al-Jazeera condannati il 23 giugno scorso al Cairo a sette anni di carcere ciascuno con l’accusa di aver aiutato i Fratelli Musulmani, organizzazione che l’Egitto considera terrorista. La campagna per il rilascio dell’australiano Peter Greste, dell’egiziano-canadese Mohamed Fahmy e dell’egiziano Baher Mohamed è stata lanciata dall’emittente di Doha proprio a giugno con l’hashtag FreeAJStaff. Al Jazeera, la cui proprietà qatariota sostiene i Fratelli Musulmani e per questo è stata additata dalla leadership egiziana del dopo golpe, ha detto che nel giudicare i tre giornalisti il Tribunale ha sfidato la "logica, il buonsenso e ogni parvenza di giustizia". Secondo il Middle East Monitor (Memo), circa 40 corrispondenti e giornalisti di 29 organizzazioni internazionali di informazione hanno spedito una lettera alle autorità egiziane per chiedere l’immediato rilascio dei giornalisti di al-Jazeera. A firmare la lettera sono stati, tra gli altri, il capo dei corrispondenti della Cnn Christiane Amanpour, quello della Bbc Lyse Doucet e giornalisti di Npr, The Washington Post, Le Monde, France 24 e The Economist. Medio Oriente: detenuto palestinese muore in ospedale Israele in circostanze non chiare Aki, 10 settembre 2014 Un detenuto palestinese è morto in un ospedale di Israele in circostanze non chiare. Lo ha denunciato il capo della Commissione per gli Affari dei prigionieri palestinesi citato dall’agenzia di stampa Ma’an e spiegando che Raed al-Jabari è morto nel centro medico di Soroka in Israele dove era stato trasferito questa mattina. Al-Jabari non aveva malattie riconosciute e le circostanze della morte non sono chiare. L’ex ministro palestinese per gli Affari dei detenuti, Issa Qaraqe, ha accusato Israele della morte di al-Jabari e chiesto che sia aperta un’inchiesta per chiarire le cause del decesso. Al-Jabari era detenuto nel carcere di Eshel nel Negev. Si stima che siano circa settemila i palestinesi attualmente detenuti in Israele, dei quali oltre duemila sono stati arrestati solo la scorsa estate. Stati Uniti: il Congresso condanna Obama per lo "scambio" tra soldato Usa e 5 talebani Agi, 10 settembre 2014 La Camera dei Rappresentanti Usa ha condannato a larga maggioranza Barack Obama per non aver informato il Congresso con 30 giorni di anticipo dello scambio del prigioniero di guerra, Bowe Bergdahl con cinque talebani, che erano detenuti nel carcere militare di Guantánamo Bay, a Cuba. Nel maggio scorso, temendo per le condizioni di salute del militare, che era prigioniero da 5 anni, il governo americano infatti negoziò frettolosamente il suo rilascio; e il Congresso accusò Obama di averlo bypassato. La Camera dei Rappresentanti ha votato con 249 sì e 163 contrari (22 democratici si sono uniti alla maggioranza repubblicana); la risoluzione non è giuridicamente vincolante ma imbarazza il presidente alla vigilia del suo discorso alla nazione sulla strategia militare contro i jihadisti dello Stato islamico. "Negoziando con i terroristi, l’amministrazione Obama ha incoraggiato i nostri nemici" ha dichiarato lo speaker della Camera, John Boehner, poco dopo il voto. Bergdahl, l’unico soldato americano catturato dai talebani dall’inizio della guerra, nel 2001, scomparve dopo aver abbandonato la sua postazione in una base avanzata in Afghanistan. Liberato il 31 maggio, il sergente è stato inizialmente sottoposto a un programma di sostegno psicologico. E successivamente, a metà luglio, ha ripreso il servizio, con compiti amministrativi al Fort Sam Houston di San Antonio.