Appello a Papa Francesco per le famiglie dei detenuti Ristretti Orizzonti, 9 ottobre 2014 Caro Papa Francesco, in questi giorni abbiamo appreso dai telegiornali che al sinodo dedicato alle famiglie hai rivolto severe critiche ai "cattivi pastori" che "caricano sulle spalle della gente pesi insopportabili che loro non muovono neppure con un dito". Hai idea, papa Francesco, dei pesi che portano le nostre famiglie, le famiglie dei detenuti? Il tema della famiglia noi detenuti lo viviamo drammaticamente nella nostra esperienza di carcere e per alcuni, condannati a un ergastolo senza speranza, si tratta di una situazione che troverà soluzione solo con la fine della vita. Ancor di più, con l’aggravio di non aver fatto nulla per meritarlo, soffrono i nostri figli, le nostre compagne o compagni, le nostre madri, i nostri padri, fratelli e sorelle. Di fatto, quando entri in carcere, tutti gli affetti famigliari vengono recisi. Un detenuto, al mese, può usufruire in tutto di sei ore di colloqui visivi, in una sala affollata con sorveglianza a vista, e di una telefonata a settimana di dieci minuti. Questo se sei un detenuto cosiddetto "comune" e sempre che tu abbia la fortuna di essere assegnato ad un carcere vicino alla residenza della tua famiglia. Per i detenuti che sono in carcere per reati associativi con il regime duro del 41bis, le limitazioni sono ancora più strette. Il colloquio è uno al mese della durata di un’ora, fatto attraverso un vetro, gli ultimi dieci minuti se hai un bambino piccolo lo puoi tenere con te, ma senza la presenza di un altro parente, e la telefonata è possibile solo se non fai colloquio. E questo si protrae per anni, disgregando, inevitabilmente, tutti quei legami che si costruiscono nella quotidianità e nell’intimità di un rapporto, sia esso con i figli che con la propria compagna o compagno. La presenza ed il mantenimento di affetti validi può davvero aiutare a recuperare una progettualità di vita "sana", a far riflettere con responsabilità sugli errori commessi. Potrebbe davvero considerarsi la prima linea di prevenzione contro la recidiva e per una società un po’ più sicura. Un obiettivo, questo, alla portata anche di un sistema carcerario profondamente in crisi come il nostro, con costi irrisori, se ci fosse la volontà di tutti per umanizzare davvero le carceri. Noi abbiamo consapevolezza del male che abbiamo fatto e di quanto egoisticamente, nel commetterlo, non abbiamo preso in considerazione che sarebbe ricaduto proprio sulle persone più care, senza che ne abbiano colpa, in modo del tutto gratuito. Ecco, caro Papa, perché abbiamo pensato di rivolgerti un appello proprio per il tema che stai affrontando in questo Sinodo. Abbiamo pensato di farlo perché abbiamo imparato a conoscere la Tua sensibilità verso la fragilità dell’uomo. Perché abbiamo davvero bisogno di aiuto e, più di noi, le nostre famiglie hanno bisogno di aiuto… un figlio ha bisogno anche di guardare negli occhi un papà o una mamma che hanno sbagliato ed essere libero di raccontare il dolore che ha dovuto subire e magari cercare di ricostruire un rapporto. Un compagno o una compagna hanno bisogno di raccontarsi la delusione e la sofferenza, la vergogna e magari riprogettare un percorso di vita, di condivisione. Oggi non c’è nessuno spazio per questo nelle carceri La redazione di Ristretti Orizzonti, dal carcere di Padova, ha lanciato una campagna in difesa degli affetti delle persone detenute dal titolo "Per qualche metro e un po’ di amore in più" che avrà la sua giornata più importante il 24 dicembre, la vigilia di Natale. Noi Ti chiediamo con forza di dare voce, la Tua voce potente, al grido d’aiuto delle nostre famiglie, per cercare di offrire un futuro migliore ai nostri figli. Se Tu aderissi alla petizione che abbiamo promosso (il testo è disponibile online nel sito www.ristretti.org) e magari ne discutessi i contenuti con i padri sinodali, questo ci darebbe davvero coraggio. Caro Papa, grazie anche per un solo istante che riuscirai a dedicarci. La redazione di Ristretti Orizzonti - Casa di reclusione di Padova Giustizia: il "ministro ombra" Gratteri vuole militarizzare il carcere di Damiano Aliprandi Il Garantista, 9 ottobre 2014 Commissari di Polizia a capo dei penitenziari. Tra gli obiettivi del magistrato la rapida riapertura dell’Asinara per i detenuti al 41bis e i "campi di lavoro". Nicola Gratteri l’aveva promesso alla festa del Fatto Quotidiano: "A ottobre proporrò delle riforme". Detto, fatto. Dalla commissione da lui presieduta, e composta da altri magistrati come Piercamillo Davigo e Sebastiano Ardita, sono uscite varie proposte tra le quali la riforma del Dap, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Una sorta di "ministero della Giustizia ombra" che starebbe lavorando per riformare il sistema carcerario, ma in una direzione di ulteriore militarizzazione. Secondo Gratteri, la responsabilità diretta delle carceri andrebbero affidate non ai direttori "civili", ma ai commissari della polizia penitenziaria. Se mai dovesse realizzarsi questa riforma, tramonterebbe, con ogni probabilità, ogni speranza di avere direttori come Lucia Castellano, clic aveva reso il carcere di Bollate aperto e aderente alla Costituzione. "Finirebbe così definitivamente la mitologia del direttore dal volto umano, il Brubacker di Robert Redford, e il carcere tornerebbe ad essere innanzitutto un luogo di reclusione e di sicurezza, a scapito di ogni promessa di trattamento e di rieducazione", ha affermato Stefano Anastasia dell’associazione Fuoriluogo. Gratteri però ha messo sul tavolo anche altre proposte, come quelle che ha anticipato durante l’audizione parlamentare sul 41bis. Ricordiamo che in quella sede ha contestato la distribuzione dei 750 detenuti in regime di carcere duro in 12 istituti, con i rischi di interpretazioni diverse da parte dei direttori delle norme e ha individuato la soluzione nella costruzione di 4 nuovi carceri dedicati allo scopo con 4 direttori specializzati. Gratteri si è poi chiesto la ragione della chiusura negli anni Novanta delle carceri di Pianosa e dell’Asinara, auspicando la loro riapertura con questa destinazione. Ma dimenticando che la scelta di chiudere le carceri speciali, come ha ricordato il garante dei detenuti Franco Corleone, "fu dovuta al rifiuto doveroso da parte dello stato democratico di sopportare condizioni di violenza inaudita e di gestioni paranoiche da parte di direttori immedesimati nella parte di vendicatori e aguzzini. Si vuole tornare a quella pratica di tortura appena ora che l’Italia ha evitato una condanna definitiva per violazione dell’art. 3 della Convenzione dei diritti umani da parte della Cedu per trattamenti crudeli e degradanti?". Pare però che l’attuale Governo abbia messo in pratica la proposta del "ministro ombra" Gratteri: l’istituto penitenziario dì Massama, in Sardegna, si appresterà a diventare un carcere speciale, come quelli di Pianosa e dell’Asinara. Un decreto di via Arenula emanato lo scorso 2 settembre, stabilisce che la struttura carceraria oristanese sia riservata esclusivamente ai detenuti in regime "ex 41bis", mafiosi e camorristi sottoposti a rigidi controlli. A rivelare le intenzioni del Ministero, e a contestarle duramente, sono stati i Consiglieri regionali oristanesi del Pd Antonio Solinas e Mario Tendas, che hanno già presentato un’interrogazione al presidente della Giunta regionale Francesco Pigliaru chiedendo un suo immediato intervento e prevedendo anche il coinvolgimento dei parlamentari sardi. Il consigliere Tendas ha manifestata l’esigenza di mobilitarsi subito contro il decreto del Ministero: "Il provvedimento entrerà in vigore entro il 3 novembre" e ha riferito come a Massama sia già cominciato il trasferimento dei detenuti comuni. Gratteri, come già riferito dal Garantista, durante la sua audizione aveva anche affermato la necessità dei lavori l’orzati: "Io sono per i campi di lavoro, non per guardare la tv. Chi è detenuto sotto il regime del 41 bis coltivi la terra se vuole mangiare. In carcere si lavori come terapìa rieducativa. Occorre farli lavorare come rieducazione, non a pagamento". Si spera che almeno su questo, il ministro Orlando, non ceda. Ne vale della nostra democrazia e dello stato di diritto. Giustizia: galere meno piene, timidi segnali di miglioramento di Damiano Aliprandì Il Garantista, 9 ottobre 2014 Cala il sovraffollamento carcerario. Secondo gli ultimi dati diffusi dal Dap, e riportati dal dossier di Antigone, nelle patrie galere ci sono circa diecimila detenuti in meno rispetto a dieci mesi fa. Un calo di quasi mille ristretti al mese, por lo più tra i detenuti stranieri e non definitivi. Un cambio di rotta, dovuto alle recenti sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo, c’è dunque stato, ma il problema del sovraffollamento rimane perché le presenze sono tuttora molto superiori ai posti disponibili. Dal dossier redatto da Antigone si evince che dal 30 novembre 2013 si contavano 64.047 detenuti, mentre dieci mesi dopo sono 54.195, rispettivamente a fronte di una capienza di 47.649 posti stimati a fine 2013 e di 49.347 contati a fine settembre 2014. Quasi cinquemila i detenuti stranieri in meno: erano 22.434, ora scesi a 17.522. Oltre quota seimila il calo dei detenuti con sentenza non definitiva: da 23.923 a 17.818. Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone, ammette che ci sia stato qualche miglioramento. "Questo risultato - spiega - è il frutto di una serie di norme introdotte nell’ultimo anno e della sentenza Torreggiani pronunciata l’8 gennaio 2013 dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo, che costituisce una pesante condanna nei confronti dell’Italia e del suo sistema penitenziario". Confrontando i dati, Gonnella sottolinea che "oggi i numeri della custodia cautelare sono più bassi e il calo complessivo degli stranieri è attribuibile a nuove norme che hanno favorito l’accesso alle misure alternative, insieme alla riduzione degli arresti per pochi giorni. L’abrogazione della legge Fini-Giovanardi per incostituzionalità, infine, ha consentito una rimodulazione individuale delle pene". Gonnella però invita a non abbassare la guardia pensando che il peggio sia passato perché il tasso di sovraffollamento permane e "comunque - avvisa il presidente di Antigone - siamo ancora davanti a piccole riforme, in assenza di una visione di sistema alternativa, perciò c’è sempre il rischio di tornare indietro". Antigone, infatti, si dice spaventata dalle recenti proposte di riforma formulate dalla Commissione Gratteri perché "tentano di fare passi indietro - spiega sempre Gonnella - come le voci di scioglimento del Dap e l’affidamento della direzione delle carceri a personale proveniente dalla polizia: l’organizzazione della vita carceraria non è un compito di ordine pubblico ma prevede competenze diverse di management". Gonnella coglie l’occasione per ricordare anche la mancata nomina del capo del Dap, che "non aiuta il processo riformatore. Speriamo si arrivi al più presto alla nomina di persona competente con un programma chiaro". Ottimista sugli scenari futuri è invece Luigi Pagano, vice capo vicaria del Dap: "Le recenti disposizioni legislative, da Severino a Cancellieri a Orlando, hanno limitato le normative che incidevano sulla custodia cautelare e hanno favorito l’accesso alle misure alternative. Oggi siamo a circa 31mila persone in esecuzione penale esterna". Rispetto al piano carceri (che, come spiegato oggi sul Garantista, va in contraddizione con quanto in realtà sta accadendo sulla territorialità della pena, visto i trasferimenti in corso dal carcere sardo per creare un unico regimo duro) aggiungo: "Stiamo cercando di lavorare anche nell’ottica di un principio di territorializzazione: in Sardegna abbiamo 700 posti vuoti, ma mandare un detenuto lì da Roma non è possibile. Teniamo conto che deve ancora realizzarsi il piano carceri, perciò nei prossimi anni possiamo riuscire ad avere un numero di detenuti pari ai posti disponibili". Per Pagano, quindi, siamo solo all’inizio di un processo: "Il miglioramento è reso evidente dai numeri. Abbiamo più detenuti definitivi, meno misure cautelari, più misure alternative. E un sistema che sta diventando più coerente e armonico". In quest’ottica il vice capo non teme possibili regressioni: "Perché dovremmo tornare indietro? È evidente che se stiamo rivoluzionando un sistema non possiamo fare tutto in un giorno. Il sistema penitenziario oggi conta su una grande attenzione da parte del Dap, del governo, degli enti locali, del Parlamento. Se c’è la possibilità di avere davanti a noi un po’ di tempo, questo cambiamento potrà sedimentarsi". E conclude: "Non sono pessimista perchè stavolta si è agito a 360 gradi". Gratteri permettendo. Giustizia: risarcimenti per sovraffollamento, ancora una volta l’Italia promette e non paga di Valter Vecellio L’Indro, 9 ottobre 2014 Il dato è ufficiale: per quel che riguarda i risarcimenti per l’invivibilità nelle carceri (a tal proposito la Corte Europea è intervenuta con ripetuti moniti, richiami e condanne), non c’è che restare a bocca aperta: a oggi un solo detenuto, sui migliaia che ne avrebbero diritto, è stato risarcito, con quattromila euro. Numerosissimi i casi di detenuti che si sono visti respingere l’istanza di risarcimento perché giudicata non ammissibile. Altri, più semplicemente, non hanno avuto risposta. Di fatto in Italia non esiste nessuna forma di risarcimento né per l’invivibilità nelle carceri, né per quando sei detenuto ingiustamente. E dire che una sentenza della Corte Europea obbliga l’Italia a rispettare il principio di umanità nella detenzione e condanna il nostro paese per l’incredibile sovraffollamento dei nostri Istituti di pena. Quella sentenza non ha avuto esecutività, e la Corte Europea, di fatti, ha annullato la prima sentenza concedendo all’Italia altro tempo e altre soluzioni. Questa sentenza è poi stata seguita da un decreto, approvato in un consiglio dei ministri, che sancisce un risarcimento irrisorio per detenzioni inumane. Così una sola persona è stata risarcita, peraltro in modo irrisorio. Cosa se ne ricava? Che il detenuto di fatto non ha diritti: essere risarciti è un calvario, anche se si è finiti in carcere e si risulta poi innocenti. Figuriamoci per il detenuto colpevole che subisce trattamenti indegni e incivili. Nessun risarcimento, ma la mala-giustizia costa ugualmente. È di oltre 60 milioni di euro la cifra che l’Italia ha versato, nel 2013, per l’esecuzione delle pronunce di Strasburgo, a seguito di violazioni commesse dall’Italia accertate dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Nell’importo, che dà il segno del costo per le casse dello Stato del mancato rispetto dei diritti convenzionali sul piano interno, sono inclusi anche gli importi fissati nei regolamenti amichevoli. Si tratta di una cifra mai raggiunta. Nel 2012, l’ammontare arrivava a "soli" 19 milioni di euro. I dati, allarmanti, sono riportati nella relazione annuale del 2014 sull’esecuzione delle pronunce della Corte europea nei confronti dello Stato italiano relativa all’anno 2013, adottata dalla presidenza del Consiglio dei ministri secondo la legge n. 12 del 2006. Il balzo in avanti relativo agli indennizzi versati e dovuto anche all’esecuzione di alcune pronunce del 2012. In pratica, nella cifra delle 48 pronunce eseguite sono inclusi gli importi relativi a 15 sentenze del 2013, a 28 del 2012 e a 5 regolamenti amichevoli (che non superano i 56mila euro). Nell’esecuzione delle sentenze sono state incluse anche le pronunce di radiazione dal ruolo che però hanno provocato un obbligo di pagamento e che, quindi, sono equiparate alle sentenze di condanna. I ritardi nell’esecuzione hanno coinvolto soprattutto i casi di espropriazione, anche per le difficoltà di dialogo con alcuni enti territoriali. La relazione non indica solo i costi a carico dello Stato, ma fornisce una fotografia delle criticità strutturali presenti sul piano interno, da risolvere non solo per evitare condanne seriali - una patologia del contenzioso italiano - con conseguenti esborsi, ma anche per limitare il flusso di ricorsi a Strasburgo, con l’adozione di normative rispettose della Convenzione come interpretata dalla Corte europea. Al di là dei rimborsi mancati, la situazione nelle carceri italiane continua a essere allarmante. Prendiamo, per esempio, una piccola regione, che raramente fa "notizia", la Basilicata. In media ogni quattro giorni si registra un evento critico: "Dal detenuto che si lesiona il corpo con una lametta a quello che tenta il suicidio, dalle colluttazioni ai ferimenti". Lo denuncia il segretario generale del Sindacato autonomo polizia penitenziaria Donato Capece, che ha visitato gli istituti di pena lucani " che versano"- dice- "in una situazione allarmante". Secondo dati resi noti da Capece, dall’inizio del 2014 al 30 giugno "nelle carceri della Basilicata, dove sono detenute 428 persone, si sono contati 22 atti di autolesionismo: tre a Matera, uno a Melfi e 18 a Potenza. In Basilicata un detenuto su cinque è tossicodipendente (94 uomini e tre donne, pari ad una media del 20 per cento dei presenti). Si passa da una percentuale minima del 12,61 per cento a Melfi al 29,19 per cento di Potenza". Ma è così ovunque, spesso è anche peggio. Emblematico il caso di Maurizio Ferrara, detenuto nel carcere di Secondigliano. Ferrara vive sulla sedia a rotelle e ha bisogno di un urgente intervento chirurgico per una infezione alla vescica diagnosticato otto mesi fa. Incredibilmente Ferrara è ancora in carcere in una stanza dell’infermeria. Sono state presentate due istanze per il differimento della pena. Il magistrato di sorveglianza, però, ha rigettato l’istanza in quanto non sussisterebbe "un serio pericolo per la vita o la probabilità di altre rilevanti conseguenze dannose". Situazione che fa pensare al famoso paradosso del "Comma 22": il detenuto può essere curato in carcere, ma il carcere non è in grado di curarlo. Quello di Ferrara non è un caso isolato: sono stati contati almeno altri 300 casi in Campania. Per questo, i radicali di Napoli e una settantina di familiari di detenuti hanno dato vita così a uno sciopero della fame in staffetta, "per il diritto alla salute nelle carceri". Giustizia: il 17 ottobre nasce la "Coalizione Italiana per le Libertà e i Diritti civili" Ristretti Orizzonti, 9 ottobre 2014 Primo esperimento di contaminazione delle libertà la Cild nasce da un grandissimo numero di organizzazioni della società civile italiana che hanno deciso di dar vita a questa Coalizione, pur nella eterogeneità dei temi trattati e delle proprie storie. Il presidente è Patrizio Gonnella, attuale presidente dell’Associazione Antigone. Le associazioni che aderiscono sono: A buon diritto, Antigone, Arci, Arcigay, Asgi, Associazione 21 Luglio, Associazione Luca Coscioni, Cie Piemonte, Certi Diritti, Cipsi, Cittadinanzattiva, Cittadini del mondo, Cospe, Diritto di sapere, Fondazione Leone Moressa, Forum Droghe, Lasciatecientrare, Lunaria, Movimento Difesa del Cittadino, Naga, Parsec, Progetto Diritti, Società della Ragione, Zabbara. Le grandi questioni di cui ci occuperemo riguardano la lotta al razzismo e ogni forma di discriminazione, i diritti delle persone immigrate e di etnia rom e sinti, il contrasto a un sistema penale e penitenziario privo di garanzie e irrispettoso della dignità umana, la lotta alla corruzione e le battaglie per la trasparenza nella pubblica amministrazione, i diritti delle persone della comunità Lgbt, la questione droghe, i diritti dei minori, la violenza contro le donne. Il 17 ottobre a Roma, a partire dalle ore 10 presso la sala Capranichetta (piazza Montecitorio), si terrà la prima Conferenza Nazionale che rappresenterà il primo momento pubblico della Coalizione. In quell’occasione verranno pubblicizzate alla stampa tutte le raccomandazioni presentate a Ginevra dalla nostra organizzazione al Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite che, a partire dal 27 ottobre, dovrà giudicare il nostro paese. Il 17 ottobre è prevista la partecipazione di: Luigi Manconi (presidente della commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato della Repubblica); Aryeh Neier (già direttore dell’American Civil Liberties Union, di Human Rights Watch e presidente della Open Society Foundations); Ivan Scalfarotto (Sottosegretario di Stato al Ministero delle Riforme costituzionali e Rapporti con il Parlamento); Min. Plen Gian Ludovico de Martino (Presidente Comitato Interministeriale per i Diritti Umani); Silvio di Francia (delegato del Sindaco di Roma per i Diritti Fondamentali); Balazs Dénes (Open Society Foundations); Aldo Morrone (presidente Fondazione Ime); Eligio Resta (Università di Roma Tre, filosofo del diritto); Antonio Marchesi (Presidente di Amnesty International); Judith Sunderland (Human Rights Watch); Mauro Palma Consiglio d’Europa; Uno studente del liceo classico Virgilio di Roma; Stefano Anastasia (Società della Ragione); Guido Barbera (Cipsi); Paolo Beni (Deputato PD); Valentina Brinis (A Buon Diritto); Marco Cappato (Associazione Luca Coscioni); Francesca Chiavacci (Arci); Luca Cusani (Naga); Daniele Farina (Deputato Sel); Costanza Hermanin (Open Society Foundations); Pier Paolo Inserra (Parsec); Laura Liberto (Cittadinanzattiva); Antonio Longo (Movimento Difesa del Cittadino); Giulio Marcon (Deputato Sel); Susanna Marietti (Antigone); Gennaro Migliore (Deputato Led); Leonardo Monaco (Certi Diritti); Grazia Naletto (Lunaria); Enrica Rigo (Law Clinic Università Roma Tre); Guido Romeo (Diritto di Sapere); Arturo Salerni (Progetto Diritti); Gianfranco Schiavone (Asgi); Gianluca Solera (Cospe); Maria Stagnitta (Forum Droghe); Carlo Stasolla (Associazione 21 Luglio); Gabriella Stramaccioni (Gruppo Abele); Gabriella Guido (Vicepresidente della Cild); Andrea Menapace (Cild). Inoltre, il giorno prima della conferenza, una delegazione della Cild, con alcuni degli ospiti internazionali, alcuni parlamentari e il vicesindaco di Roma, si recheranno in visita presso il Cie di Ponte Galeria e il carcere di Regina Coeli. Giustizia: programma della riforma in chiaroscuro, ma la situazione in Italia migliorerà di Ennio Fortuna Il Gazzettino, 9 ottobre 2014 Il progetto del governo sulla giustizia non piace affatto ai magistrati e la cosa non mi meraviglia. Infatti quel che si sa del testo appare punitivo per le toghe e comunque serve a poco. Vediamone i punti essenziali cercando di coglierne gli aspetti positivi. Anzitutto il governo sbandiera come decisiva l’idea di ridurre le ferie, da 45 giorni a 30, equiparando i magistrati agli altri dipendenti. L’associazione delle toghe replica che i primi 15 giorni sono accordati per il deposito delle sentenze o degli altri provvedimenti e qualunque magistrato può raccontare di avere rinunciato in tutto o in parte alle ferie, impegnato come era in affari importanti. È innegabile però che ormai le ferie lunghe, o apparentemente tali, sembrano un privilegio inaccettabile. I magistrati potranno organizzare il loro tempo diversamente, anche riducendo la durata delle ferie. Ne scapiterà probabilmente la collettività, ma l’inconveniente disturba assai poco. Contemporaneamente occorrerà ridurre di 15 giorni la sospensione dei termini feriali, privilegio accordato agli avvocati e non so se i legali ne saranno lieti. Il secondo punto riguarda le intercettazioni anzi la pubblicazione dei relativi testi nei provvedimenti giudiziari, in particolare nelle ordinanze di custodia cautelare. Qui non avrei esitazione alcuna. La pubblicazione va risolutamente vietata, e non solo quella che riguarda le persone estranee alle indagini ma anche quella che si riferisce agli stessi indagati. La Costituzione tutela la riservatezza delle comunicazioni e non distingue tra indagati e persone estranee. Dirò di più. Ho sempre avuto il dubbio che l’attuale prassi che promuove o ammette la divulgazione sia illegittima, perché tutelare effettivamente la riservatezza significa impedire anche la pubblicazione successiva dei testi, ma qui sono contrari, almeno con riferimento agli indagati, non solo i magistrati del Pm e i Gip ma anche e soprattutto i giornalisti. Vedremo come andrà a finire, ma non sarei sorpreso se non se ne facesse nulla. Il terzo punto, e non certo in ordine di importanza, si riferisce alla prescrizione. L’ideale sarebbe la sospensione dei termini dal momento della condanna di primo grado. Il vantaggio maggiore sarebbe certamente la spinta ad omettere l’appello, visto che la maggior parte delle impugnazioni oggi mira esclusivamente o prevalentemente a favorire l’estinzione del processo per decorso del termine di prescrizione. Ovviamente sono contrari gli avvocati e molte forze politiche. Il governo ha dovuto necessariamente cercare una strada di compromesso. Ne è emersa una proposta abbastanza singolare: la prescrizione si blocca con la condanna di primo grado e qui va tutto bene. Ma si mette in moto un ulteriore meccanismo processuale consistente nell’obbligo di definire il secondo grado nel termine di due anni e il giudizio di Cassazione in un altro anno, altrimenti i termini di prescrizione ricominciano a decorrere. Molti hanno sorriso davanti a una novità come questa, per quel che ne so, senza precedenti negli ordinamenti occidentali. Ma la domanda da farsi è ovviamente se la proposta sia migliorativa o meno. A me sembra, per quanto l’idea appaia stravagante, che comunque le cose andrebbero meglio di oggi, e tanto mi basta per approvare il progetto. Certo, occorrerà riorganizzare gli uffici di secondo grado (le Corti d’Appello) e la stessa Cassazione per metterli nelle condizioni di celebrare il giudizio nei termini previsti, ma non vedo ostacoli insormontabili. Probabilmente sarebbe stato molto meglio rivedere i termini di prescrizione dei reati, a giudizio degli esperti oggi eccessivamente brevi, salvaguardando comunque il processo con la sospensione al momento della condanna di primo grado. In ogni caso l’impresa era difficile vista la posizione delle varie forze politiche e degli avvocati penalisti, e quindi occorre fare buon viso a cattiva sorte, prendendo atto che comunque la situazione in linea generale migliorerà, e di questi tempi non è poco. Giustizia: taglio delle ferie e riforma del processo civile, il Csm non ci sta di Dino Martirano Corriere della Sera, 9 ottobre 2014 Il nuovo Consiglio Superiore della Magistratura inaugura la sua stagione con un parere fortemente critico - adombrando profili di incostituzionalità e non funzionalità - sul decreto legge che punta a snellire il processo civile e riduce di un terzo sia le ferie dei magistrati sia la sospensione dei termini feriali cui tanto tengono gli avvocati dei piccoli studi. Il testo, approvato all’unanimità dalla VI Commissione presieduta dal togato Piergiorgio Morosini, approda oggi in un plenum straordinario proprio nelle ore in cui al Senato si inizia a votare in commissione Giustizia sul provvedimento del governo Renzi: "Sulle riforme vogliamo tenere un atteggiamento di merito e costruttivo", ha detto il vice presidente Giovanni Legnini che ieri sera ha convocato un pre-plenum informale per discutere con laici e togati anche le pesanti ricadute del caso Bruti-Robledo: la rognosissima pratica sulla Procura di Milano, infatti, va ben oltre le competenze della VII commissione (organizzazione) e riguarderebbe anche la I (trasferimenti d’ufficio) e addirittura la sezione disciplinare. In questo clima, non proprio di accoglienza amichevole per la riforma del governo, scende in campo anche l’Associazione nazionale magistrati che sabato riunisce il suo "Parlamentino" al Palazzaccio ma presto farà sentire la sua voce con un’"assemblea generale" affollata di toghe: "Scontro non c’è e non ce ne può essere - ha detto il presidente dell’Anm, Rodolfo Sabelli - ma è nostra intenzione mantenere alta l’attenzione sui problemi della giustizia perché gli strumenti proposti finora dal governo non sono adeguati". Il sindacato delle toghe, dunque, rivolge un quesito al governo: "Vere riforme quando? La corruzione ci costa 60 miliardi l’anno mentre la prescrizione fa morire i processi. La resa dello Stato al crimine è un sconfitta per tutti". I magistrati, poi, sono molto attenti a quanto sta accadendo in commissione Finanze della Camera dove oggi si inizia a votare sul testo che punta a facilitare il rientro dei capitali illegalmente detenuti all’estero: un’occasione unica (un condono) per introdurre a regime (cioè dopo il rientro dei capitali che tanto interessa il ministero dell’Economia) il delicatissimo reato di auto-riciclaggio seguito passo passo a Montecitorio dal viceministro Enrico Costa. Il voto del Csm e l’affondo dell’Anni preoccupano molto il governo. Il ministro Andrea Orlando difende il suo lavoro: prima di fare valutazioni "è bene aspettare il plenum. Ci sono delle modifiche che già si stanno facendo in Parlamento e che tengono conto anche dei rilievi emersi. Sono sicuro che il rapporto di collaborazione costruttiva richiamato da Legnini si possa sviluppare". Nel parere affidato al relatore Morosini, tuttavia, il Csm oltre ad affermare che certe misure sono controproducenti contesta anche l’uso della decretazione d’urgenza, che comporta "delicati profili di compatibilità costituzionale". Replica David Ermini, responsabile Giustizia del Pd: "Il decreto è solo un primo passo di un percorso ben più ampio, che avrà il suo punto cruciale nel ddl delega di riforma del processo civile". Giustizia: il Csm non ha cambiato verso, dal nuovo Consiglio una stroncatura per Orlando di Andrea Fabozzi Il Manifesto, 9 ottobre 2014 Giustizia. Dal nuovo Consiglio, che secondo il Colle non deve interferire con il parlamento, una stroncatura per Orlando. Legnini frena: è una proposta. È il primo atto del nuovo Consiglio superiore della magistratura, ancora orfano di un consigliere dal momento che la candidata del ministro della giustizia si è scoperta senza i requisiti (e annuncia ricorso). Non è un documento ufficiale perché deve essere votato oggi dal plenum, ma è già una bocciatura secca che colpisce proprio il ministro Orlando. Il suo decreto di riforma del processo civile è all’esame della commissione in senato, in prima lettura, e dev’essere convertito entro il 10 novembre: il parere del Csm è dunque urgente. La proposta della sesta commissione al plenum è molto dura: il provvedimento del governo non aumenterà l’efficienza della giustizia civile e rischia persino di essere incostituzionale. C’è imbarazzo al Csm, un consiglio che nelle intenzioni del capo dello stato che lo presiede dovrebbe prendere atto della "non rinviabilità della riforma della giustizia" e della necessità di una "leale collaborazione" con il guardasigilli. E invece questo Consiglio cui si guardava per superare il ventennio di scontro tra politica e giustizia esordisce con un’accusa al governo di incostituzionalità. Mentre proprio Napolitano raccomanda da anni che i pareri del Csm "non possano sfociare in un improprio vaglio di costituzionalità e non possano interferire nel confronto parlamentare già in atto sui contenuti del provvedimento". E così il vicepresidente del Consiglio, il da poco ex sottosegretario Legnini, raccomanda ai consiglieri di non diffondere il testo - provvisorio - del parere, e precisa che siamo di fronte a "una semplice proposta che può essere modificata dal plenum" assicurando che "sulle riforme vogliamo avere un atteggiamento costruttivo". Lo stesso invito arriva contemporaneamente dal neo responsabile giustizia del Pd, Ermini: "Auspichiamo un parere costruttivo e collaborativo". Mentre il ministro Orlando diplomaticamente aspetta il plenum e nel frattempo si dice "sicuro che il rapporto di collaborazione costruttiva richiamato da Legnini si possa sviluppare". Ma il documento di 80 pagine redatto dalla sesta commissione del Csm dice tutt’altro. Dice che gli obiettivi del governo di ridurre il contenzioso e i tempi della giustizia sono "apprezzabili", ma il decreto annunciato a giugno e presentato a settembre da Orlando non è "idoneo ad assicurare un reale incremento dell’efficienza del sistema giustizia" né a "determinare un’effettiva riduzione dell’arretrato e un’accelerazione dei processi". Dice anche che "la scelta di intervenire con decreto legge comporta delicati profili di compatibilità costituzionale" visto che introduce una "rilevante riforma ordinamentale" con uno strumento "che il costituente non ha predisposto per tale finalità", bensì com’è noto per provvedimenti straordinari e urgenti. Tra gli aspetti criticati dalla commissione anche la riduzione delle ferie dei magistrati (da 45 a 30 giorni) che rischia di essere "persino controproducente" rispetto all’obiettivo di ridurre i tempi della giustizia, visto che molti magistrati tradizionalmente dedicano parte delle ferie al lavoro arretrato. Il documento sarà presentato oggi al plenum dal presidente della sesta, il giudice di Magistratura democratica Piergiorgio Morosini. È stato approvato all’unanimità in commissione, quindi con il voto favorevole dei due "laici" in quota maggioranza Fanfani (Pd) e Balduzzi (Scelta civica) e di tre togati conservatori, Spina, Palamara (Unicost) e Galoppi (che è di Magistratura indipendente ma non era tra i favoriti di Cosimo Ferri, l’ex leader della corrente che adesso da sottosegretario sta portando avanti proprio il decreto Orlando in commissione). Le critiche del Csm al governo somigliano molto a quelle che giusto ieri l’Associazione nazionale magistrati ha ripetuto facendo evidentemente il verso alle strategie comunicative del presidente del Consiglio. Una galleria di slide sul sito dell’Anm ricorda che i magistrati italiani sono considerati tra i più produttivi in Europa. E spiega perché la riforma della giustizia del governo Renzi, a parere dei magistrati, non migliorerà l’efficacia della giustizia civile né di quella penale. In questo caso il commento di Orlando è un po’ meno conciliante: "Forse l’Anm non è al corrente delle modifiche che sono state approvate in commissione". Giustizia: Tribunale di Sorveglianza respinge richiesta sospensione pena per Provenzano Ansa, 9 ottobre 2014 Il tribunale di sorveglianza di Milano ha respinto la richiesta di sospensione pena, per motivi di salute, sollecitata dal magistrato di sorveglianza d’ufficio per il capomafia Bernardo Provenzano. Il boss, in gravissime condizioni fisiche e mentali, è ricoverato in stato di 41 bis nel reparto detenuti dell’ospedale San Paolo del capoluogo lombardo. I difensori, gli avvocati Rosalba Di Gregorio e Franco Marafà, in subordine rispetto alla sospensione della pena, avevano chiesto ai giudici di valutare l’ipotesi degli arresti ospedalieri, ma il tribunale ha respinto anche questa istanza. Giustizia: trattativa Stato-mafia, un porto delle nebbie di Stefano Folli Il Sole 24 Ore, 9 ottobre 2014 Non tutto è chiaro in questa fase della vita repubblicana. Il problema, s’intende, non sono i tafferugli al Senato a margine del voto di fiducia sulla riforma del lavoro: era ovvio che i Cinque Stelle non si sarebbero fatti sfuggire l’occasione di creare scompiglio, anche se il loro comportamento non fa che confermare l’assenza di una strategia politica. In definitiva le risse in aula fanno parte di certi passaggi-chiave della vita nazionale e si può pensare, pur con qualche dubbio, che la riforma di Renzi lo sia. In ogni caso la fiducia era scontata e ha chiuso il cerchio. La minoranza del Pd non poteva fare altro che adeguarsi, salvo un paio di casi personali. Cerchio doppiamente chiuso per il premier. Eppure le ombre restano sullo sfondo e sono poco rassicuranti. Non riguardano l’attività di governo in senso stretto, bensì la vita del Parlamento e la salute delle istituzioni. Gli indizi non mancano. Da un lato vediamo un presidente della Repubblica che osserva amareggiato - sono sue parole - le due Camere che non riescono o non vogliono eleggere due giudici della Corte costituzionale. In tal modo il Parlamento "si auto-priva della facoltà attribuitagli dalla Costituzione di concorrere alla formazione della più alta istituzione di garanzia". Dall’altro lato si osserva con sbigottimento l’incessante tentativo di delegittimare la presidenza della Repubblica e di squalificare lo Stato sul punto sensibile del rapporto con la mafia. In realtà tutti sono stati colti di sorpresa dalla procura di Palermo che ritiene perfettamente normale chiamare Riina e Bagarella ad assistere alla testimonianza di Napolitano. Ma i commenti dei politici non riescono a trasmettere il senso di indignazione e tanto meno di rivolta contro un’iniziativa il cui effetto oggettivo è la destabilizzazione a tutto vantaggio dei mafiosi imputati. "Incomprensibile" e "inspiegabile" sono gli aggettivi ricorrenti, riferiti al passo dei pubblici ministeri palermitani, e sembrano abbastanza blandi, forse nel timore di pronunciare una parola troppo forte verso il potere giudiziario. Il risultato complessivo è un senso di impotenza. Napolitano non riesce a ottenere che il Parlamento eserciti le sue prerogative costituzionali sulla Consulta. E lo stesso Napolitano deve subire un’umiliazione da parte della procura di Palermo senza che il mondo politico sappia o voglia difenderlo con l’energia che un tempo sarebbe stata doverosa. Tutto diventa nebbioso e la "vulgata" corrente vuole che questo accade perché il capo dello Stato è al termine del suo mandato, avendo egli manifestato l’intenzione di ritirarsi entro pochi mesi. Ma intanto la legge elettorale è ferma da qualche parte, forse anch’essa inghiottita dalla nebbia. E la stessa controversa riforma del Senato rischia di affondare nelle sabbie mobili, dal momento che risente dei ritardi del Parlamento. È un altro grave elemento di incertezza. In altri tempi, se le Camere si dimostravano incapaci di svolgere le loro funzioni, venivano sciolte. E l’impossibilità di eleggere due giudici della Corte sarebbe un ottimo motivo per sciogliere. O almeno per minacciare di farlo. Ma l’Italia aspetta la riforma elettorale che ancora non c’è. Così come aspetta la riforma del Senato, il cui tragitto è lunghissimo. Così il Parlamento si trasforma in una fortezza Bastiani e il Quirinale è sempre più esposto e sempre più inquieto. Giustizia: caso Storace, di "indegno" solo la condanna… per lui volete la fine di Guareschi? di Valter Vecellio Il Garantista, 9 ottobre 2014 Francesco Storace si concede spesso battute sgradevoli come quella rivolta a Rita Levi Montalcini nel 2007. Ora aver definito "indegno" Giorgio Napolitano, perché aveva espresso tutta la sua giusta indignazione di fronte all’aggressione patita da Montalcini, diciamolo pure, è indegno. Ma è più indegno ancora, però, che chi si è espresso così, debba subire un processo e rischiare una pesantissima condanna, fino a cinque anni di carcere. Non esiste proprio. Non dovrebbe esistere. Il leader della Destra Francesco Storace è personaggio svelto di lingua. Spesso e volentieri si concede battute sgradevoli, che legittimamente possono risultare anche volgari. Quando nell’ottobre del 2007 se ne uscì, all’indirizzo di Rita Levi Montalcini, con la storia delle stampelle, ha mostrato una caduta di stile che da sola si qualifica, rivelatrice di valori e di una storia del resto apertamente e orgogliosamente rivendicata. Sgradevolezza, volgarità, caduta di stile son cose comunque opinabili, e certamente non materia di cui debbano occuparsi i tribunali. Però nel nostro Paese esiste ancora il reato di vilipendio, e in particolare il polveroso articolo 278 del codice penale: "Chiunque offende l’onore o il prestigio del presidente della Repubblica, è punito con la reclusione da uno a cinque anni". Ora aver definito "indegno" Giorgio Napolitano, perché aveva espresso tutta la sua giusta indignazione di fronte all’aggressione patita da Levi Montalcini, diciamolo pure, è indegno. Ma è più indegno ancora, però, che chi si è espresso così, debba subire un processo e rischiare una pesantissima condanna, fino a cinque anni di carcere. Non esiste proprio. Non dovrebbe esistere. La storia presenta degli aspetti paradossali. Nel 2009, due anni dopo "l’invettiva", il Senato di cui Storace non fa più parte, dichiara che si tratta di opinioni insindacabili. Storace scrive al presidente Napolitano cospargendosi il capo di cenere e ammette di aver ecceduto. Chiede e ottiene udienza al Quirinale, e lì, in qualche modo, Napolitano e Storace si chiariscono. Il capo dello Stato poi dichiara che non si sarebbe opposto se il Parlamento avesse abrogato l’articolo in questione. Niente da fare, la macchina della giustizia va avanti inesorabile. Ed è curioso che si proceda nei confronti del solo Storace, visto che nei confronti di Napolitano in questi anni si è detto di tutto e di più, da tanti, alla Camera, al Senato, e altrove. Se poi qualcuno ha deciso di trasformare Storace in un martire-eroe, che - come ha del resto annunciato - guareschianamente non presenta appello e bussa alla porta di Regina Coeli, a quel qualcuno altro che Tapiro va consegnato. E comunque, si tratta di una cosa indegna. Infine, per fare i conti della serva: quell’"indegno" pronunciato nel 2007, che rimbalza nelle aule dei tribunali, ruba tempo a magistrati e personale giudiziario che se ne devono occupare, e fra qualche giorno vedranno impegnati una corte di giustizia, quanto costa ed è finora costato al contribuente? Non c’è da scomodare Voltaire e la sua celebre frase sull’aborrire l’opinione di un avversario ma di essere disposto a morire purché ci sia la libertà di poterla esprimere. C’è solo da avere una briciola di buon senso e di senso buono: perché fare di Storace un eroe e un martire? Sembra di essere sul set di un vecchio film, quel La legge è legge di Christian Jacque, con Totò e Fernandel. Quando quest’ultimo si trova sulla linea di confine, e il gendarme francese e il carabiniere italiano questionano e strologano di codici, cavilli e pandette. Solidarietà completa e totale a Storace, e condanna totale per un potere legislativo che ci obbliga a essere solidali con lui, e soprattutto non ha saputo, voluto, potuto abrogare i reati d’opinione. Con rispetto parlando, è una cosa indegna. Lettere: una candela nelle tenebre, Roberta Cossia, magistrato di Sorveglianza di Milano di Carmelo Musumeci Ristretti Orizzonti, 9 ottobre 2014 Da molto tempo credo che non ci siano più i magistrati di sorveglianza di una volta, del periodo subito dopo la riforma carceraria del 1975. Giudici che pieni d’entusiasmo e passione entravano in carcere, visitavano le sezioni, passeggiavano nei cortili dell’ora d’aria insieme ai prigionieri. E non si fermavano solo a questo, entravano nelle celle, si sedevano sulle brande e spesso bevevano il caffè insieme ai detenuti (in carcere lo fanno buono, l’unica cosa che riesce bene in questi brutti posti). Mi ricordo che una volta nel carcere di Massa Carrara ci avevo fatto anche una partita a pallone con un magistrato di Sorveglianza. Lo avevo riempito "amichevolmente" di calci negli stinchi perché non volevo farlo segnare, per timore che i miei compagni pensassero che non lo marcavo stretto per arruffianarmi per andare in permesso. Al giorno d’oggi invece i magistrati di Sorveglianza fatico a capire che cosa siano diventati. Ormai si devono occupare quasi di tutto e in tanti purtroppo non hanno quasi più tempo per venire in carcere a relazionarsi con i prigionieri e a discutere con noi. Per questo sono rimasto meravigliato quando di recente, nella Rassegna Stampa di Ristretti Orizzonti, ho letto un bellissimo articolo del magistrato di Sorveglianza di Milano Roberta Cossia: "(…) Un lavoro che è al confine del diritto, un mestiere che ha come obiettivo e come principio base quello di intercettare i profili della personalità dei condannati e di cercare di trovare, nelle maglie della legge, quel trattamento individualizzato di cui parla l’Ordinamento penitenziario, che dovrebbe portare a restituirli alla società come persone migliori (…) Sono magistrato di Sorveglianza, ormai da 11 anni e tante volte nel mio ufficio al settimo piano del Palazzo di Giustizia di Milano mi sono sentita sola e impotente, quando si cerca un’interpretazione della legge che sia meno penalizzante per i condannati, quando si va a fare un giro per le celle di San Vittore o per il centro Clinico di Opera (…) e ci si sente in grave difetto per non avere fatto niente, per non avere fatto di più. (…) La rivendicazione del diritto-dovere del magistrato di Sorveglianza di interpretare la legge e non solo di applicarla, parole che non si sentono più da anni, perlomeno nel mondo giudiziario". Dottoressa Roberta Cossia, mi auguro che le sue parole le leggano soprattutto i suoi colleghi e colleghe. A volte purtroppo siamo quello che gli altri ci concedono di essere. E a molti detenuti è rimasta solo la rabbia. Nient’altro. Non le nascondo che spesso mi arrabbio con i buoni che stanno al di là dal muro di cinta, con l’Assassino dei Sogni (come chiamo io il carcere) con i miei compagni, con Dio e soprattutto con me stesso per come vanno le cose in carcere. Ci aiuti a cambiarle. La redazione di Ristretti Orizzonti ha lanciato la campagna per "liberalizzare" le telefonate e consentire i colloqui riservati delle persone detenute con i propri famigliari, come già avviene in molti Paesi (se vuole sapere di più di questa iniziativa, visiti il sito www.ristretti.org o www.carmelomusumeci.com) ci farebbe piacere un suo contributo pubblico per sapere se è d’accordo che l’amore sociale e familiare entri in carcere. Grazie per quello che riterrà opportuno dire e fare. Un sorriso fra le sbarre. Lettere: piange il telefono… dall'Associazione "La Fraternità" di Verona www.lafraternita.it, 9 ottobre 2014 Ma quanti telefoni ci saranno, imboscati nelle celle di Verona-Montorio, se solo negli ultimi giorni le perquisizioni ne hanno scoperti otto? Il primo pensiero corre ovviamente al pericolo: col telefono si scambiano messaggi e ordini criminali. Il secondo pensiero suggerisce però anche un’altra riflessione. La persona, ci insegnano e lo verifichiamo continuamente, è relazione; anzi la relazione esiste ancora prima della persona. E i rapporti con la famiglia e gli altri affetti sono per tutti la più importante delle relazioni. Dove non c’è la presenza diretta, se vogliamo ascoltare la voce c’è quella specie di protesi che è diventato il telefonino; per scambiare messaggi quasi con la stessa immediatezza c’è internet. Immaginiamo che improvvisamente tutto questo ci venga tolto: niente presenza, niente telefono, niente internet. Ci troveremmo in una condizione di deprivazione affettiva, in una sofferenza che colpisce sia noi, sia le persone con le quali abbiamo reciproci legami. Come vivremmo ogni settimana col totale di un’ora di colloquio e/o dieci minuti di una telefonata? Allora la domanda è: quanta parte di questa sofferenza è inevitabile, connaturata alla privazione della libertà, cioè alla sanzione penale o alla misura cautelare che il nostro ordinamento prevede, e quanta invece è inutile ferocia, fattore di patologia, ostacolo nel percorso di risocializzazione che lo stesso ordinamento stabilisce come sua finalità? Guardiamo come sono regolati, nelle carceri di altri paesi, l’uso del computer, le telefonate, i colloqui, gli incontri intimi con i familiari. E pensiamo ai nostri proclami sulla centralità, il sostegno, la difesa della famiglia. Qualcosa può essere cambiato. È quanto sostengono la campagna promossa da Ristretti Orizzonti. Questi telefonini introdotti abusivamente, forse dagli stessi familiari, rappresentano certo una deprecabile infrazione, ma ci dicono anche di un bisogno umano insopprimibile, una sollecitazione ad affrontare il problema non dal punto di vista che il detenuto deve stare male e ben gli sta, ma da quella di un intervento penale che educa al rispetto, al riconoscimento dei diritti e della dignità di ogni persona. Lettere: spazio a un’avvocatura "creativa" di Guido Alpa (Presidente del Consiglio nazionale forense) Il Sole 24 Ore, 9 ottobre 2014 Il Congresso forense che si apre oggi a Venezia ha un significato di natura anche morale: il suo titolo - "Oltre il mercato. La nuova Avvocatura per la società del cambiamento" - enuncia un’espressa volontà da parte degli avvocati. Non credere che ogni problema della società si possa risolvere solo in termini economici, finanziari, monetari. Perché la società è composta di un tessuto di rapporti personali, di valori patrimoniali e ideali in cui il diritto ha un ruolo fondamentale da giocare. Il decennio che abbiamo attraversato segna in modo indelebile l’attività istituzionale del Consiglio e ridisegna le funzioni e il ruolo dell’Avvocatura in una società che si è qualificata post-moderna. Di certo, la riforma della professione forense introdotta dalla legge 247/2012 è il perno del cambiamento. Ci auguriamo che l’iter di attuazione si concluda entro l’anno. La riforma in parte cristallizza la figura dell’avvocato che era già cambiata a opera dei regolamenti del Cnf, implicando competenza, aggiornamento, internazionalità, e con l’aggiornamento del codice deontologico. In parte essa proietta l’avvocatura nel futuro attribuendole nuovi ruoli: mi riferisco in particolare alla (circoscritta) riserva dell’attività di consulenza, alla deontologia, che è più precisa e tipizzata, e alla difesa dei diritti e degli interessi con particolare riguardo alla tutela della persona e alle garanzie processuali, alle specializzazioni, alla organizzazione societaria degli studi, all’attenzione per le pari opportunità. La riforma coglie il ruolo dell’avvocato nella comunità, ne promuove l’aggregazione in associazioni e società, e ne sottolinea la "professione intellettuale" piuttosto che non l’imprenditorialità: questa distinzione costituisce un baluardo, una forma di difesa del singolo, della categoria, dei clienti, a evitare conflitti d’interessi e commistioni di ruoli, sottolineandone l’indipendenza e i contenuti etici. È cambiata la concezione del ruolo dell’avvocato nella società, coinvolgendo questa professione in ambiti sempre più estesi, non confinati nelle aule giudiziarie, che postulano una preparazione tecnica da acquisirsi mediante l’aggiornamento costante, la specializzazione, l’approfondimento culturale, l’esperienza, il confronto e la cooperazione con le altre professioni. Le sfide raccolte dall’Avvocatura - trasformate in altrettante iniziative di impegno da parte del Consiglio nazionale - sono state molteplici. Le due riforme -quella forense e quella della giustizia - hanno proceduto quasi di pari passo; l’Avvocatura ha sostenuto con convinzione l’avvio del processo telematico. Il Consiglio nazionale ha fermamente creduto nella funzione "creativa" dell’avvocato: non solo "difensiva" in senso proprio, non solo consultiva, ma per l’appunto creativa, perché con i suoi atti processuali, con le sue difese, l’avvocato costruisce la base sulla quale si forma la giurisprudenza e quindi il diritto vivente. Si è posta particolare enfasi sulla funzione sociale dell’avvocato. In questa fase storica la persona, dipinta con accenti così nobili nella terminologia della Carta europea dei diritti fondamentali (e già prima nella Costituzione), corre il rischio di diventare un simulacro di carta se le formule giuridiche non sono tradotte in esperienza pratica, in soluzioni concrete, in rimedi efficaci. La cooperazione all’attuazione della riforma della giustizia costituisce ora uno degli impegni più rilevanti, e l’Avvocatura è pronta a fare, anche se la riforma della "geografia giudiziaria", per i criteri, i tempi, i modi, con i quali è stata avviata non ci ha trovato consenzienti. In un’epoca di crisi endemica della giustizia, la gran parte dell’attività si è concentrata sulla riforma dell’amministrazione dei conflitti. In ogni sede abbiamo offerto un contributo che speriamo si riveli risolutivo verso un sistema di giustizia complementare (non di giustizia "privata"). Alcune di quelle proposte sono state recepite e sono in corso di attuazione, come la translatio iudicii e la soluzione arbitrale delle controversie pendenti, la negoziazione assistita, la difesa obbligatoria delle parti nel processo di mediazione vincolata. Per tutte queste ragioni il Congresso si celebra sotto il segno di coraggio, fede e ottimismo che l’Avvocatura esprime. Di coraggio, perché la persistenza della crisi spronano comunque a combattere - e l’Avvocatura non si è mai sottratta alla lotta e ai sacrifici -; di fede, perché grazie alla sua formazione culturale e professionale ha comunque fede, nel futuro e soprattutto nel diritto, come insegnava ai giovani Piero Calamandrei alla vigilia del conflitto mondiale; di ottimismo, perché dalle crisi si esce, prima o poi, e si esce più forti. Veneto: ex governatore Galan chiede di patteggiare 2 anni e dieci mesi e multa di 2,6 mln Corriere della Sera, 9 ottobre 2014 La richiesta dei difensori dell’ex governatore e ministro. In giornata potrebbe tornare a casa, la procura ha dato parere favorevole ai domiciliari. I difensori di Giancarlo Galan hanno presentato alla procura di Venezia istanza di patteggiamento di due anni e dieci mesi con 2,6 milioni di euro di multa. Secondo le prime indiscrezioni l’istanza sarebbe stata presentata come scelta difensiva per uscire dal carcere di Opera e ritornare a casa dalla moglie e dalla figlia. La procura ha dato parere favorevole ai domiciliari. "La sanzione complessiva risponde infatti - secondo il Procuratore Luigi Delpino e il procuratore aggiunto Carlo Nordio - al fondamentale criterio di rieducazione contenuto nell’art. 27 della Costituzione, e ai criteri di ragionevolezza ed economia processuale che hanno ispirato il legislatore a introdurre l’istituto del patteggiamento". "In data odierna i difensori di Giancarlo Galan hanno presentato a questo ufficio richiesta di applicazione della pena nella misura finale di anni 2 mesi 10 reclusione - scrivono i due magistrati - con la previsione della confisca per equivalente della somma di 2 milioni e 600 mila euro". "Hanno infine chiesto - proseguono - la sostituzione della custodia cautelare in carcere con la misura degli arresti domiciliari. Questa procura ha inoltrato l’istanza all’ufficio del Gip esprimendo parere favorevole in ragione della congruità della pena, della carcerazione preventiva già sofferta e del suo proseguimento domiciliare". Marche: Sappe; in carceri 1 colluttazione ogni tre giorni e 1 suicidio sventato ogni dodici Asca, 9 ottobre 2014 Quasi ogni giorno nelle carceri marchigiane un detenuto si lesiona il corpo ingerendo chiodi, pile, lamette, o procurandosi tagli sul corpo. Ogni tre giorni avviene una colluttazione e ogni due settimane un ristretto delle Marche tenta il suicidio, salvato in tempo dal tempestivo intervento delle donne e degli uomini della Polizia Penitenziaria. È quel che emerge dai dati diffusi dal Sappe, Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, sugli eventi critici accaduti nelle carceri marchigiane nei primi sei mesi dell’anno. Una delegazione del primo e più rappresentativo Sindacato dei Baschi Azzurri (composta dal Delegato nazionale Mirco Manna e dal Segretario Regionale Sappe delle Marche Nicandro Silvestri) è in questi giorni in visita nei penitenziari regionali di Ascoli, Pesaro e Ancona. Spiega Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, trattenuto a Roma da incontri con il Presidente del Consiglio Matteo Renzi e con il Ministro della Giustizia Andrea Orlando: "Altro che emergenza superata, come ci affretta a liquidare la questione sovraffollamento. Dal 1 gennaio al 30 giugno 2014 nelle carceri delle Marche si sono contati il suicidio di un detenuto ad Ancona, 149 atti di autolesionismo, 15 tentati suicidi, 53 colluttazioni e 4 ferimenti. Ancona, Pesaro e Ascoli sono le tre prigioni con il numero più alto di atti di autolesionismo (77, 37, 29) mentre è ad Ascoli Piceno che ci sono stati più tentati suicidi sventati dai poliziotti, 5. 3 tentativi di suicidio si sono registrati anche a Pesaro e Ancona: 1 episodio a Camerino, Fermo, Fossombrone e Ancona Barcaglione. 20 le colluttazioni ad Ancona, 18 a Pesaro, 11 a Fermo e 4 ad Ascoli: 4 i ferimenti a Pesaro. La situazione nelle carceri resta dunque sempre allarmante e, in un anno, nelle Marche il numero dei detenuti è calato di oltre 130 unità: dai 1.051 del 30 settembre 2013 si è infatti passati agli attuali 919". "Per fortuna delle Istituzioni, gli uomini della Polizia Penitenziaria svolgono quotidianamente il servizio nelle carceri delle Marche e dell’intero Paese con professionalità, zelo, abnegazione e soprattutto umanità, pur in un contesto assai complicato per il ripetersi di eventi critici", aggiunge il leader del Sappe. Che sul calo delle presenze di carcere precisa: "Se il numero dei detenuti è calato, questo è la conseguenza del varo - da parte del Parlamento - di 4 leggi svuota carcere in poco tempo. Ma l’Amministrazione Penitenziaria non ha migliorato le condizioni di vivibilità nelle celle, perché ad esempio il numero dei detenuti che lavorano è irrisorio rispetto ai presenti. Nelle Marche lavora solamente un detenuto su 4, pressochè esclusivamente in servizi d’istituto e pulizia e poche ore alla settimana. Perché invece non impiegali per il recupero ambientale per la pulizia di boschi, sentieri, giardini pubblici, alvei dei fiumi, spiagge? Altra criticità i detenuti tossicodipendenti, che sono nelle Marche anch’essi uno su quattro". "Occorre rivedere il sistema dell’esecuzione penale, altro che vigilanza dinamica nelle galere che fa stare i detenuti fuori dalle celle tutto il giorno a non far nulla", conclude Capece. "Serve una nuova guida all’Amministrazione Penitenziaria, da mesi senza un Capo Dipartimento, capace di introdurre vere riforme all’interno del sistema a cominciare dal rendere obbligatorio il lavoro in carcere. Ma devono assumersi provvedimenti concreti: non si può lasciare solamente al sacrificio e alla professionalità delle donne e degli uomini della Polizia Penitenziaria la gestione quotidiana delle costanti criticità delle carceri marchigiane e del Paese tutto". Oristano: Socialismo Diritti Riforme; Massama ad Alta Sicurezza… era già tutto previsto Ristretti Orizzonti, 9 ottobre 2014 "La decisione operativa assunta dal Ministero della Giustizia di trasferire i detenuti comuni dal carcere di Massama-Oristano conferma la destinazione a Casa di Reclusione dell’Istituto prevista dalla circolare del 29 gennaio 2013. La stessa, emanata dall’ex Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria Giovanni Tamburino, con la quale è stata sancita la chiusura di Macomer (Nuoro) e Iglesias (Sulcis-Iglesiente)". Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione "Socialismo Diritti Riforme", evidenziando che "il Ministero persegue una logica che non tiene in alcun conto le problematiche territoriali e familiari nonché la gestione delle strutture". "Il progetto di riordino del circuito della Sardegna, elaborato a suo tempo dopo aver sentito le proposte del Provveditore regionale, è slittato finora - sottolinea Caligaris - a causa dei ritardi nella realizzazione del Villaggio Penitenziario di Uta, la cui conclusione era stata prevista a giugno 2013. La circolare infatti precisa anche i tempi per la sua attuazione condizionandola all’attivazione dei nuovi Istituti di Sassari e Cagliari. Questi ultimi infatti accoglieranno i cittadini privati della libertà in regime di media sicurezza (detenuti comuni) e quelli in regime di massima sicurezza (41bis)". Sassari anche i sex offender e i protetti. Tempio-Nuchis ospita già gli AS. "Si può ritenere quindi che sia in fase di completamento il ‘vecchio’ disegno ministeriale. Il trasferimento dei ristretti da Massama conferma indirettamente che è avviata a conclusione la storia infinita di Uta e che il trasloco di uffici, personale, detenuti possa davvero avvenire tra il 27 ottobre e il 15 novembre. L’auspicio è che la nuova interrogazione dell’on. Caterina Pes possa indurre il Ministro Orlando a una riflessione. Appare però sempre più evidente la necessità - conclude la presidente di SDR - che su questioni riguardanti l’intera comunità isolana i rappresentanti sardi in Parlamento debbano operare congiuntamente facendo fronte comune. Altrimenti risulta troppo alto il rischio di perdere le cause". Paola (Cs): il governo risponde in parlamento ad una interrogazione sul carcere di Emilio Enzo Quintieri (Radicali Italiani) www.radicali.it, 9 ottobre 2014 Domani pomeriggio, al termine dei lavori, in Commissione Giustizia alla Camera dei Deputati, presieduta dall’Onorevole Donatella Ferranti (Pd), è prevista la risposta del Governo Renzi all’Interrogazione Parlamentare n. 5/01535 rivolta ai Ministri della Giustizia e della Salute, presentata lo scorso 21 novembre 2013 dall’On. Vittorio Ferraresi, Capogruppo del Movimento Cinque Stelle in Commissione Giustizia a Montecitorio e sottoscritta dagli altri Deputati pentastellati Dalila Nesci, Federica Dieni, Sebastiano Barbanti, Paolo Parentela, Donatella Agostinelli, Alfonso Bonafede, Salvatore Micillo, Tancredi Turco, Giulia Sarti, Andrea Colletti e Francesca Businarolo. Lo ha reso noto l’esponente radicale calabrese Emilio Quintieri che, a suo tempo, aveva sollecitato la presentazione dell’atto ispettivo parlamentare (poi presentato anche al Senato della Repubblica dal Senatore Luigi Manconi (Pd), Presidente della Commissione Straordinaria per la Tutela dei Diritti Umani e già Sottosegretario di Stato alla Giustizia). L’interrogazione, all’epoca, venne indirizzata al Ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri ed al Ministro della Salute Beatrice Lorenzin e riguardava il sovraffollamento, le condizioni dei detenuti e la situazione degli Istituti Penitenziari della Calabria in generale, con particolare riferimento, alle Case Circondariali di Catanzaro e di Paola. Infatti, nei 13 Istituti presenti in Calabria, a fronte di una capienza regolamentare di 2.481 posti, vi erano rinchiusi 2.684 detenuti dei quali 345 erano stranieri. Tra di essi, 1.330 erano imputati (739 in attesa di primo giudizio, 296 appellanti, 208 ricorrenti e 87 con posizione mista) mentre i condannati definitivi erano 1.353. I detenuti scarcerati grazie alla Legge "Svuota Carceri" risultavano essere solo 344, dei quali 13 donne e 40 stranieri. Nella Casa Circondariale tirrenica, che ospita anche una Sezione Reclusione, in particolare, a fronte di una capienza regolamentare di 161 posti, vi erano ristrette circa 300 persone (48 gli stranieri), tutte appartenenti al circuito della Media Sicurezza. Con l’atto di Sindacato Ispettivo i Parlamentari rappresentavano al Governo, oltre alla preoccupante e grave situazione del sovraffollamento che colpiva quasi tutti gli Istituti Penitenziari calabresi, anche tutta una serie di criticità rilevate anche nel Carcere paolano, tra l’altro, già denunciate più volte, proprio dalla popolazione detenuta rappresentata dal radicale Quintieri, durante il lungo periodo, in cui lo stesso, vi è stato detenuto in custodia cautelare per l’Operazione Antidroga "Scacco Matto". Veniva evidenziata la completa assenza di qualsivoglia attività trattamentale sia per gli imputati che per i condannati poiché la biblioteca con annessa sala lettura, il teatro, la palestra, le salette interne ai reparti per la socialità, erano chiuse e non funzionanti. Da poco tempo, dopo anni, era stato finalmente aperto il Campo Sportivo utilizzabile una volta alla settimana da ciascun Reparto detentivo. Inoltre, veniva sollevato il problema, della inadeguatezza degli spazi destinati alla ricreazione all’aperto in quanto angusti e privi d’aria perché interclusi tra più fabbricati, l’impossibilità per i detenuti di poter esercitare attività lavorative atteso che l’unica forma di lavoro possibile era quella alle dipendenze dell’Amministrazione Penitenziaria, la illegale attività di controllo notturno nelle celle dei detenuti operata dal personale di Polizia Penitenziaria e già censurata, su reclamo di Quintieri, dal Magistrato di Sorveglianza di Cosenza Paola Lucente, la fatiscenza e la indecorosità delle sale destinate ai colloqui con i familiari dei detenuti per la presenza del muro divisorio in cemento armato proibito dalla Legge Penitenziaria, e delle sale adibite ai colloqui con i difensori per le pessime condizioni di manutenzione, la mancanza di celle per i detenuti non fumatori, la mancata separazione degli imputati dai condannati, l’impossibilità per i detenuti di usufruire della lavanderia per poter lavare i propri indumenti personali, la inadeguatezza delle postazioni telefoniche in ogni piano detentivo che impedisce di poter svolgere le telefonate, ai familiari od ai difensori, in modo riservato, la mancata approvazione - da parte del Ministro della Giustizia - del Regolamento interno, la condizione particolarmente disagiata dei detenuti stranieri per l’assenza di mediatori culturali, per la non concessione di sussidi agli indigenti, per l’impossibilità di intrattenere corrispondenza telefonica con i familiari sulle utenze mobili per coloro i quali non hanno utenze fisse, nonostante le disposizioni favorevoli del Ministero della Giustizia, per la mancata espulsione nei paesi d’origine - da parte del Magistrato di Sorveglianza competente - di coloro i quali avevano da espiare una pena residua non superiore a due anni. Riguardo alla Magistratura di Sorveglianza era stata evidenziata una criticità nella effettiva funzione svolta, così come segnalato dai detenuti, che parrebbe non riuscire nell’applicazione piena e puntuale dei compiti che la Legge Penitenziaria gli affida. I deputati grillini, concludevano l’Interrogazione, precisando che nonostante le direttive del Ministero della Giustizia a seguito della nota Sentenza Torreggiani della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo, nel Carcere di Paola, non era stata data eseguita la "sorveglianza dinamica" che permetteva ai detenuti di trascorrere diverse ore della giornata fuori dalle rispettive celle. Pertanto, l’Onorevole Ferraresi ed i suoi colleghi Deputati, chiedevano precise delucidazioni al Governo in ordine a tutto quanto lamentato nell’atto di Sindacato Ispettivo e, in particolare, di conoscere di quali informazioni disponesse in riferimento ai fatti rappresentati, quali erano i dati aggiornati del sovraffollamento degli Istituti Penitenziari della Calabria, facendo riferimento alla capienza regolamentare di ciascun Istituto ed alle singole posizioni giuridiche dei detenuti, quanti erano i tossicodipendenti presenti e quanti quelli affetti da gravi disturbi mentali o altre gravi patologie di fatto incompatibili con lo stato di detenzione, quanti erano i detenuti che avevano usufruito della "Legge Svuota Carceri" e quante erano le istanze in tal senso giacenti presso gli Uffici di Sorveglianza competenti ancora inevase ed a cosa era dovuto l’eventuale ritardo nel disbrigo degli atti, quanti erano i detenuti stranieri che avevano avanzato istanza di espulsione dal territorio dello Stato e quanti di questi siano stati effettivamente espulsi ed a quanti di loro invece sia stato negato e per quali motivi, quale era la cifra destinata, anno per anno, negli ultimi cinque anni, alla manutenzione ordinaria e straordinaria delle strutture penitenziarie calabresi, per quale motivo la biblioteca con annessa sala lettura, il teatro, la palestra, le salette interne ai reparti per la socialità a Paola erano chiusi e non funzionanti e se il Governo non riteneva di dover intervenire per il completo rifacimento delle sale destinate ai colloqui e per assicurare la mediazione culturale per i detenuti stranieri. Inoltre, veniva chiesto ai Ministri di conoscere, se venissero effettuate le ispezioni da parte delle Aziende Sanitarie negli Istituti ed in caso affermativo a quando risalgano le visite e cosa sia emerso nelle loro relazioni in merito alle condizioni igienico-sanitarie e di sicurezza, con quale frequenza i Magistrati di Sorveglianza visitavano i locali ove erano ristretti i detenuti e quale era l’organico ed il carico di lavoro degli Uffici di Sorveglianza e quali erano le ragioni di quella che agli interroganti risultava essere una inadeguata e carente attività, se erano giunte al Governo delle segnalazioni in merito alle condizioni in cui versavano gli Istituti di Pena calabresi non rispettosi della legge e della cronica carenza del personale di Polizia Penitenziaria, quanti erano i detenuti che avevano presentato ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo, se i Ministri ritenevano o meno che nelle Carceri calabresi ed in particolare in quella di Paola, vi erano state violazioni nei confronti dei diritti dei detenuti e se per tale motivo non ritenevano doveroso ed opportuno disporre con urgenza mirate visite ispettive al fin di avere un quadro più chiaro possibile della situazione esistente ed intervenire in maniera appropriata in considerazione di quanto segnalato con l’atto ispettivo parlamentare. La Casa Circondariale di Paola, dichiara l’esponente radicale Emilio Quintieri, è una delle peggiori prigioni della Calabria anche per il modo in cui viene gestita da coloro che la gestiscono. Solo nel 2013, vi sono stati 3 tentati suicidi e 19 atti autolesionistici. Il tasso di sovraffollamento era del 70% ed i detenuti erano tenuti rinchiusi, in celle da 8,90 metri quadrati, con uno spazio calpestabile pro capite di 2,88 metri quadrati, per 20 ore al giorno su 24, potendo uscire dalla cella solo per un totale di 4 ore giornaliere. Ad aggravare il tutto, la carenza di personale di Polizia Penitenziaria, soprattutto quello femminile, la esiguità di Funzionari Giuridico Pedagogici, di Psicologi ed Assistenti Sociali che si ripercuote, negativamente, tanto sul personale quanto sui detenuti. Sappiamo che il Governo ha fatto una laboriosa istruttoria in merito - continua Quintieri - e aspettiamo di conoscere quali siano le risposte. Successivamente, andremo a renderci conto personalmente, se e come le cose siano cambiate e se quanto riferirà il Governo alla Camera dei Deputati corrisponda al vero. Milano: con "L’Hub" i detenuti-tutor insegnano a cucire, stampare e creare moda Adnkronos, 9 ottobre 2014 Imparare a cucire, stampare oltre a creare i propri capi d’abbigliamento e accessori con l’aiuto dei detenuti milanesi. È questo l’obiettivo de L’Hub, il primo laboratorio aperto a tutte le persone che desiderino vivere un’esperienza tessile presso Air, Acceleratore d’Impresa Ristretta a Milano. Uno spazio di 200 mq e 5 vetrine su strada, nato da un’idea del Comune di Milano, che coinvolge il Provveditorato alle Carceri e 15 realtà imprenditoriali oggi diventate 23, che vuole commercializzare e far conoscere alla cittadinanza quanto di meglio viene realizzato e prodotto dai detenuti di Bollate, Opera, San Vittore e Beccaria. Si tratta di "un nuovo spazio-laboratorio che amplia la gamma di progetti portati avanti Air, Acceleratore d’Impresa Ristretta, la vetrina per le imprese che in questi anni hanno prodotto attività imprenditoriali di eccellenza all’interno delle case circondariali di Milano", afferma Cristina Tajani, assessore alle Politiche del Lavoro e allo Sviluppo economico del Comune di Milano. "Come Amministrazione - conclude l’assessore - siamo impegnati a costruire reti tra soggetti economici, anche quelli collocati ai margini, poiché questi sono in grado di contribuire allo sviluppo della città, realizzando produzioni di qualità e occasioni di inserimento lavorativo per gli addetti reclusi". Il laboratorio L’Hub, ideato da Barbara Zucchi, offre l’opportunità di realizzare manufatti di design in modo semplice e divertente attraverso corsi di cucito a mano e a macchina, stampa a mano su tessuti, tie&dye, tintura con i colori naturali, feste-laboratorio per grandi e piccoli, aperitivi tessili nel segno della creatività e dell’artigianalità. Dal 2001, inoltre, il progetto è impegnato nella formazione in ambito tessile di persone recluse nel carcere di Opera e nella loro preparazione al mercato del lavoro. I detenuti formati hanno l’opportunità di realizzare cravatte e shopper, in vari tessuti, commissionate da imprese della moda italiana. Nello store di Viale dei Mille, L’Hub metterà in vendita capi ed oggetti , pezzi unici, realizzati nelle case circondariali. Obiettivo prioritario della collaborazione tra L’Hub e l’Acceleratore Imprese Ristrette è formare detenuti che possano usufruire della semilibertà o dell’articolo 21 affinché diventino essi stessi tutor dei corsi realizzando così un concreto percorso di inclusione e recupero. Lo spazio di Viale dei Mille consente attualmente a 23 diverse realtà imprenditoriali, a rotazione, di esporre e vendere i propri prodotti e servizi. Dalla manutenzione del verde e coltivazioni floro-vivaistiche ai lavori di falegnameria, sartoriali e pelletteria; dai servizi di call center e data entry a quelli di ristorazione, banqueting e catering, passando dalla realizzazione di impianti e quadri elettrici fino alla creazione di mobili ecosostenibili, scenografie e produzioni video e la creazione di capi d’abbigliamento e accessori. La finalità dell’Acceleratore d’Impresa Ristretta consiste nell’agevolare i contatti tra imprese carcerarie, imprese esterne e cittadini, nell’ottica di considerare le carceri quali "siti produttivi" e veri e propri incubatori d’impresa. Milano: Dambruoso (Sc); nel carcere di Bollate iniziative a favore mantenimento legalità Ansa, 9 ottobre 2014 "Voglio ribadire il mio impegno a favore della legalità e contro la criminalità, in particolare quella mafiosa". Lo ha detto il questore della Camera, Stefano Dambruoso (Sc), a margine del convegno che si è svolto questa mattina a Palazzo Marini "Istituzioni e legalità: un binomio per una cultura di riscatto in chiave europea". Il dibattito si è tenuto in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico del Centro Studi Culturale del ‘Parlamento della Legalità’, una associazione presente in varie regioni d’Italia, di cui Dambruoso è coordinatore in Lombardia. "Abbiamo messo in piedi un network di persone volenterose - ha aggiunto Dambruoso - che riescono a trovare risorse ed energie per impegnarsi in favore della legalità nei momenti più disparati della giornata, perché conviene impegnarsi nella legalità in quanto, lavorando sul recupero dei detenuti, contribuiremo ad evitare che gli stessi tornino a delinquere con problemi di sicurezza per i cittadini e un risparmio di spesa perché avremo meno detenuti da mantenere. In particolare - ha proseguito Dambruoso - mi impegno in prima persona nelle scuole e nelle carceri. Proprio lunedì scorso sono stato nel supercarcere di Bollate dove si fanno una serie di attività per impegnare i detenuti, come il recupero delle siepi o coltivare orti e poi vendere i prodotti. È bene però che i detenuti vengano coinvolti in attività che impegnino anche la loro testa e non solo il fisico. Per questo ho promosso un corso di arte-terapia che è la tecnica di recupero delle carenze emotive che generalmente si usa per i bambini, ma che in questo caso ho ritenuto opportuno organizzare in carcere per permettere ai detenuti di esprimere le loro personalità. In una sola settimana si è formato un gruppo di 18 persone, e i detenuti hanno prodotto delle opere d’arte meravigliose e scritto libri e pamphlet che, altrimenti, non avrebbero avuto occasione di produrre. Tutto questo in soli 6 mesi grazie alle persone che sono state coinvolte dal Parlamento della Legalità. Nel caso di Bollate dunque abbiamo portato il nostro piccolo contributo al mantenimento della legalità stessa", ha concluso il deputato. Gela (Cl): nessun furto, i collegamenti telefonici del carcere sono interrotti per un guasto Ansa, 9 ottobre 2014 "Nessun furto di cavi di rame. I collegamenti telefonici via filo del carcere di Gela sono interrotti per un guasto alla linea Telecom causato, sabato scorso, dal maltempo, che i tecnici stanno tentando di riparare": lo dicono i funzionari del commissariato di polizia di Gela, smentendo la notizia diffusa dal sindacato di polizia penitenziaria Osapp. Anche i carabinieri smentiscono il furto. "Il carcere di Gela - dice il commissario, Francesco Marino - dispone di un efficientissimo ponte radio e di un consistente numero di telefonini che permettono al personale in servizio regolari collegamenti con l’esterno e in particolare con le altre strutture del sistema penitenziario". Palermo: 18 marinai indiani finiscono in carcere per droga, nuova lite Italia-New Delhi di Salvo Palazzolo La Repubblica, 9 ottobre 2014 Loro si difendono: "Non sapevamo nulla di quel tesoro nella stiva, chiedete ai comandanti delle navi, che sono siriani". L’ambasciata indiana ha chiesto ufficialmente spiegazioni al nostro ministero degli Esteri, e lunedì un alto dirigente della delegazione di New Delhi in Italia è arrivato al palazzo di giustizia di Palermo per incontrare i magistrati che indagano sulle navi della droga, il procuratore aggiunto Teresa Principato e il sostituto Maurizio Agnello. L’ambasciata chiede la liberazione dei marinai. Ma contro di loro ci sono accuse pesanti: traffico di droga e detenzione ai fini di spaccio, con l’aggravante della grande quantità. E la vicenda è già diventata un caso. Dice il procuratore aggiunto Principato: "Al funzionario dell’ambasciata abbiamo ribadito che per noi questo è un processo come tutti gli altri, che proseguirà nel rispetto dei tempi e delle procedure previste dalla nostra legislazione, senza che ci possa essere nemmeno l’ombra di ritorsioni nei confronti delle procedure indiane, così come si sono rivelate nel caso dei due maro’ italiani, che dopo tanto tempo attendono ancora di avere un capo di imputazione preciso". La scarcerazione dei 18 indiani appare lontana, perché al momento le indagini della procura e della finanza sono in pieno svolgimento. I pm hanno chiesto anche un’analisi dello stupefacente, per verificare se provenga da un unico carico. Intanto, però, i magistrati hanno assicurato all’ambasciata indiana "il rispetto di tutti i diritti di difesa": i 18 detenuti hanno ottenuto la traduzione degli atti d’indagine in inglese, e hanno potuto incontrare in carcere i funzionari dell’ambasciata. Nei giorni scorsi, l’avvocato dei marinai, Tiziana Pugliese, è anche riuscita ad ottenere un primo punto a loro favore: il tribunale del riesame di Palermo ha annullato l’accusa di traffico di droga per gli indiani. Ma il gruppo resta in carcere. Resta il giallo dei due mercantili, l’Aberdin e il Just Noran, su cui sono stati arrestati anche 8 siriani. Perugia: presentati progetti formativi per 224 detenuti, dall’agricoltore al cuoco… www.umbria24.it, 9 ottobre 2014 Presentati corsi e stage che coinvolgeranno i reclusi delle carceri di Perugia a Spoleto per favorire il reinserimento. Il lavoro come strumento di reinserimento e inclusione sociale. Con questo obiettivo sono stati programmati per l’anno 2014 una serie di progetti destinati a 224 detenuti nel territorio provinciale di Perugia. I tirocini, le lezioni e le esperienze lavorative coinvolgeranno i reclusi delle strutture di Capanne e Spoleto e quelli in carico agli Uffici di servizio sociale per minorenni di Perugia o agli Uffici di esecuzione penale esterna. I progetti sono stati presentati mercoledì 8 ottobre nella sala Pagliacci della Provincia di Perugia. "Intra" Il primo dei progetti presentati coinvolgerà 100 detenuti di Capanne, che potranno formarsi come addetti alla cucina, operatori dell’abbigliamento, addetti alla gestione di piccole aziende agricole e alla piccola manutenzione. Ad attuare l’iniziativa la cooperativa Ati Frontiera Lavoro, l’Acli istruzione Professionale, il Centro per lo sviluppo agricolo e rurale e l’Università per stranieri di Perugia. Per i minorenni "Ripartire dalla terra" è destinato a 12 persone in carico all’Ufficio servizi sociali per minorenni di Perugia, che seguiranno lezioni per addetto alle coltivazioni, alla cucina e alle vendite. Ad attivare il progetto l’Ats Scuola di formazione professionale e l’Cidis onlus. "Storie" e "Sfide" Oggettistica promozionale, tessile artistico, legno, cuoio e pelle, manutenzione edile e del verde: queste le attività previste dal progetto "Storie" che coinvolgerà 100 reclusi nella struttura di Spoleto. A curare l’iniziativa la Confederazione artigianato della piccola e media impresa umbra. Saranno veri e propri tirocini formativi quelli che coinvolgeranno i reclusi a carico degli Uffici di esecuzione penale esterna di Spoleto e Perugia. "Sfide", curato dalla cooperativa Frontiera Lavoro, prevede l’attivazione di 12 stage della durata di 5 mesi: 6 per addetti alla cucina, 3 per addetti alle vendite 3 per addetti qualificati alle piccole manutenzioni. La presentazione A illustrare i 4 progetti Michele Fiscella, dirigente del Servizio Politiche Attive del Lavoro. Sono intervenuti Aviano Rossi, vice presidente con delega alle Politiche del Lavoro della Provincia di Perugia, Laura Borsani dell’ufficio esecuzione penale esterna del Provveditorato, Settimio Monetini dirigente del Provveditorato regionale dell’Amministrazione Penitenziaria di Perugia, Serenella Tasselli responsabile della sezione "Inclusione sociale contrasto alle povertà e anziani" della regione Umbria, Patrizia Arbato dirigente Centro giustizia minorile per la Toscana e l’Umbria, Adriano Bei direttore dell’Area Lavoro Formazione Scuola e Politiche Comunitarie e Culturali. Moderava l’incontro Fabrizio Ponti, responsabile dell’ufficio programmazione Interventi Formativi e Politiche Attive del Lavoro. Brescia: ex detenuto ringrazia direttore e poliziotti penitenziari con una lettera di Beatrice Raspa Il Giorno, 9 ottobre 2014 Un uomo trascorre un lungo periodo di detenzione a Canton Mombello. Poi, una volta tornato in libertà, anziché maledire il soggiorno obbligato in carcere, prende carta e penna e scrive una lettera di ringraziamento. Destinatario: il direttore, Francesca Gioieni. In una facciata scritta al computer e datata 26 settembre, l’ex detenuto condensa la propria gratitudine per l’amministratrice della casa circondariale e per agli agenti di Polizia Penitenziaria, persone che giorno dopo giorno gli sono state vicino e lo hanno aiutato a inserirsi in quello che agli occhi di un esterno appare come un girone infernale. Mesi che potevano essere il peggior incubo per chi non è un habitué delle celle gli hanno lasciato in eredità "un prezioso bagaglio di esperienza". Un capitolo di vita indimenticabile da cui trarre una lezione importante: anzitutto "il forte rispetto tra persone - scrive l’ex recluso - Sì, proprio tra quelle persone che nella vita normale non rispettano le regole". Un bel riconoscimento per chi in carcere lavora e ha come obiettivo quotidiano il miglioramento costante dell’organizzazione e delle condizioni di vita dei suoi ospiti. "Con quel detenuto avevamo fatto alcune chiacchierate - spiega Gioieni. Ragionavamo sulla sua comprensione delle logiche che governano Canton Mombello, un cosmo da capire, scandito da ritmi, da regole e da meccanismi che garantiscono i diritti di tutti e al tempo stesso il funzionamento del sistema. Chi entra, anche se ovviamente si tratta di un’esperienza connotata da sofferenza, trova un mondo particolare, fatto anche di aiuto e condivisione. Ma costruire questo equilibrio per noi è un lavoraccio" Lanciano (Ch): Libertas Stanazzo, i detenuti nel campionato di serie D del calcio a 5 www.sportag.it, 9 ottobre 2014 Presentato il progetto Mettiamoci in Gioco: allo stesso campionato parteciperà anche la squadra Fiamme Azzurre Lanciano, composta da agenti di Polizia penitenziaria. Si chiama "Mettiamoci in gioco", è il progetto ideato dalla Lega Nazionale Dilettanti - Comitato Regionale Abruzzo, e dalla Divisione Calcio a cinque in collaborazione con il Ministero della Giustizia, e consentirà alla Libertas Stanazzo, squadra composta da detenuti della Casa Circondariale di Lanciano (Chieti), di partecipare al campionato di Serie D di calcio a 5 organizzato dalla Delegazione Territoriale di Vasto. Dopo l’esperienza del Free Opera Brera, squadra di calcio formata da detenuti del carcere milanese di Opera e iscritta al campionato di Terza categoria, anche il futsal entra nelle carceri. E non solo con la Libertas Stanazzo: nello stesso girone, infatti, giocheranno anche le Fiamme Azzurre Lanciano, squadra formata dagli agenti di Polizia Penitenziaria del carcere di Lanciano, che dunque saranno protagonisti del derby contro i detenuti. "Dopo le esperienze della Final Eight di Coppa Italia, del Futsal Camp e del torneo delle Regioni Allievi e Giovanissimi, questo dal punto di vista umano è indubbiamente il progetto più importante messo in atto qui in Abruzzo, ma anche nel resto d’Italia - ha detto il vicepresidente vicario della Divisione Calcio a cinque, Alfredo Zaccardi. Oltre a quella di mettersi in gioco, come spiega anche il nome del progetto, dà alla squadra dei detenuti la possibilità di rimettersi in gioco. Perché il passato è passato, il futuro deve ancora venire, e il futsal è un modo per riabilitarsi attraverso i valori dello sport e il rispetto del compagno, dell’avversario e soprattutto delle regole. Il futsal italiano è campione d’Europa, ma vuole mostrare i suoi valori e i suoi segni distintivi anche attraverso la promozione di iniziative come questa. Mi preme ringraziare le altre sette società che compongono il girone, per aver accettato di rinunciare a giocare una partita in più in casa per venire incontro alle ovvie esigenze della squadra di detenuti. Ma sono convinto che, anche per i giocatori, sarà un’esperienza umana che arricchirà le loro vite. Spero, ma sono anche fermamente convinto di questo, che il derby tra detenuti e agenti della Polizia penitenziaria si svolga in un clima di totale fair play". Livorno: il "Carro di Tespi", un successo lo spettacolo nel carcere di Porto Azzurro Il Tirreno, 9 ottobre 2014 Le novelle di Verga e il verismo sono i temi ispiratori dello spettacolo di lunedì scorso ha messo in scena il "Carro di Tespi", il laboratorio teatrale che ormai da due decenni viene portato avanti all’interno del carcere di Porto Azzurro. Il lavoro è stato curato da Manola Scali, e da Bruno Pistocchi e Corrado Nesi per l’associazione Dialogo, un esperienza sostenuta dal Prap, e che rientra nel progetto regionale Teatro - carcere. "Quest’anno abbiamo scelto un collage verista - ha spiegato la regista storica del Carro di Tespi, Manola Scali - il risultato è stato importante perché sottolinea che anche l’impegno delle istituzioni è volto a sottolineare come l’attività rieducativa sia a tutto tondo". I detenuti hanno riscritto le opere lavorando sui testi e sulle loro esperienze. Il collage scelto è stato montato insieme alle attrici del teatro Goldoni che collaborano con il laboratorio. "I detenuti hanno bisogno di esprimersi e quando devono parlare di sé stessi, se trovano ascolto, dicono cose che altrimenti non avrebbero mai detto - ha spiegato Bruno Pistocchi, curatore dello spettacolo - Per loro è un modo per uscire dalla routine e ci si aggrappano. Bisognerebbe però che queste iniziative si moltiplicassero". Sul palco detenuti-attori italiani e stranieri, coadiuvati dalle attrici del Goldoni. Presenti alla rappresentazione, tra gli altri, alcune classi del Liceo Isis Foresi. "Sono iniziative moto importanti - ha commentato Licia Baldi, presidente dell’associazione Dialogo perché serve impegno e continuità nel lavoro. Fondamentale per la squadra è anche lavorare insieme con fiducia, comunicando agli altri le proprie esperienze". Droghe: al "WeFree Days" di San Patrignano anche Ministro Giannini con 2.500 studenti Ansa, 9 ottobre 2014 "Giovani, divertimento, recupero, futuro" sono i temi della settima edizione dei WeFree Days, venerdì e sabato e domenica a San Patrignano. Una iniziativa, sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica, che da sempre è considerato l’avvio annuale del progetto di prevenzione della comunità, alla quale parteciperanno oltre 2.500 studenti da tutta Italia, oltre figure delle istituzioni, del mondo sociale, personaggi sportivi e dello spettacolo. Divertimento sarà il tema del forum di sabato mattina. A dare una fotografia del momento sarà Alessandra Ghisleri, attraverso una ricerca effettuata da Euromedia Research. A confrontarsi interverranno, tra gli altri, il ministro dell’Istruzione Stefania Giannini e il sottosegretario alla Gioventù Luigi Bobba, oltre al sindaco di Rimini Andrea Gnassi. Il giorno prima invece il tema del forum istituzionale sarà "Dal carcere per ricominciare" dedicato alle esperienze internazionali e alle differenti modalità sulle opportunità di utilizzo delle misure alternative al carcere per i tossicodipendenti. Ai WeFree Days i protagonisti saranno però soprattutto i 2.500 studenti presenti. Tra le altre cose, per i ragazzi sono previsti appositi forum con personaggi del mondo dello spettacolo e dello sport. È così che avranno a loro disposizione Gabri Ponte, dj che va per la maggiore e giudice ad Amici, Carlton Myers, storico capitano della nazionale di basket, l’inviato di Striscia la Notizia Luca Abete con il suo progetto per i giovani #noncifermanessuno, il cantante Attilio Fontana, lo scrittore Fulco Terzani, figlio di Tiziano, il dj antisballo Aniceto e il cantante Gianmarco Dottori. A moderare gli interventi Tamara Taylor. Per la prima volta infine da questa edizione sarà assegnato il premio WeFree ad un giovane che si è distinto nel mondo del sociale. India: udienza Corte Suprema il 28 ottobre per Tomaso Bruno e Elisabetta Boncompagni Ansa, 9 ottobre 2014 Il caso di Tomaso Bruno e Elisabetta Boncompagni, che scontano un ergastolo in India con l’accusa di avere ucciso un loro compagno di viaggio, sarà trattato il prossimo 28 ottobre dalla Corte Suprema indiana. Lo ha appreso l’Ansa da fonti diplomatiche italiane a New Delhi. La prima sezione, presieduta dal giudice H.L. Dattu (diventato il nuovo presidente della Corte dal 29 settembre) ha oggi confermato la data, dopo che non ha accolto la richiesta dei legali di anticipare al 14 ottobre l’esame del caso. La precedente udienza del 16 settembre era slittata a causa dell’assenza del legale della difesa. Il massimo organo giudiziario indiano ha ripreso oggi l’attività dopo una pausa per festività, ma sarà nuovamente chiuso dal 12 al 26 ottobre per il capodanno induista di Diwali. "Spero davvero che il 28 i giudici inizino l’esame dell’appello - ha detto Marina Maurizio, madre di Tomaso, che in questi giorni si trova a Varanasi per stare vicino al figlio e all’amica Elisabetta - e che si arrivi a una decisione prima di Natale". I due italiani sono in carcere dal febbraio del 2010, mentre l’appello di terzo grado è stato presentato oltre un anno fa e non è ancora stato preso in esame dalla Corte Suprema. "Ci dicono di avere pazienza - aggiunge - ma vorrei ricordare che mentre fuori si può aspettare, per chi è chiuso in carcere è molto diverso". Afghanistan: eseguite sei condanne a morte, 5 uomini impiccati per stupro Aki, 9 ottobre 2014 Sei persone condannate a morte sono state impiccate oggi in Afghanistan. Tra i sei ci sono i cinque uomini accusati per lo stupro di quattro donne, una vicenda che lo scorso agosto ha suscitato l’indignazione degli afghani. "Le condanne dei cinque responsabili dello stupro di quattro donne e Habib Estalif, a capo di un gruppo responsabile di vari sequestri, sono state eseguite nel carcere di Pul-i-Charkhi", a est di Kabul, ha confermato il capo della polizia della capitale afghana, generale Zahir Zahir, citato dall’agenzia di stampa Dpa. L’ordine di esecuzione delle condanne era stato firmato dall’ormai ex presidente Hamid Karzai, che ha lasciato il potere ad Ashraf Ghani. I fatti in relazione ai quali sono stati condannati i cinque uomini accusati di stupro risalgono al 22 agosto scorso, quando alla periferia di Kabul - nel distretto di Paghman - un gruppo di uomini armati ha bloccato alcune auto di ritorno da una festa di matrimonio, rapinando i passeggeri. Quattro donne, una delle quali incinta, sono state rapite e violentate. Una donna sarebbe morta. Oltre ai cinque condannati a morte a inizio settembre, con una sentenza confermata in appello, due persone sono state condannate a 20 anni di carcere. Estalif, secondo i media afghani, è stato riconosciuto colpevole per 13 omicidi. In Afghanistan si rischia la pena di morte se si viene riconosciuti colpevoli di omicidio, violenza carnale, sequestro o rapina a mano armata. Karzai, durante i suoi 13 anni al potere, ha firmato l’ordine di esecuzione di 24 condanne, come ha spiegato l’attivista Mohammad Dawood, citato dalla Dpa. Ieri Human Rights Watch aveva chiesto a Ghani di sospendere l’esecuzione delle condanne alla "banda di Paghman", chiedendo al presidente di ordinare una "revisione indipendente" del caso. Per Phelim Kine, vice direttore di Hrw per l’Asia, "le orrende violazioni durante il processo di Paghman hanno solo rincarato la dose di ingiustizia in questo terribile crimine". "La cattiva gestione di questo caso dovrebbe spingere Ghani a imporre una moratoria immediata sulle esecuzioni, almeno fin quando l’Afghanistan - ha detto - non sarà in grado di condurre processi che rispettino gli standard internazionali". Anche Amnesty International aveva lanciato un appello per bloccare l’esecuzione delle condanne, denunciando un "processo ingiusto". Grecia: deputati neo-nazisti in carcere non voteranno fiducia, negato permesso di uscita Ansa, 9 ottobre 2014 Un giudice ateniese ha respinto oggi la richiesta avanzata da sei deputati del partito neo-nazista greco Chrysi Avgì (Alba Dorata) di uscire di prigione per prendere parte ai lavori del Parlamento convocato da oggi per votare la fiducia al governo. Lo riferiscono i media locali. La richiesta era stata fatta dal fondatore e leader del partito, Nikos Michaloliakos, e sottoscritta da Christos Papas, Ilias Kasidiaris, Yiannis Lagos, Giorgos Germenis, e Nikos Kouzilos che si tutti trovano in stato di custodia cautelare in quanto accusati di costituzione di organizzazione criminale. Il dibattito parlamentare sulla fiducia al governo del premier Antonis Samaras comincia questa sera e si concluderà con la votazione alla mezzanotte di venerdì prossimo. Il governo di coalizione Nea Dimokratia-Pasok detiene una maggioranza risicata di quattro deputati ma si aspetta comunque di ottenere la fiducia. Egitto: ricoverato in ospedale detenuto pro-Morsi in sciopero della fame da 253 giorni Aki, 9 ottobre 2014 L’attivista egiziano-americano Mohammed Sultan, in sciopero della fame da 253 giorni, è stato ricoverato nell’ospedale di al-Manial a ovest del Cairo per una emorragia interna. Lo rende noto la sua famiglia su Facebook spiegando che l’emorragia interna ha colpito più di un organo. Una fonte medica ha quindi spiegato all’agenzia di stampa Anadolu che l’attivista, 26 anni, è stato ricoverato alle 20 di ieri sera. Lo scorso settembre un tribunale egiziano aveva respinto la richiesta di scarcerazione per il "peggioramento delle condizioni di salute" per Sultan, in sciopero della fame dal 26 gennaio per protestare contro la sua detenzione priva di accuse formali. Sultan sta affrontando un processo, insieme ad altri 51 sostenitori dei Fratelli Musulmani, per presunti atti violenti. La prossima udienza è fissata per l’11 ottobre. Il mese scorso 81 attivisti egiziani si sono uniti allo sciopero della fame di Sultan in segno di solidarietà, lanciando la campagna "battaglia degli stomaci vuoti". Sultan è stato arrestato mentre si trovava in casa nell’agosto del 2013 dopo che le forze della sicurezza avevano disperso con la forza due sit-in di protesta dei sostenitori dell’ex presidente Mohammed Morsi al Cairo, uccidendo centinaia di manifestanti. Prima di essere arrestato, l’attivista aveva un ruolo attivo nella "Alleanza anti-golpe" che fa parte dell’Alleanza nazionale in difesa della legittimità pro Morsi. Corea del Nord: governo ammette "campi per la rieducazione tramite il lavoro esistono" Ansa, 9 ottobre 2014 Un ministro del governo di Pyongyang per la prima volta riconosce di fronte alla comunità internazionale l’esistenza di "campi per la rieducazione tramite il lavoro". Un’ammissione storica. Per la prima volta un rappresentante del governo di Pyongyang ha riconosciuto di fronte alla comunità internazionale l’esistenza in Corea del Nord di "campi per la rieducazione tramite il lavoro". Sono le parole di Choe Myong Nam, ministro degli Esteri nordcoreano con delega alle relazioni con l’Ue e ai diritti umani, intervenuto in conferenza stampa. Nel suo Paese non ci sarebbero campi di prigionia, "nessun lager o cose simili - ha chiarito - ma "campi di rieducazione tramite il lavoro", in pratica "campi di prigionia dove la rieducazione passa dal lavoro, dove le persone migliorano riflettendo sulle loro azioni". Campi di "rieducazione" destinati a delinquenti comuni e prigionieri politici. Anche se è noto che la maggior parte dei prigionieri politici sono condannati a pene molto dure in veri e propri lager. Come tra l’altro ha raccontato al Corriere, Shin Dong-hyuk, l’unica persona nata, cresciuta e poi riuscita a fuggire da un campo di internamento della Corea del Nord. Campi dove, secondo il governo sudcoreano, sono rinchiuse oltre 150 mila persone. La cifra sale a 200 mila per il Dipartimento di Stato americano. Chi è dentro spesso non ha nessuna "colpa". Visto che "la fetta più grande della popolazione carceraria è composta dai figli o dai nipoti di detenuti", spiega David Hawk. Perché in Corea del Nord - unico Paese al mondo - esiste una legge che prevede la "Punizione per tre generazioni", istituita nel 1972 dal Grande leader e Presidente Eterno Kim Il Sung. Stati Uniti: nella mostra "Encerrados" il mondo dietro le sbarre, foto di Valerio Bispuri L’Espresso, 9 ottobre 2014 "Encerrados" è un lungo viaggio durato 10 anni in 74 carceri di tutti i paesi del Sudamerica. Un percorso nato dal desiderio di raccontare un continente attraverso il mondo dei detenuti. Le carceri sono un riflesso della società, uno specchio di quello che succede in un paese, dai piccoli drammi alle grandi crisi economiche e sociali. Sono stato nelle carceri dell’Ecuador, del Perù, della Bolivia, dell’Argentina, del Cile, dell’Uruguay, del Brasile, della Colombia e del Venezuela, entrando in contatto con detenuti e guardie, con la paura e la rabbia, con la speranza e la sfiducia. "Encerrados" ha viaggiato molto ed è stato esposto, tra gli altri, al Visa pour l’Image a Perpignan, al Palazzo delle Esposizioni di Roma, all’Università di Ginevra, al Browse Festival di Berlino, il 16 ottobre sarà in mostra al Bronx Documentary Center di New York, e in seguito andrà a Milano e Buenos Aires. Un documentario prodotto da Sky Arte ha raccontato da "dentro" il mio lavoro decennale in Sudamerica sulla droga e sulle carceri, si chiama "Solitario y final". Encerrados ha vinto numerosi premi: il Sony World Photography Awards 2013, una speciale menzione al Poy Latino America nel 2011 e nel 2014 sempre il Poy (2° posto, Feature Story Editing - Magazine). Encerrados sarà presto un libro, nei primi mesi del 2015 uscirà per Contrasto, grazie al contributo del crowd-funding, con la prefazione di Roberto Saviano e uno scritto di Edoardo Galeano.