Giustizia: quei progetti del Governo che mettono a rischio i diritti del cittadino di Beniamino Migliucci (Presidente dell’Unione camere penali italiane) Guida al Diritto, 8 ottobre 2014 Una riforma della giustizia che non piace ai penalisti. Dopo il recente Congresso delle Camere penali - che si è svolto a Venezia, dal 19 al 21 settembre scorso - è stato eletto alla presidenza dell’Associazione l’avvocato Beniamino Migliucci. Nelle stesse settimane il Governo ha messo a punto un "pacchetto giustizia", che prevede, tra le altre cose in materia penale, una serie di interventi su prescrizione e sul ricorso per cassazione. Per il presidente Migliucci, che apre lo spazio dedicato all’approfondimento di questo numero, i progetti dell’Esecutivo vanno in senso contrario all’impostazione culturale dei legali e all’affermazione dei principi. Il XV Congresso ordinario dell’Unione delle Camere penali italiane, tenutosi a Venezia dal 19 al 21 settembre 2014, è stato tra i più partecipati nella storia dell’Unione. Il dibattito è stato ampio e vivace, come si conviene per una Associazione che ha tra i suoi scopi fondamentali la tutela dei valori del diritto penale e del giusto processo in una società democratica e la tutela del prestigio e del rispetto della funzione del difensore. La linea che la nuova Giunta Ucpi intende perseguire è quella della interlocuzione costante con la politica e del confronto con la magistratura, perché tato il principio costituzionale della separazione dei poteri, senza quegli straripamenti che spesso si sono verificati negli ultimi vent’anni. La magistratura, per la debolezza della politica, ha esercitato un ruolo improprio di supplenza, anche per le deleghe che quest’ultima le ha assegnato per combattere fenomeni ritenuti emergenziali, quali la lotta alla criminalità organizzata. La politica, per rassicurarsi, affida ai magistrati compiti di controllo che dovrebbero essere di competenza del potere politico, chiede l’approvazione preventiva della magistratura o di alcuni magistrati autorevoli su provvedimenti legislativi da approvare e spesso si giustifica con i media assicurando che su questi vi è il consenso della magistratura. Riconquistare autorevolezza attraverso comportamenti virtuosi e trasparenti, recuperare le proprie prerogative costituzionali, convincersi che occorre limitare la presenza di magistrati nei gangli vitali e decisionali del potere esecutivo, dell’amministrazione e del potere legislativo, è l’unico modo, per la politica, di eliminare quella commistione con la magistratura che produce inevitabilmente una grave anomalia di sistema. In questi anni il dibattito sulla Giustizia si è arenato nelle secche dello scontro tra politica e magistratura. La fragilità dell’una e i veti posti dall’altra non hanno consentito di affrontare la riforma del titolo IV della Costituzione. Ogni giustificazione è stata valida per ostacolare la piena attuazione dell’articolo 111 della Costituzione, trascurando che una reale riforma della Giustizia non può prescindere da un intervento che garantisca l’uguaglianza delle parti nel processo e la terzietà del giudice quale principale elemento strumentale all’imparzialità della decisione. Sostenere la necessità della terzietà strutturale e ordinamentale del Giudice - valori irrinunciabili in un Paese democratico - così come affermare la necessità di riformare il Consiglio superiore della magistratura, prevedendone uno per i magistrati inquirenti e uno per i giudicanti, non significa attentare all’autonomia e all’indipendenza della magistratura, beni imprescindibili in un Paese democratico. Vi deve essere però consapevolezza che senza un Giudice terzo ogni riforma processuale e sostanziale perderà di significato e che solo una riforma di tal genere potrà evitare marce indietro nel passato e sconfiggere le abbondantissime scorie culturali di ascendenza illiberale e inquisitoria presenti nell’esercizio della giurisdizione. L’unicità della giurisdizione reca in sé ogni negatività e ha come inevitabile corollario una visione autoritaria del processo, inteso come strumento di difesa sociale nel quale il difensore è visto con sospetto e la funzione difensiva come un optional o peggio ancora come un ostacolo fastidioso. Ecco perché continueremo a chiedere un confronto culturale con la politica e la magistratura su un tema che non riguarda esclusivamente i soggetti del processo, ma l’intera collettività. È più facile eludere questioni fondamentali e proporre il tema della sicurezza cavalcando paure e spinte demagogiche, proponendo riforme che finiscono con incidere sulle garanzie. Ipertrofia legislativa, norme emergenziali, riforme che affrontano i problemi senza tener conto delle questioni che li generano sono l’esempio di un metodo ormai da tempo in uso, che ha prodotto e produce gravi conseguenze sul sistema. Invece di parlare di un nuovo codice penale, della riserva di codice o di una riforma organica del codice di procedura penale che rafforzi il contraddittorio e la parità delle parti, si formulano progetti di legge del tutto criticabili. Il Governo ha da ultimo prospettato progetti di legge nei confronti dei quali, se confermati, va espressa totale contrarietà, perché intendono incidere sulla ragionevole durata del processo senza prendere atto di ciò che rende irragionevolmente lungo il procedimento, recependo - negli uffici legislativi - gli orientamenti espressi più volte dalla magistratura e di qualche autorevole magistrato. In tema di prescrizione, ad esempio, il progetto di riforma intende, tra l’altro, sospenderne il corso dopo il deposito della sentenza di condanna, di primo o secondo grado. Forse, se qualcuno avesse avvertito la necessità di valutare i dati nazionali relativi alla prescrizione dei reati pubblicati dal Dipartimento affari di giustizia del ministero per i recenti anni, avrebbe constatato che la fase processuale con la più alta percentuale di dichiarazione di prescrizione è quella delle indagini preliminari (anno 2012 pari al 56,1%, anno 2011 pari al 62,7%, anno 2010 pari a 68,9%): è questa la vera fase "dell’oblio" che, ovviamente, ha una diretta ricaduta sui successivi gradi di giudizio. Si sarebbe così reso conto che questa non è la ricetta per abbreviare i tempi del procedimento, che anzi diverrà più lungo. Attraverso un improprio richiamo ai moniti europei e mistificando i contenuti delle ripetute condanne pronunciate dalla Corte Edu per la violazione del principio di ragionevole durata del processo, si è raggiunto, infatti, il risultato di dare giustificazione alle omissioni, ai ritardi e alla disorganizzazione del sistema, senza tener conto dei rilievi segnalati dall’Ucpi con la ricerca Eurispes del 2008, nella quale si indicavano le vere ragioni della irragionevole durata del processo, e senza comprendere come il tema della prescrizione sia inscindibilmente collegato a quello dell’obbligatorietà dell’azione penale, della ragionevole durata del processo e delle riforme di sistema. Sempre a titolo di esempio, la riforma paventata in materia di appello tradisce la volontà del Legislatore di eliminare o limitare il doppio grado di merito, trascurando che la sacralità del doppio grado di merito è, tra l’altro, sancita da coperture internazionali e che il numero delle riforme in appello raggiunge oltre il 40 per cento. Anche in tema di ricorso per cassazione, il progetto di riforma porge il fianco a critiche insuperabili: la ricorribilità della sentenza d’appello sarebbe, infatti, limitata alla sola violazione di legge in caso di doppia conforme. Ciò contrasta evidentemente con la logica e con la possibilità di intervenire in caso di sentenze spesso sovrapponibili, quanto a mancanza e contraddittorietà della motivazione, in primo e in secondo grado. Nei processi di criminalità organizzata si tende ad ampliare la possibilità di partecipazione a distanza dell’imputato per ragioni discrezionali e, invece di abolire il doppio binario affinché ogni processo sia regolato dalle stesse norme, si esporta il modello speciale nel modello ordinario. L’attenzione sulle carceri e sul regime del 41-bis dell’ordinamento penitenziario sarà al centro del programma dell’Ucpi, anche se spesso si tratta di battaglie impopolari, rammentando che sarebbe stato meglio non subire richiami dall’Europa e che tutto ciò che non è strettamente connesso alle finalità della pena, anche costituzionali, diventa tortura. Giustizia: le vittime di errori giudiziari ignorate dalla "storica" riforma di Renzi di Paolo Lambruschi Avvenire, 8 ottobre 2014 Manca una voce nel dibattito sulla riforma della giustizia. È quella dei tanti cittadini incappati in errori, ritardi e lentezze del sistema giudiziario. Se ne fa da due anni portavoce Mario Caizzone, presidente dell’Aivm, l’associazione nazionale con sede a Milano che assiste gratuitamente le vittime di malagiustizia, e che porta nell’anima i segni della vicenda che in 22 anni gli ha stroncato una brillante carriera di commercialista internazionale. Caizzone, siciliano migrato a Milano negli anni 80, con tenacia da rugbista è riuscito a ottenere la riabilitazione rinunciando alla prescrizione e ora dedica buona parte del suo tempo ad aiutare chi ha subito analoga sorte. E chiede un confronto con la politica. Cosa pensa l’Aivm della riforma? Allo stato ritengo non sia di aiuto alle vittime di malagiustizia perché il tema non viene affrontato ed è difficile riuscire ad affrontarlo. Ricordo che un anno fa abbiamo mandato un questionario ai parlamentari chiedendo loro a chi si doveva rivolgere un cittadino in questa situazione. I più, ironicamente, ci hanno risposto che ci si doveva rivolgere al Padreterno. Noi puntiamo a una riforma sostanziale. Quindi cosa proponete? Riteniamo ci si possa occupare di un aspetto in particolare: il gratuito patrocinio, per il quale abbiamo già una proposta di modifica, elaborata anche sulla base della nostra esperienza in quest’ambito. Molte delle persone che si sono rivolte a noi sono passate da questo istituto. Altro problema che chiediamo di esaminare è la separazione delle carriere tra organi giudicanti e inquirenti. Non si tratta di una necessità non legata a questioni politiche. I risultati di un sistema nel quale «tutti fanno tutto» sono purtroppo sotto gli occhi di tutti: errori giudiziari, negligenze, incompetenza. Il percorso formativo di un organo giudicante per noi deve essere diverso rispetto a quello di un organo inquirente in ragione delle differenti funzioni che sono chiamati a svolgere. Una riflessione andrebbe fatta di trasferimenti periodici per magistrati e forze dell’ordine, onde evitare il rischio di legami personali il cui sviluppo è inevitabilmente connesso al permanere per lunghi periodi nelle stesse realtà, magari piccole. Di recente ci ha contattato una donna disperata. Il suo avvocato, pagato fior di quattrini, dopo averla seguita con scarso successo, dato che ha perso una causa con il comune in tutti e tre i gradi di giudizio, si è sentita dire dal legale che lui non poteva più assisterla perché era diventato patrocinatore dello stesso comune, la controparte. Capita spesso. Ma il giudice che sbaglia deve pagare? Credo che la soluzione migliore sia toccare non la busta paga, ma la carriera dei magistrati che commettono errori clamorosi. Che ad esempio potrebbero cambiare sezione o venire trasferiti o subire un blocco negli avanzamenti. Gli errori, in base alla mia esperienza personale e ai 1500 casi esaminati dall’Aivm, spesso sono dovuti a superficialità e disinteresse. Le lentezze giudiziarie nelle cause civili costerebbero un punto percentuale di Pil al Belpaese. E i costi umani rilevati dal vostro osservatorio? Altissimi. Ho visto troppi imprenditori fallire per i ritardi delle sentenze civili. Quando una sentenza tributaria accoglie il ricorso di prima istanza, arriva il pignoramento del terzo con l’accertamento esattoriale. E quando la notizia arriva in banca, c’è la revoca dei fidi. Questa è la ragione di diversi suicidi. Molti casi sono dovuti a mancati pagamenti di contributi a esattorie e a ritardi nei pagamenti degli enti pubblici. Spesso le vittime non sanno a chi rivolgersi, ribadisco l’invito ai centri di ascolto a mettersi in contatto con noi per censirli e orientarli per far loro capire che la vita non finisce con l’azienda. Cosa occorre per prevenire? Tempi veloci, al massimo due anni per una sentenza. A me ce ne sono voluti 22 per la riabilitazione. Il risarcimento arriva molto dopo che uno ha avuto ragione del torto e spesso il cittadino non ha più i quattrini per pagarsi l’avvocato che lo chiede. Giustizia: diritto all’affettività anche dietro le sbarre, una proposta di legge al Senato Il Garantista, 8 ottobre 2014 Un disegno di legge, a firma del parlamentare Pd Sergio Lo Giudice e altri colleghi, a favore dell’umanizzazione delle viste ai detenuti e legalizzazione dell’affettività in carcere, è stato depositato al Senato. "Il presente disegno di legge - si legge nel testo - riprende una proposta già depositata nella scorsa legislatura alla Camera dei deputati dall’onorevole Rita Bernardini e dai deputati radicali, recante norme in materia di trattamento penitenziario. Il testo del ddl prosegue spiegando che "la detenzione rappresenta un evento fortemente traumatico per gli individui che ne vengono coinvolti. La Costituzione, all’articolo 27, prevede che le pene non possano consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e debbano sempre tendere alla rieducazione del condannato. Ne consegue un obbligo per il legislatore e per le istituzioni a vigilare affinché i diritti inviolabili dell’uomo siano garantiti e tutelati. Tra i diritti basilari vi è senza dubbio quello di mantenere rapporti affettivi, all’interno della famiglia e nell’ambito dei rapporti interpersonali". Per superare questo problema, i senatori propongono delle soluzioni. Ad esempio rendere legale l’affettività in carcere "come del resto -spiegano nel testo - già avviene in altri Paesi europei e permette di agevolare il reinserimento sociale attraverso la valorizzazione dei legami personali e, nel contempo, attenua la solitudine che accompagna i detenuti durante il periodo di espiazione della pena". Inoltre il disegno di legge propone maggiore flessibilità per i permessi, compreso un permesso "di durata fino a quindici giorni per ogni semestre di carcerazione"; dare la possibilità per i detenuti "di trascorrere mezza giornata al mese con i propri familiari in apposite aree all’aperto all’interno delle strutture carcerarie" e permettere colloqui telefonici ogni quindici giorni ai reclusi "stranieri che non hanno visite da parte dei propri familiari". Giustizia: "rito abbreviato", solo se ti inginocchi al pm puoi avere un processo rapido di Astolfo Di Amato Il Garantista, 8 ottobre 2014 Tra le notizie di cronaca è frequente l’informazione che l’imputato, in carcere o agli arresti domiciliari, ha chiesto di definire il procedimento mediante il rito abbreviato. Quest’ultimo si caratterizza per il fatto che il procedimento si svolge sulla base dei risultati delle indagini del pubblico ministero e senza che la difesa possa introdurre le prove a proprio discarico. Il rito abbreviato si risolve, in sostanza, in un giudizio sulla base dei rapporti della polizia giudiziaria, delle testimonianze raccolte dal pubblico ministero e dei risultati delle consulenze disposte da quest’ultimo. Quasi sempre, perciò, quando vi sia uno stato di detenzione, disposto dal GIP e confermato dal Tribunale del riesame, l’esito della condanna è scontato. In un caso del genere, sulla base degli stessi atti su cui si deve formare il giudizio, sono già intervenute ben due precedenti valutazioni di colpevolezza: quella del gip che ha emesso l’ordinanza di custodia cautelare e quella del Tribunale del riesame che l’ha confermata. E facile immaginare che è del tutto improbabile che il giudice dell’abbreviato giunga ad una diversa decisione alla luce delle medesime prove, Perché, allora, se l’esito del giudizio è scontato, si fa ricorso al rito abbreviato? A leggere il codice di procedura penale la risposta potrebbe essere che in tal modo, essendo sicura la condanna, si beneficia almeno della riduzione di un terzo della pena, che è il premio concesso a chi, evitando il dibattimento, non ingolfa i tribunali. Chi è certamente colpevole e senza alcuna possibilità di scampo è logico che si rifugi nel rito abbreviato per ottenere la riduzione della pena. È sempre così? No! Anzi, la pratica dice che molto spesso non è così. Per comprendere cosa realmente accade occorre muovere da un dato. Per chi si trova in stato di custodia preventiva i tempi di quest’ultima si allungano se, come molto spesso avviene in questi casi, l’accusa salta l’udienza preliminare e chiede il giudizio immediato. L’imputato, di conseguenza, vede dilatarsi i tempi di restrizione della libertà, con conseguenze psicologiche spesso devastanti. Il che deteriora in modo irreparabile la capacità di resistenza. A questo si aggiunge che lo stato di detenzione, anche se domiciliare, indebolisce anche la possibilità di difendersi: alla sofferenza psicologica si aggiunge la difficoltà materiale di cercare documenti, ravvivare i ricordi, effettuare delle verifiche. Ecco, allora, che la condanna celermente ottenuta attraverso il rito abbreviato diventa una liberazione: il Pm, soddisfatto della condanna rapidamente ottenuta, che conferma la sua visione dei fatti, consentirà benevolmente che il giudice restituisca la libertà. Per meglio comprendere cosa realmente si verifica è utile aggiungere un altro tassello. Molto spesso, in questi casi, la custodia cautelare è giustificata con il pericolo che l’imputato possa delinquere ancora. Si tratta di vere e proprie formule di stile, in genere motivate affermando che le modalità di commissione del reato fanno presumere il rischio concreto di una reiterazione nella commissione dell’illecito. Il risultato è che la libertà personale è ostaggio dell’arbitrio e che la pena, che dovrebbe giungere al termine del processo, è scontata in anticipo. Il giudizio abbreviato e una condanna rapida diventano, perciò, l’unico mezzo per svincolarsi da questo arbitrio e riacquistare la libertà. Ecco, allora, che quando si legge in cronaca che Tizio, agli arresti domiciliari e sottoposto a giudizio immediato, ha fatto richiesta del rito abbreviato, bisogna chiedersi se la richiesta sia il frutto di un calcolo di convenienza o la resa ad un potere esercitato al di fuori delle regole. Giustizia: ritardi nei risarcimenti regolati dalla Legge Pinto, i Radicali vogliono chiarezza di Alberto Zullo Il Garantista, 8 ottobre 2014 L’eccessivo debito causato dai risarcimenti regolati dalla legge Pinto, che disciplina il diritto di richiedere un’equa riparazione per il danno (patrimoniale o non patrimoniale) subito per l’irragionevole durata di un processo, ha costretto Marco Pannella, Rita Bernardini, Laura Arconti e Deborah Cianfanelli a presentare un esposto alla Corte dei Conti. L’alto numero di condanne e i limitati stanziamenti sul relativo capitolo di bilancio hanno comportato un forte accumulo di arretrato del debito ancora da pagare sulla base dei risarcimenti previsti dalla legge Pinto, debito che ad ottobre 2013 (risalente quindi a un anno fa) ammontava a oltre 387 milioni di euro. Il fenomeno ha assunto le sembianze di una vera e propria ipoteca accesa a carico di ogni cittadino italiano. Questa situazione ha determinato l’intervento di Marco Pannella, Rita Bernardini, Laura Arconti e Deborah Cianfanelli che hanno depositato, con l’approvazione della mozione approvata dal recente Comitato Nazionale di Radicali italiani, un esposto presso la procura regionale della Corte dei Conti per chiedere di avviare un’istruttoria volta a stabilire: a) se sia effettivamente sussistente e a quanto ammonti esattamente il danno erariale patito dall’intera nazione in relazione alla mancata attuazione di concrete ed urgenti riforme volte a impedire il reiterarsi delle violazioni della convenzione europea dei diritti dell’uomo, con particolare attenzione agli artt. 3 e 6 e delle conseguenti condanne economiche scaturenti; b) a quali soggetti sia eventualmente ascrivibile la responsabilità nella produzione del suddetto danno. Qualora la Procura ritenga sussistere i suddetti elementi, gli esponenti chiedono che venga promosso un giudizio contabile nei confronti di chi sia ritenuto responsabile. Marco Pannella (Presidente del Senato del Partito Radicale Nonviolento Transnazionale Transpartito), Rita Bernardini (Segretario Nazionale di Radicali Italiani), Laura Arconti (Presidente di Radicali Italiani) e Deborah Cianfanelli (membro della Direzione di Radicali Italiani ed estensore dell’atto) si sono presentati presso la Procura Regionale della Corte dei Conti del Lazio nella mattinata di oggi, ad un anno esatto dall’invio da parte del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano del suo messaggio alle Camere sulle condizioni della giustizia e delle carceri in Italia. Il punto di partenza, già in sé molto grave e inaccettabile, è che ancora nulla è stato fatto al fine di scongiurare i pericoli delineati nel messaggio del Presidente della Repubblica sull’ormai strutturale, decennale illegalità dell’amministrazione della giustizia, con particolare riferimento alla irragionevole durata dei processi ed alle condizioni di detenzione nelle carceri. È ormai accertato che le suddette violazioni delle fondamentali norme della Convenzione europea dei diritti dell’uomo da parte del nostro Stato stanno causando ingenti danni all’intera economia nazionale. Lo stesso Ministero della Giustizia, nella relazione presentata all’inaugurazione dell’Anno Giudiziario 2014, ha ammesso che i ritardi della giustizia ordinaria determinano ricadute anche sul debito pubblico. Esposto alla Corte dei Conti (www.radicali.it) Alle ore 11 di mercoledì 8 ottobre 2014, ad un anno esatto dall’invio da parte del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano del suo messaggio alle Camere sulle condizioni della giustizia e delle carceri in Italia, Marco Pannella (Presidente del Senato del Partito Radicale Nonviolento Transnazionale Transpartito), Rita Bernardini (Segretaria di Radicali Italiani), Laura Arconti (Presidente di Radicali Italiani) e Deborah Cianfanelli (membro della Direzione di Radicali Italiani ed estensore dell’atto) si recheranno presso la Procura Regionale della Corte dei Conti del Lazio (Via Baiamonti 47 a Roma) per depositare un esposto. Il punto di partenza, già in sé molto grave e inaccettabile, è che ancora nulla è stato fatto al fine di scongiurare i pericoli delineati nel messaggio del Presidente della Repubblica sull’ormai strutturale, decennale, illegalità dell’amministrazione della giustizia con particolare riferimento alla irragionevole durata dei processi ed alle condizioni di detenzione nelle carceri. È ormai accertato che le suddette violazioni delle fondamentali norme della Convenzione europea dei diritti dell’uomo da parte del nostro Stato stanno causando ingenti danni all’intera economia nazionale. Lo stesso Ministero della Giustizia, nella relazione presentata all’inaugurazione dell’Anno Giudiziario 2014, ha ammesso che i ritardi della giustizia ordinaria determinano ricadute anche sul debito pubblico. L’alto numero di condanne ed i limitati stanziamenti sul relativo capitolo di bilancio hanno comportato un forte accumulo di arretrato del debito ancora da pagare sulla base dei risarcimenti previsti dalla "legge Pinto", debito che, ad ottobre 2013, ammontava ad oltre 387 milioni di euro. Il fenomeno ha oramai assunto le sembianze di una vera e propria ipoteca accesa a carico di ogni cittadino italiano. Questa situazione non può essere ulteriormente tollerata ed è per questo che Marco Pannella, Rita Bernardini, Laura Arconti e Deborah Cianfanelli si sono determinati a depositare, con l’approvazione della mozione approvata dal recente Comitato Nazionale di Radicali italiani, un esposto presso la procura regionale della Corte dei Conti per chiedere di avviare un’istruttoria volta a stabilire: a) se sia effettivamente sussistente ed a quanto ammonti esattamente il danno erariale patito dall’intera nazione in relazione alla mancata attuazione di concrete ed urgenti riforme volte a impedire il reiterarsi delle violazioni della convenzione europea dei diritti dell’uomo, con particolare attenzione agli artt. 3 e 6, e delle conseguenti condanne economiche scaturenti; b) a quali soggetti sia eventualmente ascrivibile la responsabilità nella produzione del suddetto danno. Qualora la Procura ritenga sussistere i suddetti elementi, gli esponenti chiedono che venga promosso un giudizio contabile nei confronti di chi sia ritenuto responsabile. Subito dopo il deposito dell’Esposto, alle ore 12.15, davanti alla sede della Procura Regionale della Corte dei Conti del Lazio, in via Via Baiamonti 47 a Roma, Marco Pannella e gli altri sponenti radicali terranno una conferenza stampa. Giustizia: il premier Matteo Renzi "I criminali colpevoli devono pagare fino alla fine…" Agenparl, 8 ottobre 2014 "I criminali colpevoli devono pagare fino alla fine. Chi commette un reato e viene condannato deve restare dentro. Se guardo le statistiche vedo che la situazione è un po’ meglio del passato, ma chi subisce le conseguenze non si preoccupa delle statistiche. Noi dobbiamo far sì che quelli che becchiamo quando vengono condannati poi restano dentro". Lo ha detto ieri sera il premier, Matteo Renzi, ospite a "Quinta Colonna" su Retequattro. E ha aggiunto: "Quando un cittadino vede ripassare per la stessa strada anche uno scippatore l’impressione è che poi non ci sia più certezza del diritto. La giustizia deve garantire che chi è colpevole paga fino alla fine". Giustizia: Orlando; momento importante per l’evoluzione del sistema sanitario carcerario Ansa, 8 ottobre 2014 "Questo è un momento importante per l’evoluzione del sistema sanitario carcerario. Apprezzo lo sguardo lungo con cui si lavora per rendere più evoluto e vicino agli standard europei il modello carcerario italiano". Così il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, in occasione della visita a Regina Coeli del centro clinico ristrutturato insieme al presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti. Orlando - che con il governatore ha compiuto un sopralluogo negli spazzi ristrutturati e dotati di nuove attrezzature - ha posto l’accento sugli sforzi del carcere nel centro della Capitale per migliorare la struttura e, in generale, l’importanza dell’adeguamento agli "standard europei e costruire un sistema penitenziario in linea con il diritto costituzionale. Questa è una conquista importante e non scontata". Giustizia: i Sindacati e Cocer del Comparto Sicurezza "positivo l’incontro con Renzi" Il Velino, 8 ottobre 2014 I rappresentanti dei Sindacati e Cocer del Comparto Sicurezza, Difesa e Soccorso Pubblico, in rappresentanza del 94% dei circa 500.000 addetti al settore, giudicano positivamente l’esito dell’incontro svoltosi nella mattinata odierna a Palazzo Chigi con il Presidente del Consiglio Matteo Renzi. È quanto affermano in una nota congiunta Siulp, Siap-Anfp, Silp-Cgil, Ugl Polizia, Coisp, Consap e Uil Ps per la Polizia; Osapp, Uil Penitenziari, Sinappe, Ugl Penitenziaria, Fns-Cisl e Cnpp per la Penitenziaria; Ugl Forestale, Snf, Cisl-Fns, Uil-Pa per la Forestale; Fns-Cisl, Uil Vv.f, Confsal Vv.f, Dirstat Vv.f e Ugl per i Vigili del Fuoco e i Cocer interforze di Esercito, Marina, Aeronautica, Carabinieri e Guardia di Finanza. "Nel corso dell’incontro odierno - si legge nella nota congiunta - il Presidente del Consiglio ha confermato quanto anticipato nei giorni scorsi da altri autorevoli esponenti del governo in merito alla sblocco del tetto salariale per il personale dei Comparti. Il Presidente del Consiglio ha ribadito la decisione dell’esecutivo di riconoscere la specificità dei Comparti e di rimuovere il blocco del tetto stipendiale a decorrere dal 1 gennaio 2015 in maniera strutturale. Il positivo esito della vertenza si è potuto ottenere grazie al senso di responsabilità istituzionale, alla ricercata compattezza ed alla determinazione che i Sindacati e i Cocer hanno dimostrato di fronte all’apertura al confronto da parte del Governo ed alla sensibilità dell’Esecutivo che ha così posto fine a quella che veniva considerata come una autentica ingiustizia da parte di tutto il personale in divisa". "Al termine dell’incontro - sottolinea la nota delle organizzazioni sindacali delle forze di polizia -, quale manifestazione di riconoscimento alla specificità dei lavoratori di questi Comparti, ma anche di vicinanza agli uomini e alle donne che ogni giorno si sacrificano al servizio del Paese è stato altresì ribadito che l’Esecutivo sta lavorando per anticipare lo sblocco del tetto salariale già dalla fine di quest’anno. In tal senso Sindacati e Cocer, nell’esprimere la loro soddisfazione per l’esito positivo della vicenda "tetto salariale" e dell’incontro odierno, hanno dato la propria disponibilità ad aprire un confronto presso il Dipartimento della Funzione Pubblica per tutte le altre tematiche che riguardano i Comparti nell’interesse sia dell’efficientamento degli stessi che della giusta valorizzazione del personale". Sappe: ora attendiamo soldi in legge di stabilità Si è svolto questa mattina a Roma, presso la sede della Presidenza del Consiglio dei Ministri, l’incontro tra il Premier Matteo Renzi e i rappresentanti sindacali delle Forze di Polizia sullo sblocco del tetto salariale. Presente all’incontro, il segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe Donato Capece commenta: "Abbiamo preso atto dell’impegno del Presidente del Consiglio a sbloccare il tetto salariale delle Forze dell’Ordine nell’ambito della Legge di Stabilità. Ora attendiamo di conoscere il testo normativo, che sarà portato in Consiglio dei Ministri il 15 ottobre prossimo e che ci auguriamo preveda specifica copertura economia anche per gli arretrati. Ci ha fatto piacere ascoltare le parole di apprezzamento e gratitudine del Premier per quello che ogni giorno fanno le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria e del Comparto tutto per la sicurezza sociale e del Paese. Certo, l’adeguamento dei nostri stipendi è materia da risolvere con urgenza perché con quelli attuali rasentiamo la povertà, come dimostra il frequentissimo ricorso a finanziamenti e prestiti vari". Capece, nel suo intervento, ha denunciato "la situazione nazionale delle carceri, che resta allarmante e pericolosa per i poliziotti penitenziari. Se la situazione non degenera è grazie a noi Baschi Azzurri. Serve una riforma strutturale del sistema carcerario, che mantenga il Corpo di Polizia Penitenziaria nel ruolo precipuo e fondamentale di baluardo di legalità e sicurezza". Uil-Pa Penitenziari: da premier rassicurazioni su tetto salari "L’incontro con il presidente Renzi ci soddisfa, in quanto lo stesso presidente del Consiglio ha fornito alle delegazioni le rassicurazioni della presenza dei fondi necessari nella prossima Legge di stabilità. Non abbiamo alcun motivo per dubitare dell’effettivo appostamento dei circa 980 milioni di euro utili alla definizione della vertenza, salvo comprendere come il Governo intenda strutturare nel tempo questo finanziamento". Lo afferma Eugenio Sarno segretario generale Uil-Pa Penitenziari, al termine dell’incontro svoltosi a Palazzo Chigi questa mattina con la presenza anche dei Ministri Alfano, Orlando, Madia e Pinotti. "Ovviamente valuteremo e studieremo la legge di stabilità soprattutto in relazione alle decorrenze dello sblocco e, quindi, la possibilità per gli operatori del Comparto Sicurezza - Difesa e Soccorso Pubblico di accedere ad emolumenti dovuti che non possono, sia chiaro, essere intesi quali aumenti stipendiali". Orlando: bene sblocco tetti salari agenti penitenziari Sull’adeguamento dei salari per gli agenti della polizia penitenziaria "chi non sarerebbe soddisfatto del risultato raggiunto oggi. È un risultato tuttaltro che scontato e costituisce un apprezzamento nei confronti delle forze dell’ordine". A dirlo il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, che ha visitato insieme al presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, il centro clinico della struttura che ha subito degli interventi di restauro e di ammodernamento. Orlando ha anche ringraziato la polizia penitenziaria che è stata in grado e ha saputo adeguarsi ad una situazione di emergenza. Giustizia: il presidente Napolitano testimone in tribunale, né decenza né utilità giudiziaria di Francesco La Licata La Stampa, 8 ottobre 2014 L’istituzione più alta della Repubblica sembra ormai prigioniera di una macchina in corsa, a folle velocità e senza freni, in direzione di un traguardo che non promette nulla di buono sul piano dell’opportunità politica e della decenza. Chi ha messo in moto quella macchina non ha adesso (e non sembra dolersene) volontà alcuna di impedire la vergogna di esporre il Capo dello Stato all’affronto di una testimonianza in presenza di fior di criminali, assassini e stragisti come Totò Riina e Leoluca Bagarella. E tutto nella consapevolezza che nessun elemento nuovo, utile all’accertamento della verità, potrà venire dal "baraccone" in allestimento al Quirinale. La Procura di Palermo, e questo era scontato visto i precedenti, non si oppone alla presenza degli imputati - seppure in videoconferenza - durante l’escussione del teste-Napolitano. Non poteva essere diversamente, visto che già una volta i rappresentanti della pubblica accusa avevano espresso la convinzione che la testimonianza di Napolitano fosse essenziale e irrinunciabile, anche a fronte del "pateracchio istituzionale" che ne sarebbe conseguito. Se si considera, poi, che - al punto in cui è giunta adesso la "macchina impazzita" - nulla si può più fare senza mettere a rischio lo stesso processo in corso presso la Corte d’Assise palermitana, si capisce l’assenso dato ieri dai pm alla presenza in aula di Riina, Bagarella e di Nicola Mancino, alla sbarra per falsa testimonianza. Non sembrano possibili tante soluzioni: negare agli imputati, seppure alcuni mafiosi e impresentabili, il diritto a presenziare al processo (tranne il reperimento improvviso di una qualche motivazione "iper-tecnica" che sfugge ai non addetti ai lavori) equivale ad assumersi il rischio di invalidare l’intero dibattimento. Ma sarà il presidente della Corte a decidere, nell’udienza di domani. La china intrapresa, comunque, appare scivolosa e piena di pericoli. Tutti i protagonisti della vicenda sembrano in qualche modo prigionieri di un meccanismo avviato e lasciato senza controllo. Il Presidente ha già chiarito il perimetro entro il quale potrà testimoniare, spazio già delimitato anche dalla Corte costituzionale. Ha anche reso pubblica la lettera scritta, prima che fosse ucciso da un infarto, dal suo consigliere giuridico Loris D’Ambrosio, chiarendo che altro non avrebbe potuto aggiungere. In questo senso si potrebbe concludere che, per l’accertamento della verità sullo svolgimento della trattativa Stato-mafia, il coinvolgimento di Napolitano non sembrava irrinunciabile, visto che nulla dice di poter produrre sui famosi "indicibili accordi" evocati da D’Ambrosio nella sua missiva. Tuttavia il Capo dello Stato si trova oggi nella scomoda posizione di dover lanciare un messaggio di rispetto verso la magistratura ma ad un prezzo certamente alto, quale sarebbe il dover condividere uno spazio processuale coi capi dell’antistato. Forse l’errore sta in alcune decisioni del passato, come quella che ha riguardato la polemica sull’iter da seguire nella distruzione delle intercettazioni dei colloqui tra Nicola Mancino e Napolitano, soggetto politico che non poteva essere intercettato. Anche allora fu scelta la linea del coinvolgimento istituzionale della carica più alta della Repubblica, visto che il contenuto delle telefonate da distruggere sarebbe arrivato alla conoscenza delle parti, quindi agli imputati e quindi ai giornali. Il conflitto sollevato da Napolitano presso la Corte costituzionale era riuscito ad impedire l’agguato mediatico. Evidentemente non è bastato e Riina può sorridere. Giustizia: intervista a Storace "vilipendio contestato solo a me… andrò in carcere" di Alessandra Longo La Repubblica, 8 ottobre 2014 "Se mi condannano e non mi arrestano, mi toccherà ogni giorno reiterare il reato, ogni giorno, sul Giornale d’Italia". Francesco Storace, reo di aver usato nel 2007 la parola "indegno" riferendosi al Capo dello Stato, ha deciso di vender cara la pelle. Il 21 ottobre ci sarà la sentenza a suo carico per vilipendio sulla base di un abbastanza polveroso articolo 278 del codice penale. L’ex presidente della Regione Lazio, nonché, all’epoca dei fatti, senatore della Repubblica, lancia la sfida: "Se davvero ho peccato di lesa maestà, arrestatemi!". Storace, ma come è finito dentro questa storia? "Era il 2007, governo Prodi. Feci una fortissima polemica contro il sostegno dei senatori a vita all’esecutivo in carica. Uno dei miei giovani usò sul blog la parola "stampella" parlando di Rita Levi Montalcini. Lei scrisse al vostro giornale, Napolitano la ricevette e definì l’attacco "indegno". Io gli risposi, politicamente, con le sue stesse parole: "Semmai è indegno il capo dello Stato". Fu una scelta di comunicazione, pensai che finissi lì". Il reato di "lesa maestà" è perseguibile su autorizzazione del ministro della Giustizia. "Appunto. Lo scoprii in quell’occasione. Mastella, allora Guardasigilli, diede il via libera in 48 ore". Ed è partita la macchina. Lei poteva fermarla, facendo autocritica. "Nel 2009 io non ero più senatore ma il Senato dichiarò l’insindacabilità delle mie opinioni. Io scrissi al presidente una lettera che più o meno diceva: "Caro presidente, ora che mi è stato riconosciuto di avere titolo a fare quelle dichiarazioni, devo ammettere di aver ecceduto nei toni e vorrei venire a chiarirmi con lei al Quirinale". Ci è andato? "Sì, certo, mi ha ricevuto quindici giorni dopo. Incidente chiuso, mi scriverà Pasquale Cascella, suo portavoce. Non solo. Successivamente il capo dello Stato ha così dichiarato ai giornalisti: "Non mi opporrei se il Parlamento abrogasse l’articolo 278". Il Parlamento non ne ha discusso. La proposta di abrogazione è calendarizzata in questi giorni su iniziativa del suo amico Gasparri e dei 5 Stelle. Però il 21 ottobre è vicino... "Appunto. Il capogruppo grillino ha detto: "Non c’è fretta, non dobbiamo accelerare per Storace". Niente leggi ad personam. "Qui siamo alla legge contra personam. Ne scrivo oggi sul Giornale d’Italia. Solo a me viene imputato un reato per il quale nessun altro è chiamato a rispondere". I grillini ne hanno dette su Napolitano. "Me le sono segnate. Leggo: "boia"; "è morto Giorgio (Faletti, ndr) quello sbagliato"; e ancora: "boia e indegno". Ma il ministro Orlando tace. Il vilipendio a Cinque Stelle non si tocca". Lo ammetta: lei vuol farsi arrestare. "Al contrario: io mi voglio far assolvere. I miei detrattori dicono: "Tanto, ti danno la condizionale". Non hanno capito la battaglia. I miei avvocati Naso e Reboa chiederanno l’assoluzione ma se questo Stato decidesse che esiste il reato di lesa maestà, io non voglio né sospensione né appello. La sera del 21 vado in carcere. Così si accorgeranno tutti della follia. Tutto questo per aver pronunciato la parola "indegno"? Treccani lo definisce giudizio negativo e non insulto... Ma andiamo! Se uno critica rischia la galera? Devo reiterare il reato per smascherare l’anacronismo della punizione? Ma dove si va a finire?". Al fascismo? "Ecco brava. Può darsi. E dire che ogni giorno ricevo lezione di antifascismo dagli altri". Chi si è fatto vivo? "Mi sento solo rispetto alle istituzioni. Si son fatti vivi Gasparri e Fini, molti colleghi di Forza Italia, Giachetti del Pd e ieri, a sorpresa, Luxuria". Se la condannassero a più di due anni, decadrebbe da consigliere regionale. "Mi preoccupa di più la galera della poltrona". Basilicata: Sappe; interventi nelle carceri di Potenza e Matera e un direttore vero a Melfi Giornale Lucano, 8 ottobre 2014 Si sono concluse in Basilicata le visite ispettive nelle carceri regionali da parte del Sindacato Autonomo di Polizia penitenziaria. Donato Capece, segretario generale del Sappe, commenta: "Ho già partecipato ai vertici dell’Amministrazione Penitenziaria, nella persona del Vice Capo Luigi Pagano, quel che ho riscontrato nelle mie visite. Intanto ho chiesto di assegnare in pianta stabile un direttore al carcere di Melfi, visto che quello attuale è sempre in missione in altre sedi e un carcere non può andare avanti con una direzione ad intermittenza, talvolta presente solo dalle 20 alle 2 di notte. Come se non ve ne fossero, di problemi, a Melfi, a cominciare dalla consistente presenza di detenuti ad Alta Sicurezza. Ma a Melfi non c’è neppure un funzionario Comandante di Reparto, e tutto ricade sulle spalle del vice Comandante, un Ispettore che davvero fa i miracoli perché si garantiscono adeguati livelli di sicurezza. La realtà è che senza direttore e comandante il carcere è abbandonato a sé stesso e per questo ho sollecitato il Vice Capo del Dap ad intervenire con urgenza". Capece aggiunge di avere chiesto l’intervento dei vertici del Dap anche sulle carceri di Potenza e Matera, "dove mancano nell’organico del reparto di Polizia i quadri intermedi - Ispettori e Sovrintendenti - e di conseguenza si caricano di responsabilità i ruoli esecutivi, Assistenti Capo ed Assistenti. La mensa riservata ai poliziotti, poi, è da anni fatiscente e le stesse attrezzature di preparazione e cottura dei cibi sono rotte da molto tempo, senza però che nessuno si degni di ripararle. Ma a Potenza, come a Melfi e a Matera, mancano il vestiario per gli Agenti, non si è provveduto ancora a potenziare il parco automezzi della Regione nonostante i gravosi compiti che si svolgono anche fuori dagli istituti penitenziari, sul territorio, da anni non si fa una politica seria di formazione e aggiornamento professionale. Su tutto questo, ho sollecitato il Dap a muoversi con urgenza per sanare le criticità lucane". Ma il Sappe ritiene anche "sbagliato" accorpare con altre regioni il Provveditorato regionale dell’Amministrazione Penitenziaria di Potenza: "Deve essere garantito un presidio di sicurezza e di Polizia Penitenziaria che assicuri, a livello regionale, tutti i servizi fondamentali, dal trasporto dei detenuti ai piantonamenti negli ospedali, dal coordinamento delle politiche di sicurezza dei penitenziari a tutte le attività che concorrono alla sicurezza sociale dei cittadini e della Basilicata tutta". Roma: il ministro Orlando e Zingaretti (Regione) visitano il centro clinico di Regina Coeli Asca, 8 ottobre 2014 Una lunga visita al centro clinico del carcere romano di Regina Coeli rimesso a nuovo con attrezzature adeguate. Ad effettuarla nel pomeriggio di ieri il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti e il Ministro della Giustizia, Andrea Orlando. Nuove sale operatorie, infermeria e cucina realizzate grazie alla collaborazione tra Regione Lazio e Asl Roma A negli ultimi anni sono state apportate numerose azioni per migliorare le condizioni di vita e di salute dei detenuti. Il centro clinico, che eroga 80mila prestazioni all’anno, è stato recentemente dotato di importanti servizi (telemedicina e nuovi macchinari) che hanno migliorato la presa in carico dei pazienti e l’offerta sanitaria. Oggi, all’interno del Centro Clinico, ristrutturato e adeguato a seguire patologie chirurgiche, urologiche, ortopediche e odontoiatriche, sono attivi 8 posti letto post-operatori e 24 di degenza. Il centro conta su un blocco operatorio composto da due camere operatorie moderne e attrezzate per far fonte a tutte le esigenze mediche. I lavori finanziati dal Ministero hanno interessato anche i locali cucina, attrezzati per fornire vitto ospedaliero specifico per le diverse patologie da cui è affetto il detenuto. La Asl Rm A ha messo a disposizione del carcere il proprio personale, nutrizionisti e medici specialisti per la valutazione delle diverse esigenze nutrizionali e la predisposizione di diete personalizzate. Una iniziativa che viene realizzata per la prima volta in Italia in questo ambito. bet/mau Zingaretti: centro clinico Regina Coeli salto civiltà "Oggi si compie un grande salto di civiltà e di efficientamento di organismi diversi dello Stato che quando cooperano fanno la differenza. Si supera la condizione per cui i detenuti malati gravavano sulla macchina organizzativa carceraria e sul sistema sanitario regionale. Si è operato un efficientamento delle sale operatorie, post operatorie e di degenza che rende questa casa circondariale, la struttura più avanzata in Italia per l’assistenza carceraria". Così il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti in occasione dell’inaugurazione al centro clinico del carcere di Regina Coeli insieme al ministro della Giustizia Andrea Orlando. "L’inaugurazione - ha detto - è un tassello importante di una strategia, di una volontà di innovazione del modello sanitario. Innovare significa fare cose vecchie in modo nuovo, oltre a fare cose nuove. La prima cosa importante sarà dimostrare che il modello innovativo della sanità non si ferma alle porte di un carcere, ma non ha confini: entra nelle università, negli ospedali e lì dove c’è domanda di buona salute". "Quella di oggi - ha concluso Zingaretti - è una piccola grande innovazione di una macchina amministrativa che sta cambiando e trasforma il carcere di Regina Coeli in un modello nazionale di offerta sanitaria di buona salute". Costantino (Fns-Cisl): a Regina Coeli dati allarmanti "Da quanto ci risulta nel carcere di Regina Coeli ci sono varie problematiche strutturali, quali in seconda medicina, dove i detenuti non possono utilizzare le docce ma devono recarsi in altro reparto, quello oggi inaugurato di chirurgia. Da segnalare che alcune docce, dentro il nuovo reparto, risultano non funzionanti tanto da causare allagamenti in altri luoghi detentivi". Lo afferma in una nota Massimo Costantino, segretario regionale del Lazio della Federazione Nazionale Sicurezza della Cisl. "Nella sua prima visita al carcere di Regina Coeli - prosegue Costantino - il Ministro ha trovato la seguente situazione. 702 detenuti reclusi e 2 detenuti ricoverati presso strutture ospedaliere. Secondo i dati odierni i detenuti risultano essere +61 rispetto alla capienza regolamentare pari a 641 unità. Altro dato da tener presente ed in controtendenza rispetto alla rilevazione di Agosto che i detenuti presenti erano 639 mentre oggi risultano essere in aumento con un + 63 ristretti. 447 Unità di Polizia Penitenziaria, di cui 78 adibiti al Nucleo Traduzione e Piantonamento, previsti invece secondo Decreto del Capo Dipartimento del 27.06.204 n. 613 unità. Una carenza, quindi, di personali pari a meno 166 unità (-166 unità)". "Grande attenzione del Ministro per il Personale di Polizia Penitenziaria - conclude la nota - ricordando comunque che con tale struttura si costruisce un sistema penitenziario in linea con quanto previsto Costituzionalmente, con standard in linea con strutture ospedaliere esterne e utili a far si che scorte non escano dal carcere per espletare cure esterne che, invece, possono essere svolte in carcere". A Regina Coeli una struttura moderna e innovativa (www.romadailynews.it) È una scelta di civiltà che vuol dire tanto per le condizioni di vita e di salute dei detenuti. Oltre a migliorare i servizi e l’assistenza per i pazienti detenuti risparmiamo risorse e aumentiamo anche la sicurezza. Sanità penitenziaria: una struttura moderna e innovativa per i pazienti detenuti nel carcere di Regina Coeli di Roma. Il centro clinico del carcere, che eroga circa 80mila prestazioni all’anno, da oggi offrirà ai pazienti una serie di nuovi servizi. I lavori sono stati realizzati in collaborazione con la Asl Roma A. Ecco i nuovi servizi a disposizione nel centro: La telemedicina e i nuovi macchinari. Servizi importanti per migliorare le prestazioni, la presa in carico dei pazienti e l’offerta sanitaria. 8 posti letto post-operatori e 24 di degenza. Da oggi il centro è attrezzato per seguire e curare pazienti affetti da diverse patologie: chirurgiche, urologiche, ortopediche e odontoiatriche. Due camere operatorie moderne e attrezzate per far fonte a tutte le esigenze mediche. I nuovi locali cucina ,che sono stati attrezzati per fornire vitto ospedaliero specifico per le diverse patologie da cui è affetto il detenuto. Personale specializzato per la nutrizione dei detenuti La Asl Roma A ha messo a disposizione del carcere il proprio personale, nutrizionisti e medici specialisti che valuteranno le diverse esigenze nutrizionali dei detenuti e si occuperanno anche di preparare diete personalizzate. È la prima volta in Italia che viene realizzata un’iniziativa simile in questo ambito. Meno costi, più qualità dei servizi e più sicurezza. Il progetto della Asl mette insieme più aspetti: ottimizzare i costi, aumentare la qualità dei servizi offerti ai detenuti e garantire più sicurezza nel rapporto tra detenuto e personale di polizia Penitenziaria, soprattutto per la degenza e il trasporto del paziente detenuto sia in entrata che in uscita dalla struttura. Un tavolo al lavoro per affrontare tutte le eventuali problematiche. Coinvolgerà la Asl, l’amministrazione penitenziaria e il Garante dei detenuti e sta già elaborando nuove strategie e soluzioni con cui far fronte a tutte le problematiche sanitarie che potrebbero interessare il carcere. "La ristrutturazione del centro clinico del carcere di Regina Coeli è un tassello importante: finora gli interventi venivano fatti nella rete ospedaliera regionale, con tutto ciò che questo comporta in termini di sicurezza e per il detenuto. Ora, con il completamento di quest’opera, si compie una scelta di civiltà - lo ha detto il presidente, Nicola Zingaretti, che ha aggiunto: è una struttura che ora possiamo considerare tra le più avanzate in Italia". Imperia: Uil-Pa Penitenziari; 101 detenuti presenti, è record di sovraffollamento www.riviera24.it, 8 ottobre 2014 Non è possibile che il personale di Polizia Penitenziaria di Imperia resti abbandonato dalla sua stessa Amministrazione - la chiusura del Tribunale di Sanremo ha peggiorato tremendamente la situazione Sembrano oramai non interessare più a nessuno le condizioni dell’Istituto Imperiese, 101 detenuti presenti oggi , a fronte di una capienza di 69, ben sette (7) i nuovi giunti che solo nella giornata di ieri hanno fatto ingresso nell’Istituto - così - Fabio Pagani, Segretario Regionale della Uil-Pa Penitenziari, rilancia l’allarme e presenta la drammaticità e la realtà del carcere di Imperia. L’Istituto continua a vivere la piena emergenza, numeri, che in Liguria, segnalano in negativo il Record in Regione, sia in merito al personale di Polizia Penitenziaria ridotto oramai all’osso, stanco, stremato, impiegato in turni strazianti, turni di lavoro di otto ore anche senza mangiare - ora basta chiosa Pagani - il sindacalista della Uil-Pa Penitenziari che scrive al Provveditore Regione Liguria - chiedendo fortemente una urgente convocazione in merito alle problematiche della Casa Circondariale di Imperia - se non sarà così afferma Pagani - sarà protesta - non è possibile che il personale di Polizia Penitenziaria di Imperia resti abbandonato dalla sua stessa Amministrazione - la chiusura del Tribunale di Sanremo ha peggiorato tremendamente la situazione, è vero - soprattutto di notte - non va bene affidare le sorti dell’istituto ad appena 4 Poliziotti Penitenziari senza chiudere il Carcere - commenta il sindacalista della Uil-Pa Penitenziari - si spera che l’intera Amministrazione Penitenziaria, compresi Comandante e Direttore dell’Istituto, abbiamo compreso chiaramente la pericolosità e i forti rischi che l’istituto corre quotidianamente , soprattutto in termini di sicurezza, perché a rischio è - la sicurezza sociale - afferma Pagani - è giunto il momento che le Istituzioni, in Primis l’Amministrazione Penitenziaria diano il loro concreto contributo, trovino le soluzioni, prima che sia troppo tardi - non si comprende per quale motivo l’Amministrazione si ostini a non voler dedicare la Casa Circondariale di Imperia esclusivamente alla ricezione dei nuovi giunti, sino al momento della convalida, trasferendo i detenuti, ovvero sfollando l’istituto quando si toccano soglie come quella odierna 101 detenuti, garantendo ai presenti un trattamento ed un percorso rieducativo, così come previsto dalle normative vigenti e alla Polizia Penitenziaria miglior condizione lavorativa". Firenze: Brogi e Saccardi (Pd) visitano Sollicciano a un anno dal messaggio di Napolitano www.gonews.it, 8 ottobre 2014 Un gesto simbolico, ma anche un impegno che continua. Domani, a un anno esatto dal messaggio del Presidente Napolitano alle Camere sulle condizioni carcerarie, i consiglieri regionali del Pd tornano a sollevare l’attualità della questione e si recano in visita a Sollicciano. L’iniziativa è promossa da Enzo Brogi e Severino Saccardi, da anni impegnati su questi problemi. Con loro ci saranno altri quattro consiglieri regionali Pd: Vanessa Boretti, Daniela Lastri, Simone Naldoni e Marco Spinelli. "Purtroppo, dopo l’appello di Napolitano - scrivono Brogi e Saccardi in una lettera - le cose non sono molto cambiate. C’è bisogno di riaccendere i riflettori e per questo abbiamo scelto la giornata dell’8 ottobre come data simbolica". La visita al carcere di Sollicciano comincerà alle ore 10.30. Visite ispettive non programmate Domani, in occasione dell’anniversario del messaggio alle Camere del Presidente Napolitano, in alcuni istituti penitenziari della Toscana si terranno visite ispettive non programmate per valutare la situazione del pianeta carcere toscano. L’iniziativa è promossa dall’Associazione per l’iniziativa radicale "Andrea Tamburi" e vedrà la collaborazione dei Consiglieri regionali Boretti, Sgherri, Lastri, Taradash, Romanelli, Russo, Brogi, Naldoni e Saccardi. Giovedì 9 ottobre alle ore 12.45 presso la Sala stampa "Indro Montanelli" della Regione Toscana si terrà una conferenza stampa con tutti i consiglieri che hanno partecipato all’iniziativa radicale. Gela (Cl): Osapp, rubati cavi di rame delle linee telefoniche, isolata la Casa circondariale Adnkronos, 8 ottobre 2014 "La Casa circondariale di Gela è isolata perché sabato scorso le sono stati rubati i cavi in rame che garantiscono i flussi di comunicazione per le linee telefoniche e per il collegamento al web". A renderlo noto è il segretario generale aggiunto dell’Osapp, Domenico Nicotra, che sottolinea come "a distanza di giorni dal furto ancora niente è stato fatto per il ripristino delle linee". "Tra l’altro - prosegue - è impensabile lasciare un presidio di sicurezza, qual è una un reparto di Polizia penitenziaria, isolato dal resto del mondo. È auspicabile - conclude Nicotra - che la questione venga presto risolta e che per il futuro, in casi analoghi, siano attivate molto più tempestivamente le procedure per il ripristino di tutti i collegamenti". Rimini: pestato a sangue dagli altri detenuti, tunisino trasportato al pronto soccorso di Tommaso Torri www.riminitoday.it, 8 ottobre 2014 Violenta aggressione tra le celle del carcere di Rimini nel pomeriggio di martedì, salgono a quattro gli episodi simili in appena un mese. Violenta rissa tra detenuti extracomunitari nel carcere riminese dei "Casetti", nel primo pomeriggio di martedì, con un tunisino, H. F. le sue iniziali, che è stato portato al pronto soccorso dell’Infermi dall’ambulanza del 118. La violenta aggressione nei confronti del nordafricano è scattata verso le 14.30 quando, stando ad alcune indiscrezioni, alcuni detenuti hanno pizzicato il tunisino mentre rubacchiava nelle altre celle. Già da alcuni giorni, infatti, i reclusi lamentavano la sparizione di oggetti vari, come scarpe e sigarette, e quando hanno sorpreso il responsabile hanno deciso di fargliela pagare. I detenuti hanno quindi afferrato il bastone che sorregge la tenda della doccia e hanno massacrato di botte il tunisino, colpendolo ripetutamente al volto, prima dell’arrivo delle guardie carcerarie che hanno sedato la rissa. Il nordafricano è stato soccorso dal personale del 118, arrivato nel carcere con l’ambulanza, ed è stato trasportato d’urgenza all’Infermi dove non sarebbe comunque in pericolo di vita. Nell’ultimo mese salgono così a 4 gli episodi di violenza che si sono consumati all’interno dei "Casetti" e che, nei giorni scorsi, hanno visto anche i parlamentari Giulia Sarti (M5S) e Tiziano Arlotti (Pd) lanciare l’allarme per una situazione sempre più esplosiva. Ascoli Piceno: aggredì gli agenti, detenuto condannato ad altri 18 mesi di carcere Corriere Adriatico, 8 ottobre 2014 Un tunisino di 34 anni, detenuto nel carcere di Marino del Tronto per reati legati allo spaccio di sostanze stupefacenti è stato condannato a 18 mesi. Era stato arrestato cinque anni fa mentre stava cedendo delle dosi di droga che poi venne rinvenuta in quantità rilevante nella sua abitazione. Venne arrestato e successivamente sottoposto a processo al termine del quale riportò una condanna a 5 anni di reclusione. Condanna che poi venne confermata in appello per cui, essendo diventata definitiva, portò il tunisino in carcere. Mentre stava scontando la pena il tunisino si rese protagonista di un grave episodio di violenza all’interno del carcere. Era scattata l’ora d’aria. Prima che entrasse nel cortile due agenti di polizia penitenziaria si avvicinarono al tunisno per un controllo di sicurezza manuale servendosi del metal detector. Prassi richiesta dal regolamento interno al fine di evitare che qualche recluso nasconda un corpo contundente con il quale potrebbe ferire un altro detenuto. All’improvviso il tunisino non gradendo la cosa, per l’accusa si avventò sugli agenti aggredendoli entrambi con calci e pugni. Intervennero altri colleghi che bloccarono l’aggressore. Però gli assistenti capo furono costretti a recarsi in ospedale dove vennero entrambi refertati con una prognosi di guarigione di sette giorni. Ieri è stato condannato a 18 mesi di carcere. Torino: con “Ognuno ha la sua legge uguale per tutti” in scena studenti e detenuti La Voce, 8 ottobre 2014 Studenti e detenuti riflettono sulla giustizia portando in scena un lavoro teatrale dal titolo “Ognuno ha la sua legge uguale per tutti”. Con la regia di Claudio Montagna e la collaborazione della Compagnia Teatro e Società, il 25, 26, 27, 28 novembre, al teatro della Casa Circondariale di Torino, un gruppo di detenuti del Padiglione A e un gruppo di studenti universitari e delle scuole superiori, partiranno da casi reali per affrontare il tema della legge e di come viene percepita. “È diffusa - spiega il regista - una propensione proprio da parte dei più giovani a giudicare pesantemente, i comportamenti devianti. Ma chi giudica poi sa accettare fino in fondo le regole?”. L’evento fa parte del progetto Varianti dell’Esilio, realizzato da Teatro Società grazie al sostegno della Compagnia di San Paolo e con la partecipazione dell’Assessorato alla Cultura della Città di Torino. Nell’ottobre 2013 da Claudio Montagna e dalla compagnia teatrale Teatro e Società era stata allestita la rappresentazione teatrale “Cicatrici e Guarigioni” sulla giustizia riparativa. Il progetto Varianti dell’Esilio è realizzato da Teatro Società grazie al sostegno della Compagnia di San Paolo e con la partecipazione dell’Assessorato alla Cultura della Città di Torino. È condiviso operativamente dalla Direzione, dagli educatori e dagli agenti della Casa Circondariale Lorusso e Cutugno e dal Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Torino nell’ambito della Cattedra di Sociologia Giuridica. È seguito dall’Ordine degli avvocati; dal Comune di Torino nella figura della Garante dei diritti delle persone private della libertà; dall’Assessorato alle politiche sociali della Provincia di Torino. Svizzera: in Canton Ticino aperta una struttura per detenuti con problemi psichici www.ticinonews.ch, 8 ottobre 2014 Da ieri, martedì 7 ottobre 2014, in Ticino è operativa una struttura in grado di accogliere e ospitare temporaneamente i detenuti che necessitano di cure psichiatriche in fase di scompensi acuti. Si tratta di un progetto sviluppato in tempi brevi dal Dipartimento delle istituzioni e dal Dipartimento della sanità e della socialità, e riuscito con successo proprio grazie a una visione interdipartimentale. Tra gli obiettivi della legislatura 2012-2015 il Consiglio di Stato aveva indicato di voler risolvere il problema della presa a carico dei detenuti con gravi problemi psichici (scheda 55 Linee direttive e Piano finanziario 2012-2015). Diversi sono gli elementi che evidenziavano la difficoltà nel gestire persone che presentano disagi psichici, in particolare nei casi gravi, con le strutture ordinarie all’interno del penitenziario; da un lato si rilevava la mancanza di strutture di accoglienza adatte per il contenimento degli scompensi all’interno delle Strutture carcerarie cantonali, dall’altra la necessità non pianificabile di disporre personale adeguatamente formato nella presa a carico di queste particolari e sensibili casistiche. Per questo motivo e per volontà dei due Dipartimenti interessati, il 3 ottobre del 2012 il Governo ha istituito un gruppo di lavoro interdipartimentale - coordinato dal pretore Enrico Pusterla, presidente della Commissione giuridica della Legge sull’assistenza sociopsichiatrica cantonale - per analizzare la situazione, definire i casi in cui i detenuti con problemi e scompensi psichici richiedono di essere accolti in una struttura adatta, stabilire in tempi brevi una soluzione operativa e identificare una collocazione idonea. Il Gruppo di lavoro, composto da magistrati e tecnici, ha terminato il proprio mandato consegnando il rapporto conclusivo il 20 giugno 2013. Il rapporto ha permesso di confermare come le strutture esistenti non permettevano una risposta adeguata alla problematica. Da una parte le Strutture carcerarie cantonali erano l’unico posto chiuso in Ticino, però non disponevano di un comparto psichiatrico, né di personale specializzato. La gestione di queste casistiche gravava sugli agenti di custodia. Dall’altra la Clinica psichiatrica cantonale era ed è un luogo in cui si accolgono e curano pazienti con disturbi psichici; non era concepita né strutturata come un luogo di detenzione. Dopo attente valutazioni e analisi, il Gruppo di lavoro ha proposto di creare due camere securizzate presso la Clinica cantonale psichiatrica. Una soluzione attuata in tempi brevi e a costi contenuti. Le due camere, con tre posti letto, sono state ricavate all’interno della Clinica psichiatrica cantonale di Mendrisio nel rispetto delle esigenze del luogo di cura, garantendo nel contempo gli standard di sicurezza, che vanno dal rischio di evasione all’autoaggressione o via dicendo. Il controllo e la sorveglianza saranno garantiti 24h/24h dal Servizio Gestione Detenuti della Polizia cantonale abbinati ad assistenza medico-infermieristica. Quando questi spazi non saranno occupati da casi penali, la Clinica potrà gestire esuberi di ricovero accedendo a queste stesse camere, ovviamente rispettando la priorità per la quale sono state create. I detenuti ammessi nelle due camere sono pazienti che hanno già una condanna, in detenzione preventiva o con misure terapeutiche stazionarie e all’interno della nuova struttura riceveranno le cure di cui necessitano per i loro disturbi (Malattie psichiatriche dovute a disturbi organici, Schizofrenia, Sindromi affettive con scompensi maniacali o grave suicidalità, Disturbi di personalità). Inoltre, grazie al progetto, da quest’anno un’infermiera in salute mentale dell’Ospedale sociopsichiatrico cantonale è stata incaricata di seguire le persone detenute presso le Strutture carcerarie del Cantone Ticino a tempo parziale. Si apre una via di collaborazione e scambio tra due settore istituzionali, le Strutture carcerarie cantonali e la Clinica psichiatrica cantonali, sempre più spesso coinvolti in casi in cui sicurezza e malattia perdono il loro confine peculiare e definito. Si tratta di una prima proposta operativa di un progetto più ampio che fornisce una risposta concreta al problema. In quest’ottica, nel progetto di rifacimento delle Strutture carcerarie ticinesi si potrà pianificare la creazione di una struttura interna al carcere che permetta di risolvere adeguatamente la problematica. Il Cantone Ticino, a fronte di numeri e risorse ridotti, potrà sciogliere questo nodo unicamente facendo convergere le conoscenze e le capacità dei professionisti della cura e della sicurezza in uno spazio fatto di collaborazione e intenti comuni. Libia: liberati 24 detenuti accusati di collaborazionismo con il regime di Gheddafi Nova, 8 ottobre 2014 Sono 24 i detenuti liberati questa mattina dalle autorità libiche dopo quasi tre anni di detenzione nelle carceri di Tripoli con l’accusa di collaborazionismo con il passato regime di Muhammar Gheddafi. Lo riferisce il quotidiano libico "al Wasat". Si tratta di 19 cittadini ucraini, 3 bielorussi e 2 russi. "La libertà è una bella parola", ha dichiarato Vladimir Dolgov, uno degli ex detenuti russo su un noto social network. "La Russia ci ha liberati", ha detto Sergei Backov, il secondo cittadino di Mosca rilasciato quest’oggi. Entrambi erano stati condannati rispettivamente a 61 e 53 anni di carcere nel 2011.