Giustizia: populismo penale di Luigi Manconi Il Foglio, 7 ottobre 2014 Il caso Yara e la mediatizzazione della giustizia, con implicazioni su cui tutti dovrebbero riflettere. Nel noir tragico e senza fine che prende nome dalla vittima adolescente, Yara Gambirasio, i genitori di quest’ultima hanno introdotto un elemento di intelligenza e di razionalità, invitando l’indagato a riportare il contraddittorio processuale dai media alla sua sede propria. La considerazione sottesa a quest’invito - tanto ovvia quanto inconfutabile: i processi si fanno in tribunale e non sulla stampa - coglie un tratto essenziale del rapporto tra giustizia e informazione (non solo in Italia). Ovvero la spettacolarizzazione del processo, la cui scena si sposta sempre più in spazi "pubblici": e non perché questi siano espressione della sovranità statale, bensì perché indiscriminatamente proiettati su un palcoscenico perennemente in mostra. È qui la fonte dell’equivoco: pubblicità del processo significa, appunto, possibilità di conoscenza da parte di tutti i cittadini. Dunque, accessibile a chi voglia accedervi, non sottoposto a vincoli di segretezza o a limiti di riservatezza e, soprattutto, decifrabile nelle sue regole e nelle sue procedure. Ciò che, invece, va accadendo (e ormai da decenni) costituisce uno sviluppo in senso antidemocratico per la nostra giustizia, per l’informazione e per i diritti di ciascuno. Non a caso, questa spettacolarizzazione del processo si amplifica in occasione dei giudizi per i crimini più efferati. Proprio rispetto ai reati percepiti (o rappresentati) come di maggior allarme sociale, infatti, sembra più forte l’esigenza collettiva di una "sanzione informale" (quanto a natura e procedura, ma gravissima negli effetti) quale appunto la condanna pubblica e lo stigma sociale. Il processo per l’omicidio di Yara, in questo senso, ne è un esempio paradigmatico. Dai media abbiamo appreso della paternità naturale dell’indagato (da lui stesso ignorata), con effetti presumibilmente assai gravi per i sentimenti, le relazioni e, in generale, per la stessa esistenza sua e delle due famiglie coinvolte. Abbiamo appreso anche delle abitudini sessuali dell’indagato e di sua moglie; persino delle intemperanze del figlio minorenne, dal momento che sono stati pubblicati ampi stralci dell’interrogatorio di garanzia, pochissimi dei quali di interesse pubblico, come ha ben rilevato il Garante per la privacy Antonello Soro. Questa combinazione perversa tra indagini e media non ha solo l’effetto di mettere a nudo (ancora Soro) quanti (anche l’indagato, sì) siano coinvolti nel processo e di privarli di ogni legittima aspettativa di riservatezza. La ricerca del consenso sulle indagini e lo speculare impadronirsi, da parte dei media, della scena giudiziaria rischiano, infatti, di alimentare quel sostanzialismo e "populismo penale" di cui sono i principali promotori e attori, oltre che la più vistosa e deforme manifestazione. Campagne di stampa volte a dare un’identità, purchessia e il prima possibile, al "reo", rendono infatti, per il giudice, ancora più oneroso il suo dovere di indifferenza alle aspettative del pubblico (e quindi al consenso) sul suo "verdetto"; nella consapevolezza che, con la pena, "si infligge ciecamente destino" - scriveva Walter Benjamin. La storia del processo è, del resto, storia del potere e del suo codice politico: per questo la mediatizzazione della giustizia ha implicazioni su cui tutti devono riflettere. La tradizionale sottrazione del processo inquisitorio allo spazio pubblico, fino a due secoli fa, ne consentiva (e ne rappresentava) la soggezione agli arcana imperii. Era rito sottratto a ogni sindacato esterno perché modellato sull’infallibilità (e quindi insindacabilità) del giudizio divino, teso ad accertare una piena veritas, persino con l’indagatio per tormentum (la tortura, appunto definita giuramento di Dio). Alla segretezza della procedura si contrapponeva, del resto, la pubblicità della esecuzione penale (mimo della guerra e della festa, la definisce Nietzsche): ritualità liturgica e fasto teatrale. Oggi la pena, da arte di sensazioni insopportabili è divenuta "economia di diritti sospesi", spogliata della spettacolarità pedagogica ma, a volte, talmente chiusa nella totale soggezione del detenuto all’autorità, da occultare eventuali violazioni e abusi. Di contro, la pubblicità del "fair trial" - imprescindibile presupposto di equità e correttezza - richiede il ricorso al contraddittorio e a quei criteri di selezione che consentono, nel processo, di trarre dal materiale probatorio la verità (non storica, ma processuale). In assenza di tutto questo, il processo condotto sui media rischia di degenerare in una rappresentazione, un po’ deformante e da buco della serratura, delle "vite degli altri". Giustizia: riforma Renzi, fantastica dal lato simbolico, deludente da quello pratico di Giuliano Ferrara Il Foglio, 7 ottobre 2014 Ve ne sarete accorti. Questo giornale non ha alcun pregiudizio negativo sul governo Renzi, osserva con partecipazione la battaglia del Rottamatore contro il partito della noia, si rallegra nel veder cestinati alcuni polverosi tabù del passato e gode in un modo che voi umani neanche potete lontanamente immaginare nel veder rottamato giorno dopo giorno, passo dopo passo, l’anti berlusconismo, la sinistra delle tartine, il partito delle procure, la gauche al caviale e i talebani della Costituzione. Sappiamo bene che in Italia ci sono alcuni simboli che sono diventati come dei totem e che abbattere quei totem spesso vale più di una riforma. Sappiamo bene tutto questo. Ma sappiamo anche - perché siamo innamorati ma non del tutto fessi e accecati - che esistono alcuni campi in cui la battaglia simbolica non ha senso se l’accetta la si usa solo per tagliare un ramo e non per segare il tronco. Siamo andati a studiarci il dossier sulla riforma della giustizia e abbiamo scoperto che le cose per il governo non vanno molto bene. Seguite il filo. Il 29 agosto, quando il Consiglio dei ministri ha approvato la "storica" riforma della giustizia, il governo ha fatto la stessa cosa che solitamente fa con tutte le sue "grandi" riforme: la ciccia (processo penale, intercettazioni, responsabilità civile dei magistrati) nel disegno di legge delega e il resto (le molliche) nel decreto legge. Trentaquattro giorni dopo (dicesi trentaquattro) l’approvazione in Cdm la situazione è questa: la ciccia è ancora all’esame della Ragioneria di stato e il decreto molliche, ci permettiamo di chiamarlo così, esaminandolo con attenzione si presenta come un contenitore molto pregiato e seducente ma totalmente privo di contenuto. Il decreto a cui facciamo riferimento, per gli appassionati della materia, è il numero 132, "recante misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile", ed è il famoso decreto con il quale Renzi ha promesso che, come in un lampo, avrebbe ridotto i tempi della giustizia civile (oggi, in Italia, esistono 5,2 milioni di cause pendenti e il tempo medio per una sentenza civile di primo grado è di 945 giorni). Grazie al decreto numero 132 Renzi ha promesso dunque che il nostro paese otterrà una riduzione di un terzo dei tempi necessari per una sentenza di primo grado ma gli strumenti contenuti nel decreto ed esaminati in questi giorni dalla commissione Giustizia di Palazzo Madama sono tutto tranne che un blocco organico e rivoluzionario. In sostanza, il governo ha introdotto due forme alternative di risoluzione delle controversie per sgravare i tribunali da alcuni processi pendenti e limitare così il flusso di nuove cause. Primo strumento: il trasferimento ad arbitri della controversia pendente. Secondo strumento: il ricorso alla negoziazione assistita degli avvocati per evitare sia il processo sia l’arbitrato. Due buone idee se non fosse che, una volta esaminato il testo, si è scoperto il piccolo inganno: entrambe le forme di conciliazione sono grosso modo già esistenti nell’ordinamento ed entrambe le forme di conciliazione, come sanno tutti gli avvocati, hanno sempre fallito: anche considerando che nella stragrande maggioranza dei casi quando le parti arrivano a un processo hanno già tentato, in tutte le forme possibili, una mediazione attraverso i loro avvocati - e anche la negoziazione assistita, nei paesi in cui è stata già introdotta, non ha mai prodotto alcun tipo di risultato apprezzabile (secondo un recente rapporto del Senato francese, paese in cui la negoziazione assistita è in vigore dal 2010, in media il nuovo strumento ha generato la bellezza di sette procedure all’anno, in tutto il paese). Nel decreto, a parte questi due elementi, non c’è sostanzialmente nient’altro. Il ministro Orlando ha promesso che il governo presenterà altri disegni di legge volti a intervenire sulle regole processuali ma ancora, purtroppo, non si è visto nulla. Renzi - sulla giustizia così come sul resto - è stato molto bravo a utilizzare alcune norme simboliche per segnare una cesura con il passato e ci sono alcuni simboli che ovviamente valgono più di mille riforme (il garantismo, la presunzione di innocenza, il primato della politica sul partito delle procure). Anche il taglio delle ferie ai magistrati (da 45 giorni a un massimo di 30, che però ancora sono dei provvedimenti virtuali che non sono ancora stati sbloccati dalla Ragioneria) è un atto simbolico importante; ma andando poi a ripassare i contenuti del disegno di legge delega (lato processo penale) a parte la norma sulla responsabilità civile dei magistrati (sacrosanta) le altre norme, come ormai ammettono anche nel Pd, incidono quasi nulla. In alcuni casi, nel disegno di legge delega, si notano provvedimenti che sono al fondo degli assist ai magistrati (riforma dell’auto-riciclaggio, del falso in bilancio, della prescrizione). In altri casi si notano invece provvedimenti sui quali Renzi non ha ancora detto cosa pensa (sul dossier delle intercettazioni siamo tutti in trepidante attesa che il governo, come da richiesta di Renzi, riceva dai direttori dei giornali dei consigli su cosa fare. In altri casi ancora si notano invece i provvedimenti - che clamorosamente mancano all’appello (e la separazione delle carriere? E la riforma della custodia cautelare?). Il presidente del Consiglio ha promesso che entro la fine dell’anno verranno trasformati in legge i provvedimenti approvati dal governo. Nell’attesa Renzi ha chiesto ai cittadini di inviare i loro suggerimenti a una casella di posta elettronica dal nome piuttosto ambizioso: rivoluzione@governo.it. Il nostro auspicio è che da qui alla fine dell’anno la stessa casella di posta elettronica, sul terreno della giustizia, non sia sostituita da un meno rassicurante bruscolini@governo.it. Giustizia: l’introduzione dell’arbitrato nel civile richiede investimento sulla formazione di Cecilia Carrara Il Sole 24 Ore, 7 ottobre 2014 Il decreto legge sulla giustizia (Dl 132/2014), ora in corso di conversione parlamentare, punta a velocizzare il contenzioso civile. La relazione spiega che nonostante i miglioramenti nella classifica Doing Business della Banca mondiale sono urgentemente necessarie altre riforme "stante il dato del rilevantissimo contenzioso pendente". In altre parole, l’urgenza della riforma è data dal fatto che gli investitori stranieri non investono in Italia (anche) per lo stato in cui versa il contenzioso ordinario e quindi è essenziale migliorare questa percezione dell’Italia all’estero. Così, dopo una consultazione pubblica di appena un mese (in agosto), è stato pubblicato il Dl ai primi di settembre, senza che vi fosse il tempo (o la volontà?) di avviare un ponderato studio sugli interventi da adottare. Passiamo al merito del decreto. La riforma, in chiave deflattiva del contenzioso ordinario, introduce la possibilità di trasferire in arbitrato i procedimenti pendenti. È una forma inedita di arbitrato che avrebbe meritato più profonde riflessioni - magari in una modernizzazione della disciplina generale dell’arbitrato - per allinearla con le legislazioni straniere che hanno davvero consentito all’arbitrato di diffondersi come forma di contenzioso alternativo a quello ordinario, soprattutto per le controversie commerciali e internazionali (si pensi a Francia e Svizzera, e alle mancate potenzialità di business per l’Italia nel non riuscire ad attrarre questi arbitrati). La frettolosità della riforma comporta criticità per questo nuovo arbitrato endoprocedimentale. In primis, l’incompiutezza della disciplina della "traslatio", in primo grado e in appello, solleva interrogativi che minano l’attrattività stessa di questo strumento. Poi la riforma riserva la nomina del collegio arbitrale, in assenza di scelta delle parti, al Presidente del Consiglio dell’Ordine locale, soggetto che non sembra indicato per questo ruolo. La nomina degli arbitri è il passaggio più importante in un arbitrato: questo aspetto non dovrebbe essere oggetto di concessioni per ragioni di interesse politico. E se la riforma vuole attrarre investimenti stranieri, ciò pare in contrasto con il fatto che la scelta degli arbitri sia rimessa a un organo privato dell’avvocatura a carattere locale e senza specializzazione in materia arbitrale. Criticabile è inoltre il requisito per gli arbitri di essere iscritti all’albo del circondario da almeno tre anni. Sono restrizioni senza ragione, e che non trovano paragone nella migliore prassi arbitrale straniera. Ma soprattutto, le parti che hanno già una causa pendente perché dovrebbero traslarla davanti a un collegio arbitrale? È proprio questo che la riforma non chiarisce, perché non si cura in realtà dell’arbitrato in se, ma persegue solo lo scopo di "togliere cause dal ruolo". Ancora, per favorire la risoluzione delle controversie in via stragiudiziale si introduce la negoziazione assistita da un avvocato, che è condizione di procedibilità per le cause in materia di risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti e per le domande di pagamento a qualsiasi titolo di somme non eccedenti 50mila euro. Desta perplessità la parziale sovrapposizione con la mediazione: il legislatore, invece di potenziare il ricorso alla mediazione, propone un’altra forma di Adr, con ciò rischiando di non vedere né la mediazione diffondersi, né la negoziazione assistita affermarsi. Come per l’arbitrato, condizione per il successo di queste forme di Adr è il diffondersi di una diversa cultura fra gli avvocati, obiettivo che però si può raggiungere solo con un investimento sulla formazione più che con gli slogan sull’importanza dell’avvocatura. Chiudiamo con le note positive. Bene le norme per limitare i casi in cui il giudice può compensare le spese del processo e la previsione di uno speciale tasso moratorio dopo l’instaurazione della causa La lunghezza del processo, unita a interessi legali e spese di giustizia basse, favorisce comportamenti poco virtuosi dei convenuti che, pur sapendo di avere torto, scelgono di resistere in giudizio: il processo diventa "una forma di finanziamento al ribasso". Positivo, quindi, l’incremento del saggio di interesse di mora durante la pendenza della lite, che è stato allineato a quello in tema di ritardo dei pagamenti nelle transazioni commerciali, e il richiamo a un più severo utilizzo del principio "chi perde paga". Bene anche la riduzione del termine di sospensione feriale, che sopravviveva anacronisticamente. Giustizia: intervento del ministro Andrea Orlando alla conferenza Onudc di Vienna www.giustizia.it, 7 ottobre 2014 VII Conferenza degli Stati parte della Convenzione delle Nazioni Unite sul crimine organizzato transnazionale. Vienna - 6-10 ottobre 2014. Intervento del Ministro della Giustizia, On. Andrea Orlando. "Signor Presidente, Signor Direttore Esecutivo, Ministri e Capi Delegazione, Autorità, Signore e Signori, Desidero salutare e ringraziare il Presidente uscente della Conferenza delle Parti, Ambasciatore Budiman (Indonesia) ed il Presidente entrante, Ambasciatore Istrate (Romania). Vorrei anche salutare con sentimenti di gratitudine il Direttore Esecutivo Fedotov e tutto l’Ufficio che egli dirige per il prezioso lavoro preparatorio di questa Conferenza. Mentre mi associo completamente al discorso pronunciato dall’Unione Europea, vorrei fare alcune osservazioni a titolo nazionale. L’Italia, come Stato Parte della Convenzione e dei tre Protocolli, auspica sinceramente che i lavori di questa Conferenza ci facciano compiere sostanziali passi avanti verso la completa ed universale applicazione dei quattro strumenti. Tali progressi paiono quanto più auspicabili in vista di due importanti appuntamenti della comunità internazionale nel 2015: la tredicesima edizione del Congresso Crimine, in Qatar, e la definizione dell’agenda dello sviluppo post-2015. Siamo convinti dell’importanza politica e dell’urgenza di rafforzare la cooperazione internazionale contro il crimine organizzato, il terrorismo e la pirateria, anche alla luce dell’attuale congiuntura internazionale. Il grave fenomeno del traffico di migranti nel Mediterraneo, poi, richiede una ferma e sistematica azione di contrasto, da conseguirsi prima di tutto attraverso una leale e costruttiva cooperazione giudiziaria e di polizia tra le Autorità di tutti i Paesi coinvolti dalle rotte di questo disumano traffico illegale. È necessario allargare lo spettro della nostra cooperazione - a cominciare da un maggiore scambio di informazioni e dati tra le Autorità Giudiziarie e di polizia - nonché rafforzare i sistemi giudiziari di tutti i Paesi del Mediterraneo e dell’Africa subsahariana. Siamo convinti che l’Untoc ed il suo Protocollo sul traffico di migranti costituiscano la migliore base giuridica in questo contesto. Siamo altrettanto convinti che Unodc, nel suo ruolo di Segretariato della Convenzione, svolga un ruolo fondamentale per la lotta al traffico di migranti, anche tramite le ben note ed apprezzate iniziative di assistenza tecnica. Siamo consapevoli del ruolo rilevante svolto in questo ambito anche dagli Istituti della rete del programma delle Nazioni Unite per la prevenzione del crimine e la giustizia penale. Vorrei al riguardo sottolineare, con gratitudine, le attività dei tre Istituti che hanno sede in Italia (Unicri, Isisc e Ispac). Ritengo di poter esprimere grande soddisfazione per l’ottimo risultato recentemente raggiunto dagli Stati Membri nell’ambito della Convenzione di Palermo rispetto alla precedente sessione: la definizione di "Linee Guida Internazionali per il contrasto al traffico di beni culturali" offre infatti uno strumento molto utile ed efficace per applicare la Convenzione nel contrasto ad una tipologia criminosa di particolare sensibilità per l’Italia. Auspico in tal senso la più ampia e generalizzata applicazione di tale strumento dopo la sua formale adozione da parte dell’Assemblea Generale. Avvertiamo però l’urgenza di progredire verso una efficace revisione dell’attuazione della Convenzione di Palermo e dei suoi tre Protocolli. Ad oltre dieci anni dall’entrata in vi-gore dell’Untoc, manca purtroppo un quadro completo delle sfide e delle difficoltà da affrontare, che continuano ad ostacolare la piena applicazione, a livello nazionale e regionale, di questi quattro strumenti giuridici. In questo quadro, invito caldamente tutti gli Stati Membri a considerare con favore e senso di responsabilità le proposte avanzate dal nostro Paese per individuare possibili soluzioni, ispirate al pragmatismo ed al buon senso. Ringrazio tutte le delegazioni ed i Gruppi Regionali per la collaborazione che abbiamo ricevuto nel corso dell’ultimo anno, che ci ha consentito di elaborare proposte concrete volte a superare lo stallo purtroppo registratosi nel 2012, nonostante i lodevoli sforzi compiuti dal Messico. Auspico sinceramente che gli Stati Membri vogliano soste-nere le proposte avanzate nella risoluzione presentata as-sieme alla Francia, all’Austria ed al Messico, tese a: a. avviare una raccolta graduale e sistematica delle informazioni sull’applicazione della Convenzione e dei tre Protocolli; b. migliorare l’attività dei Gruppi di Lavoro stabiliti dalla Conferenza, in modo da garantire un migliore uso delle ri-sorse ed avviare finalmente un esame approfondito, su base tematica, dell’applicazione della Convenzione e dei suoi Protocolli; c. riprendere la discussione formale, in seno ad uno dei Gruppi di lavoro, sulla definizione del meccanismo di revisione incentrato sull’attuazione della Convenzione da parte di ciascun Paese; d. progredire nel riconoscimento del rilevante ruolo della società civile nella piena applicazione dell’Untoc e dei Protocolli. Proprio quest’ultimo aspetto, e mi avvio a concludere, mi offre lo spunto per sottolineare l’importanza - talvolta decisiva - che la partecipazione delle forze vive della società può avere per sconfiggere il crimine organizzato. È un dato centrale della nostra esperienza nella lunga lotta alla mafia, che non può ancora dirsi conclusa. Colgo quindi l’occasione per invitare tutti i presenti ad assistere alla presentazione, a cui parteciperà anche il Direttore Esecutivo Fedotov, del documentario sulla vita dei giudici italiani Falcone e Borsellino, realizzato dalla Radio Televisione Italiana in collaborazione con la "Fondazione Falcone" di Palermo. Tale iniziativa costituisce uno dei tanti esempi concreti del ruolo chiave della società civile nella prevenzione e nel contrasto al crimine organizzato transnazionale e, quindi, alla piena diffusione dei contenuti e dei principi della Convenzione di Palermo. Vi ringrazio dell’attenzione e auguro buon lavoro ed eccellenti risultati a questa settima sessione della Conferenza". Giustizia: 007 Operazione Farfalla di Lirio Abbate L’Espresso, 7 ottobre 2014 L’ultimo giallo: uno dei confidenti dei servizi segreti messo in cella con il boss Iovine. Quello della "Farfalla" è un segreto vecchio di dieci anni, ma che potrebbe avere proseguito il suo volo misterioso fino a oggi. Il "protocollo farfalla", l’operazione con cui gli 007 hanno pagato otto mafiosi detenuti per ottenere informazioni, ufficialmente risale al 2004. L’accordo, siglato fra i vertici dell’amministrazione penitenziaria, il Dap all’epoca diretto da Giovanni Tinebra, e il Sisde guidato da Mario Mori, adesso è emerso nel processo d’appello all’ex capo del Servizio, accusato di non aver effettuato il blitz che per i pm avrebbe portato nella metà degli anni Novanta all’arresto di Bernardo Provenzano. Il procuratore generale di Palermo, Roberto Scarpinato e il sostituto Luigi Patronaggio, hanno depositato questi documenti, spiegando che "il punto critico di tale accordo è la mancanza di un controllo di legalità da parte della magistratura, unico organismo preposto alla gestione dei collaboratori dì giustizia". Un protocollo riservatissimo con gli irriducibili delle mafie: tanti soldi, provenienti dai fondi riservati dei Servizi, in cambio di informazioni. Per questa operazione sono stati ingaggiati Cristoforo Cannella, uno dei sicari della strage Borsellino, e altri nomi di primo piano di Cosa nostra. Dai palermitani Vincenzo Buccafusca e Salvatore Rinella, di Trabia (Palermo), al catanese Giuseppe Maria Di Giacomo. Gli 007 si sono presentati anche nelle celle del camorrista Modestino Genovese e dello ‘ndranghetista Antonino Pelle. Un nome fra questi ci porta all’attualità. Si tratta di Rinella: arrestato i a Palermo a fine 2003 dopo una lunga latitanza, era vicino a Provenzano. La moglie del mafioso, Antonella Scaletta, alcune settimane dopo l’arresto, come apprende "l’Espresso", incontra in carcere il marito e il colloquio è intercettato dai carabinieri. La donna spiega a bassa voce, nel tentativo di non farsi sentire dagli investigatori che ascoltavano, che aveva ricevuto a casa la visita di "un ex carabiniere, passato ai servizi segreti" che evidentemente entrambi già conoscevano, il quale gli ricordava che "loro erano a disposizione" e invitava la donna a riferire il messaggio al boss. Secondo i documenti, il detenuto ha iniziato a fare il confidente dei Servizi, ma non si sa quali notizie abbia passato. Potrebbe aver proseguito la collaborazione con gli 007 fino ad oggi? Nel febbraio 2013 Rinella, come scrive "La Nuova Sardegna", viene trasferito in silenzio, "quasi alla chetichella ", nel carcere di Badu ‘e Carros a Nuoro. Fino a quel momento in questo istituto c’era un solo detenuto sottoposto al 41bis, rimasto in isolamento per un lungo periodo. È un recluso speciale: Antonio Iovine. Il padrino dei casalesi trascorre quasi un anno fianco a fianco del confidente Rinella, che potrebbe essere stato utilizzato come agente provocatore. Sta di fatto che a maggio dello scorso anno Iovine inizia a collaborare con la giustizia. Un pentimento, però, che lascia ancora oggi perplessi i magistrati della procura antimafia napoletana. Finora i pm partenopei hanno raccolto lunghe dichiarazioni dal boss casalese, che in gran parte confermano ciò che avevano già scoperto senza l’aiuto del pentito. Tutte cose che Iovine fino adesso ha solo confermato. Giustizia: processo Cucchi; per l’avvocato di parte civile "Stefano è morto di tortura" Tm News, 7 ottobre 2014 "Stefano è morto di dolore. E come facciamo a slegare questo dolore dalle percosse subite? È morto di tortura per le sofferenze che gli sono state inflitte. Dire che non è morto per le lesioni è ipocrita". Così ha detto l’avvocato Fabio Anselmo nel corso del suo intervento al processo d’appello per la morte di Stefano Cucchi. Il legale assiste la famiglia del giovane ed è parte civile nel processo bei confronti degli agenti della penitenziaria imputati, avendo ritirato ufficialmente la scorsa udienza la costituzione nei confronti degli imputati medici e infermieri del Pertini, dopo l’accordo con l’ospedale per un risarcimento dei danni. "Che Stefano sia stato vittima di un pestaggio compiuto nelle celle del tribunale appartiene alla verità storica e dovrà appartenere alla verità giudiziaria - ha detto ancora Anselmo. E che Stefano non sarebbe morto senza quel pestaggio è aderente logicamente a quanto successo. Prima della sua morte fu visto da 140 persone, e nessuno gli ha chiesto nulla delle sue condizioni". Per il penalista "è incedibile come i tre imputati agenti sono sempre stati zitti. Lo hanno visto, l’hanno scortato, l’hanno aiutato dopo l’udienza, e non hanno detto neppure una parola. Lui, Stefano, ormai non può dire chi è stato a pestarlo, dobbiamo dirlo noi. Pare come il gioco "lo schiaffo del soldato", dove l’autore non viene scoperto ma rotea solo il dito". Riguardo a Samura Yaya, il gambiano detenuto insieme con Stefano che ha raccontato di aver sentito il pestaggio, l’indicazione è chiara: "Le modalità del suo racconto - ha detto Anselmo - sono un atto d’accusa formidabile nei confronti degli agenti". Il pestaggio, comunque, "non fu preordinato né premeditato; fu un pestaggio d’impeto". Teste: lo vidi "pestato" fuori aula udienza convalida C’è un avvocato che, trovandosi per caso davanti all’aula di udienza dove fu convalidato l’arresto di Stefano Cucchi - il geometra romano arrestato per droga nell’ottobre 2009 e morto una settimana dopo nel reparto detenuti dell’Ospedale Pertini di Roma - vide il giovane in condizioni tali da far pensare a un "pestaggio subito". È la novità emersa oggi nel corso dell’intervento del legale di parte civile, Fabio Anselmo, nel processo d’appello. Il penalista ha chiesto l’acquisizione al fascicolo processuale di una lettera/mail inviata dall’avvocato Maria Tiso (della quale ha chiesto anche l’audizione) dopo la fine del processo di primo grado e nella quale ha illustrato quanto visto in occasione di quell’udienza di convalida. Vide Stefano arrivare in aula in stato di arresto, scortato. "Di corporatura esile - si legge nella lettera - aveva il volto, ed in particolare gli occhi, estremamente arrossato e gonfio, come recante delle tumefazioni. Era come se sotto gli occhi avesse quelle che in gergo comune sono individuate come "borse" gonfie e di un colore tendente al violaceo. Aveva un’aria di sicuro molto "provata". Mentre si dirigeva abbastanza lentamente verso l’aula di udienza, mostrava difficoltà nel camminare; appariva come irrigidito nella coordinazione della deambulazione e se non ricordo male, non sollevava del tutto i piedi da terra ma sembrava trascinarli in avanti ad ogni passo". I "segni", questi, del "pestaggio" che, secondo la parte civile, sarebbe avvenuto prima dell’udienza di convalida dell’arresto di Stefano Cucchi. Circostanza cronologicamente diversa da quella indicata dal Pg Mario Remus, il quale la scorsa udienza, sposando la tesi del pestaggio, l’ha indicato come avvenuto dopo l’udienza di convalida dell’arresto. Lettere: scrivo a riguardo al tema delle carceri sovraffollate… di Emilio Noaro (Presidente Movi Veneto) Ristretti Orizzonti, 7 ottobre 2014 "Cella troppo piccola, detenuto albanese risarcito". Bitonci va all’attacco "Il ministro ci spieghi perché con le tasse paga un criminale". Scrivo perché non posso tacere, sarebbe un cadere "nel silenzio degli onesti". Sono combattuto di fronte a tale scempio. Noi italiani oltre ad accogliere, ospitare, prestar "terreno Italiano" a chi la delinquenza già la pratica nella sua terra di origine, dobbiamo anche sorbirci l’onere delle spese di riparazione verso cose e persone, pagare processi, carceri e messe alla prova senza che lo stato di provenienza concorra a spese o compartecipi ad azioni riparatorie. La beffa è doppia, tripla: la vittima subisce un danno, lo stato risarcisce il delinquente, e noi Italiani paghiamo carcere, risarcimento e forse cure della vittima! Tuttavia vorrei rispondere al sig. Sindaco di Padova, ricordargli che personaggi appartenenti alle istituzioni e che occupano posti importanti come il Suo dovrebbero dare l’esempio e cioè salvaguardare con particolarità ai diritti civili di ogni individuo, chiunque esso sia, senza alcuna discriminazione. Il nostro primo cittadino deve anteporre le ideologie del proprio partito adempiendo alle direttive dettate dalla Corte Europea sui diritti dell’uomo nei confronti dello Stato Italiano. Chi non rispetta i diritti dei criminali non rispetta i diritti degli uomini. Certamente il condannato deve espiare la condanna fino all’ultimo giorno ma bisogna che vengano rispettate le regole imposte dal nostro ordinamento penitenziario e dalla Corte Europea. Se non erro l’Italia è già stata condannata 367 volte in un solo anno per violazioni dei diritti civili contro le condizioni disumane in cui i reclusi, gli imputati, i condannati, gli internati, sono costretti a vivere. Parliamo di persone, delinquenti che sono costretti a vivere ammassati in una cella, "cameroncini" che molto spesso "contengono" 6/7 anche 8/10 persone, con materassi buttati per terra, in base al flusso di come arrivano, senza toccare il tasto ancora peggiore: persone senza alcuna patologia costrette a condividere la cella con altri affetti da pluri-patologie infettive: Tbc, Hiv, epatiti e infezioni varie, oppure fumatori con non fumatori, gruppi appartenenti a diverse etnie. Ognuno di noi, e con particolarità Lei come primo cittadino, dovremmo ascoltare il grido di allarme e di aiuto che chiede continuamente il responsabile del sindacato di polizia penitenziaria. Al condannato che è ristretto in carcere gli viene tolta la libertà ma non deve essere negata la dignità, questo rientra nei proprio diritti. Ugualmente il corpo di polizia penitenziaria deve essere messo nelle condizioni idonee a svolgere il proprio delicato lavoro. Lo Stato, e coloro che lo amministrano, dovrebbe garantire i diritti ad ogni cittadino sia recluso che non. Non è retorica ricordare che un paese civile si riconosce anche in un carcere civile, il quale non dev’essere una discarica dove gettare gli "errori" della società. Ricordiamoci inoltre, non fosse solo per l’art. 27 dell’ordinamento penitenziario, che la pena deve essere finalizzata ad un trattamento rieducativo del condannato. A ognuno di noi, allora, la scelta: "buttar via le chiavi" o ritrovarci a convivere con persone uscite dal carcere molto più arrabbiate di quando vi sono entrate. E bando ai finti moralismi: ognuno di noi se rinchiuso in una gabbia per anni e sottoposto a trattamenti disumani perderebbe molti dei suoi buoni principi. Prima di aizzare i cittadini contro gli scempi della legge domandiamoci come mai siamo arrivati ad una giustizia che non è riparatoria ma che crea individui più incazzati di prima. Friuli Venezia Giulia: iniziative del Garante regionale dei detenuti a Palmanova e Trieste Agi, 7 ottobre 2014 Dopo esser entrato a settembre nelle funzioni di Garante regionale delle persone private della libertà, a dimostrazione che le problematiche nei luoghi di detenzione richiedono costantemente l’attenzione di un’urgenza, l’impegno dell’Ufficio è entrato immediatamente nella finalità del suo mandato. Così Pino Roveredo ha illustrato ai responsabili del Ser.T. di Palmanova e Trieste le proposte contenute nel programma e successivamente ha incontrato il direttore e gli educatori delle carceri di Tolmezzo e Trieste e ha avuto i primi contatti con i Garanti comunali della regione. Nella Casa circondariale di Trieste e nel carcere di Tolmezzo, per la quantità di domande inoltrate, Roveredo ha avuto approfonditi incontri con i detenuti dei due istituti. Incontri che, sempre per l’urgenza della richiesta, si ripeteranno nei prossimi giorni. Oltre a diversi interventi su radio, televisioni e quotidiani per illustrare l’impegno dei Garanti regionali, Roveredo ha avuto l’opportunità di recarsi al carcere di Badu e Carros di Nuoro, dove dai colloqui con i detenuti di media e alta sicurezza ha potuto raccogliere informazioni e stati d’animo che riflettono le carenze dei nostri istituti di pena. Nell’occasione ha anche attivato i primi contatti con le "vittime del reato" che, come da programma, sono tra le priorità del suo mandato. Basilicata: nelle carceri situazione allarmante, autolesionismi e 20% di tossicodipendenti Ansa, 7 ottobre 2014 "Ogni quattro giorni nelle carceri della Basilicata c’è un evento critico: dal detenuto che si lesiona il corpo con una lametta a quello che tenta il suicidio, dalle colluttazioni ai ferimenti": lo ha detto il segretario generale del Sappe (Sindacato autonomo polizia penitenziaria), Donato Capece, che oggi e domani visiterà gli istituti di pena lucani, la cui situazione ha definito "allarmante". Secondo dati resi noti da Capece, dall’inizio del 2014 al 30 giugno "nelle carceri della Basilicata - dove sono detenute 428 persone - si sono contati 22 atti di autolesionismo: tre a Matera, uno a Melfi e 18 a Potenza. In Basilicata - ha aggiunto - un detenuto su cinque è tossicodipendente (94 uomini e tre donne, pari ad una media del 20 per cento dei presenti). Si passa da una percentuale minima del 12,61 per cento a Melfi al 29,19 per cento di Potenza". Campania: Gabriele (Psi); a Poggioreale situazione migliorata, ma tenere alta l’attenzione Il Velino, 7 ottobre 2014 Questa mattina il radicale Luigi Mazzotta, e il consigliere socialista della regione Campania, Corrado Gabriele, hanno condotto una visita ispettiva nei padiglioni San Paolo e Avellino del carcere di Poggioreale. Al Velino Campania, Gabriele ha rilasciato alcune dichiarazioni in esclusiva: "Dal punto di vista del sovraffollamento il padiglione San Paolo è migliorato ma l’attività di monitoraggio è insufficiente", ha esordito Gabriele sulle condizioni del centro clinico. Poi ha aggiunto: "Le persone vanno seguite giorno per giorno anche nei piccoli interventi. Il servizio sanitario regionale dovrebbe riaprire la sala operatoria del carcere per evitare costi elevati per le traduzioni in ospedale. Ad oggi abbiamo in un mese quasi 52 traduzioni giornaliere, un numero enorme e il costo per la convenzione con le ambulanze è altissimo". Migliori impressioni sono state raccolte sulle condizioni del padiglione Avellino: "Il fatto positivo è che nel padiglione Avellino non ci sono più di quattro detenuti per cella e almeno il livello minimo di tre metri quadri a detenuto è al momento garantito". "Bisogna fare di più però - ha aggiunto Gabriele - ma l’idea positiva che abbiamo riscontrato nel direttore è quella di raddoppiare il numero di ore d’aria per alcuni padiglioni che possono farlo avendo lo spazio esterno. Questo va bene ma serve ancora tantissimo e non bisogna spegnere i riflettori sul 1.834 detenuti, di cui oltre 1.000 in attesa di giudizio e ci sono almeno una dozzina di ammalati che non dovrebbero stare qui dentro ma in ospedale. Abbiamo preso i nominativi e li seguiremo ma per privacy al momento non li divulghiamo". Un cenno ai maltrattamenti, un tempo denunciati ai danni dei detenuti: "Non ci hanno segnalato maltrattamenti, la situazione è cambiata e anche il numero più basso di detenuti favorisce una migliore convivenza. Comunque il direttore Antonio Fullone, con cui abbiamo parlato nel corso della visita, ha dimostrato grande attenzione e può fare molto". Infine, Gabriele ha illustrato alcune novità destinate a favorire il reinserimento dei detenuti: "Ci sono alcuni corsi di formazione che stanno partendo per muratori, elettricisti e altri mestieri. La situazione sta migliorando ma serve sempre tenere alta l’attenzione". Cagliari: Socialismo Diritti Riforme; apertura nuovo carcere Uta (forse) entro novembre Ansa, 7 ottobre 2014 "Nuova presunta scadenza per l’apertura del nuovo carcere in fase di realizzazione nell’area industriale di Cagliari in territorio di Uta. Saltato l’appuntamento di settembre, la nuova data è quella tra il 27 di ottobre e il 15 novembre prossimi. Nell’arco di 20 giorni avverrà il trasferimento dei detenuti e degli uffici per rendere operativo il sistema entro dicembre". Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione "Socialismo Diritti Riforme", esprimendo "perplessità sulla concreta possibilità che possano diventare agibili in così breve tempo gli edifici del Villaggio Penitenziario di Uta". "È evidente che il Ministero vuole portare a compimento un percorso - sottolinea - avviato male e condotto ancora peggio. Le vicende degli operai pagati a singhiozzo e in costante agitazione hanno determinato uno scetticismo generalizzato così come le notizie in merito alle infiltrazioni d’acqua dal tetto e l’allagamento dei sotterranei in caso di pioggia. Un’accelerazione deriva anche dal fatto che il Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria deve ridurre i costi con la necessità di utilizzare al più presto una parte dei locali dello storico edificio del viale Buoncammino. Se non saranno liberate le stanze dell’attuale sede di via Tuveri entro dicembre si dovrà procedere a rinnovare un contratto d’affitto evidentemente molto oneroso. Non a caso infatti alcuni documenti d’archivio del Prap sono stati trasferiti nell’edificio della Direzione del carcere cagliaritano". "Resta comunque da verificare quando sarà consegnata la relazione di fine lavori e in che modo - conclude la presidente di Sdr - sarà gestita l’intera fase del trasferimento in un momento in cui anche gli Uffici amministrativi sono a pieno regime per i conti di fine anno. Per adesso c’è solo ancora un’ipotesi". Oristano: il nuovo carcere di Massama diventerà di massima sicurezza, contestazioni Pd Agi, 7 ottobre 2014 Il nuovo istituto penitenziario di Oristano a Massama si appresta a diventare un carcere di massima sicurezza. Un decreto del ministero di grazia e giustizia emanato lo scorso 2 settembre stabilisce che la struttura carceraria oristanese sia riservata esclusivamente ai detenuti in regime "ex 41 bis", mafiosi e camorristi sottoposti a rigidi controlli. A rivelare l’intenzione del ministero e a contestarla duramente sono stati stamane i consiglieri regionali oristanesi del Pd Antonio Solinas e Mario Tendas che hanno già presentato un’interrogazione al presidente della Giunta regionale Francesco Pigliaru, chiedendo un suo immediato intervento che includa il coinvolgimento dei parlamentari sardi. "Secondo il disegno del ministero, a Massama si chiuderà la sezione destinata ai detenuti locali e, quindi, verrà meno il principio della territorialità della pena", ha dichiarato Solinas, che ha evidenziato come si perderanno anche i progetti finanziati dalla Regione per l’alternanza pena/lavoro in cui sono già coinvolti reclusi di Massama, impegnati negli scavi archeologico di Mont’e Prama a Cabras (Oristano) e in attività agricole in aziende del circondario. Solinas ha rilanciato i timori mai sopiti di possibili infiltrazioni mafiose nell’Oristanese, a causa della presenza dei detenuti con un regime di controllo così elevato. Tendas ha manifestato l’esigenza di mobilitarsi subito contro il provvedimento del ministero: "Il decreto entrerà in vigore entro il 3 novembre", ha spiegato il consigliere regionale. "Dobbiamo fare di tutto per bloccarne l’attuazione". Tendas ha riferito che a Massama è già cominciato il trasferimento dei detenuti comuni. Complessivamente nel nuovo carcere a settembre erano presenti 302 detenuti, a fronte di 266 posti previsti: una situazione di sovraffollamento denunciata la scorsa settimana dalla presidente del movimento Socialismo Diritti e Riforme, Maria Grazia Caligaris. Roma: firmato Protocollo per attuazione Carta servizi sanitari del carcere di Regina Coeli Agenparl, 7 ottobre 2014 Garantire il diritto alla salute degli oltre 600 detenuti reclusi a Regina Coeli con l’implementazione delle disposizioni contenute nella Carta dei servizi sanitari per i ristretti dello storico carcere romano. È quanto prevede il Protocollo d’intesa, volto a garantire la piena operatività della Carta dei servizi sanitari, firmato dal Garante dei detenuti Angiolo Marroni, dal Direttore Generale della Asl RmA Camillo Riccioni e dalla direttrice di Regina Coeli Silvana Sergi. Nella Carta dei servizi sanitari (approvata dalla Asl con Delibera n. 235/2013) sono riepilogate le prestazioni di prevenzione, diagnosi e cura cui hanno diritto i detenuti di Regina Coeli, sulla base degli obiettivi generali di salute e dei livelli di assistenza stabiliti dalla Regione, oltre alle modalità e alla tempistica per la loro fruizione. In base al Protocollo, la Asl ha l’obbligo di assicurare, a Regina Coeli, l’organizzazione dei Servizi sanitari delineati con la Carta, nonché di erogare le tipologie di prestazioni con le modalità e le professionalità indicate nella Carta stessa. La direzione del carcere dovrà invece garantire assistenza tecnica ed amministrativa al fine di assicurare la regolare erogazione delle prestazioni. "Il protocollo firmato - ha detto il Garante Angiolo Marroni - è il passo operativo decisivo per garantire quel diritto alla salute che è fra i più trascurati in carcere. Per questo, la decisione di rendere operativa, in tempi certi, la Carta dei servizi sanitari a Regina Coeli è un importante passo in avanti sulla strada di garantire, ai detenuti, quanto previsto dall’art. 1 del D.Lgs. 230/1999 e dalla nostra Costituzione e cioè che detenuti ed internati hanno diritto, al pari dei cittadini in stato di libertà, all’erogazione delle prestazioni di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione efficaci ed appropriate sulla base degli obiettivi generali e speciali di salute e dei livelli essenziali di assistenza". Nel Lazio, le Carte già predisposte coinvolgono la metà delle carceri della Regione, 7 su 14 e l’Ipm di Casal del Marmo: oltre alle due adottate a Civitavecchia, vi sono quelle per Regina Coeli e per le 4 strutture del complesso poli-penitenziario di Rebibbia. Nelle altre realtà (Latina, Viterbo, Rieti, Frosinone e Velletri), le singole Asl hanno deliberato l’istituzione del Tavolo tecnico di monitoraggio ed avviato le procedure per l’adozione del documento. Cagliari: 31enne finisce in carcere, ma la sentenza era stata annullata dalla Cassazione La Presse, 7 ottobre 2014 Un 31enne di Maracalagonis (Cagliari) è stato portato in carcere per l’esecuzione di una pena a cinque anni di reclusione a cui era stato condannato per furto, ricettazione e incendio di un’auto. Il giovane ha trascorso due giorni rinchiuso nel penitenziario cagliaritano di Buoncammino, ma, come hanno fatto notare i suoi legali, illegittimamente. La condanna, infatti, non è mai diventata definitiva dal momento che la sentenza è stata annullata con rinvio dalla Cassazione e ora si dovrà celebrare un nuovo processo di fronte alla Corte d’appello. Processo che, tra l’altro, vede il giovane imputato solo per furto e non più per i capi di ricettazione e incendio, che sono stati considerati non provati dalla Suprema corte. Ma non è il solo motivo per cui il 31enne non avrebbe dovuto varcare le porte del carcere. Anche in assenza del pronunciamento della Cassazione, infatti, gli avvocati della difesa hanno sottolineato che i giudici dell’Appello avevano concesso al giovane due anni di condono e quindi la pena finale risultava di tre anni. Durata che consente la richiesta dell’affidamento in prova ai servizi sociali. Napoli: ispezione dei politici a Poggioreale, il carcere ha mille detenuti in meno di Claudia Sparavigna Roma, 7 ottobre 2014 Riaperto il laboratorio di falegnameria e inaugurato uno di pasticceria. Una nuova visita ispettiva si è svolta ieri mattina al carcere di Poggioreale. "Io e il consigliere regionale Corrado Gabriele siamo entrati al carcere di Poggioreale per conoscere il nuovo direttore, Antonio Fullone - spiega Luigi Mazzetta, dei Radicali Per La Grande Napoli. Io lo definirei una persona meravigliosa. Finalmente il carcere ha un direttore che si occupa davvero di rieducazione e correzione". La visita ispettiva ha rilevato che, grazie al ridimensionamento delle presenze a Poggioreale, nell’ultimo anno sono circa mille i detenuti che sono stati trasferiti o rilasciati, non c’è più il sovraffollamento disumano che caro è costato, in termini umani ed economici. "All’interno - prosegue Mazzotta - il carcere di Poggioreale si è trasformato. E stato riaperto il reparto di falegnameria ed è stato inaugurato un reparto di pasticceria, dove i detenuti possono impiegare il loro tempo imparando un mestiere. Anche la sala colloqui è migliorata rispetto a un anno fa, hanno aperto nuove sale e ristrutturato le vecchie. È tutto pulito e ordinato e c’è la possibilità di incontrare i familiari all’interno di un giardino dove ci sono i giochi per i bambini che vanno a trovare i padri in carcere". Entusiasta per questo giardino, Luigi Mazzotta ha anche avanzato una proposta al direttore Fullone, dare ai detenuti la possibilità di passare un’intera giornata con i familiari durante i giorni di festa. "Il nuovo direttore -commenta Mazzotta - è un tecnico preparato che si sta davvero impegnando per applicare l’articolo 27 della Costituzione che riguarda la riabilitazione". Anche l’interno del padiglione Avellino sembra mostrare segni di cambiamento. Qui ormai ci sono al massimo quattro persone per cella. Il problema più grosso è rappresentato dal padiglione San Paolo, dove ci sono ammalati in attesa di interventi chirurgici da lungo tempo. "Abbiamo raccolto denunce di ammalati che devono essere operati, ma Fasi non agevola le cure - spiega Mazzotta. Ci sono persone in sedie a rotelle e in condizione di salute non compatibili con la detenzione. Nella visita al padiglione Avellino abbiamo incontrato un detenuto che in quattro mesi ha perso 30 chili. I problemi della vita in carcere ancora ci sono e influiscono sui detenuti fisicamente e psicologicamente". Il giudizio post visita è comunque positivo. "Con Corrado Gabriele - conclude Mazzotta - abbiamo notato che qualcosa è cambiato. Sono stati intrapresi progetti a medio e lungo termine, certo è sempre una struttura problematica ma il direttore è una persona competente e capace". Anche Pietro Ioia, presidente dell’associazione Ex Don, saluta positivamente le visite ispettive. "Siamo felici del fatto che le visite ispettive proseguano perché ancora non è ben chiaro se la situazione interna di Poggioreale è realmente cambiata o i detenuti subiscono ancora violenze. Alle mie orecchie arrivano voci contrastanti, molti dicono che è finito tutto, altri dicono che le percosse continuano ma nessuno le denuncia. Invito i detenuti a denunciare eventuali problemi all’interno della struttura, tramite i familiari". Napoli: i Radicali; detenuto aspetta da 6 mesi di essere operato… ma è ancora in cella di Antonino Ulizzi Il Garantista, 7 ottobre 2014 Vive sulla sedia a rotelle e ha bisogno di un urgente intervento chirurgico per una infezione alla vescica da otto mesi, ma Fabio Ferrara è ancora incredibilmente detenuto nel carcere di Secondigliano, e se non fosse per i Radicali italiani, la vicenda sarebbe passata sotto silenzio. E così, dopo il presidio del 3 ottobre, gli attivisti del movimento hanno indetto ieri mia nuova protesta per chiederne l’immediata scarcerazione. Luigi Mazzetta, membro della segreteria Radicali italiani che insieme all’associazione radicale "Per la grande Napoli" da giorni svolge sit-in e manifestazioni di protesta sulla falsariga di quelle vittoriose che hanno permesso a Luigi Moscato, detenuto malato di cancro, di avere i domiciliari per accedere a cure adeguate, spiega che "quella che conduciamo è una lotta nonviolenta per chiedere provvedimenti di amnistia, indulto e riforme alternative alla detenzione in carcere". "Segnaliamo il caso di Fabio Ferrara - continua Mazzotta - perché vive prigioniero su una sedia a rotelle nel penitenziario di Secondigliano e da oltre otto mesi attende il permesso dal magistrato di sorveglianza per essere sottoposto ad un delicato ed urgente intervento chirurgico alia vescica". Fabio Ferrara vive sulla sedia a rotelle da diversi anni, da quando, sorpreso a rapinare una donna puntò l’arma contro un poliziotto che lo colpì con una pallottola. Da allora, dal quel 27 gennaio del 2012, Ferrara perse l’uso delle gambe a seguito di un intervento d’urgenza al Cardarelli che non riuscì a salvare i suoi arti. Rimasto sei giorni in coma, Ferrara si risvegliò e venne poi tradotto in una stanza dell’infermeria del carcere. Ma in quella stanza, adatta a ospitare una sola persona, i detenuti sono due; l’altro lo aiuta a svolgere le azioni più elementari come lavarsi e muoversi. E tuttavia, salire e scendere le scale non è certo una passeggiata, il detenuto non è autonomo e per uscire di cella deve essere portato a braccia anche per i colloqui o per andare in bagno. Lo aiutano altri detenuti, racconta la moglie Anna Belladonna, se non fosse così, "non potrebbe fare nulla, resterebbe imprigionato in uno spazio che è di tre metri quadri scarso". Si tratta insomma di "una condizione disumana", come bene la definisce Luigi Mazzotta. "Sono state presentate due istanze per il differimento della pena - racconta il membro dei Radicali. Il magistrato di sorveglianza, però, ha rigettato l’istanza in quanto non sussisterebbe "un serio pericolo per la vita o la probabilità di altre rilevanti conseguenze dannose". Tradotto, l’effetto è simile a quello del paradosso del Comma 22. Il detenuto, insomma, può essere curato in carcere. Ma il carcere non è in grado di curarlo. Carinola (Ce): eco-compattatore per i detenuti, la Casa circondariale "differenzia" di più Corriere del Mezzogiorno, 7 ottobre 2014 Nella Casa Circondariale di Carinola si incentiva la raccolta differenziata. Questo è possibile grazie alla convenzione stipulata con l’azienda Garby che darà in comodato d’uso gratuito un eco-compattatore, un raccoglitore automatico per rifiuti riciclabili in grado di comprimerne il volume dei materiali conferiti. La Casa di reclusione di Carinola, rappresentata in sede d’intesa dalla dottoressa Carmela Campi ha quindi stretto la mano all’azienda Garby, rappresentata invece da Vincenzo Sparaco, per iniziare un percorso di educazione ecologica grazie a queste nuove tecnologie. Lo scopo del progetto, con l’installazione di un eco-point Garby che avverrà entro 30 giorni, è quello di impegnare i detenuti in un’attività che rafforzi la loro sensibilità verso la tutela ambientale. Utilizzare questi sistemi è un modo innovativo per parlare di ecologia anche in strutture penitenziarie. Questa convenzione, di grande rilevanza sociale e ambientale, è stata etichettata "Progetto Pilota", si propone come obiettivo di sensibilizzare, formare, concretizzare la coscienza ambientale di tutti i partecipanti al progetto, con particolare riguardo alla collaborazione dei detenuti della Casa Circondariale, con l’impegno di riproporre e amplificare tale esperienza a tutte le strutture penitenziarie che dovessero condividere il progetto intrapreso dalla dott.ssa Carmela Campi con la società Garby Srl. "La Garby introduce il nobile gesto della raccolta differenziata - spiega Vincenzo Sparaco, amministratore delegato del Gruppo Garby che si è occupato della convenzione - attraverso l’utilizzo dell’innovazione tecnologica data dagli eco-compattatori, anche alle strutture penitenziare, tra le quali la Casa Circondariale di Carinola. Garby propone questo progetto pilota per accrescere la sensibilità ecologica della popolazione detenuta, ma non solo, in quanto sarà coinvolto anche tutto il personale della struttura". Caltanissetta: Osapp; gravi condizioni igienico-sanitarie nel carcere, è "allarme pidocchi" Italpress, 7 ottobre 2014 "Gravi condizioni igienico-sanitarie presso la Casa circondariale di Caltanissetta dove il dirigente sanitario ha dovuto avviare la profilassi prevista in casi di infestazioni da pidocchi". A renderlo noto è il segretario generale aggiunto del sindacato Osapp, Domenico Nicotra, che parla di "omissione" da parte della Direzione dell’Istituto nisseno che non avrebbe "allertato della questione il personale di Polizia penitenziaria che con i detenuti è sempre a contatto". "Tra l’altro - aggiunge - i detenuti infestati godono dei benefici del regime penitenziario cosiddetto aperto e quindi liberi di infettare, sempre che non l’abbiano già fatto, tutti gli altri detenuti con i quali entrano in contatto". "È auspicabile - conclude Nicotra - che di queste criticità sanitarie il personale ne venga immediatamente a conoscenza, se non altro per salvaguardare la propria salute oltre che quella dei propri familiari e amici". Milano: un kit per i detenuti col ricavato dei biglietti per la Prima della Scala dei politici www.milanotoday.it, 7 ottobre 2014 Kit di ingresso e uscita per i detenuti nelle carceri di Milano, finanziati con un terzo del ricavato della vendita dei biglietti per la Prima della Scala che sarebbero riservati ai consiglieri comunali. Così una mozione approvata da Palazzo Marino e presentata da Alessandro Giungi (Pd) e Patrizia Quartieri (Sel). Una decisione simile a quella già presa in anni passati dall’aula. Il fondo dovrebbe ammontare a circa 40 mila euro: serviranno a garantire "una accoglienza dignitosa" per chi va in carcere ed è indigente, ma anche per chi esce dal carcere. La mozione è stata votata, oltre che dalla maggioranza, anche da Matteo Forte (Popolari per l’Italia) e Marco Osnato (Fratelli d’Italia). Astenuto Carmine Abagnale (Ncd), mentre Forza Italia, Lega Nord e Riccardo De Corato (Fdi) hanno votato contro. Per Gianluca Comazzi (Fi), "è una mozione sbagliata perché ci sono già fondi ministeriali per questo scopo". De Corato ha chiesto al presidente dell’aula Basilio Rizzo che i ricavi dei suoi due biglietti vadano al capo delle guardie penitenziarie. Iniziative del genere, però, vennero prese anche quando a guidare la città di Milano c’era il centrodestra. Nel 2006 per esempio, durante gli ultimi mesi della gestione di Gabriele Albertini, il consigliere comunale di Forza Italia Stefano Carugo aveva ottenuto uno stanziamento di bilancio di 200mila euro per la popolazione carceraria, per fornire ai neo-detenuti un "kit" con maglietta, fazzoletti, slip, ciabatte, shampoo, spazzolino, dentifricio e anche carta da lettera. E il centrodestra aveva votato a favore: i voti contrari erano venuti da alcuni consiglieri di centrosinistra. Verona: anche detenuti visitano mostra di Paolo Veronese, al Palazzo della Gran Guardia Ristretti Orizzonti, 7 ottobre 2014 Della bellissima mostra di Paolo Veronese, al Palazzo della Gran Guardia di Verona hanno potuto godere anche un gruppo di persone detenute proveniente dal carcere di Montorio. Una serata speciale, introdotta dalla storia del recupero del palazzo che ospitava la mostra, raccontata da un protagonista del recupero stesso, l’arch. Luigi Calcagni. A seguire , un viaggio nel mondo dell’artista, attraverso il racconto delle sue opere, sotto la guida della capo delegazione del fai di Verona, dr Annamaria Conforti. Una serata molto particolare quella vissuta in Gran Guardia da detenuti e accompagnatori, resa possibile grazie alla collaborazione della Magistratura di sorveglianza, della Direzione del carcere, dell’Associazione La Fraternità e del sostegno, fin dalla sua progettazione, della dr.ssa Paola Marini, curatrice della prestigiosa mostra e della dr.ssa Antonia Pavesi, delegata alla cultura per il Comune di Verona. "Non è più un sogno il coinvolgimento e la partecipazione di persone private della libertà agli eventi importanti della nostra città, si tratta ormai di un progetto e di una proposta che di volta in volta si concretizza, trovando naturale disponibilità sia all’interno delle istituzioni che tra i cittadini che possono offrire momenti di crescita" è quanto, al termine della visita, ha affermato la Garante dei diritti delle persone private della libertà, Margherita Forestan. Televisione: il Cardinale Ravasi e la scelta di far leggere il Vangelo ai detenuti di Aldo Grasso Corriere della Sera, 7 ottobre 2014 L’amicizia, la famiglia, la coesistenza. Il cardinale Gianfranco Ravasi chiama in causa la saggezza e l’ironia di Alessandro Manzoni ("Una delle più grandi consolazioni di questa vita è l’amicizia..."), l’etica luterana ("La famiglia è fonte di benedizioni e di maledizioni, per un popolo"), il fervore poetico di Jorge L. Borges ("In quell’ora in cui la luce ha una finezza di sabbia/entrai in una strada ignota, aperta in nobile spazio di terrazza [...] Solo dopo pensai che quella strada della sera era estranea,/come ogni casa è un candelabro dove le vite degli uomini ardono come candele isolate,/che ogni immediato nostro passo cammina sul Golgota..."). Proprio dalla poesia "Strada ignota", Ravasi prende le mosse per commentare il Vangelo della liturgia domenicale, la drammatica parabola dei vignaioli omicidi (Matteo, 2, 33-48), riportata da tutt’e tre i vangeli sinottici. La novità di quest’anno è che a leggere i brani evangelici sono i detenuti delle compagnie teatrali delle carceri di Bollate, Rebibbia (sezione femminile e maschile) e Volterra, con il loro carico di esperienze dolorose e l’importanza che le parole assumono in questi contesti. Per uno strano disegno, la prima parabola che sono chiamati a leggere parla di fatti sanguinolenti. Il racconto utilizza immagini classiche della tradizione biblica: la vigna è il Regno di Dio, i servi i profeti, il proprietario della Vigna è Dio, i vignaioli l’umanità intera con i suoi capi, i frutti la fedeltà alla Legge portata a compimento dal Cristo (la nuova ed eterna alleanza). E ancora una volta, nessuno, come Ravasi, sa "mostrare" in tv questa filigrana simbolica. "Le Frontiere dello Spirito", il programma di cultura e attualità religiosa di Canale 5 (domenica, 8.45), è curato da Ravasi e da Maria Cecilia Sangiorgi. Immigrati: il ministro Orlando; serve rafforzare contrasto contro il traffico dei migranti Dire, 7 ottobre 2014 "Il grave fenomeno del traffico di migranti nel Mediterraneo richiede una ferma e sistematica azione di contrasto, da conseguirsi prima di tutto attraverso una leale e costruttiva cooperazione giudiziaria e di polizia tra le Autorità di tutti i Paesi coinvolti dalle rotte di questo disumano traffico illegale. È necessario allargare lo spettro della nostra cooperazione, a cominciare da un maggiore scambio di informazioni e dati tra le Autorità Giudiziarie e di polizia, nonché rafforzare i sistemi giudiziari di tutti i Paesi del Mediterraneo e dell’Africa subsahariana". Lo dice il ministro alla Giustizia Andrea Orlando, partecipando alla VII Conferenza degli Stati Parte della Convenzione delle Nazioni Unite sul crimine organizzato transnazionale". Il guardasigilli sottolinea: "Siamo convinti che l’Untoc ed il suo Protocollo sul traffico di migranti costituiscano la migliore base giuridica in questo contesto. Siamo altrettanto convinti che Unodc, nel suo ruolo di segretariato della Convenzione, svolga un ruolo fondamentale per la lotta al traffico di migranti, anche tramite le ben note ed apprezzate iniziative di assistenza tecnica. Siamo consapevoli del ruolo rilevante svolto in questo ambito anche dagli Istituti della rete del programma delle Nazioni Unite per la prevenzione del crimine e la Giustizia penale. Vorrei al riguardo sottolineare, con gratitudine, le attività dei tre Istituti che hanno sede in Italia (Unicri, Isisc e Ispac)". Droghe: rispunta la "tolleranza zero"… una sfida tra Alfano e Forza Italia Redattore Sociale, 7 ottobre 2014 Rispunta la "tolleranza zero" contro le droghe nella competizione politica tra Forza Italia e il Nuovo centrodestra. Ieri, mentre il presidente del gruppo Fi alla Camera, Renato Brunetta, e il deputato e il presidente della commissione Affari Costituzionali, Francesco Paolo Sisto, annunciavano una proposta di legge "volta a garantire ai giovani un divertimento sano nelle discoteche, lontano da sostanze psicotrope, e lanciare un chiaro messaggio di tolleranza zero contro chi contamina il divertimento con consumo e spaccio di sostanze stupefacenti" (lo presenteranno domani mattina presso la sala stampa di Montecitorio), il ministro Angelino Alfano proponeva "l’ergastolo della patente per i consumatori abituali di stupefacenti, per evitare che le patenti diventino licenze di uccidere". "Procederemo quindi a scrivere una norma che preveda controlli frequenti", ha annunciato il ministro dicendo di condividere "l’approccio europeo che nega il diritto alla patente per questi soggetti". Norvegia: le carceri e il problema del reinserimento sociale di Edoardo Tozzi www.dailystorm.it, 7 ottobre 2014 La scarsa capienza delle nostre carceri è ormai un dato di fatto, così come le difficili condizioni di vita al suo interno. Ma anche una volta fuori, i detenuti in Italia devono affrontare mille impedimenti. Contrariamente a ciò che accade in Norvegia, dove sono visti come risorse umane ed economiche. Il problema del sovraffollamento delle carceri riempie spesso le pagine dei nostri quotidiani nazionali. Da anni il dibattito accende i bar di paese sui temi più svariati: grazia, indulto, domiciliari, sconti di pena, paghi uno prendi due, rateizzazioni, leasing e chi più ne ha più ne metta. Per coerenza, abbiamo continuato a farci domande anziché darci risposte. Il ministro della Giustizia Andrea Orlando sta impazzendo dietro ddl che, non sembrano risolvere la questione dell’assenza di inserimento sociale e lavorativo degli ex detenuti. Eppure, basterebbe guardare un po’ più a nord per trovare esempi da seguire. Come alle carceri norvegesi. Secondo l’Istat, al 31 dicembre 2011 erano detenute nelle carceri italiane 66.897 persone, con una riduzione dell’1,6% rispetto al 2010. Ad oggi sarebbero invece 54.195 i detenuti reclusi, compresi quelli in semilibertà, distribuite nei 203 istituti di pena italiani. La capienza regolamentare, però, è di 49.347 posti. Sono gli ultimi numeri del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap), aggiornati al 30 settembre 2014. Ma se sul sovraffollamento siamo pieni di dati e statistiche, sul reinserimento sociale e lavorativo degli ex detenuti facciamo cqua da tutte le parti. Sia perché non esistono cifre attendibili, sia perché di iniziative a livello statale non se ne vede neanche l’ombra. Gli unici a muoversi su questo fronte sono le organizzazioni del terzo settore, associazioni di volontariato e qualche Regione particolarmente illuminata. È il caso dell’associazione Antigone e del progetto Logos, che da anni si battono su questo fronte ottenendo notevoli successi. I promotori di quest’ultimo, in particolare, ritengono di non far altro che seguire l’articolo 27 della nostra Costituzione, secondo cui le pene devono tendere alla rieducazione del condannato. Ma negli anni i governi non si sono mostrati interessati a cosa accade ai detenuti dentro le celle, figuriamoci una volta fuori. Per questo motivo, più che di reinseriti, sentiamo parlare molto più spesso di recidivi. In Norvegia la situazione è completamente capovolta. Il tasso di recidiva è il più basso in Europa: solamente una percentuale tra il 16 e il 20% degli ex galeotti viene nuovamente reinserita in carcere nei primi due anni dal rilascio. Inoltre, i detenuti sono incentivati a portare avanti attività socialmente utili all’interno di strutture che, se paragonate alle nostre, somigliano più a villaggi vacanze che a celle carcerarie. Non a caso, scriveva l’ex ministro della Giustizia Paola Severino, "la recidiva di chi sconta la condanna con misure alternative è del 19%, mentre quella di chi sconta la pena chiuso in prigione sale al 68%". Ancora, al 2007 "la percentuale di recidivi che non hanno mai lavorato in carcere è superiore di tre volte rispetto a coloro che hanno svolto mansioni lavorative all’esterno o all’interno dei penitenziari" (il Messaggero). Dunque, la via sembra ormai tracciata: "in Italia, l’82,6% delle condanne viene scontato all’interno di pochi metri quadri di cemento armato, mentre ad esempio in Francia e Regno Unito avviene quasi l’esatto contrario, con il 75% delle condanne che viene scontato lavorando all’esterno" (sempre il Messaggero). Se prendiamo il carcere norvegese di Bastoy, situato presso un’isola al largo della costa norvegese, il confronto con Regina Coeli è a dir poco impietoso. I detenuti hanno a disposizione computer, tv, librerie, palestre. Le loro giornate prevedono un consueto orario di lavoro (regolarmente retribuito), al termine del quale possono dedicarsi alle attività che più preferiscono. Infine, una nota integrativa: il sistema penale norvegese non prevede l’ergastolo. La massima pena a cui può "aspirare" un criminale è pari a 21 anni. Di fatto Anders Breivik, probabilmente il più efferato mass-murder che la cronaca nera ricordi, prima o poi tornerà in libertà. La tolleranza zero, così come il proibizionismo, spesso non portano alcun risultato. Proibire le visite o limitarle al minimo, trattare il detenuto come un rifiuto sociale, lasciarlo annegare in anni di solitudine e malinconia possono incattivire ulteriormente un individuo. A meno che non si tratti di un boss mafioso o comunque di un delinquente in grado di condizionare e determinare anche da recluso dinamiche criminali organizzate - per i quali il carcere duro è più che mai necessario, il trattamento potrebbe essere diverso. Senza contare che, molto più pragmaticamente, la detenzione e ancor più la recidiva affondano le casse dello Stato. La differenza tra sistema carcerario italiano e norvegese è chiara. In Norvegia il pregiudicato viene visto come una risorsa, umana ed economica, da recuperare. L’individuo viene spinto verso un reinserimento sociale, in modo tale da poter essere utile alla comunità, una volta uscito di galera. Al contrario, il sentimento di inadeguatezza, di inettitudine e inutilità non fa altro che affliggere la psiche dell’essere umano, e in casi estremi anche il fisico. Anche un pluriomicida come Anders Breivik viene considerato "recuperabile". Quella che viene data al carcerato è una speranza, qualcosa per cui vivere, nella forse utopica idea di poter un giorno tornare a far parte di una società civile. In Italia, anche una volta fuori, molti degli ex detenuti devono affrontare le cosiddette pene accessorie, ovvero quelle condanne in affiancamento alla pena detentiva che per un determinato periodo di tempo vincolano la libertà dell’individuo. E limitano il loro inserimento sociale e lavorativo: l’interdizione dai pubblici uffici, da una professione o da un’arte ne sono solo gli esempi più lampanti. Certo, l’Italia ha certamente problemi diversi dalla Norvegia, a causa del radicamento capillare della criminalità organizzata, ma è anche vero che non esistono soltanto mafiosi e corrotti o delinquenti coinvolti in quel sistema. Ecco perché non si tratta soltanto di una questione unicamente giudiziaria, ma di un processo che deve avere solide basi culturali solide per poi concretizzarsi in modifiche legislative e strutturali del sistema carcerario perché sia efficiente. Tunisia: organizzazione per diritti denuncia; sospetto di torture per morte di due detenuti Ansa, 7 ottobre 2014 Dopo la morte avvenuta in circostanze non ancora definitivamente chiarite di due detenuti, Ali Ben Khmiss Louati e Mohamed Ali Souissi, nelle carceri tunisine in meno di dieci giorni l’Organizzazione tunisina contro la tortura chiede l’apertura di un’inchiesta immediata. Il sospetto è infatti che siano stati riservati ai detenuti in questione violenze fisiche, maltrattamenti da parte di agenti delle forze dell’ordine o agenti penitenziari, accuse prontamente respinte dalla Direzione Generale degli stabilimenti di pena e rieducazione tunisini in un comunicato emesso subito dopo i fatti. La lotta alla tortura ed in generale al maltrattamento dei detenuti sono temi prioritari per la difesa dei diritti umani per il rispetto dei quali organizzazioni internazionali come Amnesty International e Human Rights Watch chiedono l’impegno della Tunisia. Radhia Nasraoui, presidente dell’Organizzazione tunisina, contro la tortura coglie l’occasione della morte dei detenuti Ali Ben Khmiss Louati e Mohamed Ali Souissi per ricordare lo stato di sovraffollamento e il deterioramento della qualità della vita nelle carceri della Tunisia e la conseguente necessità di trovare soluzioni a questa drammatica situazione. Iran: ore di angoscia per ragazza condannata a morte, esecuzione prevista per domani Adnkronos, 7 ottobre 2014 Vive ore di angoscia la famiglia di Reyhaneh Jabbari, la ragazza iraniana condannata a morte per aver ucciso 7 anni fa un uomo che, a suo dire, cercava di stuprarla. Taher Djafarizad, presidente dell’organizzazione "Neda Day" che segue da vicino il caso, dice ad Aki-Adnkronos International che sulla vicenda "è tutto fermo e quindi l’esecuzione della condanna a morte resta confermata per mercoledì mattina alle 5". "Nei giorni scorsi - spiega Djafarizad - il figlio della vittima si è recato in carcere, insistendo con la sua richiesta a Reyhaneh di negare di aver subito un tentativo di stupro da parte del padre. In quel caso, potrebbe perdonarla e, in base all’ordinamento iraniano, non verrebbe impiccata. Ma questo vuol dire che la ragazza dovrebbe dichiarare il falso e lei ha detto più volte che questo è impensabile e inaccettabile". Djafarizad ha inoltre riferito che ieri "familiari e amici di Reyhaneh hanno manifestato di fronte al carcere in cui è rinchiusa, ma sono stati allontanati con la violenza dalle forze di sicurezza, che hanno anche distrutto i loro cartelli e hanno fotografato le targhe delle loro auto". L’esecuzione della 26enne era prevista per la scorsa settimana, ma in seguito a una mobilitazione internazionale è stata rinviata di 10 giorni. Il 30 settembre, la madre di Reyhaneh, Sholeh Pakravan, ha rivolto tramite Aki un appello alla autorità italiane e vaticane affinché intercedano per salvare la vita di sua figlia. La Pakravan ha inoltre riferito che i familiari della vittima, Morteza Abdolali Sarbandi, chiedono alla Jabbari di negare di aver mai subito un tentativo di stupro. Se lo facesse, otterrebbe il loro perdono e, in base alle leggi in vigore in Iran, sarebbe salva dall’impiccagione. Iran: Ghoncheh, 100 giorni in carcere per aver voluto assistere a una partita di pallavolo Il Garantista, 7 ottobre 2014 Ghoncheh Ghavami, la giovanissima cooperante arrestata a Teheran lo scorso giugno perchè voleva vedere una partita di pallavolo maschile, ha iniziato uno sciopero della fame. Lo ha fatto sapere la madre, Susan Moshtaghian, attraverso il profilo Facebook. "Dio mi è testimone sono rimasta in silenzio per 82 giorni nell’attesa che la mia figlia innocente tornasse a casa. Ma non è tornata e la sua salute e la sua vita ora sono in pericolo. "Non starò più in silenzio", ha dichiarato madre di Ghoncheh, che ha deciso di unirsi allo sciopero della fame della figlia fino a quando non tornerà in libertà. La colpa della ragazza, che ha la doppia cittadinanza inglese e iraniana, è quella di aver tentato di partecipare ad un evento vietato alle donne. Ma le autorità di Teheran sostengono, invece, che il suo arresto sia legato ad altri, non precisati, motivi. Proprio sulla base di questa incertezza si protrae la detenzione della ragazza alla quale, come ha affermato la madre, Susan Moshtaghian, da settimane non viene permesso di incontrare gli avvocati. Anche Amnesty International intervenendo sul caso ha pubblicato un report nel quale documenta che la ragazza in cella sarebbe vittima di una continua pressione psicologica e di minacce del tipo "non uscirai mai viva da qui". "Ghoncheh si trovava in Iran per collaborare con una Ong locale e lavorare come insegnante di lingua con i bambini di strada. È andata alla partita di pallavolo convinta che le leggi iraniane lo permettessero, poiché poco tempo prima la Federazione internazionale di pallavolo (Fivb), aveva avvertito l’Iran di adeguarsi alla legislazione internazionale", ha scritto ieri il fratello, Iman, che ha lanciato una petizione internazionale "bring my sister home", sul sito change.org . Su Facebook è stata lanciata una campagna dal titolo "Free Ghoncheh Ghavami", che mostra la foto della ragazza con la scritta "Arrestata perché voleva assistere a una partita di pallavolo". Slovacchia: circa 2000 detenuti sconteranno la pena a casa con le cavigliere elettroniche www.buongiornoslovacchia.sk, 7 ottobre 2014 Secondo un vasto progetto pilota, il Ministero della Giustizia slovacco intende dall’estate 2015 mettere agli arresti domiciliari 2.000 detenuti che oggi scontano le pene nelle patrie galere. Per tenerli sotto controllo, utilizzerà altrettanti dispositivi elettronici - braccialetti o ancora meglio cavigliere. Il progetto è stato presentato in una conferenza stampa la scorsa settimana, spiegando che nel 2016 dovrebbe essere in pieno funzionamento, grazie al finanziamento di 22 milioni di euro provenienti da fondi Ue. Oggi la detenzione domiciliare è utilizzata raramente; sono appena 40 casi all’anno. Col nuovo sistema si potrà controllare contemporaneamente la posizione di 2.000 persone che a questo punto non saranno più a carico dello Stato. Oggi la detenzione in carcere costa circa 14 mila euro all’anno per ogni detenuto, mentre il monitoraggio con cavigliera elettronica costerebbe solo un terzo. Il ministero sta preparando le modifiche legislative necessarie per la messa in uso delle cavigliere per i detenuti, mettendo mano contemporaneamente anche al codice di procedura penale e al codice penale. Iraq: "The Times"; 180 jihadisti riconsegnati a Stato Islamico in cambio rilascio 49 turchi Aki, 7 ottobre 2014 Circa 180 jihadisti, tra i quali alcuni occidentali, sono stati liberati e consegnati allo Stato Islamico (Is) in cambio del rilascio di 49 cittadini turchi che erano stati rapiti dall’Is a Mosul, nel nord dell’Iraq. Lo riporta il britannico "The Times", riferendosi alla vicenda dei 49 turchi presi in ostaggio presso il consolato di Mosul e tenuti prigionieri dall’Is per 101 giorni, prima di essere rilasciati il 20 settembre scorso. Il Times riferisce di aver preso visione della lista dei militanti dell’Is rilasciati in Siria in cambio dei 49 turchi e spiega che tra di loro ci sono due britannici, tre francesi, due svedesi, due macedoni, uno svizzero e un belga. I britannici sono il 18enne Shabazz Suleman, studente di grammatica, e il 26enne Hisham Folkard, sui quali ora indaga l’antiterrorismo di Londra. Nei giorni successivi al rilascio dei 49 ostaggi turchi, è emerso che la loro liberazione è stata resa possibile dal contemporaneo rilascio di un gruppo di jihadisti che erano stati catturati in Siria da gruppi di ribelli rivali dell’Is. Ankara ha invece assicurato di non aver dovuto rilasciare terroristi detenuti nelle sue carceri. Myanmar: governo annuncia il rilascio di 3mila detenuti nell'ambito del processo riforma Adnkronos, 7 ottobre 2014 Il governo di Myanmar ha annunciato il rilascio di oltre tremila detenuti. Come si legge sulla pagina Facebook del ministro dell'Informazione U Ye Htut, il presidente Thein Sein ha accordato loro la grazia in nome della "pace e della stabilità". Secondo quanto riferisce la Bbc, alcuni dei prigionieri che verranno liberati sono ex ufficiali dell'intelligence militare. Gran parte dei prigionieri politici detenuti nelle carceri del Paese sono stati rilasciati in questi anni nell'ambito del processo di riforma. Secondo i gruppi per la difesa dei diritti umani, alcune centinaia di prigionieri politici rimangono ancora in carcere.