Giustizia: serve nuovo patto sociale per aiutare chi deve tornare a vivere dopo il carcere di Alessandra Ballerini La Repubblica, 5 ottobre 2014 Li immagineresti esultare con gli occhi e col corpo correre incontro a un figlio, una madre, un amore che da anni li aspettano fuori. Li crederesti forti e felici della loro riacquistata libertà. E invece capita di vederli uscire dai quei cancelli incerti sulle gambe, con il panico negli occhi. Smarriti e increduli e soli. Impreparati ai rumori, i ritmi gli egoismi e la sregolatezza di un mondo abdicato da tempo. Disallenati alla responsabilità e alla facoltà di scegliere. Dentro, tempi, spazi, compagnia e regole erano ineludibili. Fuori, nel vortice egoista e caotico della vita reale, manca un appoggio per non rimanere travolti. E manca un bagaglio. Parliamo di questo durante la visita svolta come osservatrice di "Antigone", con il direttore del carcere di Marassi Mazzeo, il Comandante Di Bisceglie e il criminologo Enzo Paradiso. Parliamo degli sguardi di chi esce e dei loro commiati: raramente, mi raccontano, salutano con un addio, più spesso con un rassegnato arrivederci. Come se il percorso futuro fosse già obbligato. Chi ha vissuto la pena di per sé afflittiva del carcere, chi in carcere ha perso anni e risorse, crede di non avere più molto da offrire al mondo ma soprattutto sa che il mondo nulla ha da concedere a lui, che verrà bollato per sempre con la sua colpa seppure ampiamente scontata. Difficilmente troverà lavoro, ricomporre affetti traditi dal reato e dalla pena sarà quasi impossibile, recuperare amicizie avvilite dalla lontananza e un posto per dormire si rivelerà una faticosissima impresa. Eppure. prima o poi, se in cella non muoiono, dalla galera sono tutti destinati a uscire, perché allora non impegnarsi sul loro reinserimento anziché sulla loro esclusione? Il carcere, si sa, sottrae risorse a tutti, non solo ai ristretti; una società vagamente lungimirante investirebbe sul loro superamento piuttosto che sulla loro espansione. Ben lo sa il direttore Mazzeo che insiste: "Bisogna superare il carcere e ricondurlo ad estrema ratio, cui ricorrere quando non esistono altri rimedi perché una giustizia riparativa anziché essenzialmente afflittiva rappresenta una scelta di civiltà giuridica". Ogni vita dietro le sbarre ci costa in media 150 euro al giorno spesi in gran parte per punire e quasi mai per "rieducare", come invece sarebbe imposto dall’articolo 13 della Costituzione. Teniamo in cella persone che avrebbero il diritto di scontare la pena in strutture sanitarie esterne come i tossicodipendenti ed i casi psichiatrici. È la guerra dei poveri: i posti nelle comunità terapeutiche sono limitati e quindi si dà la precedenza a chi sta "fuori". Le liste d’attesa possono essere così lunghe che il trasferimento dal carcere in comunità può richiedere anni. È vero, oggi, grazie anche ad alcune modifiche legislative, i numeri di Marassi sono decisamente migliorati: 661 detenuti a fronte degli 830 dell’anno scorso. Le celle ospitano al massimo sei/sette persone e non più nove. Comunque una enormità. Eppure, come agenti e operatori sanno bene, lo spazio non è l’unico bene che manca, "dentro". Mancano, nonostante la buona volontà di chi in carcere già si adopera, insegnanti e educatori che organizzino corsi non solo per riempire il tempo ma per allenare capacità e creare professionalità spendibili una volta liberi. Servirebbero artigiani, elettricisti, idraulici, fabbri anche in pensione che venissero a investire un po’ di tempo e energie dentro il carcere per tramandare il loro mestiere a questi giovani ristretti. Servono attrezzi ginnici e un buon allenatore per fare sfogare le emozioni, controllare i muscoli e allenare la volontà. Occorrono quaderni e penne per i detenuti studenti e mediatori culturali per imparare a capirsi. Ristretti e liberi che abitano il carcere chiedono alla città che domani dovrà accogliere volente o nolente queste anime restituite alla vita libera, di investire sul loro inserimento e sulle loro capacità. Il carcere chiede ai cittadini quello che l’ordinamento penitenziario imporrebbe agli enti pubblici di fare: "Offrire un particolare aiuto nel periodo di tempo che precede la dimissione e per un congruo periodo a questa successivo". Chi può, chi dispone di un po’ di tempo e volontà, chi ha o produce attrezzi per palestra, quaderni o anche solo energie, può da oggi impegnarle così. Un ottimo modo per rendere "sicure" le città: rendere migliori i suoi cittadini, ristretti e liberi. Giustizia: intervista a Claudio Sarzotti "Il nodo resta quello delle pene alternative" di Federica Cravero La Repubblica, 5 ottobre 2014 Il sociologo Sarzotti: il decreto svuota-carceri, ha avuto un ruolo però serve una riforma del codice penale. "Quello che auspico è che il governo metta mano al codice penale per far sì che le pene vengano differenziate e che per alcuni reati un giudice già al momento della sentenza possa comminare delle misure alternative che non prevedano proprio l’ingresso in carcere del condannato: lavori socialmente utili, giustizia riparativa, pene pecuniarie, come accade in molti paesi stranieri", è questa la strada da percorrere secondo Claudio Sarzotti, docente di Filosofia del diritto e Sociologia dell’esecuzione penale all’università di Torino, nonché direttore di Antigone, rivista di critica del sistema penale e penitenziario. Quali sono gli attori che possono contribuire a ridurre l’affollamento delle carceri? "Sicuramente devono essere coinvolte le forze dell’ordine che per alcuni reati hanno la facoltà, ma non l’obbligo, di arresto. Poi il decreto "svuota carceri" ha dato il suo impulso, ma un ruolo importantissimo è quello delle amministrazioni penitenziarie che non possono far nulla per arginare il flusso di detenuti in entrata, ma possono migliorare le condizioni dentro il carcere. Se un detenuto va in cella solo per dormire perché il resto della giornata è impegnata con molte attività lo spazio vitale sia un po’ più piccolo, ma è diverso se invece ci passa ventidue ore al giorno. Però il ruolo più importante lo giocano i politici". In che senso? "I politici troppo spesso hanno strumentalizzato il carcere per cercare il consenso elettorale, incrementando le pene di reati che sull’onda di qualche fatto di cronaca generano più insicurezza". Invece cosa dovrebbero fare? "Si dovrebbe ragionare in maniera più sistematica su cosa vogliamo punire e in che modo. Oggi ci sono delle storture evidenti. Per esempio si è incrementata molto la libertà anticipata, fino a 90 giorni ogni sei mesi, con la conseguenza che in molti casi non c’è più corrispondenza tra la pena comminata e quella scontata e soprattutto si tratta di una riduzione troppo discrezionale. Meglio sarebbe che certi soggetti in carcere non ci vadano proprio, invece che uscire prima, e che paghino il debito con la società in altro modo". Giustizia: Fiano (Pd); con la riforma nessuna soppressione della Polizia penitenziaria www.panorama.it, 5 ottobre 2014 Cinque corpi di Polizia sono troppi. Negli ultimi mesi lo ha ripetuto spesso Matteo Renzi, senza scendere mai troppo nei particolari. All’esame del Parlamento c’è una proposta di legge sul riordino delle Forze di Polizia a prima firma del neo responsabile delle segreteria Pd per la Difesa, Emanuele Fiano che ieri in una nota ha stoppato tutte le indiscrezioni sul piano del governo di accorpare Guardia di Finanza e Carabinieri. "L’unica ipotesi di riforma riguarda il Corpo Forestale che dovrebbe essere accorpato alla Polizia" così Emanuele Fiano toglie ogni dubbio alla discussione, precisando però "che ancora non c’è niente di scritto e non sarà nella legge di stabilità. Quindi è prematura ogni discussione". Quel che è certo che il governo sta cercando risorse per limitare al minimo i numeri di una prossima manovra e molto dipenderà dai tagli interni all’amministrazione pubblica. Secondo i calcoli dell’ex commissario alla spesa, Carlo Cottarelli, i cinque corpi di Polizia (Arma dei Carabinieri, Polizia di Stato, Guardia di Finanza, Corpo Forestale dello Stato e Polizia Penitenziaria) costano allo Stato 20 miliardi l’anno. Secondo Cottarelli, solo con un piano di accorpamento delle strutture e la centrale unica di acquisto si potrebbero risparmiare 800 milioni nel 2015 e 1,7 miliardi nel 2016. Una soluzione ottimale per un governo a caccia di risorse e che nel Dl Stadi votato ieri alla Camera chiede alle società calcistiche di contribuire alle spese per le forze di Polizia impegnate nel garantire la sicurezza durante le partite. Ma nella legge di stabilità 2014 è previsto un piano di dismissione degli immobili pubblici, tra cui quelli del Ministero della Difesa che dovrebbe portare nelle casse non meno di 500 milioni entro il 2016. Ma non si parla solo di tagli. Nel 2014 sono stati assegnati 38 milioni in favore delle Forze di Polizia per implementare i servizi connessi ad Expo 2015, che nell’anno della manifestazione toccheranno quota 88 milioni. Sempre nel "decreto stadi" è previsto uno stanziamento del ministero dell’interno di 8 milioni per il 2014; 36 per il 2015 e 44 milioni per ogni anno successivo fino al 2021 per l’acquisto di automezzi ed equipaggiamenti speciali come "caschi e giubbetti antiproiettile". Giustizia: "ho ucciso tuo padre e non oso chiedere perdono però, se lo vorrai, perdonami" di Katia Ippaso Il Garantista, 5 ottobre 2014 Intervista a Giovanni Senzani, l’ex leader delle Brigate Rosse responsabile dell’uccisione di Roberto Peci. Come mai liberaste Circo Cirillo, l’assessore Dc sequestrato a Napoli nell’81. Ci fu una trattativa con lo Stato e la camorra? "Non ci fu nessuna trattativa. Un mitomane come Cutolo che si sentiva onnipotente si sarà inventato questa cosa per avere notorietà. Può anche essere che dopo aver raccolto noi i soldi del riscatto, loro ne abbiano raccolti altri per conto proprio. Di sicuro non ci fu nessuna mediazione. Non ne avevamo bisogno. Anche perché avevamo deciso di liberare Cirillo e la cosa del riscatto ci venne in mente dopo, solo per raccogliere soldi che ci servivano per autofinanziarci". In quella stessa estate del 1981 voi avete sequestrato (il 10 giugno) e ucciso (il 3 agosto) l’operaio Roberto Peci, il fratello di Patrizio Peci, un vostro militante che si era dissociato e pentito. Roberto aveva venticinque anni e aspettava una bambina dalla moglie. Filmaste l’esecuzione. "Non voglio riaprire questioni di questo tipo perché lì qualsiasi cosa si dica non va bene. Qualsiasi cosa si dica in merito a questa storia che è una storia pesante offende le vittime, le famiglie. Che senso ha dopo tanti anni parlare di tutto questo? E poi ci sono i quattro compagni uccisi a via Fracchia, a Genova. Il generale Alberto Dalla Chiesa, che è il protagonista di questa storia, è morto, e la verità con lui". C’è una lettera di Roberta Peci, la figlia di Peci, che nacque qualche mese dopo la morte del padre, in cui chiede di incontrare lei. "Ma il giorno dopo è andata da Bruno Vespa". Nella lettera chiedeva che l’incontro tra voi due avvenisse lontano dai riflettori, in privato. "Ma non ha mai fatto sì che questo accadesse". Forse sta a lei far sì che questo accada. "Lei voleva venire con le telecamere". Se al mio posto, qui di fronte a lei, ci fosse Roberta Peci, e se voi foste soli, che cosa le direbbe? "Silenzio". Che cosa le direbbe? "Le direi che capisco il dolore che ha provato. Che so che la sua vita è stata distrutta da quell’avvenimento. La perdita del padre è una cosa enorme. …E poi c’è stata una costruzione tremenda. Hanno fatto diventare suo padre un personaggio negativo. Le direi che suo padre era invece una persona dignitosa… Io lo so cosa vuol dire passare per mostro. Io non sono quello lì… No, non sono quello lì… Poi, uno la morte, finché non la prova non la può capire". Lei ha preferito che ci incontrassimo a Roma perché la sua casa di Firenze è piena della sua vita con Anna? (Anna è la moglie di Senzani, che è morta poco più di una anno fa, ndr) "È la casa di Anna". È per questo, quindi? "Sì, è per questo. Non è che ne voglio fare un museo… È evidente che… Io adesso vivo solo. Ho una figlia sposata all’estero. L’altra è a Firenze ma da un’altra parte. Sono rimasto lì, solo". Non ha toccato niente delle cose di Anna? "No. Per questo posso capire quando parlavamo prima della figlia di Peci. La perdita di Anna è difficile da rielaborare per me. Per lei è stato difficile accettare la mia scelta, ma io ho sempre pensato che se dici certe cose poi le devi anche fare". Anna è sempre stata contraria alla sua scelta. "È inconcepibile per Anna poter uccidere qualcuno". Ne parla come se fosse viva. "Anna mi ha aspettato tutta la vita". Una volta ha dichiarato che per lei chiedere perdono è un atto osceno. Si ricorda quello che abbiamo detto prima? Che io potrei anche essere la figlia di Peci. "Chiedere perdono a una persona a cui ho ucciso un parente… mi sembrava una cosa oscena, sì. Era come farle un’offesa ulteriore. Il perdono me lo dà la persona, se me lo vuole dare. Io non sono nelle condizioni di chiedere niente". Si può dire: "Ho sbagliato". "Non solo io ho sbagliato, ho fatto molto di più, io ti ho tolto il padre. Non è un semplice errore. È qualcosa di molto più grande. Una cosa immensa. Ho inferto una ferità che non si salderà mai. Ti ho ucciso il padre. Un morto è un morto. Non c’è niente da fare su questa cosa. Chiedendo il perdono, mi sembrava allora di andare ad interferire con la storia umana di una persona e di imporre una ferita ancora più grande. Però tu sei libera di perdonarmi, se lo vorrai". Giustizia: le mobilitazioni dei No Tav mettono in allerta l’amministrazione penitenziaria Ansa, 5 ottobre 2014 La mobilitazione degli ultimi mesi da parte di anarchici, antagonisti e No Tav contro il sistema carcerario ha messo in allerta l’amministrazione penitenziaria, che ha preso contatto con le forze di polizia per sollecitare la massima attenzione. Le iniziative si sono susseguite, sia all’esterno che all’interno degli istituti: alcuni detenuti No Tav hanno dato vita, per esempio, a uno "sciopero dell’aria" per protestare - affermavano - contro il regime di isolamento cui era stato sottoposto un loro compagno. Per oggi e domani, invece, sono in programma dei presidi davanti alle carceri di Alessandria e Bologna. Le mosse della galassia antagonista sono documentate da una pubblicazione chiamata "Olga - È ora di liberarci di tutte le galere". Giustizia: Orlando si piega al patto del Nazareno, niente falso in bilancio e autoriciclaggio di Fabrizio d’Esposito Il Fatto Quotidiano, 5 ottobre 2014 Antonio Di Pietro è rimasto in un angolo, quasi invisibile. In netta minoranza. Poi è andato via. Sul palco, il guardasigilli Andrea Orlando, leader dei giovani turchi filorenziani del Pd. Sansepolcro, in provincia di Arezzo. L’Italia dei Valori ricomincia laddove tutto iniziò sedici anni fa. Ma con qualche sorpresa. Per esempio, la pubblica ammissione del ministro della Giustizia sull’impossibilità di fare una seria riforma della giustizia nell’attuale paesaggio politico. Orlando evoca solo le mediazioni dentro la maggioranza, alludendo al Nuovo Centrodestra di Angelino Alfano. Il vero convitato di pietra è però il patto segreto del Nazareno tra il premier e il Pregiudicato. Il falso in bilancio? Orlando dixit: "Sarà difficile reintrodurre il reato falso in bilancio, anche perché dobbiamo relazionarci con i nostri partner nell’esecutivo". Altro esempio: l’auto-riciclaggio, finito sotto tutela dell’ineffabile coppia composta dalla renziana Maria Elena Boschi e dal berlusconiano Niccolò Ghedini. Orlando, ancora, ai limiti dell’impotenza: "Non è semplice, anche in considerazione dell’attuale quadro politico in cui convivono, diciamo, sensibilità diverse". Insieme con Orlando, alla festa della rediviva Idv guidata da Ignazio Messina, che aspira a ritrovare una solida alleanza con il Pd di Renzi, il vicepresidente dell’Anm Valerio Savio e l’ex parlamentare dipietrista Federico Palomba, esperto di politica giudiziaria. La deludente risposta del guardasigilli sulle "sensibilità diverse" è arrivata da una chiara considerazione di Savio sull’auto-riciclaggio: "Vorrebbe dire poter colpire chi ricicla in imprese proprie il denaro frutto di reati. Un meccanismo che adesso è difficilissimo stroncare proprio in mancanza di una legge". La confessione pubblica del ministro non ha risparmiato neanche la questione della riduzione della custodia cautelare, altro storico cavallo di battaglia della destra berlusconiana. Ha detto Orlando: "Dobbiamo capire quanto lungo è il passo che dobbiamo fare. Sulla custodia cautelare bisogna chiedersi: è meglio riempire le carceri e poi essere costretti a provvedimenti come l’amnistia e l’indulto o piuttosto è meglio utilizzare la custodia con più parsimonia?". Un falso problema per il vicepresidente dell’Associazione nazionale magistrati: "Il punto è che le carceri sono piene di persone arrestate per reati comuni, soprattutto stupefacenti. Mentre il potere repressivo è quasi nullo rispetto ai reati che commettono i colletti bianchi". In pratica, l’unico risultato che il ministro della Giustizia porterà a casa entro dicembre, anche a costo di fare un decreto, è la responsabilità civile contro i magistrati, con la formula indiretta, per non apparire "troppo punitivi con le toghe". L’uscita di Orlando alla festa dell’Idv è l’ennesima conferma delle riforme a trazione renzusconiana. Ed è stato proprio il Condannato, nel recente ufficio di presidenza di Forza Italia, a parlare del suo rapporto con Renzi. Non solo sull’articolo 18: "Siamo pronti a dare una mano anche sulla giustizia a patto che siano rispettati gli impegni presi". Impegni, ovviamente, che rientrano in quel patto segreto cui è impiccata la nuova gloriosa era renziana. Del resto, lo stesso guardasigilli Orlando, appena diventato ministro, annunciò proprio dalle colonne del nostro quotidiano: "Presto il falso in bilancio e l’auto-riciclaggio". Otto mesi dopo non solo non è arrivato nulla, ma la mediazione è al ribasso per la doppia interdizione del Nuovo Centrodestra e di Forza Italia. Senza dimenticare il ministro confindustriale Federica Guidi, apertamente contraria alle misure che spaventano il Pregiudicato. Il renzismo è di destra anche sulla giustizia. E ieri Orlando lo ha ammesso. Responsabilità toghe impegno scritto Parlamento Il ministro della Giustizia Andrea Orlando chiederà "un impegno scritto ai due rami del Parlamento rispetto ad una possibile calendarizzazione" della legge sulla responsabilità civile dei magistrati, per la quale è stata aperta una procedura di infrazione europea. Lo ha detto lo stesso Orlando ad Ancona. "Sulla base di questo dato - ha aggiunto - andrò a illustrare alla Commissione europea iter e calendario della legge. Credo che ci siano le condizioni per una risposta compiuta entro la fine dell’anno". "Attualmente la legge è in discussione in commissione al Senato. Ieri ho parlato con il presidente della Commissione Giustizia Palma che mi ha dato un’indicazione di massima - ha spiegato Orlando, parlando con i giornalisti a margine di un convegno dell’Ordine degli Avvocati -. Ho parlato con il presidente Grasso e con la presidente della Commissione della Camera, Ferranti. Nelle prossime ore parlerò con la presidente Boldrini. Naturalmente tutto questo dovrà essere formalizzato". Da qui la richiesta di un impegno scritto sui tempi. Stiamo lavorando a Tribunale Famiglia "Stiamo lavorando all’ipotesi del Tribunale della famiglia per superare le contraddizioni del legislatore, riunendo in un unico soggetto tutte le competenze sulla famiglia". Lo ha ricordato il ministro guardasigilli Andrea Orlando, intervenuto ad un convegno dell’Ordine degli Avvocati di Ancona sul tema "La famiglia tra evoluzione e crisi". L’ipotesi - ha ammesso - riscuote ancora "una certa diffidenza rispetto alla scala su cui questi organismi dovrebbero agire. C’è il timore che soggetti con una dimensione distrettuale non abbiano la necessaria prossimità alla realtà da seguire. L’obiettivo è di assicurare omogeneità di trattamento", oggi frammentato tra diverse competenze. Comunque - ha sottolineato -, di fronte ad una domanda di giustizia che attualmente è "tre volte e mezzo quella della Germania e che rimarrà imponente anche nel prossimo decennio", anche molto superiore alla capacità di "una risposta tempestiva", la legislazione deve porsi il problema di selezionare delle priorità che - a giudizio del ministro Orlando - "sono due: famiglia e imprese". Lettere: i risarcimenti per l’invivibilità nelle carceri? vengono quasi sempre negati di Giulio Petrilli Ristretti Orizzonti, 5 ottobre 2014 I dati ufficiali sui risarcimenti per l’invivibilità nelle carceri, dove ci fu un intervento della Corte Europea, sono a dir poco incredibili, finora è stato risarcito un solo detenuto con quattromila euro. Molti altri si vedono respingere l’istanza con la non ammissibilità, altri non hanno avuto nessuna risposta. Qui nel nostro paese non esiste nessuna forma di risarcimento, né per l’invivibilità nelle carceri, né quando sei detenuto ingiustamente. C’era stata una sentenza della Corte Europea che obbligava l’Italia a rispettare il principio di umanità nella detenzione, riprovando l’incredibile sovraffollamento dei nostri Istituti di pena. Ma poi questa sentenza non ha avuto esecutività e la Corte Europea di fatto annullava la prima sentenza, concedendo all’Italia altro tempo e altre soluzioni. Per questo ci fu un decreto, approvato in un consiglio dei ministri che sanciva un risarcimento irrisorio per detenzioni inumane. Oggi i dati ufficiali delineano un dato inquietante. Nessuno viene risarcito per questo, solo una persona è stata risarcita in forma esigua. Una tragica e triste constatazione: una volta detenuto non hai più diritti, in nessun senso, sia per le detenzioni illegali, in quanto poi una volta assolto nessuno ti risarcisce e anche nelle detenzioni in condizioni incredibili avviene lo stesso, nessun risarcimento. Quando varchi la soglia di un carcere per te i diritti finiscono per sempre. Finiscono anche quando risulti innocente, immagina se vieni condannato. Rimane solo l’indicibile sofferenza che il carcere produce sugli individui. Piemonte: le carceri si svuotano, per la prima volta ci sono posti liberi di Mariachiara Giacosa La Repubblica, 5 ottobre 2014 Se quattro metri quadrati vi sembrano pochi, pensate che fino a gennaio dell’anno scorso ogni detenuto piemontese ne aveva diritto a poco più di due e mezzo. Da allora ci sono stati i decreti svuota carcere, la bocciatura della legge Fini Giovanardi che inaspriva le condanne anche solo per il possesso di droghe leggere, sono stati aperti due nuovi padiglioni nei penitenziari di Biella e Cuneo e il risultato è che il Piemonte è tra le poche regioni italiane, insieme a Trentino Alto Adige, Calabria, Sardegna e Valle d’Aosta, dove il numero dei detenuti è sceso sotto la soglia regolamentare. E per ognuno di loro adesso ci sono i quattro metri quadrati previsti dall’Unione europea per il rispetto dei diritti umani. Tra le ragioni che hanno contribuito a far diminuire il numero dei detenuti c’è anche la costruzione di quattro nuove carceri di massima sicurezza in Sardegna, dove stati trasferiti molti condannati di lungo corso. E così la rilevazione del 30 settembre dice che gli ospiti delle tredici carceri piemontesi sono 3.551, meno dei 6.000 posti definiti "tollerabili" e anche meno di quelli regolamentari, che sarebbero 3.833 (in questo momento scesi a 3.666 perché alcuni non sono temporaneamente utilizzabili). Restano alcune situazioni critiche, perché questo è il dato regionale, mentre nelle carceri, ad esempio, di Ivrea e di Alessandria gli ospiti sono oltre il livello previsto. In ogni caso, però, e questa è una buona notizia, il numero dei carcerati è in deciso calo rispetto a gennaio dell’anno scorso quando i detenuti in Piemonte erano 4.977. "È un punto di partenza, un’occasione da non perdere" ha detto ieri il garante dei detenuti della Regione Bruno Mellano, durante la presentazione, insieme al presidente di Palazzo Lascaris, Mauro Laus, dei dati sull’affollamento delle carceri e di una serie di eventi per raccontare il sistema adottato in Piemonte per gestire la galassia della detenzione. "Se le carceri sono meno affollate - ha aggiunto - funzionano meglio anche tutti i progetti sociali, di formazione e di recupero che in molti casi sono nati qui". E proprio per celebrarli inizia oggi una due giorni, al carcere di Saluzzo, dedicata alla formazione organizzata dall’associazione Antigone. Domenica sarà invece la volta di Alba, dove in occasione del palio degli asini, che apre i festeggiamenti per la Fiera del Tartufo, sarà allestito il mercatino "Valelapena" di vendita di prodotti realizzati in carcere e nei terreni confiscati alle mafie, che prende il nome dal vino della casa circondariale di Saluzzo. Ci saranno una decina di banchetti di altrettante cooperative che lavorano tra Piemonte, Liguria e Lombardia. L’8 ottobre, poi, a Torino, nella sezione femminile dell’ex carcere Le Nuove si svolgerà una giornata di convegno dedicata al quarantesimo "compleanno" della formazione professionale all’interno degli istituti di pena, organizzata dalla Fondazione Casa di carità arte e mestieri. Lombardia: dalla regione 2,5 mln per l’efficientamento energetico delle carceri Dire, 5 ottobre 2014 Migliori condizioni di vita e di lavoro di detenuti e agenti di Polizia penitenziaria, maggiore sensibilizzazione sui temi della sostenibilità ambientale, riduzione dei consumi, risparmio energetico e riqualificazione di strutture spesso vecchie. Questi i principali obiettivi dell’innovativo progetto per l’efficientamento energetico (impianti a pompa di calore) per le carceri lombarde promosso dagli Assessorati regionali all’Ambiente, Energia e Sviluppo sostenibile e alla Sicurezza, Protezione Civile e Immigrazione. "Abbiamo messo a disposizione - ha spiegato l’assessore all’Ambiente Claudia Maria Terzi - 2,5 milioni di euro. Insieme al Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria (Provveditorato regionale) sono state individuate alcune strutture di detenzione in Lombardia che presentano gravi carenze, sia con riferimento allo stato degli involucri edilizi, che agli aspetti impiantistici, con particolare riguardo alla climatizzazione invernale. Di questa situazione si è resa conto anche la Commissione Speciale situazioni carcerarie in Lombardia del nostro Consiglio regionale, che nei mesi di febbraio e aprile ha visitato alcune carceri". In particolare, al carcere di Varese sono destinati 108.475 euro, a Busto Arsizio (Varese) 223.984. Alla casa circondariale di Opera (Milano) sono stati assegnati 925.388 euro, a quella di Cremona 271.998, a Lodi 112.514, a Bergamo 227.700, a Voghera (Pavia) 194.705. L’importo dei lavori è di poco superiore ai 2 milioni di euro, cui si aggiungono i costi relativi all’Iva sulle opere, sulle spese tecniche e all’allacciamento ai pubblici servizi. Gli interventi saranno realizzati entro la fine di ottobre 2015. "La presenza di alcune criticità - ha precisato Simona Bordonali, assessore alla Sicurezza, Protezione Civile e Immigrazione di Regione Lombardia - comporta limitazioni all’utilizzo delle strutture, con perdita di spazi destinati alla detenzione e conseguente sovraffollamento delle aree rimanenti e peggioramento delle generali condizioni di vita e di sicurezza della custodia. Tanto che il Paese è a rischio infrazione da parte della Unione europea proprio con riferimento alla condizioni di detenzione, che non rispecchiano gli standard previsti". Da qui la scelta di intervenire, da parte della Regione, per "un miglioramento delle condizioni di detenzione e diminuzione dei consumi energetici e delle relative emissioni", con l’installazione della cosiddetta "tecnologia a pompa di calore". "Questo intervento, volto a migliorare le strutture carcerarie e che si riflette in una più corretta gestione del problema delle condizioni di detenzione, costituisce - concludono gli assessori Terzi e Bordonali - un importante segnale alle Autorità comunitarie, con riferimento alle procedure di infrazione avviate (carcere di Busto Arsizio), nonché un miglioramento della situazione infrastrutturale della Lombardia". Lazio: il Garante; nel carcere di Frosinone detenuti da mesi senza cure odontoiatriche Adnkronos, 5 ottobre 2014 Orami da mesi, ai detenuti del carcere di Frosinone non sono più erogate cure di carattere odontoiatrico. A denunciare la situazione che, con il passare delle settimane, sta diventando sempre più grave, il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni secondo cui "le strumentazioni obsolete ed inservibili e l’assoluta mancanza di materiali sono state le ragioni che hanno di fatto impedito che ai detenuti venissero erogate le necessarie cure". A quanto risulta al Garante - che più volte ha sollecitato le istituzioni su questa difficile situazione - la Asl di Frosinone sta lavorando affinché i problemi vengano risolti: recentemente è stato bandita una nuova gara per la fornitura dei materiali, visto che la precedente era andata deserta. La carenza di cure dentarie ha già causato, all’interno del carcere, l’aumento dell’uso di farmaci antidolorifici oltre a quello del rischio di insorgenza di patologie dell’apparato gastrointestinale. Secondo il Garante, questa situazione ha anche risvolti paradossali, come gli ostacoli burocratici che hanno impedito ad alcuni detenuti di curarsi a proprie spese. È il caso di Giacomo, 50enne, che in carcere - dove sta scontando un cumulo di pena per reati di 15 anni fa - ha perso tutti i denti fin dal 2010 e si alimenta solo con pane e poco altro di facile ingestione. Da oltre un anno e mezzo Giacomo non fa colloqui con la famiglia perché si vergogna di farsi vedere senza denti ma ora è tra i pochi fortunati che potrebbero pagarsi una protesi dentaria perché lavora all’interno del carcere. Nonostante ciò, una serie di impedimenti burocratici gli hanno, fino a questo momento, impedito di pagare a proprie spese una protesi dentaria. "Sospesa l’attività di cura e prevenzione delle malattie del cavo orale - ha detto il Garante - i detenuti sono costretti ad arrangiarsi come possono. Il paradosso è che viene impedito di curarsi anche a chi ne avrebbe le possibilità economiche. Per questi motivi ho chiesto alla Asl, alla direzione del carcere e al Provveditorato Regionale dell’Amministrazione penitenziaria di adoperarsi per riattivare prima possibile il servizio e per consentire, a chi ne ha la possibilità, di farsi curare autonomamente. Occorre far fronte al più presto ad una situazione che sta diventando ormai intollerabile". Trapani: risolto il problema dell’approvvigionamento idrico della Casa circondariale www.trapaniok.it, 5 ottobre 2014 Grazie all’impegno del Consigliere Comunale di Erice, Gian Rosario Simonte, e del servizio tecnico del Comune di Erice, è stato risolto, definitivamente, l’annoso problema dell’approvvigionamento idrico della Casa Circondariale di Trapani. L’erogazione dell’acqua a singhiozzo, infatti, specie nei mesi estivi degli ultimi anni ha dato luogo nel tempo a manifestazioni di protesta, reclami, ispezioni parlamentari, da parte dei detenuti. Durante la visita del 7 settembre da parte di una delegazione di parlamentari composta dalla Senatrice Pamela Orrù dal Vice Presidente della Camera On. Roberto Giachetti del PD, accompagnati dai collaboratori Gian Rosario Simonte, Jana Cardinale, Marco Campagna e Valentina Villabuona, era emersa nuovamente tale problematica, ma stavolta anzich´ delle solite promesse, la politica è passata ai fatti. È stato, quindi, grazie alla tenacia del Consigliere Simonte, appoggiato in toto dall’Amministrazione Tranchida, e alla professionalità dei tecnici del Comune di Erice che è stato applicato un by pass alla conduttura che permetterà, finalmente, all’Istituto che attualmente ospita 450 reclusi, di avere l’acqua h24, risolvendo così definitivamente il problema. "All’apparenza può sembrare un’operazione banale - dichiara il Direttore dott. Renato Persico - quella di applicare un by pass alla conduttura e fare un piccolo scavo nel terreno per i collegamenti ma fino ad oggi non c’era stata mai attenzione verso questo problema che investe una comunità, quella penitenziaria, composta, giornalmente tra detenuti, polizia penitenziaria e varie figure professionali da almeno 700 persone. Un’operazione, per certi versi "epocale" considerato che l’Istituto di Trapani, da cinquant’anni e a fasi alterne, ha sofferto - come peraltro tutto il territorio trapanese ed ericino - il problema dell’acqua. Un ringraziamento sincero da parte della comunità penitenziaria va al Consigliere Simonte e al Sindaco Tranchida, che dopo l’ennesima visita di parlamentari hanno voluto dimostrare che se c’è il vero impegno da parte dei rappresentanti politici, che sono in primo luogo cittadini di questo territorio, i problemi vengono risolti". Padova: Sappe; entra in carcere con droga per parente detenuto, fermato dagli agenti Adnkronos, 5 ottobre 2014 Ha tentato di introdurre droga in carcere ma l’attenzione degli agenti della Polizia Penitenziaria lo ha impedito. È accaduto oggi nella Casa di Reclusione di Padova e a darne notizia è il Sindacato autonomo di Polizia Penitenziaria Sappe. "Un uomo di origine tunisina si è presentato per sostenere il colloquio con un connazionale detenuto, ma i poliziotti penitenziari di servizio si sono insospettiti per lo strano modo di parlare dell’uomo - riferisce Donato Capece, segretario generale del Sappe. Lo hanno quindi perquisito e gli hanno trovato, in bocca, due involucri con 8 grammi di hashish. Il colloquio con il detenuto è stato ovviamente revocato e l’uomo arrestato". "Tutti possono immaginare quali e quante conseguenze avrebbe potuto causare l’introduzione di droga in un carcere - sottolinea Capece. Vi è allora la necessità di riformare il sistema di giustizia criminale nei confronti delle persone tossicodipendenti, che abbiano commesso reati in relazione al loro stato. Questo per evitare la carcerazione attraverso interventi alternativi, da attivare già durante la fase del processo per direttissima, di cura e riabilitazione "controllate e gestite" in regime extracarcerario con l’ausilio dei servizi pubblici e delle comunità terapeutiche". Il Sappe ricorda che, al 30 giugno scorso, dei 58.092 detenuti presenti nelle carceri italiane la percentuale di tossicodipendenti era del 25,15% (pari a 14.612 ristretti) mentre erano 20.385 le persone detenute per i reati di cui all’articolo 73 del Testo unico sugli stupefacenti. Verona: carcere di Monrorio, sequestrati otto cellulari nelle celle dei detenuti L'Arena, 5 ottobre 2014 Essere in grado di comunicare con l'esterno è un vantaggio. E può diventare molto pericoloso. Detenuti con i telefonini cellulari in cella. È un'arma pericolosa un cellulare in carcere, perchè dà al detenuto che lo possiede un potere immenso, anche sugli altri compagni di cella. Negli ultimi dieci giorni, nelle celle di Montorio ne sono stati trovati e sequestrati otto. A portarli dentro sono i familiari. Nell'ultimo caso, come poi ha ammesso lo stesso detenuto, era stata la madre che si era nascosta il cellulare in vagina e poi era andata in bagno, lo aveva tirato fuori e quindi consegnato al figliolo. I filtraggi all'ingresso della struttura ci sono. Prima di entrare i familiari come chiunque altro entri in carcere deve lasciare gli effetti personali all'ingresso, nei box metallici. Teramo: carcere, le testimonianze di chi ha partecipato al progetto "Movimento e colore" di Diego Soresini Il Centro, 5 ottobre 2014 Il giorno 29 luglio mi è stata offerta la possibilità di partecipare ad un corso artistico, organizzato dall’area educativa. Secondo il mio punto di vista questo progetto ci ha dato la possibilità di effettuare sulla nostra personalità un’indagine cromo psicoanalitica, ovvero un’auto interpretazione della personalità attraverso le forme grafiche, la scelta e l’utilizzo dei colori e la loro miscellanea. Solitamente queste forme d’arte estemporanee sono le più idonee per questa valutazione, in quanto sono dettate principalmente dal nostro subconscio, il quale lavora pur sempre in correlazione con la parte cosciente del nostro io. Questa componente è variabile a seconda della velocità di esecuzione. Pertanto, più questa è elevata meno sarà presente la parte cosciente e viceversa. Nel mio caso ho agito rapidamente, lasciando lavorare quasi unicamente il mio subconscio, non perché ne fossi consapevole, bensì, in quanto arto leso, mi trovavo in una posizione scomoda. Questo progetto mi ha dato la conferma della consapevolezza di non possedere delle doti artistiche nel campo della pittura, ma sicuramente sono riuscito a mettere in evidenza, attraverso la mia opera, i miei stati d’animo: "la confusione", ovvero il "caos" greco, un marasma relativo alla mia posizione giuridica, che attualmente appare molto ingarbugliata; la speranza in un prossimo futuro, di mettere finalmente ordine nella mia vita, grazie alla scoperta delle mie capacità che proprio il carcere ha permesso di evidenziare, in quanto mi ha dato l’opportunità di partecipare a diverse iniziative: scuola alberghiera, teatro, musica. Il percorso finora svolto mi ha reso consapevole del mio valore personale, e di quanto esso sia assolutamente indipendente, anzi fortemente condizionabile, dall’uso e abuso di quelle che sono le sostanze psicotrope. Con queste poche righe vi ho reso partecipi dei miei pensieri e delle mie riflessioni in merito all’esperienza proposta in carcere e a cui io ho partecipato seguendo le lezioni e gli insegnamenti proposti durante il corso. Può darsi che la mia sia un’interpretazione sbagliata, e che l’iniziativa sia stata concepita con l’unico scopo di farci trascorrere un paio d’ore in modo creativo, per interrompere il monotono ritmo carcerario che si ripete di giorno in giorno. Io ritengo che se anche così fosse ognuno di noi ne ha fatto un uso suo proprio e a ciascuno sicuramente ha stimolato emozioni e riflessioni che possono diverse da persona a persona tra tutte quelle che si trovano a partecipare all’iniziativa. Ritengo che ogni iniziativa che stimoli riflessioni su di sé, che aiuti a conoscersi e che accresca la cultura personale, sia fondamentale in carcere come anche all’esterno, perché aiuta ad essere felici: la felicità secondo Socrate infatti si raggiunge attraverso la conoscenza. Concludo questa mia nota citando una frase di Sant’Agostino: "ad discendum quod opus est nulla mihi aetas sera vederi potest" (nessuna età mi appare così tarda per imparare ciò che è necessario). Il grazie agli operatori: "Così persone e non numeri", di Augusto Capoferri Grazie. Comincio con questa parola che, di consuetudine, si pone a fine degli iscritti. Vi ringrazio perché ci avete dato modo di spezzare la routine snervante e persistente della nostra vita semplice e banale di detenuti, donandoci alcune ore della vostra vita. Noi qui viviamo lunghe ed interminabili giornate, che spesso sembrano non avere prospettive. Voi ci avete fatto capire che, per nostra fortuna, non esistono solo persone che ci considerano derelitti umani, scarti della società, destinati a vivere rinchiusi e privi di tante cose. Voi ci avete fatto sentire persone, non numeri da dimenticare e da evitare. Il nostro percorso di detenuti ha come fine la rieducazione, e non sempre è facile porlo in essere, a causa di tante disfunzioni, carenze. Voi ci avete dato la possibilità di riflettere sul nostro essere, di capire le nostre capacità, di sperimentare attività nuove, di provare emozioni. Ci avete fatto sentire persone a tutti gli effetti, ridestando in noi la speranza di incontrare ancora persone che sappiano andare oltre i pregiudizi della gente qualunque. Avete dimostrato con la vostra passione e la vostra dedizione che possiamo ancora meritare la fiducia del prossimo, perché se è vero che abbiamo sbagliato è pur vero che possiamo riflettere sulle nostre scelte e tornare sulla retta via. Il vostro progetto è stato semplice ma molto diretto ed efficace; probabilmente tra di noi non nascerà alcun Picasso, non era certo questo lo scopo, ma ci ha dato la possibilità di interagire tra di noi in modo diverso, di rasserenare la mente, di volare con la fantasia, si spronarci a non rinchiuderci in noi stessi. Entusiasmo per il corso ma l’ansia è tornare in cella, di Salvatore Pirone Avrei molti aggettivi per descrivere quello che è accaduto in aula, certamente inaspettato, sicuramente spiazzante; non mi aspettavo una situazione così particolare e sinergica. Non mi era mai capitato di dipingere usando il mio corpo come valore aggiunto, senza alcuno strumento, penna, bomboletta spray o pennello che sia: nulla si frapponeva tra me, i colori e la tela. Ho provato un gran senso di libertà nel potermi esprimere così, senza limiti, freni inibitori o condizionamenti. Tutto molto bello, dal progetto alla proposta che ci è stata fatta, al discutere in aula di arte, di artisti, di mostre e musei, con l’aiuto di un’insegnante di storia dell’arte. Sono occasioni in cui la mente e l’anima volano in libertà, la fantasia varca tutti i muri e si assapora una sensazione di leggerezza e di infinito. Ma poi? Il ritorno in sezione è accompagnato da tristezza e malinconia: mi sono ritrovato di nuovo ad avere limiti e restrizioni, insomma a rivivere la realtà, la routine quotidiana che da troppo tempo mi logora. È una strana sensazione, dopo aver vissuto esperienze così coinvolgenti e rilassanti, la carcerazione sembra più dura. Forse il mio giudizio è un po’ estremo, mi trovo in una fase in cui sono abbastanza sensibile per dare una valutazione obiettiva. Vorrei comunque ringraziare sinceramente chi mi ha concesso delle splendide ore di libertà, almeno mentale. Il denaro è la mia condanna, qui non so che farmene, di Claudio Grazie al progetto di educazione artistica organizzato in carcere e a cui ho partecipato nei giorni scorsi ho potuto esprimere ciò che sento nel cuore attraverso un disegno che rappresenta la mia vita e ciò che ho perso durante questi anni che sto trascorrendo in carcere. Ho disegnato il sole, i gabbiani e il mare che rappresentano per me la libertà, che in carcere è il valore che manca in assoluto; poi i visi e le mani, che rappresentano i miei figli, che attualmente non hanno accanto il viso e le mani del loro papà che li protegge e gli vuole bene. Infine ho disegnato il denaro, il simbolo della mia condanna: avere i soldi serve a poco, se poi chiuso in carcere non puoi goderti nulla, nemmeno il sole e il mare che non costano nulla. Nemmeno l’aria che respiri, nemmeno una passeggiata nel verde stringendo le mani dei figli in una bella giornata di sole e luce. Nei disegni che ho fatto ho inserito anche il numero 10, simbolo di una parte di vita inutile persa per sempre, perché, ora capisco, 10 anni di condanna sono anni buttati al vento, anni di vita persi per sempre, anni che non torneranno mai più nella mia esistenza e in quelli della mia famiglia. Ci vuole tanta sofferenza per capire quanto sia importante ottenere ciò che si vuole con dignità e rispetto, ma soprattutto col sudore della propria fronte, perché la libertà non ha nessun prezzo. Fermo (Ap): "pizza.it" di Capodarco promuove un corso di pizzaiolo per i detenuti www.informazione.tv, 5 ottobre 2014 Un corso per imparare a fare la pizza. Fino a qui nulla di strano. Per molti è potrebbe sembrare una notizia come tante. A renderla unica è il luogo in cui si svolge il corso: tra i detenuti del carcere di Fermo. Un’iniziativa che vede protagonista una realtà che ormai da anni è diventata il fiore all’occhiello del fermano, ovvero pizza.it di Capodarco. E proprio al responsabile, Umberto Bachetti, sono arrivate due lettere quanto mai toccanti. "Le scrivo queste righe per ringraziarla di quanto ha fatto per farci fare questo corso di pizza" esordisce la lettera del detenuto. "Oltre ad avermi insegnato un possibile lavoro, mi ha fatto crescere a livello personale confrontandomi con gli altri ragazzi di etnia diversa". Parole che hanno commosso Umberto Bachetti che racconta: "Sono veramente gratificato e queste poche righe mi riempiono d’orgoglio. Ieri quando me l’hanno consegnata, in realtà le lettere sono di 2 distinti detenuti, ho immaginato il tipo chiuso in una celletta 3x2 intento a scrivermi mentre sognava un futuro migliore. Ho fatto fatica a non mostrare commozione ma "li per li" ce le ho fatta; però in auto, ripensandoci, e a casa, mentre la leggevo ai miei, un po’ meno". Bachetti che, dalla sua pagina Facebook ha scritto: "So che non si dovrebbe gridare ai 4 venti la notizia di una buona azione compiuta (anche se si è già letto del corso sui giornali e lo stesso carcere farà un ulteriore comunicato stampa) e quella che voglio condividere con voi è l’emozione e a commozione provata vedendo chi nella propria sofferenza si affida o quantomeno confida in te". Roma: due eventi a Rebibbia, il coro delle trans e gli attori-detenuti ricordano De Andre Il Garantista, 5 ottobre 2014 Il carcere di Rebibbia farà risuonare nel mese di ottobre nei suoi spazi sempre meno silenti e claustrofobici eventi spettacolari e cinematografici che si collegano al ricordo di grandi uomini dello spettacolo; Fabrizio De André ed Enrico Maria Salerno. Dopo aver mostrato al pubblico internazionale quello che può significare portare il teatro dentro le carceri, dopo che il bellissimo film dei fratelli Taviani, Cesare deve morire (film del 2012, che aveva vinto l’Orso d’Oro al festival di Berlino), ha fatto conoscere non solo agli addetti ai lavori ma al pubblico allargato quello che può significare recitare le parole di Shakespeare a Rebibbia, dove un regista come Fabio Cavalli da tanti anni fa il suo lavoro di teatro terapeutico, ogni gesto artistico dentro quello spazio assume un peso specifico differente. Sempre sotto la direzione organizzativa di Fabio Cavalli, il 10 ottobre falle ore 15) andrà in scena uno speciale "Omaggio a Fabrizio De Andre e alla canzone d’autore della scuola genovese". Con Max Manfredi ("un artigiano di musica e parole" che lo stesso de André aveva definito "il più bravo di tutti", mentre per Roberto Vecchioni il termine cantautore gli sta stretto: "usa romanzo poesia e canzone"), Franco Boggero e Marco Spiccio. La direzione d’orchestra è di Franco Moretti, Accanto ai detenuti musicisti, si esibirà il coro delle trans di Rebibbia, il che è doppiamente significativo. Solo due giorni fa abbiamo pubblicato sul nostro giornale un reportage sulla terribile condizione delle trans nelle carceri: "Il transessualismo non viene riconosciuto dalle direzioni carcerarie, quindi generalmente le trans sono recluse negli istituti maschili e in reparti speciali separati per detenuti "a rischio" insieme ai collaboratori di giustizia e ai pedofili" scrivevamo. "È un nuovo esperimento di contaminazione fra artisti liberi e reclusi nel nome del più anarchico dei cantautori italiani. La band di Rebibbia, sfida artisticamente sul palco del Teatro del carcere esponenti della scuola genovese" dei cantautori come Max Manfredi, Franco Boggero, Marco Spiccio. Accompagna la performance il coro delle trans di Rebibbia a memoria di quella Princesa che venne detenuta nel penitenziario romano: proprio De André ne cantò la drammatica storia" scrive Fabio Cavalli. Il 13 ottobre, invece, sempre alle ore 15, il collaborazione con il Festival Internazionale del Film di Roma e con l’Officina Film Club, si farà un omaggio a Enrico Maria Salerno, nel ventennale della sua scomparsa. Ospite d’onore Dario Argento, di cui potremo rivedere il film "L’uccello dalle piume di cristallo", dove Salerno interpretava il ruolo del solerte commissario Morosini. All’evento parteciperanno anche Laura Andreini, la vedova del grande attore (scomparso il 28 febbraio del 1994) e animatrice del Teatro di Rebibbia, Benedetta Buccellato (compagna di scena di Salerno) e Paolo Luciani {dell’Officina Film Club). L’ingresso e gratuito ma la prenotazione obbligatoria (www.enricomariasalerno.it) Sassari: il carcere e la città, lo spettacolo "Il gatto prigioniero" in scena al Teatro Civico La Nuova Sardegna, 5 ottobre 2014 La Compagnia Teatro Sassari aprirà la rassegna "Autunno a teatro" oggi alle 19,00 con "Il gatto prigioniero" di Cosimo Filigheddu, per la regia di Marco Spiga. Oggi, in particolare, la commedia verrà preceduta da una tavola rotonda alla quale parteciperà oltre all’autore anche il sindaco di Sassari, l’attore Mario Lubino, il magistrato Gianni Caria e l’architetto Sandro Roggio. La commedia debuttò nel marzo scorso al Parodi di Porto Torres, riscuotendo un clamoroso successo. Già da allora si sarebbe dovuta rappresentare a San Sebastiano, quasi a siglare la fine del triste ruolo istituzionale di quel grande e tetro edificio che da un secolo e mezzo affascina nel suo misterioso orrore i sassaresi. Solo i pochi che hanno varcato quelle mura sanno davvero quali abissi di miseria abbiano coperto sino al giugno del 2013, quando in un solo giorno vennero evacuati i prigionieri diretti verso il nuovo carcere di Bancali. Bastarono poche ore per fare cessare una vergogna italiana chiamata carcere di San Sebastiano e imporre alla città e alla sua classe dirigente il pesante problema del recupero e della restituzione alla vita pubblica e civica di un edificio storico e monumentale. L’opera di Filigheddu ripercorre 60 anni di storia del carcere, dalla fuga di Graziano Mesina all’arresto di Dario Fo e il pestaggio dei detenuti. Info allo 079200267 e al 3491926011. Libri: "La guerra è finita", di Monica Galfré. Dal pentitismo al regime speciale carcerario di Silvana Mazzocchi La Repubblica, 5 ottobre 2014 Il racconto di come l’Italia uscì dalla stagione più sanguinosa Anni d’ira e di furore, i Settanta. Una lunga stagione di lotta armata che in Italia, più che in altri paesi d’Europa, riuscì a diffondersi e perfino a radicarsi nella vita sociale. Oltre duecento i morti, migliaia i feriti e innumerevoli gli attentati. Con le Brigate rosse e Prima linea in testa, e con una galassia di sigle minori, tutte coinvolte in un fenomeno la cui intensità toccò il culmine con la strage di via Fani e con il rapimento e l’omicidio di Aldo Moro, per poi perdere progressivamente la connotazione iniziale e cedere all’impennata di attacchi ripetuti, sequestri di persona, agguati e omicidi. Fino alla comparsa dei primi pentiti e, successivamente, di quel movimento di dissociazione che invitava dal carcere "a deporre le armi". Un cammino accidentato che ora Monica Galfré, apprezzata studiosa della lotta armata negli anni Settanta e insegnante di storia dell’Italia repubblicana all’Università di Firenze, ha voluto ricostruire nel suo libro La guerra è finita, un saggio che per la prima volta offre una fotografia completa di quel periodo, arricchita con materiali inediti e numerose testimonianze. Una considerazione innanzi tutto illumina la ricerca di Galfré: il tentativo, dichiarato e riuscito, di analizzare i fatti con la duplice lente della dimensione individuale (intrecciata a quella collettiva) e degli avvenimenti. Ecco allora il racconto del pentitismo, un fenomeno contrastato che ebbe inizio con leggi abbozzate già agli albori degli Ottanta, che vennero poi ampliate negli anni successivi con norme premiali destinate a quanti scelsero di parlare in cambio di protezione e sconti di pena. Un’attenzione particolare, però, Galfré la riserva all’universo carcerario, al regime speciale di quegli anni, al lento riaffacciarsi dei detenuti alla vita. Un movimento del tutto diverso dal pentitismo che, nato dal carcere e dal distacco degli ex terroristi nei confronti della lotta armata, coinvolse nel tempo oltre i due terzi di loro. Utile ricordare come si sviluppò il cammino verso l’agognata riconciliazione, che non si è mai del tutto compiuta. S’inizia da quando, alla presa di distanza degli ex terroristi in carcere, si unirono da sponde opposte e con motivazioni diverse vasti settori della Chiesa e del mondo cattolico, pezzi di società e anche quei magistrati preoccupati di portare a termine le inchieste ancora in corso, che videro nella delegittimazione della violenza da parte di tanti detenuti un terreno fertile per allargare l’area della dissociazione e debellare quel che restava del terrorismo. "La guerra è finita" è la storia del come e con quali protagonisti è iniziato ed è proseguito il tormentato cammino verso la normalizzazione. La cronaca degli scogli, dei passi indietro, ma anche dell’impegno e delle accelerazioni che, infine, hanno permesso di recuperare la lealtà a un sistema politico umiliato dalle esigenze emergenziali. "La guerra è finita", di Monica Galfré. Laterza. Pagg. 270. Euro 22. Immigrazione: i Centri di identificazione ed espulsione? sono costosi e inutili di Sara Menafra Il Messaggero, 5 ottobre 2014 Si chiamano Centri di identificazione ed espulsione. Ma la prima cosa che salta all’occhio leggendo il rapporto della Commissione Diritti umani del Senato che l’anno scorso ha visitato tutti i Cie d’Italia, è che solo in qualche caso i migranti che arrivano in queste strutture vengono espulsi. E che quasi mai a favorire le procedure di allontanamento dal paese sono i tempi di detenzione che attualmente possono arrivare a 18 mesi. I numeri sono inequivocabili: nel 2013, i migranti rimpatriati attraverso i Cie sono stati lo 0,9% degli irregolari presenti sulla Penisola, che al primo gennaio 2013 erano stimati a 294.000. Tra il 1998 e il 2012, poi, su 169.126 persone transitate nei centri, sono state 78.081, il 46,2% del totale, quelle effettivamente rimpatriate. Col tempo, l’efficienza di queste strutture è via via calata. Secondo i dati del ministero dell’Interno citati nel rapporto, gli stranieri trattenuti nei Cie nel corso del 2013 sono stati 6.016 (5.431 uomini e 585 donne) dei quali 2.749 sono stati effettivamente rimpatriati. Nel 2014, al 9 luglio, i trattenuti risultano essere 2.124 di cui 1.036 rimpatriati, e nel 2012 su circa ottomila trattenuti, la metà era rientrata in patria. Il tasso di efficacia (rimpatriati su trattenuti), nel 2013 era del 5% inferiore all’anno precedente e in ogni caso le detenzioni lunghe sono quasi sempre inutili, e infatti lo stesso ministro Alfano si è reso disponibile a ridurre il tetto massimo: "In base a quanto dichiarato dal personale degli uffici immigrazione delle questure - si legge nel rapporto - in media sono sufficienti 45 giorni per identificare un trattenuto. Se non si sono espresse in questo lasso di tempo, le autorità consolari di solito non danno risposta". Insomma, se nel 1998 la legge Turco Napolitano aveva pensato ai Cpt come la soluzione al problema dell’immigrazione irregolare dando il via all’apertura di ben 23 strutture, oggi, sedici anni dopo, i Cie sembrano aver perso la propria funzione. La vera emergenza riguarda i rifugiati o aspiranti tali che giunti ai nostri confini chiedono asilo o cercano di raggiungere altri paesi europei. E i Cie superstiti, appena cinque, mantengono costi ballerini e spesso, scrive la commissione presieduta da Luigi Manconi, tornano sulle pagine dei giornali solo per le frequenti violazioni di diritti umani. Dal 2005 al 2011, lo Stato ha impegnato in media 143,8milioni di euro l’anno per allestire, gestire, mantenere e ristrutturare i centri. Ogni anno i costi di funzionamento delle strutture siano almeno di 25,1 milioni di euro a cui vanno aggiunti 30 milioni per i rimpatri coatti. In media, ogni espulsione è costata circa 3mila euro. Ma non basta valutare i costi. Scrive ancora la Commissione che la decisione presa nel 2011 di fissare la spesa pro capite/pro die a 30 euro più Iva si è rivelata "insufficiente a garantire qualità minima dei servizi e il rispetto delle condizioni minime di tutela della dignità delle persone trattenute". Il caso più eclatante è quello del Cie di Trapani. Nel 2013, una cooperativa si è aggiudicata l’appalto di gestione proponendo una spesa di 25 euro a trattenuto. Mai soldi non sono bastati per coprire le spese e la prefettura ha dovuto prima coprire in parte le spese e quindi, dopo la rinuncia della società, ha bandito nuovamente l’asta. Questa volta, la base di partenza è di 40 euro più iva. Nel frattempo, le condizioni dei trattenuti (1.300 nel 2013 a fronte di 162 rimpatri) sono a dir poco precarie: "Durante la visita sono state riscontrate - si legge nel rapporto - gravi carenze riguardanti l’erogazione di alcuni servizi essenziali (cibo, coperte, kit di vestiario) e le condizioni materiali dei moduli sono apparse critiche (strutture fatiscenti, servizi igienici sporchi, coperte e asciugamani insufficienti, fornitura di acqua e corrente elettrica non sempre garantita)". "I Cie - sottolinea Manconi - sono praticamente inefficaci rispetto allo scopo di espellere, gravemente onerosi e spesso lesivi dei diritti, talvolta disumani". Immigrazione: al Cie di Bari presidio per migrante con bocca cucita per protesta Ansa, 5 ottobre 2014 Un "presidio di solidarietà a Fatì", il migrante tunisino che "da dieci giorni ha le labbra cucite", si terrà domani sera, alle 17, all’esterno del Centro identificazione ed espulsione (Cie) di Bari. L’iniziativa è organizzata dal Collettivo "Rivoltiamo la precarietà" che sottolinea come le "condizioni di salute" di Fatì, trasferito al Cie di Bari da Ponte Galeria circa un mese fa, siano "precarie" ma "a livello istituzionale, sia governi locali sia nazionali, nessuno si dimostra interessato alle sue sorti". Il Collettivo ricorda che "il Cie di Bari, secondo una sentenza del 9 gennaio scorso, è una struttura non in grado di garantire neppure gli standard minimi di dignità ai detenuti". E fa un appello ai cittadini chiedendo "di intervenire al presidio in solidarietà di Fatì e di tutti i migranti detenuti", nonché "la chiusura immediata dei Cie, l’abolizione delle leggi Bossi-Fini, Turco-Napolitano e del reato di clandestinità" e per "il diritto alla seconda accoglienza, alla casa, al lavoro, ad una vita dignitosa ed al libero transito di tutti e tutte".