Giustizia: l’Europa ha prorogato la tortura e l’Italia ne ha quantificato il prezzo di Maurizio Bolognetti (Direzione Radicali Italiani) www.cosmopolismedia.it, 4 ottobre 2014 Le nostre carceri, per dirla con Marco Pannella, sono luoghi di tortura senza torturatori. Senza torturatori, perché ad infliggere la tortura è uno Stato, il nostro, incapace di rispettare la sua propria legalità e ad essere torturata è l’intera comunità penitenziaria. Nonostante la "Sentenza Torreggiani", nonostante l’ultimatum che la Corte Europea aveva rivolto all’Italia, intimandoci di interrompere una tortura che prosegue e vive nella realtà di carceri indegne di un paese civile, il Comitato dei Ministri di questa Europa delle patrie e delle burocrazie ha riconosciuto "progressi" che non ci sono e ha di fatto cestinato la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, così come l’Italia ha cestinato da tempo la Costituzione più bella del mondo. Questa Europa ha tradito se stessa e la sua propria legalità. Questa Europa ha prorogato la tortura e il nostro Stato - e il Governo Renzi - ne hanno quantificato il prezzo. Oggi più di ieri, di fronte al gioco delle tre carte imbastito dal Ministro di Grazia e Ingiustizia Orlando, occorre chiedersi: cosa ne è stato degli obblighi evocati dal nostro Presidente? Quel Presidente della Repubblica che - recependo in pieno le osservazioni di Marco Pannella - ha scritto: "Confido che vorrete intendere le ragioni per cui mi sono rivolto a voi attraverso un formale messaggio al Parlamento e la natura delle questioni che l’Italia ha l’obbligo di affrontare per imperativi pronunciamenti europei. Si tratta di questioni e ragioni che attengono a quei livelli di civiltà e dignità che il nostro paese non può lasciar compromettere da ingiustificabili distorsioni e omissioni della politica carceraria e della politica per la giustizia". Ostinati come siamo continuiamo a ripetere che occorre interrompere la flagranza di reato contro i diritti umani e la Costituzione repubblicana. Continueremo a batterci per chiedere al nostro Stato di rispettare la sua propria legalità. Occorre farlo, occorre non mollare, perché l’amministrazione della giustizia in questo nostro paese è alla bancarotta e questa bancarotta ha un riflesso sulla vita economica e sociale della nostra comunità, spezza vite e nega giustizia a vittime e imputati. Occorre farlo, occorre non mollare, perché non possiamo accettare che nel paese che ha dato i natali a Cesare Beccaria, il paese che dovrebbe essere la culla del diritto, viga la morte per pena in penitenziari dove si è persa ogni traccia dell’art. 27 della Costituzione e della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. L’enorme carico di procedimenti pendenti nei nostri tribunali è una inaccettabile zavorra che lentamente ci sta facendo affondare. Le condizioni di detenzione nelle nostre carceri, putrido percolato di un’amministrazione della giustizia allo sfascio, rappresentano un insulto a quanto sancito nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Un provvedimento di Amnistia e Indulto rappresenta oggi l’unica soluzione praticabile per rimettere immediatamente sul binario della legalità il nostro paese. Un’amnistia per la Repubblica, un’amnistia per uno Stato canaglia. Ai tempi del caso Tortora, dei "referendum Tortora", dicevamo "Questa giustizia può colpire anche te". Ecco, dovremmo tornare a riflettere su quello slogan e su proposte referendarie assassinate da un regime che da settanta anni ha fatto strame della Costituzione, del diritto e dei diritti. Giustizia: "corsi per formare poliziotti non violenti", proposta di legge di Luigi Manconi di Damiano Aliprandi Il Garantista, 4 ottobre 2014 Intanto nel "decreto stadi" si prevede l’utilizzo della pistola a scarica elettrica. Troppi sono i casi di abusi e violenza da parte delle forze dell’ordine, Per arginare questo problema, al Senato, è stata depositata una proposta di legge che prevede corsi obbligatori alla "non violenza". La proposta è stata presentata dal presidente della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani, Luigi Manconi, assieme ad altri 17 colleghi del Pd, alcuni senatori M5S ed ex del Movimento di Beppe Grillo. "I troppo frequenti episodi di violenze e abusi da parte delle Forze di polizia - si legge nel testo depositato al Senato -sembrano denotare, tra le altre cause, l’inadeguatezza della loro preparazione e l’esigenza di una complessiva revisione del loro percorso formativo, nel segno di una maggiore democratizzazione. Per ricorrenza, dimensioni e gravità, comportamenti violenti e prevaricatori quali quelli tenuti, ad esempio, in occasione del G8 di Genova, non sono imputabili esclusivamente ad eccessi e devianze di singoli agenti, ma a una complessiva esigenza di miglioramento, sotto il profilo deontologico e valoriale, della preparazione del personale di polizia". Inoltre, sempre nel disegno di legge, si sottolinea che "il continuo confronto con situazioni di difficoltà e spesso anche di scontro richiede una preparazione ad ampio spettro, che fornisca gli strumenti per gestire, nella maniera appunto più pacifica possibile, condizioni di tensione e stemperarne la conflittualità. In tal senso, sarebbe quanto mai opportuno - si suggerisce- arricchire il percorso formativo del personale delle Forze di polizia di tecniche e metodologie non violente, che forniscano loro gli strumenti per la risoluzione pacifica dei conflitti e per il superamento di situazioni di tensione". È significativo sotto questo profilo, spiegano i firmatari, che "nella maggior parte dei Paesi europei il percorso formativo e di aggiornamento del personale di polizia, soprattutto se destinato al servizio di ordine pubblico, comprenda anche l’apprendimento delle tecniche e delle metodologie non violente, con risultati alquanto positivi". Pertanto, concludono, "nella consapevolezza dell’importanza del momento formativo ai fini dell’introiezione dei migliori modelli comportamentali, il presente disegno di legge intende promuovere la conoscenza e il ricorso alla non violenza, quale metodo di risoluzione dei conflitti, tra le forze di polizia, così conformandone pienamente il ruolo ai valori democratici sanciti dalla Costituzione". Le critiche da parte di Donato Capece, segretario del sindacato della polizia penitenziaria (Sappe), non tardano ad arrivare: "Mettere in dubbio la democraticità delle Forze di Polizia italiane, e tra esse della Polizia Penitenziaria - aggiunge - mi sembra davvero fuori luogo. Luigi Man-coni, primo firmatario della proposta di legge, presidente della Commissione straordinaria per lo tutela e la promozione dei diritti umani, già Sottosegretario di Stato alla Giustizia, sa bene che la Polizia Penitenziaria non ha nulla da nascondere. L’impegno del primo Sindacato della Polizia Penitenziaria, il Sappe, è sempre stato ed è quello di rendere il carcere una "casa di vetro", cioè un luogo trasparente dove la società civile può e deve vederci chiaro, perché nulla abbiamo da nascondere o anzi questo permetterà di far apprezzare il prezioso e fondamentale, ma ancora sconosciuto, lavoro svolto quotidianamente dalle donne e dagli uomini della Polizia Penitenziaria". Capece poi aggiunge: "La verità è che con sei miliardi di tagli che i vari Governi hanno operato dal 2008 ad oggi, ì cittadini sono meno sicuri perché ci sono meno poliziotti a controllare le loro case e i quartieri, meno poliziotti penitenziari nelle carceri a fronte di un aumento dei detenuti, meno forestali contro le agro-mafie e le ecomafie per la tutela dell’ambiente, meno vigili del fuoco a difenderci da disastri e calamità, a garantire sicurezza e soccorso pubblico. E c’è anche meno formazione e aggiornamento professionale per le donne e gli uomini delle Forze dell’Ordine e della Polizia Penitenziaria in particolare". Mentre sì discute sulla necessità di educare la forze dell’ordine alla non violenza, c’è chi vorrebbe un ulteriore militarizzazione delle forze dell’ordine. La Commissione Giustizia della Camera ha licenziato il "decreto stadi" dove si prevede l’utilizzo del taser, la pistola a scarica elettrica, per bloccare le persone e renderle inoffensive. Il taser è un’arma molto utilizzata negli Usa e, secondo i dati dì Amnesty International, dal 2001 (anno nel quale il taser fu introdotto negli Usa) sono 800 le persone morte in seguito all’utilizzo della pistola elettrica, il 90 per cento di queste era disarmato, ed era stato fermato per un controllo di polizia. Un motivo in più per augurarci che la proposta di legge, presentata da Manconi, venga presa in seria considerazione. Giustizia: carceri, una storia ordinaria di mafia di Giovanni Iacomini (Docente di Diritto ed Economia nel carcere di Rebibbia) Il Fatto Quotidiano, 4 ottobre 2014 Professore carissimo, io ero un semplice perito agrario. Quando mi sposai, mio suocero mi disse se volevo lavorare con lui nella sua impresa, visto che non aveva altri eredi. Si trattava di costruzioni, una bella realtà produttiva, con molti dipendenti. Cominciai e le cose andavano bene. Ad un matrimonio mi fu presentato un cugino: bel tipo, col Rolex d’oro e un macchinone. Mi dissero di entrare in società con lui per incrementare la nostra attività. In realtà, quello che comandava era il padre di questo cugino. Veniva in cantiere accompagnato da una persona silenziosa, sempre vestito di nero. Nei primi anni 80, in quella che poi fu definita la guerra di mafia, quel capo sparì insieme a tanti altri. Non si sapeva niente di ufficiale, ma noiautri a Paliemmo lo sapevamo quello che succedeva: vedevamo quella piangere di qua, i figli di quell’altro affidati agli zii e cose del genere. "Chiddu vestito ‘e niro" mi fece chiamare: gli dissi che potevo tranquillamente uscire dall’affare (un grande palazzo da demolire e ricostruire) ma lui disse che non cambiava niente, potevo proseguire con i lavori; il "capo" era partito, potevo parlare con lui che poi gli avrebbe riferito quando sarebbe tornato. Pubblicità Mi disse di andare avanti tranquillamente, invece a stretto giro di tempo una per volta mi tolsero tutte le decisioni: mi imponevano le ditte subappaltatrici, chi faceva gli scavi, i fornitori, persino chi dovevo assumere in questo o quel posto. In più, mentre io ero in giro per gli uffici in cerca di permessi e autorizzazioni, in cantiere presero ad incontrarsi fior di pregiudicati (seguiti e fotografati dalla polizia, come seppi in seguito). "L’uomo in nero" intanto apriva diverse attività in centro: il caso volle che una volta andassi in uno dei suoi negozi con mio figlio, il quale avendo sempre avuto una passione per tutto ciò che ha a che fare con gli impianti elettrici, gli risolse in poco tempo un annoso problema ad una centralina. Il tipo si impuntò: bravo ragazzo, me lo voglio cresimare io. Mia moglie, quando glielo dissi, si infuriò. Discutemmo molto a casa, ma alla fine non ebbi la forza di oppormi. Erano spariti pezzi grossi, non quaquaraquà e avevo paura. Dopo qualche tempo finii dentro per concorso esterno in associazione mafiosa. Cominciai dai carceri speciali ma piano piano, man mano che le indagini proseguivano, fui declassato in quanto riuscii a far emergere che ero una semplice vittima della mafia: se prima ci limitavamo a pagare u pizzo, un tot ogni metro di cubatura, poi avevo tutte le ditte e i fornitori in odore di mafia. Gli stessi periti del tribunale accertarono che mi costavano un 30% in più dei prezzi di mercato. Se fossi stato uno di loro avrei pagato il 30% in meno. Si scatenò la guerra tra pentiti. Dovete sapere che da noi ogni famigghia tiene un pentito, che viene usato per infangare. Il rapporto che instaurano con gli inquirenti è un ginepraio inestricabile, fatto di dichiarazioni e smentite, promesse e fregature. Nonostante tutto, per fortuna anche quelli che mi accusavano, alla domanda se fossi uno di loro rispondevano: ma quale uomo d’onore, chiddu lo tenevamo come nu cagnolino, faceva quel che volevamo noi. Questo mi ha consentito di essere declassato, venire a scontare la pena tra i "comuni" e, se Dio vuole, cominciare con i permessi e il percorso di reinserimento. Faccio colloqui con la mia famiglia e spero in un prossimo affidamento ai servizi sociali. Nei miei lunghi anni di insegnamento in carcere, non è certo la prima volta che qualcuno mi venga a raccontare la sua storia. Come in tutte le altre occasioni, mi interessa fino a un certo punto di vagliare quanto di quel che mi viene detto sia vero. La "verità giudiziale" è già stata stabilita, si sta espiando una condanna. È chiaro che ognuno, nella propria ricostruzione, tende a giustificarsi e discolparsi, per quanto possa essere utile convincere della propria innocenza un semplice insegnante che non può e non deve dare altri giudizi se non quelli strettamente didattici. Però nel frattempo un’idea di come vanno le cose in certe regioni me la sono fatta: nella carenza di un’efficace azione statale, che va dai servizi alla prevenzione, è molto difficile in certe realtà esercitare un certo tipo di attività senza rischiare di essere invischiati, in qualche modo, in affari legati alla criminalità organizzata. Giustizia: in bozza riforma Polizia penitenziaria e Forestale assorbite dalla Polizia di Stato La Stampa, 4 ottobre 2014 Promette di essere una rivoluzione nel campo delle Polizie, un’operazione degna di quella grande riforma che nel 1981, auspice Francesco Cossiga, portò alla smilitarizzazione della Ps. Trascorsi quasi trentacinque anni, il governo Renzi sta preparando una riforma di analoga portata. Al termine, da 5 corpi di polizia si potrebbe scendere a 2: la Polizia assorbirebbe Forestale e Penitenziaria; fusione dei Carabinieri con la Guardia di Finanza. L’idea è di cominciare il 15 ottobre, con la Legge di Stabilità, che prevedrà la confluenza della Forestale nel Dipartimento di Ps. Il resto vedrà la luce nel corso dell’anno prossimo con un ddl di riforma. Era stato sornione, Emanuele Fiano, il responsabile Sicurezza del Pd, l’altro giorno, al termine di una riunione della segreteria del partito: "Si è fatto un ragionamento complessivo sul modello di sicurezza". Eccome, se ne hanno ragionato. È stata una lunga discussione a più voci, ricca di aneddoti e di spunti. "Bisogna finirla con gli sprechi". È uscita fuori la storia del porticciolo di Ponza, dove evidentemente qualche parlamentare del Pd ha trascorso le vacanze, e che ostenta affiancati sullo stesso molo un motovedetta della Finanza, una pilotina della Guardia costiera e un gommone della Polizia. "C’è tutta questa emergenza criminale a Ponza da giustificare un tale dispiegamento di mezzi?". Risate. Altro argomento di discussione: l’inamovibilità dei capi. La legge prevede che non possano essere rimossi salvo casi eccezionali (vedi il precedente più unico che raro del generale Roberto Speciale, avvicendato al vertice della Gdf per ordine del governo Prodi, poi reintegrato da un Tar, che si dimise 48 ore dopo la sentenza per carità d’istituzione). Qualcuno a quel tavolo presieduto da Matteo Renzi ha ricordato il caso di Cesare Patrone, dominus della Polizia Forestale da 10 anni. "Almeno Gianni De Gennaro ebbe il buon gusto di dare le dimissioni dalla Polizia dopo il settimo anno, considerato che tanto dura il mandato dei Presidenti della Repubblica". Si vedrà il come, ma i vertici dei due corpi di polizia sopravvissuti allo tsunami saranno a tempo: 3 o 5 o 7 anni? È tutto da decidere, ma il principio è questo. E Renzi annuiva mentre qualcuno diceva: "Siccome sono nomine intoccabili, è ovvio che come capo si debba scegliere sempre un generale o un prefetto ultrasessantenne, perché sennò te lo ritrovi sulla poltrona per venti anni. Alla faccia del merito". La decisione politica, insomma, è presa. I testi di legge, al solito, seguiranno. E per vederli ci sarà da attendere un po’. Non per il Corpo Forestale, gloriosa forza di polizia istituita nel 1822: i suoi 7 mila uomini e donne che tutelano boschi e montagne, ma anche i parchi nazionali, si sono distinti negli ultimi anni per eccellenti operazioni antincendio, o per le indagini sui reati ambientali, o per la repressione del bracconaggio, entro la fine dell’anno potrebbero già transitare nei ranghi della Polizia di Stato. Da subito saranno cancellati la dorata poltrona del comandante generale, accompagnata da uno stipendio di 320 mila euro, il suo staff, lo stato maggiore insediato a Roma, e i 20 comandi regionali. I veri risparmi, però, verranno dall’amalgama di logistica, acquisti, manutenzione dei mezzi, sedi periferiche. Il 2015, poi, sarà l’anno della vera rivoluzione. Non sarà facile decidere la confluenza di due corpi di storica tradizione quale la Gdf, che vanta un atto istitutivo del 1881, e la Penitenziaria che sorse con la prima organizzazione moderna nel 1873 (all’epoca dipendeva dal ministero dell’Interno). La prima, nel tempo, si è specializzata nelle indagini economiche, fiscali e valutarie, nella repressione del contrabbando, nella tutela della spesa pubblica, nella lotta all’evasione fiscale. Tutte eccellenze che il governo intende ovviamente salvaguardare. La Finanza, in quanto tale, sarebbe quindi destinata a scomparire e i suoi 30 mila effettivi saranno assorbiti dai Carabinieri. La Penitenziaria a sua volta, forte di 38 mila agenti, s’integrerebbe con la Ps. Secondo calcoli dei sindacati di polizia, un’operazione del genere a regime potrebbe generare risparmi per 2 miliardi di euro. Giustizia: il Congresso Nazionale della Uil-Pa Penitenziari riconferma il Segretario Sarno www.salernonotizie.it, 4 ottobre 2014 Sono terminati nella tarda serata di ieri i lavori del IV° Congresso Nazionale della Uil-Pa Penitenziari, tenutosi a Salerno. I 280 delegati hanno riconfermato, per acclamazione, alla guida del sindacato dei baschi blu Eugenio Sarno, giunto al suo terzo mandato consecutivo. Riconfermati nelle cariche anche Angelo Urso (Tesoriere), Giuseppe Sconza (Presidente) e Gennarino De Fazio e Armando Algozzino (Segretari Nazionali). "È stato un Congresso che ha visto una notevole partecipazione e una approfondita discussione interna, di cui il documento finale è la sintesi perfetta - dichiara Eugenio Sarno. Sono davvero felice per la partecipazione ai lavori congressuali del Segretario Generale della Uil-Pa, Attili, del Segretario Generale aggiunto della Uil, Barbagallo, nonché del Vice Capo Vicario del Dap, Pagano, che hanno offerto considerazioni ed analisi davvero interessanti. Ma anche l’apprezzato messaggio del Ministro Orlando, impedito a partecipare, è stato elemento di analisi e discussione. Ora - continua il rieletto Segretario Generale della Uil-Pa Penitenziari - dobbiamo concentraci sull’immediato futuro. A cominciare dall’incontro con il premier Renzi (previsto per martedì 7 ottobre a Palazzo Chigi) che, auspico, possa essere risolutore per la definizione della vertenza per lo sblocco del tetto salariale degli operatori del Comparto Sicurezza, Difesa e Soccorso Pubblico. Ovviamente focalizzeremo il nostro impegno soprattutto rispetto alle criticità che oberano la polizia penitenziaria. A partire dal preoccupante fenomeno delle aggressioni in danno dei poliziotti penitenziari da parte di detenuti. Dal 1 gennaio ad oggi, in Italia, si sono registrati ben 305 episodi con un totale di 128 agenti penitenziari che hanno riportato prognosi superiori ai 5 giorni. Per arginare questo fenomeno abbiamo chiesto al Dap di prevedere circuiti penitenziari con un regime detentivo più "stringente" in cui allocare i detenuti violenti e che si rendono protagonisti delle aggressioni in danno al personale. Così come va portato a termine il percorso di deresponsabilizzazione della polizia penitenziaria impiegata nella vigilanza nelle sezioni e la revisione delle norme disciplinari. Rispetto alle polemiche - afferma Sarno - sul cosiddetto "protocollo farfalla" non posso non ricordare che Falcone e Borsellino (ricordati dal Congresso con una standing ovation ed un applauso di circa tre minuti) usavano dire che dal carcere è possibile attingere informazioni utili e determinanti. Per questo dissento dalle affermazioni del Procuratore Gratteri che ipotizza una fuoriuscita della polizia penitenziaria dalla Dia. Noi riteniamo che la ricerca delle informazioni debba avvenire in un quadro di legittimità e trasparenza e la polizia penitenziaria dispone, voglio ricordarlo, di reparti all’avanguardia : il Nic (Nucleo Investigativo Centrale) e il Gom (Gruppo Operativo Mobile) che possono essere il braccio operativo ( e legale) per la raccolta di quelle informazioni, negli istituti penitenziari, utili al contrasto del crimine organizzato. Ovviamente - chiude Eugenio Sarno - molta attenzione è stata riservata alla proposta di riorganizzazione del Dap. Le ipotesi di cancellare alcuni Prap e la drastica riduzione delle risorse e degli stanziamenti stridono fortemente con i proclami della politica e del Governo di voler risolvere le criticità del sistema penitenziario. Occorre ricordare che l’Europa ci guarda e ci chiede di risolvere l’indegnità del lavoro penitenziario e l’inciviltà della detenzione. Mancati questi obiettivi il Paese subirebbe un costo economico insostenibile, derivanti dalle sanzioni che ci comminerebbero, tali da rendere inutili i già ingiustificati tagli lineari ai fondi destinati all’Amministrazione Penitenziaria". Giustizia: medici ritengono che condizioni di Provenzano siano incompatibili con carcere Ansa, 4 ottobre 2014 "Il paziente presenta un grave stato di decadimento cognitivo, trascorre le giornate allettato alternando periodi di sonno a vigilanza. Raramente pronuncia parole di senso compiuto o compie atti elementari se stimolato. L’eloquio, quando presente, è assolutamente incomprensibile. Si ritiene incompatibile col regime carcerario". È il quadro dello stato di salute del boss Bernardo Provenzano tracciato dai medici dell’ospedale San Paolo di Milano che, su richiesta del tribunale di sorveglianza di Roma, hanno inviato una relazione ai giudici. I magistrati, su istanza dei legali del capomafia, gli avvocati Rosalba Di Gregorio e Maria Brucale, dovrebbero pronunciarsi sulla eventuale revoca del carcere duro inflitto a Provenzano, ricoverato nel reparto detenuti del San Paolo di Milano. Per i difensori il 41 bis, finalizzato ad evitare i contatti tra i boss e l’esterno, nel caso di Provenzano sarebbe totalmente inutile vista la impossibilità di comunicare del detenuto. I giudici, però, non hanno deciso e hanno chiesto all’ospedale ulteriori accertamenti soprattutto sulle capacità cognitive del paziente. L’udienza è stata rinviata al 5 dicembre. Sospensione pena Provenzano: giudici si riservano Si è tenuta davanti al tribunale di sorveglianza di Milano l’udienza per la sospensione dell’esecuzione della pena, per motivi di salute, per il boss Bernardo Provenzano, detenuto al 41 bis e attualmente ricoverato nel reparto speciale dell’ospedale San Paolo del capoluogo lombardo. Il pg si è opposto al differimento della pena e alla detenzione ospedaliera richiesta dal legale del capomafia, l’avvocato Franco Marasà. Il tribunale, che dovrà esaminare una perizia medica sullo stato di salute del boss, si è riservato la decisione. Lettere: garantismo, il caso sbagliato di Luigi Manconi Il Manifesto, 4 ottobre 2014 Posta & risposta. A proposito di sinistra e garantismo. Per i potenti e non solo. Per tutti?. Caro Luigi Manconi, cari amici del manifesto che ne avete ospitato l’articolo "Garantismo a sinistra? Ma quando mai!". Caro Manconi, poiché ci conosciamo da quarant’anni - ed abbiamo militato avventurosamente, e scritto e collaborato insieme quando eravamo più giovani - sappiamo entrambi perfettamente che l’applicazione delle leggi e delle regole, da parte della istituzioni, non può non andare a vantaggio di chi è più debole e svantaggiato. Cioè dei poveri, dei migranti, dei carcerati, degli anziani, dei discriminati e dei lavoratori. Mi sorprende però, e mi spiace assai, che per difendere questa tesi, che ovviamente condivido, nel tuo articolo tu abbia adottato l’esempio del caso del tuo collega senatore (da Forza Italia a fan di Renzi) Antonio Milo. I senatori, come te e come Milo, appartengono infatti ad una categoria che di diritti, forse, ne ha incommensurabilmente diversi e privilegiati rispetto a chi deve difenderseli con i denti. L’immunità parlamentare, i privilegi pensionistici e retributivi, i benefit, dei senatori, ti sembrano diritti sociali confrontabili con quelli della generalità cittadini italiani? Non sarebbe stato più giusto, ed anche efficace agli effetti della tua tesi, citare il caso di un lavoratore discriminato, e magari indagato? Una lancia spezzata, una caduta di gusto, un po’ corporativa, la tua. Che mi dispiace proprio perché apprezzo invece il tuo lavoro a difesa dei deboli. E mi sarei atteso una tua parola, magari, sulla questione della abolizione dei diritti sanciti dall’art 18, a cura del partito in cui sei stato eletto. Senatore, come il povero perseguitato Antonio Milo. A proposito, come voterai, da garantista, sul Job Act? Con quarantennale simpatia, ormai, e comunque. Alberto Poli, Roma Rispondo all’amico Alberto Poli e ad altri che mi hanno scritto, ponendo a mia volta una domanda semplice: se sottraessimo un po’ di diritti e di garanzie a un senatore indagato e acconsentissimo ad abusi nei suoi confronti, si contribuirebbe, con ciò, a rafforzare le tutele per i "più deboli e svantaggiati"? La mia risposta è un netto "no". Dico di più: non opporsi a violazioni delle garanzie nei confronti di un cittadino, qualunque sia il suo status, finisce inevitabilmente per consolidare la tendenza a commettere quelle violazioni da parte di chi è titolare del delicatissimo potere di privare della libertà. E, di conseguenza, quelle violazioni tenderanno a ripetersi e nei confronti del potente e nei confronti del debole. Così come, su un altro piano se non denunciassimo con la massima determinazione il modello di fermo violento da parte dei carabinieri nei confronti del "borghese" Riccardo Magherini a Firenze, forse che avremmo più forza ed efficacia per condannare il modello di fermo violento nei confronti del "clandestino" Bohli Kayes a Sanremo? In altre parole, i diritti non sono divisibili. D’altra parte, per il pochissimo che so e posso fare, da sempre dedico il 99% delle mie energie a favore dei "poveri, migranti, carcerati…" citati nella lettera di Poli; e l’1% delle mie energie a favore dei diritti dei "privilegiati". Infine, per quanto riguarda la mia posizione sull’articolo 18, un lettore del Manifesto non la conosce semplicemente perché non posso abusare della generosa ospitalità di questo giornale e invaderlo con i miei scritti. Ad Alberto Poli e ai pochi che fossero interessati, dico che sono tra i firmatari dei 7 emendamenti alla legge delega di riforma del mercato del lavoro. Insomma, sono contrario all’abolizione dell’articolo 18. Per chi fosse, poi, davvero curioso di conoscere per esteso la mia posizione, come si dice in questi casi, rimando (vergognandomi un po’) alla mia pagina Facebook: https://www.facebook.com/luigi.manconi.9?fref=ts. Lettere: "La pena partecipata" al Festival del Diritto di Piacenza di Carla Chiappini (Direttrice di "Sosta Forzata") Ristretti Orizzonti, 4 ottobre 2014 L’associazione "Verso Itaca" per la prima volta al Festival del Diritto venerdì 26 settembre con "La pena partecipata". Potrebbe sembrare un’ovvietà. Non c’è dubbio, infatti, che la pena sia frutto di una partecipazione; innanzitutto nostra, di noi cittadini che, pagando le tasse, sosteniamo l’impresa - giustizia. E poi ci sono le famiglie dei condannati comunque coinvolte e i dipendenti statali preposti a vario titolo alla definizione e alla gestione della pena. Una larga partecipazione, dunque. Ma il senso della proposta di "Verso Itaca" era ben precisato nella seconda parte del titolo: "Esperienze d’incontro tra scuole, città e carcere". E di questo si è trattato, di un momento di testimonianza e di narrazione che ha visto interagire due gruppi di volontari e detenuti che da più di quindici anni costruiscono a Padova e a Milano occasioni di dialogo e di confronto nelle scuole, nelle università, a teatro e in vari luoghi delle città per ragionare sul tema della pena con un pubblico di persone libere, interessate a conoscere e a capire meglio. Quando penso al Gruppo della Trasgressione fondato da Juri Aparo nel carcere di San Vittore e alla redazione di Ristretti Orizzonti diretta da Ornella Favero, mi vengono in mente le botteghe artigianali, quei luoghi dove si creava lentamente, con fatica, sbagliando e correggendo infinite volte. Affinando le tecniche e le competenze, sperimentando strumenti sempre nuovi, prendendo il tempo necessario. Queste realtà che senza dubbio rappresentano due eccellenze in ambito penitenziario, frutto , entrambe, di un impegno di cittadinanza che non conosce né pigrizia né sciatteria, lavorano in parallelo con stili differenti ma con identici strumenti: la parola e il confronto. In un’attività di scavo che, a volte, riesce a toccare persino i punti più delicati della coscienza. Credo che questo sia stato davvero il filo conduttore dell’incontro di venerdì pomeriggio, un momento dedicato all’ascolto di tante esperienze. Nell’impossibilità di citarle tutte, ne ricorderò alcune che mi sono rimaste impresse in modo particolare. Suela, innanzitutto. È arrivata da Alessandria, dove vive con la sua mamma, per parlare di un papà da tanti anni chiuso in carcere, un papà che ama molto ma di cui, per lungo tempo, si è vergognata. Racconta della sua storia d’amore con un ragazzo a cui, solo di recente, ha saputo dire la verità. E di come, finalmente libera dal timore, ha saputo incoraggiare un’altra figlia, una bambina spaventata che aveva tanta voglia di abbracciare il suo papà in prigione. Dopo Suela un pensiero speciale va a Tango, tanti anni di carcere, alcuni trascorsi anche a Piacenza nel vecchio edificio davanti al Tribunale. Racconta della sua rabbia, dell’incapacità di accettarsi, della voglia di essere diverso. Ma anche della recente esperienza di restauro di una fontana antica posta nel cortile di Villa Burba a Rho. Di come abbia conosciuto tante persone e di come lavorando per ripulire la fontana, sia riuscito a scavare dentro di sé, a ritrovare il bambino che era, quello ancora innocente, intatto. E poi si commuove raccontando del figlio che vive con il nuovo compagno della mamma e gli chiede se può chiamarlo papà. Dopo Tango, Elton per più di dieci anni detenuto ai "Due Palazzi" di Padova, parla dell’incontro con Olga d’Antona che apre una serie di ulteriori incontri con le vittime organizzati dalla redazione di Ristretti Orizzonti e questo improvviso sentire in profondità il male commesso. Dal dolore di chi ha subito un reato al dolore finalmente sincero di chi lo ha agito. Interviene anche l’assessore di Rho, entusiasta dell’esperienza di collaborazione con il Gruppo della Trasgressione del carcere di Bollate che è proprio sul nostro territorio, vicino a noi. E invita a promuovere progetti di collaborazione tra il dentro e il fuori perché sono utili e importanti. L’evento, aperto dalla presidente di "Verso Itaca" Stefania Mazza, è stato condotto da Elisabetta Musi, docente della Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università Cattolica di Piacenza e si è chiuso con la testimonianza di due studentesse che, la scorsa primavera, hanno partecipato ad alcuni incontri nella redazione di "Sosta Forzata" giornale realizzato nella casa circondariale di Piacenza. Toscana: un protocollo per non morire di carcere, tra l’Asl4 e il penitenziario di Prato di Damiano Aliprandi Il Garantista, 4 ottobre 2014 Un protocollo per prevenire i suicidi. Sono pronti a firmarlo la Asl e il carcere di Prato. La regione Toscana detiene il record dei suicidi tra i detenuti: sono tra i 50 e i 60, infatti, a togliersi la vita ogni anno, nell’indifferenza dei più. Confinati in una breve sulle pagine dei giornali, spesso senza neppure un nome, un volto, una storia. Una piaga che la Regione Toscana, a partire dal 2011, ha cercato di contrastare avviando un progetto per la prevenzione dei suicidi. Nell’ultimo anno questo progetto è stato concretamente sperimentato a Prato grazie all’accordo tra l’Asl 4 e la direzione del penitenziario. Nei prossimi giorni la sperimentazione verrà tradotta in un protocollo ufficiale che verrà siglato dal direttore generale dell’Asl 4 Edoardo Majno e il direttore dell’istituto penitenziario di Prato Vincenzo Tedeschi. A spiegare le ragioni e ì dettagli dell’iniziativa è la dottoressa Antonella Manfredi, referente della salute in carcere per la Asl: "Il penitenziario di Prato è il secondo della Toscana e i detenuti sono 715. All’interno di questa comunità cerchiamo di individuare i soggetti a rischio suicidio, in genere si tratta di persone con disturbi mentali, alcol-tossicodipendenti o semplicemente diventate molto fragili a causa della situazione in cui si sono venute a trovare. Un arresto, la condanna in un processo o a volte anche il trasferimento da un carcere all’altro si trasforma in uno stress che ha pesanti ripercussioni sulla psiche della persona, 11 progetto prevede che ogni detenuto al suo ingresso nel penitenziario sia ricevuto dal medico di guardia che lo visita per conoscere la sua condizione fisica e psicologica. Viene già fissato durante questo primo incontro un colloquio con lo psicologo. Nei casi necessari l’incontro potrà essere con uno psichiatra.. Ricordo che al penitenziario della Dogaia sia mattina che pomeriggio sono sempre presenti sia uno psicologo che uno psichiatra". Nel frattempo II laboratorio "perUnaltracittà" e "l’Altracittà", il giornale delle Piagge, propongono uno strumento per restituire un nome (ove possibile) e una dignità pubblica alle 92 persone che hanno perso la vita nelle carceri toscane dal 2002 ad oggi. Si tratta del progetto open "Morire di carcere in Toscana": una timeline, cioè una cronologia multimediale, costruita sulla base dei dati contenuti nel meritorio Rapporto "Morire di carcere" curato da Ristretti Orizzonti su fonti indipendenti e del Ministero della giustizia. La prima vittima censita è Giovanni Bonomo. cittadino italiano di 40 anni deceduto nell’ospedale psichiatrico giudiziario dì Montelupo Fiorentino il 3 febbraio 2002. L’ultima è a settembre, Martin Amcha si impicca nella sua cella della Casa Circondariale di Pisa. L’uomo, che avrebbe finito di scontare la sua pena nel 2018, è stato trovato appeso con delle lenzuola alla finestra del bagno. Sardegna: ancora carceri sovraffollate, a Buoncammino 361 detenuti per 318 posti www.sardegnaoggi.it, 4 ottobre 2014 Al "San Daniele" di Lanusei 55 carcerati ma solo trentaquattro posti disponibili. Numeri eccedenti anche a Iglesias, Tempio, Oristano e Cagliari. I dati resi pubblici dall’associazione "Socialismo Diritti Riforme" dopo l’arrivo dei documenti, dal Ministero, aggiornati allo scorso 30 settembre. "Gli ultimi dati non lasciano dubbi. In Sardegna spetta a Lanusei, il record di sovraffollamento. Seguono Iglesias, Tempio-Nuchis, Oristano-Massama e Cagliari-Buoncammino. In Sardegna insomma cinque Istituti, due dei quali inaugurati da poco, registrano numeri eccedenti la capienza regolamentare. La fotografia aggiornata, con 1888 detenuti (35 donne e 493 stranieri) per 2427 posti, non può lasciare indifferenti e fa riflettere". Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione "Socialismo Diritti Riforme", con riferimento ai dati forniti dal Ministero che documentano la realtà carceraria isolana al 30 settembre scorso. Nella Casa Circondariale "San Daniele" di Lanusei sono ristrette 55 persone a fronte di una capienza regolamentare di 34 posti (più 61,7 per cento), a "Sa Stoia" di Iglesias ci sono 85 detenuti per 62 posti (più 33,8 per cento), e al "Pietro Pittalis" di Tempio-Nuchis 195 cittadini privati della libertà condividono 167 spazi (presenze-extra del 16,7 per cento). Nella classifica anche la struttura di Oristano-Massama intitolata a "Salvatore Soro" (302 detenuti per 266 posti, più 113,5 per cento) e Cagliari "Buoncammino" (361 ristretti per 318 posti, oltre il tredici per cento in più). I dati snocciolati dall’associazione guidata dalla Caligaris prendono in esame anche le Case di reclusione e le Colonie penali: nessun sovraffollamento ma "la produttività è precipitata anche in seguito all’abbattimento di un elevato numero di animali, e continuano a prevalere gli stranieri. A Mamone-Lodè sono 112 su 136 reclusi (82,3 per cento), ad Arbus 56 su 78 (72 per cento) e a Isili 38 su 101 (37,6 per ). La condizione migliore", evidenzia la Caligaris, "si registra invece ad Alghero dove convivono 75 detenuti avendo a disposizione 158 posti. Positivi anche i dati di Sassari-Bancali (303 presenti per 363 posti), Badu e Carros (161 per 271) e Macomer (36 per 46)". "A far riflettere sono soprattutto i riscontri relativi ai nuovi Istituti. Tempio-Nuchis e Oristano-Massama sono stati realizzati con l’intento di alleviare i disagi derivanti dal sovraffollamento. Ora è evidente che molte delle celle a due posti stanno ospitando il terzo letto e la presenza di un’alta percentuale di ergastolani in regime di Alta sicurezza non favorisce un clima adeguato al recupero e reintegro culturale. Per quanto riguarda Lanusei, destinato ai sex offender, non si può dimenticare che è un ex convento francescano del diciottesimo secolo, trasformato in carcere nel 1874. Le migliorie apportate quindi non possono averne cancellato l’impianto. Indispensabile ripensare l’organizzazione delle Colonie penali". Lombardia: al via progetto per l’efficientamento energetico per le carceri della regione Italpress, 4 ottobre 2014 Migliorare le condizioni di vita e di lavoro dei detenuti e degli agenti di Polizia penitenziaria, sensibilizzare sui temi della sostenibilità ambientale, ridurre i consumi e quindi i costi energetici. Ma anche riqualificare strutture spesso vecchie. Sono questi i principali obiettivi di un innovativo progetto per l’efficientamento energetico (impianti a pompa di calore) per le carceri lombarde promosso dall’Assessorato regionale all’Ambiente, Energia e Sviluppo sostenibile in collaborazione con l’Assessorato alla Sicurezza, Protezione Civile e Immigrazione. "Abbiamo messo a disposizione 2,5 milioni di euro - spiega l’assessore all’Ambiente Claudia Maria Terzi. Insieme al Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria (Provveditorato regionale) sono state individuate alcune strutture di detenzione in Lombardia che presentano gravi carenze, sia con riferimento allo stato degli involucri edilizi, che agli aspetti impiantistici, con particolare riguardo alla climatizzazione invernale. Di tale situazione si è resa conto anche la "Commissione Speciale situazioni carcerarie in Lombardia" del nostro Consiglio regionale, che nei mesi di febbraio e aprile ha visitato alcune carceri regionali". "Tali carenze - ricorda Simona Bordonali, assessore alla Sicurezza - comportano limitazioni all’utilizzo delle strutture, con perdita di spazi destinati alla detenzione e conseguente sovraffollamento degli spazi rimanenti e peggioramento delle generali condizioni di vita e di sicurezza della custodia. Tanto che il Paese è a rischio infrazione da parte della Unione europea proprio con riferimento alla condizioni di detenzione, che non rispecchiano gli standard previsti". Da qui la scelta di intervenire, da parte della Regione, per "un miglioramento delle condizioni di detenzione e diminuzione dei consumi energetici e delle relative emissioni", con l’installazione della cosiddetta "tecnologia a pompa di calore". "Questo intervento, volto a migliorare le strutture carcerarie, che si riflette in una più corretta gestione del problema delle condizioni di detenzione, costituisce - concludono gli assessori Terzi e Bordonali - un importante segnale alle Autorità comunitarie, con riferimento alle procedure di infrazione avviate (carcere di Busto Arsizio), nonché un miglioramento della situazione infrastrutturale della Lombardia". Gli interventi saranno realizzati, entro la fine di ottobre 2015, nelle seguenti strutture carcerarie della Lombardia: Varese, Busto Arsizio (Varese), Opera (Milano), Cremona, Lodi, Bergamo e Voghera (Pavia). Enna: Osapp; agente di Polizia penitenziaria si toglie la vita sparandosi nel garage di casa Italpress, 4 ottobre 2014 Un agente della polizia penitenziaria si è tolto la vita sparandosi con il proprio fucile da caccia nel garage della sua abitazione, ad Enna. È accaduto, stamane, intorno alle 11.30. L’uomo svolgeva servizio presso il carcere Piazza Lanza di Catania. Lo ha reso noto il segretario generale aggiunto del sindacato Osapp, Domenico Nicotra. "Al momento - spiega, non si conoscono le cause che hanno indotto il povero poliziotto penitenziario a questo estremo gesto, che lascia moglie e figli nel più totale sgomento. L’agente avrebbe dovuto assumere servizio oggi, dopo avere espletato due giorni fa il turno di notte e beneficiato nella giornata di ieri delle prevista giornata di riposo". "È inaccettabile - aggiunge - che la politica nazionale non si occupi di legiferare provvedimenti ad hoc che possano e debbano fornire strumenti normativi per arginare questa lenta e continua emorragia di suicidi che ormai da diversi anni si sta registrando tra le fila del personale del corpo di Polizia penitenziaria. Purtroppo - conclude Nicotra, si registrano invece proposte di legge che vedono come primo firmatario Luigi Manconi, mirate alla formazione e all’aggiornamento del personale delle Forze di Polizia, etichettandole come violente. Probabilmente ci si dimentica troppo facilmente di tutte le aggressioni registrate e denunciate quasi quotidianamente nelle ‘patrie galerè, dove le vittime non sono i detenuti ma i poliziotti stessi". Caserta: maltrattamenti agli internati nell’Opg di Aversa, 18 medici rinviati a giudizio Ansa, 4 ottobre 2014 Il Gip del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere (Caserta) ha rinviato a giudizio l’ex direttore sanitario dell’ Opg di Aversa Adolfo Ferraro e 17 tra medici psichiatri e medici di guardia, per i reati di maltrattamenti e sequestro di persona commessi ai danni di alcuni internati tra il 2006 e la fine del 2011. Secondo la Procura di Santa Maria Capua Vetere gli indagati avrebbero costretto i pazienti a letto per periodi molto lunghi e con modalità non consentite. Dagli accertamenti effettuati è emerso che le vittime sarebbero rimaste costrette a letto per un periodo superiore a quello consentito, cioè 24 ore, e qualcuno sarebbe addirittura rimasto fermo nel letto, facendo i propri bisogni per un periodo di 12 giorni senza alcuna assistenza. Le indagini sulle condizioni dei pazienti dell’Opg partirono nel gennaio 2011 dopo il suicidio di un detenuto, che si impiccò nella sua cella. La Procura fece sequestrare cartelle cliniche, documenti e foto. Proficuo per l’inchiesta giudiziaria fu anche lo scambio di informazioni con la Commissione d’inchiesta del Senato sul Servizio sanitario nazionale presieduta da Ignazio Marino, che all’Opg di Aversa inviò nello stesso periodo i Nas dei carabinieri. Il processo comincerà il 27 marzo 2015 davanti al giudice monocratico del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere. Roma: De Paolis e Catarci (Sel) ieri mattina sono stati in visita al carcere Regina Coeli Agenparl, 4 ottobre 2014 "Ieri mattina abbiamo voluto visitare il carcere circondariale di Regina Coeli per proseguire il giro di visite nei luoghi di detenzione del Lazio". A dichiararlo in una nota sono Gino De Paolis, capogruppo Sel alla Regione Lazio e Andrea Catarci (Sel), Presidente del Municipio VIII di Roma. "Con la direttrice dott. Silvana Sergi, che conoscevamo già per l’ottimo lavoro svolto al carcere di Aurelia di Civitavecchia e che ringraziamo per la disponibilità - spiega De Paolis - abbiamo girato tra le sezioni e parlato con i detenuti riscontrando sostanzialmente una situazione di normalità e discreta vivibilità. Ad oggi infatti la situazione è sotto controllo anche in relazione al numero di presenza rispetto alla capienza. Resta però una questione di primaria importanza, sulla quale ho assicurato il mio impegno presso la Regione Lazio: nonostante la legge preveda, ormai dal 2008, che la Asl di competenza invii psicologi in grado di sostenere i detenuti al momento dell’ingresso in carcere, ciò non è ancora mai avvenuto. Dalle parole della direttrice sappiamo esistere personale interno alla struttura, ma è fondamentale che quella norma venga rispettata e che a chi entra in carcere venga assicurato il sostegno psicologico per affrontare una situazione particolarmente delicata. Per questa ragione presenterò una interrogazione urgente alla Cabina di Regia della Sanità alla Regione, affinché si blocchi questa situazione nell’interesse delle persone detenute e del personale penitenziario che opera nella struttura. Proprio in relazione al personale è bene anche ricordare che ad oggi le unità operative sono al di sotto di quelle previste in pianta organica e che forse anche su questo sarebbe opportuno uno sforzo, pur piccolo, per rendere più sereno anche il lavoro degli operatori". "Abbiamo visitato le diverse sezioni del carcere - ha aggiunto poi il presidente Catarci - convenendo con la Direttrice, dott.ssa Sergi, sulla necessità che anche nella casa circondariale di Regina Coeli si avvii un percorso per rafforzare la possibilità per i detenuti di svolgere attività lavorative all’interno della struttura, propedeutiche ad un efficace reinserimento una volta che si è fuori. Si tratta di consentire di impegnarsi in lavori di falegnameria, tipografia, facchinaggio, altri servizi utili alla funzione di recupero sociale e occupazionale, attraverso imprese disponibili ad investire". "Nel corso della visita - continua Catarci - abbiamo incontrato anche Nunzio D’Erme, con cui ci siamo scambiati un saluto affettuoso nella convinzione reciproca di riaverlo presto in libertà date le "forzature" che lo hanno costretto in carcere". De Paolis e Catarci hanno quindi concluso: "Porteremo avanti gli impegni presi con la Direttrice, convinti che solo investendo su una collaborazione stretta tra Istituzioni si possa dare un contributo positivo per lenire l’enorme sofferenza che si vive nelle carceri italiane". Frosinone: Latorraca e Di Nardo (Radicali); relazione sulla visita nel carcere di Cassino www.radicali.it, 4 ottobre 2014 In data 29 settembre 2014, la delegazione dell’Associazione Radicale Pier Paolo Pasolini della Provincia di Frosinone, composta da Michele Latorraca e da Sandro Di Nardo, si è recata presso la Casa circondariale di Cassino per una visita ad una delle tre strutture carcerarie presenti sul territorio ciociaro. Arrivati intorno alle 10.00 di mattina ci rendiamo immediatamente conto già di diverse criticità esterne al complesso: la necessità di un parcheggio idoneo alla struttura per chi arriva con l’auto, il perdurare della mancanza di mezzi pubblici che servano la zona, l’assenza di una segnaletica che indichi ove sia effettivamente la struttura e poi la scoperta di un edificio che già dall’esterno appare vecchio e mal ridotto posto a ridosso del fiume Fiumerapido che ne lambisce le mura (il che non può che tradursi, con il riscontro poi avvenuto, in ambienti certo umidi e freddi d’inverno e caldi e umidissimi, con molti insetti, d’estate). Veniamo accolti con estrema gentilezza ed educazione dalle due Vice Direttrici e dal Comandante facente funzione. Dopo le presentazioni ci raggiunge la Direttrice che ci conduce in una sala riunioni, da poco allestita anche grazie al lavoro di alcuni detenuti. La Direttrice e le sue collaboratrici, il comandante e in seguito due dei tre educatori che operano nella struttura, subito sollecitati da noi, ci evidenziano le parecchie criticità presenti nella struttura. Pianta organica polizia penitenziaria insufficiente e mal distribuita dato un numero spropositato di ispettori e sovrintendenti rispetto agli agenti necessari al servizio, e comunque da sempre in numero insufficiente, per far fronte alle esigenze effettive del carcere. Precisamente: 3 comandanti, 16 ispettori, 16 sovrintendenti e 107 agenti (di cui 16 distaccati pro tempore). Considerando il numero di ferie arretrate, dei diritti acquisiti dagli ultracinquantenni e da coloro che hanno superato i venticinque anni di servizio, ci viene prospettato un piano di rientro della gestione ferie e recuperi che terminerà solo nel 2016. In aggiunta a questo, buona parte del personale amministrativo presente sarà collocato molto presto in pensione. Una cronica carenza di personale di sorveglianza e di educatori, che, per fortuna, in questo momento non pregiudica il buon funzionamento dell’Istituto, è dovuta al fatto che tale organismo carcerario presenta una notevolissima mobilità in entrata ed uscita di detenuti il che comporta alternanza di periodi di sovraffollamento, e quindi di forte disagio per tutti, ad altri in cui i reclusi restano nei limiti della capienza dovuta con conseguente buona operatività per gli educatori e gli addetti. Ci viene segnalato poi che l’ individuazione numerica dell’organico deve essere fatta su dati certi ed inconfutabili non su altri inventati ad hoc o regolamentari: una riduzione sistematica del personale parametrata sull’inesistente non si ripercuote solo contro l’Istituto ed il suo buon funzionamento ma preminentemente contro i detenuti stessi. Avere, come in questo caso, edifici a più piani e quindi con più "posti di servizio", significa impegnare un numero di persone molto superiori a quelli che paradossalmente necessitano laddove il carcere non sia strutturato nel medesimo ordine ma magari con un numero assai maggiore di reclusi; Non vi è continuità nel lavoro da parte del magistrato di sorveglianza, in quanto, questi, da tempo in maternità non può essere certo operativo. Viene infatti sostituito da colleghi che mutano periodicamente e l’impegno così appare parcellizzato e poco incisivo: gli stessi detenuti evidenziano, proprio in questo continuo ricambio del magistrato di sorveglianza, la causa del quasi totale rigetto di tutte le loro richieste cui viene appunto posta poca attenzione; Mediatori culturali encomiabili nel loro operare nell’Istituto ( Caritas ed altre Associazioni di volontariato), ma nei periodi in cui i progetti non sono finanziati, sono costretti ad impegnarsi gratuitamente per garantire continuità alla loro attività. Gli spazi per attività ludiche e teatrali sono piccoli ed anche un po’ angusti. Dopo aver analizzato al meglio queste criticità, siamo passati alla verifica dei numeri. Il carcere di Cassino può contare su un numero di 202 posti regolamentari, di cui n. 9 oggetto di ristrutturazione e quindi non disponibili e pertanto si scende a 193 attualmente disponibili. Di contro abbiamo la presenza di n. 240 detenuti oltre n. 1 detenuto semilibero con una percentuale di sovraffollamento di circa il 125%, considerando che si è arrivati anche a percentuali intorno al 190%, si sono raggiunti buoni risultati e questo, a detta della direttrice, anche grazie al decreto legge n. 10 del 21.02.14 del ministro Orlando. Innanzitutto il dato sui posti regolamentari era a loro totalmente ignoto ed è stato fornito da noi radicali dopo aver visitato la scheda del carcere presente sul sito istituzione del Ministero della Giustizia. L’Istituto faceva affidamento solo ad un applicativo, in dotazione crediamo alla polizia penitenziaria, che recepiva le indicazioni della Cedu e che accanto al dato dei posti regolamentari, rilevava anche quelli della cosiddetta capienza tollerabile che consente, per la superficie complessiva adibita a celle del carcere di Cassino di 1.600 mq., un massimo di 315 posti detentivi. Nello specifico, i detenuti presenti in questa struttura sono: 30 in attesa di giudizio;10 appellanti; 10 ricorrenti; 176 definitivi; 12 misti definitivi; 2 misti senza nessuna sentenza definitiva. Successivamente abbiamo iniziato il nostro percorso dentro le sezioni per parlare coi detenuti presenti. La prima sezione che abbiamo visitato è stata quella occupata dai sex offender certamente l’ala più nuova di tutte. Abbiamo appurato la presenza di celle in buono stato conservativo, con docce presenti all’interno delle celle stesse, ma riscontrato anche che questa è la sezione dove il sovraffollamento è più marcato. Qui sono presenti anche sei letti in celle di circa 25 metri quadri (ad occhio, il dato effettivo non siamo riusciti ad averlo). Tale sezione presenta problemi di coabitazione notevoli, anche perché, fra i detenuti, esiste una certa gerarchia legata ai vari reati compiuti nella stessa sfera della violenza sessuale e quindi ogni piccola cosa può essere causa di lite anche violenta. Per una questione logistica e di cautela gli stessi non possono usufruire del cortile e del campetto sportivo: l’ora d’aria si consuma dentro squallidi cortili con pensiline. Inoltre nessuno o quasi è impegnato in attività lavorativa o formativa dentro o fuori il carcere e questo rappresenta un ulteriore motivo di tensione. Infine, stranamente, la Direttrice ha proibito l’acquisto di tabacco sfuso (avendo paura che in mezzo al tabacco possano venie mischiate altre sostanze) e questo viene vissuto da parte dei detenuti come una forte ingiustizia compiuta ai loro danni oltre che ad un aggravio economico per gli stessi e le loro famiglie essendo costretti ad acquistare solo sigarette. A dire il vero, abbiamo appurato, che la proibizione della vendita di tabacco è estesa a tutti i detenuti del carcere di Cassino, ritenendo l’amministrazione di operare così per la salvaguardia della salute comune. Altra sezione visitata è stata la Seconda, di tre piani, occupata per lo più da tossicodipendenti e media sicurezza. Questa è stata ristrutturata in tempi recenti e si vede. Qui le celle sono più ampie, ma alquanto sovraffollate. Le docce sono comuni e lo stato di manutenzione non merita la sufficienza anche se non raggiungono il degrado di quelli presenti nella Terza sezione. Se non sbagliamo il piano terra di questa seconda sezione è un lungo corridoio buio ed assai umido adibito ad una parvenza di palestra. Sorvoliamo e passiamo all’ ultimo l’edificio che abbiamo visitato e che ospita la Terza sezione, anch’essa di tre piani, il più vecchio di tutto l’Istituto penitenziario. Sono presenti, crediamo, tossicodipendenti, giudicabili, definitivi ed ha un piano ancora non ristrutturato e che appare buio e molto umido. Le docce comuni, già dicevamo, sono molto in cattivo stato ed hanno bisogno di una forte manutenzione. Le celle sono piccole, poco funzionali ed anguste, ma i detenuti non se ne lamentano più di tanto, un po’ per rassegnazione (tanto le carceri sono tutte così), un po’ per il discreto rapporto che hanno con il personale della polizia penitenziaria, che, come ci è dato da vedere, opera in maniera stra-meritevole. Un fatto positivo che abbiamo potuto riscontrare è che nessuno dei detenuti ha manifestato inefficienze nell’assistenza sanitaria; infatti oltre ad un Sert veramente ben strutturato e che al momento segue 51 tossicodipendenti ( presente 5gg la settimana con 5 equipe di 4 persone!!), sono presenti specialisti in loco, con cadenza almeno settimanale, in Cardiologia, Infettivologia, Dermatologia, Psichiatria, Otorinolaringoiatria, Radiologia e Pneumologia. L’infermeria, che presto ci dicono potrà spostarsi in locali molto più confacenti, al momento è relegata in uno stanzone poco consono alle funzioni che deve svolgere con sempre la presenza di un medico e 2 infermieri la mattina ed un infermiere la sera. L’offerta medica potrà ampliarsi anche per dei locali che sono in via di allestimento nel primo edificio. All’interno della struttura inoltre si tengono corsi di alfabetizzazione per gli stranieri ed eventuali analfabeti nostrani, corsi di scuola primaria, medie e corso alberghiero. Ai reclusi è concessa una sola telefonata settimanale verso il solo soggetto indicato come ricevente utilizzando la scheda dedicata. Qualora ci fossero minori di 10 anni può essere concessa un’ulteriore telefonata agli stessi ciò in perfetta concordanza, ci è stato detto, con i dettami del regolamento carcerario vigente. La visita si è completata intorno alle 14.30. L’impressione comune è che si tratti di una struttura fatiscente, segnatamente per quelle sezioni non ristrutturate. Sicuramente insufficiente per le aree verdi e per il passeggio, e in più, per i detenuti, sconta la grave crisi economica ed il retaggio culturale della zona per attività lavorative continuative mai attivatesi. A breve dovrebbe partire un progetto denominato Olio di Gomito per il recupero di una serie di oliveti abbandonati nel cassinate e questo potrebbe alleviare questa esigenza. È sempre nostra impressione che le intenzioni, i progetti, i programmi presenti siano molteplici e tutti assai meritevoli ma poi scontino la cronica mancanza di fondi, che affligge da sempre il sistema penitenziario italiano, e che quindi vengano ridimensionati o molto più facilmente di volta in volta accantonati a tutto danno in primis dei reclusi e poi del personale penitenziario che dovrà supplire a queste croniche deficienze con un loro maggiore impegno e molto sacrificio. Aosta: presentata l’attività del Difensore civico-Garante dei diritti delle persone detenute Ansa, 4 ottobre 2014 Per effetto del decreto svuota carceri migliorano le condizioni nella Casa circondariale di Brissogne dove il numero detenuti è sceso quest’anno sotto il limite di capienza. Lo ha riferito oggi Enrico Formento Dojot, Difensore civico della Valle d’Aosta e Garante dei diritti delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale nel corso dell’annuale conferenza stampa sulla propria attività. Al 30 settembre di quest’anno nell’istituto valdostano erano detenute 133 persone (a dicembre erano ancora 200), a fronte di una capienza regolamentare di 180. "Non può che accogliersi positivamente tale dato, anche se non si può escludere un nuovo incremento per trasferimenti da Istituti più congestionati", spiega il garante che nel 2013 ha trattato 72 casi. Quanto invece all’attività di difensore civico sono state 507 le situazioni prese in carico dall’ufficio nel corso dell’esercizio 2013. Rispetto all’anno precedente l’attività è aumentata del 12 per cento (+5% i casi nuovi). "L’incremento rilevato del numero complessivo dei casi trattati - ha spiegato Enrico Formento Dojot - quest’anno riguarda in particolare il settore dell’organizzazione, segnatamente in ordine al rapporto alle dipendenze dell’Ente pubblico (141 casi), e dell’ordinamento (124 casi), di cui, principalmente, per sanzioni amministrative 19 casi, circolazione stradale 16 casi e tributi 15". In aumento anche il numero dei Comuni (ora 72 su 74) che si sono convenzionati con il difensore civico. Venezia: la sanità penitenziaria dell’Asl 12 affidata al dottor Vincenzo De Nardo La Nuova Venezia, 4 ottobre 2014 La sanità penitenziaria dell’Asl 12 è stata affidata al dottor Vincenzo De Nardo, già direttore della salute mentale per la terraferma, che sarà impegnato a rispondere nel modo migliore possibile alle esigenze delle strutture carcerarie del nostro territorio. Subentra al collega Fabrizio Marino e ha già avuto modo di incontrare le direttrici delle due strutture penitenziarie di Venezia. "Siamo impegnati a dare un segnale forte della presenza del servizio sanitario", rimarca il direttore generale dell’Asl 12, Giuseppe Dal Ben. "Un discorso che vale anche per i penitenziari cittadini, affiancando le direzioni degli istituti. Il dottor De Nardo garantisce, per la sua esperienza, una competenza specifica sul fronte della salute mentale; alle spalle ha una lunga esperienza e frequentazione con i territori del disagio e delle dipendenze". Il nuovo direttore della medicina penitenziaria sottolinea la consapevolezza che la popolazione carceraria sia numericamente importante e allo stesso tempo problematica. "Ma il diritto alla salute è universale e vale anche per chi è carcerato". Ora il lavoro di De Nardo sarà diretto verso la costruzione di un vero percorso di accompagnamento, fatto anche di attenzione alla documentazione sanitaria per i detenuti che necessitano di cure. All’educazione alla salute e alla cura di sé, come prevenzione primaria per gli stessi carcerati. Non tralasciando la costruzione di un dialogo intenso e costruttivo tra medici, detenuti e personale del carcere, attraverso incontri e percorsi di educazione psicologica al reciproco rispetto. Infine punta a un intervento sugli spazi e le attrezzature della medicina nei due istituti penitenziari affinché siano sempre adeguati. Civitavecchia (Rm): trasferito a Viterbo il detenuto che ha picchiato 4 agenti penitenziari www.romatoday.it, 4 ottobre 2014 La richiesta era stata avanzata dai sindacati dei "baschi blu" agli organi del Dap. Lo hanno trasferito dal carcere di Civitavecchia a quello di Viterbo Mammagialla nella tarda mattinata di oggi. Ad essere spostato un detenuto georgiano di 45 anni che in meno di 24 ore aveva aggredito cinque agenti di polizia penitenziaria in due diverse occasioni. Lo comunica il segretario della Fns Cisl Massimo Costantino. Le aggressioni nel carcere di Civitavecchia costarono 50 giorni di prognosi ad uno degli agenti presi di mira dal detenuto. Per questo il sindacato chiedeva "All’Amministrazione Penitenziaria (Prap e Dap) - scrive Costantino - vista la situazione creatasi una ispezione presso detto Istituto, oltre che di risolvere il problema legato all’assenza di un Direttore Titolare. La Fns Cisl del Lazio insisterà affinché l’Amministrazione Penitenziaria voglia occuparsi di questi problemi invece di continuare, nonostante gli accadimenti, a pensare a tutt’altre questioni". Parere simile quella del sindacato Sappe, con il segretario Donato Capece che sottolinea una situazione al limite della sopportazione: "La situazione era insostenibile e abbiamo da subito sollecitato i vertici dell’Amministrazione Penitenziaria del Lazio ad assumere provvedimenti immediati, proprio come l’allontanamento del detenuto. È però dovuta servire una nuova aggressione per trasferire il detenuto. Ora auspichiamo che si possa dare un direttore titolare al carcere, visto che non è proprio possibile che la struttura venga retta ad intermittenza". Donato Capece che conclude: "Intanto questa mattina una delegazione della Segreteria Regionale del Sappe del Lazio, con il Segretario Nazionale Maurizio Somma e il delegato Marco Rasicci, ha incontrato i colleghi aggrediti - feriti con prognosi con vanno dai 4 ai 30 giorni - ed ha loro rinnovato la vicinanza e solidarietà del primo Sindacato della Polizia Penitenziaria. Uno dei poliziotti feriti è attualmente ricoverato con trauma cranico, all’Ospedale Celio di Roma. Le aggressioni ai poliziotti penitenziari sono inaccettabili. Per questo, visto che i nostri Agenti prestano servizio assolutamente disarmati, abbiamo chiesto di dotarli almeno di spray anti aggressione". Napoli: i ragazzi dell’Ipm di Nisida incontrano gli ex detenuti del cast di "Take Five" Il Mattino, 4 ottobre 2014 Il cinema a Nisida per raccontare l’esperienza di riscatto degli attori di Take Five, il film di Guido Lombardi che vede protagonisti alcuni ex detenuti oggi divenuti professionisti affermati nell’industria cinematografica. La giornata all’interno dell’Istituto penale per minorenni realizzata in collaborazione con l’assessorato alle politiche sociali della regione Campania è partita con la proiezione del film (attualmente in programmazione nelle sale) seguito da un intenso incontro dei ragazzi con l’attore e produttore Gaetano Di Vaio e Carmine Paternoster, entrambi con esperienze carcerarie. Nel cast del film anche Salvatore Striano (formatosi a Rebibbia e già interprete per i Taviani) e Salvatore Ruocco che proveniva dall’ambiente dei match clandestini prima di dedicarsi alla recitazione. "Ringraziamo il direttore di Nisida Gianluca Guida e il distributore Microcinema per la disponibilità nel realizzare questa giornata che sottolinea il nostro impegno per l’inclusione - dichiara l’assessore alle politiche sociali Bianca D’Angelo che ha visitato i vari laboratori di giardinaggio, ceramica ed edile, dove si lavora su un insediamento seicentesco - ricordiamo che per la prima volta in Campania, stiamo intervenendo con piano che coinvolge in attività di reinserimento sociale tutti gli Istituti di pena grazie al quale saranno formate 1850 persone con 5 milioni di euro derivanti dalla riprogrammazione delle risorse comunitarie del Fondo Sociale Europeo. Piacenza: in meta per la "libertà", i rugbisti del Lyons affrontano squadra di soli detenuti di Gianmarco Aimi www.piacenza24.eu, 4 ottobre 2014 L’epilogo non sarà quello di "Fuga per la vittoria", il film dell’81 di John Huston dove alla fine i carcerati riuscivano a scappare, però sicuramente la sfida avrà un fascino tutto particolare. Parliamo del match che, dopo mesi di allenamenti, il 25 ottobre vedrà i Lyons Piacenza impegnati contro la debuttante formazione di rugby di serie C composta esclusivamente da detenuti, la Giallo Dozza Bologna. L’appuntamento - si giocherà tra le mura del carcere - è il primo concreto traguardo del Progetto "Tornare in campo", nato da una collaborazione tra il presidente del Rugby Bologna 1928, la direttrice del Carcere e il Provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria dell’Emilia-Romagna. L’obiettivo è quello del recupero fisico, sociale ed educativo di detenuti, e come ha affermato la direttrice Clementi "è un’attività che ha il fine di dare un significato alla vita all’interno del carcere: fondamentale durante la detenzione e di buon auspicio per il futuro fuori dal carcere". La Società "Giallo Dozza Bologna Rugby" è stata ufficialmente costituita nell’agosto 2014 e riconosciuta dalla Federazione italiana rugby (Fir), tant’è che seppur con alcune modifiche al regolamento, consentirà ai carcerati di disputare il Campionato italiano di rugby serie C2, Girone Emilia. Presidente della Società, Stefano Cavallini, da anni dirigente di Società di rugby e con competenze nell’ambito del Comitato regionale della Fir. Allenatori: Massimiliano Zancuoghi e Francesco Di Comite, entrambi rugbisti di grande esperienza con un passato nel Bologna in serie A e in Super10, attualmente allenatori del settore giovanile del Rugby Bologna 1928. I 27 atleti detenuti che compongono la "rosa" della squadra sono stati selezionati (55 quelli visionati) e preparati dai tecnici del Rugby Bologna 1928, dopo aver superato test fisici (di forza e resistenza) e attitudinali. Le nazioni di provenienza sono diverse: Italia, Romania, Albania, Moldavia, Polonia, Repubblica Dominicana, Ecuador, Marocco, Tunisia. L’età è compresa tra 23 e 36 anni. Lecce: "L’ultima cena" di Alfredo Traps esce dal carcere, sarà lunedì al Teatro Paisiello www.brindisilibera.it, 4 ottobre 2014 L’obiettivo di portare fuori dal carcere di Lecce lo spettacolo "L’ultima Cena" di Alfredo Traps è stato raggiunto: lunedì 6 ottobre, a salire sul palco del Teatro Paisiello, saranno gli attori/detenuti della Compagnia "Io Ci Provo". L’appuntamento è alle 21. L’ingresso è gratuito fino ad esaurimento biglietti. Tutti insieme ce l’hanno fatta, sembra proprio che ci siano riusciti. Il Tribunale di sorveglianza di Lecce, la Direzione del Carcere, il Corpo di P.P. e L’Uepe di Lecce, il Comune di Lecce e Lecce2019, il Provveditorato regionale per l’amministrazione dei penitenziari e i temerari attori, insieme alla regista Paola Leone, hanno raggiunto l’obiettivo: portare fuori dal carcere lo spettacolo. Saranno in otto i detenuti che, grazie all’articolo 21 della Legge n° 354 del 1975 (Ordinamento Penitenziario), avranno la possibilità di uscire dal carcere e raggiungere il teatro Paisiello lunedì 6 ottobre per svolgere un’attività lavorativa retribuita, come dei veri attori. Quest’anno più di cinquecento persone hanno assistito nel mese di maggio alla rappresentazione di questo spettacolo all’interno del carcere di Borgo San Nicola. Un segnale che è stato colto dalle istituzioni che si sono mobilitate per far conoscere ad un pubblico più ampio lo sforzo e l’impegno di questa piccola compagnia e di questi attori speciali, che lavorano da ormai tre anni alla promozione del teatro come forma artistica e culturale capace di includere, promuovere e valorizzare le differenze. Il laboratorio teatrale "Io ci Provo cerca di pensare e praticare il carcere non come luogo di esclusione e marginalizzazione di problemi, ma come spazio in cui è possibile ridefinire forme di vita, riattivare possibilità rimosse, e permettere di vedere la possibilità dell’impossibile. Per questo motivo Lecce2019 sta lavorando al fianco della compagnia Io ci Provo" affinché quello che poteva apparire come un sogno diventasse realtà e nella convinzione che l’estromissione di qualsiasi individuo comporta una perdita di valore per la società. È questo il cuore pulsante di Polistopia, l’utopia di Lecce2019 che promuove un modello urbano e sociale incentrato sull’inclusione e l’accessibilità e in cui la responsabilità culturale trasforma le persone con speciali esigenze in persone con abilità speciali, l’avidità in una cultura di generosità e solidarietà. La storia che ci racconteranno lunedì 6 gli attori/detenuti è una storia grottesca tratta da La Panne di Durrenmatt in cui un piccolo imprevisto, appunto una macchina in panne, diventa l’occasione perchè il destino possa uscire da dietro le quinte e possa compiersi, facendo giustizia. Ed è proprio la giustizia il tema su cui il testo di Durrenmatt rivisitato da Mariano Dammacco e a dagli otto attori-detenuti, invitano il pubblico a riflettere. Non si tratta di definire una giustizia ideale, un dover essere che indichi la strada da seguire per realizzare o avvicinarsi a ciò che vi è di perfetto. Si tratta piuttosto di seguire le strade tortuose, grottesche, spesso feroci, lungo le quali la giustizia trova la sua realizzazione. La regia come sempre affidata a Paola Leone che, finalmente porta la sua compagnia fuori, in un teatro nella città. Lo spettacolo andrà in scena alle 21. I biglietti dello spettacolo si posso ritirare da venerdì 3 ottobre presso l’info-point di Castello Carlo V a Lecce (orari: dal lunedì al venerdì, dalle 9 alle 13 e dalle 16.30 alle 20.30; sabato, domenica e festivi dalle ore 9.30 alle ore 13.00 e dalle ore 16.30 alle ore 20.30). L’ingresso allo spettacolo è gratuito e libero, fino ad esaurimento biglietti. Ferrara: quel cantiere teatrale nel carcere che ha bisogno di continuità di Giuseppe Malaspina www.listonemag.it, 4 ottobre 2014 A colloquio con Horacio Czertok e Andrea Amaducci. C’è un percorso breve e frammentato, spezzato in piccoli segmenti per ragioni di sicurezza, che scandisce il passo di chi da fuori visita il luogo di chi vive dentro. E poi c’è l’itinerario più lungo che accompagna il complesso cammino di consapevolezza di chi fuori non può uscire. Il significato delle parole "fuori" e "dentro" si riempie di senso quando chi le pronuncia è privato della libertà. In passato, nell’intervista a Michalis Traitsis, fondatore dell’associazione Balamòs Teatro, vi abbiamo parlato dell’importanza dei laboratori teatrali all’interno degli istituti penitenziari. Oggi torniamo sull’argomento, approfittando dell’evento "Internazionale incontra il Carcere", aperto su invito a giornalisti e personalità indicate dal festival. In programma ci sono gli spettacoli "Tasso-Materiali", diretto da Horacio Czertok, e "Hard Core", diretto da Andrea Amaducci, realizzati da detenuti nella Casa circondariale di Ferrara. Poco prima di varcare i cancelli dell’Arginone, troviamo il tempo di rivolgere alcune domande proprio a Horacio Czertok e ad Andrea Amaducci, registi delle produzioni del Teatro Nucleo. Quali tematiche sfiora lo spettacolo a cui lavorate come registi? H: "Stiamo lavorando su due spettacoli, uno è "Hard Core" ed è improntato sull’esperienza personale degli attori e veicolato soprattutto attraverso il movimento e i codici gestuali. L’altro al momento ha per titolo "Tasso-Materiali". Si tratta di un cantiere sulla "Gerusalemme liberata", stiamo preparando i materiali che andranno a conformare uno spettacolo la primavera prossima". A: "Le tematiche, come nella più antica tradizione sono: vita e morte. Il ragionamento, snocciolato dai detenuti-attori, ruota attorno al concetto del proprio doppio. Con me gli attori lavorano sul corpo, sul movimento e sulla musica". A prevalere è l’elemento collettivo o individuale? H: "Il laboratorio è al tempo stesso collettivo e individuale, nel senso che l’esperienza dell’individuo avviene nell’ambito del collettivo, che funziona come referente, come contenitore e come confronto". A: "Nel processo di lavoro è imprescindibile l’aspetto collettivo che cerco di generare sviluppando le attitudini naturali individuali. Quando si lavora specificatamente su una persona, il resto del gruppo partecipa attivamente". Quanti sono i detenuti-attori che hanno preso parte al lavoro? H: "Iniziato nel 2005, per il laboratorio teatrale sono transitati circa duecento detenuti". A: "’Hard Corè, partito con tre attori e quattro musicisti, è ora un duo con tre musicisti. Il laboratorio ha attualmente una dozzina di iscritti e verrà integrato con nuovi elementi in questo mese". Lavorare in un ambiente carcerario quanto condiziona l’attività dei laboratori? H: "Il laboratorio teatrale è specifico, e disegnato per tenere in dovuto conto sia la situazione specifica sia la condizione del partecipante. Nell’ambito del laboratorio teatrale il detenuto può fare esperienza delle proprie emozioni e del proprio vissuto nella libertà relativa del contesto e così conoscerle e dunque crescere come individuo". A: "Il paradosso che si crea è che la situazione di reclusione genera un capitale creativo potenziale enorme. C’è voglia di liberarsi come mai avevo visto prima. Detto questo, gran parte delle possibilità che fuori sono date per scontate, in quel luogo non lo sono. E quindi diventa difficile portare oggetti all’interno, poter filmare il lavoro, fare una cosa senza fermarsi subito (lo spazio non è tanto), potere sforare di tre minuti se si sta lavorando bene". Come si sono posti i detenuti-attori nei confronti di questa esperienza? H: "Molti con entusiasmo, altri con perplessità e pregiudizi: come in altri contesti". A: "Mi sento di poter dire che in data odierna, il laboratorio di teatro ha un tenore professionale. Dopo quasi dieci anni. Gli attori più anziani si occupano, semplicemente con la loro serietà, di fare capire ai nuovi che non si scherza, o meglio, si scherza eccome ma con un certo metodo". A colpirvi maggiormente è la loro capacità interpretativa o il loro desiderio di mettersi in gioco? H: "Spesso vanno insieme, a volte no: c’è più voglia che capacità, ed proprio su questo che possiamo lavorare, offrendo conoscenza e sviluppo tecnico". A: "Mi colpiscono molto le attitudini individuali che arrivano dalle loro storie, dalle loro terre di nascita, dai loro mestieri. A volte è un fatto geografico, i napoletani tengono il palco, non c’è niente da fare, e gli slavi o ballano o suonano bene. La cosa che mi stupisce ancora è la capacità che hanno di mettersi a nudo di fronte agli altri compagni detenuti". Quanto è importante, in un ambiente come il carcere, la continuità dei laboratori teatrali? H: "La continuità è essenziale, anche perché non si lavora solamente sui detenuti ma sulle relazioni tra i vari soggetti, l’amministrazione, gli educatori gli agenti della polizia penitenziaria, e poi i cittadini". A: "Fondamentale. La qualità di oggi si è ottenuta per questa ragione, oltre al turn-over continuo dei partecipanti al laboratorio e oltre anche al cambio di comando e direzione del carcere stesso". Una volta conclusa la reclusione, gli ex detenuti che hanno preso parte ai laboratori continuano a interessarsi al mondo del teatro? H: "Alcuni hanno partecipato e partecipano a spettacoli teatrali in qualità di attori. Ma non è lo scopo principale del laboratorio, che è invece quello di contribuire all’educazione complessiva della persona nell’ambito della cittadinanza attiva e della capacità di trovare una collocazione nel mondo". A: "Con un ex detenuto, Aissa Moncef, si è continuato a collaborare fino a produrre uno spettacolo di narrazione, "Il mio vicino", con la regia di Czertok, che è stato presentato in diverse occasioni e anche all’estero, in Spagna, Germania e Belgio, all’interno di progetti europei dedicati alle attività educative nelle carceri. In generale nessuno vive di teatro dopo il laboratorio (per il resto, io ci vivo a malapena e sono libero). Detto questo, tutti gli ex detenuti che ho incontrato mi parlano di una sensibilità artistica cambiata rispetto a prima del laboratorio, di una capacità critica maggiore nell’analizzare un evento performativo, anche se si tratta di guardare la tv". Perché è importante che il mondo esterno rivolga il suo sguardo verso le attività dei laboratori teatrali in carcere? H: "Per il ruolo che questo ha nell’educazione dei detenuti. Come vogliamo che siano i nostri vicini di casa? Il teatro contribuisce decisamente a farne delle persone consapevoli. E garantisce un collegamento specifico tra il carcere e la città di cui è parte. È importante che il cittadino conosca il ‘suo’ carcere, quello che contribuisce a sostentare, e il teatro è il veicolo ideale, sia quando si fanno spettacoli dentro sia quando occasionalmente la compagnia esce per presentarsi nei teatri cittadini". A: "Perché credo sia l’elemento che manca, almeno rispetto alla città di Ferrara, per chiudere il cerchio della partecipazione. È il trasformare che interessa, e per trasformare servono tutte le parti. Se "l’esterno" trovasse altri modi guardare "l’interno", sarebbe una buona occasione per esplorare il pregiudizio". Brescia: prima edizione di "Correre liberalamente"… detenuti ai nastri di partenza www.quibrescia.it, 4 ottobre 2014 Siamo ai nastri di partenza della prima edizione di "Correre liberalamente", il progetto che coinvolge i detenuti dei carceri bresciani nel segno dei valori positivi dello sport e della corsa in particolare. Si tratta di un progetto "pilota" , frutto dell’accordo tra Provincia di Brescia, Fidal Lazio e Carceri bresciane e laziali. Il progetto è patrocinato dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia, e vede il suo culmine in due competizioni aperte al pubblico: la prima a Brescia e la seconda a Roma. Il primo appuntamento è previsto per domani, sabato 4 ottobre, a Brescia, Campo Marte, nell’ambito del Festival dell’Innovazione. In pista, con la specialità "Gara all’americana", 31 detenuti provenienti dalle carceri di Brescia (25), Frosinone (1), Rebibbia (1), Sulmona (1) e Biella (1) che si sfideranno, per la prima volta in Italia, in un’arena esterna ai rispettivi istituti di pena. Alla manifestazione sono stati invitati anche i bambini di 4 e 5 elementare di oltre 50 scuole bresciane: a loro verrà riservata un’apposita area per lo svolgimento di attività ludico motorie. Siamo ai nastri, ma dalla linea di partenza bresciana già si vede chiaramente quella di arrivo: "L’auspicio - sottolinea l’assessore alla Cultura e turismo della Provincia di Brescia, Silvia Razzi - è che il progetto venga declinato a livello nazionale così da promuovere su tutto il territorio la funzione sociale e terapeutica della corsa, valorizzando contestualmente quella rieducativa della pena". Televisione: domenica a "Frontiere dello Spirito" (Canale 5) il Vangelo letto dai detenuti www.mediaset.it, 4 ottobre 2014 Domenica 5 ottobre alle 8.50 torna "Le Frontiere dello Spirito", il programma di cultura e attualità religiosa di Canale 5, curato e condotto dal cardinale Gianfranco Ravasi, Presidente del Pontificio Consiglio per la Cultura in Vaticano e insigne biblista, e da Maria Cecilia Sangiorgi, ideatrice e curatrice della parte giornalistica. Questa trentunesima edizione si presenta con una importante novità: la lettura dei testi del Vangelo della Liturgia domenicale verrà proposta dai detenuti delle compagnie teatrali delle carceri di Bollate, Rebibbia (sezione femminile e maschile) e Volterra e, una seconda volta, dall’attore Pierluigi Corallo. La scelta di coinvolgere le compagnie teatrali delle carceri e i loro registi nasce con l’obiettivo di far conoscere realtà poco note, ma anche di ascoltare le parole del Vangelo pronunciate da chi ha vissuto e vive esperienze diverse e ha differenti sensibilità nel proporle e interpretarle. La prima puntata si apre con la lettura dei detenuti di Bollate diretti dalla regista Michelina Capato e la lettura sarà commentata dal cardinale Ravasi nella chiesa di S. Lorenzo in Damaso. Dal 30 novembre fino alla domenica che precede il Natale, i diversi passi del Vangelo dell’Avvento verranno, invece, letti dalle detenute di Rebibbia, mentre il commento del cardinale Ravasi avverrà dalla chiesa posta all’interno del nuovo complesso carcerario maschile di Rebibbia. La seconda parte del programma, come sempre curata da Maria Cecilia Sangiorgi, ha come titolo "Il grido di Abele", titolo che vuole rappresentare ed esprimere in modo emblematico la tragedia dei Cristiani, vittime delle persecuzioni di questo XXI Secolo in tante parti del mondo: dalla Siria alla Nigeria, dal Medio Oriente all’Africa. Le prime due puntate propongono testimonianze toccanti dall’Iraq, dove - in nome delle differenze religiose - vengono perpetrate violenze a bambini, donne e uomini innocenti. Al riguardo risuonano ancora le parole di papa Francesco pronunciate a Redipuglia, parole di condanna per l’indifferenza di fronte agli attuali conflitti e al dolore che procurano: "Chi si prende cura del fratello, entra nella gioia del Signore; chi invece non lo fa, chi con le sue omissioni dice: a me che importa?, rimane fuori". Immigrazione: l’inutile universo dei Cie, tra solitudini, tensione e rabbia di Valentina Brinis e Vitaliana Curigliano Il Manifesto, 4 ottobre 2014 La Commissione diritti umani del Senato ha svolto negli ultimi diciotto mesi un’indagine conoscitiva sui centri di identificazione ed espulsione. Sono emerse numerose e profonde incongruenze riguardo alle funzioni che essi dovrebbero svolgere e ciò in ragione di rilevanti insufficienze strutturali, nonché di modalità di trattenimento inadeguate rispetto alla tutela della dignità e dei diritti degli interessati. Attualmente, degli 11 Cie, solo 5 sono funzionanti (Bari, Caltanissetta, Roma, Torino, Trapani). Sono temporaneamente chiusi quelli di Brindisi, Crotone, Gorizia. Il Cie di Trapani-Serraino Vulpitta è in via di riconversione in centro di accoglienza per richiedenti asilo. I centri di Bologna e di Milano dal mese di agosto 2014 sono utilizzati come centri di prima accoglienza. La maggior parte dei centri funziona a scartamento ridotto e ospita un numero di immigrati ben inferiore alla effettiva capienza. Secondo i dati del ministero dell’interno, gli stranieri trattenuti nei Cie nel corso del 2013 sono stati 6.016 (5.431 uomini e 585 donne), dei quali 2.749 sono stati effettivamente rimpatriati. Nel 2014, al 9 luglio, i trattenuti risultano essere 2.124, di cui 1.036 rimpatriati. Il numero complessivo dei migranti rimpatriati attraverso i Cie nel 2013 risulta essere lo 0,9% del totale degli immigrati in condizioni di irregolarità che si stima essere presenti sul territorio italiano (294.000 secondo i dati dell’Istituto per lo Studio della Multietnicità al primo gennaio 2013). Inoltre, il prolungamento del trattenimento dai trenta giorni del 1998 ai diciotto mesi del 2011 non pare abbia migliorato il tasso di espulsioni: il rapporto tra i migranti rimpatriati e il totale dei trattenuti nei Cie nel 2012 è cresciuto di appena il 2,3% rispetto al 2010, mentre nel 2011 l’incremento del tasso di efficacia nei rimpatri è risultato addirittura irrilevante (+0,3%). Un altro dato va messo in relazione ai tempi di trattenimento: in base a quanto dichiarato dal personale degli uffici immigrazione delle questure con cui la Commissione è entrata in contatto, in media sono sufficienti 45 giorni per identificare un trattenuto. Il 17 settembre 2014, il Senato ha approvato, all’art.3 comma e della Legge europea 2013-bis, accogliendo un emendamento dei senatori della Commissione Manconi e Lo Giudice, la riduzione del periodo massimo di trattenimento degli stranieri all’interno dei Cie a novanta giorni. Ciò che più colpisce è la forte eterogeneità e promiscuità delle persone presenti all’interno dei centri, situazione che provoca spesso tensione altissima: vi si trovano, ad esempio, persone che hanno a lungo risieduto legalmente in Italia e che non avendo più rinnovato il permesso di soggiorno per le ragioni più diverse, sono diventate irregolari (cosiddetti over-stayer), ex-detenuti che, scontata la pena, sono stati poi trasferiti nei Cie in attesa di identificazione o di rimpatrio e richiedenti asilo che hanno potuto formalizzare la propria domanda solo dopo avere ricevuto un provvedimento di respingimento ed espulsione. L’eterogeneità è legata alla rigidità della normativa italiana in materia di immigrazione, per cui è sufficiente che uno straniero perda il lavoro o non gli venga rinnovato il permesso di soggiorno per più di 12 mesi per diventare irregolare. Spesso si è riscontrata la presenza nei Cie di immigrati che da molti anni vivono insieme alle loro famiglie in Italia, paese nel quale hanno sede i loro affetti e interessi. Anche in questo caso il trattenimento risulta spesso inutile, poiché esiste una oggettiva difficoltà a identificarli dopo tanti anni trascorsi lontano dal paese d’origine, e diviene lesivo del diritto all’unità familiare dei migranti e dei loro congiunti. Molte situazioni possono essere sanate e definite in maniera più veloce rispetto alle procedure attualmente previste. Per chi è destinato all’espulsione dopo l’esecuzione della pena in carcere, va resa operativa e praticabile la disposizione prevista dal decreto Cancellieri del dicembre 2013 relativa all’accertamento dell’identità all’interno degli istituti penitenziari. Nei Cie sono trattenute anche persone rom, possibili titolari dello status di apolide in quanto provenienti dalla ex-Jugoslavia. Il riconoscimento dell’apolidia eviterebbe loro di essere ripetutamente portati al Cie per essere identificati. Nel centro di Ponte Galeria si trovava trattenuta una donna di sessant’anni, madre di nove figli, che viveva in Italia da quaranta. La donna è uscita dopo due mesi perché l’avvocato è riuscito ad ottenere il provvedimento di sospensiva, e perché nel frattempo aveva presentato domanda di apolidia. Si tratta anche in questo caso di situazioni in cui il trattenimento potrebbe essere evitato. Tra i trattenuti, anche persone nate e cresciute in Italia: chi ha sempre avuto un permesso di soggiorno e al compimento dei diciotto anni non è riuscito a rinnovarlo trovandosi così in una situazione di irregolarità o chi è nato in Italia ma non è mai stato regolare. Il passaggio alla maggiore età è un momento critico perché il permesso di soggiorno deve essere legato alla frequentazione di un corso di studi oppure alla firma di un contratto di lavoro. Ma non è detto che queste due condizioni ci siano. Non è raro il caso di chi, nonostante sia in Italia da molti anni e qui abbia portato avanti un percorso di formazione e di vita, rischia di essere rimpatriato. La Commissione si è spesso imbattuta in persone trattenute nei centri che si trovavano in condizione di estrema vulnerabilità psicologica e fisica. Il loro trattenimento provoca evidentemente un aggravio della loro condizione psico-fisica (peraltro confermato in molti casi dall’uso, spesso abuso, di psicofarmaci) e si rivela spesso inutile ai fini dell’identificazione. In questi casi è il questore che potrebbe intervenire, previa certificazione di un medico, con un provvedimento che consente il rilascio immediato per incompatibilità con il trattenimento o concedendo un permesso di soggiorno per motivi umanitari direttamente, senza attivare la procedura della protezione internazionale. Quanto alla condizioni di trattenimento e alla gestione delle strutture, la Commissione diritti umani chiede al governo di rivedere i criteri di assegnazione della gestione dei Cie, affidando a un ente gestore unico su scala nazionale tutti i centri attraverso un’unica procedura a evidenza pubblica, e di intervenire per modificare i criteri di assegnazione delle gare d’appalto, valutando non solo l’offerta economica e il criterio dell’offerta più bassa. Sarebbe necessario inoltre intervenire sulla disciplina relativa alla gestione per garantire un regolamento unico per tutti i centri e il periodico monitoraggio da parte delle prefetture delle reali condizioni di vita, verificando la congruenza dei servizi offerti con le convenzioni e i capitolati stipulati. Gran Bretagna: il Governo vuole uscire dalla Convenzione europea dei diritti umani di Giulio Meotti Il Foglio, 4 ottobre 2014 "Una distorsione dei diritti umani che nuoce al Regno Unito". Così il ministro della Giustizia inglese, Christopher Grayling, ha spiegato sul Financial Times il progetto britannico di uscita dalla Convenzione europea dei diritti umani. Sarebbe un cambiamento storico e un colpo durissimo al "Behemoth di Bruxelles", come l’ha chiamato la stampa inglese. "La Gran Bretagna potrebbe uscire dalla Convenzione europea dei diritti umani", ha dichiarato il premier David Cameron. Ma sono contrari laburisti e Lib-Dem. La Convenzione europea dei diritti umani è entrata a far parte della legge inglese nel 1998, durante l’esecutivo del laburista Tony Blair e mediante lo Human Rights Act, che adottò la convenzione come Bill of Rights, riconoscendo dunque ai diritti sanciti da questa convenzione una "veste" costituzionale. E questo è un problema per la sicurezza di Londra. Due gli esempi. La protezione dei soldati di Sua Maestà impegnati all’estero e l’estradizione di terroristi islamici detenuti nel Regno Unito. Secondo Grayling, nelle mani della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, la Convenzione è stata trasformata in "un’arma di attivismo giudiziario". Attivismo liberal. Il caso più noto è l’articolo otto, il cosiddetto "diritto a una vita privata e familiare". Questo articolo oggi è regolarmente usato dalle associazioni che difendono gli immigrati clandestini e i terroristi da estradare per evitarne la deportazione, anche se il testo originale era destinato a fare riferimento soltanto alla sorveglianza statale e alla coercizione, pegno orwelliano contro i totalitarismi novecenteschi (la Convenzione è del 1950). Per dirla con il Daily Mail, "un documento scritto per prevenire gli orrori dei campi di concentramento nazisti è diventato una carta dei valori per criminali e gruppi politicamente corretti". Cameron pensa a un "British Bill of Rights" e al ripristino del diritto d’appello finale esclusivamente dinanzi alla Supreme Court britannica, e non a quella di Strasburgo. Il ministro Grayling ha detto che "le persone che hanno scritto la convenzione originaria dei diritti umani in questo momento si stanno rivoltando nella tomba". Il Daily Telegraph scrive che l’Inghilterra non deve niente a Bruxelles sui diritti umani. Nel 1628 ci fu la "petizione dei diritti", nel 1679 gli "atti dell’Habeas Corpus", nel 1689 la "dichiarazione dei diritti". Perché non tornare alla gloriosa British Law contro il sussiegoso diritto all’europea? Inoltre, la Corte europea dei diritti umani è spesso composta da rappresentanti di paesi la cui popolazione è più piccola di Islington, il quartiere di Londra. E sono molte le sentenze europee che hanno spinto i conservatori a proporre questo progetto. Come quella con cui la Corte di Strasburgo ha detto che feroci ergastolani inglesi come Jeremy Bamber, rinchiusi senza alcuna prospettiva di rilascio, sono sottoposti a "trattamenti inumani e degradanti". O come il caso "Al Jedda and Al Skeini vs Uk", dove Strasburgo stabilì che i terroristi iracheni nelle mani degli inglesi erano soggetti alla giurisdizione europea. Non è stata soprattutto digerita dal governo di Cameron la sentenza con cui i giudici di Strasburgo hanno annullato la decisione di rimpatrio ai danni di Abu Qataba, il terrorista giordano ai vertici di al Qaida che secondo i servizi inglesi "raccoglieva denaro, incoraggiava la gente a uccidere, rivendicava assassino". Ad Amman, l’uomo avrebbe rischiato la tortura, così a Londra i giudizi europei hanno ordinato di tenersi il detenuto. "Ignorate la sentenza e mettetelo su un aereo", replicò l’Express. Alla fine il guerrasantiero ci è salito su quell’aereo, ma Londra adesso vuole lo scalpo della giustizia europea. I felloni di Strasburgo non valgono i parrucconi della Magna Charta. Francia: rapporto Associazione "Cimade" sulle discriminazioni verso i detenuti immigrati di Annalisa Lista www.west-info.eu, 4 ottobre 2014 I migranti aumentano. E con loro, le tragedie e la xenofobia. Altre prove giungono dalle carceri. Un rapporto dell’associazione Cimade, infatti, illustra le condizioni in cui sono costretti a vivere i 20.000 detenuti immigrati in Francia. Accesso alle cure spesso negato, difficoltà a procurarsi prodotti detergenti per il corpo, scarsa attenzione delle autorità ai legami familiari. Fino a negare le visite da parte di figli, coniugi e genitori per il solo fatto che i prigionieri non posseggono un regolare permesso di soggiorno. E ancora, la mancanza di adeguati servizi di traduzione e interpretariato con tutte le conseguenze del caso sulla salute e sulla burocrazia. Ad aggravare il tutto, l’assenza di servizi basilari per il rilascio dei documenti. Ad esempio, distributori automatici di foto e personale addetto alla verifica dell’identità del detenuto. Siria: intervista a Maisa Saleh; 50 donne in una cella, così si muore nelle carceri di Assad di Umberto De Giovannangeli L’Huffington Post, 4 ottobre 2014 Lo ripete più volte, con convinzione. Con la voce incrinata dalla commozione al ricordo degli eroi di una Rivoluzione giusta". Quella di cui lei è divenuta un simbolo. La rivoluzione siriana. Una giovane infermiera diventata una giornalista coraggiosa, che ha sfidato il carcere, la tortura, e oggi l’esilio. Il suo nome è Maisa Saleh, 31 anni. A lei, nella prima giornata del Festival d’Internazionale a Ferrara, è stato assegnato il Premio giornalistico Anna Politovskaja. Per sette mesi, racconta, ha vissuto in un girone infernale delle prigioni del regime: in una cella angusta, condivisa con altre cinquanta donne, senza potersi muovere, senza servizi igienici. "Alcune - dice all’Huffington Post - non hanno resistito a quelle condizioni disumane. Sono morte sotto i miei occhi". I suoi occhi hanno visto donne stuprate dagli sgherri di Bashar al-Assad, madri a cui venivano sottratti i propri figli. "Oggi - sottolinea Maisa Saleh - il mondo ha deciso di intervenire nel mio Paese per combattere i miliziani dell’Isis. Ma cosa ha fatto per arrestare la mano di un dittatore che ha ridotto la Siria a un cumulo di macerie, che ha ridotto il popolo siriano in un popolo di sfollati? La nostra era una rivoluzione giusta, democratica. Chiedevamo diritti e libertà. Nessuno ci ha ascoltato. Sì, la nostra è una rivoluzione tradita". Ma, aggiunge con orgoglio, "non è una rivoluzione finita: né Assad né al-Baghdadi riusciranno a spezzare il nostro sogno di libertà". Nonostante il clan Assad, nonostante i tagliagole del Califfato islamico. "Il regime - afferma - ha paura della verità e di chiunque prova a raccontarla. Per questo i giornalisti sono stati sin dal primo giorno nel mirino del regime. Perché erano testimoni scomodi, da eliminare. In due anni ne sono stati uccisi quasi duecento. Ma tanti attivisti si sono trasformati in operatori dell’informazione. E molti hanno perso la vita per questo". Cosa significa essere giornalista tra le macerie siriane? "Significa rischiare ogni giorno la vita. Perché il regime di Assad come i fanatici estremisti dell’Isis, hanno paura di chi prova a raccontare la verità. A documentare gli orrori che si consumano giorno dopo giorno nel mio Paese. Il popolo siriano è oggi doppiamente ostaggio: di un dittatore senza scrupoli e di un ‘Califfo’ che vorrebbe instaurare un regime terrificante. Voglio sottolinearlo con forza: per noi il pericolo dell’Isis è equivalente a quello del regime di Assad". Lei, prima da infermiera e poi da giornalista ha vissuto sin dal primo giorno la rivolta contro Bashar al-Asad. Cosa vi ha spinti a sfidare l’esercito e le milizie del regime? "Un sogno. Il sogno di fare della Siria un Paese con meno prigioni e più scuole. La nostra era una rivoluzione giusta: ci battevamo per realizzare una società più giusta, per l’affermazione di diritti universali, e tra essi il diritto a una informazione libera, non asservita al regime. Questa era la nostra colpa agli occhi del tiranno. Che sin dal primo giorno ha cercato di infangare la nostra rivoluzione, presentandola al mondo come la rivolta di pericolosi estremisti, terroristi, jihadisti. E c’è chi gli ha prestato ascolto! In questa lotta per la libertà le donne sono sempre state in prima fila, pagando un prezzo altissimo. Sì, noi donne facevamo paura al regime. Per il coraggio dimostrato, manifestando a volte anche lì dove gli uomini non avevano il coraggio di arrivare. Facevamo e facciamo paura per la nostra determinazione e concretezza. Per questo si accaniscono contro di noi: gli scherani di Assad come i tagliagole di al-Baghdadi". Come definire Bashar al-Assad? "Dopo poco più di tre anni di guerra, la Siria conta 200mila morti, 2 milioni di persone incarcerate, 11 milioni di sfollati, 100mila dispersi. Criminale di guerra e contro l’umanità: non c’è altra definizione per Bashar al-Assad". Lei è stata incarcerata per 7 mesi. Cosa ricorda di quell’esperienza? "Tutto, Ogni momento. Una sofferenza continua. Gli interrogatori interminabili, le percosse. Ho visto donne picchiate fino a quando la loro pelle diventava blu per le percosse subite. Donne appese in modo tale che i loro piedi non toccassero terra. Ho visto donne partorire in carcere in condizioni sanitarie terribili e vedersi sottrarre i loro bambini. Questa è la Siria di Bashar. E prima della rivoluzione, la Siria di suo padre, Hafez, era il "regno del silenzio", dove l’ordine era mantenuto attraverso massacri immani. Di città rase al suolo. Come fu Hama, nel 1982: 40mila morti. E il divieto di parlarne". Cosa è per lei, simbolo di quella "rivoluzione giusta", l’Isis? "Sono dei nemici del popolo siriano. Ma la maggioranza di loro non sono siriani, vengono da altri Paesi, anche dall’Europa. Perché non sono stati fermati? Alcuni Paesi li hanno anche sostenuti, finanziati, armati. Dov’era l’Onu, dov’erano gli Stati Uniti…". Dov’era Barack Obama? E chi è per lei oggi il presidente Usa? "I discorsi del presidente americano erano una illusione, come quelli di tanti leader mondiali quando affermavano di sostenere la nostra rivoluzione democratica. Invece non hanno fatto nulla per ascoltare e sostenere la voce dei tanti che chiedevano libertà e giustizia. Obama aveva sostenuto che l’uso delle armi chimiche contro la popolazione civile da parte di Assad era una ‘red linè insuperabile. Invece ha stretto un patto col dittatore che continua la sua guerra al popolo. Impunemente". Qual è il suo futuro? "Amo il mio lavoro e continuerò a farlo. Lo devo agli attivisti eroi che hanno sacrificato la loro vita per la libertà. Lo devo a mia sorella incarcerata da mesi e di cui non abbiamo più notizie. In tanti, in questi giorni, mi hanno detto: perché non chiedi lo status di rifugiata, perché non accetti l’asilo politico in Europa? No, grazie. La rivoluzione non è finita. Ha bisogno di persone che raccontino la sofferenza di un popolo. Il popolo siriano". Stati Uniti: a "porte aperte" udienza sull’alimentazione forzata a detenuto Guantánamo La Presse, 4 ottobre 2014 Un giudice federale ha respinto la richiesta dell’amministrazione Obama di tenere a porte chiuse un’udienza sull’alimentazione forzata a cui è stato sottoposto Abu Wàel Dhiab, detenuto nella base di Guantánamo in sciopero della fame. Washington aveva chiesto che tutta la sessione, in programma il 6 ottobre, fosse chiusa al pubblico, spiegando che la maggior parte delle informazioni sul prigioniero è riservata. Il giudice Gladys Kessler ha tuttavia respinto la mozione, affermando che solo alcune parti dell’udienza potranno tenersi a porte chiuse. Gli avvocati di Dhiab chiameranno a testimoniare tre medici che descriveranno lo stato di salute fisica e mentale del detenuto, e parleranno dell’impatto dell’alimentazione forzata. Dhiab, un cittadino siriano, è detenuto a Guantánamo senza accuse dall’agosto del 2002. Soldati Usa fanno uscire il prigioniero con forza dalla sua cella e lo legano a una sedia, su cui l’uomo riceve l’alimentazione forzata. Dhiab ha denunciato la pratica, definendola un abuso. Mali: venti detenuti disarmano le guardie ed evadono dal carcere della città di Gao Adnkronos, 4 ottobre 2014 Circa venti detenuti della prigione di Gao, nel nord del Mali, sono evasi dal penitenziario della città questa mattina attorno alle 6 ora locale. Lo riferisce il sito di notizie "Sahelien", secondo cui nella loro fuga i detenuti hanno portato via armi che appartenevano alle guardie carcerarie. Al momento dell’evasione, si sono sentiti dei colpi di arma da fuoco provenire dal penitenziario. Le forze armate stanno rastrellando la zona nel tentativo di trovare i fuggitivi, si legge sul sito, che non precisa se si tratta di criminali comuni o di elementi dei gruppi armati terroristi che per mesi hanno tenuto sotto controllo il nord del Mali, prima di essere scacciati da un intervento militare internazionale guidato dalla Francia.