Giustizia: risarcimenti ai detenuti, una clamorosa presa in giro di Maria Brucale Il Garantista, 3 ottobre 2014 Non funziona il decreto voluto dal governo: i magistrati respingono le richieste dei reclusi, che hanno meno diritti dei maiali. Appena entrato in vigore il decreto Renzi finalizzato a risarcire, con urgenza, i detenuti delle sofferenze patite per una carcerazione inumana e degradante, le persone ristrette nelle carceri di tutta Italia, con in mano uno strumento normativo ambiguo, che nessuna chiarezza offre su tempi e modalità applicative, si sono precipitate ad inoltrare istanze ai magistrati di sorveglianza. Avevano fretta. La fretta che origina dalla sofferenza nonché dalla consapevolezza che la loro richiesta sarebbe stata accatastata assieme alle mille altre - ciascuna espressione di una speranza o aspirazione di libertà - sui tavoli dei magistrati di sorveglianza assillati da un lavoro sempre maggiore a fronte di risorse, umane e non, sempre inadeguate e insoddisfacenti. E, in effetti, dopo mesi dall’entrata in vigore del decreto, quasi nessun provvedimento è stato partorito che accogliesse le sante (o santificate dalle fragorose bacchettate inferte e minacciate dalla comunità europea) attese risarcitorie dei detenuti. Due casi positivi Il rischio è che i provvedimenti che decurtano la pena giungano quando è ormai espiata. E allora al detenuto, ormai ex, rimane solo da chiedere 8 euro al giorno. Ad oggi due soli provvedimenti di segno positivo sembra siano stati emessi: uno a Padova, un ragazzo albanese è stato risarcito con 4.808 euro per 601 giorni di detenzione, e 10 giorni di detrazione della pena sui residui 100 che ancora gli restavano da scontare; l’altro a Ferrara, un uomo campano, ha goduto di una decurtazione di 22 giorni sulla residua reclusione. Sette metri quadri Nelle altri parti d’Italia fioccano, invece, numerosi i provvedimenti di inammissibilità delle istanze risarcitorie non corredate dalla specificazione del danno subito, dell’indicazione dello spazio fruibile per individuo nella cella, se inferiore ai tre metri. Nel frattempo giungono dalle direzioni delle carceri rassicurazioni più o meno ufficiali circa il ripristino della piena legalità della detenzione dei reclusi. Avrebbero, si afferma - sebbene ciò molto spesso non risponda al vero - ben tre metri a testa, escluso il mobilio. In realtà, nella sentenza Sulejmanovic c. Italia, la Corte europea ricorda, tra l’altro, che il consiglio di prevenzione della tortura ha fissato in 7 metri quadri a persona la superficie minima auspicabile per una cella detentiva e che un’eccessiva sovrappopolazione carceraria costituisce in sé una violazione dell’art. 3 della Convenzione dei diritti dell’uomo impedendo ai detenuti una vita dignitosa. Lo spazio del verro Per il verro, invece, il maiale adulto, una direttiva - n. 2008/120/CE del consiglio del 18 dicembre 2008 - stabilisce che i recinti devono essere sistemati e costruiti in modo da permettere all’animale di girarsi e di avere il contatto uditivo, olfattivo e visivo con gli altri suini. "Il verro adulto deve disporre di una superficie libera al suolo di almeno 6 metri quadri. Qualora i recinti siano utilizzati per l’accoppiamento, il verro adulto deve disporre di una superficie al suolo di 10 metri quadri e il recinto deve essere libero da ostacoli". Il maiale, insomma, deve potersi muovere liberamente, incontrare i suoi simili in uno spazio adeguato, accoppiarsi in uno spazio adeguato. Sono norme che stabiliscono gli standard minimi a tutela del verro. Al maiale, dunque, sei metri quadri, per socializzare, dieci per accoppiarsi. Al detenuto ne bastano tre e non può accoppiarsi, ma tant’è! E, comunque, richieste inammissibili. Devono essere corredate dalla specificazione della tortura patita. Trovato l’inganno Ma c’è un altro aspetto che inquieta fortemente ed è ad ogni evidenza del tutto distonico rispetto al senso originario della decretazione d’urgenza nonché al suo principio ispiratore; ottemperare a quanto disposto dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nella sentenza dell’8 gennaio 2013 "Torreggiani" e predisporre un insieme di rimedi idonei a offrire una riparazione adeguata del pregiudizio derivante ai detenuti dal sovraffollamento carcerario. Alcuni magistrati di sorveglianza si sono soffermati sul concetto di attualità della condizione vessatoria determinata da una carcerazione disumana ed hanno partorito il criterio che la detenzione sofferta in altre carceri e interrotta da un trasferimento sia da considerare "cessata", non attuale e, pertanto, non risarcibile. In sostanza, se una persona è stata dieci anni detenuta in uno spazio infimo, in condizioni igieniche disperate e da pochi giorni sia stata trasferita in una struttura che offra tutte le condizioni per rendere la detenzione in linea con i dettami europei, per quella detenzione inumana ormai "cessata", nulla è dovuto. Abominevole! E l’abominio appare ancora più stridente se si pensa che la corte europea sta respingendo in massa i ricorsi provenienti dai detenuti delle carceri italiane per violazione dell’art, 3 della convenzione, perché ora possono chiedere ristoro nel loro Stato grazie al rimedio compensativo offerto dalla decretazione di urgenza. Una desolante presa in giro, insomma. Cosa è la tortura Ma la tortura che cos’è? Quali sono in concreto le vessazioni che ordinariamente una persona ristretta subisce che rendono la sua reclusione contraria ai parametri europei? Anche la costituzione italiana timidamente stabilisce che la pena non può consistere in trattamenti contrari al senso di umanità, ma meglio invocare le sanzioni europee che colpiscono i portafogli a un po’ di paura ancora la fanno. La risposta si trova nello rappresentazione della normale - salvo sporadiche eccezioni - condizione di vita di un soggetto detenuto nelle patrie galere, Gli istituti penitenziari sono sovraffollati ed ospitano una popolazione di oltre il 20% superiore alla loro capacità. Lo spazio per persona raramente raggiunge i tre metri quadri, spazio ulteriormente ridotto dalla presenza di mobilio. Le celle spesso non sono riscaldate; la doccia è in comune per numerosi reclusi, servita da modesta possibilità dì acqua calda, quando c’è: soltanto le prime 4-5 persone ne godono mentre la rimanente parte è costretta, se vuole lavarsi, a usare l’acqua fredda, anche in inverno; non ci sono spazi adeguati alle attività sociali all’esterno della cella, pochissimi privilegiati svolgono attività lavorative, i "bagni" fungono anche da cucina e contengono latrina, lavabo, secchio per l’immondizia, secchi per fare il bucato e un tavolino dove poggiare fornelletti per cucinare, stoviglie e le poche provviste che è consentito e possibile conservare; non è possibile usare acidi per pulire la latrina e il pavimento col rischio sempre incombente di malattie infettive; manca la minima privacy anche durante l’uso della latrina perché e solitamente proibito chiudere la porta dall’interno; l’illuminazione artificiale non è conforme alle norme in materia; non è presente un sistema d’allarme che permetta al detenuto di contattare il personale di custodia in caso di necessità o di urgenza; spesso si è costretti a tenere aperte le finestrelle, anche d’inverno perché è impossibile, col blindo di sicurezza chiuso, assicurare una buona respirazione alle persone che occupano uno spazio inadeguato. Altro che estate D’estate il caldo è insopportabile e gli ambienti sono infestati da zanzare che stazionano infettandosi nelle latrine alla turca, nonché da mosche, blatte e formiche e non è consentito l’uso di insetticidi o di zanzariere; non c’è un frigo nelle celle né nei corridoi di pertinenza delle sezioni per cui è impossibile conservare il vitto. L’accesso alle opportunità trattamentali tutte patisce le conseguenze del sovraffollamento e così risulta pressoché virtuale la possibilità di incontrare psicologi, educatori, assistenti sociali, magistrati di sorveglianza; tempi lunghissimi di attesa sono necessari per visite specialistiche interne anche per patologie acute; struggenti sono i sacrifici imposti ai familiari che viaggiano per incontrare a colloquio i loro congiunti ristretti: tempi infiniti e mortificanti per accedere all’incontro, per pesare il cibo e il vestiario preparato con cura, per lasciare al loro caro il denaro da spendere all’interno del circuito; il vitto somministrato è scarso e di pessima qualità. Questa ancora oggi la condizione ordinaria di carcerazione in Italia, con buona pace dei moniti europei. E ogni mattina, i nostri detenuti esclamano con aria sognante: "ah, se fossi un maiale!" Giustizia: reato di vilipendio? Ha ragione Storace, va abolito… ma per tutti di Rita Bernardini (Segretaria Nazionale di Radicali Italiani) Il Garantista, 3 ottobre 2014 In questi giorni si torna a parlare del reato di vilipendio che da tempo avrebbe dovuto essere cancellato dai nostro codice penale. La vittima di turno è Francesco Storace che con determinazione e coraggio dichiara al TG5 di essere pronto al carcere se non lo scagionano. Una presa di posizione che ha il sapore "radicale" se non fosse per un piccolo particolare che sta in quel che segue il "se". Personalmente avrei detto "scelgo il carcere per indicare al parlamento la necessità di cancellare quella vera e propria ferita per la libertà di tutti rappresentata dal reato di vilipendio". Anch’io nel 1997 fui denunciata per vilipendio delle Assemblee elettive e del Capo dello Stato. L’allora Ministri della Giustizia Flick, su richiesta del Procuratore della Repubblica Salvatore Vecchione, chiese a Camere e Senato l’autorizzazione a procedere nei miei confronti. Non mi parve vero: scrissi immediatamente al Presidente della Giunta per le autorizzazioni a procedere in giudizi" Ignazio La Russa, chiedendo di essere ascoltata "postulando la concessione dell’autorizzazione" (questa è l’espressione che si legge nei resoconti parlamentari dell’epoca). Peccato che non se ne fece nulla perché la Giunta accettò la proposta del Presidente La Russa il quale si appellò alla prassi parlamentare che non aveva mai previsto, nel caso del vilipendio, audizioni di altri che non fossero deputati o senatori. Peccato davvero perché che noi radicali si finisse sul banco degli imputati per aver "vilipeso" un parlamento di ladri e un Capo dello Stato complice di scippo (con il 4 per mille) del voto referendario dei cittadini sul finanziamento pubblico dei partiti, sarebbe stato per noi un esemplare riconoscimento. Processo e galera non ci furono allora e non ci sono oggi che coltiviamo - io. Marco Palmella e Laura Arconti -18 piante di marijuana terapeutica sul mio terrazzo affinché il farmaco sia effettivamente disponibile per i malati. Del resto, lo stesso Marco Palmella potrebbe fare un lungo elenco di autorizzazioni a procedere non concesse e di procedimenti penali non aperti nei suoi confronti. Il motivo? Sempre e solo uno: tacitarlo per depotenziarne la lotta nonviolenta di una vita in difesa dei diritti umani e della democrazia. Giustizia: primo incontro Ministero-Regioni per chiusura degli Opg entro l’1 aprile 2015 www.panoramasanita.it, 3 ottobre 2014 Si è svolto ieri il primo incontro Ministero-Regioni. Delicata sarà soprattutto la fase di transizione che vedrà il passaggio dagli Opg alle Rems. Si è tenuto ieri presso la sede del Ministero della Salute il primo incontro dell’Organismo di coordinamento del processo di superamento degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari istituito con decreto del Ministro della Salute del 26 giugno 2014 e presieduto dal Sottosegretario Vito De Filippo. All’incontro erano presenti i rappresentanti del Ministero della Salute, del Ministero della Giustizia e gli assessori alla salute delle regioni Emilia Romagna, Liguria, Puglia, Sardegna e il delegato della regione Toscana. Obiettivo prioritario del Comitato in questa prima fase è lavorare concretamente alla programmazione e pianificazione di una rete di accoglienza per i soggetti attualmente detenuti nei sei Opg presenti sul territorio nazionale che per legge dovranno essere chiusi il 1 aprile 2015 (Legge 81/2014). Fondamentale - dichiara il Sottosegretario - "è arrivare a quella data preparati per poter affrontare i tre nodi cruciali del problema: la dimissione dei soggetti dichiarati dimissibili e la conseguente presa in carico da parte dei dipartimenti di salute mentale delle regioni di residenza; l’accoglienza e l’assistenza dei soggetti non dimissibili in strutture residenziali appropriate (le Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza - Rems) e la presa in carico e l’assistenza dei nuovi destinatari di misure di sicurezza disposte dal Magistrato di sorveglianza". Delicata sarà soprattutto la fase di transizione che vedrà il passaggio dagli Opg (che sono strutture giudiziarie) alle Rems (che costituiranno vere e proprie strutture sanitarie) nella quale bisognerà identificare strutture a carattere residenziale con caratteristiche e requisiti atti a soddisfare il fabbisogno territoriale. L’Organismo che si è insediato ieri - conclude il Sottosegretario De Filippo - "ha un ruolo politico importante per trovare e perseguire soluzioni condivise da tutte le Regioni per evitare qualsiasi tipo di difformità territoriale nella garanzia dei diritti della persona". Giustizia: Tar reintegra agente licenziato per aver denunciato maltrattamenti a detenuto di Milizia Giulia www.diritto.it, 3 ottobre 2014 Il poliziotto penitenziario era stata dispensato dal servizio per un presunto scarso rendimento nell’ultimo triennio, ma in realtà ciò costituiva un’illegittima ed infondata sanzione disciplinare, perché nel 2009 aveva presentato un esposto in Procura per il suicidio di un detenuto, avvenuto nel carcere di Rimini nell’aprile dello stesso anno. Per il Tar anche la dispensa per scarso rendimento deve essere adeguatamente motivata, circostanza carente nella fattispecie. È quanto sancito dal Tar Emilia Romagna sez. I n. 899 del 17 settembre 2014. Il caso. Il ricorrente era un assistente capo della polizia penitenziaria ed aveva prestato servizio dal 1990 al 2012 presso la Casa circondariale di Rimini, poi presso quella di Ravenna ed infine era stato assegnato all’Ufficio esecuzione penale esterna di Rimini. Dopo la denuncia del 2009 era stato oggetto di una campagna denigratoria e "ciò aveva comportato un clima estremamente sfavorevole nel luogo di lavoro e aveva determinato nelle schede valutative sul rendimento, compilate nel triennio successivo, un giudizio di mediocre rendimento non suffragato da elementi oggettivi". Infatti i rapporti redatti dagli altri uffici, presso cui era stato trasferito, erano positivi. Impugnava il provvedimento di dispensa dal servizio del 28/02/14 proprio perché i rapporti attestanti lo scarso rendimento erano troppo generici, era stato leso il diritto alla difesa, non gli era stato comunicato l’avvio del giudizio ex art. 129 DPR 3/57 e perché erano venute meno le garanzie riconosciute ad un procedimento disciplinare, contestandone la natura di tale sanzione. Il Tar ha accolto le sue richieste ed annullato il provvedimento gravato, ma la PA potrebbe reiterarlo a seguito di una nuova approfondita e motivata istruttoria. L’istituto della dispensa per scarso rendimento. È caratterizzato da una forte discrezionalità mirante a sanzionare un comportamento contrario ai doveri d’ufficio, pur se la condotta censurata non rileva sul piano disciplinare. Si applica anche alle categorie non contrattualizzate come gli appartenenti alla Polizia penitenziaria. Ciò è meglio esplicato dal CDS 2162/12 che sancisce un orientamento condiviso e maggioritario sul punto: "inoltre, l’art. 131 del medesimo D.Lgs. n. 443 del 1992 dispone, con clausola di ordine generale, che per quanto in esso non previsto "al personale del Corpo di Polizia Penitenziaria si applicano, in quanto compatibili, le norme relative agli impiegati civili dello Stato". In conseguenza di ciò, quindi, anche nei confronti del personale della Polizia penitenziaria la dispensa per scarso rendimento di cui all’art. 129 del T.U. 3 del 1957 si configura quale istituto di diretta ed autonoma applicazione, costitutivo di principi generali validi per tutto il pubblico impiego (cfr. sul punto Cons. Stato, Sez. IV, 18 marzo 2009 n. 1596) ed essenzialmente applicabile alle ipotesi in cui la continuazione del rapporto di servizio risulti impossibile sulla base di una valutazione oggettiva e globale della condotta lavorativa del dipendente, se raffrontata con la condotta che il rapporto di servizio medesimo viceversa impone. Tali intrinseche caratteristiche dell’istituto medesimo inducono pertanto ad escludere recisamente che esso sia caratterizzato da un’applicazione meramente residuale, e pertanto possibile nelle sole ipotesi nelle quali non possano trovare applicazione istituti di differente natura, in primis l’irrogazione delle sanzioni disciplinari. In tal senso, infatti, la dispensa dal servizio per scarso rendimento risponde innanzitutto all’esigenza di tutelare la funzionalità e l’assetto organizzativo della pubblica amministrazione nei riguardi del comportamento del dipendente, che, complessivamente, denoti insufficiente rendimento dell’attività da lui prestata, con riguardo all’insussistenza di risultati utili, per quantità e qualità, alla funzionalità dell’ufficio, ed ha pertanto natura diversa da quella disciplinare, potendo tuttavia basarsi anche su fatti disciplinarmente rilevanti (indipendentemente dall’esito del relativo procedimento) e idonei ad apprezzare la scadente attività lavorativa e lo stesso comportamento". I provvedimenti che influiscono sul rapporto lavorativo vanno sempre motivati. Il Tar, alla luce di ciò e poiché la decisa cessazione del rapporto è analoga alla massima sanzione disciplinare (la destituzione), chiarisce che quanto influisce su tale rapporto, pur non essendo attinente all’ambito disciplinare, come nella fattispecie, debba essere adeguatamente motivato. Nel nostro caso infatti rileva la sospetta coincidenza che il presunto scarso rendimento coincida col periodo successivo alla denuncia del suicidio in carcere, ma non è suffragato da alcun documento, dato che i successivi rapporti attestano come sia tornato positivo una volta allontanato da un ambiente lavorativo che gli era divenuto ostile. La soluzione proposta dal Tar. Ha annullato il provvedimento perché fondato su ragioni astratte e generiche, indice di eccesso di potere e manifesta infondatezza. Ora la PA se lo riterrà opportuno potrà reiterarlo, ma solo a seguito di un’accurata istruttoria da cui emergano effettivi e concreti giudizi negativi, "poiché la motivazione non può mai essere apparente e risolta con clausole di stile non giustificate da fatti concreti, soprattutto quando è in gioco il destino professionale di un pubblico dipendente". Giustizia: inchiesta Mose; per Renato Chisso condizioni salute compatibili con il carcere di Maurizio Dianese Il Gazzettino, 3 ottobre 2014 Anche i periti medici dei Gip non ritengono incompatibili con la prigione le sue condizioni di salute. Renato Chisso resta in carcere. Fino a Natale, come minimo. "Esaminate le condizioni cliniche attuali del detenuto ed esaminate nel dettaglio le risorse sanitarie complessive della struttura carceraria di Pisa, si ritiene che il signor Chisso Renato possa proseguire la detenzione preso la sede ove è attualmente ristretto". Questo scrivono i periti nominati dal Gip Roberta Marchìori. Dunque, il terzo team di medici messo in campo per giudicare le condizioni di salute di Chisso si schiera con ì periti della Procura i quali avevano giudicato il carcere "compatibile" con le condizioni di salute dell’ex assessore regionale alle Infrastrutture. E adesso il ritorno a casa per motivi di salute di Chisso è appeso ad un corsivo. Il termine attuali, riferito alle sue condizioni cliniche, testimonia infatti che i periti oggi non hanno dubbi, domani si vedrà. Ma che cosa può succedere domani? I periti della Difesa possono presentare i loro rilievi e l’avv. Antonio Forza ha allegato alle sue richieste una relazione firmata dal primario di Cardiologia dell’ospedale dell’Angelo che ha curato Chisso a settembre 2013 in seguito ad un infarto. Ebbene, secondo il dottor Fausto Rigo, Chisso ha bisogno subito dì una coronografia per impiantare un paio di stent ed aprire una arteria che si sta chiudendo. Secondo il dottor Antonello Cirnelli - perito della Procura -invece la coronografia non è urgente. In ogni caso, che sia urgente o meno, Chisso può essere operato a Pisa. Non hanno dubbi, infatti, ì periti nominati dal Gip: a Pisa c’è tutto quello che gli può servire, anche in caso dì infarto. Scrivono infatti Silvia Tambuscio, Davide Roncali e Paolo Ius, che a Pisa sono a disposizione: "Le risorse cliniche e terapeutiche di cui necessita abitualmente il paziente; 2 - le adeguate risorse di monitoraggio sanitario, sia cardiologico che psicopatologico, rispetto ad eventuali variazioni gradualmente peggiorative dello stato dì salute; le risorse cliniche utili a gestire eventuali condizioni peggiorative acute sia che richiedano l’eventuale spostamento temporaneo del detenuto presso il Centro clinico carcerario della medesima Casa circondariale, sia che richiedano il suo eventuale trasferimento presso una struttura sanitaria esterna, tra le varie strutture viciniore a disposizione presso la città di Pisa". Insomma, secondo i medici nominati dal Gip il carcere di Pisa è super attrezzato per qualsiasi emergenza. E dunque la Procura di Venezia lo ha scelto con attenzione, proprio prevedendo la richiesta di arresti domiciliari per motivi dì salute. Dunque, per Renato Chisso si profila un futuro tutt’altro che breve dietro le sbarre. Se la libertà - come ormai pare certo, leggendo la relazione dei periti del Gip - non verrà concessa per motivi sanitari, infatti, all’avvocato difensore di Chisso, Antonio Forza, non resta che la strada maestra del processo, quando in aula si confronteranno le prove raccolte dalla Procura con quelle a discarico che sta preparando ormai da mesi la difesa e che, secondo Forza, sono in grado di smontare l’accusa rappresentata dalle dichiarazioni dì Giovanni Mazzacurati, di Piergiorgio Baita, di Claudia Minutillo e di Pierluigi Alessandri. Se ne riparla nel 2015. Giustizia: Celentano scrive al presidente Napolitano "concedi la grazia a Corona…" www.lanotiziagiornale.it, 3 ottobre 2014 Dopo l’appello lanciato da giornalisti e personaggi televisivi, anche Adriano Celentano si è unito alla richiesta al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano affinché conceda la grazia al "re dei paparazzi" Fabrizio Corona, detenuto nel carcere di Opera, che peraltro oggi è stato prosciolto in appello a Milano dall’accusa di omessa dichiarazione dei redditi. "Caro Presidente Napolitano, mi scusi, se con tutti i grattacapi che immagino lei abbia, anch’io m’accodo con una richiesta di grazia per Fabrizio Corona", si legge in una lettera aperta al Capo dello Stato pubblicata dal molleggiato sul suo blog. "Certo, lui ha sbagliato, quando si è giovani è facile farsi prendere dalla voglia di arrivismo, anch’io ne sono stato più volte sfiorato - prosegue Celentano -, e forse è proprio perché anch’io devo aver sbagliato che le chiedo, solo per pochi attimi, di calarsi nella sofferenza di chi sta pagando anche con la salute un prezzo spropositato rispetto agli errori commessi". Corona, in carcere dal gennaio 2013, dopo altri periodi di detenzione, è attualmente recluso nel penitenziario di massima sicurezza di Opera, in provincia di Milano, dopo una condanna definitiva a 13 anni e 2 mesi di reclusione, poi ridotta a 9 anni dal Tribunale del capoluogo lombardo, per diversi reati. Tra questi frode fiscale e bancarotta fraudolenta, per il fallimento della sua agenzia fotografica nel 2009. Poi i cosiddetti "fotoricatti" a vip paparazzati dalla sua agenzia, tra cui l’ex calciatore interista Adriano; il possesso di 1.500 euro in banconote false; la corruzione di un agente penitenziario per farsi scattare alcune fotografie in cella e, in particolare, l’estorsione all’ex attaccante della Juventus David Trezeguet, per la quale ha preso 5 anni di reclusione. Oggi è arrivata, però, una notizia positiva per il fotografo dei vip, con il proscioglimento in appello dall’accusa di omessa dichiarazione dei redditi ottenuto dalla difesa grazie a un difetto di procedura nell’estradizione dal Portogallo. Il collegio della seconda corte d’appello di Milano, presieduto da Flavio Lapertosa, ha emesso infatti una sentenza di non luogo a procedere "per difetto di estradizione" accogliendo la richiesta del legale di Corona, l’avvocato Ivano Chiesa. Il sostituto pg Sandro Celletti aveva chiesto la conferma della condanna, sottolineando nella sua requisitoria che la pena inflitta in primo grado era "assolutamente congrua". Secondo la tesi del difensore di Corona, estradato dal Portogallo nel gennaio 2013 in seguito alla condanna per estorsione ai danni di Trezeguet, sarebbe stato violato invece il "principio di specialità" stabilito dall’articolo 14 della Convenzione europea di estradizione. Principio che in sostanza vieta di procedere nei confronti dell’estradato per fatti anteriori o diversi da quelli per i quali è stata concessa l’estradizione, come in questo caso l’omessa dichiarazione dei redditi, che sarebbe avvenuta negli anni precedenti alla sentenza per il caso Trezeguet. E che non era riportata negli atti sull’estradizione a differenza di altri procedimenti a suo carico. "Questa sentenza - ha spiegato l’avvocato Chiesa - elimina una condanna pronunciata per un reato fiscale inesistente". Nel giugno scorso Corona era stato assolto in primo grado dal Tribunale di Milano anche dall’accusa di una presunta evasione fiscale da un milione e 300mila euro compiuta tra il 2007 e il 2008 nell’ambito delle attività della sua agenzia. Il suo legale, ora, si prepara ad avviare l’iter per la richiesta di grazia, che nonostante gli appelli non è ancora stata avanzata formalmente. "A ben guardare Corona - scrive Celentano nella sua lettera aperta - non ha fatto né più né meno ciò che fanno tutti quelli che chiamano "paparazzi". Campania: malasanità nelle carceri campane, sit-in e manifestazioni dei Radicali www.napolitoday.it, 3 ottobre 2014 Venerdì 3 ottobre a partire dalle ore 10.00 una delegazione di militanti dell'Associazione Radicale PerLaGrandeNapoli insieme ai familiari di cittadini detenuti sarà presente all'esterno del Penitenziario di Secondigliano. Interverrà anche la sig.ra Anna Belledonna, moglie di Fabio Ferrara, il cittadino detenuto nel Penitenziario di Secondigliano che vive su una a rotelle e necessita di un urgente intervento chirurgico per una infezione alla vescica. Analogo presidio si terrà lunedì 6 attobre a partire dalle ore 09.00 all'esterno della Casa Circondariale di Poggioreale. Alla manifestazione interverrà il Consigliere Regionale Corrado Gabriele. Piemonte: settimana di eventi in carceri, incontri a Torino e Saluzzo, mercatino ad Alba Ansa, 3 ottobre 2014 È una settimana ricca di appuntamenti quella che attende le comunità carcerarie e il mondo del terzo settore in Piemonte. Da venerdì a domenica la Castiglia di Saluzzo (Cuneo) ospita il programma di formazione dell’associazione Antigone, che presenterà i risultati del lavoro svolto dall’Osservatorio europeo sulle carceri. Domenica 5 ad Alba (Cuneo), in piazza Pertinace, si svolge la quarta edizione del mercatino dei prodotti dal carcere e dai terreni confiscati alla mafia "Valelapena!". Mercoledì 8 la Casa di Carità Arti e Mestieri celebra i 40 anni di attività nella formazione professionale per i detenuti con un incontro al museo del carcere "Le Nuove" di Torino. A Torino è in calendario anche la cena per il decennale della cooperativa Pausa Cafè, che si terrà lunedì 20 ottobre presso la casa circondariale Lorusso e Cotugno. "C’è un modello Piemonte nella gestione delle carceri, un’eccellenza che va difesa e sostenuta malgrado le difficoltà" ha commentato il garante regionale dei diritti dei detenuti, Bruno Mellano, presentando oggi l’iniziativa in Consiglio regionale. Prato: accordo tra Asl e carcere per la prevenzione del suicidio tra i detenuti di Giovanni Ciattini Il Tirreno, 3 ottobre 2014 Secondo il sindacato Uil-Pa nel 2013 i tentati suicidi nei penitenziari toscani sono stati 161, di questi 43 a Prato. E sempre nel carcere della Dogaia negli ultimi tre anni si sono suicidati tre detenuti. In Italia, fino al settembre 2014, i suicidi in carcere sono stati 31 (fonte il dossier "Morire di carcere" presente sul sito www.ristretti.it). Una piaga che la Regione Toscana a partire dal 2011 ha cercato di estirpare avviando un progetto per la prevenzione dei suicidi. Nell’ultimo anno questo progetto è stato concretamente sperimentato a Prato grazie all’accordo tra l’Asl 4 e la direzione del penitenziario. Nei prossimi giorni la sperimentazione verrà tradotta in un protocollo ufficiale che verrà siglato dal direttore generale dell’Asl 4 Edoardo Majno e il direttore dell’istituto penitenziario di Prato Vincenzo Tedeschi. A spiegare i contenuti di questo piano è la dottoressa Antonella Manfredi referente della salute in carcere per l’Asl, mentre il coordinatore del progetto è il dottor Lorenzo Bonamassa. "Il penitenziario di Prato è il secondo della Toscana - spiega la dottoressa Manfredi - i detenuti sono 715. All’interno di questa comunità cerchiamo di individuare i soggetti a rischio suicidio, in genere si tratta di persone con disturbi mentali, alcol-tossicodipendenti o semplicemente diventate molto fragili a causa della situazione in cui si sono venute a trovare. Un arresto, la condanna in un processo o a volte anche il trasferimento da un carcere all’altro si trasforma in uno stress che ha pesanti ripercussioni sulla psiche della persona. Il progetto prevede che ogni detenuto al suo ingresso nel penitenziario sia ricevuto dal medico di guardia che lo visita per conoscere la sua condizione fisica e psicologica. Viene già fissato durante questo primo incontro un colloquio con lo psicologo. Nei casi necessari l’incontro potrà essere con uno psichiatra. Ricordo che al penitenziario della Dogaia sia mattina che pomeriggio sono sempre presenti sia uno psicologo che uno psichiatra". La dottoressa Manfredi sottolinea un altro aspetto giudicato fondamentale: la collaborazione degli agenti penitenziari. "Oltre al rapporto col personale medico - chiarisce - il detenuto interagisce quotidianamente con gli agenti penitenziari. Sono loro che possono raccogliere le confidenze, le paure, i momenti di scoramento dei detenuti magari anche per notizie provenienti da fuori del carcere. Ecco quindi che riuscire a comprendere il prima possibile il formarsi di una situazione di grave disagio può essere per noi utile nel l’intervenire in tempo avvicinando il soggetto e cercando di aiutarlo a superare la fase critica che sta attraversando". Un’attenzione particolare viene rivolta alle persone alcol-tossicodipendenti che possono trovarsi in difficoltà a causa delle crisi di astinenza. A loro disposizione, tutte le mattine, c’è un tossicologo". Tra i fattori di stress che possono spingere le persone detenute a tentare il suicidio ha un ruolo importante il sovraffollamento: a fronte di una capienza regolare di 420 detenuti alla Dogaia oggi ve ne sono 715. Il che fa immaginare quali problemi di convivenza, in spazi già angusti, si possano creare fra i detenuti. Padova: condannata medico del carcere, non riconobbe sintomi d’infarto e detenuto morì Corriere della Sera, 3 ottobre 2014 Un anno di reclusione per la morte di un 37enne vicentino. La dottoressa D’Agnese aveva scambiato il malessere del detenuto per un mal di pancia. Orizia D’Agnese, medico del carcere Due Palazzi di Padova, è stata condannata ad un anno di reclusione per la morte di Federico Rigolon, 37enne di Montecchio Vicentino, spirato nella sua cella il pomeriggio del 17 aprile 2011. Secondo il pm Orietta Canova, che aveva chiesto una condanna a due anni, la dottoressa (difesa dal penalista Lorenzo Locatelli) non aveva riconosciuto i sintomi di un infarto, scambiandoli per quelli di un banalissimo mal di pancia sottoponendo così il 37enne a una serie di cure farmacologiche del tutto inefficaci. Stando alle tesi dell’accusa sarebbe bastato un elettrocardiogramma per evidenziare l’infarto già in atto e dare il via a delle cure che - scrive il pm nell’imputazione - "con elevata probabilità" avrebbero "evitato il decesso". I primi sintomi Rigolon li aveva accusati sabato 16 aprile: dopo la visita nell’infermeria del penitenziario era stato sottoposto a una terapia farmacologica "da patologia gastrica" senza alcun beneficio. Poi era stato nuovamente visitato alle 7.45 e alle 11.40 di domenica mattina. Sempre "dimesso" con terapia antibiotica e una diagnosi da mal di pancia. Alcune ore dopo le guardie carcerarie lo avevano trovato senza vita nella propria cella. Milano: picchiarono a morte un clochard, 12 anni di carcere per due agenti della Polfer di Luca Fiore www.contropiano.org, 3 ottobre 2014 La Cassazione ha confermato le condanne a 12 anni di carcere per omicidio preterintenzionale a due agenti della Polfer di Milano che, il 6 settembre del 2008, picchiarono fino ad ucciderlo Giuseppe Turrisi, un senzatetto. "Fu un pestaggio selvaggio". Con questa motivazione la Corte di Cassazione ha sentenziato ieri la conferma delle condanne a 12 anni di carcere per omicidio preterintenzionale già inflitte nel processo di appello a due agenti della Polfer di Milano che, il 6 settembre del 2008, picchiarono fino ad ucciderlo Giuseppe Turrisi, un senzatetto che dormiva all’interno della stazione Centrale del capoluogo lombardo. Al termine del processo di primo grado i due agenti della Polfer responsabili del pestaggio, Emiliano D’Aguanno e Domenico Romitaggio, erano stati condannati a pene più lievi: il primo a 10 anni di reclusione per omicidio preterintenzionale, il secondo solo a tre anni per falso. In secondo grado, invece, la Corte d’Assise d’appello ha inasprito le pene e ha giudicato responsabile dell’omicidio anche Domenico Romitaggio. Ieri la quinta sezione penale della Cassazione ha confermato il verdetto emesso dalla Corte di Assise di Appello di Milano il 29 gennaio del 2013. La vittima fu fermata dai due poliziotti e condotta all’interno della sede della Polizia Ferroviaria nello scalo ferroviario di Milano, dove fu pestata ripetutamente dagli agenti, per poi morire poco dopo in ospedale. Secondo la ricostruzione degli inquirenti mortale fu "un calcio al costato sferrato con gli anfibi che gli ha provocato emorragie interne" e la rottura della milza, ha ricordato il Sostituto Procuratore generale della Cassazione Pasquale Fimiani. "Esiste un fotogramma che inquadra il povero Turrisi mentre entra, vivo e con i suoi piedi, nell’ufficio della Polfer dal quale uscirà portato via in ambulanza" ha detto ancora Fimiani che nel corso della sua requisitoria aveva chiesto il rigetto del ricorso presentato dai due condannati. I due poliziotti sono stati anche condannati dalla Suprema Corte a pagare le spese processuali e a risarcire con 4mila euro i difensori della parte civile. Roma: Marroni e Minnucci (Pd); interrogazione su mancate cure a detenuto di Rebibbia Tm News, 3 ottobre 2014 Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. Per sapere, premesso che: il Garante dei diritti delle persone private della libertà personale della regione Lazio, avvocato Angiolo Marroni, ha denunciato la vicenda del detenuto Claudio B. il quale, il 21 aprile 2014 detenuto a Rebibbia, cade in carcere e viene subito ricoverato nel reparto protetto dell’ospedale "Pertini" con una diagnosi di "Plegia arto superiore dx ed arti inferiori bilateralmente associata ad alterazioni del visus e a deficit campo visivo in occhio dx insorte dopo trauma da caduta"; nel dimettere il paziente i medici hanno scritto che, oltre ad un costante monitoraggio neurologico, ha bisogno di eseguire cicli di fisiokinesiterapia (Fkt). Il 13 giugno il detenuto è stato trasferito al centro clinico di Regina Coeli dove però non esiste la possibilità di effettuare quella fisioterapia; i sanitari di Regina Coeli hanno subito segnalato al provveditorato regionale del Lazio e all’autorità giudiziaria competente che la struttura non dispone né di servizio di Fkt né di specialista neurologo e che il paziente è in gravissimo rischio "Quoad Valetitudinem" oltre che "Quoad Vitam" e pertanto hanno chiesto il trasferimento del B. in una struttura ove possano essere soddisfatte le condizioni di cui sopra; il 7 luglio 2014, dopo le segnalazioni dei medici di Regina Coeli, il provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria ha disposto l’assegnazione dell’uomo nel carcere di Velletri dove in effetti è presente un servizio di Fkt; il trasferimento effettivo però, per qualche motivo, non è avvenuto e soltanto il 20 settembre, dopo il pressante e reiterato intervento del Garante, viene inviato finalmente in ambulanza a Velletri dove però i medici del carcere non lo accettano ritenendo non gestibili le sue condizioni cliniche. Il B. è stato quindi riportato, sempre in ambulanza, a Regina Coeli il giorno stesso; il detenuto è quindi a tutt’oggi ristretto a Regina Coeli: quali iniziative si intendano intraprendere per consentire l’immediato invio del detenuto in una struttura carceraria appropriata, per le sue condizioni cliniche; per quale motivo il detenuto non sia stato tradotto immediatamente in una struttura carceraria idonea, nel Lazio o altrove, a soddisfare le prescrizioni mediche rilasciate dai sanitari all’atto della dimissione; se e in che modo si intenda intervenire per risolvere le gravi incongruenze emerse nel processo decisionale di assegnazione dei detenuti; se e in che modo si intenda intervenire al fine di consentire una più efficace comunicazione tra le due amministrazioni, quella Penitenziaria e quella Sanitaria, in grado di scongiurare in futuro il ripetersi di casi analoghi. Cagliari: Sdr; trasferito da Buoncammino a Parma il detenuto apolide con grave anemia Ristretti Orizzonti, 3 ottobre 2014 "Si è finalmente risolta positivamente la vicenda del detenuto nepalese apolide con una grave forma di anemia. Affetto dalla sindrome di Asperger, una forma di autismo, l’uomo, condannato all’ergastolo, è stato trasferito nel carcere di Parma, dotato di un Centro Clinico maggiormente adeguato alle necessità di persone con disabilità. Il trasferimento, disposto dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, consentirà di sottoporre il detenuto a una serie di esami, approfondimenti sanitari e terapie anche per scoprire le cause dell’anemia". Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione "Socialismo Diritti Riforme", che più volte aveva posto l’accento sulla necessità di assegnare R.A., peraltro in regime di Alta Sicurezza, a una struttura meglio attrezzata per far fronte alle diverse problematiche. "R.A. che ha lasciato la Sardegna con la nave da Porto Torres, ha raggiunto Genova in ambulanza scortato da quattro Agenti e accompagnato da un medico. Un lungo percorso - sottolinea Caligaris - per una destinazione nella quale fruirà di un costante monitoraggio e potrà effettuare colloqui con i familiari. R.A. era tornato a Buoncammino all’inizio di giugno dopo un essere stato ristretto a Milano Opera. Il suo ritorno aveva destato forti perplessità nel Dirigente Sanitario del Centro Clinico Antonio Piras in considerazione delle carenze strutturali di una Casa Circondariale ottocentesca e da mesi in fase di dismissione". "Il prevalere del buon senso da parte del Dap - conclude la presidente di Sdr - fa ritenere che ci sia la seria volontà di prendere in considerazione la condizione del detenuto-paziente e di promuovere con una forte azione di umanizzazione della pena un indispensabile percorso riabilitativo imprescindibile in presenza di disturbi comportamentali e relazionali". Caltanissetta: protestano gli agenti "chiediamo di poter lavorare in condizioni più umane" di Marcella Geraci La Sicilia, 3 ottobre 2014 "Protestiamo per lavorare in condizioni più umane" dicono gli agenti del carcere Malaspina. Difficoltà per i 186 agenti in servizio nella Casa circondariale nissena quando il numero ottimale dovrebbe prevederne 206, a fronte di una popolazione carceraria, numeri ufficiali, di 250 persone in una struttura che può ospitarne fino a 230. Lo sfogo degli agenti segue la polemica culminata con la risposta del coordinatore F. P. Cgil Paolo Anzaldi al direttore della struttura Angelo Belfiore. Il direttore aveva infatti replicato alle dirigenti della Funzione Pubblica Cgil Giovanna Caruso e Rosanna Moncada che avevano usato toni aspri. Ma il problema principale resta quello relativo alla carenza di personale, situazione che comporta anche rischi per chi lavora. Adesso alcuni agenti lamentano condizioni di lavoro ai limiti della dignità e problemi che si sommerebbero al disagio vissuto dai detenuti in un carcere che nuovo non è, anche se negli ultimi anni sono stati effettuati lavori di ristrutturazione. Disagi manifestati anche da chi è incaricato di controllare i familiari dei detenuti prima dei colloqui, problemi che per fortuna non hanno fatto registrare casi gravi. "Di recente però un collega è finito in ospedale col timpano rotto e le aggressioni nei confronti di noi agenti costituiscono un problema reale" sottolinea un agente a proposito del lavoro nei reparti dei detenuti comuni, di quelli ospitati nel reparto "alta sicurezza" e dei collaboratori di giustizia. "Mancano gli agenti che fanno servizio ai piani e il rischio al quale sono sottoposto, come tutti i miei colleghi, è aumentato notevolmente" continua un agente penitenziario pensando anche ad un’età media degli agenti di 49 anni. "Questo stato di cose comporta rischi anche per i detenuti, visto che non vi sono agenti a sufficienza per intervenire prontamente quando le circostanze lo richiedano. Ad inasprire la situazione si aggiungono i turni di lavoro prolungato, l’impianto antincendio da tempo danneggiato, le figure professionali e le condizioni per la socialità dei detenuti che mancano e le risorse, finanziarie e lavorative, utilizzate male. In questa situazione cerchiamo di prevenire o evitare episodi di autolesionismo, fronteggiare chi da in escandescenze e garantire lo stato di diritto. Per il bene di tutti, però, le cose devono cambiare". Rimini: caos al carcere di Casetti, aggrediti due agenti e autolesionismo tra i detenuti www.libertas.sm, 3 ottobre 2014 Ieri pomeriggio due agenti di Polizia penitenziaria del carcere di Rimini sono stati costretti a ricorrere alle cure mediche, dopo essere stati aggrediti da un detenuto che tentava di divincolarsi. Tutto è nato da una colluttazione tra due reclusi, secondo la ricostruzione del segretario generale aggiunto del Sappe, Giovanni Battista Durante. Gli agenti hanno notato un detenuto che, visibilmente agitato, perdeva molto sangue in seguito a un pestaggio da parte del suo compagno di cella. Quando si sono avvicinati, questi li ha aggrediti. Nello stesso momento, un altro detenuto, tossicodipendente, si è provocato delle lesioni tagliandosi in più parti del corpo perché, a suo dire, non avrebbe ricevuto la terapia prevista. Il referto del medico del carcere per i due agenti è una prognosi di cinque e sette giorni. "Le aggressioni ai danni degli agenti, i ferimenti e i gesti di autolesionismo sono sempre più frequenti - scrive in una nota Durante. Sarebbe opportuno inviare al più presto un direttore in pianta stabile, considerato che il direttore in missione non riesce a rispondere alle effettive esigenze del personale e della popolazione carceraria". Torino: Premio Nonviolenza 2014 di Greenpeace al "Kaki Tree Project" di Vallette Ansa, 3 ottobre 2014 C’è anche l’Asl To 2 tra i vincitori del premio della Nonviolenza 2014. Il riconoscimento viene assegnato oggi a Roma dalle organizzazioni internazionali Greenpeace e Mondo senza guerre e senza violenza. L’Asl To 2 - Servizio Dipendenze Area Penale del Dipartimento Dipendenze 1 - vince nella sezione Action Progetti per la realizzazione del "Kaki Tree Project" e la relativa piantumazione del "kaki di Nagasaki", all’interno della comunità per tossicodipendenti "Arcobaleno" del carcere torinese Lorusso e Cotugno. Il "Kaki Tree Project" è un progetto internazionale ideato in Giappone, utilizzando come veicolo simbolico il "kaki della pace di Nagasaki", pianta sopravvissuta all’esplosione del 9 agosto 1945. "Abbiamo interpretato questo progetto internazionale come un mezzo di conciliazione tra la realtà interna al carcere e il mondo esterno" spiega il dottor Enrico Teta, responsabile del Servizio Dipendenze Area Penale del Dipartimento Dipendenze 1 dell’Asl To 2. Imperia: Sappe; ritrovata droga in carcere… a quando il reparto cinofili antidroga? Comunicato stampa, 3 ottobre 2014 Non passa giorno che la Polizia Penitenziaria di Imperia non sia chiamato a fronteggiare le emergenze dell’istituto. È quanto dichiara Michele Lorenzo segretario regionale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe a commento dell’ennesimo episodio critico "questa notte alle ore 1 circa la Polizia Penitenziaria di Imperia scova addosso ad un arrestato condotto in carcere, circa 4 grammi di cocaina. La droga era abilmente occultata nel suo abbigliamento. Il sospetto è sorto quando l’arrestato all’atto della prevista perquisizione ha manifestato un atteggiamento nervoso che è stato colto dal personale, ormai abituato a questo tipo di atteggiamenti. Una perquisizione più approfondita ha consentito il ritrovamento della la sostanza stupefacente. Il test effettuato, utilizzando un particolare kit antidroga a disposizione della Polizia Penitenziaria, ha dato ragione sul tipo di sostanza: cocaina. L’arrestato, un cittadino del Marocco, davanti all’evidenza ha confessato e quindi per lui è scattata un’altra denuncia all’autorità giudiziaria. Il Sappe elogiando i colleghi afferma: dobbiamo essere grati alla Polizia Penitenziaria di Imperia che nonostante l’esiguo organico e senza strumenti, fronteggia i continui eventi critici che vanno dalle aggressioni al sequestro di sostanze stupefacenti, ad oggi sono più di 20 gli eventi critici che hanno interessato la Polizia Penitenziaria di Imperia. Alza pesantemente i toni il segretario Lorenzo Se ai nostri dirigenti generali non interessa la sicurezza degli istituti e a quello di Imperia in modo particolare, allora si facessero da parte e ben venga la chiusura del Provveditorato ligure. Lorenzo sollecita la costituzione del nucleo regionale cinofilo antidroga già operante in altre Regioni. Questo ci consentirebbe una maggiore attività di prevenzione in modo particolare nella fase di colloqui o nuovi ingressi. Imperia è una triste realtà in Liguria dove è particolarmente aumentata la movimentazione dei detenuti che superano i 200 movimenti in entrata dovuto alla chiusura del tribunale di Sanremo. Oggi sono 96 i detenuti presenti quando Imperia ne potrebbe ospitare 62, di questi 55 sono stranieri. Mentre la nota dolente è proprio l’organico dei poliziotti dopo che il Provveditorato ha spostato l’unico vide comandante lasciando scoperto il settore della sicurezza. Poi - conclude Lorenzo - non incolpassero il poliziotto di turno se accade l’imprevisto. Abbiamo chiesto l’intervento del Prefetto di Imperia quale garante dell’ordine e della sicurezza pubblica. Non è più il tempo delle attese e delle promesse su Imperia bisogna intervenire e con urgenza. Lecce: presentazione del progetto "Danza per la Comunità" presso la Casa Circondariale www.portadimare.it, 3 ottobre 2014 Venerdì 3 ottobre p.v. alle ore 15, presso la Casa Circondariale Borgo San Nicola di Lecce, si svolgerà la presentazione del progetto "Danza per la Comunità", promosso dalla Commissione Cittadina per le Pari Opportunità - Città di Nardò, alla presenza del Sindaco del Comune di Nardò, Avv. Marcello Risi, della responsabile del progetto, Dr.ssa Chiara Dollorenzo, delle detenute volontarie partecipanti al progetto, dei responsabili dell’istituto di pena e del Presidente della citata Commissione, Vito Berti. Dopo la positiva esperienza dello scorso anno, vissuta dai detenuti della sezione maschile del Carcere di Lecce, la Cpo di Nardò intende offrire quest’anno, a 20 detenute della sezione femminile, (indicate dalla direzione) la possibilità di vivere la stessa esaltante esperienza che si ritiene possa rappresentare un importante momento di crescita interiore e di svago, considerando anche la difficile situazione nella quale le destinatarie del progetto sono costrette a vivere, peraltro in una realtà carceraria sempre più degradata a causa del sovraffollamento. La "Danza per la comunità" nasce in Inghilterra intorno agli anni sessanta dalla volontà di riportare la danza nel sociale, renderla accessibile a persone di ogni età, vissuto e posizione sociale con il fine di integrare le fasce sociali più svantaggiate attraverso la gioia nello stare insieme e la magia del movimento del corpo. Il 31 ottobre p.v., le partecipanti al progetto eseguiranno, nel teatro realizzato all’interno del carcere, una coreografia acquisita dopo una intensa preparazione durata circa un mese. A tale performance chiunque potrà assistere gratuitamente previo invio dei dati anagrafici, entro e non oltre il 10.10.14, (cognome e nome, luogo e data di nascita, residenza) per la concessione del nullaosta rilasciato dalla Direzione della Casa Circondariale. Lanciano (Ch): "Mettiamoci in gioco", in carcere progetto per una squadra di calcio a 5 Ansa, 3 ottobre 2014 Squadra di calcio in carcere progetto innovativo nazionale alla Casa Circondariale di Lanciano col progetto "Mettiamoci in gioco". L’iniziativa, che sarà presentata l’8 ottobre, ore 11, al teatro del supercarcere di Lanciano, nasce dalla collaborazione con il Comitato Regionale Abruzzo Figc-Lnd, la Federazione dilettanti di calcio, che prevede la costituzione di una associazione sportiva dilettantistica e di una squadra di detenuti per la partecipazione al campionato provinciale di Calcio a 5, a partire dall’attuale stagione sportiva 2014/15. Il progetto, fortemente appoggiato dalla Lega Nazionale Dilettanti - Divisione Calcio a 5 e dal Ministero della Giustizia - Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, nasce dall’idea di utilizzare lo sport come elemento importante nel trattamento rieducativo del detenuto e di prevenzione della recidiva, nonché strumento di reinserimento sociale. Il progetto, unico nel suo genere e per questo destinato ad avere una vasta eco all’ interno del network calcistico, ha lo scopo di avviare un’attività che, oltre a fornire una valida occasione di svago ed aggregazione, trasmetta valori fondamentali nel processo di crescita personale e sociale del detenuto, come ad esempio il fair-play, il rispetto delle regole, la partecipazione di tutti ad un obiettivo comune, il lavoro di squadra, l’accettazione dei limiti, il saper perdere e la lealtà nei confronti dell’avversario. L’attività sportiva si pone l’arduo e ambizioso compito di guidare i detenuti verso un percorso basato sulla condivisione di valori sani che permetterà loro di riscattarsi; impegno, correttezza, consapevolezza, capacità di relazionarsi con l’altro e rispettarlo. Il progetto riveste una grande importanza anche per le Società Sportive, in quanto permette loro di vivere un’esperienza umana, educativa e di aiuto al prossimo unica nel suo genere. Il progetto e la squadra di calcio dei detenuti saranno presentati mercoledì prossimo, presenti l’assessore regionale Silvio Paolucci, il sindaco Mario Pupillo, il Presidente Nazionale della Divisione di Calcio a 5, Fabrizio Tonelli, il Presidente Regionale Figc-Lnd - Daniele Ortolano e il Presidente Regionale del Coni Enzo Imbastaro. Trapani: donazione degli avvocati al carcere, artista detenuto può ultimare i murales www.tp24.it, 3 ottobre 2014 Grazie ad una donazione in denaro, fatta dall’Ordine degli Avvocati di Trapani in favore delle attività dei detenuti, l’artista detenuto Pietro Rasa ha potuto finalmente ultimare alcuni murales. Due rappresentano vecchie glorie del calcio Tanino Troja ex centravanti degli anni ‘70 del Palermo e Giuseppe Busetta, trapanese, bandiera del Ligny degli anni 80. Un altro murales è stato realizzato all’interno dell’Area Verde intestata ai fratellini Asta e rappresenta gli stessi unitamente alla mamma Barbara Rizzo, assassinati dalla Mafia nella strage di Pizzolungo. Infine, presso la Sala teatro è stato realizzato un murales raffigurante la Madonna di Trapani. Sono stati anche acquistati dei palloni di calcio e realizzati attrezzi da palestra per permettere ai detenuti di praticare attività fisica all’aperto. "Un ringraziamento va all’ordine degli avvocati di Trapani, dichiara il Comandante di Reparto Commissario Giuseppe Romano,che ancora una volta si è dimostrato sensibile alle problematiche dei detenuti, sponsorizzando tali lavori e consentendo alla direzione di acquistare generi di conforto per gli stessi". Immigrazione: Garante dei detenuti del Lazio ricorda anniversario strage di Lampedusa Il Velino, 3 ottobre 2014 "Secondo i dati diffusi dall’Organizzazione internazionale dei migranti, dal Duemila ad oggi oltre 22 mila migranti hanno perso la vita nel Mediterraneo, cercando di raggiungere le coste europee. Io credo sia importante diffondere questi numeri fra l’opinione pubblica ad un anno di distanza dai drammatici verificatisi a Lampedusa". Lo dichiara in una nota il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni in occasione dell’anniversario della strage di Lampedusa, quando circa 400 migranti perirono nel naufragio del barcone con cui cercavano di raggiungere le coste italiane. I dati diffusi il 29 settembre dall’Organizzazione internazionale dei migranti (Oim) nel rapporto "Fatal Journeys: Tracking lives lost during Migration" evidenziano come l’Europa rappresenti la destinazione più pericolosa da raggiungere per i migranti privi di un regolare visto d’ingresso. "La ricorrenza di oggi - ha aggiunto Marroni - pone con forza la necessità di rivedere le politiche italiane e comunitarie sull’accoglienza, sull’integrazione e, alla luce della delicata situazione geopolitica internazionale, sul tema del diritto d’asilo. La mancanza di una legge organica su quest’ultimo aspetto fa sì che il riconoscimento di tale diritto previsto dalla nostra Costituzione, sia ancora parzialmente lasciato nelle mani della discrezionalità amministrativa". Gli effetti di tale lacuna normativa sono evidenti in alcune delle storie raccolte dai collaboratori del Garante all’interno del Centro di identificazione ed espulsione (Cie) di Ponte Galeria. È il caso della vicenda di A.P., una nigeriana trasferita nella struttura nonostante fosse nelle more del ricorso contro il diniego della protezione internazionale e successivamente rilasciata dopo l’intervento del Garante presso l’Ufficio immigrazione della questura di Roma. In base alla legislazione vigente (art. 19 D.Lgs 150/2011), infatti, l’impugnazione dei provvedimenti di diniego alla protezione internazionale comporta una generale efficacia sospensiva. In altre parole, la donna non doveva essere considerata irregolare né tantomeno trasferita nel Cie fino alla definitiva conclusione del procedimento di richiesta d’asilo davanti al Tribunale. "Una storia - ha concluso il Garante - che è l’emblema di quanto sia difficile, per gli stranieri, vedersi riconosciute le garanzie costituzionali". Immigrazione: il sistema nazionale anti-tratta rischia di essere smantellato di Gianpiero Dalla Zuanna Europa, 3 ottobre 2014 L’intensificarsi degli sbarchi di immigrati sulle nostre coste e le tragedie che si stanno consumando nel Mediterraneo richiamano l’attenzione dell’opinione pubblica sul traffico di esseri umani, pur sovrapponendo - talvolta in maniera distorta e strumentale - protezione internazionale, favoreggiamento dell’immigrazione illegale e tratta. Si moltiplicano le richieste di intervento sul fronte della repressione e, negli ambienti più illuminati, della prevenzione negli stessi paesi di origine e di transito. Eppure, il sistema nazionale anti-tratta - modello di riferimento europeo per la protezione e l’accoglienza delle vittime di tale odioso crimine - rischia di essere smantellato, sia per la progressiva sottrazione di risorse economiche causata dalla crisi, sia per la mancanza di un concreto investimento da parte del governo. Infatti, nonostante il recepimento delle direttive europee da parte del parlamento, l’esecutivo non ha ancora approvato il nuovo Piano nazionale anti-tratta. L’intero sistema di interventi e servizi locali viene quindi messo in discussione, per l’assenza di regia a livello centrale. L’efficace collaborazione tra istituzioni (Dipartimento delle pari opportunità, enti locali e forze dell’ordine, in primis) e organismi del terzo settore rischia di dissolversi. Sarebbe un delitto, perché nel corso degli anni l’Italia ha sviluppato un sistema di contrasto alla tratta di assoluta eccellenza, spesso imitato da altri paesi, sperimentando e consolidando un corpus di metodologie di intervento, know how e competenze professionali. Un sistema che attraverso i suoi programmi di assistenza a breve termine (art. 13 della l. 228/2003) e a lungo termine (art. 18 del d.lgs. 286/98), con costi bassissimi, dal 2000 a oggi ha sottratto alla tratta sessuale, lavorativa, per accattonaggio e inserimento coatto in altre attività illegali, circa 30.000 persone, fornendo loro accoglienza protetta, assistenza psicologica e legale, formazione, tutela sanitaria e opportunità concrete di "ripartenza", attraverso programmi individualizzati di reinserimento sociale e lavorativo. Risultati che vanno declinati anche in termini di contrasto alle attività criminali, vuoi perché una percentuale ampia delle persone fuggite ha trovato la forza di denunciare i trafficanti, vuoi perché secondo la Direzione nazionale antimafia, ogni persona uscita dalla tratta corrisponde alla sottrazione di una cifra tra i 40 e i 50.000 euro all’anno alle organizzazioni criminali. Il primo rapporto sull’Italia del Greta (meccanismo di monitoraggio del Consiglio d’Europa), appena pubblicato, mette in luce con precisione le criticità che sta vivendo il sistema. Nel nostro paese mancano adeguati meccanismi di identificazione delle vittime (soprattutto per quanto concerne il vasto settore del grave sfruttamento lavorativo) e le autorità italiane dovrebbero "adottare con urgenza un piano d’azione nazionale che definisca priorità, obiettivi, attività concrete e responsabili per la loro attuazione". Il Piano nazionale anti-tratta va approvato immediatamente, finanziandolo in modo adeguato e strutturando i finanziamenti su una programmazione almeno triennale. Altrimenti, a partire dal primo gennaio 2015 tutto si fermerà. Va anche individuato un referente all’interno del governo (non essendo stata assegnata la delega alle Pari opportunità), garantendo una positiva e continuativa interlocuzione con gli enti pubblici e i soggetti della cittadinanza attiva operanti nel settore.