Giustizia: l’ergastolo, l’inferno e la certezza della pena dopo l’altolà del Papa di Giovanni Sabbatucci Il Messaggero, 25 ottobre 2014 Fine pena: mai. La formula scritta sul certificato penale dei condannati al carcere a vita può apparire disumana nella sua crudezza. E per molti contrasta con l’idea cristiana di un perdono e di una redenzione sempre possibili, oltre che con un principio-cardine della nostra civiltà giuridica sancito nella Costituzione, quello che fa riferimento al carattere rieducativo, e non semplicemente punitivo, della pena. Per questo un ampio fronte garantista, con in prima fila i radicali di Pannella, chiede da molto tempo che l’ergastolo esca una volta per tutte dal novero delle pene previste dal nostro ordinamento. A queste voci ha aggiunto ora la sua anche Papa Francesco, che ha definito l’ergastolo "una pena di morte nascosta". Una presa di posizione forte e inequivocabile, da parte di chi è capo di uno Stato che ha da poco cancellato l’ergastolo dal suo codice penale, ma è anche e soprattutto capo di una Chiesa che per la verità ancora prevede per chi muoia nel peccato la possibilità della pena eterna. Ma non confondiamo la teologia col diritto. Chiediamoci piuttosto se l’abolizione pura e semplice del carcere a vita sia oggi cosa giusta, utile e fattibile (a prescindere dalla sua scarsa popolarità, che non dovrebbe contare su temi come questo). E qui i dubbi sono molti e tutti leciti, anche per chi si è sempre professato garantista e condivide parola per parola le ultime dichiarazioni del Papa in materia di custodia preventiva e di inumanità delle condizioni di vita in molte carceri italiane. Alcuni di questi dubbi - per esempio circa il possibile ritorno in libertà degli autori di crimini efferati - li ha espressi ieri su queste colonne Lucetta Scaraffia. E i suoi argomenti mi paiono più che sensati. Ma c’è un altro argomento che viene logicamente prima di tutti gli altri e in qualche modo li sostiene: contrariamente alla pena di morte, l’ergastolo è una misura reversibile. Può essere comminato (ormai nel nostro paese avviene sempre più di rado),ma può essere anche rivisto, mitigato o di fatto revocato, come già oggi può accadere in Italia, tranne che per i colpevoli di alcune fattispecie di delitti considerati di speciale gravità, come quelli di mafia, che comportano l’esclusione dai normali benefici penitenziari. Su questo punto è possibile, anzi doveroso, intervenire per via legislativa, proprio per offrire a tutti i detenuti, pentiti e non, l’opportunità e la convenienza di un ravvedimento. Se viceversa l’ergastolo fosse abolito per legge, lo Stato si priverebbe, e questa volta irreversibilmente, non solo di uno strumento di deterrenza, ma anche di un possibile incentivo premiale. Assassini seriali e stragisti ideologici - come il norvegese Anders Breivik, che, nel 2009, all’età di ventidue anni, uccise settantasette persone, per lo più suoi coetanei, e non si è mai pentito - potrebbero, anzi dovrebbero, tornare in libertà a prescindere da qualsiasi percorso di riabilitazione e di recupero: al limite anche se annunciassero la loro intenzione di commettere nuovi crimini. E che cosa ne faremmo dei nostri killer mafiosi, non tutti anziani come Riina e Provenzano? Come impedire che, se usciti dal carcere duro (anche troppo duro) ancora in condizioni di nuocere, riprendano a delinquere come e peggio di prima? Non dimentichiamo che fra i doveri dello Stato c’è anche quello di assicurare la sicurezza dei cittadini nel rispetto della legge; e obbligo del legislatore è approntare gli strumenti adatti a questo scopo. Meglio allora limitarsi a rimettere un pò d’ordine nel sistema delle pene, rinunciando a quei "trattamenti contrari al senso di umanità" che la Costituzione stessa inibisce, alleggerire la pressione umana nelle carceri per farne strumento di rieducazione o almeno di civile espiazione, tenere viva nel condannato la speranza di recuperare un giorno la libertà o di fruire di qualche forma di semi- libertà. Per questo non serve cancellare dal codice la pena dell’ergastolo. Basterebbe usarla come soluzione estrema e non necessariamente definitiva. Forse ci si potrebbe rifare, in questo caso, a un vecchio dibattito nella Chiesa di una trentina di anni fa, quando un celebre teologo, Hans Urs von Balthasar, lasciò intendere (la frase fu poi smentita ma l’idea rimase in circolo) che l’inferno esisteva davvero, ma poteva anche essere vuoto. O quantomeno assai poco frequentato. Giustizia: l’orrore del fine pena mai, l’umanità dei detenuti di Patrizio Gonnella (Presidente di Antigone) Il Garantista, 25 ottobre 2014 Alcuni libri e alcuni film da consigliare a Salvini e Grillo, contro il loro linguaggio violento. Le parole di papa Francesco sulla pena e sull’ergastolo mi hanno colpito per la loro calda e sapiente razionalità. È lui più di tutti capace di interpretare il senso della giustizia-ingiustizia presente nella tragedia di Antigone. Papa Francesco ha usato un linguaggio che assomiglia a quello della nostra migliore criminologia critica condannando la selettività classista della nostra produzione penale. Ha avuto il coraggio di stare dalla parte delle minoranze di opinione sostenendo la brutalità dell’ergastolo, pena contro la dignità umana. La prevenzione criminale non si fa ammazzando o annientando bensì punendo in modo mite come ci aveva insegnato Cesare Beccaria di cui ricorrono i 250 anni della sua grande opera Dei delitti e delle pene. Quelle di Papa Francesco sono parole da usare come diga contro il linguaggio violento e intollerante di Salvini o Grillo. Il carcere è pieno di un’umanità ricca. Alcune buone letture che arrivano dalle galere nonché la visione di un paio di bei film sarebbero ben utili per la rieducazione di Salvini, Grillo e vari altri. Ecco alcune segnalazioni. Parto da una vera e propria chicca letteraria. Il libro di Alberto de Angelis Sessanta giorni (Edizioni Sui, 2014) è un racconto che lascia senza fiato, che ti fa scoprire cose del carcere anche a chi ne ha viste e vissute tante. "Alle mie spalle il portone del carcere, immobile per qualche attimo percepisco l’asfalto sotto i piedi e il suo odore, i suoni, i rumori, quella confusione che in carcere non si sente, una sensazione fortissima e subito evanescente. Ad attendermi non c’era nessuno". Non c’era nessuno, nessuno, proprio nessuno. Ecco la selettività classista del nostri sistema penale. Alberto è libero. Ma è solo davanti alla libertà. Giorgio Poidomani, una grande storia la sua e che oggi coordina la redazione nel carcere romano di Rebibbia del Gr che va in onda nella trasmissione radiofonica Jailhouse Rock, ha curato il libro di poesie di Federico Mollo Sentimento prigioniero (Wingsbert House, 2014). Poesie che sono veri e propri dipinti densi di umanità. E infine vale la pena leggere Dieci stupide idiozie. Racconti dai carcere di Marco Costantini (Imprimatur Editore, 2014). "Per me scrivere da detenuto significa avere la possibilità di vivere all’esterno di quel muro che separa la vita dalla morte. Ogni giorno in carcere si muore, muore ogni piccolo frammento della propria esistenza, più resti rinchiuso in carcere più muori, mai io ho scelto di vivere grazie alla scrittura". (Marco Costantini). Oltre alla prefazione del solito Giorgio Poidomani vi è anche quella di Totò Cuffaro, in galera a Rebibbia dal gennaio del 2011. Infine segnalo due film presentati alla Festa Internazionale del cinema di Roma pochi giorni fa. Meno male che è lunedì di Filippo Vendemmiati è patrocinato da Antigone. Il documentario è il racconto vero di un incontro riuscito tra pensionati-operai da un lato e detenuti dall’altro. Siamo nel carcere bolognese della Dozza e un gruppo di pensionati fa da tutor a detenuti che devono imparare a fare gli operai metalmeccanici qualificati. Un documentario straordinario nella sua capacità di rompe-re gli argini e costruire empatie. Quegli operai-pensionati-tutor sono i migliori emblemi della fraternità socialista o cristiana. Sempre alla festa di Roma è stato presentato il bel film di Alessandro Piva "I milionari". Questo è un film vero e proprio. Con Piva ho condiviso gli anni del liceo Salvemini a Bari, ho visto "La capa gira" forse dieci volte. In questo caso segnalo "I milionari" per la straordinaria interpretazione di Salvatore Striano, conosciuto a Rebibbia qualche anno fa. Sono questi tutti frammenti utili a ricomporre un mosaico di una pena che non deve mai essere vendetta. Giustizia: in Italia ergastoli in crescita, ma uno su tre esce prima di Sara Menafra Il Messaggero, 25 ottobre 2014 Le parole del Papa riaprono il dibattito sull’abolizione della condanna a vita. I detenuti con fine pena mai sono 1.604 sul numero totale di 65mila carcerati. Le parole di Papa Bergoglio contro l’ergastolo, hanno riaperto il dibattito in Italia sull’ipotesi di abolire il "fine pena mai", condizione che riguarda una fetta piuttosto piccola del totale dei quasi 65mila ospiti delle patrie galere. Stando ai dati del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria (Dap) fino al 30 giugno 2014, gli ergastolani sono 1.604 ma, a differenza di quel che si crede, il loro numero nel corso del tempo è cresciuto invece di diminuire. Se nel 2005 a dover scontare il carcere a vita erano 1.224 detenuti, nel 2007 sono passati a 1.347, nel 2009 a 1.461 e nel 2011 a 1.568. Non è semplice capire le ragioni di questo fenomeno. Ad esempio non c’è un collegamento coi reati efferati: quello più simbolico, l’omicidio, nel corso degli anni è diventato meno frequente. Il picco è stato raggiunto nel 1991 (1.773 consumati e 1.959 tentati) ma, poi, il numero di omicidi ha cominciato a scendere, fino a raggiungere livelli minimi negli ultimi anni: nel 2011 quelli consumati si sono fermati a 553 e i tentati sono stati 1.401. Nel 2012 erano rispettivamente 528 effettivi e 1.327 tentati e nel 2013 sono stati circa 400, "record" assoluto nella storia del paese. Perché allora il numero di ergastolani aumenta? "Una delle ragioni è nella legge sul carcere duro e la mafia che nel 1992 ha istituito il cosiddetto ergastolo ostativo - spiega Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone - che impedisce di concedere i benefìci a chi non collabori con la giustizia. Il problema è, tra l’altro, che non tutti i detenuti anche volendo, possono fornire un contributo utile alle indagini". "La Chiesa guidata da Bergoglio - conclude Gonnella - mostra di avere una lettura profonda della società". Non è d’accordo l’ex ministro Carlo Giovanardi, autore di un’omonima legge che aumentava le pene per spaccio e consumo di droghe: "Sono contrario alla pena di morte. Ma credo che per crimini efferati sia giusti prevedere il fine pena mai. Abolirlo significherebbe togliere valore anche al danno fatto alle vittime". Nella condizione di ergastolani ostativi, sarebbero attualmente buona parte dei detenuti con fine pena mai: quasi 1.100. La stessa legge del 1992, la Scotti Martelli, ha anche rivisto al ribasso il diritto di accesso ai benefìci di legge per gli ergastolani "comuni". Se la cosiddetta Legge Gozzini ammetteva la concessione dei cosiddetti permessi-premio dopo 10 anni di espiazione della pena e l’ammissione del condannato alla semilibertà dopo l’espiazione di almeno 20 anni di pena. La legge 349 del 1992, in materia di lotta alla criminalità mafiosa, ha poi innalzato questo termine a 26 anni per i sequestri di persona aggravati dallo scopo di rapina o terrorismo con la morte della vittima. Giustizia: la proposta di legge che abolisce l’ergastolo "ostativo" è bloccata alla Camera di Damiano Aliprandi Il Garantista, 25 ottobre 2014 Dopo che il Papa si è espresso contro l’ergastolo, considerandolo una "pena di morte coperta", il ministro Orlando , tramite twitter, plaude le parole di Bergoglio e ha detto che una riflessione su questo tema andrebbe l’atta in parlamento. Una proposta di legge, in senso abolizionista, è stata già depositata alla Camera dai parlamentari del Pd Danilo Speranza e Danilo Leva nel settembre scorso quando c’era il Governo Letta. I numeri affinché passasse questa legge c’erano tutti, ma poi tutto è saltato quando è arrivato Matteo Renzi alla presidenza del Consiglio. La proposta di legge, attualmente congelata alla Camera, consiste nel cancellare l’ergastolo ostativo, la pena stabilita dalla legge 356/92 che nega ogni misura alternativa al carcere e ogni beneficio penitenziario a chi è stato condannato per reati associativi. "Dobbiamo restituire dignità alle persone - aveva detto Danilo Leva del Pd, uno dei firmatari della proposta - uno Stato che non dà speranza ai detenuti non è uno Stato. Dobbiamo avere il coraggio di non cedere ai populismi e alla demagogia". L’ingiustizia della carcerazione a vita venne affrontata da Aldo Moro in quella ormai celeberrima lezione tenuta in uno dei suoi ultimi corsi universitaria ed è stata giustamente richiamata da Speranza e Leva nella relazione introduttiva alla loro proposta: "Un giudizio negativo, in linea di principio, deve essere dato non soltanto per la pena capitale, che istantaneamente, puntualmente, elimina dal consorzio sociale la figura del reo, ma anche nei confronti della pena perpetua: l’ergastolo, che, privo com’è di qualsiasi speranza, di qualsiasi prospettiva, di qualsiasi sollecitazione al pentimento e al ritrovamento del soggetto, appare crudele e disumano non meno di quanto lo sia la pena di morte". In parlamento, oltre alla proposta di legge firmata dagli esponenti del Pd, è stata anche depositata una proposta di iniziativa popolare, sempre per l’abolizione dell’ergastolo, con firme bipartisan come Stefano Rodotà, Don Luigi Ciotti, Massimo D’Alema, Alfonso Papa e perfino Alessandro Di Battista, deputato del Movimento 5 Stelle. Ma che cosa è l’ergastolo ostativo? Ce lo spiega molto bene l’ergastolano, e promotore dell’iniziativa popolare presentata in parlamento, Carmelo Musumeci tramite il suo libro "Gli uomini ombra": "Pochi sanno che i tipi di ergastolo sono due: quello normale, che manca di umanità, proporzionalità, legalità, eguaglianza ed educatività, ma ti lascia almeno uno spiraglio; poi c’è quello ostativo, che ti condanna a morte facendoti restare vivo, senza nessuna speranza. Per meglio comprendere la questione bisogna avere presente la legge 356/92 che introduce nel sistema di esecuzione delle pene detentive una sorta di doppio binario, nel senso che, per taluni delitti ritenuti di particolare allarme sociale, il legislatore ha previsto un regime speciale, che si risolve nell’escludere dal trattamento extra murario i condannati, a meno che questi collaborino con la giustizia: per questo motivo molti ergastolani non possono godere dì alcun beneficio penitenziario e di fatto sono condannati a morire in carcere. L’ergastolano del passato, pur sottoposto alla tortura dell’incertezza, ha sempre avuto una speranza dì non morire in carcere, ora questa probabilità non esiste neppure più. Dal 1992 nasce l’ergastolo ostativo, ritorna la pena perpetua, o meglio la pena di morte viva". Sono circa più di un centinaio i reclusi rassegnati all’idea di uscire di prigione solo a bordo di un carro funebre. Ma non tutti sono "mafiosi" così come viene inteso dì solito. "Un rapinatore preso in flagrante a Scampia viene giudicato secando criteri di contiguità ambientale alla camorra - ha osservato Carlo Florio, docente di Procedura penale all’Università dì Perugia - mentre lo stesso reato commesso a Trento viene inquadrato in modo differente e meno rigido". Per effetto di alcune norme, anche ammettere la propria colpa, ma tacere le responsabilità altrui, è causa di ergastolo perenne. "Il dettato costituzionale è chiaro, quindi se l’ordinamento non prevede la possibilità di uscire dal carcere a condizioni raggiungibili, la pena dell’ergastolo va contro l’articolo 27 della Costituzione", ha detto Valerio Onida, presidente della Corte Costituzionale dal 1996 al 2005, in una riflessione apparsa su un numero della rivista del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Le due città. Gli ostativi, dunque, sono colpevoli due volte: per aver commesso un reato e per non aver cooperato alle indagini. "Alle volte la scelta di collaborare o no con la giustizia può non dipendere esclusivamente dall’individuo - chiosa Onida. Non si può generalizzare perché le fattispecie sono tantissime". Ci sono quindi detenuti che tacciono perché questo potrebbe significare mettere a repentaglio la vita dei loro cari, oppure perché non hanno modo di collaborare perché non hanno informazioni. Tutti buoni motivi per abolire finalmente l’ergastolo ostativo e in parlamento ci sono ben due proposte che vanno in questa direzione. Giustizia: intervista a Roberto Speranza (Pd), che propone di abolire l’ergastolo ostativo di Paolo Viana Avvenire, 25 ottobre 2014 Il Papa ha condannato l’ergastolo con le stesse motivazioni che lei usa nella proposta di legge presentata un anno fa. Cos’ha provato ascoltandolo? Sono stato colpito, molto positivamente - risponde Roberto Speranza, capogruppo Pd alla Camera e promotore della proposta di legge "Modifiche al codice penale concernenti l’abolizione della pena dell’ergastolo". Il Papa ha lanciato un messaggio molto forte e coraggioso che spero possa aiutare a accelerare il dibattito pubblico sull’abolizione dell’ergastolo ostativo, quel "fine pena: mai" che è in stridente contraddizione con la Costituzione italiana e che non può essere contemplato da un ordinamento che vede nel carcere il luogo della rieducazione e della riabilitazione. In tale senso, è paradigmatica una lezione tenuta da Aldo Moro alla Sapienza due anni prima di essere ucciso. Oltre a condannare la pena capitale diceva che "l’ergastolo, privo com’è di qualsiasi speranza, appare crudele e disumano non meno di quanto lo sia la pena di morte" e si chiedeva se "non sia più crudele una pena che conserva in vita privando questa vita di tanta parte del suo contenuto, che non una pena che tronca, sia pure crudelmente, disumanamente, la vita del soggetto e lo libera, perlomeno, con sacrificio della vita, di quella sofferenza quotidiana, di quella mancanza di rassegnazione o di quella rassegnazione che è uguale ad abbrutimento, che è la caratteristica della pena perpetua". Quel discorso mi ha convinto fin da ragazzo sulla necessità di combattere questa battaglia. Nella proposta di legge non cita solo Moro ma anche Turati. In questa battaglia può esserci una trasversalità culturale? Su questo tema si incontrano sensibilità diverse. Io stesso sono colpito intimamente dal Papa e l’apprezzamento risente del mio cammino personale, ma sono un parlamentare della Repubblica e ragiono di questi temi da un punto di vista rigorosamente costituzionale: chi legge l’articolo 27 non può che cogliere l’estraneità dell’ergastolo ostativo, che non prevede il rientro nella società, rispetto all’impianto giuridico e costituzionale italiano. In breve, l’ergastolo contraddice lo spirito della nostra Carta. Questa proposta non cozza contro i sentimenti delle famiglie delle vittime? Me ne rendo conto. Sarebbe folle non comprendere il loro stato d’animo, la sofferenza di chi ha perso una persona cara e ha avuto la vita rovinata in maniera irrimediabile. Assoluto rispetto ma anche chiarezza di ruolo: il Parlamento non può essere condizionato e non si può bloccare la riflessione nazionale su un tema così cruciale. Non intendiamo calpestare i sentimenti e i diritti di nessuno: voglio credere che si possa pensare a forme diverse, a pene lunghe, lunghissime ma non eterne. Cancellare il "fine pena: mai" dall’ordinamento non significherà perdere di vista la giustizia che consiste anche nella necessità che chi ha sbagliato paghi il suo debito con la società. Il Papa ha posto anche il problema del sovraffollamento carcerario. Cosa si sta facendo? I provvedimenti sono in corso, la sensibilità del ministro Orlando è forte, il presidente Napolitano non ha fatto mancare il proprio autorevole richiamo ad affrontare quest’emergenza e l’appello del Papa conferma l’impegno corale. Più concretamente? Dico che dobbiamo abbattere i numeri della carcerazione preventiva. Dico: abbattere. Oggi ci sono 4 detenuti su 10 in attesa di giudizio, mentre in Inghilterra sono 1,6 e ciò è inaccettabile perché non può esservi una pena preventivamente scontata. E poi, diciamoci la verità: le carceri sono piene di poveri diavoli, tossici e immigrati; allora, bisogna trovare in fretta delle formule per risolvere questo fenomeno: i tossicodipendenti devono trovare ricovero sanitario e assistenziale e bisogna trovare delle soluzioni anche per gli immigrati, perché la galera non può essere una risposta all’indigenza. Dica la verità, una campagna anti-ergastolo è "renziana" o "bersaniana"? Mai parlato di questo con Renzi, e neanche con Bersani in verità. Tuttavia, se una causa è giusta, va perseguita al di là del consenso che essa porta. La politica deve avere la forza di guidare la società, non solo di accarezzarne le inclinazioni. Quante chances ha la proposta Speranza di diventare legge in questa legislatura? Io mi batterò per questo e sono fiducioso, soprattutto dopo le parole del Papa. Giustizia: intervista al Pm Carlo Nordio "andrebbe cambiato per intero il Codice penale" di Sara Menafra Il Messaggero, 25 ottobre 2014 "Sono d’accordo con le parole del Papa, ma è difficile applicarle al codice penale italiano. Noi abbiamo dovuto rinunciare". Oltre ad essere procuratore aggiunto a Venezia e coordinatore dell’inchiesta sul Mose, Carlo Nordio ha presieduto a lungo una commissione che si era incaricata di rivedere il Codice penale. Procuratore, è giusto ipotizzare che anche i responsabili dei reati più efferati possano uscire? "Ritengo che sia un principio giusto. Credo che l’ergastolo sia una pena inumana, dovrebbe essere abolita, e tutto sommato sorprende che riflessioni analoghe siano affrontate dai teologi e dai giuristi. Secondo alcuni teologi è illogico pensare che sia punito con l’eternità un fatto che è stato compiuto nello spazio e nel tempo. Per risolvere questo dilemma ipotizzano non che l’inferno non esista, ma che esista e sia vuoto. Ecco noi avevamo per il Codice penale un’ipotesi analoga. Scrivere un ergastolo che esistesse ma di fatto non fosse applicato a nessuno". Ma per i crimini molto gravi è ipotizzabile il perdono? "Noi avremmo voluto codificare nel Codice penale la riduzione della pena praticamente per tutti i reati. Per quanto una condotta sia stata efferata, dopo 20 anni dal fatto la persona non è più quella. Ingenerale l’aspirazione è che quello degli ergastolani sia appunto un insieme solo teorico, ma vuoto e che nessuno lo subisca". Perché non si può semplicemente eliminare l’ergastolo dal codice? "Si pone un problema di proporzione della pena. Se abolisco l’ergastolo emetto come pena massima 30 anni per chi rapisce un bambino, lo violenta e lo uccide, dovrò poi dare 20 anni a chi uccide semplicemente, e così via. Se invece vogliamo mantenere pene alte per alcuni reati o addirittura alzarle, diventa difficile ridurre quella massima". Ridurre le pene è possibile? "Secondo me sarebbe meglio avere pene minori ma certe. È il criterio che abbiamo applicato all’inchiesta Mose, chiusa dopo pochi mesi con patteggiamenti e restituzioni di denaro". Alcuni paesi però non prevedono l’ergastolo. "Il caso più noto è forse quello della Norvegia. Il killer autore del massacro di Utoya, Breivik ha subìto una pena di quindici anni ma nel sistema penale di Oslo se resta la pericolosità sociale la pena si può rinnovare". Giustizia: intervista al Pm Franco Roberti "per reati più gravi l’ergastolo deve rimanere" di Valentina Errante Il Messaggero, 25 ottobre 2014 Non cita Cesare Beccaria ma l’articolo 27 della Costituzione: il carcere deve rieducare. "L’ergastolo, di fatto, non esiste già più - spiega il procuratore nazionale Antimafia Franco Roberti - ma il discorso del Papa è molto più complesso e riguarda l’intero sistema carcerario". E così se da un lato Roberti ritiene che il carcere a vita non possa essere abolito, dall’altro pensa che debba essere l’estrema ratio e che l’intero sistema detentivo debba essere rivisto. Il Papa dice che l’ergastolo è una pena di morte nascosta, lei lo abolirebbe dal codice? "Forse, se il carcere fosse davvero una forma di rieducazione. Ma non è il caso del nostro Paese. Non credo, poi, si possa comminare una pena diversa a chi abbia offeso la società con fatti gravissimi, anche perché è difficile che certi soggetti non tornino a delinquere. Tra l’altro, per chi dimostri di essere "rieducato", il carcere a vita non esiste già più. Ma ritengo sia bene che la pena rimanga nel codice, se pure debba essere considerata l’estrema ratio". Sarebbe d’accordo con una revisione del 41 bis? "L’ultima modifica è del 2009 ed è una buona legge, ma come al solito dovrebbe essere applicata. Credo che il carcere duro sia uno strumento molto efficace nel contrasto alle mafie, ma dovrebbe essere riservato soltanto a chi, al vertice di organizzazioni, criminali o terroristiche, sia in grado di esercitare il proprio potere dal carcere impartendo ordini". Per il Papa in carcere finiscono soltanto i pesci piccoli e tuona contro la corruzione. "Trovo molto interessante la posizione della Chiesa, purtroppo in Italia abbiamo fatto molto contro la criminalità organizzata ma abbiamo raggiunto risultati inferiori nella lotta contro la corruzione, che è l’altra faccia della stessa realtà. La giustizia dovrebbe essere equa e non è uno slogan. Ma il Papa parla anche delle condizioni carcerarie. Oggi spendiamo tanto per il sistema carcerario ma non siamo in grado di raggiungere gli obiettivi. Nulla si fa per applicare la Costituzione, sebbene in tanti si prodighino. Abbiamo una percentuale enorme di recidivi, anche prima della crisi era così, perché reinserirsi nel mondo del lavoro per un ex detenuto è impossibile. Credo siano indispensabili strumenti operativi. Quindi investimenti, anche se la parola può suonare male in questo momento. Ma un governo per fare ripartire il Paese deve sapere dove tagliare e dove investire". Giustizia: Orlando; il carcere non funziona, perché usato per risolvere i conflitti sociali Public Policy, 25 ottobre 2014 "Vorrei dire che spesso la promessa di sicurezza con più carceri e stata tradita dai fatti. Siamo il Paese in Europa che spende di più in carceri ma siamo il Paese che ha più alti tassi di recidiva. C’è qualcosa che non funziona in questo modello perché spesso il carcere è stato utilizzato come strumento per risolvere conflitti sociali piuttosto che di repressione di alcune forme di delinquenza particolarmente gravi". A dirlo è stato il ministro della Giustizia Andrea Olrlando nel corso del suo intervento all’incontro "Contromafie", organizzato a Roma dall’associazione Libera. Nomine mancanti arriveranno nel giro di poche settimane "Vista l’importanza dei ruoli il governo sta valutando una serie di soluzioni per arrivare nel giro di poche settimane alla risoluzione di queste problematiche". A dirlo, riferendosi alla nomine mancanti nel settore dell’amministrazione penitenziaria, è stato il sottosegretario alla Giustizia Cosimo Maria Ferri rispondendo, nell’aula della Camera, a un’interpellanza di Sel a prima firma Arturo Scotto (capogruppo). Nello specifico, parlando del capo dipartimento delle politiche antidroga, Ferri ha parlato di una nomina "in fase di ultimazione". Anche per la nomina del garante dei detenuti e del capo dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Ferri ha parlato, rispettivamente, di un iter che "sarà concluso nel più breve tempo possibile" e di una nomina che "sarà perfezionata a breve". L’interpellanza chiedeva lumi anche sul cosiddetto piano Gratteri per la riorganizzazione del sistema di amministrazione penitenziaria. Sul punto il sottosegretario ha affermato che "nessuna comunicazione è pervenuta a riguardo dalla stessa presidenza del Consiglio". Saviano: carceri senza dignità sono palestre di affiliazione "Non è possibile combattere la mafia con carceri senza dignità che diventano palestra di affiliazione". A denunciarlo è stato lo scrittore Roberto Saviano nel suo intervento che ha aperto gli stati generali dell’Antimafia organizzati da Libera. "In Europa, senza giurisprudenza antimafia condivisa, la vera lotta ai capitali criminali - ha ammonito Saviano - si fa attraverso i diritti". A giudizio dello scrittore "solo una giustizia veloce è una giustizia antimafia. C’è bisogno di risorse e disciplina". Giustizia: Pannella (Radicali): sulle carceri da Papa Francesco un intervento splendido Asca, 25 ottobre 2014 "Quello fatto da Papa Francesco è uno splendido, splendido intervento, completo, serio che sta avendo dalle prime reazioni lo stesso trattamento di regime che ha avuto il Presidente della Repubblica con il suo grande messaggio alle Camere, trattato dalle Camere in quel modo indecente e francamente credo che passerà come un esempio di vergogna definitiva del regime italiano". Così Marco Pannella ha commentato a Radio Radicale le parole pronunciate ieri da Papa Francesco sulle carceri. "Credo che la notizia farà epoca - ha detto Pannella - credo che questa notizia, questa non notizia naturalmente per il regime italiano e la sua stampa, cedo che farà data e resterà come una data della storia non solo del nostro Paese. Fu il Papa polacco che diede l’esempio anni fa ospite del Parlamento italiano a chiedere in modo chiarissimo amnistia, indulto e le cose che nel modo articolato, preciso, puntuale viene proclamato e illustrato da Papa Francesco". "E allora - ha proseguito Marco Panella - siamo arrivati in un punto nel quale la massima magistratura italiana il presidente della Repubblica ha fatto un intervento che è stato trattato in modo indecente per non dire ignobile dal regime italiano". "Il regime - ha concluso lo storico leader radicale - che ci consente a qualsiasi ora del giorno e della notte di vedere il nostro Renzi, Renzi che ha le posizioni opposte a quelle del Presidente della Repubblica, a quelle nostre ovviamente, a quelle del Papa oggi che in modo clamoroso ha davvero trattato come in una lezione universitaria per denunciare gli aspetti intollerabili ed incivili della giustizia e del regime italiano". Serracchiani (Pd): giusto puntare su recupero detenuti "Le parole del Papa sulla necessità di trovare forme alternative alla detenzione vanno incontro a un’esigenza molto avvertita sul territorio di questo Paese, di fare azioni necessarie al recupero dei detenuti e a una nuova visione del carcere, inteso non più come luogo chiuso". Lo ha dichiarato il vice segretario nazionale del Pd Debora Serracchiani oggi a Udine. Serracchiani ha poi ricordato i due "impegni fondamentali" assunti in questo senso dall’amministrazione del Friuli Venezia Giulia: "Uno è la costruzione di un nuovo carcere, per dare respiro a spazi assolutamente inaccettabili e non dignitosi come sono quelli di Pordenone e anche altri, mentre il secondo è quello che ci siamo assunti con la firma di un protocollo con il Ministero della Giustizia e con il Tribunale di Sorveglianza per trovare, appunto, forme alternative alla detenzione, di cui ha parlato anche il Papa". Serracchiani ha ricordato che "il Fvg è stata tra le prime regioni a firmare questo protocollo per l’eliminare il sovraffollamento delle carceri, che ha fatto guadagnare all’Italia una procedura di infrazione europea. È nostro dovere - ha concluso - pensare non solo ai cittadini che incontriamo tutti i giorni, ma anche a quelli che non vediamo". Giustizia: responsabilità civile dei magistrati, le sfide della riforma di Enrico Buemi* Il Messaggero, 25 ottobre 2014 Quando nel 1988 fu approvata la legge Vassalli, la soluzione del problema della responsabilità civile dei giudici - evidenziato dalla plebiscitaria risposta al referendum dell’anno prima- era stata impostata secondo i seguenti principi di ragionevolezza istituzionale: - No alla responsabilità diretta, che non era nell’oggetto del referendum (esclusivamente abrogativo di una modalità di esenzione quasi assoluta della responsabilità, imposta dal legislatore fascista); - Sì ad una responsabilità indiretta, che - mediante la frapposizione dello Stato, convenuto dal danneggiato ed attore nella successiva rivalsa - "schermasse" il giudice dal contatto diretto con il cittadino: ciò per evitare iniziative intimidatorie, tali da compromettere l’indipendenza e la serenità del giudizio dei magistrati, in quanto li espone ad una sorta di "pressione psicologica" da parte di privati dalle grandi disponibilità economiche. Il disegno di Giuliano Vassalli era chiaro e, se fosse stato attuato in buona fede, non saremmo al punto in cui siamo, un punto simboleggiato da numeri sconvolgenti: solo 7 casi di condanna di magistrati, in 25 anni di vigenza della legge, non rispecchiano certo la percezione pubblica del dislivello qualitativo del sistema giustizia. Il fatto è che l’applicazione della legge del 1988 è stata affidata ad una magistratura nettamente inferiore a quella (Beria d’Argentine) che collaborò con Vassalli per la stesura di quella legge. Chi credesse che - abolendo il solo filtro di ammissibilità - si risolverebbe il problema, vedrebbe il dito invece della luna. Nell’udienza di ammissibilità i giudici si sono inventati interpretazioni furbastre della "clausola di salvaguardia" dell’articolo 2: è questa che bisogna modificare (e rendere più chiara nel suo collegamento con la colpa grave), se si vuole far funzionare il sistema. Un sistema che non funziona, se è vero che sono già due le sentenze con cui la Corte di giustizia dell’Unione condanna l’Italia per la tassatività ed assolutezza della clausola di salvaguardia (anche se - ovviamente - si riferisce solo all’interpretazione del diritto della quale essa è competente, cioè quello europeo). Per difendere questa assolutezza l’Anm è risalita alla legge delle guarentigie ed allo Statuto Albertino (condito con riferimenti alle deliberazioni del Consiglio d’Europa), per dimostrare che l’interpretazione del diritto è libera e non può soffrire né indirizzi, né censure. Semmai, secondo loro, l’atto potrà essere censurato, nei gradi successivi di giudizio, ma mai il giudice che l’ha scritto. Per la corporazione il precedente non vincola, la nomofilachia del grado massimo (noi proponiamo le Sezioni Unite della Cassazione) non vincola, il C.S.M. non vincola. Peccato che questa visione contrasti non solo con la percezione dei cittadini, ma anche con la relazione dei Saggi nominati dal Capo dello Stato nella primavera del 2013, che da tutte le provenienze politiche e culturali ritennero necessario introdurre elementi di vincolatività nella produzione giurisprudenziale incentrata sul precedente. In un momento in cui ingegneri e medici sono chiamati a rendere conto del rispetto della "regola d’arte", il giudice è libero di interpretare il diritto in modo personale ed originalissimo. Nel migliore dei mondi possibili, questa declinazione personale della valutazione esprimerebbe un arricchimento della giurisprudenza: ma in una fase in cui il giudice esamina centinaia di fascicoli al giorno, in cui - più che interprete del diritto - è il titolare di uno sportello pubblico, siamo proprio certi che questa originalità rappresenti sempre il frutto di un approfondimento prezioso? Siamo proprio certi che motivazioni apodittiche, eccentriche o non calzanti non siano un modo comodo per fronteggiare le iniziative seriali della litigiosità e del conflitto sociale? Se si discosta dal modo in cui la vedono tutti gli altri giudici della Repubblica, il suo è sempre un contributo intellettuale in controtendenza, o talvolta è semplicemente il frutto di sciatteria, incompletezza di analisi, automatismo burocratico? E quando è così, il suo autore non merita di essere chiamato a risponderne in qualche modo? Ci si dice che la responsabilità disciplinare non è la sede, perché non può trasformarsi in un quarto grado di giudizio: allora perché non obbligare lo Stato a rivolgersi ai suoi colleghi giudici, investiti in sede civile, mediante il meccanismo della rivalsa dopo che lo Stato s’è visto soccombente dinanzi al privato danneggiato? Che non stiamo nel migliore dei mondi, ne sono consapevoli gli stessi magistrati, se è vero che ad inizio agosto in Senato Piero Grasso s’è rifiutato di porre ai voti la mia proposta di eleggere per sorteggio tra tutti i giudici i membri del Csm. Quando si viene al dunque, la categoria si rende ben conto che il livello qualitativo non è eccellente per tutti i suoi iscritti, e non vuole correre il rischio di mettere le proprie progressioni economiche nelle mani di un collega, al quale pure si dà mano libera sulla libertà e sui beni dei "normali" cittadini. *Relatore in Commissione giustizia del Senato del ddl sulla responsabilità civile dei magistrati Giustizia: Protocollo Farfalla; Mori rifiuta l’audizione al Copasir "ne parlerò al processo" Il Fatto Quotidiano, 25 ottobre 2014 Il generale imputato per la trattativa Stato-mafia convocato sugli accordi segreti per avvicinare detenuti al 41bis: "Non anticipo le mie mosse". Il presidente Stucchi: "Attendiamo risposta formale". L’ex direttore del Sisde Mario Mori si è rifiutato di essere ascoltato in audizione dal Copasir, il Comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti, riguardo alle operazioni Farfalla e Rientro, condotte insieme al Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria del ministero della Giustizia per avvicinare alcuni detenuti in regime di 41 bis. "È molto semplice", ha spiegato il generale all’Ansa. "Siccome l’operazione ‘Farfallà fa parte del processo sulla trattativa, la mia intenzione è parlarne in quel processo e non voglio anticipare le mie mosse in un’altra sede". Nel processo sulla trattativa Stato-mafia, Mori è imputato per violenza o minaccia al corpo politico dello Stato, con l’aggravante dell’articolo 7, per aver favorito Cosa nostra. Il suo gran rifiuto è un caso politico: "È inaccettabile se ciò avvenisse", affermano i parlamentari del M5S in una dichiarazione congiunta. "È inimmaginabile che ci si possa rifiutare di comparire dinnanzi a una istituzione dello Stato che indaga su vicende delicatissime per la storia del Paese". L’audizione è in calendario la settimana prossima. "Ho parlato con il generale Mori per invitarlo a partecipare all’audizione", dice all’Adnkronos Giacomo Stucchi, presidente del Copasir. "Il generale mi ha anticipato la sua contrarietà, giustificandola con esigenze legate alla sua strategia difensiva per i procedimenti in cui è coinvolto. Gli ho comunicato che gli avrei fatto pervenire la richiesta in modo ufficiale, cosa che ho già fatto. Attendiamo da lui una risposta ufficiale e formale". Aggiunge Stucchi: "Pur rispettando le sue idee, mi auguro che Mori valuti attentamente la nostra richiesta, anche perché per un lungo periodo è stato direttore di un pezzo importante della nostra Intelligence, e proprio nel periodo che è oggetto di indagine del Copasir". Dopo quelle dei giorni scorsi, un’altra serie di audizioni sul Protocollo Farfalla è in programma la prossima settimana al Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica. Martedì il Comitato ascolterà i pm Maria Monteleone e Erminio Amelio, che nel 2006 hanno indagato l’ex funzionario del Dap, Salvatore Leopardi accusato di aver girato al Sisde - tagliando fuori l’autorità giudiziaria - notizie raccolte sul camorrista Antonio Cutolo. Mercoledì sarà la volta di uno dei due protagonisti principali dell’accordo, insieme all’ex direttore del Sisde Mario Mori: l’ex direttore del Dap, Giovanni Tinebra. Giovedì toccherà all’ex capo della polizia, Gianni De Gennaro e al generale Pasquale Angelosanto, ex collaboratore di Mori al Ros ed al Sisde. Cagliari: "Ammazzati o muore tuo figlio"…. e Giacomo si è ucciso a Buoncammino di Damiano Aliprandi Il Garantista, 25 ottobre 2014 Ennesimo suicidio in carcere nel carcere sardo di Buoncammino. Ve lo avevamo anticipato sul Garantista di ieri, e oggi siamo in grado di fornirvi maggiori dettagli. C’è il sospetto che dietro il gesto ci sia stata istigazione tramite una lettera di minacce. Si tratta di Giacomo Muscas, 43 anni, detenuto per fatti di droga. Era un disoccupato di Villamar, un piccolo comune sardo, e venne arrestato nel 2010 durante un normale controllo in auto. I carabinieri, insospettiti del suo nervosismo, lo avevano accompagnato all’ospedale e da qui la scoperta: nell’intestino aveva un involucro di cellophane contenente 65 grammi di eroina e sei di cocaina. Ma dopo quattro anni di detenzione ha deciso di ammazzarsi. Appena rientrato da un permesso al carcere sardo di Buoncammino, si è impiccato con i pantaloni della tuta nel bagno. Ma prima di commettere il terribile gesto, il detenuto avrebbe detto alle guardie di aver ricevuto un bigliettino. Nel messaggio - recapitato da altri detenuti - ci sarebbe scritto "Ammazzati o ammazziamo tuo figlio". Una intimidazione che potrebbe averlo spinto al suicidio; per questo la Procura di Cagliari ha quindi deciso di aprire un’inchiesta per far luce su questa inquietante storia e ha convocato, ieri mattina, il direttore del carcere di Buoncammino per degli accertamenti. In Sardegna, la politica sensibile alle tematiche sociali e carcerarie si fa sentire. "Il nuovo tragico evento verificatosi a Buoncammino, il quarto negli ultimi 5 mesi in Sardegna, conferma l’incapacità del sistema penitenziario di dare risposte al disagio. La scelta estrema di una persona non può che ricadere sulle Istituzioni". Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione "Socialismo Diritti Riforme", con riferimento al suicidio di Pier Giacomo Muscas avvenuto nel Centro Clinico della Casa Circondariale cagliaritana. "Al di là del singolo caso che induce a riflettere per la complessità della vicenda, la realtà della detenzione - osserva - è spesso sottovalutata e non ci si rende conto che la maggior parte dei cittadini privati della libertà è legata al mondo della tossicodipendenza. In molti casi si tratta ormai solo di un mezzo per garantirsi un introito facile ma, molto spesso, è espressione di problematiche di carattere sociale e psichico". La Caligaris poi aggiunge che "il sistema sociale esterno è inerte davanti a queste problematiche che fa ricadere quasi interamente su quello penitenziario. L’uno e l’altro operano secondo logiche distanti dai reali bisogni accentuando gli aspetti repressivi che si esasperano con la burocratizzazione delle istanze. Le risposte non sempre arrivano in tempo utile e l’attesa è vissuta come una tortura aggiuntiva generando disperazione. La Polizia Penitenziaria non può sempre scongiurare il peggio anche perché ha bisogno di essere supportata da altre figure professionali". E conclude la presidente di Sdr: "Occorre maggiore attenzione ma è indispensabile intervenire sulla rete sociale esterna per dare speranze di riscatto e di reintegro nella comunità". La mattanza nelle carceri italiani, che ha già causato 114 morti tra cui ben 36 suicidi dall’inizio del 2014, ha avuto una forte impennata. Come ha denunciato Riccardo Arena di Radio Carcere, "nel giro di soli quattro giorni ben quattro persone detenute si sono tolte la vita nelle carceri italiane". Firenze: Romanelli (Sel), a Sollicciano problemi per i detenuti, come per chi ci lavora ww.gonews.it, 25 ottobre 2014 "Ieri mi sono recato in visita alla Casa Circondariale di Sollicciano, a conclusione del mio giro che mi ha portato in tutte le carceri toscane per verificare le condizioni dei detenuti e i tanti problemi che mi vengono segnalati. La nuova Direttrice mi ha accolto cordialmente e mi ha spiegato le molte criticità che a tutt’oggi rimangono irrisolte. La cosa che più colpisce è la fatiscenza e il degrado dell’intera struttura che rendono le condizioni di vita, tanto per i detenuti, quanto per gli agenti di Polizia Penitenziaria, e per tutti i lavoratori, davvero dure. Molte aree sono state dichiarate inagibili e quando piove intere zone del carcere si allagano: l’umidita, le copiose infiltrazioni d’acqua dai tetti, la muffa sulle pareti sono il tratto comune di ogni ala del carcere. Vi è assoluto bisogno di un immediato intervento per sanare questa situazione. La Direttrice ha proposto progetti interessanti per una nuova copertura da rivestire con pannelli fotovoltaici, ed io auspico e mi metto a disposizione affinché dalle parole si riesca a passare ai fatti" - dichiara Mauro Romanelli, Consigliere Regionale di Sinistra Ecologia Libertà. "Il sovraffollamento è diminuito e si è passati dai 1.100 detenuti a circa 760, rispetto ad una situazione ottimale che sarebbe comunque di circa 450, e purtroppo pare registrarsi la tendenza ad un nuovo aumento, come avevo rilevato alcuni giorni fa anche nel Carcere di Pisa. Alle problematiche strutturali si aggiungono altre lacune legate agli scarsi fondi assegnati e ai problemi burocratici per le quotidiane manutenzioni, con conseguenze ad esempio sulle condizione dei bagni nelle celle, in cui in un caso ho verificato il non funzionamento del water o comunque la mancanza di acqua calda. Anche i limitati fondi alle mercedi, ovvero i fondi per far lavorare i detenuti, sono una un grave problema. Il lavoro è indispensabile per costruire un futuro, rieducare i detenuti e costruire le basi per un loro reinserimento nella società. Sarebbe perciò necessario un intervento di privati che garantissero delle commesse cospicue in modo da far lavorare più detenuti possibile. Su questo abbiamo registrato un impegno della Direzione, con la speranza che si trovi interesse dall’esterno". "Un altro importante progetto finalizzato ad avvicinare la città alla realtà del carcere è quello degli orti sociali". "In generale la sensazione prevalente che ho avuto in questi anni e che non ho potuto che riconfermare ieri, è quella di un sostanziale abbandono da parte dello Stato. Molto presente invece, almeno qui a Sollicciano, il contributo della società civile che con associazioni come Altro Diritto, una cui esponente mi ha accompagnato nella visita, garantisce un livello di vigilanza democratica e attenzione alla condizione e ai bisogni dei detenuti da cui le Istituzioni pubbliche dovrebbe davvero prendere esempio, e che risulta indispensabile, anzi vitale" conclude Romanelli. Bergamo: l’Assessore Mantovani; nuova struttura sanitaria in carcere, esempio efficienza Italpress, 25 ottobre 2014 "Con oggi inauguriamo la nuova struttura sanitaria poliambulatoriale del Carcere di Bergamo, dopo quella che proprio lunedì scorso abbiamo attivato nella casa circondariale di Busto Arsizio. Adesso attendo che questo si ripeta anche nei centri destinati alla cura e assistenza sanitaria per detenuti di Cremona, Varese e Brescia". È quanto ha affermato questa mattina Mario Mantovani, vice presidente e assessore alla Salute di Regione Lombardia, intervenendo alla cerimonia inaugurale. "Ancora una volta non posso che esprimere la mia soddisfazione. Avevo infatti visitato questa struttura il 29 giugno e il 7 luglio quella di Busto Arsizio. In pochi mesi i lavori sono stati completati: la concretezza e l’efficienza lombarda si sono riconfermate anche in questa circostanza". Il vice presidente di Regione Lombardia ha sottolineato "È del luglio di quest’anno la risoluzione del Consiglio regionale per imprimere maggiore forza all’azione della Giunta regionale, presso la Conferenza Stato Regioni e nei confronti del Ministero della Giustizia, così da individuare le soluzioni più idonee al fine di migliorare la qualità della vita all’interno delle carceri lombarde. Una risoluzione - ha ricordato Mantovani - a cui corrisponde lo stanziamento complessivo da parte di Regione Lombardia di due milioni e mezzo di euro, di cui circa 228.000 destinati alla casa circondariale di Bergamo". La struttura sanitaria è stata inaugurata alla presenza delle autorità locali e dell’Amministrazione Penitenziaria e può contare di 1 medico coordinatore, 8 medici che garantiscono la copertura 24 ore al giorno del servizio integrativo di assistenza sanitaria, 1 coordinatore infermieristico, 8 infermieri, 3 psichiatri, 2 psicologi nonché gli ambulatori specialistici di chirurgia generale, otorino, ortopedia-traumatologia, odontoiatria, oculistica, cardiologia, radiologia, infettivologia e dermatologia. Il centro poliambulatoriale del carcere di Bergamo, hanno inoltre chiarito l’assessore alla Salute Mario Mantovani e le altre autorità sanitarie locali, è da considerare un altro reparto dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, anche perché le strutture sono direttamente collegate tecnologicamente con i software più avanzati che consentono il monitoraggio e la collaborazione costante on line tra i sanitari dell’ospedale e quelli che operano in carcere. "Interventi ed opere come queste rappresentano un esempio concreto di attuazione dei principi fondamentali e costituzionali della tutela della salute e delle finalità generali dell’ordinamento penitenziario. Questi progetti, infatti, sono strettamente complementari con quelli mirati al recupero sociale" ha aggiunto il vice presidente di Regione Lombardia visitando la nuova struttura. Gorizia: lunedì il Radicale Perduca in visita alle carceri, prima di un vertice politico Messaggero Veneto, 25 ottobre 2014 Da lunedì a mercoledì prossimi Marco Perduca, responsabile del seggio Onu del Partito radicale nonviolento transnazionale, sarà a Gorizia per visitare le carceri di via Barzellini, oltreché per incontrare i vertici istituzionali del capoluogo isontino, discutere di immigrazione e confrontarsi sulle risoluzioni da adottare. "È una grande occasione per Gorizia - afferma Michele Migliori, segretario dei Radicali Goriziani - che spero si saprà sfruttare al meglio, dato il difficile periodo che la nostra città sta vivendo. Non capita tutti i giorni di ospitare un rappresentante alle Nazioni unite, e nei giorni in cui Marco Perduca sarà presente - continua Migliori - abbiamo richiesto un incontro al Sindaco Romoli ed al Presidente della Provincia Gherghetta, per confrontare le analisi legate alle politiche immigratorie nel capoluogo, e per cercare un punto d’incontro con lo scopo di trovare una risoluzione. Inoltre avremo modo di accertarci circa le condizioni della casa circondariale di via Barzellini, dove i lavori di ristrutturazione stanno finalmente volgendo al termine". Chieti: Progetto Architettura Sociale, stanza per genitori e figli nel carcere di Lanciano Ansa, 25 ottobre 2014 "Le colpe dei padri non devono ricadere sui figli. Ma per i ragazzi venire in carcere in ambienti non belli e tristi è per loro come pagare un prezzo umano". È quanto ha detto oggi dalla direttrice del supercarcere di Lanciano, Lucia Avvantaggiato, inaugurando la nuova stanza genitoriale, ovvero la sala colloqui con i minori, nell’ambito del Progetto Architettura Sociale voluta dall’Amministrazione Penitenziaria col supporto del Consorzio Sociale Ideabile. Nel nuovo e colorato ambiente, ricco di giochi, campeggia l’opera "The Toy" donata dall’artista della pop art, Pep Marchegiani, che rappresenta un gatto vestito da Superman che allarga la camicia sul petto, alto tre metri e realizzato in plexiglas, che resterà esposto in modo permanente. "Dal nostro petto - spiega Marchegiani - possiamo far emergere tutto il bene che abbiamo dentro di noi". Il Progetto Architettura Sociale si prefigge di migliorare le condizioni di vita dei detenuti presso l’istituto frentano e favorire i rapporti che gli stessi hanno con le loro famiglie, con l’ulteriore obiettivo di creare la possibilità di un inserimento socio-lavorativo per gli stessi detenuti insegnando loro un lavoro. Le opere previste dal progetto sono la realizzazione ex-novo di un campo sportivo polivalente, la sistemazione del campo di calcio oltre all’inaugurata sala colloquio. Presenti all’iniziativa, l’arcivescovo di Lanciano-Ortona Emidio Cipollone, l’assessore regionale Silvio Paolucci, Luciana Farina, presidente del consorzio Ideabile e l’architetto Antonino Antonelli, progettista dei lavori. Tra gli ospiti Daniele Ortolano, presidente della Federazione gioco calcio Abruzzo (Figc). A ristrutturare la sala colloqui con i minori sono stati diversi detenuti, che oggi hanno avuto l’attestato professionale di lavoro, i quali hanno anche realizzato dei lavori edili e creato ambienti e strutture destinate alla loro vita all’aria aperta. "Un progetto di alto valore sociale - l’ha definito Paolucci - mentre Cipollone, mutuando un pensiero filosofico inglese, ha sottolineato "che se un’idea è buona deve divenire prima parola poi azione". Benevento: Osapp; nel carcere ancora sovraffollamento e detenuto aggredisce un agente Ansa, 25 ottobre 2014 "Ieri mattina presso la Casa Circondariale di Benevento, dopo un diverbio con agente durante una perquisizione straordinaria, all’atto dell’immissione al parcheggio un detenuto ad alta sicurezza già noto per consimili episodi, ha aggredito un altro appartenete alla Polizia Penitenziaria che ha riportato contusioni e ferite tali da costringerne il ricovero e la successiva dimissione con otto giorni di prognosi con collare". A darne notizia è l’Osapp (Organizzazione sindacale autonoma Polizia penitenziaria) per voce del segretario generale Leo Beneduci. Aggiunge il leader dell’Osapp: "purtroppo nella cella dell’aggressore vi erano altri detenuti che in un modo o nell’altro avrebbero anche loro partecipato all’attacco nei confronti dell’agente che solo la prontezza degli altri colleghi presenti ha sottratto ad ulteriori danni. Purtroppo - prosegue il sindacalista - le aggressioni in carcere sono aumentate ed oramai all’ordine del giorno, malgrado che la popolazione detenuta, negli ultimi due anni, sia diminuita del 20% e che si siano attuate iniziative, quali la vigilanza dinamica, intese ad attenuare le tensioni legate alla sorveglianza diretta dei reclusi". "Infatti - conclude Beneduci - oltre la disorganizzazione e agli annosi problemi dell’amministrazione penitenziaria quali l’assenza di risultati per una maggiore sicurezza della collettività e di chi opera in carcere, ciò che rende i poliziotti penitenziari vittime predestinate del sistema è la costante promiscuità, anche in un carcere come quello di Benevento con il 70% di sovraffollamento (410 detenuti per 253 posti), che mette assieme detenuti comuni e detenuti di notevole pericolosità, anche affiliati alla criminalità organizzata. Più che le chiacchiere e le promesse non mantenute, quali le ultime del Guardasigilli Orlando sul riallineamento della Polizia Penitenziaria alle altre Forze di Polizia, quindi, ciò occorre alle donne e agli uomini del Corpo è lasciare del tutto le inefficienze e la confusione dell’attuale Amministrazione penitenziaria". Trieste: mamme in cella, c’è Skype per parlare con i prof… progetto di @uxilia onlus di Gabriella Ziani Il Piccolo, 25 ottobre 2014 Terza edizione del progetto promosso da @uxilia onlus e finanziato dalla Regione Innovazione unica in Italia al Coroneo. La testimonianza di una detenuta. Sono detenute, ma hanno il permesso di "andare a colloquio" con gli insegnanti dei propri figli, anche lontani. È la terza edizione del progetto "Parla con lei" promosso e attuato dalla onlus @uxilia, e finanziato dalla Regione, che porta al Coroneo una innovazione unica in Italia che tra poco si espanderà in tutte le carceri del Friuli Venezia Giulia (Tolmezzo, di massima sicurezza, escluso): le mamme detenute parlano attraverso skype, vigilate in partenza e in arrivo dai volontari dell’associazione, chiedono come va a scuola il figlio guardando in faccia l’interlocutore. Ne provano una grandissima emozione. Ne ricavano fra l’altro lo stimolo a non mollare col desiderio e l’impegno a tornare a una piena vita sociale e familiare. Ieri all’interno del Coroneo ne hanno presentato i risultati il direttore Ottavio Casarano, il presidente di @uxilia Massimiliano Fanni Canelles, la responsabile operativa del progetto Gabriella Russian, Anna Buonomo, a capo del Servizio pedagogico del carcere, Alessandro Mendizza che ha realizzato un documentario di confessioni personali delle carcerate per lo Studio Openspace. E poi c’era lei, Rosa, detenuta da quasi 4 anni, che ha raccontato come sia fondamentale chiedere notizie dei tre figli, oggi lontani anche geograficamente. Come ha spiegato Casarano, le norme attuali sempre più scindono la reclusione come pena personale dal rischio di penalizzare anche i minori, i familiari, e dunque tendono con nuovi regolamenti a favorire e ampliare i fili di contatto, anche se i magistrati di sorveglianza (da cui @uxilia deve ottenere l’assenso per questi progetti) sono massimamente prudenti. Internet non entra in carcere, per esempio. Per ampliarne l’uso a scopo di comunicazione, il che sarebbe anche una grandiosa "spending review" per il ministero (i detenuti hanno diritto a 10 minuti settimanali di telefonata familiare, dovunque nel mondo la famiglia si trovi), bisogna modificare la legge. Progetti attuabili subito però ce n’è ancora. Partirà adesso, col finanziamento del Rotary club Trieste Nord, "Detenuti e genitori: raccontami una favola". Le favole raccontate in video dai detenuti saranno visionabili dai loro bambini, su Internet, ma anche da un pubblico generale. Il progetto-skype era partito già con l’ex direttore Enrico Sbriglia, quest’anno ha coinvolto tre detenute (una delle quali deve ancora avere il suo colloquio speciale). Piccolo numero, ma molte carcerate sono straniere e l’operazione non può aver corso. Le donne al Coroneo sono 25 in questo momento. Secondo Fanni Canelles, a nome di una associazione attiva in tutta Italia, in Europa e nei paesi più poveri e tristi del mondo a sostegno soprattutto di donne e bambini, "è importante che anche in situazioni di libertà limitata il genitore possa restare d’esempio al figlio, e interessarsi di lui, come per il figlio è determinante il contatto col genitore: non deve patire per le colpe altrui. E il contatto col corpo insegnante diventa infine un volano di cultura, una trasmissione di valori positivi. Trieste - ha aggiunto il medico della cooperazione - deve essere orgogliosa per aver accettato di lanciare questo progetto inedito che usa il lato migliore delle nuove tecnologie. Sembra sia semplice portare skype in carcere, invece non lo è. Altrove i magistrati negano il permesso. E perché avvenga il "contatto" vanno coordinati il carcere, la scuola e gli insegnanti, i nostri volontari da una parte all’altra d’Italia". Milano: Biblioteca Vivente, come sfogliare libri umani nel carcere di Bollate di Stefano Pasta La Repubblica, 25 ottobre 2014 Il pomeriggio dell’8 novembre sarà possibile entrare nel carcere di Bollate per un’iniziativa della cooperativa ABCittà e del Settore Biblioteche del Comune di Milano. Pregiudizi che si incontrano e scontrano con scorci di autobiografie, narrate dalla viva voce di 20 detenuti che hanno scelto di trasformarsi in libri umani. Antonio è un libro umano intitolato Bambino; così si legge nella quarta di copertina: "A 64 anni, di cui oltre 40 in carcere, i ricordi si concentrano sulla prima infanzia. Il signor Somma, fabbro della via, gli odori, i colori di quei primi anni. Il resto non è dimenticato, ma ora c’è bisogno di concentrarsi su ciò che vale veramente". Ne "Il genio dei bicchieri", Armand racconta il suo percorso dalla delinquenza alla scenografia della Scala di Milano. La trama è la sua vita: l’immigrazione dall’Albania, il ribaltamento dei valori, il carcere che diventa un’opportunità. Un lungo viaggio iniziato parecchi anni fa, ma ancora all’inizio. Invece, la storia di Celeste Sei anni di rapporti sembra fare a pugni con il suo nome: "La rabbia, i rapporti degli agenti, una vita in carcere più difficile", dice il sottotitolo. 20 detenuti trasformati in libri umani. L’8 novembre (ore 15-19), il carcere di Bollate (MI) ospiterà un’esposizione di libri particolari, la Biblioteca Vivente dal titolo "fuori-dentro". Venti detenuti hanno accettato la sfida di diventare libri umani. Succede all’interno del progetto "Incontri ravvicinati" del Settore Biblioteche del Comune di Milano, che, con il contributo di Fondazione Cariplo, ha realizzato la sperimentazione "Oltre il muro", una fitta rete di azioni per costruire attraverso la biblioteca canali di dialogo tra città e realtà di isolamento e disagio. Un catalogo di volti. Ma che cos’è una Biblioteca vivente? Dietro a ciascun "titolo", un libro umano, una persona che apre la propria vita nella narrazione a episodi personali e, rispondendo alle domande più dirette e spontanee, comincia a scardinare quel pregiudizio proprio dalle sue fondamenta: la mancanza di conoscenza e la paura. È uno strumento arrivato a Milano nel 2011 grazie alla cooperativa ABCittà (www.abcitta.org), che lo ha mutuato dalla danese Human Library. Spiega Ulderico Maggi: "È necessario iscriversi (gratuitamente), scegliere nel catalogo di oltre venti titoli il libro che si desidera consultare e immergersi nella lettura. È un incontro fatto di domande (nessuna è mai banale), di dialogo, di conoscenza e arricchimento reciproco". Uno strumento che arriva dalla Danimarca. "È un’esperienza - racconta Maggi - nata nel 2000 quando, in seguito a un violento episodio di razzismo, un gruppo di giovani volle rispondere non con le tradizionali forme di denuncia civile ma attraverso un processo di coinvolgimento diretto sulle tematiche all’origine dello scontro". Negli ultimi due anni, la cooperativa l’ha proposta in quartieri e contesti diversi, toccando i temi dell’immigrazione, dell’omosessualità, della disabilità e della malattia psichica. Sul carcere, a giugno l’edizione alla Biblioteca del Parco Sempione e ora l’invito a varcare i cancelli della prigione. Scavalcare qualche muro. Cosima Buccoliero, vicedirettore di Bollate, spiega che "è importante vedere una realtà abitata da persone con emozioni e sofferenze vere. Se non è possibile abbattere i muri che dividono le persone, almeno si può provare a scavalcarne qualcuno. È un modo per dare dignità ai detenuti, metterli in comunicazione con il mondo fuori e superare i pregiudizi che isolano il carcere". Tra quelli che l’iniziativa vuole spezzare, "il carcere è un’accademia del crimine, chi ci entra ci ritorna sempre, quelli che stanno dentro sono violenti di natura, escono sempre troppo presto, vivono a nostre spese come se fossero in albergo, e alla fine stanno meglio di noi". Diversi generi letterari. Il libro umano Enrico (titolo No Alpitour) narra i 36 carceri in cui ha vissuto, Biagio come lo yoga tiene il corpo dentro e la testa fuori. Zemca, una donna rom, racconta la scelta di indossare i pantaloni e il paradosso di sentirsi "finalmente libera" dentro al carcere, grazie al lavoro che le permette di mantenersi. I generi letterari sono vari: Santino, detenuto da molti anni, sceglie l’ironia e in La panca dei mille culi spiega come è cambiato il carcere pensando a quante persone, appena arrivate, si sono sedute sopra una lunga panca per aspettare la conclusione delle procedure d’ingresso. In tutte le storie, torna il tratto umano. Mehdi dice di non voler attaccare le foto dei figli alla cella, si sporcherebbero. E confida le domande che accompagnano i suoi giorni: "Come faccio a dire dove sono stato ai miei gemelli, che cosa gli dirò quando mi diranno delle bugie?". Come partecipare. Per accedere al carcere e poter partecipare alla Biblioteca Vivente è necessario iscriversi all’indirizzo bibliotecavivente@abcitta.org indicando nome, cognome, numero di carta d’identità e numero di telefono entro il 28 ottobre. Asti: al carcere di Quarto il 29 ottobre si inaugura il quinto anno scolastico per i detenuti www.atnews.it, 25 ottobre 2014 A luglio alcuni detenuti del carcere di Quarto d’Asti potranno conseguire il diploma di Geometra, anche se con la riforma della scuola si chiamerà più nel modo precedente ma diploma di Istituto Tecnico indirizzo costruzioni ambiente e territorio. I detenuti che hanno seguito in carcere le lezioni negli anni precedenti stanno ora frequentando il 5° anno e a luglio potranno sostenere l’esame di Stato per conseguire il diploma. "Per la nostra città - commenta Alessandro Militerno, dirigente dell’Ufficio Scolastico provinciale - e per la possibilità offerta ai detenuti di impegnarsi nel loro riscatto l’essere giunti al quinto anno di corso è un successo maturato attraverso non poche difficoltà che ha visto l’impegno di molti responsabili primi fra tutti la dott.ssa Lombardi Vallauri, la Preside del "Giobert" Patrizia Ferrero del "Giobert", i docenti che negli anni hanno svolto l’attività didattica, il personale carcerario ed i volontari che hanno volontariamente prestato opera di supporto didattico collaborando fianco a fianco con i docenti". Il prossimo 29 ottobre, con inizio alle 9,30, proprio all’interno della casa circondariale è in programma una cerimonia di saluto ed avvio dell’anno scolastico alla quale saranno presenti la Direttrice della Casa Circondariale, Elena Lombardi Vallauri, la Dirigente scolastica dell’Istituto Tecnico "Giobert", Patrizia Ferrero, il Dirigente dell’Ufficio scolastico, Alessandro Militerno, la Responsabile dell’area educativa della Casa Circondariale Anna Cellamaro e la Responsabile dell’Ufficio Scolastico di Asti per il sostegno alla persona Martina Gado. Iran: impiccata Reyhaneh Jabbari, il mondo si era mobilitato per lei Corriere della Sera, 25 ottobre 2014 La donna era stata condannata a morte nel 2009 per l’uccisione di un uomo che aveva tentato di stuprarla. Alla fine la mobilitazione del mondo e gli appelli per fermare l’esecuzione non sono bastati. Reyhaneh Jabbari è stata impiccata. La giovane iraniana, condannata a morte nel 2009 per l’uccisione di un uomo che voleva stuprarla, è stata giustiziata a mezzanotte nel carcere di Teheran dove era rinchiusa, nonostante la campagna internazionale lanciata per salvarla. La notizia è stata confermata dalla madre della ragazza secondo quanto riferisce la Bbc. All’esecuzione erano presenti i genitori di Reyhaneh e il figlio della vittima che, secondo quanto riferito da fonti della famiglia della giovane, avrebbe tolto lo sgabello da sotto i piedi della ragazza. Prima dell’esecuzione Reyhaneh ha potuto incontrare per un’ora la madre, Sholeh Pakravan, che ha provato a lanciare un ultimo disperato appello per salvare la figlia. "Intervenite al più presto, non lasciatela morire - chiedeva la donna che poi però, con rassegnazione, aggiungeva: "Credo che questa sia proprio l’ultima volta che l’ho vista e abbracciata". L’esecuzione di Reyhaneh era stata rinviata diverse volte, l’ultima il 30 settembre. Rinvii che avevano fatto sperare in un atto di clemenza da parte delle autorità iraniane. Sabato mattina la pagina Facebook aperta per cercare di salvare la vita a Reyhaneh ha pubblicato la scritta "Riposa in pace". Reyhaneh era stata arrestata nel 2007, quando aveva 19 anni, per l’omicidio di Morteza Abdolali Sarbandi, ex dipendente del ministero dell’Intelligence di Teheran. La ragazza era stata condannata a morte dopo un processo viziato da irregolarità secondo quanto denunciato da Amnesty International. La ragazza ammise di aver accoltellato alle spalle l’uomo, ma per difendersi da un’aggressione sessuale. Il tribunale non tenne però conto delle sue parole e per Reyhaneh arrivò la condanna a morte. Il perdono della famiglia della vittima avrebbe salvato la ragazza, ma per farlo il figlio dell’uomo ucciso aveva chiesto che Reyhaneh negasse di aver subito un tentativo di stupro. Lei si è sempre rifiutata di farlo. Afghanistan: "talebano russo" verrà trasferito negli Stati Uniti per il processo Adnkronos, 25 ottobre 2014 Prigioniero dal 2009 a Bagram, Mosca non lo vuole. Un cittadino russo catturato in Afghanistan mentre combatteva al fianco dei talebani e detenuto per anni nel carcere di Bagram verrà trasferito negli Stati Uniti per essere processato da un tribunale federale. Come sottolinea il Washington Post nel rivelare la notizia, è la prima volta che ciò accade. L’Amministrazione Obama, che ha impiegato mesi prima assumere una decisione definitiva, ha valutato che con l’approssimarsi del ritiro delle truppe da combattimento dall’Afghanistan, sarebbe potuta venire meno l’autorità in base alla quale l’uomo, identificato con il nome di battaglia di Irek Hamidullan, veniva tenuto prigioniero nel Paese. Come rivelano al Post funzionari Usa, la Russia aveva inoltre scarso interesse nel prenderlo in custodia. Hamidullan è sospettato di avere guidato nel 2009 diversi attacchi degli insorti che hanno portato all’uccisione o al ferimento di militari statunitensi. Venne catturato in quello stesso anno dopo essere rimasto ferito in combattimento. Funzionari Usa che hanno chiesto di mantenere l’anonimato hanno riferito che il Congresso recentemente è stato informato del trasferimento del prigioniero. Il Congresso, che ha vietato il trasferimento negli Stati Uniti dei prigionieri detenuti a Guantánamo, non ha però varato una legge simile per quanto riguarda i prigionieri detenuti in Afghanistan. Un portavoce del Dipartimento della Giustizia interpellato dal Post non ha voluto commentare la notizia. Non è ancora chiaro di quali accuse di terrorismo dovrà rispondere Hamidullan. Gran Bretagna: record di suicidi nelle carceri inglesi, dal 2012 al 2013 aumentati del 69% di Ivano Abbadessa www.west-info.eu, 25 ottobre 2014 Dal periodo 2012-13 al 2013-14 il numero di suicidi nella galere inglesi è aumentato del 69%. L’incremento percentuale più alto negli ultimi dieci anni. Una situazione carceraria definita spaventosa e inaccettabile dalla relazione annuale dell’Ispettore capo delle prigioni di Sua Maestà. Nella sua relazione, inoltre, il funzionario denuncia come gli istituti di reclusione d’Oltremanica registrino crescente violenza, deterioramento della sicurezza e sovraffollamento.