Giustizia: l’ergastolo è come la pena di morte, lo dice il Papa di Luca Kocci Il Manifesto, 24 ottobre 2014 Bergoglio davanti all’Associazione Internazionale di Diritto Penale, contro la deriva del "populismo penale": "Giustizia non è vendetta". Abolire la pena di morte, l’ergastolo - una "pena di morte nascosta" - e la carcerazione preventiva, rinunciare ai regimi di massima sicurezza - vere e proprie forme di "tortura", risolvere il sovraffollamento delle prigioni. È stato un discorso a 360 gradi sui nodi della questione penale e della situazione carceraria quello che ieri papa Francesco ha tenuto in Vaticano davanti a una delegazione dell’Associazione internazionale di diritto penale. Non è la prima volta che Bergoglio parla di carcere. Lo aveva fatto già diverse volte durante il suo pontificato. Il lungo discorso di ieri riprende alcune delle cose dette, ma le sistematizza in una trattazione organica che affronta punto per punto problemi grandi e piccoli dell’universo giudiziario. Il punto di partenza è la constatazione che nelle società moderne dominate dall’ideologia securitaria la giustizia assume spesso i connotati di vendetta e pena preventiva. La meta è "una giustizia che rispetti la dignità e i diritti della persona umana". In mezzo una serie di interventi che gli Stati e la politica dovrebbero mettere in atto. Il ministro della Giustizia Orlando ascolta e twitta: "Le parole del papa sul senso e la finalità della pena devono far riflettere la politica e l’azione delle istituzioni". La ricerca di "capri espiatori" e "la tendenza a costruire deliberatamente dei nemici", dice Francesco, sono dinamiche presenti anche oggi. "Tanto da alcuni settori della politica come da parte di alcuni mezzi di comunicazione, si incita talvolta alla violenza e alla vendetta, pubblica e privata, non solo contro quanti sono responsabili di aver commesso delitti, ma anche contro coloro sui quali ricade il sospetto, fondato o meno, di aver infranto la legge". C’è la convinzione che "attraverso la pena pubblica si possano risolvere i più disparati problemi", accantonando così gli interventi "di politica sociale, economica e di inclusione", i soli realmente efficaci. Una deriva di "populismo penale" per cui il sistema giudiziario "va oltre la sua funzione" e "si pone sul terreno delle libertà e dei diritti delle persone, soprattutto di quelle più vulnerabili, in nome di una finalità preventiva la cui efficacia, finora, non si è potuto verificare". Questo riguarda l’applicazione di sanzioni estreme come la pena di morte ("È impossibile immaginare che oggi gli Stati non possano disporre di un altro mezzo che non sia la pena capitale per difendere dall’aggressore ingiusto la vita di altre persone", dice Bergoglio) e l’ergastolo; ma anche, specularmente, la resistenza a concedere "sanzioni penali alternative al carcere". La pena di morte, aggiunge il papa, non riguarda solo gli Stati che la prevedono formalmente, ma anche tutti gli altri, perché sono pena di morte le "guerre" e le "esecuzioni extragiudiziali", "omicidi deliberati commessi da alcuni Stati e dai loro agenti, spesso fatti passare come scontri con delinquenti o presentati come conseguenze indesiderate dell’uso ragionevole, necessario e proporzionale della forza". Forse Bergoglio pensava alla "sua" Argentina sotto la dittatura militare, ma non c’è bisogno di spingersi né così lontano né così indietro nel tempo. Il papa affronta anche i temi della "carcerazione preventiva" (una "pena illecita occulta, al di là di una patina di legalità"), della "reclusione in carceri di massima sicurezza" - equiparata alla tortura - e della "tortura fisica e psichica", la cui pratica è diffusa anche in situazioni ordinarie: "Si tortura non solo in centri clandestini di detenzione o in moderni campi di concentramento, ma anche in carceri, istituti per minori, ospedali psichiatrici, commissariati e altri centri e istituzioni di detenzione e pena". Qualche parola anche sui crimini che "non potrebbero mai essere commessi senza la complicità, attiva od omissiva, delle pubbliche autorità": la "schiavitù" e la "tratta delle persone" (reati di "lesa umanità") e la "corruzione", il più subdolo dei reati secondo Bergoglio, "perché il corrotto si crede un vincitore". "La corruzione - aggiunge - è un male più grande del peccato. Più che perdonato, questo male deve essere curato". Le stesse parole che in due diverse occasioni il papa ha rivolto ai cardinali della Curia romana e ai politici italiani. Giustizia: il Papa; carcerazione preventiva è illegale, prigione può essere forma di tortura Il Garantista, 24 ottobre 2014 Papa Francesco torna a parlare di carceri e tuona contro l’ergastolo, definendolo una "pena di morte nascosta". Oggi il Papa ha ricevuto l’Associazione Internazionale di Diritto Penale e non ha usato mezzi termini. Bergoglio ha lanciato un messaggio molto chiaro alla politica: "Tutti i cristiani e gli uomini di buona volontà sono chiamati oggi o a lottare non solo per l’abolizione della pena di morte, legale o illegale che sia, e in tutte le sue forme, ma anche al fine di migliorare le condizioni carcerarie, nel rispetto della dignità umana delle persone private della libertà, e questo io lo collego con l’ergastolo" - il pontefice conclude - "l’ergastolo è una pena di morte nascosta". Le posizioni garantiste espresse dal Papa sono come un’oasi nel deserto del giustizialismo più sfrenato. Impossibile non cogliere il messaggio nel momento in cui in Italia si sta discutendo la riforma della giustizia. "Una forma di tortura è a volte quella che si applica mediante la reclusione in carceri di massima sicurezza", con la "mancanza di stimoli sensoriali, la completa impossibilità di comunicazione e la mancanza di contatti con altri esseri umani". E questo accade a volte "anche in altri penitenziari" -ammonisce Francesco -" Non solo in centri clandestini di detenzione o in moderni campi di concentramento, ma anche in carceri, istituti per minori, ospedali psichiatrici, commissariati e altri centri e istituzioni di detenzione e pena. Queste crudeltà sono un autentico ‘plus’ di dolore che si aggiunge ai mali propri della detenzione". Papa Francesco non si limita a condannare l’ergastolo, ma si scaglia anche contro la carcerazione preventiva, descrivendola come una misura "pericolosa" "La carcerazione preventiva quando in forma abusiva procura un anticipo della pena, previa alla condanna, o come misura che si applica di fronte al sospetto più o meno fondato di un delitto commesso" costituisce "un’altra forma contemporanea di pena illecita occulta, al di là di una patina di legalità". "Il sistema penale va oltre la sua funzione propriamente sanzionatoria e si pone sul terreno delle libertà e dei diritti delle persone, soprattutto di quelle più vulnerabili, in nome di una finalità preventiva la cui efficacia, fino ad ora, non si è potuto verificare, neppure per le pene più gravi, come la pena di morte", insiste Pontefice. Il Papa mette in guardia dalla giustizia "vendicativa" che nasce dai peggiori impulsi umani. La dinamica della vendetta, secondo Bergoglio, "non è assente nelle società moderne: la realtà mostra che l’esistenza di strumenti legali e politici necessari ad affrontare e risolvere conflitti non offre garanzie sufficienti ad evitare che alcuni individui vengano incolpati per i problemi di tutti". "Oggi si è anche affievolito il dibattito sulla sostituzione del carcere con altre sanzioni penali alternative". La mentalità che viene diffusa, infatti, è quella che con "una pena pubblica si possano risolvere i più disparati problemi sociali, come se per le più diverse malattie ci venisse raccomandata la medesima medicina". Giustizia: sull’ergastolo parole sante di Stefano Anastasia (Associazione Antigone) Il Manifesto, 24 ottobre 2014 Il discorso del Papa. Noi, invece, siamo ancora qui: giace alla Camera, sottoposta a una sfilza di audizioni, la proposta di legge per l’introduzione del reato di tortura, già approvata (seppure in modo non soddisfacente) dal Senato. E l’abolizione dell’ergastolo è rimasto un ricordo lontano. Ci voleva Papa Francesco perché l’esplicita condanna della pena dell’ergastolo fosse pubblicamente pronunciata. E già che lui, motu proprio, nel piccolo Stato della Città del Vaticano la ha già abolita, nel luglio dello scorso anno, quando ha anche reso penalmente perseguibile la tortura. Noi, invece, siamo ancora qui: giace alla Camera, sottoposta a una sfilza di audizioni, la proposta di legge per l’introduzione del reato di tortura, già approvata (seppure in modo non soddisfacente) dal Senato. E l’abolizione dell’ergastolo è rimasto un ricordo lontano, confinato nell’approvazione da parte di Palazzo Madama del disegno di legge voluto da Ersilia Salvato e limato da Salvatore Senese. Correva l’anno 1997. Qualche tempo dopo ci sono tornate le Commissioni per la riforma del codice penale presiedute da Carlo Federico Grosso e da Giuliano Pisapia, ma mai nessun ministro ha avuto il coraggio di depositare in Parlamento le loro proposte. E così, complice una discutibile giurisprudenza della Corte costituzionale e l’invenzione dell’ "ergastolo ostativo" (l’ergastolo senza possibilità di revisione), gli ergastolani aumentano progressivamente e inesorabilmente nelle nostre carceri. Sembra di riascoltare le parole di Aldo Moro, nella sua memorabile lezione contro la pena di morte e contro l’ergastolo (ora in Contro l’ergastolo, Ediesse 2009): "L’ergastolo è una pena di morte nascosta", ha detto ieri Papa Francesco a una delegazione di studiosi del diritto penale. E lo ha detto in un discorso non solo contro la pena di morte (con accenti ben più radicali di quelli da lui stesso richiamati dell’Evangelium Vitae di Giovanni Paolo II e del Catechismo della Chiesa cattolica), contro la tortura, contro la reclusione in carceri di massima sicurezza e contro l’abuso della custodia cautelare, ma più in generale contro l’abuso del diritto penale. "Negli ultimi anni si è diffusa la convinzione che attraverso la pena pubblica si possano risolvere i più disparati problemi sociali", quando invece servirebbe "l’implementazione di un altro tipo di politica sociale, economica e di inclusione". "C’è la tendenza a costruire deliberatamente dei nemici: figure stereotipate che concentrano in se stesse tutte le caratteristiche che la società percepisce o interpreta come minacciose". È questo il "populismo penale" che Papa Francesco non ha paura di chiamare con il suo nome, individuando anche le responsabilità di "alcuni settori della politica" e di "alcuni mezzi di comunicazione" che incitano "alla violenza e alla vendetta, pubblica e privata, non solo contro quanti sono responsabili di aver commesso delitti, ma anche contro coloro sui quali ricade il sospetto, fondato o meno, di aver infranto la legge". Intanto, su Micromega, un gruppo di signori perbene inneggia al giustizialismo redentore ("Solo il giustizialismo ci può salvare!"), dove si racconta di pene che non iniziano mai, di impunità e di propositi di lavori forzati: così, come se si fosse sul pratone di Pontida. Giustizia: Gonnella (Antigone); la politica italiana prenda esempio da Papa Francesco Ansa, 24 ottobre 2014 "Con le parole pronunciate oggi di fronte all’Associazione Internazionale di Diritto Penale, Papa Francesco ha dimostrato qualcosa di più di una generica attitudine cristiana verso la vita. Nel pronunciarsi contro ogni forma di pena di morte incluso l’ergastolo, ha parlato di pene che devono rispettare la dignità umana e non essere forme di tortura, ha parlato di una giustizia selettiva che è forte con i deboli e debole con i forti, ha parlato di un sistema penale troppo invasivo e dell’assurdità del fatto che il carcere sia la sola pena prevista. Tutte cose che noi andiamo dicendo da sempre. La Chiesa guidata da Bergoglio mostra di avere una lettura profonda della società. Siamo stati abituati a decenni in cui il problema principale sembrava essere quello dell’inizio o della fine della vita. Adesso la Chiesa dimostra di occuparsi della vita stessa e di essere davvero vicina ai più bisognosi. Che la politica impari dalle parole di Bergoglio. Si cominci con l’introdurre il delitto di tortura e con l’abolire subito la pena dell’ergastolo, dando lo stesso segnale di civiltà giuridica che ha saputo dare il Papa facendo queste cose alcuni mesi fa nell’ordinamento Vaticano". Amnesty Italia: parole di Bergoglio portino a introduzione reato tortura "Le parole di Papa Francesco spingano le istituzioni italiane, con oltre un quarto di secolo in ritardo, all’introduzione del reato di tortura". È l’appello all’Adnkronos di Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, dopo l’intervento del Papa contro la tortura e la privazione della dignità di chi vive la reclusione. "Amnesty apprezza le parole chiare, forti e definitive sulla pena di morte" pronunciate dal Papa e il fatto che "ci sia rispetto per una condizione transitoria che priva dei diritti ma non della dignità". A giudizio di Noury è importante "che venga pronunciata la parola tortura" da una così alta istituzione e che sia "accostata alle carceri", in quanto "spesso le due cose sconfinano l’una nell’altra". Giustizia: Ucpi; dopo parole di Papa Francesco l’ergastolo va abolito e il 41-bis riformato Adnkronos, 24 ottobre 2014 "L’ergastolo deve essere abolito, le carceri devono garantire il rispetto della dignità dell’uomo, il regime carcerario del 41-bis deve essere radicalmente riformato, la custodia cautelare deve essere l’extrema ratio e non l’anticipazione della pena". È questa la posizione dell’unione camere penali italiane a commento le parole del Papa che condannano ergastolo, carcerazione preventiva e invitano al rispetto di chi subisce "a volte forme di tortura" nella privazione della dignità. Il discorso di Papa Francesco "tocca i temi fondamentali del sistema penale e lo fa come sempre in modo coraggioso e schietto, senza alcuna possibilità di fraintendimento" commentano i penalisti. "Le parole del Santo Padre esprimono principi da sempre sostenuti dall’unione camere penali, e nei quali essa crede fermamente, che mettono l’uomo, la sua individualità e la sua dignità personale al centro come valore fondante ed imprescindibile di ogni sistema sociale" sottolineano gli appartenenti all’unione camere penali. Su tutti questi temi, concludono i penalisti, "non c’è più tempo da perdere, troppo ne è già stato speso inutilmente e le sofferenze che sono ingiustamente procurate a chi subisce gli effetti e le modalità di pene inique, di carcerazioni inutili, obbligano tutti e ciascuno a rispondere con solerzia e coscienza alle parole illuminate e cariche di umanità del Papa". Giustizia: no alla tortura, sì alla dignità: che bello sentire il Papa vicino a noi poveri cristi! di Susanna Marietti (Antigone) Il Garantista, 24 ottobre 2014 Il prossimo 27 ottobre l’Italia sarà sotto la lente del Consiglio dei Diritti umani delle Nazioni unite nell’ambito della cosiddetta Revisione periodica universale, una procedura secondo la quale ogni quattro anni tutti ì Paesi si trovano sottoposti a una valutazione delle loro politiche relative ai diritti umani e della loro situazione complessiva sul tema. Quattro anni fa, in occasione della precedente tornata italiana, l’allora sottosegretario agli Esteri Vincenzo Scotti ebbe da rispondere all’insistente raccomandazione a proposito della necessità di introdurre il reato di tortura nel codice penale italiano con un abusato quanto inconsistente argomento: il reato non serve, egli sostenne, perché tutti i comportamenti che configurano la tortura sono già ampiamente puniti dal nostro ordinamento. Ovviamente non è cosi, come i fatti di Genova e molti altri accadimenti ci hanno ormai mostrato al di là dì ogni ragionevole dubbio. Non per pignoleria la Convenzione Onu contro la tortura -della quale naturalmente siamo parte, pur senza vergognarci affatto di disattenderla - impone agli Stati di prevedere uno specifico reato. Ma forse Scotti non si sarebbe arreso neanche di fronte all’evidenza della sentenza che all’inizio del 2012 ha scritto nero su bianco che le violenze brutali perpetrate ai danni di due detenuti reclusi nel carcere di Asti rispondevano perfettamente alla definizione dì tortura formulata dalle Nazioni unite e contestualmente mandava liberi i poliziotti torturatori per mancanza di strumenti giuridici idonei alla loro persecuzione. Che differenza di orizzonte, di respiro politico, di capacità di lettura del mondo tra le parole governative del 2010 e quelle papali di oggi, quando di fronte all’Associazione internazionale di Diritto penale Bergoglio ha affermato che alcune forme dì detenzione del nostro tempo sono equiparabili alla tortura e che la pena di morte va sempre bandita, anche quando si presenta sotto forma di ergastolo. Alcuni mesi fa papa Francesco ha motu proprio introdotto il reato di tortura e cancellato la pena perpetua dall’ordinamento vaticano. Ma nel suo discorso di oggi il papa non si è fermato qui, dimostrando di non indulgere in una generica attitudine cristiana di vicinanza verso chi soffre ma di fare propria piuttosto una visione del mondo e dei rapporti sociali complessa e profonda. La minaccia penale, ha detto, non può essere il solo strumento di risoluzione dei problemi sociali. E, quando pur quella minaccia si renda inevitabile, il carcere non può essere la sola pena prevista per chi delinque. E quando poi si arrivi tuttavia all’estrema ratio carceraria, la pena deve sempre e comunque rispettare la dignità umana. Ancor prima e ancor più di tutto ciò, l’analisi del papa si è fermata sulla selettività del sistema penale, che acchiappa nella propria rete i poveracci e lascia scappare i potenti, Sono i poveracci le vittime della nostra giustizia, come sa benissimo chiunque si sia fatto una passeggiata nelle patrie galere. Quei poveracci che finalmente la Chiesa guidata da Bergoglio riconosce come coloro con cui il Vangelo ci spinge a solidarizzare, là dove per decenni volevano farci credere che fossero solo gli embrioni che non si voleva far nascere o i malati che volevano decidere del proprio fine vita. Oggi finalmente chi si batte per la tutela dei diritti umani e delle libertà civili può sentire la Chiesa come una propria alleata. La condanna dell’Italia da parte della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di un anno e mezzo fa relativa ai trattamenti inumani e degradanti nei confronti dei detenuti, la cosiddetta sentenza Torreggiani, avrebbe potuto costituire una spinta per un ripensamento complessivo e organico di tutto il sistema. Non lo è stata. Ma tuttavia alcune riforme, seppur parziali e disorganiche, sono sicuramente andate nella giusta direzione. Che non ci si fermi adesso. Che il fatto che l’emergenza sembri ad alcuni finita non ci faccia distogliere l’attenzione. Che la politica italiana ascolti le parole di papa Francesco. E che in seguito a quel che accadrà il prossimo 27 ottobre non abbia di nuovo a dire che qui non c’è niente che non va e che la tortura è roba da terzo mondo. Senza perdere altro tempo, si introduca il reato di tortura nel codice italiano, ponendo fine alla nostra inadempienza internazionale, E si abolisca la pena dell’ergastolo, uscendo dall’incivilita giuridica di una società che ancora lo prevede. Giustizia: il Senatore Manconi "mai un leader così avanti… la giustizia non è vendetta" di Maria Elena Vincenzi La Repubblica, 24 ottobre 2014 "Un discorso di grandissima qualità giuridica ed etica che, tra l’altro, critica a fondo il populismo penale. Ovvero l’idea della sanzione come vendetta che utilizza la pena per affrontare le contraddizioni della vita sociale". Luigi Manconi, presidente della Commissione diritti umani, è ammirato dall’intervento del Papa. Senatore, partiamo dal no all’ergastolo. "Il Pontefice ricorre a una formula simile a quella che il pensiero giuridico più critico ha utilizzato per contestare il giustizialismo. Il discorso non è solo contro la pena di morte, ma anche contro l’ergastolo, la tortura e tutti i trattamenti inumani e degradanti. Francesco utilizza la lingua delle convenzioni internazionali e ricorda come il codice del Vaticano abbia abolito anche l’ergastolo, definito "una pena di morte nascosta". E le critiche contro il regime carcerario? "La straordinaria modernità del ragionamento emerge proprio nell’analisi di tutti gli istituti che noi siamo abituati, pigramente, a vedere solo nel carcere. n Papa indica gli istituti per minori, gli ospedali psichiatrici giudiziari e quei "campi" che, nelle legislazioni europee e per la mia esperienza, non possono essere altro che i Cie per migranti. Questo è importante perché il moderno sistema del sorvegliare e punire passa attraverso molti luoghi di imprigionamento". Altre cose che l’hanno colpita? "Due formidabili richiami: quello alla dignità della persona, criterio da affermare prima e a prescindere dalla condanna. E quello alla "cautela nella pena", che, nel linguaggio giuridico laico, corrisponde alla necessità di evitare ogni pena che possa comportare sofferenza maggiore di quella che la pena stessa intende riparare". Che conseguenze avrà questo discorso? "Nessun leader europeo ha mai detto cose simili. Il messaggio alle Camere del presidente Napolitano andava nella medesima direzione e rimase inascoltato. Mi auguro con tutto il cuore che non accada lo stesso per questo messaggio di così radicale forza morale". Giustizia: la scrittrice Giralucci "non sono convinta, ma le pene devono essere più umane" di Francesco Grignetti La Stampa, 24 ottobre 2014 Silvia Giralucci, scrittrice e regista, figlia di quel Graziano Giralucci, militante del Msi, che fu freddato dalle Brigate Rosse durante un’irruzione in una sezione di partito a Padova, da qualche tempo frequenta la redazione di "Ristretti Orizzonti", rivista che nasce in carcere. Giralucci, perché questa attenzione verso il mondo del carcere? "È accaduto dopo un convegno. Ho capito che poteva essere utile per loro, troppo chiusi in un circuito di autoreferenzialità, e utile per me, mai avevo incontrato degli assassini che sono cambiati nel corso del tempo". Incontra anche ergastolani? "Sicuramente. Frequentano le riunioni di redazione anche alcuni ergastolani ostativi, quelli che, nonostante la vulgata, sono destinati a restare dentro una cella fino alla morte. Pochi conoscono questa realtà. Anzi, tanti sono convinti che l’ergastolo in Italia sia un modo di dire. Invece no. Ci sono 1.000 o 1.200 ergastolani che, sulla base di un mero articolo del regolamento carcerario, non possono beneficiare di un permesso o della semilibertà". In effetti l’ergastolo ostativo è una realtà poco conosciuta, introdotto per regolamento e non per legge dopo le stragi di mafia del 1992. "Le domande di permesso di questi ergastolani non vengono prese nemmeno in considerazione dal giudice di sorveglianza, neppure per presenziare al funerale della madre... Ma io mi domando: è coerente con la nostra Costituzione e con la funzione rieducativa della pena". Lei, vittima, come la vede? "Se partecipo da volontaria al lavoro di "Ristretti Orizzonti" non è perché mi sento una buona samaritana. Lo faccio perché è un percorso positivo. Loro possono confrontarsi con una vittima, io posso vedere queste persone cambiare. È un dialogo che ci sta cambiando. Vede, io sono consapevole che l’ergastolo vero è quello a cui è condannata la vittima. Ma purtroppo non c’è nessuna pena, né l’ergastolo, né la pena di morte, che può sollevare la vittima. Sarebbe più utile prendersi cura delle vittime, farsene carico da un punto di vista psicologico e materiale, seguirle, ma sa, sono tutte cose molto faticose.... meglio prendere il colpevole e buttare la chiave". Che pensa dell’appello del Papa? In fondo è la linea abolizionista di "Ristretti Orizzonti". "Io personalmente non sono convinta di un’abolizione tout court. Ma di rendere civile la pena, questo sì. Che senso ha, per dire, negare i rapporti famigliari? La società che cosa ha da guadagnare se il detenuto, quando esce, non trova ad attenderlo una famiglia affettuosa? Pensiamoci". Giustizia: il filosofo Novak "sulle esecuzioni capitali in America la Chiesa è ancora divisa" di Paolo Mastrolilli La Stampa, 24 ottobre 2014 Gli Stati Uniti si stanno muovendo verso l’abolizione della pena di morte, e le sollecitazioni di Francesco sulla necessità di "cominciare a pensare alle alternative all’ergastolo" sono benvenute. Lo pensa Michael Novak, uno dei filosofi cattolici americani più autorevoli, che con i suoi giudizi segnala anche una evoluzione in corso nella società del suo Paese. La pena di morte infatti resta legale negli Usa, e fino a pochi anni fa la sua popolarità sembrava impossibile da scalfire. Negli ultimi tempi, però, sono diminuite le esecuzioni e aumentati gli Stati che non le consentono. Il Papa con il suo discorso ha attirato l’attenzione sui limiti del sistema carcerario. Come giudicale sue parole? "Le condizioni della vita quotidiana sono terribili in molte parti del mondo, ma spesso le prigioni sono incomparabilmente peggiori. Visitare i detenuti è una delle richieste che Cristo fa a tutti noi. Quindi io applaudo l’attenzione che Papa Francesco ha dato a questo problema, e sostengo quei gruppi internazionali come Prison Fellowship che offrono cura personale ai prigionieri". Il pontefice ha detto anche che l’ergastolo è una forma nascosta di condanna a morte. "Papa Francesco agisce creativamente, sollecitandoci ad iniziare a pensare alle alternative alla prigione a vita. Di sicuro c’è molto lavoro creativo che può essere fatto in questo campo, unito alle garanzie per la sicurezza del pubblico". Francesco chiede apertamente l’abolizione della pena di morte, che negli Usa ha sempre avuto un forte sostegno popolare. Così mette in difficoltà vescovi e sacerdoti americani, che dovranno spingere i loro fedeli su una strada non condivisa dal pubblico? "Negli Stati Uniti, in realtà, un ampio numero dei nostri cinquanta stati ha già vietato la pena capitale, e molti nostri cittadini vogliono la sua abolizione. Altri invocano ancora gli argomenti classici in favore delle esecuzioni, che erano stati sostenuti a lungo dalla Chiesa. La questione si sta decidendo democraticamente, stato per stato". Esiste la possibilità di arrivare all’abolizione negli Usa? "La ragione per cui già papa Giovanni Paolo II aveva rotto con gli argomenti tradizionali in favore della pena capitale stava nel fatto che riteneva la moderna amministrazione statale troppo insensibile e inaffidabile su una questione così pesante. Le sue procedure mancano di trasparenza e la responsabilità personale è facilmente evasa. Giovanni Paolo II aveva sostenuto argomenti simili anche contro l’inerente irresponsabilità della moderna amministrazione dello stato sociale". Giustizia: perché il Papa vuole abolire l’ergastolo? di Lucetta Scaraffia Il Messaggero, 24 ottobre 2014 Papa Francesco è intervenuto ancora una volta per affrontare il nodo problematico fra giustizia e misericordia, schierandosi a favore della misericordia anche nei confronti dei colpevoli. Il discorso appassionato e forte che ha rivolto ai rappresentanti dell’Associazione internazionale di diritto penale gli ha permesso di esporre con ampiezza i suoi pensieri su questi temi, nodi drammatici sui quali ha molto riflettuto. Innanzi tutto il Papa ha segnalato le possibili distorsioni. Ciò nella fase cruciale del momento del giudizio, quando prevale la logica del capro espiatorio, cioè l’illusione di risolvere per via giudiziaria problemi che hanno bisogno invece di altri tipi di intervento. Il Papa chiama questo atteggiamento "populismo penale" e lo considera matrice di stereotipi negativi, tali da portare perfino alla condanna di innocenti. Le distorsioni della giustizia creano anche altre condizioni ingiuste di detenzione: la carcerazione preventiva - ricorda opportunamente - è una pena illecita a cui tanti esseri umani sono sottoposti, magari ingiustamente. Ma anche chi ha commesso reati non deve in nessun caso - il Papa non ammette eccezioni - essere sottoposto a tortura, anche quando la tortura consiste "solo" in condizioni gravi di isolamento, e i giudici devono esercitare molta cautela nell’applicazione della pena, considerando anche le condizioni carcerarie in gran parte del mondo. In molti paesi, infatti, si costringono "i detenuti a vivere in uno stato inumano e degradante". Se le condizioni detentive sono disumane, il condannato non ha neppure l’occasione di pentirsi, di cambiare vita, perché la sua mente è paralizzata dall’ira e dall’odio, e la mancanza di rispetto nei suoi confronti, può diventare motivo di comportamenti autodistruttivi e aggressivi. Francesco ha invitato anche a giudicare con misericordia i più deboli, cioè i giovani, i vecchi, i malati. Nel discorso del Papa c’è poi un punto particolarmente forte, e che non sarà da tutti condiviso: Francesco infatti chiede di abolire non solo la pena di morte (appello sacrosanto per un indiscusso atto di civiltà), ma anche l’ergastolo, che definisce "una pena di morte nascosta". È una richiesta che fa pensare: bisogna cancellare l’ergastolo anche per mafiosi sanguinari che non si sono pentiti ma che anzi, come talvolta risulta da intercettazioni ambientali, continuano a dare ordini per far compiere violenze e crimini? Ci farebbe piacere sapere che fra qualche anno uno di questi capi criminali possa tornare in libertà, a dirigere la malavita organizzata? Nella mia vita di docente universitaria mi è capitato di dovermi recare in carcere a fare esami a detenuti che dovevano scontare l’ergastolo, sottoposti a regimi duri. Sono state esperienze terribili e inquietanti, e devo confessare che l’idea di vederli uscire dopo un certo numero di anni non mi sorride. Detto questo, il nostro sistema giudiziario già prevede che - nei casi ormai rari in cui vengono comminati ergastoli - per i detenuti pentiti e ravveduti, le condanne a vita siano tramutate in pene meno radicali, se non addirittura in percorsi di reinserimento nella società. Come ha detto giustamente Papa Francesco, bisogna infatti pensare sempre a pene sostitutive del carcere che possano essere occasioni di riabilitazione del colpevole. In casi estremi - davanti a reati di associazioni criminali, terrorismo, delitti efferati o a violenze ripetute sui deboli, come nei casi della tratta di esseri umani - e in assenza di pentimento, l’ergastolo deve essere mantenuto. Però dovrebbe esistere unicamente per i delinquenti senza rimorso, per i quali, in un certo senso, la vita racchiusa nel male è già, comunque, una condanna perenne. Giustizia: bonus a chi assume detenuti, sgravi fiscali (700 € al mese) e contributivi (95%) di Valerio Stroppa Italia Oggi, 24 ottobre 2014 In Gazzetta Ufficiale il decreto del ministero della giustizia. Crediti d’imposta lunghi. Bonus fiscale fino a 700 euro al mese e sgravi contributivi del 95% per le imprese che assumono detenuti. I benefici saranno fruibili anche nei 18 mesi successivi alla scarcerazione, purché il rapporto sia stato avviato prima. A disposizione ci sono 20 milioni di euro per i contratti siglati nel 2013 e 10 milioni annui dal 2014 in avanti. È quanto prevede il decreto del ministero della giustizia n. 148 del 24 luglio 2014, pubblicato sulla G.U. n. 246 di ieri. Il testo è approdato in Gazzetta dopo che via Arenula ha apportato le modifiche richieste dal Consiglio di stato a inizio anno. Sia la legge n. 193/2000 sia la n. 381/2001 prevedono incentivi statali a favore delle imprese pubbliche e private che assumono lavoratori detenuti o internati per un periodo di tempo non inferiore a 30 giorni. Il nuovo regolamento aggiorna le modalità attuative del meccanismo, anche alla luce degli stanziamenti aggiuntivi deliberati dal governo nel corso del 2013. Il credito di imposta è volto a coprire in tutto o in parte il costo sostenuto per ogni assunzione, con un massimo di 700 euro mensili per il 2013 e a 520 euro dal 2014. Se il rapporto lavorativo è part-time, il beneficio va rapportato all’orario effettivo. Bonus ammissibile pure per l’assunzione di lavoratori semiliberi provenienti dalla detenzione: in questo caso il tetto è fissato a 350 euro mensili per il 2013 e a 300 euro dal 2014. Oltre al periodo di assunzione minimo di 30 giorni, per accedere all’incentivo è richiesto alle imprese un altro requisito: il trattamento economico corrisposto al lavoratore non deve essere inferiore a quello previsto dal Ccnl di quel determinato settore. Nell’ottica di favorire il reinserimento sociale dei detenuti, poi, i crediti d’imposta vengono estesi ai 18 mesi successivi alla cessazione delio stato detentivo, a condizione che l’assunzione sia avvenuta precedentemente (per i soggetti in semilibertà, il bonus si estende per 24 mesi). Il tax credit non rileverà ai fini Irap e sarà fruibile in compensazione nel modello F24, nel rispetto del limite annuale di 250 mila euro per i crediti d’imposta da indicare nel quadro Ru di Unico. A partire dal 2015 la delega di pagamento potrà essere presentata solo in via telematica. Per poter accedere al beneficio le imprese interessate devono stipulare un’apposita convenzione e con l’istituto penitenziario dal quale intendono selezionare i lavoratori. Saranno poi ì provveditorati regionali dell’amministrazione penitenziaria a interfacciarsi con il Dap per gli aspetti procedurali. Il ministero comunicherà i dati all’Agenzia delle entrate per consentire futuri controlli. Anche sotto il profilo contributivo sono previsti benefici per le aziende che assumono. In particolare, le aliquote previdenziali e assistenziali saranno abbattute del 95%. Anche nei 18 o 24 mesi successivi alla cessazione della detenzione. Giustizia: Consulta; madri con figli fino a 10 anni detenute in casa, anche per reati gravi di Antonio Ciccia Italia Oggi, 24 ottobre 2014 Le mamme di figli fino a dieci anni, condannate per gravi reati, possono avere la detenzione domiciliare. La tutela della prole deve essere bilanciata, caso per caso, con la tutela sociale in relazione a gravi delitti. La Corte costituzionale (sentenza 239 depositata il 22 ottobre 2014) ha dichiarato l’illegittimità dell’articolo 4-bis della legge 354/1975 (Ordinamento Penitenziario), nella parte in cui non esclude dal divieto di concessione dei benefici penitenziari la misura della detenzione domiciliare speciale prevista dall’art. 47-quinquies della legge 354/1975 per le mamme di bambini fino a dieci anni. Stessa illegittimità (e quindi possibilità di concedere il beneficio) riguarda l’articolo 47-ter, comma 1, lettere a) e b), della legge n. 354 del 1975: è la detenzione domiciliare ordinaria concedibile alla donna incinta e al padre di bambini fino a dieci anni, in caso di madre morta o impossibilitata a curare la prole. Naturalmente, precisa la sentenza della Consulta, la concessione del beneficio rimane comunque subordinata alla verifica della insussistenza di un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti. Il caso specifico ha riguardato una donna di origine nigeriana, condannata a nove anni e sei mesi di reclusione, per il reato di riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù e tratta di persone. La donna aveva portato con sé il proprio bambino all’atto dell’incarcerazione (in quanto di età inferiore ai tre anni) e una volta che lo stesso ha superato i tre anni è i servizi sociali hanno trovato una sistemazione in una struttura di accoglienza, idonea a ospitare madre e figlio. Esclusa anche la pericolosità della donna, l’unico ostacolo alla detenzione domiciliare era rappresentato dal divieto posto dall’articolo 4 bis dell’ordinamento penitenziario. La Consulta ha ripercorso la storia della disposizione e ha considerato prioritario l’interesse di un soggetto debole, distinto dal condannato e particolarmente meritevole di protezione, quale quello del minore in tenera età a instaurare un rapporto quanto più possibile normale con la madre (o, eventualmente, con il padre) in una fase nevralgica del suo sviluppo. La Corte costituzionale ha, quindi, ritenuto che la norma restrittiva sia in contrasto con il principio di uguaglianza e con gli articoli della Costituzione posti a tutela della famiglia, del diritto-dovere di educazione dei figli, e della protezione dell’infanzia. È vero, riconosce la Corte, che nemmeno l’interesse del minore a ricevere l’affetto e le cure materne, può essere garantito in assoluto, in quanto da bilanciare con le esigenze di difesa sociale. Ma non per questo bisogna cadere nell’errore opposto di escludere sempre e comunque la detenzione domiciliare della madre: bisogna fare valutazioni caso per caso e non escludere il beneficio a priori, come faceva la legge. Giustizia: Bernardini (Ri); risarcimenti detenuti per "trattamento inumano" non effettivi Adnkronos, 24 ottobre 2014 La legge che prevede risarcimenti ai detenuti che abbiano subito trattamenti inumani in violazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo "non risponde a quanto aveva chiesto all’Italia la corte di Strasburgo, e cioè che i risarcimenti fossero effettivi. Noi abbiamo la prova che tali non sono". A denunciarlo è il segretario dei Radicali Rita Bernardini. "Abbiamo ricevuto ordinanze di inammissibilità di richieste di detenuti emesse da alcuni magistrati di sorveglianza - spiega Bernardini all’Adnkronos - che hanno dato alla legge una interpretazione in base alla quale la richiesta va accolta solo se il pregiudizio sia attuale, e non riferito al passato". E spesso per gli stessi magistrati "è complicato ricostruire le passate detenzioni: per farlo si dovrebbe poter disporre di tutte le informazioni relative alle situazioni in cui sono stati ristretti: quali erano le condizioni igieniche, di aria o di luce, quante erano le persone in cella. Un aiuto il tal senso dovrebbe arrivare dal Dap, cosa che non succede". Il segretario dei Radicali fa l’esempio di quanto accaduto nel distretto di Firenze: il presidente del tribunale di sorveglianza Antonietta Fiorillo, intervenendo alla trasmissione "Radio Carcere" ha fatto presente che su 1.200 istanze presentate per i 18 istituti del distretto, ne sia stata accolta solo una. Giustizia: Provenzano dovrà crepare in carcere, negato il trasferimento in lungodegenza di Luca Rocca Il Tempo Morirà come un cane. Il boss dei boss, Bernardo Provenzano, giace da più di due anni in un letto d’ospedale del reparto ospedaliero del carcere San Paolo di Milano, al 41bis. Immobile da mesi, col cervello distrutto dall’encefalopatia, con un sondino nasogastrico per nutrirsi, pesa 45 chili. Il suo cuore batte ma non ha più la cognizione dello spazio e del tempo. È un vegetale, e neanche le parole del Santo Padre, che ha definito l’ergastolo "una pena di morte nascosta, un’esecuzione", riusciranno a tirarlo fuori di lì. Pochi giorni fa il tribunale di Sorveglianza di Milano ha respinto sia la richiesta di differimento pena sollecitata d’ufficio dal magistrato di Sorveglianza, dopo che i medici hanno definito le condizioni del boss incompatibili col carcere, sia la subordinata dell’avvocato di Provenzano, Rosalba Di Gregorio, che aveva chiesto non di trasferirlo a Corleone, ma di lasciarlo in regime di carcerazione nello stesso ospedale, però nel reparto di lunga degenza, invece che in quello del "41bis". Il no dei giudici, a differenza che in passato, non è stato motivato con la pericolosità del detenuto, ma col suo interesse. Il tribunale, infatti, sostiene che "non sussistano i presupposti per il differimento dell’esecuzione della pena, atteso che Provenzano, nonostante le sue gravi e croniche patologie, stia al momento rispondendo ai trattamenti sanitari attualmente praticati che gli stanno garantendo, rispetto ad altre soluzioni ipotizzabili, una maggior probabilità di sopravvivenza". Per i giudici, dunque, che ormai parlano solo di "sopravvivenza" Provenzano può contare su terapie più adatte nel reparto in cui si trova attualmente, e spostarlo significherebbe garantirgliene di meno efficaci. Non solo. Il tribunale ha affermato che spostarlo dal presidio ospedaliero, anche solo per 48 ore, potrebbe essergli fatale, e che comunque l’attuale condizione di Provenzano è di "carcerazione astratta", nel senso che lo tengono lì solo per curarlo. E pensare che, fino a pochi mesi fa, nonostante le condizioni di salute fossero identiche a quelle attuali, la sospensione della pena veniva respinta non nell’interesse del paziente ma perché lo si riteneva comunque capace di comunicare con l’esterno e dunque impartire ordini alla mafia. Giorni addietro i medici del San Paolo, su richiesta del tribunale di Sorveglianza di Roma, nella loro relazione scrivevano: "Il paziente presenta un grave stato di decadimento cognitivo, trascorre le giornate allettato alternando periodi di sonno a vigilanza. Raramente pronuncia parole di senso compiuto o compie atti elementari se stimolato. L’eloquio, quando presente, è assolutamente incomprensibile. Si ritiene incompatibile col regime carcerario". Intanto il tribunale di Sorveglianza di Roma, che avrebbe dovuto decidere sulla revoca del 41bis per un "vegetale", ha rinviato l’udienza al 5 dicembre. Uno Stato degno di questo nome non lascia un uomo in queste condizioni al career e duro, per nessun motivo, anche se si tratta di un ex capomafia. Noi de Il Tempo, i Radicali e pochi altri garantisti, si battono per chiedere il rispetto dello stato di diritto e la fine di quest’infamia. I medici, già prima dell’ultima relazione, avevano affermato che le cellule celebrali del boss vanno distruggendosi, e presto il cuore, ne è la conseguenza, potrebbe fermarsi. La burocrazia sta uccidendo il boss. Come un cane. Lettere: non di sola prevenzione vivono i progetti di incontro tra persone detenute e studenti di Carla Chiappini Ristretti Orizzonti, 24 ottobre 2014 Ho sempre pensato che la parola prevenzione fosse troppo lunga e stretta, un corridoio utile ma angusto. Un po’ buio, dove circola poca aria. Ma non avevo le idee molto chiare; solo pensieri sparsi ed emozioni. Oggi quel sapientissimo vecchio di Zygmunt Bauman mi ha spalancato la mente. A Milano, nell’aula più bella dell’Università Cattolica, ha ragionato per circa un’ora intorno a una parola molto semplice e molto potente: dialogo. E ha più volte ripetuto che il dialogo è un’arte difficile che ci può aiutare a vivere insieme, un esercizio da praticare con continuità fino ad affermare che accettare il dialogo è una questione di vita o di morte. All’improvviso ho capito che cosa mi affascina degli incontri che il gruppo di Ristretti Orizzonti - come anche altri impegnati nelle carceri - fa nelle scuole e con le scuole; il fatto di riuscire a creare un dialogo tra mondi distanti, separati dall’anagrafe innanzitutto, poi dalla storia personale e talvolta anche da cultura, religione e provenienza. Gli adulti e i giovani innanzitutto, i detenuti e le persone libere, i colpevoli e i presunti innocenti, gli italiani e gli stranieri. È il dialogo l’oggetto più prezioso, prima ancora dei racconti e dei contenuti. Il fatto di porsi gli uni di fronte agli altri senza strategie, in un atteggiamento di apertura e di onestà, usando con responsabilità parole che non nascondono. Parole non politiche. Mi sono sempre chiesta, per la verità, con quali altri adulti questi ragazzi hanno la possibilità di confrontarsi così a fondo, di porre domande tanto delicate e difficili, ottenendo risposte chiare. Con chi? Non è scontato, proprio per niente. È una scelta di coraggio e di fiducia e, ne sono certa, questo è davvero il primo grande insegnamento: il fatto che sia possibile parlarsi, guardandosi negli occhi, senza mentire e senza fuggire. Poi vengono le storie con tutto il loro potenziale educativo e preventivo, viene quel lavoro importantissimo di scavo critico che precede e segue gli incontri coi ragazzi. Indispensabile per acquisire piena consapevolezza del ruolo delicato che si ricopre nei momenti del dialogo. Ma solo dopo. La vera rivoluzione è l’incontro, il dialogo che apre ad altri dialoghi e, forse, a un modo diverso di costruire le relazioni tra esseri umani. Più rispettoso, più empatico, più onesto. E direi anche più interessante. Marche: detenute donne solo il 3%, si trovano nelle carceri di Camerino e Pesaro www.pdmarche.net, 24 ottobre 2014 Incontro fruttuoso mercoledì tra i rappresentanti del Pd Marche, gli avvocati Nicola Perfetti e Marina Magistrelli con la dottoressa Ilse Runsteni, dirigente generale del Provveditorato regionale amministrazione penitenziaria Umbria-Marche. Le carceri delle Marche ospitano attualmente 900 detenuti. Si è quindi notevolmente ridotto il problema che affliggeva anche il nostro territorio fino a solo un anno fa. Attualmente il 20% sono in attesa di giudizio e l’80% risultano già giudicati, almeno in primo grado. Il 45% della popolazione detenuta nelle Marche è straniera e il 28% sono i detenuti per reati legati agli stupefacenti. Le donne detenute sono il 3% e si trovano nel carcere di Camerino e Pesaro. Gli avvocati Magistrelli e Perfetti hanno chiesto chiarimenti al Provveditore sull’ipotesi, allo studio del ministero, che il governo riduca a 16 i Provveditorati regionali, con un accorpamento che vedrebbe le Marche con l’Emilia Romagna ed hanno approfondito i problemi relativi alla mancata nomina dei direttori di Fossombrone e Pesaro. È risultata evidente una carenza straordinaria negli organici: le assistenti sociali sono il 50% in meno; gli educatori il 31% e la polizia penitenziaria tocca il punto massimo ad Ancona-Montacuto con il 50% di unità in meno rispetto all’organico, mentre il carcere di Pesaro (che è il carcere più grande delle Marche) ha una copertura al 90%. Il PD-giustizia delle Marche intende monitorare con continuità le criticità delle carceri marchigiane e seguire l’evoluzione relativa alla cronica mancanza di organico in modo da garantire, alla popolazione detenuta e agli operatori, una qualità della vita e della rieducazione che porti il sistema fuori dall’emergenza di questi anni. Emilia Romagna: Garante regionale dei detenuti in visita all’Ipm del Pratello, a Bologna www.bologna2000.com, 24 ottobre 2014 Desi Bruno, Garante regionale dei detenuti, si è recata in visita all’Istituto penale minorile in via del Pratello, a Bologna, accompagnata dal direttore dell’istituto, Alfonso Paggiarino, e dal comandante di reparto della Polizia penitenziaria. La Garante ha potuto toccare con mano gli "effetti perversi" del DL 92 del 26/06/14 convertito dalla legge 117/2014, rispetto al quale già questa estate aveva espresso una netta contrarietà: alla luce della modifiche apportate all’articolo 24 del decreto legislativo 272/1989, ora l’esecuzione di provvedimenti limitativi della libertà personale secondo le norme e con le modalità previste per i minorenni avviene anche nei confronti di coloro che, nel corso dell’esecuzione, abbiano compiuto il diciottesimo anno di età ma non il venticinquesimo (prima era previsto il ventunesimo). Così, nei fatti, è avvenuto il passaggio agli istituti penali minorili di coloro che non hanno ancora compiuto i 25 anni e che hanno commesso il reato da minorenni, senza escludere che siano già transitati nelle carceri degli adulti. Immediata è stata la ricaduta negativa sulla vivibilità e l’organizzazione stessa delle attività del "Pratello", che ancora soffre delle note croniche carenze strutturali che non consentono di operare una differenziazione per gruppi d’età, per pericolosità sociale, né tantomeno di dedicare ambienti per il diritto all’affettività del minore, così come richiede la circolare del Dipartimento Giustizia minorile n. 33502 del 30 settembre 2014. Alla data del 22 ottobre, dei 24 reclusi, solo 11 erano i minorenni. È intenzione della Garante richiedere con urgenza un intervento al ministero competente e ai parlamentari eletti nella regione Emilia-Romagna, puntando ad apportare modifiche alla recente novità legislativa. A causa dell’inagibilità del secondo piano (per le grosse nevicate del 2011 e gli eventi sismici del 2012), con i lavori di sistemazione finanziati e mai partiti, i ragazzi stanno in 4 in cella, sottolinea l’Ufficio del Garante. Manca un’area verde, con i ragazzi che durante i periodi della giornata che trascorrono all’aria aperta stanno tutti negli spazi del campo di calcetto, che giochino o meno. Permane la mancanza di un sistema di videosorveglianza. E non sono ancora iniziati i lavori di adeguamento dell’area cortiliva e dei luoghi annessi. Il Pratello continua ad essere un cantiere aperto "da un numero di anni ormai intollerabile (con anche gli edifici contigui in condizioni precarie, con il rischio di caduta delle tegole dal tetto e i muri esterni dell’edificio che ospita la Procura scrostati)". Al riguardo, Desi Bruno chiederà un intervento urgente per fare chiarezza sulla vicenda. Secondo i dati forniti dalla direzione, dall’inizio dell’anno, sono stati 70 gli atti di polizia giudiziaria per eventi di vario tipo (fra gli altri, interrogatori e richieste di informazioni a Consolati nel caso di istanze di autorizzazione, alle telefonate con i familiari). Circa 15 le segnalazioni legate a episodi violenti (fra i ragazzi e il personale e fra i ragazzi stessi); 5 i casi di aggressioni a personale della Polizia penitenziaria, di cui 4 in danno del medesimo poliziotto. Nel corso di questi due anni dell’attuale direzione dell’Istituto, sono stati 80 i casi in cui è stato convocato il consiglio di disciplina, non solo per questioni che attengono a profili disciplinari, ma anche premiali in favore dei minori. Per quanto riguarda l’offerta trattamentale, sono a regime le attività scolastiche e professionali (col corso di alfabetizzazione, la scuola dell’obbligo, la scuola alberghiera ed il corso professionale di ristorazione) e continua la collaborazione con il regista teatrale Paolo Billi. Emilia Romagna: la Garante; convivenza minori-maggiorenni nell’Ipm ha effetti perversi Tm News, 24 ottobre 2014 Il secondo piano del carcere minorile Pratello di Bologna è ancora inagibile dalle nevicate del 2011 e dai danno provocati dal terremoto del 2012, per questo in una cella vivono fino a quattro detenuti. Manca un’area verde e il sistema di videosorveglianza non è funzionante. È il reparto del garante regionale dei detenuti, Desi Bruno, per la quale la legge che consente la convivenza di minori con maggiorenni sta producendo "effetti perversi". Il Pratello, ha riferito Bruno, continua ad essere un cantiere aperto "da un numero di anni ormai intollerabile (con anche gli edifici contigui in condizioni precarie, con il rischio di caduta delle tegole dal tetto e i muri esterni dell’edificio che ospita la Procura scrostati)". Per questo verrà chiesto un intervento urgente per fare chiarezza sulla vicenda. Secondo i dati forniti dalla direzione, da inizio 2014 vi sono stati 70 atti di polizia giudiziaria per eventi di vario tipo (tra queste interrogatori e richieste di informazioni a Consolati nel caso di istanze di autorizzazione, telefonate con i familiari). Circa 15 le segnalazioni legate a episodi violenti (fra i ragazzi e il personale e fra i ragazzi stessi); 5 i casi di aggressioni a personale della Polizia penitenziaria. Negli ultimi due anni sono stati 80 i casi in cui è stato convocato il consiglio di disciplina, non solo per questioni che attengono a profili disciplinari, ma anche premiali in favore dei minori. Zampa (Pd): giovani adulti in carceri minorili problema "La norma in base alla quale negli istituti di detenzione minorile possano essere accolti anche giovani adulti può rappresentare un problema. Le preoccupazioni della Garante regionale per i detenuti Desi Bruno e del direttore dell’Istituto minorile di Bologna, Alfonso Paggiarino, sono fondate. Ho già chiesto al ministro Orlando di poter affrontare con lui la questione, tanto più ora che è allo studio la riforma della giustizia minorile". Lo ha reso noto la vicepresidente Pd della commissione bicamerale sull’Infanzia Sandra Zampa. "È necessario - ha aggiunto- che il ministero della Giustizia avvii un monitoraggio per verificare il vero impatto dell’applicazione di questa norma, in questi primi mesi, così da poter provvedere subito ai possibili disagi a carico dei minorenni trattenuti". Piemonte: il progetto Parol e "Good morning poesia" nelle carceri di Torino e di Saluzzo www.politicamentecorretto.com, 24 ottobre 2014 È un progetto europeo, si chiama "Parol - Scrittura e Arti nelle carceri, oltre i confini, oltre le mura". Iniziato nel 2013 si concluderà nell’aprile del 2015. Coinvolge cinque paesi: Belgio, Italia, Polonia, Serbia, Grecia, con circa 200 detenuti di 20 carceri europee. Cascina Macondo è l’associazione italiana partner co-organizzatore. Laboratori di scrittura, lettura ad alta voce, ceramica, pittura, poetry slam, scultura, haiku, renga, haiga, haibun, mosaico, fotografia, video, terranno impegnati i detenuti in un percorso di formazione e creatività. Il progetto Parol aspira a costruire connessioni creative tra il sistema penitenziario e la società, promuovendo i valori dell’inclusione e della cittadinanza. Una duplice direzione della responsabilità sociale: dai detenuti alla società; dalla società ai detenuti. Parol ha l’obiettivo di attivare, attraverso la molteplicità degli interventi, significative relazioni, riflessioni, partecipazione, scambi e confronti tra i detenuti, gli artisti, tra gli artisti e i detenuti, tra il personale del carcere, le famiglie dei detenuti e quelle delle vittime, le istituzioni cittadine, tra il mondo prigioniero e il mondo libero. Tra le diverse iniziative particolare rilievo riveste l’attività "Good morning poesia". Si tratta di appuntamenti settimanali in carcere durante i quali i detenuti del carcere "Lorusso e Cutugno" di Torino e quelli di Alta Sicurezza del carcere "Rodolfo Morandi" di Saluzzo, leggono al microfono ad alta voce poesie, haiku, racconti, durante gli orari in cui i detenuti sono a passeggiare nei cortili e tutti possono ascoltare. Sono state dislocate alcune cassette di raccolta all’interno del carcere dove è possibile "imbucare" una propria poesia o il testo di un autore che è stato apprezzato desiderando di sentirlo leggere ad alta voce dal gruppo Parol. In questo modo tutti i detenuti residenti nel carcere, ma anche gli agenti di custodia, sono coinvolti e invitati a partecipare segnalando i testi che amano. Ogni settimana anche il mondo esterno al carcere partecipa all’appuntamento con un gruppo di lettori volontari che affiancano i detenuti. A proporre i lori testi ad alta voce si alternano i Narratori di Macondo: Anna Abate, Melania Agrimano, Sara Amaiolo, Giusy Amitrano, Arianna Barbarossa, Riccardo Di Benedetto, Annunziata Di Matteo, Luisa Gnavi, Vittoria Iozzo, Marianna Massimello, Gaia Manuela Napoli, Giulio Cesare Schiavone, Emanuela Squadrelli. L’obiettivo è far diventare Good Morning Poesia una consuetudine, un rituale, una "tradizione" dell’Istituto Penitenziario che la ospita, gestita alla fine in maniera autonoma e responsabile dai detenuti. I detenuti che inizieranno questa tradizione, nella previsione che essi possano essere trasferiti in altre sedi o che possano abbandonare il carcere, avranno anche il compito di "tramandare" ad altri detenuti la ritualità di leggere a voce alta ogni settimana una poesia. Una sorta di "passaggio del testimone" affinché la tradizione possa continuare. Pietro Tartamella, direttore artistico di Cascina Macondo, spiega: Good Morning Poesia prima di tutto vuole dare ai detenuti l’opportunità di continuare ad esercitarsi con la lettura ad alta voce (le cui tecniche sono state apprese nei laboratori Parol di Cascina Macondo) di fronte ad un pubblico formato dalla popolazione carceraria di quell’Istituto. In secondo luogo mira a responsabilizzare i detenuti nella gestione autonoma di una iniziativa che durerà a tempo indeterminato, il cui impegno è minimo, ma dove le soddisfazioni potrebbero essere molto incentivanti e il "confronto" un momento di crescita personale, emotiva e intellettuale. Ogni settimana con l’ascolto di poesie diverse si forniscono stimoli culturali in modo piacevole. Il coinvolgimento affettivo e intellettuale farà apprezzare autori nuovi, antichi e moderni, stili diversi, che possono suscitare interessi, approfondimenti, riflessioni. Rendere familiare la poesia e, attraverso l’ascolto, umanizzare le diversità. Ottenere con la ritualità e gli appuntamenti settimanali costanti un’ attenzione al tempo che passa, mettendo in risalto la magìa, la bellezza, l’importanza della parola essenziale, della parola viva, del pensiero, dell’emozione, della sensibilità. Ottenere altresì una familiarità con "il punto di vista altro". Good Morning Poesia fornisce a tutti quei detenuti che scrivono poesie un’opportunità di "raccontarsi" affidando i loro testi al gruppo che si sarà preparato per la lettura pubblica al microfono. Ma anche di "raccontarsi" attraverso un interposto autore i cui testi i detenuti potrebbero suggerire e desiderare di ascoltare e far conoscere. L’iniziativa consente anche di attivare un interscambio di testi fra tutti i detenuti di tutte le carceri europee coinvolte nel progetto Parol al fine di mantenere viva l’idea di transnazionalità e di "comunità che è in relazione" e che collabora per il raggiungimento dello stesso fine. Good Morning Poesia infatti è già stata attivata nel 2013 nel carcere di Dendermonde in Belgio, e nel 2012 presso il Liceo Segrè di Torino. Studenti, detenuti, cittadini, possono scambiarsi i testi da leggere ad alta voce, costruendo così, attraverso la poesia, una rete attiva che porta con sé il senso della "comunità". Il progetto Parol è stato sovvenzionato dalla Comunità Europea, ma ancora non è stata raggiunta la cifra per coprire tutti i costi. Mancano ancora 19.000 euro! Cascina Macondo ha lanciato una campagna di raccolta fondi: "Adotta una bolla di sapone". Molti cittadini hanno già adottato bolle di sapone (1 bolla = 1 euro). La Fondazione Crt ha dato un contributo per il progetto Parol (ma ha tolto quello che da molti anni dava per le attività di Cascina Macondo rivolte alla disabilità!). Chi volesse dare il proprio aiuto, ecco l’Iban per fare un versamento di solidarietà: IT13C0335901600100000013268. Lucca: Marcucci (Pd); il Governo avvii indagine interna sul suicidio in carcere www.luccaindiretta.it, 24 ottobre 2014 "Un giovane detenuto, recluso da meno di 24 ore, si è suicidato nel carcere di Lucca. Che cosa non ha funzionato nel meccanismo di sorveglianza e di sicurezza? Il governo avvii una indagine interna per affrontare risolutamente i tanti problemi della Casa circondariale". Lo chiede in una interrogazione urgente al ministro della Giustizia Andrea Orlando, il senatore del Pd Andrea Marcucci, presidente della commissione cultura a Palazzo Madama. "La situazione dell’istituto San Giorgio è particolarmente disagiata, per la vetusta della struttura, per l’assoluta inadeguatezza delle celle e delle aree di socialità-sottolinea il parlamentare dem - oltre che per il cronico sottodimensionamento degli organici della polizia penitenziaria. Il tema della dignità dei detenuti e della sicurezza va posto con grande forza". Per il senatore Marcucci "è insostenibile anche l’assoluta marginalità del Comune di Lucca. Un ordine del giorno del consiglio comunale imponeva l’istituzione del garante dei diritti dei detenuti ed è rimasto lettera morta. La città è praticamente l’unica in Toscana a non avere una figura di garanzia e di verifica della situazione del carcere. Mi auguro che il sindaco Tambellini non ignori anche questo fatto drammatico", conclude l’esponente dem. I radicali: Governo e Regione affrontino l’emergenza "I proclami del governo Renzi sulla risoluzione del problema carcerario vengono quotidianamente sconfessati dai suicidi negli istituti penitenziari italiani: si tratta di un’emergenza ancora in corso che può essere risolta solo con i provvedimenti di amnistia e indulto". Così Maurizio Buzzegoli, segretario dell’Associazione radicale Andrea Tamburi, alla notizia del suicidio di un detenuto nel carcere di Lucca. L’esponente radicale si sofferma sul carcere toscano: "Secondo i dati del Ministero della Giustizia sono 141 i detenuti presenti a Lucca a fronte di una capienza regolamentare di 91 detenuti nonostante il messaggio del Presidente Napolitano e la condanna della Cedu, la nostra politica continua ad infliggere trattamenti inumani e degradanti che inducono inevitabilmente a gesti estremi come quelli del 25enne lucchese". Infine un invito al presidente della Toscana, Enrico Rossi: "Spero che dalla Regione ci si assuma un impegno concreto per far fronte al dramma carcerario convocando un consiglio regionale straordinario". Modena: 93 agenti positivi al test della tubercolosi, ma nessuno ha la malattia "attiva" www.modenatoday.it, 24 ottobre 2014 Nessuno di loro ha ancora contratto la malattia "attiva", ma il contagio è stato diffuso. Il Garante ha fatto visita a Sant’Anna, verificando in particolar modo le condizioni. Dei detenuti. La Garante regionale delle persone private della libertà personale, Desi Bruno, si è recata lunedì 20 ottobre alla Casa circondariale di Modena, accompagnata dalla direttrice, Rosa Alba Casella, e dal comandante del reparto della Polizia penitenziaria, Mauro Pellegrino: la visita è stata l’occasione per verificare il primo caso in regione di regime aperto, cioè la possibilità per i detenuti di frequentare sei ore al giorno ambienti completamente separati da quelli delle camere di pernottamento. Bruno si è inoltre premurata di verificare la situazione sanitaria dell’istituto, dopo recenti notizie di stampa che riferivano di presunti casi di tubercolosi: come risulta anche dall’ultimo verbale dell’Asl locale, redatto il 19 settembre 2014, a fronte di 93 positività su 251 test di Mantoux, "i successivi accertamenti radiologici hanno sempre escluso la malattia tubercolare attiva". In merito alla popolazione carceraria, in linea con i dati regionali non si sono ravvisati profili di sovraffollamento: 380 i detenuti presenti, di cui 26 donne; 127 i tossicodipendenti; 234 gli stranieri. Si registra attualmente una forte caratterizzazione in termini di presenza di detenuti autori di reati sessuali, per cui però mancano puntuali progetti terapeutici atti a prevenire il rischio di recidiva. Sono 239 i condannati in via definitiva, 76 quelli in attesa di primo giudizio, 27 gli appellanti e 38 i ricorrenti; 19 gli ammessi al lavoro all’esterno, 6 i semiliberi, 1 semidetenuto. Come riferisce Bruno, è compiutamente in atto la separazione degli imputati dai condannati. Contrariamente al progetto originario, nel nuovo padiglione sono collocati coloro che non hanno una posizione giuridica definita, attualmente 150: inizialmente era destinato alle persone condannate in via definitiva con cinque anni da espiare, anche tossicodipendenti, che non avessero possibilità di accedere alle misure alternative. Le sezioni risultano tutte "aperte", anche nella vecchia struttura, con i detenuti che passano più di otto ore al giorno fuori dalla cella. La misura riguarda anche gli autori di reati sessuali, ora tutti collocati esclusivamente nello stesso ambiente. Da ieri nella parte vecchia della struttura è poi operativo, e si tratta del primo caso in Regione, il cosiddetto regime aperto per circa 50 detenuti, destinati in seguito a diventare 100, selezionati dalla direzione fra coloro che hanno un grado di pericolosità di lieve significatività: trascorrono quotidianamente sei ore in appositi ambienti comuni organizzati per la socializzazione e per la frequentazione dei corsi scolastici, separati da quelli in cui ci sono le camere di pernottamento. Grande parte della visita è stata dedicata ai colloqui con le persone detenute, durante i quali sono state sollevate, oltre alle singole vicende, anche diverse problematiche di carattere generale. Tra queste le più frequenti sono state il razionamento dell’utilizzo dell’acqua, i prezzi particolarmente elevati per alcuni generi alimentari del sopravvitto e il mancato rispetto del principio di territorialità della pena, con molti detenuti che non sono nell’istituto penitenziario più vicino alla propria famiglia: in tal senso è stata consegnata alla Garante una lettera collettiva, da trasmettere al Provveditorato regionale, in cui un gruppo di detenuti avanza istanza di trasferimento verso altre sedi penitenziarie, in particolare nel territorio dell’Emilia-Romagna. Resta poi sempre la criticità relativa al potenziamento del progetto relativo all’offerta trattamentale, con particolare riguardo alle attività lavorative. I detenuti, analogamente a quanto manifestato dagli internati di Castelfranco Emilia nelle settimane scorse, hanno inoltre espresso forte disagio e preoccupazione in relazione alla perdurante vacanza del magistrato di sorveglianza di Modena che ha competenza territoriale sulla struttura, il cui ruolo è temporaneamente affidato, in supplenza, ad altri magistrati di sorveglianza. La mancanza o la supplenza del magistrato possono infatti determinare, e in alcuni casi si è già verificato, il blocco dell’attività ordinaria di esame delle istanze presentate dai detenuti e dagli internati, con conseguente interruzione dei percorsi trattamentali esterni. Firenze: la Consulta "libera" la madre dal carcere, ora Giacomino spera di Massimo Mugnaini e Franca Selvatici La Repubblica, 24 ottobre 2014 Il bambino di sei anni cresciuto a Sollicciano e poi affidato a un istituto minorile. Per la Corte Costituzionale la detenzione domiciliare spetta anche alle mamme autrici di reati gravi Per i giudici è "preminente l’interesse del bambino" che non può essere penalizzato dalla gravità dei reati commessi dal genitore. Si riaccende la speranza per Giacomino, il bambino di 6 anni cresciuto nel carcere di Sollicciano insieme con la mamma detenuta e affidato ad un istituto minorile lo scorso luglio, dopo oltre 5 anni di vita passati dietro le sbarre come un condannato. Presto potrà andare a vivere fuori dal carcere con la madre, che è stata condannata per reati gravissimi (riduzione in schiavitù e tratta di persone), ma ora potrà essere ammessa alla "detenzione domiciliare speciale" prevista per le madri di bambini di età inferiore ai 10 anni. Accogliendo la questione di legittimità sollevata dal tribunale di sorveglianza di Firenze, la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo un articolo contenuto nella legge del 1975 sull’Ordinamento penitenziario, che vietava di concedere la "detenzione domiciliare speciale" alle madri condannate per reati particolarmente gravi. I giudici costituzionali hanno stabilito che questa norma viola gli articoli 29, 30 e 31 della Costituzione, che tutelano la famiglia come società naturale e sanciscono il diritto-dovere dei genitori di educare i figli. Concordando con il tribunale di sorveglianza di Firenze, la Corte costituzionale spiega che la "detenzione domiciliare speciale" "tutela il preminente interesse del figlio minore a recuperare al più presto un normale rapporto di convivenza con la madre al di fuori dell’ambiente carcerario". Facendo invece prevalere la pretesa punitiva dello Stato, si riversano "sulle fragili spalle del minore" le conseguenze delle gravi responsabilità penali della madre e della sua scelta di non collaborare con la giustizia. L’interesse del bambino è "preminente" su ogni altro, come affermano le convenzioni internazionali. Impedendo alla madre condannata per gravissimi reati e non pentita di accedere alla "detenzione domiciliare speciale" - afferma la Consulta - si fa pagare "il costo della strategia di lotta al crimine organizzato a un soggetto terzo, estraneo tanto alle attività delittuose che hanno dato luogo alla condanna, quanto alla scelta del condannato di non collaborare". Le esigenze di protezione della società dal crimine possono prevalere sull’interesse del bambino solo nel caso in cui venga verificata in concreto l’esistenza di "un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti". Compito che spetterà, nel caso di Giacomino e di sua madre, al tribunale di sorveglianza di Firenze. Se il "concreto pericolo" verrà ritenuto insussistente, la donna potrà lasciare il carcere di Sollicciano per scontare il resto della pena con suo figlio, probabilmente in una struttura di accoglienza messa a disposizione dal Comune di Firenze. Enna: "personale alimentarista", concluso il corso di Confartigianato rivolto a 30 detenuti www.startnews.it, 24 ottobre 2014 Tra i diversi progetti che Confartigianato sostiene quelli di carattere sociale hanno particolare rilevanza. Si è conclusa nei giorni scorsi la seconda sessione formativa ,avviata ,dalla Confartigianato di Enna in collaborazione con l’Associazione Spiragli presso la Casa Circondariale di Enna, comunemente chiamata "Corso Haccp", rivolto a 30 detenuti che abitualmente svolgono l’attività di personale alimentarista. Il percorso didattico ha lo scopo, di formare tali figure a rispettare le regole dettate dalla normativa vigente in materia di igiene e sicurezza alimentare, ma soprattutto conoscere e monitorare tutti quei punti critici che si riscontrano durante le fasi di lavorazione, in modo da garantire la salubrità e qualità dell’alimento. Tra i diversi progetti che Confartigianato sostiene quelli di carattere sociale hanno particolare rilevanza in quanto oltre a migliorare la condizioni di vita all’interno delle carceri promuovono l’apprendimento di competenze professionali utili al reinserimento sociale un volta terminato il periodo di detenzione. La realizzazione e il successo dell’iniziativa dichiara Il segretario Rosa Zarba, si deve attribuire anche alla massima disponibilità delle Istituzioni competenti e la collaborazione dei professionisti del settore, infatti ad aprire i lavori è stato il Dott. Stella Giuseppe Dirigente del S.I.A.N di Enna ed a completarli il biologo dott. Velardita Rosario, il Dott. Meli Mario e la dott.sa Renna Loredana. Solo facendo sistema conclude Cascio Mario Signorello Presidente della Confartigianato si possono trasmettere i valori di convincimento di legalità, cultura e civiltà. Matera: detenuti a scuola di cartapesta tradizionale grazie a Cna e Confartigianato Ansa, 24 ottobre 2014 Angioletti, presepi, rosoni in cartapesta ma anche fischietti in terracotta, ceneriere, riproduzioni in scala di monumenti, santi e paesaggi: sono i manufatti che 15 detenuti della casa circondariale di Matera hanno prodotto durante il terzo corso sulla lavorazione della cartapesta tradizionale, della durata di 60 ore, e che si è avvalso dell’apporto del maestro e artista cartapestaio Michelangelo Pentasuglia, autore di numerosi carri trionfali per la festa della Bruna. L’iniziativa è stata finanziata dalla Camera di commercio di Matera d’intesa con l’amministrazione penitenziaria e le associazioni Cna e Confartigianato, con l’obiettivo di favorire l’inclusione sociale e creare i presupporti anche per un possibile sbocco occupazionale, come sta accadendo in altre realtà. Al termine dell’attività formativa gli allievi hanno ricevuto un attestato, che potrà essere utilizzato quando torneranno in libertà. Gran parte dei lavori saranno presentati in una mostra allestita negli spazi espositivi dell’Ente camerale. L’importanza dell’iniziativa è stata evidenziata nel corso della cerimonia conclusiva, a cui hanno partecipato il presidente della Camera di commercio, Angelo Tortorelli, il direttore della Casa circondariale, Maria Teresa Percoco, il presidente regionale di Cna, Leo Montemurro, il direttore di Confartigianato, Gerarda Bonelli, Walter Gentile responsabile dell’area pedagogica della casa circondariale e il responsabile degli agenti di polizia penitenziaria, Bellisario Semeraro. Tortorelli ha fatto riferimento anche alle opportunità aperte dalla pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale di un decreto che prevede contributi e fino a 700 euro di bonus fiscali agli imprenditori che assumono detenuti. Camerino (Mc): Unicam e Curia insieme per diritto allo studio di detenuti e svantaggiati di Monia Orazi www.cronachemaceratesi.it, 24 ottobre 2014 Università e arcidiocesi di Camerino insieme per collaborare nel campo del diritto allo studio, garantendo l’accesso alla formazione universitaria a chi si trovi in condizioni svantaggiate, e nel settore della valorizzazione dei beni culturali con attività di studio e ricerca nel vasto patrimonio appartenente alla curia di Camerino. Sono questi i due punti della convenzione tra ateneo e curia camerte, firmato dal rettore Unicam Flavio Corradini e dall’arcivescovo di Camerino monsignor Francesco Giovanni Brugnaro, che avrà una durata di cinque anni, in vigore sino al luglio 2019. I due enti potranno recedere in qualsiasi momento, inviando un preavviso scritto di trenta giorni, ma i progetti avviati dovranno comunque essere portati a compimento. Per quanto riguarda il settore del diritto allo studio i referenti saranno la docente Unicam Catia Eliana Gentilucci e don Luigi Verolini. Potranno usufruire della convenzione persone che si trovino in situazioni svantaggiate, di bisogno o in stato di detenzione, anche in altri paesi, per il quale l’università si impegna a favorire l’iscrizione ai corsi di studio ed alle attività formative Unicam, per i soggetti segnalati dall’arcidiocesi. Questi ultimi potranno avere facilitazioni economiche ed altre agevolazioni, come l’esenzione totale o parziale dal pagamento di tasse e contributi, fruizione di materiale didattico e servizi bibliotecari, accertando e valutando i loro requisiti, nel rispetto delle normative vigenti. Su questo fronte l’arcidiocesi si impegna a mettere a disposizione locali per attività formative e convegnistiche e fornire vitto ed alloggio alle persone segnalate ad Unicam, per il loro stato di bisogno. Sul fronte dei beni culturali i referenti saranno l’architetto Luca Maria Cristini per l’arcidiocesi e la docente Unicam Eleonora Paris. In questo settore l’università effettuerà ricerca scientifica, applicata alla didattica e con la partecipazione degli studenti ad attività definite nei programmi oggetto dell’accordo, che serviranno anche per ottenere crediti formativi, secondo quanto previsto dai regolamenti universitari. Palermo: Sappe; sventata evasione dall’Ipm, la Polizia penitenziaria è vigile ed attenta Ansa, 24 ottobre 2014 Hanno tentato di evadere dall’Istituto Penale per Minorenni di Palermo, ma sono stati scoperti dai poliziotti penitenziari. È accaduto domenica sera e a darne notizie è il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe. Racconta Donato Capece, segretario generale del Sappe: "L’attenzione del poliziotto penitenziario di servizio di sorveglianza generale è stata richiamata da alcuni rumori provenienti da una cella occupata da tre detenuti, due minorenni ristretti per rapina e detenzione di stupefacenti ed un adulto rinchiuso per omicidio. Insieme ad altri poliziotti, sono entrati in cella ed hanno trovato i tre intenti a rompere il muro, già lesionato in due punti. Grazie all’attenzione e alla professionalità dei Baschi Azzurri, una clamorosa evasione è stata dunque sventata in tempo". Il Sappe denuncia anche come sia "impensabile inserire detenuti di venticinque anni nei penitenziari minorili, come è previsto oggi dalla legge, perché è impensabile far convivere negli stessi ambienti carcerari adulti di venticinque anni con bambini di quattordici. Quel che ci vorrebbe è una complessiva riorganizzazione della giustizia minorile che, allo stato attuale, è soltanto un enorme carrozzone spinto soltanto dalla Polizia Penitenziaria, In tempi di spending review, non sarebbe il caso di sopprimere il Dipartimento della Giustizia Minorile, utile solo a distribuire poltrone dirigenziali, e ricondurre il circuito penitenziario minorile nel suo naturale alveo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, com’era una volta?". Capece sottolinea, in conclusione, le criticità penitenziarie del Paese: "Nei 206 istituti penitenziari nel primo semestre del 2014 si sono registrati 3.633 atti di autolesionismo, 481 tentati suicidi, 1.609 colluttazioni e 444 ferimenti: 3.530 sono stati i detenuti protagonisti di sciopero della fame, mentre purtroppo 20 sono i morti per suicidio e 30 per cause naturali". Chieti: l’Architettura Sociale entra nel carcere di Lanciano con Pep Marchegiani di Giuseppe Marfisi www.abruzzoindependent.it, 24 ottobre 2014 Questa mattina, nella casa circondariale di Villa Stanazzo, è prevista la presentazione dei risultati. Ci sarà anche l’artista esplicitista. Quando la "ri-socialità" entra nella Casa Circondariale di Villa Stanazzo, e lo fa passando attraverso la porta principale. Saranno presentati stamane alle 9, a Lanciano, i risultati del progetto Architettura Sociale. L’idea progettuale, fortemente voluta dall’Amministrazione Penitenziaria con il supporto del Consorzio Sociale Ideabile, nasce dalla volontà di migliorare le condizioni di vita dei detenuti presso l’istituto frentano e favorire le relazioni che gli stessi hanno con le proprie famiglie. Ulteriore obiettivo del progetto è quello di creare la possibilità di un inserimento socio-lavorativo, insegnando ai carcerati un lavoro. Le opere previste da "Architettura sociale" sono la realizzazione ex-novo di un campo sportivo polivalente, la sistemazione del campo di calcio e la realizzazione della sala colloquio. I reclusi hanno anche realizzato lavori edili di ristrutturazione e creazione di ambienti e strutture destinate alla loro vita all’aria aperta, alle attività sportive e ai rapporti con i famigliari e, in particolare, con i figli minori. Per il taglio del nastro saranno presenti la Direttrice della Casa Circondariale di Lanciano, Maria Lucia Avvantaggiato, l’assessore Regionale Silvio Paolucci, l’Arcivescovo della Diocesi di Lanciano-Ortona Emidio Cipollone, nonché l’artista esplicitista Pep Marchegiani, che ha donato l’opera "The Toy", esposta in modo permanente presso la sala colloqui dell’istituto. Pisa: Armando Punzo alla "Normale", la sua esperienza di drammaturgo con i carcerati www.gonews.it, 24 ottobre 2014 È attore, drammaturgo, regista: ma soprattutto vincitore della scommessa di trasformare i detenuti di un carcere in una delle più apprezzate realtà teatrali europee. Con la sua Compagnia della Fortezza Armando Punzo si è aggiudicato quattro premi Ubu, gli oscar italiani del teatro. Punzo racconterà alla Scuola Normale, domani 24 ottobre alle ore 16 nella Sala Azzurra, questo progetto artistico, all’indomani del nuovo allestimento di Santo Genet, lo spettacolo che apre la stagione teatrale del Verdi di Pisa (sabato 8 novembre). "La Compagnia della Fortezza - Storia di un’utopia realizzata" è il titolo della conferenza che Punzo si appresta a tenere in Normale, con la docente di discipline dello spettacolo dell’Università di Pisa, Anna Barsotti. La Compagnia della Fortezza nasce come progetto di Laboratorio Teatrale nella Casa di Reclusione di Volterra nell’agosto del 1988, a cura di Carte Blanche e con la direzione di Armando Punzo. Poche ore di laboratorio crescono esponenzialmente fin da subito: l’assiduità e la continuità del lavoro svolto con i detenuti è da sempre una delle caratteristiche della Compagnia della Fortezza, cosa che la contraddistingue da tutte le altre esperienze di teatro in carcere e da altre esperienze di teatro tout court. La Compagnia produce in media uno spettacolo all’anno; molti di questi, al pari dell’impegno profuso dai detenuti-attori, sono stati insigniti di premi tra i più ambiti nel mondo del teatro e continuano a riscuotere consensi tra addetti ai lavori, pubblico e operatori. I proficui risultati raggiunti hanno ben presto portato alle prime esperienze pilota di presentazione degli spettacoli della Compagnia all’esterno delle mura del carcere, con i permessi speciali rilasciati ai detenuti-attori: dal 1993 la Compagnia ha cominciato ad essere regolarmente invitata e ospitata nei principali teatri, festival e rassegne italiani. Lecce: a lezione di "Street art", in carcere parte il progetto "Storie d’amore e libertà" Corriere Salentino, 24 ottobre 2014 Ripartono i corsi nel carcere di Lecce. Per il secondo anno al via il progetto "Storie d’amore e libertà". A lezione di street art, musica e scrittura creativa, riparte lunedì l’iniziativa all’interno della casa circondariale di Borgo "San Nicola" di Lecce che vede come partner principale l’Ufficio del Garante dei diritti dei detenuti presso la Regione Puglia. Per il secondo anno consecutivo proseguono i lavori destinati ad una classe di 15 detenuti che si confronteranno con arte, musica, scrittura e creatività. Un progetto difficile e delicato che però ha portato grandi soddisfazioni fuori e dentro il carcere. L’idea nasce dal confronto tra Mariapia Scarciglia, avvocato e responsabile per Lecce e Taranto dell’associazione Antigone e i soci dell’associazione Bfake, attiva sul territorio nella realizzazione di progetti all’insegna della libera circolazione e condivisione dei saperi. La passione per i diritti e l’impegno civico sono stati fondamentali per spingere il progetto all’interno del carcere leccese. Il progetto ha subito coinvolto il Garante dei diritti dei detenuti, il dottore Piero Rossi e la sua delegata per Lecce, Sonia Pellizzari che hanno deciso di supportare il progetto, perché convinti che la migliore risposta alla pena detentiva è l’attività trattamentale che può e deve svolgersi in tutti gli istituti attraverso una adeguata offerta formativa, lavorativa e culturale. Dopo una serie di proficui incontri tenutisi l’anno scorso con i detenuti all’interno della casa circondariale di Lecce, ben due classi composte da quindici detenuti sono da domani chiamate a confrontarsi con le discipline in questione. Le associazioni fanno un primo bilancio delle attività e ci fanno sapere che sono molti gli artisti e le realtà che si sono detti disponibili a collaborare e a fare la loro parte per i detenuti perché, luoghi come questi, siano più vicini alla società e contenitori di cultura, una cultura che per le rispettive associazioni fonda i suoi principi nel rispetto dei diritti e nell’inclusione sociale. I detenuti hanno già realizzato un murales all’interno del carcere con l’aiuto del docente di street art Francesco Ferreri che raffigura Frida Kahlo, soggetto simbolo di libertà femminile. Nella sezione maschile invece, è già stato prodotto un brano hip hop e si lavora al prossimo singolo. Grazie al corso di street art i partecipanti potranno immediatamente confrontarsi con tutte le moderne tecniche artistiche proprie dell’arte di strada. Graffiti, stencil, disegni e collage, grazie alla guida di insegnanti esperti ed alla presenza già confermata di ospiti illustri di fama nazionale, diverranno strumenti di libertà e partecipazione mentre, grazie al corso di musica e scrittura creativa, i mille pensieri che affollano la mente di chi vive all’interno di una cella potranno diventare, nell’ottica di un lavoro coordinato e corale, il testo di un brano rap da scrivere, registrare e condividere. L’obiettivo è quello di creare un vero e proprio spazio neutrale, in cui i detenuti possono sentirsi liberi di esprimersi in discipline che notoriamente migliorano il benessere psicofisico della persona, obiettivo, questo alla base della finalità della pena. Anche quest’anno Il corso di street art sarà curato da Francesco Ferreri e Ania Kitela mentre il corso di musica sarà gestito da Massimo Armenise. Catanzaro: torna a rivivere il palcoscenico del teatro dell’Istituto carcerario "Ugo Caridi" di Francesco Iuliano www.catanzaroinforma.it, 24 ottobre 2014 Un’iniziativa organizzata a favore dei detenuti e accolta favorevolmente dalla direzione della Casa circondariale, a cura dell’Associazione Centro Formazione Musica. Torna a rivivere il palcoscenico del teatro dell’Istituto carcerario "Ugo Caridi" di Catanzaro che, dopo il successo ottenuto dalla compagnia teatrale "Teatro6" con la commedia in vernacolo dal titolo "A tecnologi@ fu a ruvina mia", uno dei lavori teatrali più rappresentativi della produzione artistica di Mario Sei, si ripete ospitando lo spettacolo musicale a cura dell’Associazione Centro Formazione Musica. Ancora un’iniziativa organizzata a favore dei detenuti e accolta favorevolmente dalla direzione della Casa circondariale che, con questa manifestazione, prosegue nell’offrire ai ristretti un’occasione di distrazione che, inevitabilmente, si ripercuote positivamente sull’umore di quanti, in questo momento, è privato di un diritto personale irrinunciabile com’è quello della libertà personale. Sabato pomeriggio la prima delle due date in programma. Sul palcoscenico è salito il gruppo dei Keep Company che hanno proposto una scaletta di brani pop-rock degli anni 70 e 80. Entusiasti i detenuti che hanno attribuito ai musicisti applausi e standing ovation. Particolarmente apprezzate le voci delle due cantanti che hanno proposto brani di Loredana Bertè e Gianni Morandi, passando per Battisti e per i più tradizionali gruppi italiani. Puntuali, in apertura dello spettacolo, sono arrivati i ringraziamenti del direttore Angela Paravati all’Associazione e all’ex presidente della Provincia di Catanzaro - poi Commissario straordinario - Wanda Ferro, per aver offerto il patrocinio dell’Ente alla manifestazione. "Per alleviare il disagio dei detenuti - ha commentato la Paravati - servono gesti concreti e tangibili come questi. Azioni che facciano sentire concretamente la vicinanza della società civile all’ambiente penitenziario". Lunedì scorso, invece, è stata la volta dei Taranta Jonica, un gruppo musicale calabrese che ha proposto brani della tradizione popolare. Bravi e disponibili i musicisti che hanno anche accompagnato alcuni detenuti che hanno cantare alcuni brani della melodia napoletana. Ad altri detenuti, invece, è stata data la possibilità di esibirsi con strumenti come la fisarmonica, l’organetto e la chitarra. Ne è venuto fuori uno spettacolo nello spettacolo. "Un’iniziativa importante perché è fondamentale che i detenuti si sentano persone - nonostante la loro condizione di soggetti privati delle libertà personale - e possano assaporare, seppure per qualche minuto, sensazioni talvolta sopite. Per il prossimo mese di novembre - ha concluso il direttore Paravati - è previsto un nuovo appuntamento con il teatro in vernacolo. Una commedia in dialetto calabrese che non mancherà di trasmettere sano umorismo e ironia". Cinema: nel docu-film di Vendemmiati il lavoro in carcere è sinonimo di libertà di Nicoletta Cottone Il Sole 24 Ore, 24 ottobre 2014 Nel lavoro "fuori" il lunedì è il giorno peggiore, mentre nel lavoro "dentro" è il più bello della settimana. È questa la sensazione che provano i detenuti del carcere della Dozza di Bologna coinvolti nell’"Officina dei detenuti", un progetto unico in Italia che ha portato una autentica officina metalmeccanica superspecializzata all’interno del penitenziario, grazie all’appoggio di tre imprese che poi garantiscono anche un inserimento lavorativo una volta "fuori". Una officina dove si lavora davvero e si costruiscono complessi macchinari per il confezionamento delle merci. Una storia piena di umanità e saggezza, quella firmata da Filippo Vendemmiati, giornalista e regista, nella quale la trasmissione del sapere da parte di alcuni operai in pensione diventati tutor di un gruppo di 13 detenuti fa toccare con mano l’importanza del lavoro autentico in carcere che consente di imparare realmente un mestiere a chi è dietro le sbarre. Si costruisce un mestiere e relazioni umane In "Meno male è lunedì", un film documentario presentato in "Prospettive Italia" al Festival internazionale del Film di Roma, le telecamere sono entrate nel carcere per osservare questa esperienza nella quale i giorni della settimana hanno "un senso e una cadenza dettata dai turni di lavoro. I gesti e le parole evadono per costruire un mestiere e relazioni umane", ha spiegato Vendemmiati. "Né detenuti né uomini liberi: solo colleghi, operai che s’incontrano e lavorano accanto, scambiandosi conoscenze, saperi, "storie di viti e di vite". Le giornate sono scandite da serene chiacchierate, riflessioni, rimbrotti , da operazioni di montaggio che devono quadrare al millimetro, da un’attenzione certosina nel montare i pezzi. Non sono ammesse leggerezze e anche l’inserimento di una vite non può essere lasciata al caso. Nell’atmosfera che si respira non ci sono detenuti o uomini liberi, ma solo colleghi che hanno come obiettivo la costruzione di un complesso macchinario, un’operazione che passa attraverso una trasmissione di saperi non solo tecnici, ma umani. Con i tutor che oltre a insegnare un mestiere, disegnano anche pagine di vita che saranno utili per il futuro "fuori". Nei dialoghi emergono le sensazioni di chi è "dentro" e vorrebbe toccare un albero lontano che intravede fra le sbarre o abbracciare un figlio che non ha mai visto. Emozionati sul red carpet tutor e detenuti Sul red carpet del Festival del film di Roma sono arrivati emozionati molti dei tutor e degli operai, anche alcuni di quelli ancora detenuti, con un permesso speciale. E in sala hanno ricevuto lunghi applausi non solo per la loro interpretazione, ma per la nuova via intrapresa, quella di sporcarsi le mani con un lavoro vero. Vendemmiati: è un altro dei miei progetti "contromano" "Questo è un altro dei miei progetti "contromano" - ha detto Vendemmiati, vincitore del David di Donatello per il suo documentario su Federico Aldrovandi, "È stato morto un ragazzo" -. Appena sono entrato in quest’officina, dove tutti, tutor e operai - detenuti hanno un contratto a tempo indeterminato, mi ha colpito subito l’atmosfera. C’era una grande confidenza fra loro, erano tutti colleghi allo stesso modo". In un momento difficile come questo, "ho pensato avesse valore raccontare quest’esperienza in cui il lavoro riesce a definire l’identità". Per ognuno di loro il lavoro in carcere è sinonimo di libertà. "Dobbiamo insegnargli a stare al mondo - ha detto uno dei tutor - in modo che fuori di qua sappiano affrontare il mondo del lavoro". Ora "speriamo il film abbia una lunga vita - ha sottolineato Vendemmiati. Intanto mi inorgoglisce molto che alcune direzioni di istituti di pena mi abbiano chiesto per proiettarlo". La colonna sonora del film è stata composta da Carlo Amato, compositore e bassista dei Têtes de Bois. Immigrazione: protesta Cie Bari e accuse ai poliziotti "hanno picchiato giovane albanese" Ansa, 24 ottobre 2014 Un gruppo di immigrati ospiti del Cie (Centro di identificazione ed espulsione) di Bari ha dato fuoco la notte scorsa a materassi accatastati in uno dei moduli del centro per protestare contro l’intervento delle forze dell’ordine nei confronti di un cittadino albanese che è stato rimpatriato. Gli immigrati sostengono che l’albanese, un uomo di 31 anni che era da dieci giorni all’interno del Cie, sarebbe stato "preso con la forza dalle forze dell’ordine" per "essere portato in una stanza e picchiato". Lo hanno denunciano all’Ansa, in una telefonata alcuni degli autori dell’incendio di cui, hanno detto "siamo tutti responsabili". Tra loro c’è il tunisino Fatì che, nei giorni scorsi, si era cucito le labbra per protesta. "Sentivamo le sue urla disperate", raccontano, "diceva in albanese ‘per favore aiutatemi, mi stanno pestando". I ragazzi che condividevano il modulo con lui, dicono che "si tratta di un padre di famiglia che è da 15 anni in Italia dove ha anche un figlio". Sul posto sono intervenuti i vigili del fuoco che hanno spento l’incendio. Secondo quanto riferito dalla polizia, la protesta sarebbe partita quando un gruppo di cittadini albanesi ha sentito le urla del connazionale che era stato raggiunto da un ordine di rimpatrio. Diversa la ricostruzione degli immigrati del Cie, secondo cui l’albanese "ha fatto richiesta di protezione internazionale ed era in attesa dell’esito dalla Commissione territoriale". "Stasera, però - raccontano - sono venuti nel modulo e all’improvviso l’hanno preso con la forza e, dopo averlo picchiato, l’hanno rimpatriato". "Noi - sottolineano - dopo aver sentito le sue urla abbiamo perso la ragione e abbiamo dato fuoco a materassi e lenzuola nel nostro modulo dove ci sono 24 persone che provengono da Sri Lanka, India, Cina, Albania, Georgia, Montenegro, Egitto e Tunisia". "Uno di noi - proseguono - è andato a parlare con un ispettore delle forze dell’ordine per chiedere spiegazioni ma questi gli ha risposto che ‘quando vogliamo prendiamo uno di voi e lo facciamo sparire: cos’è questa se non mafia?", si chiedono i trattenuti nel Cie. Gli immigrati raccontano di una situazione insostenibile dentro il Cie: "ci sono tre ragazzi che si sono tagliati in diverse parti del corpo perché non ce la fanno più a stare qui e ad essere presi in giro - raccontano - sono stati imbottiti di farmaci e messi in stanze che qui chiamano di sicurezza. Ma non sappiamo cosa accade là dentro". I 24 stranieri del modulo 7 in cui è avvenuta la protesta hanno annunciato che da stamani saranno in sciopero della fame "finché non saranno rispettati i nostri diritti: non abbiamo commesso nessun reato per essere detenuti qui - concludono - e vogliamo che il nostro grido disperato arrivi a qualcuno là fuori". Ginefra (Pd): Alfano chiarisca su disordini Cie Bari "Questa mattina depositerò una interrogazione urgente al Ministro degli Interni Alfano per chiedere informazioni in merito ai tumulti avvenuti la notte scorsa nel Cie di Bari". Lo annuncia il deputato del Pd Dario Ginefra che aggiunge: "dalle prime indiscrezioni gli stessi tumulti sarebbero scaturiti dall’intervento delle forze dell’ordine nei confronti di un cittadino albanese che è stato rimpatriato. Gli immigrati sostengono che l’albanese, un uomo di 31 anni che era da dieci giorni all’interno del Cie, sarebbe stato preso dalle forze dell’ordine per essere portato in una stanza e picchiato. Il Ministero - aggiunge Ginefra - dovrà fornire anche chiarimenti sull’agibilità della struttura barese a fronte della sentenza con la quale, accogliendo le istanze dell’azione popolare promossa dall’associazione Class Action Procedimentale, il giudice del Tribunale di Bari aveva fissato un termine perentorio di 90 giorni per l’esecuzione dei lavori ritenuti indifferibili e necessari a garantire le condizioni minime di rispetto dei diritti umani all’interno del Cie". Francia: dal partito di centrodestra Ump rapporto sull’estremismo islamico nelle prigioni Nova, 24 ottobre 2014 "Poiché circa il 60 per cento della popolazione carceraria in Francia può essere considerata come di cultura o di religione musulmana, cioè 40mila detenuti, la radicalizzazione islamista oggi è in grado di reclutare centinaia di loro": è questa l’allarme lanciato dal deputato Guillaume Larrivè del partito di centrodestra Ump in un rapporto pubblicato oggi dal quotidiano "Le Figaro". Dopo aver criticato la "legge Taubira" (dal nome della ministra socialista della Giustizia, ndr) che privilegia il "recupero sociale" dei detenuti, il rapporto suggerisce una terapia-shock contro l’avanzata dell’estremismo islamico: la creazione di carceri speciali per i detenuti di ritorno dalla jihad in Siria ed in altri paesi arabi e mussulmani; la reintroduzione delle perquisizioni; il sequestro degli apparecchi elettronici portatili non autorizzati. La misura più drastica proposta è la "sonorizzazione delle prigioni": si tratterebbe cioè di piazzare microfoni in tutti quei luoghi che nelle carceri potrebbero essere "propizi al proselitismo religioso". Stati Uniti: in California stop all’isolamento in base a razza dopo rivolte dei detenuti La Presse, 24 ottobre 2014 Le autorità carcerarie della California hanno deciso di interrompere una pratica in base alla quale i detenuti delle prigioni venivano separati in base alla razza in seguito a eventuali rivolte. Nel 2008 un detenuto aveva fatto ricorso contro questa pratica e il dipartimento di Giustizia l’ha giudicata incostituzionale. In base a un accordo raggiunto nella notte, di cui Associated Press ha ottenuto una copia, qualunque futuro isolamento delle carceri californiane dopo una rivolta "non potrà essere imposto o annullato in base alla razza o all’etnia". In numerose occasioni il personale delle prigioni ha isolato i detenuti nelle celle basandosi sulla razza dopo una rivolta per impedire ulteriori violenze, anche se i prigionieri in questione non erano direttamente collegati agli episodi. In base al nuovo accordo, le guardie possono isolare ogni detenuto in un’area del carcere colpita da disordini oppure farlo con individui singoli sospettati di essere coinvolti nelle violenze. Stati Uniti: a Guantánamo protesta detenuti musulmani contro soldatesse come guardie La Presse, 24 ottobre 2014 La presenza di soldatesse nella base Usa a Guantánamo sta suscitando proteste da parte di detenuti. Prigionieri sottoposti al regime di massima sorveglianza rifiutano infatti di incontrare i propri avvocati finché l’esercito non accetterà di farli scortare soltanto da uomini. I reclusi sono musulmani devoti e la loro fede gli vieta contatti fisici con donne che non sono loro familiari. L’esercito Usa ha recentemente reintrodotto la pratica di far scortare i detenuti sottoposti al regime di massima sorveglianza da donne, che era stata sospesa nel 2007. Khalid Sheikh Mohammed, accusato di essere il principale architetto degli attentati dell’11 settembre del 2001, non ha voluto incontrare oggi un consigliere legale per protesta contro l’uso di donne come guardie. Un avvocato del Pentagono, Derek Poteet, ha notato che la protesta ostacolerà i tentativi di preparare la difesa di Mohammed, ma l’esercito ha rifiutato di usare soltanto uomini come guardie.