Giustizia: lunedì 27 ottobre al vaglio dell’Onu la situazione diritti umani in Italia Tm News, 23 ottobre 2014 La situazione dei diritti umani in Italia sarà vagliata dal Gruppo di Lavoro dell’Esame Periodico Universale - parte del Consiglio dei diritti Umani - per la seconda volta lunedì 27 ottobre 2014. La riunione sarà diffusa in rete. L’Italia è uno dei quattordici stati che saranno esaminati dal Gruppo di Lavoro durante la prossima sessione che si svolgerà dal 27 ottobre al 7 novembre. Il primo Esame Periodico Universale dell’Italia ebbe luogo il 9 Febbraio 2010. I documenti sui quali si fonda l’Esame Periodico Universale sono: 1) Rapporto nazionale a cura dello stato sotto esame; 2) Rapporto delle Nazioni Unite contenente informazioni dai rapporti di esperti indipendenti dei diritti umani, meglio conosciuti come Procedure Speciali, informazioni provenienti dagl’organi di controllo dei patti internazionali, ed informazioni di altri organi e agenzie delle Nazioni Unite; 3) Rapporto di terze parti tra le quali istituzioni nazionali indipendenti e organizzazioni non-governative. Tra le questioni sollevate nella relazione nazionale e attraverso le domande avanzate ricevuti sono: politiche per l’immigrazione e per l’integrazione; i diritti dei migranti e dei richiedenti asilo politico; la lotta contro la discriminazione e atti razzisti; minoranze etniche; i diritti delle donne e dei bambini e la violenza contro le donne; il sistema giudiziario e quello penitenziario; le condizioni delle carceri; la libertà d’espressione e di religione; la lotta contro il traffico d’esseri umani; e la formazione sui diritti umani per le forze dell’ordine. L’Esame Periodico Universale è un processo unico nel sistema delle Nazioni Unite che permette una analisi periodica della situazione dei diritti umani in ognuno dei 193 paesi membri dell’organizzazione. A partire dalla prima riunione tenutasi nell’Aprile 2008, tutti i paesi membri delle Nazioni Unite sono stati esaminati nel primo ciclo, mentre ad ora 98 paesi sono già stati esaminati nel secondo ciclo, la cui vocazione è di mettere in luce gli sviluppi nel campo dei diritti umani rispetto a quanto discusso nel primo ciclo, e di dare l’opportunità ad ogni paese sotto esame di dettagliare i passi fatti per mettere in opera le raccomandazioni ricevute durante l’esame nel primo ciclo. La delegazione Italiana sarà guidata da: Mr. Lapo Pistelli, Viceministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. L’adozione del rapporto dell’Italia da parte del Gruppo di Lavoro dell’Esame Periodico Universale è prevista per il 31 ottobre alle ore 15.00. Il rapporto sarà condiviso con Voi a quel momento, in anticipo rispetto alla sua adozione. Giustizia: aboliamo l’appello, solo così avremo una riforma efficace di Giovanni Palombarini (Magistratura Democratica) Il Mattino di Padova, 23 ottobre 2014 Ma se nei provvedimenti del governo ci sono luci che vanno apprezzate, appaiono a ben vedere anche ombre che meritano molte critiche. A proposito delle luci, va detto che un risultato positivo è stato certamente ottenuto. Intensificando l’impegno dei suoi predecessori Severino e Cancellieri, il ministro Orlando ha proseguito l’opera di riduzione del sovraffollamento delle carceri, un fenomeno offensivo di leggi e di diritti fondamentali, e produttivo di condanne dell’Italia in sede europea. Dal tempo del ministro della Giustizia Angelino Alfano, che di fronte al crescere impetuoso del numero dei detenuti ormai giunto al limite di circa 70 mila, andava proponendo come se niente fosse la costruzione di nuovi stabilimenti fino al limite di 80 mila (oggi, in un altro ministero, l’on. Alfano vaneggia sul fronte dei matrimoni fra persone omosessuali celebrate all’estero), una serie di interventi hanno invertito la tendenza, portando i ristretti a meno di 60 mila. Fra l’altro, con l’attuale ministro, è stato introdotto nel codice di procedura penale il divieto di disporre la misura cautelare in carcere di quelle persone per le quali il giudice ritenga che sarà concessa la sospensione condizionale della pena o comunque irrogata una pena inferiore a tre anni di reclusione. È una norma importante, questa, perché oltre a incidere sul sovraffollamento, indica una prospettiva di contenuto positivo, quella di escludere la massima pena, appunto il carcere, per i reati minori. C’è da augurarsi, a questo proposito, che venga rifiutata la proposta di una commissione ministeriale di affidare la direzione delle carceri a comandanti militari. Per il resto, tanti buoni propositi sono ancora a livello di progetti o rischiano di tradursi in normative deludenti. Sotto il primo aspetto si attende l’esercizio da parte del governo della delega in materia di depenalizzazione e di misure alternative al carcere (ci sarà il coraggio di intervenire incisivamente?), sotto il secondo, per quanto riguarda la prescrizione, si prevedono semplici ritocchi all’attuale situazione, senza stabilire, come sarebbe logico, che la prescrizione si sospende dopo il rinvio a giudizio dell’imputato o almeno dopo la sentenza di primo grado. Ma è soprattutto con riferimento alle procedure, dove in civile come in penale si gioca davvero la partita di una giustizia rapida, che sembra mancare un coraggioso programma riformatore. Nella situazione italiana, caratterizzata da un forte conflittualità, è soprattutto l’articolazione del sistema delle impugnazioni che appare sproporzionato, obsoleto e produttivo di tempi lunghissimi. Fra le misure che si possono pensare in questo ambito, di particolare importanza appare l’abolizione dell’appello, in civile come in penale. Che senso ha tentare di ridurre la durata del processo civile di primo grado quando poi, emessa la prima sentenza, la decisione della causa d’appello proposta dalla parte soccombente viene rimessa a una distanza di quattro-cinque anni? Qui non ci sono violazioni di principi costituzionali. La giustizia possibile è assicurata da un tribunale fatto da professionisti tecnicamente preparati, le cui sentenze sono già una risposta adeguata dello Stato alla domanda di giustizia. Si ritiene che una sentenza sia ingiusta? Ebbene soccorre il ricorso per Cassazione, che la Costituzione prevede, limitato peraltro al solo vizio di violazione di legge. Le riforme radicali sono certo difficili, ma spesso sono le uniche che possono produrre un reale cambiamento. Giustizia: Csm; plenum straordinario affronterà questione responsabilità civile magistrati Dire, 23 ottobre 2014 Mercoledì prossimo 29 ottobre un plenum straordinario del Csm affronterà la questione della responsabilità civile dei magistrati. Lo ha riferito il vicepresidente del Csm Giovanni Legnini, durante il plenum di stamattina. Al parere sulle norme che regoleranno la responsabilità civile sta lavorando la sesta commissione del Csm, oggi in seduta straordinaria, che - si presume - dovrà aggiornare il parere alla luce delle nuove indicazioni arrivate dai due emendamenti voluti dal ministro Orlando e approvati ieri al Senato. Il parere dovrebbe essere pronto già domani per poi inviarlo al presidente della Repubblica. Mercoledì sarà votato dal plenum del Csm, al quale dovrebbe partecipare lo stesso ministro Orlando. In apertura del plenum di stamattina, il vicepresidente Legnini ha affrontato anche la questione delle dimissioni anticipate del giudice Enrico Tranfa, il presidente della sezione della Corte di Appello di Milano che ha assolto Berlusconi sul caso Ruby. Legnini ha fatto riferimento al comunicato espresso dal presidente della Corte di Appello di Milano Giovanni Canzio, al quale il Csm si allinea, ma Palazzo dei Marescialli non aprirà nessun procedimento a carico di Tranfa perché - ha spiegato Legnini - non ci sono margini di intervento, dal momento che lo stesso giudice Tranfa ha deciso le sue dimissioni senza motivare alcunché e non ha fatto nessuna comunicazione al Csm. Giustizia: Ucpi; avanti con responsabilità civile toghe, non svuotare significato riforma Asca, 23 ottobre 2014 La disciplina della responsabilità civile dei magistrati "deve diventare legge". Così l’Unione Camere Penali italiane, sui contenuti della riforma della giustizia. "È necessario - sottolineano i penalisti - che il Parlamento concluda presto e bene l’iter evitando così il rischio di una procedura di infrazione per decine di migliaia di euro. Proprio ieri noi dell’Ucpi abbiamo avuto modo di ribadire questa posizione nel corso di un incontro con il Ministro Orlando, del quale abbiamo apprezzato la volontà di contribuire a portare in fondo la riforma". "Non sono però condivisibili - rilevano i penalisti - gli emendamenti dell’ultim’ora presentati dal Ministro che peraltro riprendono le originarie proposte governative: circoscrivere i casi nei quali è possibile l’azione di responsabilità e limitare la rivalsa a somme poco più che simboliche paiono più concessioni a quella parte della magistratura italiana che si oppone alla riforma che un contributo di razionalizzazione della nuova disciplina". "Il nostro appello - concludono i penalisti - è a che le forze parlamentari, considerata anche la disponibilità del Governo ad ulteriori modifiche, si impegnino a concludere il lavoro della Commissione giustizia del Senato per approvare una legge che finalmente attui il principio di responsabilità del magistrato garantendone al contempo autonomia ed indipendenza, respingendo spinte corporative che mirano solo a svuotare di significato concreto la riforma". Giustizia: Buemi (Psi) "c’è un pezzo di Pd che risponde all’Anm e boicotta la mia legge" di Errico Novi Il Garantista, 23 ottobre 2014 Il Senatore Enrico Buemi: sulla responsabilità civile il Ministro Orlando costretto a mediare. Voglio far uscire i magistrati dalla loro campana di vetro. Non perché ce l’abbia con loro. Semplicemente devono rispondere dei loro errori come tutti. Come il chirurgo sospeso al millimetro più in qua o più in là del taglio lasciato dal suo bisturi". Il senatore Enrico Buemi non fa l’avvocato. È un imprenditore, non ha nulla a che vedere con il mondo della giustizia. Ma è un socialista, innanzitutto. Uno dei pochi parlamentari eletti dal Psi di Riccardo Nencini, grazie all’accordo con il Partito democratico. Buemi è uno che quando parla di Giuliano Vassalli dice "il compagno Vassalli". E si è messo in testa di riportare in vita la legge sulla responsabilità civile dei giudici voluta dallo storico ministro socialista. O meglio, di riproporla in modo che, dopo 26 anni di finzioni, possa essere applicata davvero. La proposta di cui Buemi è firmatario (insieme con Nencini e con l’altro senatore Psi Fausto Longo) è stata emendata martedì scorso dal governo, durante l’esame della commissione Giustizia di Palazzo Madama. Buemi ha minacciato di dimettersi da relatore del provvedimento. Ieri c’è stato un incontro con il ministro Orlando. Una mediazione. "Mi ha ribadito la sua disponibilità ad accettare subemendamenti", dice il senatore socialista, "Orlando mi ha detto che ci sono i margini per cercare un accordo, innanzitutto tra i senatori della maggioranza. Gli ho risposto che però non possiamo permetterci di far fare alla responsabilità civile un passo avanti e due indietro". Lei dice che Vassalli fu sabotato: perché? Non voglio fare la sua fine. Scrisse una buona legge, poi gli imposero il filtro di ammissibilità, all’ultimo momento. Con quel trucco è stato tradito un referendum proposto dai radicali e votato dalla stragrande maggioranza degli elettori. E il nostro ordinamento si è consegnato a 26 anni di prese in giro. In che senso? Sa quante azioni sono state proposte contro lo Stato da cittadini che si ritenevano danneggiati da decisioni di un giudice? La bellezza di 410 azioni. Sa quante volte il magistrato è stato giudicato colpevole? Solo 7 volte. E da quanto riferito da Via Arenula al presidente della commissione Giustizia del Senato Francesco Nitto Palma, la rivalsa dell’amministrazione nei confronti del giudice responsabile è arrivata a conclusione solo una volta. Una volta, in 26 anni, su 410 cause. Qualcosa non va, o no? Che dice? Il ministro è contrario alla sua proposta, senatore? Ho incontrato il ministro poche ore fa. Abbiamo chiarito le nostre posizioni. Lui mi ha ribadito la disponibilità ad accettare subemendamenti. Mi ha detto che ci sono i margini per cercare un accordo, innanzitutto tra noi senatori della commissione Giustizia che facciamo parte della maggioranza. Cosa vuol dire? Allora il problema non è il ministro... Il ministro deve avere posizioni di mediazione. Ma nel suo partito c’è una componente che sta lì a rappresentare le posizioni dell’Associazione magistrati, ormai è chiaro. Sta dicendo che una parte del Pd risponde direttamente ai pm? Sono schierati chiaramente a difesa degli interessi della magistratura. Che vuole una riforma della responsabilità civile dalle polveri bagnate. Ci spieghi nel dettaglio. Partiamo dalla legge Vassalli. Quella normativa stabilisce che un giudice può essere chiamato a rispondere di un suo atto per dolo o colpa grave. Sul dolo siamo tutti d’accordo, tanto non si verifica mai. Il punto è la colpa grave. Secondo la Vassalli questa ricorre, tra l’altro, in caso di "grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile". Giustissimo. Poi però a quella normativa imposero all’ultimo momento il filtro di ammissibilità. Delle 410 azioni di cui le dicevo sa quante hanno superato indenni questo filtro? Appena 35. Meno del 10 per cento. Con la sua proposta questo filtro di ammissibilità viene eliminato. E se per questo anche nella versione del governo. Ma questo passo avanti è contraddetto da due indietro. Perché l’emendamento del governo modifica proprio quel passaggio della Vassalli in cui si definisce come caso di colpa grave anche la negligenza inescusabile. Lo sostituisce con la frase: "Costituisce colpa grave la violazione manifesta della legge". E così è peggio? Sì, perchè non ci sono quelle due paroline magiche, "negligenza inescusabile". Cosa vuol dire? Che se ci sono le due paroline il giudice non può sempre cavarsela dicendo "scusate, mi sono distratto". Non può dirlo quando la sua disattenzione è inescusabile perché magari l’avvocato della parte lesa gli aveva fatto notare un dettaglio normativo che avrebbe dovuto spingerlo a una decisione diversa, e lui, il giudice, se n’è fregato. Si risolve il problema del filtro ma si diluisce il resto, è così? Esatto. Ma non è che il problema vero è un altro? E cioè che nella sua proposta si definisce colpa grave anche il discostarsi immotivato da sentenze della Cassazione? In effetti anche su questo c’è stato un emendamento del governo, che vincola il giudice ad aderire solo alla giurisprudenza comunitaria. Il che è indispensabile per evitare sanzioni milionarie da parte dell’Ue. Ma a giudizio del sottoscritto, di Forza Italia e persino di una parte del Pd, è necessario che il giudice debba spiegare perché non tiene conto di sentenze della Suprema corte. Non diciamo che deve per forza attenersi. Diciamo soltanto che, se decide di non farlo, deve spiegare perché. Secondo l’Anm così l’interpretazione della legge viene impedita. E no. Così si impediscono sentenze fantasiose. Così un giudice che pretende di affermare che il bianco è nero deve spiegare come fa. Ce la farà a convincere il governo? Spesso il governo pone la fiducia. Se c’è una parte del Pd refrattaria a questi principi di giustizia, il governo costringa loro, una volta tanto, a votare sotto la scure della fiducia. Senatore, ma alla fine perché l’Anm si impunta tanto? Tanto non paga l’assicurazione? Lasci perdere, questo è un altro scandalo. In 26 anni le assicurazioni hanno solo lucrato: hanno incassato i premi senza pagare quasi mai per i danni procurati dai giudici. Ma allora la premura verso l’Anm è solo un ossequio a sua maestà? No, questa feroce resistenza è un danno contabile, altro che. Giustizia: in G.U. le regole per le agevolazioni sulle assunzioni dei lavoratori detenuti www.ipsoa.it, 23 ottobre 2014 Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 246 del 22 ottobre, il D.M. n. 148/2014 del Ministero della Giustizia approva le regole per la fruizione degli sgravi fiscali e contributivi in favore delle imprese che assumono lavoratori detenuti. Il D.M. 24 luglio 2014 del Ministero della Giustizia (adottato di concerto con il Mef e il Ministero del Lavoro), riconosce alle imprese che assumono lavoratori detenuti o internati, per un periodo non inferiore a 30 giorni, un credito d’imposta per ogni lavoratore assunto, nei limiti del costo sostenuto pari a 700 euro mensili per il 2013, in misura proporzionale alle giornate di lavoro prestate, 520 euro mensili a decorrere dal 2014. Il credito d’imposta si riduce a 350 euro mensili per le assunzioni di lavoratori semiliberi, provenienti dalla detenzione o internati in regime di semilibertà. Per entrambe le categorie di lavoratori assunti con contratto di lavoro a tempo parziale, il credito d’imposta spetta in misura proporzionale alle ore lavorative prestate. Il credito d’imposta - che non concorre alla formazione della base imponibile ai fini delle imposte sui redditi e dell’Irap - è utilizzabile esclusivamente in compensazione ai sensi dell’art. 17, D.Lgs. n. 241/1997 e deve essere indicato nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta in riferimento al quale è concesso. Con riguardo alle modalità di accesso al beneficio, il decreto prevede che, a partire dal 2015, i soggetti che intendono fruire del credito d’imposta devono presentare, entro il 31 ottobre dell’anno precedente a quello per cui si chiede l’agevolazione, un’apposita istanza relativa sia alle assunzioni già effettuate che a quelle che si prevede di effettuare, presso l’istituto penitenziario con il quale si sia stipulata una specifica convenzione. Il D.M., inoltre, prevede che le aliquote complessive della contribuzione per l’assicurazione obbligatoria, previdenziale ed assistenziale dovute dai soggetti beneficiari relativamente alla retribuzione corrisposta ai detenuti siano ridotte nella misura del 95% a partire dal 2013, fino a concorrenza di 8.045.284 euro (4.045.284 dal 2014). Giustizia: la (cattiva) coscienza dei magistrati di Annalisa Chirico Panorama, 23 ottobre 2014 Le polemiche dimissioni del Presidente di Corte d’appello che aveva assolto Berlusconi sono state criticate dalle toghe dì ogni orientamento. Perché è bastato eliminare il Cavaliere per riscoprire regole e garanzie. Uniti come un sol uomo, uniti in un plotone compatto e impenetrabile contro l’Arcinemico. Finché un viaggio a Lourdes ti fa cambiare verso. Il pellegrino si chiama Enrico Tranfa, presidente del collegio della Corte d’appello di Milano che il 18 luglio scorso ha assolto Silvio Berlusconi dalle imputazioni di concussione e prostituzione minorile nel processo Rubygate. Con un gesto senza precedenti, Tranfa il 17 ottobre si dimette dalla magistratura subito dopo aver firmato le 330 pagine della sentenza d’appello. In qualità di presidente del collegio, Tranfa non può rifiutarsi di firmare, pena la nullità dell’atto. Può però puntare a un gesto soft, depositando la prova del suo disaccordo nella cosiddetta "busta" in una cassaforte di cancelleria (avvenne nel secondo processo Mills da pane di una giudice "ribelle") Tranfa invece sceglie la "rupture" totale consegnando alla Repubblica, tra indiscrezioni e retroscena, la rivelazione della svolta: un pellegrinaggio a Lourdes lo avrebbe aiutato a compiere "la scelta giusta". A stupire non è il colpo di teatro, in anticipo di 15 mesi sulla pensione, quanto piuttosto la reazione dei colleghi togati. I quali, in netta controtendenza rispetto al passato, non sì sperticano nella difesa dell’eroico gesto. Uniti come un sol uomo, manco per niente. I giudici Ketty Locurto e Alberto Puccinelli, membri della camera di consiglio che ha assolto Berlusconi, si chiudono in un silenzio eloquente. La segretezza della camera di consiglio non è una facoltà, ma un preciso obbligo di legge che i due rispettano marcando distanza dall’ex collega, tanto più quando il Corriere della sera attribuisce a Tranfa alcune parole da lui non smentite: "Non me la sento di giudicare domani un marocchino in modo diverso da quanto fatto con Berlusconi". È implicita l’accusa alle altre due toghe di aver violato il dovere d’imparzialità. Giovanni Canzio, presidente della Corte d’appello di Milano, stigmatizza le dimissioni perché "se dettate dal motivo di segnare il personale dissenso" dall’assoluzione "non appaiono coerenti con le regole ordinamentali e deontologiche". Queste infatti "impongono l’assoluto riserbo dei giudici sulle dinamiche, fisiologiche, della formazione della decisione" in camera di consiglio. Il procuratore di Torino Armando Spataro rivolge un "abbraccio sincero" a Locurto e Puccinelli. "Da sempre noi magistrati diciamo che le sentenze possono essere criticate ma si rispettano. Deve rispettarle il condannato, l’assolto, la parte civile, il pm. Ma deve rispettarle anche chi le emette". Il giudice di Cremona Guido Salvini parla di un "gesto distorsivo", destinato ad avere ripercussioni su un processo "ormai inquinato": sia che la Cassazione annulli o confermi l’assoluzione. Secondo Salvìnì, Tranfa "ha delegittimato, questa volta davvero, il processo e la corte dì cui ha fatto parte". La formula "uniti come un sol uomo" non vale più. Adesso che l’Arcinemico è disarcionato, messo ko da una condanna definitiva che lo ha estromesso dal Parlamento, le toghe italiane non si esibiscono più nel plotone compatto e impenetrabile che per vent’anni ha giustificato forzature ai limiti del diritto e acrobazie ai limiti del ridicolo. Allora lo scopo era uno: annientare il premier mafioso, poi corruttore, in ultimo puttaniere. Adesso non vale più. L’unica voce un po’ stonata è quella di magistrato Livio Pepino, fondatore di Magistratura democratica in pensione, che sul Manifesto ha scritto "È giusto dimettersi contro una sentenza ingiusta". Ma il suo pare quasi lo sfogo di un reduce Nessuna stonata si era levata quando Berlusconi viene condannato dalla sezione feriale della Cassazione, dopo che i gup di Roma e di Milano lo hanno assolto per ì medesimi fatti e sulle medesime fonti di prova con sentenza passata in giudicato? I due gup, sommati ai dieci magistrati delle due sezioni della Cassazione fanno un totale di 12 magistrati, che assolvono Berlusconi per il cosiddetto "giro dei diritti tv" relativo ad anni diversi. Antonio Esposito condanna. Si leva forse una voce stonata quando, a seguito dì un suggerimento del quotidiano dì via Solferino, la Cassazione si affretta a fissare la data dell’udienza (quella della condanna definitiva] per scongiurare il rischio dì una prescrizione parziale? I difensori dell’ex premier si vedono di colpo dimezzati ì tempi per articolare la difesa: "Non ho mai visto una cosa del genere" commenta allora Franco Coppi. E che dire dell’inchiesta Rubygate, con Alfredo Robledo che accusa il procuratore capo Edmondo Bruti Liberati di aver assegnato illegittimamente il fascicolo a Ilda Boccassini? Che dire della sentenza di assoluzione che, in modo analogo a quanto avvenuto per la condanna romana di Luigi De Magistris, stigmatizza l’operato della procura ambrosiana per l’acquisizione illegittima dei tabulati telefonici, che coinvolgono l’ex premier, senza l’autorizzazione del Parlamento? Sì leva forse una voce stonata quando le giudici della condanna Ruby gate di primo grado a 7 anni di carcere trasmettono gli atti alla procura per dar vita al Ruby ter? Oltre 40 testimoni, rei di non essersi allineati al teorema accusatorio, vengono iscritti nel registro degli indagati per falsa testimonianza. Dopo l’assoluzione di Berlusconi in appello, la procura fa sapere che il terzo capitolo della saga andrà avanti comunque. Un baccanale giudiziario che, dopo vent’anni, sembra non divertire più neanche i magistrati. Dei giustizieri d’un tempo non vi è più traccia. Solo capponi manzoniani, che si beccano a più non posso. Giustizia: dossier Commissione Antimafia "testimoni di giustizia, ora una nuova legge" di Vincenzo R. Spagnolo Avvenire, 23 ottobre 2014 Sono 85 (con 253 familiari) gli "eroi civili" che hanno denunciato le mafie. Per loro "servono norme ad hoc, non quelle per i pentiti". Gaetano Saffioti ha 53 anni e vive a Palmi, in Calabria, dove ha un’impresa edile che impiega una trentina di operai. Nel 2002 ha denunciato gli uomini della ‘ndrangheta che gli chiedevano il pizzo: da allora, lui e la sua famiglia vivono sotto protezione, ma hanno scelto di restare nella propria terra perché solo così "le cose potranno davvero cambiare". Una scelta compiuta anche da Valeria Grasso, imprenditrice palermitana che ha fatto condannare affiliati alla cosca Madonia, che volevano imporre la "messa a posto" alla sua palestra. Entrambi sono fra gli 85 testimoni di giustizia protetti dal ministero dell’Interno: cittadini onesti che hanno assistito a gravi reati o li hanno subiti e hanno deciso di non tacere, denunciando i presunti autori alla magistratura. Della loro situazione si è occupata la Commissione parlamentare antimafia, con una relazione approvata martedì all’unanimità (anche se con l’assenza di Forza Italia). In tutto, annota il dossier, il sistema centrale di protezione si occupa di 6.200 persone, per la maggior parte collaboratori di giustizia (i cosiddetti pentiti) e le loro famiglie. I testimoni sono solo 85 (insieme a 253 familiari): 17 affidati a "misure speciali", cioè protetti nella propria abitazione; gli altri inclusi nel "programma", cioè trasferiti con una nuova identità in una località protetta. Fra loro, 28 hanno denunciato vicende di ‘ndrangheta, 22 di camorra, 15dicosanostrasicilianae7di sacra corona unita pugliese. La maggior parte ha un’età fra i 26 e i 60 anni, mentre il 40% dei familiari è ancor più giovane (sotto i 18 anni). Per tutti, denuncia la Commissione parlamentare antimafia, non esiste una legge ad hoc, ma viene applicata per estensione la normativa del 1991 per i collaboratori di giustizia. "La relazione è un testo innovativo - spiega il presidente della Commissione, Rosy Bindi (Pd) - che porterà alla stesura di un progetto di legge organico per superare i limiti della legislazione attuale". I testimoni sono "perle rare" e perciò "serve una legge nuova, pensata per loro fin dalle fondamenta", aggiunge il collega di partito Davide Mattiello. D’accordo anche Francesco D’Uva (M5S): "I testimoni vanno tutelati in modo personalizzato, economicamente e socialmente". Fra le proposte della Commissione, l’introduzione di un referente fisso, chepos-sa aiutare il testimone nelle difficoltà quotidiane e di un Comitato di assistenza (formato da avvocati, commercialisti, psicologi) che lo coadiuvi nella gestione patrimoniale (vendita eventuale di beni immobili, nuovo lavoro o impresa da gestire). Ancora la relazione suggerisce di potenziare il Servizio centrale di protezione del Viminale con uomini, mezzi e formazione. Ma la Commissione chiede di superare lo schema attuale (misure "speciali" per chi resta a casa propria e assistenza economica per chi entra nel "programma"), suggerendo che ai testimoni sia applicabile l’intero ventaglio di aiuti. Chi cambia città, spesso non riesce a ricostruire nuove relazioni e finisce in depressione. "Invece bisogna far riprendere al testimone la propria vita", concludono gli esponenti della Commissione antimafia, altrimenti "lo Stato ha fallito". Giustizia: documento del Forum Nazionale dei Giovani sul sovraffollamento delle carceri www.imgpress.it, 23 ottobre 2014 Il Forum Nazionale dei Giovani ha denunciato il problema del sovraffollamento delle carceri. Con un Documento Programmatico, presentato e sottoscritto da oltre 40 parlamentari italiani ed europei e da esponenti attivi nel mondo della giustizia, ha voluto presentare il problema e proporre alcune soluzioni. L’Onorevole Marco Di Lello, ha commentato: "nel nostro Paese le strutture penitenziarie accolgono una popolazione di 54.252 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 49.397 nei 206 carceri presenti. Dati in continuo aumento che hanno generato un sovraffollamento degli Istituti di pena e contribuito ad un peggioramento della condizioni di vita dei detenuti italiani. Non vanno dimenticati, in questa emergenza, anche gli ospedali psichiatrici giudiziari (opg) che ospitano 1.550 individui, di cui 375 sono "in proroga" perché nessun altro centro è in grado di ospitarli. È una situazione vergognosa, sintomo di inciviltà". Giuseppe Failla, Portavoce del Forum Nazionale dei Giovani, ha commentato: "Bisogna trovare una soluzione definitiva a questa problematica che da troppo tempo affligge il nostro Paese. Gli appelli del Presidente della Repubblica sono rimasti inascoltati, decine di interrogazioni parlamentari sono rimaste disattese. Disponiamo di 90 carceri, costruite e pagate dai contribuenti, che rimangono inutilizzati e continuiamo ad affollare detenuti in carceri obsoleti e in condizioni disumane. Non si può più fare finta di niente o prendere tempo. È ora di risolvere il problema come hanno già fatto diversi Stati europei". L’emergenza carceraria è stato un problema comune a tutti gli Stati dell’Unione Europea ma questo, in alcuni casi, ha portato a sperimentare soluzioni alternative come un maggior ricorso alle misure cautelari. La Norvegia ha introdotto le "liste di attesa" per detenuti colpevoli di reati meno gravi, il Portogallo ha ridotto il numero di detenuti attraverso una riforma penale, la Francia, adottando il "braccialetto elettronico" non ha eliminato il problema ma ha evitato un peggioramento della situazione. Un inizio incoraggiante lo si è avuto con l’approvazione del Decreto Legge "svuota carcere" voluto fortemente dall’ex Ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri che ha previsto, tra le numerose modifiche al sistema penitenziario, sconti di pena per buona condotta, obbligatorietà dei "braccialetti elettronici", aumento della carcerazione domiciliare e maggiori rimpatri dei detenuti stranieri. Su quest’ultimo punto l’attuale Ministro della Giustizia, Andrea Orlando, ha siglato un accordo bilaterale con il Marocco per permettere ai detenuti marocchini di scontare la pena nel proprio paese. Un passo in direzione della risoluzione del sovraffollamento dato che ad oggi il 30 per cento dei detenuti è un cittadino extra comunitario. Giuseppe Failla aggiunge: "Tutto quello che si è fatto fino ad ora è un inizio e ancora molto si può e si deve fare. Strutture esistenti da potenziare, riaprire e riqualificare, implementazione del lavoro in carcere, maggiore uso degli arresti domiciliari sono soluzioni che si possono attuare per porre un freno a questa emergenza. Per i giovani, detenuti nelle nostre carceri bisogna prevedere delle attività formative che offrano loro l’opportunità di acquisire competenze spendibili successivamente nel mondo del lavoro. Il Fng intende, dopo questo appuntamento, relazionarsi con il Ministero della Giustizia e con tutti gli operatori del diritto per continuare a porre l’attenzione sul tema". Il Forum Nazionale dei Giovani, inoltre, con un progetto presentato da Luigi Iorio, ha voluto approfondire la questione carceraria dal punto di vista dell’emergenza carceraria per gli under35. Spesso per i giovani che vivono l’esperienza del carcere è difficile reintegrarsi nel tessuto sociale una volta scontata la pena. Il sistema carcerario è troppo spesso interpretato dal punto di vista punitivo e non riabilitativo e non comprende un percorso educativo che porti i giovani a comprendere non solo gli errori commessi ma ad insegnargli a valorizzare le proprie potenzialità e competenze, facilitando un proseguimento degli studi o un percorso lavorativo. L’On. Micaela Campana ha chiuso la conferenza: "C’è una forte sensibilità da parte del Ministero verso la questione delle carceri e credo che questa sia la legislatura giusta per operare dei cambiamenti strutturali. La difesa dei diritti civili e il sostegno al terzo settore fanno di un Paese un Paese moderno, e noi vogliamo lavorare in questa direzione". Giustizia: le finanze pubbliche sono deteriorate, se lo Stato non paga non commette reato di Fabrizio d’Esposito Il Fatto Quotidiano, 23 ottobre 2014 Alfano, Padoan e Poletti denunciati dalle comunità per minori private dei fondi. Il pm archivia: "finanze pubbliche deteriorate". All’inizio del luglio scorso, la Procura di Roma ha indagato tre esponenti del governo Renzi per poi disporre la trasmissione degli atti al tribunale dei ministri con contestuale richiesta di archiviazione. I tre sono: Angelino Alfano, titolare dell’Interno; Pietro Carlo Padoan, ministro dell’Economia; Giuliano Po-letti, alla guida del Lavoro e delle Politiche sociali. Il provvedimento del pubblico ministero Roberto Felici, vistato dal procuratore capo Giuseppe Pignatone, aveva come "oggetto presunte condotte omissive poste in essere, nelle rispettive qualità e nell’ambito delle funzioni ricoperte, da tre ministri della Repubblica (e, in concorso con gli stessi, da sedici sindaci di altrettanti Comuni) in relazione al mancato pagamento, in favore di varie cooperative sociali, delle rette dovute per l’assistenza ai minori stranieri non accompagnati". L’inchiesta tenuta coperta per mesi è un aspetto dell’epocale tragedia dei migranti provenienti dall’Africa. La maggior parte dei centri interessati si trova infatti in Sicilia. La denuncia risale al giugno scorso ed è stata presentata, per conto di venti cooperative sociali, dall’avvocato salentino Francesca Conte. Le strutture lamentano di essere state obbligate dallo Stato ad accogliere 700 minori migranti per poi essere lasciate al proprio destino, senza un euro. In ballo ci sono almeno 10 milioni di euro, considerato che da tre anni non è stato pagato nulla. Aldilà dei nomi coinvolti nell’inchiesta della procura di Roma, e culminata con la richiesta di archiviazione, la vera notizia è nelle motivazioni scritte da Felici e Pignatone. Scrivono i due magistrati: "La notizia di reato è infondata, in quanto il pagamento alle cooperative sociali delle rette dovute per l’assistenza ai minori stranieri non accompagnati (la cui persistente omissione costituisce un problema reale per la stessa sopravvivenza del servizio) non costituisce tuttavia un atto che deve compiuto senza ritardo per le ragioni di cui all’articolo 328 del codice penale". L’articolo che prevede, cioè, il rifiuto di atti d’ufficio. In ogni caso, la procura riconosce come "problema reale" il mancato pagamento delle rette e arriva a tracciare un quadro feroce e reale allo stesso tempo dell’insolvenza dello Stato. Ecco la parte finale delle ragioni che portano alla richiesta di archiviazione: "Peraltro nel caso di specie il mancato adempimento non può essere considerato come un intenzionale e debito rifiuto di corrispondere quanto dovuto, essendo notorio il fatto che il progressivo deterioramento delle condizioni della finanza pubblica ha determinato negli ultimi anni una protratta e generalizzata condizione di insolvenza a carico di tutti gli enti erogatori di spesa, e tale criticità non può essere ascritta alla condotta attiva od omissiva di alcuno". Insomma, il Procuratore capo di Roma, Pignatone, e il suo pm Felici attestano che i ministri sono innocenti anche se lo Stato è insolvente. Non solo. La denuncia-querela dello studio Conte accusava i tre ministri anche della violazione degli obblighi di assistenza familiare e di abbandono di minori. Le 18 cooperative che beffate dall’innocenza dello Stato sono: Giada onlus di Colle Sannita, Benevento; Pro Vitae Onlus di Benevento; Polo Oasi di San Giorgio del Sannio, sempre Benevento; Casa del Sole di Sant’Agata dei Goti; Alba onlus di Casagiove, provincia di Caserta; Coop sociale sanitaria Delfino di Raffadali, Agrigento; L’Edera di Canicattì, Agrigento; Il Sipario di Gravina di Puglia, Bari; Coop socio-sanitaria 2C di Canicattì, Agrigento; Raggio di Sole di Camastra, Agrigento; San Giuseppe di Ramacca, Catania; Karol di Licata, Agrigento; Sole di Palma di Montechiaro, Agrigento; Jiuvenilia di Campobello di Licata, Agrigento; San Marco di Palma di Montechiaro, Agrigento; Il Gattopardo di Palma di Montechiaro; San Francesco di Santa Elisabetta, Agrigento; Puck di Mancaversa di Taviano, Lecce. Giustizia: l’ex ministro Castelli al Copasir; mai sentito parlare di Operazione "Farfalla" Adnkronos, 23 ottobre 2014 Mai sentito parlare di Operazioni "Farfalla" e "Rientro" nei cinque anni in cui sono stato ministro della Giustizia. Lo ha detto l’ex Guardasigilli, Roberto Castelli, lasciando Palazzo San Macuto, al termine della sua audizione al Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica che l’8 ottobre scorso ha avviato una indagine, di cui è relatore il vicepresidente Giuseppe Esposito, con l’obiettivo di fare chiarezza su alcune presunte operazioni che avrebbero portato agenti del Sisde, in accordo con il Dap, ad avere accesso alle carceri per raccogliere informazioni dai boss detenuti al 41bis. L’ex ministro della Giustizia leghista, a quanto si apprende da fonti di Palazzo San Macuto, ha anche negato di essere stato messo al corrente di un accordo tra gli 007 e il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, nel periodo in cui ha retto il dicastero di via Arenula. Alle 17, al Copasir, è attesa l’audizione di Beppe Pisanu, ministro dell’Interno all’epoca delle presunte Operazioni "Farfalla" e "Rientro. Piemonte: il Garante Mellano; a rischio lavoro dei detenuti in cucina, per mancanza fondi Ansa, 23 ottobre 2014 In una lettera indirizzata al ministro della Giustizia Andrea Orlando, il garante regionale per le carceri del Piemonte, Bruno Mellano, lancia l’allarme sulla possibile fine della positiva esperienza dei detenuti in cucina. "Da oltre dieci anni - sottolinea Mellano - presso alcuni istituti penitenziari italiani il servizio di confezionamento e somministrazione dei pasti è svolto da detenuti, assunti da cooperative sociali, con ottimi risultati: ora esiste il rischio concreto che tale innovativa esperienza si interrompa per problemi di finanziamento". La lettera, sottoscritta da altri nove garanti italiani competenti territorialmente per le strutture a rischio, è già stata consegnata da Mellano al viceministro Enrico Costa. Un incontro per approfondire il problema è stato fissato per sabato 25 ottobre presso la Casa di Reclusione di Alba, alla presenza del provveditore regionale alle carceri del Piemonte e Valle d’Aosta, Enrico Sbriglia. Il servizio dei detenuti in cucina è attivo in dieci strutture carcerarie italiane, fra cui due piemontesi: il Lorusso Cotugno di Torino e il carcere di Ivrea. Cagliari: detenuto suicida; il direttore del carcere di Buoncammino ascoltato in Procura Ansa, 23 ottobre 2014 Il direttore del carcere di Buoncammino in Procura a Cagliari dopo il suicidio del detenuto Giacomo Muscas. Ieri il responsabile del penitenziario Gianfranco Pala si è presentato al palazzo di giustizia e per circa quaranta minuti ha parlato con il sostituto procuratore Andrea Massidda. Al centro del colloquio ci sarebbe stata proprio la morte del 43enne che lunedì si è tolto la vita - come confermato dall’autopsia eseguita questa mattina dal medico legale Roberto Demontis - all’interno dei bagni del centro clinico, impiccandosi con i pantaloni di una tuta. Secondo quanto riportato da L’Unione Sarda dietro il suicidio ci sarebbero delle pesanti intimidazioni, si parla di una lettera minatoria che Muscas avrebbe ricevuto con frasi come: "Ammazzati o uccidiamo tuo figlio". Su questo retroscena, però, dalla Procura non trapela alcun particolare. Si è solo appreso che sono in corso accertamenti. Socialismo Diritti Riforme: sistema incapace di dare risposte a disagio "Il nuovo tragico evento verificatosi a Buoncammino, il quarto negli ultimi 5 mesi in Sardegna, conferma l’incapacità del sistema penitenziario di dare risposte al disagio. La scelta estrema di una persona non può che ricadere sulle Istituzioni". Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione "Socialismo Diritti Riforme", con riferimento al suicidio di Pier Giacomo Muscas avvenuto nel Centro Clinico della Casa Circondariale cagliaritana. "Aldilà del singolo caso che induce a riflettere per la complessità della vicenda, la realtà della detenzione - osserva - è spesso sottovalutata e non ci si rende conto che la maggior parte dei cittadini privati della libertà è legata al mondo della tossicodipendenza. In molti casi si tratta ormai solo di un mezzo per garantirsi un introito facile ma, molto spesso, è espressione di problematiche di carattere sociale e psichico". "Il sistema sociale esterno è inerte davanti a queste problematiche che fa ricadere quasi interamente su quello penitenziario. L’uno e l’altro operano secondo logiche distanti dai reali bisogni accentuando gli aspetti repressivi che si esasperano con la burocratizzazione delle istanze. Le risposte non sempre arrivano in tempo utile e l’attesa è vissuta come una tortura aggiuntiva generando disperazione. La Polizia Penitenziaria non può sempre scongiurare il peggio anche perché ha bisogno di essere supportata da altre figure professionali. Occorre maggiore attenzione ma è indispensabile - conclude la presidente di Sdr - intervenire sulla rete sociale esterna per dare speranze di riscatto e di reintegro nella comunità". Ascoli Piceno: dopo suicidio di un detenuto, il Vescovo si è recato in visita al carcere Il Resto del Carlino, 23 ottobre 2014 Monsignor D’Ercole: "Episodi come questo, sempre più frequenti, fanno riflettere sulla condizione carceraria". Dopo il suicidio in cella di Gianluca Ciferri, l’imprenditore che si è tolto la vita nel carcere di Ascoli Piceno, dove era recluso per l’omicidio di due suoi ex dipendenti, il vescovo della città, monsignor Giovanni D’Ercole, si è recato a far visita ai compagni di detenzione del suicida. "L’episodio - ha detto il vescovo - fa riflettere sulla condizione carceraria, in cui, pur essendoci il massimo impegno e la grande attenzione da parte delle istituzioni preposte e grazie anche all’azione dei volontari che assicura un supporto ai carcerati, resta il grave problema della detenzione che sempre più spesso non viene vissuta come opportunità di recupero". "Si impone, non solo a livello locale ma anche nazionale - ha aggiunto - una riflessione attenta sul carcere e su come aiutare i detenuti non soltanto nel loro periodo di detenzione, ma anche una volta tornati alla libertà. Inoltre, il ripetersi di suicidi in varie carceri d’Italia, dove a farlo spesso, come in questo caso, sono persone che per la prima volta hanno problemi con la giustizia, invita a meditare su come affrontare queste situazioni ed essere di supporto, cercando là dove è possibile, anche strutture alternative al regime carcerario". Monsignor D’Ercole ha invitato poi a riflettere sul fatto che "troppo spesso si ripetono episodi di tal genere: persone dalla vita apparentemente normale (e spesso stimati professionisti) compiono azioni criminose precipitando in situazioni dalle conseguenze irreparabili, anticamera spesso di episodi così gravi". Lucca: detenuto 25enne suicida nel carcere San Giorgio, era stato arrestato 24 ore prima Il Tirreno, 23 ottobre 2014 Tragico gesto del giovane di 25 anni che era stato fermato dalla polizia dopo un rocambolesco inseguimento: si è impiccato nella sua cella. Si è suicidato impiccandosi in cella il giorno successivo al suo arresto. Si è conclusa così, tragicamente, la vita di Jason Cari, 25enne di origine sinti ma residente a Bolzano che nel pomeriggio di lunedì era stato arrestato dalla polizia dopo un tentativo di fuga nel centro di Viareggio. Cari, una volta portato al commissariato, aveva provato a fornire false generalità. I poliziotti, insospettiti dal suo comportamento, avevano però ben presto scoperto il tentativo e, soprattutto, aveva saputo che sul suo capo pendeva un ordine di carcerazione del tribunale di Bolzano a quattro anni di reclusione. Cari aveva ottenuto l’affidamento in prova, ma si era presto dileguato. Almeno fino a lunedì, quando era stato notato da due poliziotti nella piazza del mercato di Viareggio, insieme a una donna. Insospettiti, avevano cominciato a pedinarlo ma Cari, a un certo punto, aveva cominciato una vera e propria fuga, terminata poi in un bar di piazza Mazzini. Della donna che era con lui, invece, nessuna traccia. Dopo l’identificazione il giovane, considerato un criminale "di altissimo spessore" con precedenti per sequestro di persona, rapina, lesioni personali, furto, ricettazione ed evasione, era stato trasferito nel carcere di San Giorgio. Dove però, nel pomeriggio di mercoledì, è stato trovato impiccato nella sua cella: a niente sono valsi i soccorsi degli uomini della polizia penitenziaria prima e dei sanitari inviati dal 118 poi. Catanzaro: lo hanno salvato dal suicidio per un pelo… ma ora aiutate Fabio Pignataro di Damiano Aliprandi Il Garantista, 23 ottobre 2014 Ha tentato di impiccarsi con un cappio rudimentale nella sua cella all’interno del reparto di isolamento del carcere di Catanzaro Siano ma, per fortuna, è stato salvato in extremis dai sanitari e dalla polizia penitenziaria. Grazie alla immediata denuncia del radicale Emilio Quintieri e l’immediata attenzione della deputata del Pd Enza Bruno Bossio, l’amministrazione penitenziaria ha sospeso il regime 14 bis a cui era sottoposto. L’autore del disperato ed estremo gesto è il detenuto Fabio Pignataro, proveniente dal famigerato carcere di Rossano - vicenda raccontata anche dal Garantista - dove, grazie alla visita ispettiva condotta dalla deputata Enza Bruno Bossio, aveva denunciato di aver subito pestaggi dalla polizia penitenziaria perché avrebbe tentato di evadere. Aveva già messo il cappio al collo quando davanti alla sua cella, per fortuna, si sono presentati i sanitari per la somministrazione della terapia ed una volta accortisi di quanto stava accadendo, hanno allertato il personale di polizia penitenziaria ed insieme sono riusciti a salvarlo. A darne notizia è l’esponente radicale calabrese Emilio Quintieri che ha colto l’occasione per chiedere all’Amministrazione penitenziaria ed alla magistratura di sorveglianza di Catanzaro di intervenire, per quanto di competenza, per valutare la sospensione - quantomeno temporanea -del regime di sorveglianza particolare nei confronti di questo detenuto, per prevenire ulteriori atti autolesionistici o suicidari. Il pestaggio da parte della Polizia Penitenziaria, sul quale la Procura della Repubblica di Castrovillari ha aperto un fascicolo, venne denunciato dal Pignataro all’onorevole Enza Bruno Bossio, deputato del Partito democratico e membro della Commissione Bicamerale Antimafia, durante la visita ispettiva "a sorpresa" effettuata lo scorso 9 agosto al Carcere di Rossano. Una vicenda che l’on. Bruno Bossio, ha espressamente richiamato nella sua interrogazione a risposta in commissione, indirizzata ai ministri della Giustizia, della Salute e del Lavoro e delle Politiche sociali del governo Renzi, presentata alla Camera dei Deputati durante la 291esima seduta del 16 settembre. Il radicale Quintieri, non appena venuto a conoscenza del tentato suicidio del detenuto Pignataro, ne ha immediatamente informato la parlamentare democratica, la quale ha chiesto immediatamente delucidazioni al dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del ministero della Giustizia. "Avevo già evidenziato - denuncia il radicale Quintieri - che quei detenuti ristretti a Rossano tenuti per lungo tempo in isolamento, erano a rischio suicidio. Ieri, a Catanzaro, per fortuna, è stato evitato il peggio. Il suicidio è spesso la causa più comune di morte nelle carceri. Gli istituti penitenziari hanno l’obbligo di preservare la salute e la sicurezza dei detenuti, ed un eventuale fallimento di questo mandato può anche essere perseguito penalmente. Il metodo più utilizzato per il suicidio è l’impiccamento, messo in atto il più delle volte, durante l’isolamento". Il radicale calabrese prosegue dicendo che "gli studi effettuati hanno dimostrato che esiste una torte associazione tra il suicidio dei detenuti ed il tipo di alloggio assegnato. Nello specifico, un detenuto posto in isolamento, o sottoposto a particolari regimi di detenzione (specialmente in cella singola) e incapace di adattarvisi, è ad alto rischio di suicidio. La detenzione, in sé e per sé, è un evento devastante anche per detenuti "sani" figuriamoci per chi, come il Pignataro, soggetto tossicodipendente e quindi particolarmente vulnerabile, la sottoposizione ad un rigoroso regime custodiale, qual è il 14 bis, possa sviluppare gesti auto-suicidari". Per questo motivo, il radicale Quinteri chiede all’amministrazione penitenziaria ed alla magistratura di sorveglianza competente di "valutare di sospendere, quantomeno temporaneamente, l’applicazione del regime di sorveglianza particolare nei confronti del detenuto Fabio Pignataro che prevede una serie di restrizioni, a partire dall’isolamento totale, che comportano anche vistose deroghe all’ordinario trattamento carcerario, lesive dei principi costituzionali di umanità e rispetto della dignità umana". Dopo lo scandalo del carcere di Rossano, definito "l’Abu Ghraib calabrese" per via delle condizioni di tortura riscontrate, l’onorevole Enza Bruno Bossio aveva espressamente segnalato, con una precisa interrogazione parlamentare al governo, che tenere in isolamento i detenuti (tra i quali proprio Pignataro, colui che stava per morire impiccato) era pericoloso per la loro incolumità psicofisica. "Non capisco - si interroga il radicale Quinteri - perché ancora oggi questo detenuto si trovava in isolamento anche dopo il trasferimento". Ma grazie alla sua pronta denuncia, il Dap ha sospeso il regime di isolamento nei confronti di Pignataro. Avellino: Nazzaro (Sippe); carcere di Bellizzi, subito la nomina del direttore Il Mattino, 23 ottobre 2014 Un dirigente effettivo per il penitenziario del capoluogo. A sollecitare la nomina, da parte dell’Amministrazione penitenziaria, è il Sippe, Sindacato affiliato alla Cgil-Funzione pubblica, con il segretario regionale Giuseppe Nazzaro. L’esponente sindacale ha rivolto l’appello ai vertici della Amministrazione penitenziaria con un documento che ha reso agli organi di stampa. "Lo scrivente è rammaricato oltre che deluso nel dover constatare che, ancora oggi, l’Istituto in questione è ancora privo di un Dirigente effettivo, ma che comunque dobbiamo prendere atto in special modo negli ultimi tempi, che il dirigente Paolo Pastena sta portando avanti alcune iniziative e progetti dando all’istituto un assaggio del cambiamento, dopo anni di stagnazione l’Istituto prende sempre di più corpo l’impronta dell’Amministrazione sotto la guida del vice dell’Istituto di Bellizzi Irpino Avellino". Nazzaro ricorda le proposte espresse al tavolo di confronto per migliorare la gestione e l’organizzazione del servizio. "La scrivente organizzazione sindacale - evidenzia il documento - ebbe modo di spronare l’Amministrazione proprio sul tavolo di contrattazione circa due anni fa, ma c’è ancora tanto da fare. Ricordo il parcheggio del personale di Polizia penitenziaria privo di tettoia e di illuminazione, dove avevamo dato il nostro contributo con il progetto dì pannelli solari per il risparmio energetico ed il passaggio pedonale interno, anch’esso privo dì tettoia e copertura. Una soluzione che consentirebbe a tutti di ripararsi per evitare malanni. C’è anche la questione dei box per il personale di Polizia penitenziaria, quella del passeggio dei detenuti, della tinteggiatura dei locali, possibilmente con colori vivaci e non scuri. In questo modo l’ambiente rifletterebbe un raggio di speranza per tutti". Di qui l’appello conclusivo: "Alla luce di quanto descritto, la scrivente organizzazione sindacale chiede agli organi preposti di intervenire con urgenza, cambiando il modo di pensare alla giornata, e di nominare un dirigente con pieni poteri e in pianta stabile, per avere progetto di lungo respiro. I sindacati locali avevano chiesto la scorsa estate un tavolo presso l’Ufficio superiore (Prap) campano. Una proposta rispetto alla quale stiamo ancora aspettando il necessario e auspicato riscontro". L’iniziativa del Sippe riflette il malessere dell’organico di Polizia penitenziaria, da tempo in attesa dì iniziative che migliorino gli ambienti di lavoro. Pesaro: detenuto straniero dà fuoco alla cella, gli agenti penitenziari spengono l’incendio Ansa, 23 ottobre 2014 Un detenuto straniero ha dato fuoco al materasso e alle lenzuola della sua cella a Pesaro, provocando un incendio spento dagli agenti di custodia. L’episodio è avvenuto ieri nel carcere di Villa Fastiggi, ed è stato confermato stamani dal Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria. Le fiamme hanno danneggiato anche un armadietto e altre suppellettili. Non risultano danni alle persone, a parte l’irritazione alle vie respiratorie per gli agenti intervenuti. Verona: "Orme oltre le mura", una detenuta ai domiciliari farà la volontaria al canile L’Arena di Verona, 23 ottobre 2014 "Adoro i cani, mi piace il pensiero di aiutarli a uscire un po’ dalle loro gabbie e farli giocare. Quando ero in carcere, mi immedesimavo in loro, perché entrambi eravamo dietro le sbarre". Dopo due anni e mezzo passati a Montorio, Giorgia ora si trova agli arresti domiciliari e ha chiesto di poter uscire di casa per operare come volontaria all’interno del canile di via Campo Marzio. L’autorizzazione le è stata concessa, perché in questi hanno ha partecipato al progetto sperimentale "Orme oltre le mura" di lavoro con gli animali, promosso dall’Ulss 20, dalla Casa circondariale di Montorio, dal Corpo forestale dello Stato e dall’Istituto Zooprofilattico delle Venezie. "L’obiettivo del progetto è tutelare la salute dei detenuti in modo diverso, offrendo loro opportunità di reinserimento sociale", commenta Maria Grazia Bregoli, direttore del carcere di Montorio. "Siamo riusciti a creare una proficua sinergia tra gli enti e le istituzioni coinvolte e, attraverso questo progetto, a rendere più umano il carcere". Un’iniziativa che, come spiegato dal direttore generale dell’Ulss 20 Maria Giuseppina Bonavina, rientra all’interno di un contesto più ampio di sanità penitenziaria: "Il detenuto ha gli stessi diritti del cittadino-utente, pertanto abbiamo costruito per loro un percorso che va dalla prevenzione, con vaccini e screening; alla cura effettiva con medici che seguono le varie sezioni: anche l’inserimento della pet therapy va in questa direzione". A Montorio sono stati attivati corsi di formazione base e avanzati per la gestione di cani e tartarughe, a cui hanno partecipato una quarantina di persone, e presto verranno realizzate delle strutture per ospitare i nuovi ospiti. "L’animale diventa elemento di interazione con l’uomo e lo aiuta a recuperare la propria autostima e a superare eventuali criticità psicologiche", precisa Igino Andrighetto, direttore generale dell’Istituto Zooprofilattico. "Il progetto, inoltre, aiuta anche gli stessi animali, che possono trovare un rifugio sicuro". Lo conferma anche Daniele Zovi, dirigente superiore del Corpo forestale: "Spesso ci ritroviamo a sequestrare esemplari diversi, perché maltrattati o commerciati illegalmente, ma abbiamo difficoltà poi a collocarli: perciò abbiamo aderito a questo progetto molto volentieri". L’iniziativa, come illustrato dal responsabile di Fieracavalli Armando Di Ruzza, verrà spiegata alle scuole e alle famiglie, in un apposito percorso predisposto nei padiglioni della fiera in programma a novembre. Bari: i detenuti si occuperanno di bonifica e manutenzione delle aree dell’Acquedotto www.barilive.it, 23 ottobre 2014 Protocollo d’intesa tra ente idrico, Regione e amministrazione penitenziaria. Vendola: "Una tipica esperienza di giustizia riparativa". I detenuti saranno coinvolti nella manutenzione delle aree verdi e di altri siti di competenza dell’Acquedotto pugliese. I dettagli dell’accordo sono contenuti in un protocollo d’intesa firmato oggi tra Regione Puglia, ente idrico e il Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria. L’inclusione sociale delle persone adulte sottoposte a procedimento penale la bussola dell’accordo, firmato da Nichi Vendola, Nicola Di Donna (Aqp) e Giuseppe Martone (amministrazione penitenziaria). "Una tipica esperienza di giustizia riparativa" secondo Vendola. "È una cosa bellissima tanto più se collegata alla manutenzione della rete idrica, cioè di quella rete che protegge il bene comune fondamentale, quale è l’acqua. Loro fanno un lavoro vero, la manutenzione, la messa in sicurezza, la bonifica, e lo fanno come un atto di responsabilizzazione. E l’amministrazione penitenziaria concretamente adempie in questo modo ad un dovere costituzionale, che è quello di fare in modo che il periodo della pena sia un periodo di tirocinio ad una più adulta capacità di stare in società". Per una specifica fascia di detenuti sarà un’opportunità di lavoro. Si procederà, lungo la rete dell’Acquedotto, con lavori di manutenzione, messa in sicurezza, pulizia, bonifica. "Un’esperienza lavorativa vera - ha sottolineato il presidente della Regione - che è quella che in qualche modo è prevista dall’articolo della nostra Costituzione che dice che la pena serve a offrire una chance di ripensamento e di reinserimento di chi ha infranto le regole. Non sono lavori forzati, che erano lavori non produttivi, lavori che servivano semplicemente ad offrire un supplizio supplementare al detenuto, e non sono lavoretti come se il carcere fosse un asilo nido. Stiamo parlando di formazione e avviamento ad un lavoro vero ed è un modo con il quale il detenuto, che è una persona che ha infranto le regole e ha tolto qualcosa alla società, in qualche maniera restituisce qualcosa alla società". "Ne abbiamo fatta tanta di strada - ha concluso Vendola - dall’esperienza tessile realizzata dalla donne nel carcere di Lecce, a quella dell’agricoltura carceraria realizzata nella Casa circondariale di Bari, fino ad oggi con il protocollo per il lavoro all’esterno. Sono tante piccole buone pratiche che rendono credibile parlare, secondo quella espressione che è un ossimoro, di carcere della speranza. Resta un ossimoro, però queste buone pratiche lo rendono un po’ più credibile". Alessandria: progetto "PausaCafé", quando pane e grissini hanno la fragranza della libertà www.iodonna.it, 23 ottobre 2014 Biologici e a lenta lievitazione. Cotti in forno a legna. Escono dal forno allestito in un carcere con i consigli di Oscar Farinetti. Che fragranza, quella del pane appena sfornato! Secondo una singolare ricerca pubblicata dal Journal of Social Psychology, l’aroma mattutino del pane agisce sul nostro inconscio "non solo stimolando l’attività delle ghiandole salivari e l’appetito, ma anche migliorando l’umore". Sarà vero? Bisognerebbe chiederlo ai detenuti della Casa circondariale San Michele di Alessandria, che una panetteria ce l’hanno... in casa: il "pane libero" prodotto dalla cooperativa sociale PausaCafé e venduto nei supermercati Coop del Nord Ovest viene prodotto infatti dal forno allestito all’interno dell’istituto di pena, che dà lavoro a 9 reclusi coordinati da tre formatori. Chi compra il "pane libero" lo sceglie di solito perché è biologico, perché è ottenuto da farine macinate a pietra e fatto lievitare in modo naturale con il lievito madre, quindi è molto digeribile. E poi è cotto in forno a legna, dunque è molto gustoso e resiste, fragrante, a lungo. Anche chi fa la spesa da Eataly può imbattersi nei prodotti d’eccellenza che escono dal forno di PausaCafé: i grissini di Alessandria, piemontesi doc e ricavati da farine pregiate, stirati a mano, finiscono dritti filati nel carrello dei clienti gourmet. Sta per partire anche il panificio di cuneo Ma come fanno i detenuti a fare un pane così buono e grissini così speciali? "Ad Alessandria, da due anni si sfornano 3.000 chili di pane alla settimana" spiega Marco Ferrero, fondatore e anima della cooperativa PausaCafé. "E dall’esperienza molto positiva di quel forno, sta per nascere ora un’altra attività: apriamo un panificio anche nella Casa circondariale di Cuneo. Là daremo lavoro a 5 detenuti, seguiti da 2 tutor". Che sia davvero tutta farina del loro sacco? "Certo. Oscar Farinetti, patròn di Eataly, ha creduto nel nostro progetto e ci ha fornito le direttive da seguire per quanto riguarda qualità e provenienza degli ingredienti, metodi di lavorazione e sistemi di cottura. Coop ci ha aperto un canale distributivo nei supermercati. E la Compagnia di San Paolo ci ha messo a disposizioni le risorse finanziarie iniziali. Ma ora la cooperativa cammina con le proprie gambe". E con le proprie braccia, verrebbe da dire: "Dopo aver attrezzato il forno e adibito i locali a panificio, abbiamo fatto seguire un percorso formativo a un gruppo di reclusi, selezionati dal personale responsabile delle strutture. Anche loro ci hanno messo tanto impegno e fatica, perché i nostri forni sono panifici come gli altri: si inizia a impastare e a infornare a tarda notte e si finisce a metà giornata. Ma è un lavoro di grande soddisfazione: i fornai percepiscono uno stipendio, che va da 650 a 1.200 euro, e sanno che a fine pena usciranno dal carcere con una professione molto richiesta". Questa è infatti una delle finalità della cooperativa sociale PausaCafé: offrire ai detenuti una concreta opportunità di cambiamento e di ricatto personale e sociale attraverso il lavoro. Chi impara un lavoro non torna piu "dentro" A giudicare dai primi risultati, il progetto portato avanti da PausaCafé ad Alessandria e a Cuneo (ma sono state avviate altre lavorazioni d’eccellenza in altre carceri: a Torino una torrefazione, a Saluzzo un birrificio artigianale) funziona, con ricadute sociali importanti: "Le statistiche dicono che in Italia tra gli ex-detenuti usciti dal carcere il 70 per cento ci ricasca, e nel giro di 5 anni torna in galera. I reclusi coinvolti nei nostri progetti, invece, finora hanno una recidiva sotto il 20 per cento". Mentre stiamo scrivendo, la cooperativa sociale festeggia i primi 10 anni di attività con una cena curata da chef stellati all’interno del carcere di Torino,e tra qualche giorno sarà ospite di Coop al Salone del Gusto 2014. Ma questi per PausaCafé non sono traguardi, bensì tappe. In cantiere ci sono già altri progetti, sempre più impegnativi, gustosi e profumati. Come il loro buon pane. Siracusa: la Fondazione Comunità Val di Noto sostiene due progetti sulle carceri www.siracusanews.it, 23 ottobre 2014 Due progetti di solidarietà per i detenuti e le loro famiglie. La Fondazione di Comunità Val di Noto sta sostenendo due progetti. Il primo è "Chiesa accogliente" promosso dalle parrocchie di Augusta Matrice, Soccorso, San Francesco, Sacro Cuore, Santa Lucia, San Nicola, San Giuseppe Innografo, dal cappellano del carcere di Brucoli e dal cappellano del carcere di Cavadonna. L’obiettivo di questo progetto è duplice: si punta innanzitutto all’inserimento lavorativo di un detenuto per avviarne così il recupero sociale della persona. Inoltre il progetto punta a garantire l’ospitalità ai detenuti, in permesso premio, o ai loro familiari. Per quanto riguarda l’inserimento lavorativo, l’assunzione è part time e il detenuto viene impegnato per svolgere lavori di manutenzione, servizi nelle parrocchie, o persino l’assunzione stabile all’interno di aziende. Questo progetto è stato avviato con la Fondazione di comunità Val di Noto, nella modalità dello scouting sociale, con un contributo di 25 mila euro. I soggetti a cui è rivolto questo progetto sono italiani ma la maggior parte di essi sono stranieri. Le persone coinvolte vengono segnalate al carcere di Brucoli che redige una lista degli aventi diritto e titolo. "Un progetto importante - afferma il consigliere della Fondazione don Maurizio Aliotta - che si concretizza grazia alla rete che è stata avviata dalla collaborazione tra alcune parrocchie del territorio". L’altro progetto "Chiesa di Siracusa solidale con il mondo delle carceri" è finalizzato a sollecitare la solidarietà della comunità ecclesiale della diocesi di Siracusa, favorendo il superamento dei pregiudizi che spesso ci sono nei confronti dei detenuti e consentirne il reinserimento nel contesto sociale ed ecclesiale. Il progetto "Chiesa di Siracusa solidale con il mondo delle carceri" è stato avviato dall’associazione "Gli amici di San Francesco" che ha sede a Siracusa, in viale Teocrito, di cui fanno parte, tra l’altro, i due cappellani dei due istituti penitenziari esistenti nei distretti socio sanitari D48 - Siracusa e D47 - Augusta, nello specifico contrada Cavadonna, la casa circondariale di Brucoli - Augusta. L’associazione si è costituita il 4 dicembre del 2009. Alcuni detenuti e i loro familiari sono stati ospitati temporaneamente a Siracusa in via Sant’Agnese, immobile ricevuto in comodato d’uso gratuito dalla Fondazione Sant’Angela Merici di Siracusa. I due istituti penitenziari ospitano in complesso circa 1.000 persone: l’associazione valuta di poter fronteggiare in un anno una domanda di ospitalità di almeno cinquanta utenti. "L’obiettivo del progetto avviato con la Fondazione di Comunità Val di Noto, nella modalità dello "scouting sociale" - sottolinea don Aliotta - è di rendere fruibile al meglio l’unità immobiliare e così potenziare il servizio di ospitalità temporanea di detenuti, ex detenuti e loro familiari". Il contributo della Fondazione di Comunità a questo progetto è di 15 mila euro. Gli interventi nella sede sono affidati ad una cooperativa sociale, i cui soci sono detenuti ammessi al lavoro o ex detenuti. Così l’abitazione può ospitare da quattro a sei persone. Bologna: Sappe; all’Ipm, con nuovo direttore, 80 procedimenti disciplinari e 180 denunce Ansa, 23 ottobre 2014 "L’episodio di aggressione verificatosi al carcere minorile del Pratello ha visto coinvolto, in particolare, un giovane detenuto che al momento è stato denunciato ed è stato richiesto il trasferimento ad altra sede. Lo stesso detenuto è stato sanzionato disciplinarmente, come previsto dall’ordinamento. Sicuramente si tratta di un grave episodio, ma ci risulta che il direttore abbia posto in essere tutte le iniziative del caso". Lo sostengono Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto del Sappe (sindacato autonomo polizia penitenziaria), e Francesco Campobasso, segretario regionale, in merito all’aggressione del 16 ottobre ad un agente. "Ci risulta, altresì - proseguono - che con la nuova gestione siano stati attivati ben 80 procedimenti disciplinari e fatte 180 denunce per fatti accaduti in istituto, un’inversione di tendenza, questa, che denota attenzione e applicazione delle regole, presupposto ineludibile per una corretta gestione dell’istituto e per un adeguato percorso di rieducazione". Per il Sappe "bisogna ricordare che negli istituti minorili sono reclusi anche ragazzi autori di gravi reati come omicidi, rapine e violenze. Attualmente al Pratello ci sono 23 ragazzi detenuti, compreso anche qualche adulto, ci sono problemi strutturali che andrebbero risolti e manca un’area verde attrezzata per i detenuti". Aosta: l’Ateneo valdostano propone un ciclo di lezioni ai detenuti di Brissogne www.aostasera.it, 23 ottobre 2014 Gli incontri avranno inizio a fine ottobre e proseguiranno fino al maggio del prossimo anno e vedranno il coinvolgimento dei docenti del dipartimento di differenti discipline. "Perché gli extraterrestri non esistono", Sogni, visioni, incubi, significati e interpretazioni" o ancora "Trappole statistiche". Sono questi i titoli delle lezioni che i docenti dell’Ateneo valdostano terranno per i detenuti del Carcere di Brissogne. "L’iniziativa - spiega una nota dell’Università della Valle d’Aosta - nata dalla collaborazione con l’Associazione Valdostana Volontariato Carcerario e con la direzione della Casa Circondariale, ha l’obiettivo di offrire ai detenuti un’esperienza culturale e un contatto con persone esterne al carcere. Si offre infatti, a chi lo desidera, un’occasione per accostarsi ad argomenti di natura scientifica che possono sollecitare stimoli intellettuali, di parziale ma auspicabile sostegno anche in un contesto di restrizione". Gli incontri avranno inizio a fine ottobre e proseguiranno fino al maggio del prossimo anno e vedranno il coinvolgimento dei docenti del dipartimento di differenti discipline. Immigrazione: fuori dai Cie dopo 30 giorni, approvata legge europea di Andrea Oleandri (Ufficio Stampa Associazione Antigone) Ristretti Orizzonti, 23 ottobre 2014 Un passo avanti verso l’abolizione dei Centri di Identificazione e di Espulsione è stato fatto ieri quando la Camera dei Deputati ha approvato in via definitiva la Legge Europea 2013-bis, all’interno della quale sono inserite nuove norme relative ai tempi di permanenza nei Centri. La nuova norma prevede infatti che il migrante da identificare possa essere tenuto all’interno del Centro per un periodo di complessivi 30 giorni. Nel caso la persona non fosse identificata, ma siano emersi elementi che possano rendere probabile una identificazione, il questore può richiedere al giudice di pace una o più proroghe, ma senza superare i 90 giorni di permanenza totale (il termine precedente era di 18 mesi). Novità anche per gli stranieri che siano già stati trattenuti presso strutture carcerarie. Chi avesse trascorso infatti 90 giorni in un penitenziario può essere trasferito in un Centro di Identificazione e di Espulsione ed essere lì trattenuto per un massimo di 30 giorni, senza proroghe. Per loro, con le vecchie norme, i tempi di permanenza nei Cie, a prescindere dal periodo trascorso in carcere, poteva arrivare comunque a 18 mesi. "In attesa della chiusura definitiva di questi Centri - dichiara Patrizio Gonnella, presidente di Antigone e della neonata Coalizione Italiana Libertà e Diritti civili - quella che arriva dalla Camera è un’ottima notizia. È importante che si dia subito attuazione a questa norma e vengano rilasciati tutti quei migranti per cui i tempi di permanenza abbiano superato quelli previsti dalle nuove disposizioni. In particolar modo per coloro che sono passati dalle carceri e che lì sarebbero dovuti essere identificati". Droghe: Villa Maraini; in un anno +10% misure alternative, solo +4,8% tossicodipendenti Ansa, 23 ottobre 2014 In un anno, tra il 2012 e il 2013, il numero delle pene alternative al carcere concesse è aumentato complessivamente del 10%, di cui il 4,8% ha avuto per destinatari persone tossicodipendenti. E il trend è in ulteriore crescita, visto che quest’ultima percentuale risulta cresciuta all’8,4% nei primi nove mesi del 2014. È quanto emerso stamani da una conferenza, organizzata a Roma presso la Fondazione Villa Maraini. "L’esperienza carceraria - ha detto il fondatore di Villa Maraini, Massimo Barra - diventa spesso una esperienza a delinquere mentre l’applicazione di pene alternative, purché effettuate con criteri idonei, può divenire presupposto per un percorso positivo di vita". La conferenza, che termina domani, vede riuniti esperti di Italia, Francia, Repubblica ceca e Portogallo nell’ambito del "Progetto Alternative", uno studio finanziato dall’Unione Europea. In apertura dei lavori il presidente di Villa Maraini, Gabriele Mori, ha ricordato che la Fondazione vanta crediti nei confronti degli enti locali per quasi 800.000 euro a fronte di un bilancio di circa due milioni di euro. In particolare, ha sottolineato Mori, il Comune di Roma è in debito di 450.000 euro per lavori svolti a seguito della Convenzione 2012/2013, mentre la Regione Lazio è debitrice di 320.000 euro per la distribuzione di metadone per gli anni 2013-2014. Filippine: la Chiesa denuncia; carceri "disumane", troppi detenuti in cella senza condanna www.asianews.it, 23 ottobre 2014 La Commissione episcopale sulle carceri sottolinea che solo il 35% dei prigionieri è rinchiuso in seguito a sentenza. Numerosi casi documentati di abusi, maltrattamenti, estorsioni e violenze anche a sfondo sessuale. Attivista cattolico: il sistema è basato sulla modalità punitiva, si è persa di vita la finalità "correttiva". La maggior parte dei detenuti rinchiusi nelle carceri filippine è stipata all’interno di celle sovraffollate, per anni, senza nemmeno un capo di imputazione preciso o una sentenza di condanna. È quanto riferisce la Commissione episcopale per la Pastorale delle carceri (Ecppc), secondo cui solo il 35% dei 114.368 prigionieri che fanno riferimento al Dipartimento carcerario e della pena (Bjpm) e del Dipartimento per la correzione (BuCor) sono colpevoli secondo la legge. Il restante 65% sono solo sospetti o incriminati in regime di detenzione preventiva, ma non hanno mai subito una condanna. "Essi sono rinchiusi perché i presunti crimini commessi non prevedono il rilascio su cauzione" sottolinea Rodolfo Diamante, segretario esecutivo Ecppc, oppure "non sono in grado di pagare la somma" stabilita dal giudice. Fra i fattori che alimentano la congestione delle carceri, la durata dei processi e le "gravi carenze" intrinseche al sistema carcerario nazionale che determinano condizioni "disumane". A questo si aggiunge un budget insufficiente, che non è nemmeno in grado di "rispondere ai bisogni di base dei detenuti" aggiunge il leader cattolico filippino. Le drammatiche condizioni delle carceri sono inoltre peggiorate da ripetuti abusi di potere da parte delle autorità, che sfociano in casi documentati di maltrattamenti, abusi sessuali, estorsioni dei prigionieri; violenze e vessazioni sono inoltre il risultato della "lotta per la supremazia" fra i vari detenuti, che si associano sovente allo "sfruttamento della manodopera" carceraria per profitto o tornaconto personale. Le categorie soggette agli abusi sono i giovani, le donne, i vecchi, le persone affette da problemi mentali e i detenuti politici, mentre il carcere da strumento correttivo diventa sempre più spesso luogo di desolazione, privazione, istigazione alla delinquenza. Il rapporto della commissione dei vescovi filippini giunge in concomitanza con la Settimana che la Chiesa dedica ogni anno alle carceri e alla giustizia. Per Rodolfo Diamante molti dei problemi sono legati al fatto che il sistema carcerario è tuttora basato su una modalità punitiva, dove l’uso della forza è visto come unico mezzo e si è persa di vista la finalità "correttiva". Anche fra l’opinione pubblica la percezione diffusa è che la pena debba "punire il colpevole", aggiunge l’attivista, dimenticando al contempo l’elemento di recupero e reinserimento sociale. Australia: "profughi deportati", deputato fa ricorso Corte Penale Internazionale dell’Aia Ansa, 23 ottobre 2014 Un deputato indipendente in Australia ha fatto ricorso alla Corte Penale Internazionale dell’Aia chiedendo di aprire un’inchiesta "sui crimini contro l’umanità perpetrati da membri del governo australiano contro le persone che arrivano in acque australiane per chiedere asilo". La denuncia contro la politica restrittiva del governo conservatore di Canberra verso i richiedenti asilo che tentano di raggiungere l’Australia via mare, viene da Andrew Wilkie, deputato della Tasmania, già funzionario dei servizi segreti che si era dimesso per protesta contro le bugie sulle armi di distruzione di massa in possesso di Saddam Hussein in Iraq. L’Australia richiude i richiedenti asilo che arrivano via mare in centri di detenzione stabiliti dal Paese su isole del Pacifico: nel territorio esterno australiano di Christmas, a Manus in Papua Nuova Guinea e nel minuscolo stato-isola di Nauru. Le misure, introdotte dal precedente governo laburista, sono state confermate e rafforzate dall’attuale governo conservatore di Tony Abbott, per frenare l’afflusso di migranti provenienti da Paesi come Sri Lanka, Iraq, Iran e Afghanistan. L’obiettivo dichiarato è di scoraggiare i trafficanti di esseri umani, dopo che centinaia di persone sono naufragate nel tentativo di raggiungere acque australiane. "Gli effetti di questa politica sono che uomini, donne e bambini sono detenuti a forza e a tempo indefinito", ha scritto Wilkie nella lettera alla Corte. "Le condizioni che subiscono durante la detenzione sono causa di grandi sofferenze oltre che di gravi lesioni fisiche e mentali", aggiunge, accusando il governo di violare i trattati internazionali sui diritti dei profughi, i diritti dei minori e i diritti civili. Sud Africa: per Pistorius prima notte in carcere in cella singola nella sezione ospedaliera www.gazzetta.it, 23 ottobre 2014 L’ex atleta condannato a 5 anni per l’omicidio della fidanzata dovrà restare al Kgosi Mampuru almeno per 10 mesi. Reclusi con lui altri otto detenuti con disabilità. Oscar Pistorius ha passato la sua prima notte da detenuto, in una cella singola. L’atleta condannato a cinque anni per l’omicidio della sua fidanzata, Reeva Steenkamp, è stato accolto dalle guardie del carcere di Pretoria e sistemato in un’ala dell’edificio adatta ad ospitare detenuti con disabilità. La pena di 5 anni inflitta all’ex campione richiede di scontare almeno 10 mesi in carcere. Pistorius è apparso teso e stanco all’ingresso dell’istituto penitenziario Kgosi Mampuru. Il direttore del carcere, Zebilon Monama, ha descritto ai media i primi momenti del nuovo ospite, dalle impronte digitali prelevate dalle guardie all’incontro con il cappellano che segue i detenuti nella struttura. "Dopo l’incontro con il cappellano, il nostro psicologo è andato da lui per provare a parlare", ha detto Monama. Pistorius è stato sottoposto a una visita medica prima di essere accompagnato nella sua cella. Insieme a lui, nella stessa ala della prigione, altri otto uomini con disabilità. La sezione ospedaliera del carcere prevede due infermiere a disposizione e assistenza continua per i nove residenti, tra non vedenti, disabili su sedia a rotelle o amputati come Pistorius. Nelle prigioni sudafricane i detenuti con disabilità sono meno dell’1% della popolazione totale, in media 128 all’anno su 157.000. Le condizioni delle prigioni statali erano state esaminate nel corso del processo: la difesa ne contestava l’adeguatezza per un ospite disabile, mentre l’accusa ne aveva sostenuto l’idoneità. Secondo gli attivisti, la cella, una singola, è dotata di ogni comfort, meglio di quelle riservate ai reclusi normodotati. Durante il processo i responsabili degli istituti di detenzione avevano garantito a Pistorius la presenza di due specialisti per le terapie di cui l’atleta ha bisogno. La madre di Reeva si è detta soddisfatta dell’esito del processo, dichiarando che 5 anni erano il meglio che la famiglia potesse aspettarsi. "Siamo felici perché sarà punito per ciò che ha fatto" ha detto dopo la sentenza del giudice.