Giustizia: 4 detenuti suicidi in 4 giorni, da inizio anno in 36 si sono tolti la vita di Riccardo Arena www.radiocarcere.com, 22 ottobre 2014 Nel giro di soli quattro giorni, ovvero dal 16 al 20 ottobre, ben quattro persone detenute si sono tolte la vita nelle carceri italiane. Una mattanza che non smette di fare vittime e che ha già causato 114 morti, tra cui ben 36 suicidi dall’inizio del 2014. Ecco l’elenco dei caduti. Latina, giovedì 16 ottobre. Gianpiero Miglietta, di 38 anni, si uccide nella sua cella del carcere di Latina. Da quanto si è appreso pare che l’uomo si sia suicidato impiccandosi con un lenzuolo. Gianpiero Miglietta si trovava in carcere perché sottoposto a misura cautelare ed era detenuto in attesa di giudizio da 8 mesi e il suo processo sarebbe dovuto iniziare oggi dinanzi alla Corte d’Assise. Padova, domenica 19 ottobre. Samir Riahi, un magrebino di 38 anni, durante la notte si toglie la vita nella sua cella del carcere Due Palazzi di Padova. L’uomo, che si sarebbe impiccato con una cintura, era stato trasferito alcuni giorni fa dal carcere di Verona. Val la pena sottolineare che questo è il terzo suicidio che si registra nel carcere di Padova dall’inizio del 2014. Ascoli Piceno, lunedì 20 ottobre. Gianluca Ciferri, di 48 anni, si uccide nella sua cella del carcere di Ascoli Piceno. Da quanto si è appreso a scoprire il corpo Gianluca Ciferri sarebbe stato il suo compagno di cella che, intorno alle 4 del mattino, lo ha trovato appeso ad un lenzuolo. Anche Ciferri era detenuto in attesa di giudizio. Cagliari, , lunedì 20 ottobre. Piergiacomo Muscas, di 43 anni, si impicca nella sua cella del carcere Buon Cammino di Cagliari, mentre gli altri compagni di cella si trovavano all’ora d’aria. Piergiacomo Muscas, che per impiccarsi avrebbe utilizzato degli indumenti, avrebbe finito di scontare la sua pena nel 2018. Giustizia: vecchio e malato, ma Michele resta in cella di Damiano Aliprandi Il Garantista, 22 ottobre 2014 Ha ottant’anni ma viene considerato ancora "pericoloso", come lui altri 3.572 anziani condividono la stessa sorte. Finiscono dentro per povertà, al nord come al sud. Michele ha 78 anni e soffre di cardiopatia ischemica. Non solo. È diabetico e ha contratto la tubercolosi. Michele, però, non è in cura in un ospedale. È invece recluso nel carcere di Paliano, in provincia di Frosinone e finirà di scontare la sua pena solo nel 2016. La vicenda di Michele, denunciata dal Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni, ha dell’incredibile e rappresenta anche l’ennesimo caso di giustizia lenta e miope, L’uomo viene arrestato per spaccio di sostanze stupefacenti nel 2004, ma finisce in cella al termine del processo, cioè dieci anni dopo, quasi ottantenne e con la necessità di assistenza continua. Prima di varcare il portone del carcero di Foggia, i legali di Michele avevano presentato istanza di affidamento al servizio sociale o di detenzione domiciliare, ma il Tribunale di Sorveglianza di Bari l’aveva respinta "per una persistente e radicata pericolosità sociale del condannato specie nel campo della detenzione illecita degli stupefacenti". I magistrati hanno fissato la Camera di Consiglio per discutere il ricorso contro il diniego delle misure alternative al 15 gennaio. Oltre che di Tbc, Michele soffre di varie malattie e necessita assolutamente di misure alternative alla prigione. Al colloquio con i collaboratori del Garante è arrivato in pigiama, sorretto da un piantone, e si è preoccupato di dire: "A Paliano mi trovo bene, tutti mi aiutano e si mangia bene, anche se ormai mi sono rimasti solo pochi denti". "Abbiamo deciso di raccontare questa storia - ha detto il Garante dei detenuti Angiolo Marroni - perché è l’emblema dello stato attuale della giustizia italiana. Si varano norme per svuotare le carceri e restituire dignità al trattamento ma poi le norme si inceppano davanti ai tempi biblici della giustizia. Purtroppo sono tanti, in tutta Italia, i casi di detenuti anziani con ridotta se non nulla pericolosità sociale, che in carcere hanno bisogno di cure costanti e pertanto, rappresentano un costo aggiuntivo per il sistema. Per tutti costoro dovrebbe essere automatico l’accesso alle misure alternative". Al di là degli episodi di cronaca, le dimensioni sociali del fenomeno sono notevoli: nel 2011, ultimo anno per cui sono disponibili i dati Istat, gli over 65 hanno commesso circa 38mila reati in Italia, con una distribuzione quasi omogenea tra Nord e Sud, a riprova del fatto che si tratta di crimini dovuti alla condizione di necessità individuale più che alla diffusione della criminalità nel territorio. Le cifre fornite dall’Istat indicano che 4mila persone in età pensionabile sono state denunciate per "minacce e ingiurie" e circa 2mila per "lesioni dolose e furti". La maggior parte, circa 16mila, però, rientra nella categoria degli "altri delitti", per esempio la detenzione di stupefacenti. E questo perché, per via dell’età, è un reato più accessibile perché non richiede una elevata prestanza fisica. In Italia, è sempre più facile che un ultrasettantenne finisca in carcere e il giudico di sorveglianza sempre più spesso non concede gli arresti domiciliari. Il carcere, però, non è un luogo adatto per soddisfare le esigenze dei detenuti anziani e , in media, ogni 17 detenuti, uno muore dopo i settant’anni. La Comunità di Sant’Egidio da tempo denuncia la situazione spiegando che in carcere mancano beni essenziali per gli anziani come pannoloni, carrozzine e ausili per la respirazione. Negli Usa il dibattito è in corso, e stanno prendendo provvedimenti tipo l’obbligo della libertà vigilata per i detenuti anziani che non abbiano commesso reati violenti. E questo dopo gli interventi della commissione Onu sui diritti e il dossier redatto dall’Unione Americana por le Libertà Civili il quale denuncia che sono 125 mila in questo momento nelle carceri americane, il 300 per cento in più dal 1980. Secondo il rapporto ogni detenuto anziano costa alle casse degli Stati d’America ed al Governo federale circa 68 mila dollari a fronte dei 34 mila che vengono spesi per un detenuto più giovane. Inoltre esistono ampie prove che questi carcerati non rappresentano più un pericolo per la società o in maniera molto lieve. L’Unione Americana per le libertà civili sostiene che senza interventi urgenti nel settore, i detenuti over 55 nel 2030 saranno 400 mila ed a quel punto ci sarà un enorme problema per le casse federali e per il budget del sistema penitenziario americano. Negli Usa c’è almeno l’intenzione di affrontare questo argomento. Da noi, il ministro Orlando cosa dice? Giustizia: medicina penitenziaria, verso il nuovo riparto delle risorse di Lucilla Vazza Il Sole 24 Ore, 22 ottobre 2014 In dirittura d’arrivo al Cipe il riparto penitenziario per le Regioni: 168 milioni sul piatto. Ultimo tratto di corsa per il riparto economico destinato alla medicina penitenziaria delle Regioni. Il lungo cammino del documento è in fase di approdo all’esame della Conferenza Unificata, per poi passare al vaglio finale al Cipe. I criteri e le ripartizioni del 2013 sulla medicina penitenziaria, con le quote destinate alle Regioni, ricalcano, quasi come una fotocopia, quanto già stabilito nel testo dello scorso anno. La somma, le ripartizioni e la "ratio" del documento - clic esclude per la sua esiguità gli stanziamenti per i minorenni - sono state fissate dal Tavolo di consultazione permanente sulla sanità che si è riunito il 24 settembre scorso. Anche i soldi sono gli stessi; 167,8 milioni di euro, a valere sul Fondo sanitario nazionale. La divisione delle quote. La somma servirà alle Regioni per finanziare tutte le attività sanitarie, incluse quelle per il completamento del passaggio delle funzioni dalle carceri (ministero Giustizia) alle aziende sanitarie, come previsto dal Dpcm 1 aprile 2008. Il piatto delle quote sarà cosi ripartito. Agli ospedali psichiatrici giudiziari, in progressiva dismissione, andranno complessivamente 23,093 milioni. Circa nove milioni sono destinati ai cinque centri clinici, in analogia con quanto stabilito nel riparto 2012. Rimane il grosso della torta, i restanti 136,032 milioni di quota indistinta, Il 65% della quota andrà distribuito alle carceri, in proporzione al numero dei detenuti presenti al 31 dicembre 2012. Il 30% sarà assegnalo sulla base dell’incidenza percentuale complessiva dell’ingresso minori/adulti. Il restante 5% è destinato ai piccoli istituti penitenziari con capienza inferiore ai 200 posti, ovviamente numero aggiornalo al dicembre 2012. Il transito infinito. L’aspetto che rimane strategico anche in questo riparto e il trasferimento delle competenze sanitarie dal ministero della Giustizia al Sistema sanitario nelle articolazioni regionali. Perché ancora oggi, a sei anni dal Dpcm di riforma, entrambe le istituzioni sono tuttora corresponsabili della tutela della salute in carcere. La differenza, tutt’altro che insignificante, è che il Ssn, con il sistema di aziende sanitarie, possiede personale e una precisa organizzazione delle strutture, L’amministrazione penitenziaria, che di fatto resta il "braccio operativo" della riforma, pur nel rispetto della legge, è ancora ben lontana dal completamento dei percorsi di sostegno e facilitazione delle attività sanitarie in carcere previste dalla normativa. Il che, tradotto, significa un sistema di tutela sanitaria zoppicante. Per questo il riparto, per quanto sia un atto meramente amministrativo-contabile. in realtà contiene tra le sue pieghe una "vision", rispetto al modello di Sanità penitenziaria che si sui costruendo. Un cammino che prosegue, perché lo schema di presa in carico del detenuto secondo il modello del Ssn è solo parzialmente realizzato. Giustizia: responsabilità civile dei magistrati, Orlando stoppa il Senato di Andrea Fabozzi Il Manifesto, 22 ottobre 2014 Sulla responsabilità civile una correzione, fuori tempo massimo, gradita all’Anm. Più difficile la rivalsa dello stato sui magistrati. E l’esecutivo si salva alla Camera. Un’inversione di rotta sulla responsabilità civile dei magistrati. Farà piacere all’Associazione nazionale magistrati, e anche al Csm che si appresta a presentare il suo parere sulla legge in discussione al senato e che, prima delle novità di ieri, rischiava di essere un parere critico. È una vicenda vecchia, discussa da anni e affrontata dal dicembre 2013 in commissione a palazzo Madama. Il governo è arrivato tardi, tant’è che ha dovuto convertire il suo disegno di legge in emendamenti al testo del socialista Buemi, adottato come base e già piuttosto avanti nella discussione. Ieri si poteva chiudere, licenziando finalmente la legge per l’aula. Ma in commissione è arrivato il ministro della giustizia con un paio di pesanti novità. Due emendamenti presi pari pari dal disegno di legge governativo circoscrivono notevolmente l’ambito del danno attribuibile ai magistrati. Le toghe saranno chiamate a risarcire solo per "violazione manifesta della legge e del diritto dell’Unione europea". E giammai per l’attività di interpretazione delle norme o di valutazione "del fatto o delle prove". È la novità più importante. Non è una novità l’abolizione dei filtri di ammissibilità ai ricorsi dei cittadini. Come non è una novità che il risarcimento sarà indiretto - prima paga lo stato al cittadino danneggiato, poi si rivale sul magistrato ma, si aggiunge adesso, "entro tre anni". Infine l’esecutivo riafferma che il risarcimento deve avere un limite, individuato nel 50% dello stipendio annuale del magistrato: più di quanto è previsto ora (un terzo), meno di quanto c’era nel testo della commissione (nessun limite). Il ministro assicura: "Non è una marcia indietro ma una riproposizione pedissequa di quanto previsto nel disegno di legge del governo". Ed è vero. Ma il risultato è un rallentamento dell’iter del provvedimento, che deve essere approvato definitivamente entro dicembre per sperare di evitare il deferimento dell’Italia alla Corte di giustizia del Lussemburgo. La mossa di Orlando in realtà è una forzatura bella e buona, non certo l’ultima visto che oggi ci si aspetta che sarà posta la fiducia sulla giustizia civile, che è già una riforma fatta per decreto. La forzatura di ieri consiste nel fatto che gli emendamenti presentati dal governo si riferiscono a un articolo del testo Buemi che la commissione aveva già approvato, e quindi dovrebbero essere preclusi. Buemi non la prende bene - "capisco la necessità di tener conto delle aspettative dell’Anm, ma nel momento in cui tutto cambia c’è solo un’area non sottoposta alla riforma per la sua capacità di condizionare la politica" - ma non arriva a dimettersi da relatore. Orlando polemizza con lui: "Il disegno di legge del governo è pubblico dal 29 agosto, poteva tenerne conto". Ma all’epoca il testo base era già adottato, e per la precisione il testo del governo è arrivato in parlamento solo nella seconda settimana di settembre. Chi strilla è Forza Italia. Per il presidente della commissione Nitto Palma, addirittura, le proposte del governo "fanno fare un passo indietro anche rispetto alla legge Vassalli", che è quella in vigore, sostanzialmente inefficace. Per il collega di partito Malan escludendo totalmente ogni valutazione del fatto e delle prove e anche la valutazione delle norme "non ci sarà più alcun margine per l’azione di responsabilità". Anche perché l’emendamento del governo tende ad assolvere i magistrati anche nei casi di leggi poco chiare: "Ai fini della determinazione dei casi in cui sussiste la violazione manifesta della legge e del diritto dell’Unione europea si tiene conto, in particolare, del grado di chiarezza e precisione delle norme violate". E cosi l’intervento in corner di Orlano riaccende il classico scontro sulla giustizia tra Pd e Forza Italia. Ma non sarà un problema per la riforma del processo civile, ampiamente condivisa dagli azzurri. Piuttosto il clima teso aveva fatto temere, nel pomeriggio, che il governo potesse cadere sull’ormai tradizionale emendamento della Lega alla legge comunitaria, proprio sulla responsabilità civile dei magistrati, stavolta alla camera. Invece lo sgambetto non è scattato e la proposta leghista è stata ampiamente respinta grazie alla "copertura" degli alfaniani, in questo passaggio allineati - con il vice ministro Costa - al Pd e all’Anm. Giustizia: sulla responsabilità civile blitz del governo, scontro in commissione di Giovanni Negri Il Sole 24 Ore, 22 ottobre 2014 Toma ad accendersi la bagarre sulla responsabilità civile dei magistrati. Ieri pomeriggio il ministro della Giustizia Andrea Orlando si vede costretto a precipitarsi al Senato, dove è in discussione il disegno di legge di fonte parlamentare, e presentare in commissione tre proposte che riproducono alla lettera il testo approvato dal Consiglio dei ministri del 29 agosto. In sostanza si ridefinisce l’area di responsabilità delle toghe, si cancella la necessità dell’udienza filtro, si allarga la rivalsa da parte dello Stato sino alla metà dello stipendio annuale del magistrato. Il blitz di Orlando nasce dall’urgenza di scongiurare il voto della commissione sulla versione del testo che stava prendendo corpo con le modifiche del relatore Enrico Bucini (Gruppo Autonomie). Per esempio, a non convincere affatto Orlando, è l’introduzione, sia pure per ipotesi limitate, di una responsabilità da attività di interpretazione di norme di diritto (in caso di grave violazione di legge e di scostamento immotivato dall’interpretazione delle Sezioni unite della Cassazione). Buemi, ovvio, non la prende bene e minaccia dimissioni dall’incarico, dopo avere contestato il potere di condizionamento dell’Anm sulle scelte politiche. A dargli manforte il presidente della commissione Nitto Palma (Forza Italia) per il quale "con gli emendamenti del governo c’è una retrocessione rispetto alla legge Vassalli, una diminuzione della casistica sia sotto il profilo della colpa grave sia sotto taluni aspetti tecnici come le motivazioni". La tensione sale e Orlando replica: "Non voglio polemizzare con il relatore Buemi, ma il disegno di legge del Governo è pubblico dal 29 agosto: se si voleva tenerne conto, c’era il tempo e il modo di farlo". Alla fine, quelle che per il Governo erano riformulazioni di emendamenti parlamentari vengono invece classificate come emendamenti veri e propri. Una decisione non solo tecnica, vasto che lascia spazio fino a domani per correggere ancora il tiro. E mentre questo avveniva al Senato, alla Camera la maggioranza si compattava e, con l’aiuto del Movimento 5 Stelle, respingeva il colpo di mano della Lega Nord, sempre sul fronte della responsabilità civile, che ripresentava la proposta Pini per correggere la Legge comunitaria (sulla materia pende una procedura di infrazione che potrebbe essere formalizzata a inizio anno) in senso assai più severo con i magistrati. Intanto il Governo, forse già oggi pomeriggio, è intenzionato a chiedere al Senato un voto di fiducia sul decreto legge con le misure perla giustizia civile. Verrà presentato un maxiemendamento che riproduce i contenuti delle correzioni approvate faticosamente in commissione, con l’aggiunta di un paio di ritocchi alla geografia giudiziaria con la disciplina del passaggio degli avvocati ai Consigli degli ordini accorpanti e con l’istituzione dell’ufficio del giudice di pace di Ostia e il ripristino di quello di Barra. Giustizia: i magistrati assediano il governo "arrenditi!" di Daniel Rustici Il Garantista, 22 ottobre 2014 I giudici hanno messo sotto assedio il governo, e il governo inizia a cedere. Su cosa? Sul punto più dolente della riforma della giustizia, e cioè la disciplina della responsabilità civile dei giudici. Si tratta di capire quando è possibile chiedere il risarcimento, in caso di errore dei magistrati, e quando lo Stato , dopo aver pagato, può rivalersi sui magistrati che hanno sbagliato, e in quale quantità. I magistrati vogliono annullare la possibilità di dover pagare, l’Europa chiede una disciplina rigorosa, il governo tenta una mediazione. Furioso il senatore Buemi, che è il relatore di maggioranza e minaccia di dimettersi. Furiosa anche Forza Italia. In serata Orlando ha fatto sapere che è possibile presentare dei sub-emendamenti per migliorare la legge. Per il viceministro della Giustizia Costa si tratta di "una tempesta in un bicchier d’acqua", ma Forza Italia e il socialista Buemi, che minaccia addirittura di dimettersi da relatore della legge sulla responsabilità civile, sono già sul piede di guerra. Complice la presentazione da parte del governo di tre emendamenti che modificano parecchio l’impianto del testo attualmente in esame alla commissione Giustizia del Senato, tornano ad alzarsi i toni sul nodo della punibilità dei giudici, con gli azzurri e la fronda garantista interna al centrosinistra che accusano Renzi e Orlando di voler annacquare il provvedimento e di sbilanciarlo a favore delle toghe. L’esecutivo ha lanciato la sua Opa sul disegno di legge di iniziativa parlamentare a firma di Enrico Buemi (Psi) dopo il diniego della commissione a esaminare il Ddl sulla giustizia approvato ad agosto dal Consiglio del ministri e la decisione di andare avanti invece con la discussione sulla proposta del senatore socialista eletto nelle liste del Pd. La differenza più macroscopica tra i due testi riguarda la possibilità per lo Stato, una volta accertato l’errore compiuto da un magistrato ai danni di un imputato, di potersi rivalere sul giudice (chiedergli cioè attraverso il congelamento di parte dello stipendio di rimborsare l’erario per l’indennizzo che questo ha pagato al cittadino vittima di malagiustizia). Nella versione che viene proposta dal governo vengono espunti dalla possibilità di rivalsa i casi di "grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile" e quelli in cui in una sentenza si discosta, senza darne adeguata motivazione, dall’interpretazione delle sezioni unite della Cassazione. Per il presidente della commissione Francesco Nitto Palma, l’inserimento di quest’ultima casistica ("un lasciapassare al proliferare di sentenze fantasiose") tra quelle non passabili di rivalsa, renderebbe la legge sulla responsabilità civile targata Orlando addirittura peggiore della legge Vassalli del 1975. Lo pensa anche il parlamentare socialista: pur auspicando che si "arrivi a un punto di mediazione" si dice pronto a rassegnare le sue dimissioni nel caso in cui il governo decida di tirare dritto in quella che lui considera un’indebita concessione alle pressioni dei giudici. "Capisco", afferma il relatore, "la necessità di tenere conto delle aspettative dell’Anm ma, nel momento in cui il Senato si autoriforma, si intaccano diritti acquisiti, si mettono in discussione competenze affermate, deve far riflettere che ci sia solo un’area non sottoposta alla riforma perché ha una sua capacità di condizionare la politica". Parole dure che fanno il paio con quelle del forzista Malan secondo cui "il ministro ha annunciato la presentazione di un emendamento che di fatto autorizza le toghe a fare tutto ciò che vogliono". E Palma rincara la dose: "Il presidente Renzi ha detto più volte che chi sbaglia paga, ma mostra di non far seguire i fatti alle parole. Vi è una diminuzione della casistica sia sotto il profilo della colpa grave sia sotto taluni aspetti tecnici come le motivazioni. L’ unica cosa in più che c’è rispetto alla legge Vassalli, oltre all’abolizione del filtro che era già stata fatta in commissione, è che i magistrati che oggi pagano, indipendentemente dall’entità del risarcimento, un terzo dello stipendio netto all’epoca del fatto, circa 20mila euro, adesso grazie a questi emendamenti del governo ne pagheranno 25…". Il ministro della Giustizia Andrea Orlando prova a gettare acqua sul fuoco: "Il mio emendamento è un punto di partenza, non di arrivo, e con i subemendamenti si potrà migliorare il testo". E a quanti parlano di una sterzata a favore dei magistrati il Guardasigilli replica: "Non c’è nessuna marcia indietro, ma una riproposizione pedissequa di quanto già previsto nel ddl del governo". E intanto la Camera, con 365 voti contrari e 127 favorevoli, ha bocciato a scrutinio segreto l’emendamento del leghista Gianluca Pini alla legge comunitaria che introduceva la responsabilità civile diretta dei magistrati, una norma che avrebbe rappresentato un "unicum" in Europa dove a farla da padrone nelle legislazioni è la responsabilità di tipo indiretto. Lettere: noi marocchini siamo giudicati in maniera diversa dai vostri tribunali Il Garantista, 22 ottobre 2014 Leggo che il giudice di Milano che ha dato le dimissioni dopo aver firmato la sentenza di assoluzione del signor Berlusconi, evidentemente perché non la condivide, avrebbe dichiarato: "Non me la sento di decidere domani per un marocchino in modo diverso". Ora, visto che io sono marocchino, e per di più imputato in un processo che sarà deciso la prossima settimana di fronte ad un tribunale di Milano, (ma se fosse Roma o Canicatti la cosa non cambierebbe ndm) le debbo confessare che la cosa mi ha molto colpito. Che cosa vuole dire quel giudice, mi sono chiesto immediatamente dopo aver letto i giornali, che B doveva essere giudicato "come un marocchino" o che non è possibile giudicare un "marocchino" come un italiano? A leggere bene quelle righe, infatti, sembra che quel giudice abbia sostenuto che i criteri probatori (mi scusi il legalese ma ho telefonato al mio avvocato prima di prendere carta e penna ndm) applicati al signor Berlusconi intanto siano stati diversi da quelli che vengono applicati tutti i giorni a noi marocchini, il che è già un problema. Ma il problema più grande, mi pare evidente, non è tanto questo, visto che da che mondo è mondo i potenti vengono giudicati un po’ meglio degli altri, quanto quello più significativo: quali sono i criteri giusti? Voglio dire, se al signor Berlusconi hanno applicato criteri probatori che discendono dal principio secondo il quale nessuno può essere condannato se non risulta colpevole "beyond any reasonable doubt" (mi scusi anche l’inglese ma sono un marocchino poliglotta ndm) quel giudice perché si è dimesso? Perché lo voleva "marocchinare"? (mi scusi il neologismo, ma ricorderà che nel dopo guerra era molto in voga, come insegna Moravia ne La Ciociara, e scusi anche la citazione ma sono un marocchino istruito ndm). A ben vedere, del resto, il giudice di Milano ha detto proprio questo: come faccio a continuare a trattare i marocchini come li trattiamo, cioè applicando criteri di giudizio assai semplificati, per essere gentili, dopo aver assolto B, che come noto per i magistrati milanesi è peggio dei marocchini? Peraltro, risulta del tutto evidente il paradosso del quesito che quel giudice ha posto. Quelle parole, in ogni caso, dicono "come faccio a giudicare un marocchino da domani?". Beh, fai come hai fatto per il Signor B, sarebbe la risposta più semplice ed immediata; una risposta che evidentemente quel giudice esclude per definizione, visto che si pone solo il problema di non poter continuare a condannare i marocchini e non quello di applicargli lo stesso trattamento di B. Quello pone una questione personale, di coerenza, a leggere tra le righe, non di giustizia. Problemi suoi, verrebbe da rispondere, ma è evidente che cosi non è e la cosa riguarda tutti: noi marocchini, voi italiani, e pure il signor B. Concludo Signor Direttore, non Le sembra il caso di aprire una discussione sul Suo giornale su questo tema? Potrebbe inaugurare una rubrica dal titolo Marrachech Express Justice, dando voce a tutti noi, marocchini, ghanesi, algerini, tunisini, cingalesi, peruviani, etc. etc. che vorremmo essere trattati non dico come il signor B, ma almeno come il signor Rossi. La ringrazio per l’attenzione e trasmetto la presente al mio avvocato, che considerata la mia attuale condizione mi consiglia di mantenere l’anonimato. Ps: ndm significa nota di marocchino. Lettera firmata Liguria: Bruzzone (Lega); i detenuti siano impiegati nella pulizia di fiumi e torrenti www.cittadellaspezia.com, 22 ottobre 2014 Carcerati per pulire i torrenti, approvata la proposta di Francesco Bruzzone. Il Consiglio Regionale della Liguria ha approvato con voto unanime l’ordine del giorno presentato questo pomeriggio dal Consigliere Regionale della Lega Nord Francesco Bruzzone, firmato anche dal capogruppo Maurizio Torterolo, per l’utilizzo del lavoro dei detenuti per la realizzazione di interventi per la prevenzione di eventi alluvionali. "Rilevato che tra le principali concause dello straripamento ed esondazione di corsi d’acqua e torrenti, con conseguente trascinamento a valle di terra e detriti vegetali, esiste la mancata manutenzione del territorio agro silvo pastorale, la mancata pulizia dei sottoboschi e la cancellazione delle antiche micro opere di intervento idraulico per la canalizzazione delle acque piovane", si legge nel documento stilato da Bruzzone e approvato dal Consiglio, e ritenuto "necessario attivare interventi che vadano incontro alle esigenze di cui sopra", l’ordine del giorno impegna il Presidente e la Giunta Regionale "ad attivare progetti che prevedano concretamente il coinvolgimento, in termini di manodopera, della popolazione carceraria con il compito di mettere in atto i necessari micro interventi di cui alle premesse tesi ad eliminare il trasporto a valle di detriti vegetali e la scarnificazione del terreno da cui deriva la discesa a valle di materiale terroso (fango)". Il Consigliere Regionale Bruzzone esprime soddisfazione per l’approvazione del suo odg: "È necessario impiegare tutte le risorse a disposizione per prevenire il ripetersi di eventi alluvionali. E per la pulizia di rii e torrenti con micro interventi determinanti, mi sembra il caso di utilizzare la popolazione carceraria. Come possono piegare la schiena i nostri anziani e contadini, così lo possono fare giovani spacciatori e criminali", dichiara l’esponente del Carroccio. Latina: accusato di omicidio muore in cella alla vigila del processo, procura apre inchiesta La Presse, 22 ottobre 2014 Oggi si sarebbe dovuto presentare davanti ai giudici della Corte d’Assise di Latina Gianpiero Miglietta, 38 anni, di Surbo, nel leccese, ma qualche giorno fa è morto impiccato nella cella in cui era detenuto nel carcere di Latina per aver, secondo l’accusa, sparato e ucciso insieme ad altri due imputati il 18 novembre 2013 il commerciante ittico Vincenzo Del Prete, 45 anni. I familiari non credono al suicidio, Miglietta aveva un problema di mobilità al braccio e alla mano destra che gli avrebbe reso impossibile costruire con il lenzuolo del letto il cappio al quale si sarebbe impiccato mentre il compagno di cella era in infermeria. Per questo hanno presentato una denuncia che ha dato il via a un’inchiesta della procura di Latina perché si chiariscano le cause della morte. L’autopsia effettuata ieri sul cadavere non è riuscita a dare risposte in merito. Così come resta ancora da capire, come sosteneva la difesa nel processo per omicidio, se Miglietta nonostante l’inabilità all’arto sarebbe stato in grado di sparare alla vittima. Secondo il pm Gregorio Capasso il 38enne avrebbe ricevuto pistola e denaro a ristoro dell’assassinio da Roberto Bandizol. Avrebbe agito insieme a Tommy Maida, su mandato di Marino Cerasoli, che avrebbe avuto interesse a far sparire Del Prete per cancellare un debito di 200mila euro che con lui aveva. Ora il processo andrà avanti solo per Cerasoli e Bandizol, Maida verrà giudicato col rito abbreviato. Accusato di omicidio s’impicca in carcere prima del processo (Corriere di Latina) Si è tolto la vita in carcere, alla vigilia del processo: Gianpiero Miglietta, 38 anni di Aprilia, imputato per l’omicidio di Vincenzo Del Prete, avvenuto a Terracina il 18 novembre 2013, è stato trovato morto nel bagno, impiccato con un lenzuolo. La tragedia si è consumata nel pomeriggio del 16 ottobre e per gli inquirenti non vi sarebbero dubbi sull’ipotesi di suicidio. Suicidio avvenuto dopo che Miglietta aveva ricevuto in carcere una lettera della sua compagna con la quale gli diceva che lo voleva lasciare, che la loro storia era finita. Lettera sequestrata insieme ad altre missive ricevute da Miglietta durante la sua detenzione presso il carcere di Latina. La famiglia ha chiesto che sia fatta chiarezza su quanto avvenuto in via Aspromonte: il Pm Eleonora Tortora ha disposto l’esame autoptico che si terrà, con molta probabilità il 20 ottobre. Il 38enne di Aprilia aveva seri problemi di mobilità al braccio e alla mano destra - hanno spiegato i familiari attraverso il loro legale di fiducia, l’avvocato Maria Antonietta Cestra - e per lui uccidersi in quel modo sarebbe stato impossibile. Miglietta era un uomo debole, soprattutto da un punto di vista affettivo, e più volte aveva manifestato il desiderio di farla finita. Aveva detto ad alcuni familiari che si sarebbe avvelenato, mentre ora l’impiccagione risulterebbe assurda. "Gianpiero - afferma la Cestra - non aveva la forza fisica per compiere un simile gesto". L’inchiesta della Procura sulla morte del 38enne di Aprilia è appena iniziata e l’autopsia di lunedì potrebbe chiarire già abbastanza. Mentre la lettera ricevuta dalla compagna assume una luce particolare in questa complicata vicenda. Come si ricorderà infatti la donna, insieme a sua sorella, avrebbero avuto un ruolo importante nel coinvolgimento di Miglietta nell’omicidio di Del Prete. La Squadra Mobile di Latina arrivò a lui attraverso un numero di targa fornito da alcuni vicini di casa di Del Prete, ucciso proprio davanti alla sua abitazione. L’auto sospetta era stata notata nei giorni precedenti e il numero di targa appuntato dai testimoni portò dritto a casa della sorella della compagna di Miglietta. Era la sua auto. La donna, sorella dell’attuale compagna autrice dell’ultima lettera, in passato aveva avuto una bambina con Miglietta. Le due sorelle furono ascoltate lungamente presso gli uffici della Questura, prima degli arresti di Miglietta e degli altri imputati. La richiesta di verità sulla morte di Miglietta da parte dei suoi familiari potrebbe aprire a nuovi sviluppi anche sui fatti avvenuti a Terracina lo scorso anno. C’è qualcuno che poteva avere dei vantaggi con la morte di Miglietta? Gianpiero Miglietta era coimputato nel processo il Corte D’Assise, disposto con rito immediato e previsto per il 21 ottobre, insieme a Tommy Maida anche lui di Aprilia, considerati gli esecutori materiali del delitto, Marino Cerasoli di San Felice Circeo e Roberto Bandiziol di Latina, ritenuti i mandanti. Per l’uccisione del commerciante di Terracina è indagato anche Cataldo Patruno, di Aprilia. Per quest’ultimo il Gip non si è ancora pronunciato. Catanzaro: Radicali; tentato suicidio di un detenuto, lo salva la Polizia penitenziaria www.catanzaroinforma.it, 22 ottobre 2014 L’autore del gesto sarebbe un detenuto di 36 anni. Provvidenziale l’intervento della Polizia Penitenziaria. Avrebbe tentato di impiccarsi con un cappio rudimentale nella sua cella all’interno del Reparto di Isolamento del Carcere di Catanzaro Siano ma, per fortuna, è stato salvato in extremis dai Sanitari e dalla Polizia Penitenziaria. Il fatto è accaduto ieri, nel tardo pomeriggio, nella Casa Circondariale del capoluogo calabrese. Ad accorgersi di quanto stava accadendo è stato il personale sanitario che, in quel momento, stava passando per somministrare la terapia ai detenuti bisognosi. A darne notizia è l’esponente radicale calabrese Emilio Quintieri che, ha colto l’occasione, per chiedere all’Amministrazione Penitenziaria ed alla Magistratura di Sorveglianza di Catanzaro di intervenire, per quanto di competenza, per valutare la sospensione - quantomeno temporanea - del regime di sorveglianza particolare nei confronti di questo detenuto, per prevenire ulteriori atti autolesionistici o suicidari. L’autore del disperato ed estremo gesto è un detenuto di 36 anni F.P. con fine pena prevista per il 2025 per vari reati tra cui rapina, estorsione e traffico di stupefacenti, recentemente trasferito a Catanzaro da altra Casa di reclusione ove, unitamente ad altro ristretto straniero, avrebbe tentato di evadere. Una condotta che, oltre alla irrogazione di una sanzione disciplinare ed una denuncia all’Autorità Giudiziaria, stando a quanto riferito dallo stesso, gli avrebbe comportato anche un pestaggio da parte del personale di Polizia Penitenziaria nonché, per ultimo, la sottoposizione al rigoroso regime di sorveglianza particolare previsto dall’Art. 14 bis dell’Ordinamento Penitenziario, su richiesta del Consiglio di Disciplina del Penitenziario "del carcere in cui era rinchiuso" Il pestaggio da parte della Polizia Penitenziaria, sul quale la competente Procura della Repubblica ha aperto un fascicolo, venne denunciato dal Pignataro all’Onorevole Enza Bruno Bossio, Deputato del Partito Democratico e membro della Commissione Bicamerale Antimafia, durante la famigerata visita ispettiva "a sorpresa" effettuata la scorsa estate nel carcere in questione. Una vicenda che l’On. Bruno Bossio, ha espressamente richiamato nella sua Interrogazione a risposta in Commissione n. 5-03559, indirizzata ai Ministri della Giustizia, della Salute e del Lavoro e delle Politiche Sociali del Governo Renzi, presentata alla Camera dei Deputati durante la 291esima seduta del 16 settembre. Il radicale Quintieri, nella serata di ieri, non appena venuto a conoscenza del tentato suicidio del detenuto Pignataro, ne ha immediatamente informato la Parlamentare Democratica che, questa mattina, ha chiesto delucidazioni al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia. Modena: il magistrato di sorveglianza ancora non c’è, la denuncia dei Radicali di Damiano Aliprandi Il Garantista, 22 ottobre 2014 A Modena non c’è ancora il magistrato di sorveglianza e ai detenuti internati non c’è nessuna possibilità di fare richieste per i permessi e altri diritti che gli spettano. Il disagio tra i detenuti e gli internati della provincia è molto forte per la mancanza del magistrato di sorveglianza, il cui ruolo è temporaneamente affidato, in supplenza, ad altri magistrati che devono occuparsi di tre province in una volta, ovvero Modena, Reggio e Parma. La mancanza del magistrato infatti, sta determinando il blocco dell’attività ordinaria di esame delle istanze presentate dai detenuti e dagli internati, con conseguente interruzione dei percorsi trattamentali esterni. La vicenda era già stata segnalata quest’estate da Rita Bernardini, segretaria dei radicali italiani, raccontando che il magistrato dell’Ufficio di Sorveglianza di Modena è andato in ferie e non è più rientrato al lavoro perchè nel frattempo è andato in pensione. La Bernardini è venuta a sapere di questo caso da una "vittima" del disservizio e proprio "grazie alla testimonianza di una donna - aveva spiegato la segretaria dei radicali - che da tempo sta cercando di interloquire con il magistrato, stressata da telefoni che non rispondono, uffici che non chiariscono e che rimandano sine die gli adempimenti che competono loro per legge". Nella città di Modena, proseguiva Rita Bernardini, da tempo non "c’è il magistrato di Sorveglianza che ha la competenza anche degli internati della casa di lavoro di Castelfranco. Questo significa che delle istanze dei detenuti nei due istituti nessuno si occupa: niente permessi, niente licenze, niente ingressi nelle comunità terapeutiche, solo per fare qualche esempio". Secondo quanto riferito da Bernardini, la donna, dopo aver saputo dalle telefonate fatte tra Ministero della Giustizia e Consiglio superiore della magistratura, che un magistrato aveva preso l’incarico all’ombra della Ghirlandina, ha chiamato l’ufficio di Sorveglianza di Modena "dove finalmente le dicono - affermava Rita Bernardini - che effettivamente il magistrato ha preso l’incarico ma è andato in ferie e, comunque, anche dopo le ferie non rientrerà perchè andrà in pensione". Per la Bernardini il giudice ha preso servizio il 18 luglio dopo una decisione del Consiglio superiore della magistratura che risale al 19 febbraio. Siamo quasi a fine ottobre e la situazione è rimasta invariata. La tensione sale sempre di più e i detenuti non capiscono cosa stia succedendo. "I detenuti sono molto amareggiati, non capiscono la situazione e "se la prendono" con le prime persone che hanno davanti ovvero educatori e volontari, perché trovano bloccati i loro diritti che passano per i permessi all’esterno, gli sconti di pena in base al comportamento interno e i programmi di trattamento e reinserimento - affermano Paola Cigarini del Gruppo "Carcere e Città" e Giulio Marini di "Porta Aperta Carcere" - non è nemmeno giusto che la gestione dei detenuti di altre zone della regione, possa essere compromessa dal fatto che ci sono magistrati che corrono per tutta l’Emilia-Romagna per sopperire alla mancanza di un magistrato di sorveglianza a Modena". Enna: trenta detenuti partecipano ad un corso di "addetto alimentarista" Ansa, 22 ottobre 2014 Trenta detenuti del carcere di Enna stanno partecipando ad un corso di "addetto alimentarista" organizzato per il secondo anno consecutivo nella struttura dalla Confartigianato. Il corso, sul sistema Haccp, indispensabile per chi intende lavorare nel campo della ristorazione, è organizzato in collaborazione con l’associazione Spiragli, che da anni collabora con il carcere di Enna. "Il lavoro non è un’ulteriore pena da espiare - dice il segretario provinciale delle Imprese di Confartigianato Enna Rosa Zarba - ma un trattamento rieducativo e di reinserimento sociale. Ecco perché bisogna favorire la partecipazione dei detenuti ai corsi professionali, che risultano indispensabili per l’acquisizione di qualifiche spendibili anche dopo la scarcerazione". Il corso è rivolto agli addetti alla manipolazione degli alimenti, cioè a tutti coloro che hanno a che fare con cibi e bevande e nello specifico ai detenuti impegnati nella casa circondariale come cuoco, aiuto cuoco e inserviente di cucina, che subiscono spesso una rotazione. Tra gli esperti impegnati nel progetto il dirigente sanitario del Siam dell’Asp di Enna Giuseppe Stella, il biologo Rosario Velardita, la responsabile settore ambiente e sicurezza della Confartigianato Eloisa Tamburella e la responsabile del settore ambiente e sicurezza della Confartigianato Rosa Zarba, coadiuvati dai volontari dell’associazione Spiragli. Lecce: ripartono i corsi in carcere, al via per il secondo anno "Storie d’amore e libertà" www.lecceprima.it, 22 ottobre 2014 A lezione di street art, musica e scrittura creativa, lunedì 20 ottobre riparte il progetto "Storie d’amore e libertà" all’interno della casa circondariale Borgo San Nicola di Lecce. Per il secondo anno consecutivo proseguono i lavori destinati ad una classe di 15 detenuti che si confronteranno con arte, musica, scrittura e creatività. Un progetto difficile e delicato che però ha portato grandi soddisfazioni fuori e dentro il carcere. L’idea nasce dal confronto tra Mariapia Scarciglia, avvocato e responsabile per Lecce e Taranto dell’associazione Antigone e i soci dell’associazione Bfake, attiva sul territorio nella realizzazione di progetti all’insegna della libera circolazione e condivisione dei saperi. La passione per i diritti e l’impegno civico sono stati fondamentali per spingere il progetto all’interno del carcere leccese. Dopo una serie di proficui incontri tenutisi l’anno scorso con i detenuti all’interno della casa circondariale di Lecce, ben due classi composte da quindici detenuti sono da domani chiamate a confrontarsi con le discipline in questione. Le associazioni fanno un primo bilancio delle attività e ci fanno sapere che sono molti gli artisti e le realtà che si sono detti disponibili a collaborare e a fare la loro parte per i detenuti perché, luoghi come questi, siano più vicini alla società e contenitori di cultura, una cultura che per le rispettive associazioni fonda i suoi principi nel rispetto dei diritti e nell’inclusione sociale. I detenuti hanno già realizzato un murales all’interno del carcere con l’aiuto del docente di street art Francesco Ferreri che raffigura Frida Kahlo, soggetto simbolo di libertà femminile. Nella sezione maschile invece, è già stato prodotto un brano hip hop e si lavora al prossimo singolo. Grazie al corso di street art i partecipanti potranno immediatamente confrontarsi con tutte le moderne tecniche artistiche proprie dell’arte di strada. Graffiti, stencil, disegni e collage, grazie alla guida di insegnanti esperti ed alla presenza già confermata di ospiti illustri di fama nazionale, diverranno strumenti di libertà e partecipazione mentre, grazie al corso di musica e scrittura creativa, i mille pensieri che affollano la mente di chi vive all’interno di una cella potranno diventare, nell’ottica di un lavoro coordinato e corale, il testo di un brano rap da scrivere, registrare e condividere. L’obiettivo è quello di creare un vero e proprio spazio neutrale, in cui i detenuti possono sentirsi liberi di esprimersi in discipline che notoriamente migliorano il benessere psicofisico della persona, obiettivo, questo alla base della finalità della pena. Anche quest’anno Il corso di street art sarà curato da Francesco Ferreri e Ania Kitela mentre il corso di musica sarà gestito da Massimo Armenise. Per ulteriori informazioni sul progetto Avv. Mariapia Scarciglia mariapiascarciglia@hotmail.com o storiedamoreeliberta@gmail.com. Monza: "i poliziotti si devono pagare il letto", protesta della Uil-Pa Polizia penitenziaria Ansa, 22 ottobre 2014 "Straordinari non pagati, alloggi fatiscenti e affitto non previsto ma richiesto a chi alloggia in caserma": questi i motivi della protesta degli agenti di polizia penitenziaria in servizio al carcere di Monza che, insieme al sindacato, si sono rivolti direttamente a Roma. "Abbiamo scritto una lettera diretta ai capi Dipartimento della Direzione Amministrativa Penitenziaria della capitale ed al Provveditore Regionale - dichiara Domenico Benemia, segretario regionale Uil-Pa Polizia penitenziaria - per protestare contro la novità dell’affitto per chi alloggia in caserma. Sono state introdotte delle differenziazioni per l’utilizzo degli alloggi stessi che, però, sarebbero subordinate anche alla struttura degli stessi. I nostri alloggi versano in condizioni disastrose, in particolar modo quelli interni al carcere di San Quirico dove il riscaldamento non funziona e piove acqua e che senza importanti interventi sono praticamente inutilizzabili, ma non pare vi siano in previsione investimenti di alcun tipo". Sono oltre 100 i poliziotti a vivere in caserma, alcuni dei quali, spiega il sindacato, hanno pensato da soli a risistemarsi le camere. "Gli affitti richiesti variano da un minimo di 40 euro al mese per letto in singola, ad un massimo di 100 per una tripla - prosegue Benemia - ma per l’assegnazione degli stessi non era previsto il pagamento di alcun canone. Questa pretesa di pagamento è un abuso, anche perché chi non accetta perderà il posto letto. Le strutture fanno acqua da tutte le parti, le scarpe ce le compriamo da soli, non ci pagano gli straordinari e i mezzi per il trasporto detenuti sono a dir poco sgangherati. Adesso dobbiamo anche pagarci il letto". Piacenza: Ugl Polizia Penitenziaria; luoghi di lavoro insalubri e condizioni stressanti Ansa, 22 ottobre 2014 "Luoghi di lavoro insalubri e condizioni di lavoro stressanti a causa di una manutenzione insufficiente della struttura dovuta ai tagli operati per la spending review". È quanto ha rilevato il segretario nazionale dell’Ugl Polizia Penitenziaria, Giuseppe Moretti, nel corso della visita nel carcere di Piacenza e dell’assemblea con il personale della struttura. "Gli agenti sono costretti a pagare canoni alloggiativi pur risiedendo in una caserma, nella quale peraltro - spiega il sindacalista - gli ambienti risultano inadeguati a garantire il benessere del personale che vi alloggia, ad esempio nel pomeriggio manca l’acqua calda e lo spaccio è chiuso. L’unica nota positiva del complesso è rappresentata dal nuovo padiglione dove i servizi sono consoni agli standard qualitativi previsti dall’attuale normativa sulla sicurezza e salute nei luoghi di lavoro". "Come sindacato - conclude Moretti - abbiamo già richiesto che siano effettuati opportuni interventi e che si eviti di chiedere al personale di pagare per pernottare in una caserma che non è neppure dotata di servizi essenziali come l’acqua calda". Nuoro: dosi di hascisc trovate in una cella a Isili dal Reparto cinofili di Macomer Ansa, 22 ottobre 2014 Alcune dosi di hascisc sono state rinvenute dal Reparto cinofili di Macomer all’interno di una cella del carcere di Isili. La struttura carceraria è una delle tre colonie penali sarde, assieme a Mamone e Is Arenas. Il segretario regionale di Federazione nazionale sicurezza, Giovanni Villa, sollecita maggiore attenzione anche nel territorio circostante. "Il controllo del reparto cinofili non basta - spiega il segretario Fns - bisognerebbe introdurre un servizio di pattuglie per il controllo del territorio che con strumentazione giusta arriverebbero sicuramente a risultati importanti, come magari l’individuazione e l’arresto dei fornitori a detenuti ristretti nelle colonie". Modena: il Sappe scrive ad Ausl e Prap "trovato topo morto e agenti positivi a test Tbc" Dire, 22 ottobre 2014 Emergenza malattie infettive al carcere di Modena. Nei locali della caserma agenti del Sant’Anna, dove alloggia il personale di Polizia penitenziaria, sono stati trovati ieri mattina dei topi, uno dei quali già morto. Nei giorni scorsi, inoltre, alcuni agenti di Polizia penitenziaria sono risultati positivi ai test della Mantoux, lo screening per individuare i micobatteri anche latenti della tubercolosi. Lo denuncia il sindacato autonomo di Polizia penitenziaria Sappe, che torna così sulla questione dopo i topi e gli scarafaggi trovati nei locali della mensa del carcere nel novembre del 2012. Il sindacato sui nuovi casi ha sollecitato per iscritto un intervento sia all’Ausl di Modena sia al provveditorato penitenziario dell’Emilia-Romagna. "Il problema ritorna, è grave e va affrontato al più presto", preme il segretario generale aggiunto del Sappe, Giovanni Battista Durante. "Si tratta evidentemente- commenta Durante in particolare sul topo morto- di un episodio molto grave che denota incuria da parte di chi dovrebbe garantire igiene e salubrità, non solo nei luoghi di lavoro, ma anche dove vive il personale. Il fatto è ancora più grave se si considera che si tratta di animali portatori di patologie infettive". Anche con riferimento all’esito dei test Mantoux, il segretario Sappe ribadisce: "Il problema delle malattie infettive in carcere è sempre più grave, a causa di patologie che si ritenevano superate, ma che da alcuni anni sono tornate sempre più evidenti". Del resto, pure gli istituti dell’Emilia-Romagna "sono in costante monitoraggio anche per il problema dell’Ebola", ricorda Durante. Pisa: la Compagnia della Fortezza apre la stagione di prosa del Teatro Verdi Ansa, 22 ottobre 2014 Sarà la Compagnia della Fortezza di Armando Punzo, l’8 novembre, ad aprire la stagione di prosa del teatro Verdi di Pisa. La compagnia composta dai detenuti del carcere di Volterra porta in scena lo spettacolo ‘Santo Genet’, nato, spiega Punzo, "dopo due anni di lavoro sull’opera del drammaturgo francese, che pur sempre meno di moda resta un autore di grandissima attualità". La piece sarà lanciata da una serie di eventi in vari luoghi della città: si parte il 24 ottobre, nella Sala Azzurra della Normale, con la lectio magistralis di Punzo. La stagione, organizzata dalla Fondazione Teatro di Pisa e Fondazione Toscana Spettacolo, vede in cartello "altri sette spettacoli tra i più vivaci e curiosi del panorama italiano". Terni: con il progetto "Sport all’orizzonte" il tennis entra in un penitenziario italiano di Fulvio Nibali www.tennis.it, 22 ottobre 2014 Nell’istituto Vocabolo Sabbione di Terni un’iniziativa di grande rilievo sociale e sportivo. "Sport all’orizzonte" porta il tennis in un penitenziario per salvaguardare la salute psicofisica dei detenuti. Italia all’avanguardia in questo senso. Anche meglio degli Stati Uniti. Tennis, sport elegante, di nicchia, per ricchi e anche per detenuti. Il tennis non smette di sorprendere e non smette di appassionare. C’è chi lo gioca in circoli di alta aristocrazia, dove una tessera annuale ha un costo abbastanza elevato e c’è chi può giocarlo anche dentro le mura di un penitenziario. È già successo negli Stati Uniti, in qualche occasione nello stato di New York, quasi sempre nei penitenziari della California. Adesso anche l’Italia può vantare un’iniziativa di grande rilievo sportivo e soprattutto sociale. "Sport all’orizzonte" è un programma organizzato dal Coni di Terni all’interno del carcere di Vocabolo Sabbione. Dal 22 ottobre e fino al 31 dicembre prossimo il penitenziario del centro umbro ospiterà quattro tecnici della Federtennis - Fabio Moscatelli, Marco Ruello, Fabio Todini e Marco Verducci - che saranno a disposizione dei 30 detenuti che hanno fatto richiesta di partecipare al programma. "Si tratta di un’iniziativa che qualifica l’azione del Coni sul territorio" - ha chiarito Stefano Lupi, delegato provinciale del Comitato olimpico nazionale - "e noi siamo fortemente orientati alla promozione dello sport e cerchiamo di coniugarlo a valori e messaggi di solidarietà". Gli fa eco il direttore della casa circondariale umbra, Chiara Pellegrini: "Lo sport come strumento di salute psicofisica è importantissimo, soprattutto per chi è detenuto. Ringraziamo il Coni e i tecnici della Fit perché hanno la volontà di estendere il proprio intervento anche nel periodo natalizio, un momento in cui la sofferenza della lontananza dalla famiglia si avverte ancora di più". E anche i detenuti sembrano d’accordo con tale posizione: "Lo sport ci regala il sorriso, che è il sale della vita ed io che sono un sognatore vorrei immaginare che questo progetto vada avanti e venga realizzato a lungo per veder sorridere tutti i detenuti del carcere di Terni" ha scritto un detenuto in una lettera indirizzata alla direzione dopo aver appreso la messa in atto dell’iniziativa. La direttrice gradisce: "Nella precedente edizione di Sport all’orizzonte sono rimasta molto colpita dai sorrisi e dalla gioia dei detenuti. Lo sport aiuta a esprimere emozioni che spesso nei nove metri quadrati di cella non rimangono represse. Fare sport all’aria aperta è di grandissimo aiuto per i detenuti". La nostra bistrattata Italia si dimostra all’avanguardia in questo senso. Un buon riferimento può essere ben rappresentato da una storia che viene dagli Stati Uniti. La testimonianza è di Daniel Genis, autore del romanzo Narcotica e traduttore di numerosi testi dal russo, detenuto dal 2003 al 2014 nel Groveland Correctional Facility, un penitenziario di media sicurezza dello stato di New York in cui 30 anni fa un operaio decise di adibire un campo di pallacanestro a campo da tennis. Così Daniel, al suo ingresso in carcere, si trova davanti il decadente "impianto" e comincia a giocare assieme ad alcuni compagni di cella. Il divertimento dura poco. Negli Stati Uniti ogni cosa che possa far bene ai detenuti viene etichettata come dannosa per il difficile equilibrio dei penitenziari. Così le palline vengono lanciate lontano, le racchette vengono rotte e ogni richiesta per averne di nuove viene rifiutata. Si mette in mezzo anche il fattore razzista e classista. La gremita comunità nera del penitenziario protesta contro gli improvvisati giocatori, tutti bianchi e tutti provenienti dai ceti alti della società. "Abbiamo provato a coinvolgere gli afroamericani e i latini, tra l’altro atleti di tutto rispetto. Ma i nostri sforzi non hanno trovato concretizzazione" confessa ancora Daniel Genis. L’amara conclusione della vicenda è una rissa tra detenuti e secondini e il giocattolo si rompe definitivamente. "La prossima volta che commetto un reato lo faccio in California" confessa infine Daniel Genis. Non si tratta di un’affermazione fatta a caso. Sulla West Coast il trattamento riservato ai detenuti nelle carceri di media sicurezza è ben diverso e i campi da tennis ci sono praticamente ovunque. La sua dichiarazione finale sembra molto vicina a quelle della direttrice della casa circondariale di Terni: "Il tennis può aiutare molto i detenuti. È uno sport di autocontrollo e la sua vivacità può aiutare a rompere la routine quotidiana. Ricorderò sempre il senso di libertà che ho provato quando cercavo di rispondere al temibile servizio di un compagno o recuperare il diritto profondo di un altro. E poi i completini da tennis sono molto più eleganti delle uniformi da detenuto". Evidentemente il direttore del Groveland Correctional Facility non ha avuto la stessa sensibilità di Chiara Pellegrini in occasione del varo di Sport all’orizzonte. La storia di Daniel Genis la dice lunga su quanto non sia facile realizzare iniziative di questo tipo se non c’è unione di intenti tra direttori di penitenziari, detenuti e istituzioni sportive. In Italia la sinergia tra Coni e direzione carceraria ha portato a un risultato eccellente. Importanti anche le parole di uno dei maestri, Fabio Moscatelli: "È un’esperienza positiva, che arricchisce anche chi la porta avanti. Io e i miei collaboratori siamo felici di poterci mettere a disposizione per una così importante attività sociale, di aiuto a chi in questo momento si trova in difficoltà". C’è da aggiungere che tali iniziative, in Italia, non si limitano al solo tennis. Qualche tempo fa la squadra di rugby di Terni - sempre grazie alla disponibilità del direttore e alla volontà dei giocatori - era riuscita a portare anche questo sport all’interno delle mura del penitenziario. E la promozione in serie B di due stagioni fa era stata festeggiata sempre a Vocabolo Sabbione. In fondo, non ci vuole poi così tanto perché il tennis sia sport di tutti. Libri: "Viaggio nelle carceri", la recensione di un uomo ombra di Carmelo Musumeci www.carmelomusumeci.com, 22 ottobre 2014 I "buoni" hanno bisogno dei cattivi e del carcere per apparire buoni. (Frase urlata durante un Consiglio di disciplina quando ero detenuto nel carcere dell’Asinara, nel lontano 1992). Leggo di giorno e di notte. Se potessi, leggerei anche quando dormo. E spero che nell’aldilà esistano i libri perché non potrei riposare in pace neppure da morto senza leggere. Il periodo più brutto della mia vita è stato quando ero sottoposto al regime di tortura del 41bis e all’isolamento diurno e notturno perché mi avevano proibito di tenere i libri in cella. Ho perdonato tante cose allo Stato, comprese le botte, gli abusi e i soprusi, ma non riesco ancora a perdonargli di quando mi sbatteva in punizione nelle celle lisce lasciandomi senza libri. In quei periodi mi era venuta l’idea che se "l’Assassino dei Sogni" (il carcere come lo chiamano i detenuti) mi vietava di leggere i libri li potevo però scrivere per poi leggere. E così ho iniziato a scrivere. Ho ancora tanti manoscritti di quel periodo sotto la mia branda e spero un giorno di liberare almeno loro. Non vi nascondo che, anche se adesso posso tenere i libri nella mia cella, leggo anche quando il mattino vado in bagno. Non mettetevi a ridere, ma lì ci porto i libri più belli. Non so fuori, ma in carcere il bagno funziona anche un po’ come biblioteca. E oggi ci ho portato il libro di Davide La Cara e di Antonino Castorina "Viaggio nelle carceri" (Editore Eir; Isbn 9788869330063; prezzo 14,00). Questa mattina la lettura di questo libro mi ha talmente coinvolto che senza che me ne accorgessi ho perso la cognizione del tempo. E non mi sono accorto che era l’ora della conta (l’orario di quando le guardie passano a contare i detenuti per controllare se durante la notte qualche detenuto ha segato le sbarre ed è scappato). Poi ho sentito la guardia bussare allo spioncino per invitarmi a farmi vedere (in carcere non si può stare tranquilli neppure al cesso) e sono uscito dal bagno con il libro in mano per comunicare alla guardia che rinunciavo all’ora d’aria. Subito dopo mi sono messo tranquillo a leggere. Ci tenevo a finire questo libro, sia perché conosco uno degli autori (Davide La Cara) che mi è venuto a trovare in carcere con la deputata Laura Coccia, sia perché nel libro c’è anche il contributo del mio "Diavolo Custode" (Nadia Bizzotto della Comunità Papa Giovanni XXIII) con il capitolo dal titolo "L’ergastolo è una pena di morte viva" ed ero curioso di sapere cosa avevano scritto. Forse a questo punto penso che mi toccherebbe scrivere qualcosa sul contenuto del libro, ma non lo farò perché preferisco che andiate a comprarlo e lo leggiate per poi fare il passaparola con gli amici, i parenti e i vicini di casa. In questo modo scoprirete da soli il "Viaggio nelle carceri" che hanno scritto i due autori del libro, perché io non so come si facciano le recensioni. Posso solo ringraziare Davide e Antonino di avere avuto il coraggio di scrivere questo libro per fare conoscere l’inferno delle nostre Patrie Galere che una buona parte della nostra classe politica ha creato e che mal governa. Non vi nascondo che a volte penso che la "criminalità" (organizzata o non), è un osso di cui le società capitaliste non vogliono (o forse non possono) fare a meno. E le galere servono a questo tipo di società per produrre criminalità e recidiva, per poi sfruttarla a fini elettorali. Mi addolora dirlo, ma in carcere è come se il bene sia passato dall’altra parte, quella del male. Spero di sbaglarmi. E voglia il buon Dio (il Dio dei prigionieri) che il mio pessimismo rimanga infondato, ma mi auguro che in Italia un giorno tutti i "buoni" si fermino a riflettere se non sia il caso di non guardare solo agli effetti del male, ma risalire alle cause e alle colpe. Un’ultima cosa: a mio parere, questo libro conferma che il carcere ha clamorosamente fallito il suo obiettivo di fare diminuire i reati e che la galera nel nostro Paese viola sistematicamente i diritti fondamentali. Non solo, ma distrugge anche la dignità umana dei detenuti e delle loro famiglie. Buona lettura. E buona vita. Un abbraccio fra le sbarre. Immigrazione: la Corte europea condanna l’Italia per violazione dei diritti umani di Luca Fazio Il Manifesto, 22 ottobre 2014 Nel 2009 sono avvenute espulsioni collettive indiscriminate nei confronti di trentadue migranti afghani sbarcati nei porti del mare Adriatico. Intanto si fa sempre più avvilente la polemica per l’affondo razzista di Beppe Grillo, mentre il governo nel silenzio generale dal primo novembre cancella la missione umanitaria Mare Nostrum. Non tutti i migranti che in questi anni sono sbarcati sulle nostre coste hanno avuto la fortuna, si fa per dire, di essere trattati come dovrebbe esserlo ogni essere umano quando subisce un torto. Con giustizia, secondo il rispetto delle leggi internazionali. È arrivata ieri la sentenza pronunciata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo che condanna il governo italiano - allora faceva danni Berlusconi - e quello greco per aver eseguito "espulsioni collettive indiscriminate" ai danni di migranti afghani rispediti in Grecia. Col rischio che, una volta in Grecia, i migranti avrebbero potuto essere nuovamente espulsi verso il paese di provenienza, "dove avrebbero rischiato la morte, la tortura o altri trattamenti inumani e degradanti". La vicenda non è recente, risale a sei anni fa, ma è significativa perché segnala l’approccio prevalente con cui le autorità italiane affrontano la cosiddetta "emergenza" immigrazione, che emergenza non è. Trentadue profughi afghani, due sudanesi e un eritreo sbarcarono in Italia tra il gennaio 2008 e il febbraio 2009 dopo essere partiti da Patrasso. La Corte europea, in particolare, si è soffermata sui casi di casi di quattro persone che almeno oggi hanno un nome. Si tratta di Reza Karimi, Yasir Zaidi, Mozamil Azimi e Najeeb Heideri. La Corte, oltre ad aver condannato l’Italia per il respingimento collettivo e per l’assenza di accesso alle procedure di asilo nel porto di Ancona, ha sottolineato "l’inquietudine di molti osservatori per le espulsioni automatiche operate dalle autorità frontaliere italiane nei porti del mare Adriatico nei confronti di persone che molto spesso vengono affidate immediatamente ai capitani delle navi in vista di essere ricondotti in Grecia, privandoli cosi di tutti i diritti procedurali e materiali". Sono passati cinque anni eppure oggi caos e violazione dei diritti umani sono aumentati esponenzialmente, se non altro per il fatto che quasi la metà di tutti gli sbarchi avvenuti in questo lasso di tempo è avvenuta nel 2014. E continuano: ieri pomeriggio a Vibo Valentia è arrivata una nave con 700 migranti a bordo, mentre a Lampedusa sono stati sorpresi quattro tunisini appena sbarcati. Ma se la cronaca non impressiona più, in attesa del prossimo eclatante naufragio, è il livello del dibattito politico che lascia esterrefatti. Siamo arrivati al punto che con accenti più o meno razzisti in parlamento di fatto esiste un solo enorme partito trasversale schierato contro gli immigrati. Larghissime intese, piuttosto lugubri, tra chi predica bene e razzola male e chi ormai fomenta o cede alle peggiori pulsioni xenofobe. Della Lega sapevamo, e il peggio deve ancora venire dopo l’enorme manifestazione razzista che ha colto di sorpresa solo gli antirazzisti di professione che hanno sottovalutato il "lavoro" di Matteo Salvini. Ma in queste ore tiene banco la "svolta" di Beppe Grillo che si è scagliato contro i "clandestini" (potenziali portatori di malattie) utilizzando argomenti avvilenti per molti elettori che gli avevano dato fiducia. Ma ancora più avvilente è la replica, una specie di arrampicata sui vetri, di Luigi Di Maio che cerca di smarcarsi dalla Lega - "strumentalizza questi temi fino all’inverosimile" - balbettando "noi non vogliamo esasperarlo, stiamo semplicemente sottolineando un problema che ci viene proposto da decine di migliaia di cittadini, addirittura di poliziotti che vengono mandati a soccorrere i migranti". Sembra un leghista a modo per dire che la pensa come Grillo. Niente di più. Una non reazione all’anatema del capo che gli costa una lezione da parte di Paolo Beni, deputato Pd, secondo cui Lega e Cinque Stelle pari sono. Beni ha ragione quando afferma che il fenomeno immigrazione "è ormai diventato strutturale e l’esodo dal continente africano continuerà per i prossimi decenni, come ci insegnano i demografi. Chi non ha chiara questa situazione, non ha chiaro il problema e non può nemmeno permettersi di dare ricette". Ma per tornare alla drammatica realtà Paolo Beni dovrebbe anche aggiungere che il "suo" governo Renzi-Alfano (Pd-Ncd) il primo novembre sospenderà l’operazione Mare Nostrum, proprio come chiedono Salvini e La Russa, e probabilmente anche Grillo. Questa non è una opinione, è un fatto molto grave che potrebbe provocare la morte di migliaia di persone. E non ci sarà consolazione, in futuro, nemmeno di fronte a una dura condanna della Corte europea dei diritti umani. Immigrazione: cittadinanza, 230mila domande in attesa… e rispunta lo "ius soli" di Marco Ludovico Il Sole 24 Ore, 22 ottobre 2014 Il premier Matteo Renzi rilancia lo ius soli: l’idea è di concedere il diritto di cittadinanza ai figli degli immigrati, nati in Italia e con un certo numero di anni di studi compiuti. Il tema, insieme a quello delle unioni gay impatta sulle competenze del ministero dell’Interno. È possibile però alla fine che il ministro Angelino Alfano su questi argomenti si renda disponibile, a fronte delle aperture di Renzi sugli incentivi alle famiglie. Al momento non c’è traccia di norme definite dal Viminale sullo ius soli, argomento richiamato più volte persino dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Alla Camera però il sottosegretario all’Interno Domenico Manzione (Pd) segue la discussione alla commissione Affari costituzionali e ha chiesto al relatore, Marilena Fabbri (Pd), di stilare un testo unificato tra le varie numerose proposte di legge. Il percorso immaginato da Renzi - la cittadinanza ai bambi-ni che abbiano studiato un certo numero di anni in Italia - è quello che trova più consensi (o meno dissensi) tra le anime della maggioranza. Così, in attesa di un progetto governativo, anche in Parlamento è possibile che l’orientamento alla fine sia di questo genere, a dispetto di proposte più ardite ma anche meno facili da condurre in porto. Certo è che l’idea di una cittadinanza dopo la nascita e prima della maggiore età, con un percorso scolastico compiuto, non è nuova. All’Interno, per esempio, è ben noto che in nessun paese europeo esiste lo ius soli puro: cittadinanza, cioè, concessa sulla base della sola nascita senza altro criterio. La questione comunque non può essere ignorata: "Sono quattro milioni gli stranieri che vivono in Italia e più di un milione di loro è minorenne" sottolinea, apprezzando 0 progetto dì Renzi, Vincenzo Spadafora, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. Né è possibile ignorare che, comunque, il numero di domande di cittadinanza è ogni anno più elevato e la sofferenza degli uffici dell’Interno si sente. Nel 2012 ci sono state 67.502 istanze, di cui 46.776 con parere favorevole; nel 2013 ci sono state rispettivamente richieste pari a 79.847 e 65.678 accoglimenti. Nei primi nove mesi di quest’anno la stima è di oltre 67mila domande e 47mila conclusioni positive. In totale oggi ci sono quasi 230mila fascicoli in istruttoria, cifra destinata a lievitare ancora. Nel frattempo il leader 5 Stelle, Beppe Grillo, va giù duro: "Chi entra in Italia con i barconi va identificato immediatamente, i profughi vanno accolti ma i cosiddetti clandestini rispediti da dove venivano" India: il caso di Tomaso e Elisabetta, udienza della Corte Suprema l’11 novembre Ansa, 22 ottobre 2014 Il caso di Tomaso Bruno e Elisabetta Boncompagni, i due italiani che scontano un ergastolo in India con l’accusa di avere ucciso un compagno di viaggio, sarà trattato dalla Corte Suprema indiana l’11 novembre e non il 28 ottobre come comunicato in un primo momento. È quanto emerge oggi dal sito web della stessa Corte a New Delhi. L’appello dei legali dei due era in effetti stato aggiunto all’ultimo momento alla lista dei casi da trattare il 28 ottobre con il numero 296, ma per snellire il lavoro dei giudici in quel giorno è stato riprogrammato per l’11 novembre. A quanto si è appreso la difesa dei due cercherà comunque di anticipare il più possibile l’esame dell’appello Chi sono Tomaso ed Elisabetta Ci sono tante circostanze poco chiare nella vicenda di questi nostri connazionali condannato al carcere a vita sulla base di un’autopsia dubbia e di un pregiudizio morale. La vicenda dei due Marò trattenuti in India da due anni e mezzo per il presunto omicidio di due pescatori indiani, ha fatto passare sotto silenzio un’altra storia di detenzione, quantomeno sospetta, di altri due connazionali, Tomaso Bruno ed Elisabetta Boncompagni, che nelle prigioni indiane ci sono da 4 anni con una condanna a 4 anni anche loro per omicidio. Solo che questa volta la vittima è un altro italiano. Ecco i fatti. Tomaso Bruno è di Albenga, Elisabetta Boncompagni è torinese. Nel 2010 intraprendono un viaggio in India insieme a Francesco Montis,sardo, fidanzato di Elisabetta. In hotel a Varanasi, dove erano di passaggio, i tre ragazzi fanno uso di droga, come verrà successivamente ammesso dallo stesso Tomaso. Francesco si sente male, i due lo portano in ospedale dove ne viene dichiarata la morte e i ragazzi sono arrestati per omicidio. I due ragazzi sono rinchiusi dal febbraio del 2010 nel carcere di Varanasi, nel nord est del subcontinente indiano, accusati di omicidio e condannati per quello che i magistrati indiani hanno considerato di un delitto passionale: Francesco era infatti il fidanzato di Elisabetta e i due, Tomaso ed Elisabetta, lo avrebbero ucciso per potere stare insieme. L’esame dell’accusa - e qui cominciano le stranezze - si basa su un’autopsia condotta da un oculista: in più, il corpo di Francesco è stato rapidamente cremato perché l’ospedale dove era conservato era invaso dai topi e questo non ha reso possibile una seconda perizia. E a nulla è valsa una lettera della madre di Francesco, che avrebbe potuto scagionare i due ragazzi, dove questa affermava che il figlio avrebbe avuto problemi di salute. Secondo la tesi degli avvocati difensori dei due ragazzi mancano tanto le prove quanto il movente, ma i giudici indiani considerano sufficiente il fatto che la ragazza dormisse con due uomini, per accreditare l’ipotesi di una relazione illecita e il conseguente delitto. Dopo i diversi tentativi di discutere l’appello, la sentenza doveva arrivare a settembre scorso e poi il 28 ottobre, ma proprio oggi si è appreso - ed è un rituale di rimando che ben conosciamo delle Corti di giustizia indiane - che l’appello sarà trattato dalla Corte Suprema indiana l’11 novembre. Stati Uniti: Nyt; Obama non permetta scappatoie su utilizzo tortura in interrogatori Tm News, 22 ottobre 2014 Quasi sei anni dopo aver vietato tortura e trattamenti crudeli negli interrogatori dei sospetti terroristi, il presidente americano Barack Obama "non dovrebbe considerare alcuna scappatoia legale che possa permettere a ufficiali americani di compierli, non importa in quale luogo". Lo afferma il New York Times in un editoriale, mentre gli Usa si presenteranno il mese prossimo al comitato delle Nazioni Unite sulla Convenzione contro la tortura. Secondo il Nyt, "sfortunatamente" la Casa Bianca sta valutando la proposta di "legali dell’esercito e dell’intelligence nell’amministrazione, che premono perché adotti una posizione in stile era Bush per cui non ci sia divieto all’uso di tortura fuori dal Paese". I legali del dipartimento di Stato, si legge, vogliono che a Ginevra gli Usa dichiarino che non adotteranno tortura o trattamenti crudeli su prigionieri in nessuna parte del mondo, incluse le carceri all’estero. Ma funzionari di esercito e intelligence sono contrari. "Una chiara posizione a Ginevra manderebbe un messaggio forte sul fatto che il trattamento umano non è solo una posizione dell’amministrazione Obama, ma piuttosto una legge permanente nazionale e internazionale", conclude il quotidiano. Stati Uniti: sarà rimpatriato detenuto saudita da 12 anni senza processo a Guantánamo Asca, 22 ottobre 2014 Sarà rimpatriato in Arabia Saudita il detenuto di Guantanamo Muhamman Murdi Issa al-Zahrani, rinchiuso senza processo da più di 12 anni nel carcere militare americano. Lo ha deciso il Periodic Review Board, il panel che periodicamente valuta la situazione dei detenuti a tempo indefinito, riferisce il New York Times. Nel prendere la decisione, il Board ha considerato la non avvalorata natura delle informazioni sul suo livello di coinvolgimento con al-Qaeda, la mancanza di attuali contatti o legami suoi o della famiglia con gli estremisti in libertà, il comportamento del detenuto. Il trasferimento è vincolato ad adeguate condizioni di sicurezza nel suo Paese. Il Board ha valutato anche il caso di un altro prigioniero di Guantánamo, il saudita Mohammad al-Rahman al-Shumrani, che resterà invece in stato di detenzione indefinita. Nel carcere restano 149 prigionieri, 80 dei quali dichiarati trasferibili. Dieci sono stati trasferiti nel 2013, uno nell’anno in corso. Iran: Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana denuncia "13 esecuzioni in un giorno" di Mahmoud Hakamian www.politicamentecorretto.com, 22 ottobre 2014 Sei detenuti sono morti nella prigione di Bandar Abbas a causa delle terribili condizioni carcerarie. Domenica 19 Ottobre 2014 gli aguzzini del regime teocratico hanno impiccato 13 detenuti, nella prigione di Ghezel Hessar a Karaj, nella prigione centrale di Tabriz e in quella di Rasht. Fardin Jaafarian, 18 anni, è stato impiccato nella prigione di Tabriz. Aveva 14 anni all’epoca del suo arresto e del suo presunto delitto. Questa criminale esecuzione viola gravemente molte convenzioni internazionali, tra cui la Convenzione sui Diritti del Bambino. Otto detenuti nella prigione di Ghezel Hessar e quattro in quella di Rasht sono stati impiccati collettivamente. Nel frattempo, almeno sei persone arrestate tra il 12 e il 17 Ottobre nelle strade di Bandar Abbas e rinchiuse nel campo di Jabal-Bor nella zona di Bissim, hanno perso la vita a causa delle atroci condizioni di questo campo di sterminio e delle disumane torture dei loro aguzzini. Questi arresti di massa vengono praticati con la scusa della lotta al narcotraffico. Dal 18 Ottobre, cinque detenuti nel braccio della morte della prigione centrale di Urumiyeh, sono stati trasferiti in isolamento in attesa di essere giustiziati. Il mullah Larijani, capo della magistratura dei mullah, parlando dei rapporti degli organismi internazionali sulle violazioni dei diritti umani in Iran ha detto: "Più attacchi subiamo per i diritti umani e più determinati diventiamo nell’eseguire le condanne" (sito web di Reporters Club legato all’Irgc - 15 Ottobre 2014). Javad Larijani, capo del cosiddetto "comitato diritti umani" della magistratura del regime, in un’intervista alla TV di stato, ha definito il curriculum di Ahmed Shaheed, Inviato Speciale delle Nazioni Unite sulla Situazione dei Diritti Umani in Iran, "vergognoso" ed ha chiesto "perché è stato nominato un Inviato Speciale per l’Iran, se l’Iran è la nazione più democratica della regione!" (sito web Tabnak - 17 Ottobre 2014). La Resistenza Iraniana sottolinea ancora una volta alla comunità internazionale che chiudere gli occhi di fronte al trend in crescita delle esecuzioni in Iran non fa altro che incoraggiare questi criminali al potere in Iran. L’unico modo di affrontare questa brutalità è adottare una politica decisa nei confronti del fascismo religioso al potere in Iran e presentare il dossier sugli abusi dei diritti umani da parte del regime, al Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Giustizia: caso Pistorius, condanna a 5 anni di carcere per omicidio colposo Reeva Agi, 22 ottobre 2014 Oscar Pistorius è stato condannato a 5 anni prigione per l’omicidio colposo della fidanzata Reeva Steenkamp il 14 febbraio 2013 per aver sparato contro la porta del bagno dove la donna si trovava credendo che si trattasse di un ladro. Il giudice ha anche condannato a tre anni per aver violato le leggi sull’uso delle armi. Dunque la giudice ha escluso tanto i servizi per la comunità che una pena prolungata, la prima perché inappropriata, la seconda perché sarebbe spietata. Nel ripercorrere tutte le fasi del processo, la giudice poco prima aveva detto che non bisogna pensare che ci sia una legge per chi è ricco e una per chi è povero e si era detta perplessa all’idea della vulnerabilità dell’atleta in carcere. A tal proposito, Masipa aveva fatto l’esempio di una donna incinta che deve andare in carcere perché condannata; e aveva sottolineato che, malgrado la vulnerabilità, un giudice ordinerebbe comunque il carcere, ma la struttura si adeguerebbe alla persona da accogliere. "Ho valutato la gravità del reato", ha spiegato la giudice, mettendo l’accento sulla "palese negligenza" dell’atleta: "Con un’arma letale, un’arma da fuoco carica, l’accusato ha sparato non una, ma quattro volte". "Il bagno era un cubicolo stretto e non c’era spazio perché chi era dietro la porta potesse fuggire". Una condanna sospesa (con l’affidamento ai servizi sociali; ndr), dunque non sarebbe "opportuna". Del resto, ha aggiunto, dare a Pistorius una corsia preferenziale darebbe un’immagine sbagliata del sistema giudiziario sudafricano e la Kgosi Mampuru Correctional Services, che è la prigione dove l’atleta potrebbe essere rinchiuso, ospita già un centinaio di detenuti disabili: "Sarebbe un giorno triste per questo Paese se si creasse l’impressione ce c’è una legge per i ricchi e famosi, e una legge per i poveri". La giudice ha parlato inoltre del suo disagio nell’aver ascoltato i testimoni, uno dopo l’altro, mettere l’accento sulla vulnerabilità di Pistorius: Sì, ha detto, è vulnerabile ma ha anche "la capacità di farvi fronte" visto che nella sua carriera è arrivato a confrontarsi con atleti normodotati. In cella a Ngosi Mampuru, che ospita già 100 disabili Il carcere in cui Oscar Pistorius sconterà la pena di 5 anni per l’omicidio colposo della fidanzata Reeva Steenkamp, il "Kgosi Mampuru correctional services", prende il nome da Kgosi Mampuru, nero africano impiccato nel carcere il 22 novembre 1883 per violenza pubblica e rivolte. Il nome è stato cambiato nel 2013. In precedenza era conosciuto semplicemente come Prigione centrale di Pretoria. Il carcere ospita circa 7.000 detenuti. Da carcere di massima sicurezza - fino alla fine dell’apartheid era il luogo ufficiale dove venivano eseguite le pene capitali - l’istituto ospita già un centinaio di disabili ed è dotato di 22 celle singole, situate nella sezione ospedaliera. Da qui, probabilmente, la scelta da parte del giudice di destinarvi Oscar Pistorius. Ai detenuti vengono offerti numerosi programmi: consulenze matrimoniali e familiari, educazione elementare e superiore, corsi di pittura, meccanica e ingegneria o di gestione delle rabbia e abuso di sostanze. Ci sono anche opportunità di lavoro nei settori tessile, nel giardinaggio o nei mobilifici. Uzbekistan: dove la tortura è la regola di Riccardo Noury Corriere della Sera, 22 ottobre 2014 Pestaggi con bastoni, aste di ferro e bottiglie piene d’acqua, detenuti ammanettati ai termosifoni o appesi al soffitto con ganci, asfissiati con buste di plastica o maschere antigas senza areazione; aghi infilati sotto le unghie delle dita di mani e piedi; scariche elettriche; getti d’acqua gelida; stupri e altre forme di violenza sessuale contro donne e uomini. Questa è la tortura, dilagante e incontrollata, praticata in Uzbekistan contro centinaia di persone ogni anno, al momento dell’arresto, durante i trasferimenti, quando sono in attesa del processo e nei centri di detenzione. L’aveva già denunciata, 10 anni fa, l’ambasciatore britannico in quel paese, che per questo perse il posto. Gli ex detenuti descrivono un quadro straziante delle condizioni di isolamento carcerario. Nelle piccole celle di cemento spesso non ci sono finestre né areazione. D’inverno, quando le temperature scendono sotto lo zero, non c’è riscaldamento. D’estate le celle sono soffocanti. Spesso non c’è spazio per il letto quindi ai detenuti viene portata una brandina stretta solo per la notte che viene poi tolta il mattino seguente. Durante il giorno, quindi, i detenuti devono accovacciarsi o sedersi sul pavimento di cemento. Ieri, nell’ambito della campagna mondiale "Stop alla tortura" gli attivisti di Amnesty International in Austria, Belgio, Francia, Germania, Irlanda, Italia, Lettonia, Polonia, Regno Unito, Spagna e Svizzera hanno manifestato di fronte alle ambasciate dell’Uzbekistan (e a Roma anche al Circo Massimo) innalzando cartelloni con le scritte "Basta segreti e bugie. Stop alla tortura in Uzbekistan" e per chiedere il rilascio di Dilorom Abdukadirova, una prigioniera di coscienza condannata a 18 anni, in carcere nel 2010 per aver preso parte, cinque anni prima, alle proteste di Andijan in favore di migliori condizioni economiche, che le forze di sicurezza repressero con centinaia di morti, per lo più manifestanti pacifici. L’Uzbekistan – un paese retto da una piccola élite, con al centro la famiglia presidenziale, che controlla le importanti riserve di oro, uranio e rame del paese e presiede l’industria miliardaria di cotone – non dispone di un meccanismo indipendente di controllo delle carceri e le organizzazioni internazionali per i diritti umani non possono entrare nel paese. I difensori dei diritti umani, giornalisti e attivisti della società civile sono costantemente vessati e controllati dai funzionari di sicurezza. Le comunicazioni sono intercettate, le manifestazioni pacifiche e gli incontri con i diplomatici vengono ostacolati. Gli attivisti vengono picchiati dalla polizia e dagli agenti dei servizi segreti. I loro familiari e conoscenti sono costantemente minacciati di rappresaglie. Per denunciare l’uso della tortura in Uzbekistan e chiedere all’Italia e all’Europa di sollevare il problema nelle relazioni bilaterali col paese centroasiatico, è in questi giorni a Roma Nadejda Atayeva, in esilio in Francia, presidente dell’associazione Human Rigths for Central Asia. Oggi, Nadejda Atayeva sarà ospite a partire dalle 18 di una video-chat di Amnesty International, mentre venerdi 24 alle 17.30 prenderà parte a una conferenza sulla tortura alla libreria Fandango Incontro in via dei Prefetti 22. Siria: donna lapidata dai guerriglieri e dal padre di Valerio Sofia Il Garantista, 22 ottobre 2014 Lo Stato islamico continua la sua propaganda tramite video. Le immagini che stanno facendo il giro del web mostrano la lapidazione di una donna accusata di adulterio a Hama, nella Siria centrale. Ad aggiungere orrore all’orrore ad eseguire la condanna a morte con alcuni militanti dell’Is è il padre della vittima. La violenza dello Stato Islamico continua ad espandersi fuori dai confini del Medio Oriente e raggiunge un Paese occidentale, americano: il Canada. Si materializza una delle paure che caratterizza la lotta al terrorismo 2.0: l’azione di soggetti isolati esaltati dall’esempio che viene da Siria e Iraq. Paesi dove peraltro la violenza non accenna a diminuire, e anzi mentre si riaccendono diversi focolai di guerra, lo stesso Isis si vanta delle proprie imprese diffondendo il video di una lapidazione. In un parcheggio vicino Montreal, in Quebec, un uomo si è lanciato con la sua auto contro due militari canadesi e uno dei due soldati è morto per le ferite riportate. Ucciso anche il responsabile raggiunto dagli spari della polizia al termine di una caccia all’uomo. La pista seguita è quella terroristica. L’uomo di 25 anni sarebbe stato influenzato da islamisti radicali, "era noto alle autorità federali" che "erano preoccupate della sua radicalizzazione". I vicini di casa di Rouleau raccontano che si era convertito all’islam poco più di un anno fa, che aveva smesso di indossare i jeans per portare una tunica e che nell’ultimo anno era cambiato e stava molto solo. Lo Stato islamico continua intanto la sua propaganda tramite video. Uno si richiama appunto a quella retorica del terrore che caratterizza i jihadisti radicali. Le immagini che stanno facendo il giro del web mostrano la lapidazione di una donna accusata di adulterio a Hama, nella Siria centrale. Ad aggiungere orrore all’orrore ad eseguire la condanna a morte con alcuni militanti dell’Is è il padre della vittima. Un uomo spiega come quello della donna sia "il primo caso di zinà (relazione extraconiugale) nell’area". L’anziano al fianco del jihadista e che viene indicato come il padre della vittima si rivolge con durezza alla donna: "Io non ti perdono. Forse Dio ti perdonerà, io no". "Questo è un messaggio per tutti i musulmani. Non lasciate le vostre donne sole se non per il periodo legale stabilito. Non potete lasciarle sole per anni perché le donne vengono istigate dal diavolo", conclude il jihadista. In un altro video i miliziani dello Stato islamico si vantano di essersi impossessati di alcune delle armi e delle munizioni paracadutate dall’esercito americano per i curdi assediati nella città siriana di Kobane. Questo sarebbe stato possibile perché i jihadisti controllano ancora vaste zone nel nord della Siria e non retrocedono dall’assedio del caposaldo curdo. Secondo l’Osservatorio siriano dei diritti umani lo Stato Islamico sta avanzando in Siria e ha conquistato larghe porzioni di territorio a est di Deir Ezzor. Nella battaglia, che si aggiunge a quella in corso a Kobane, ci sono state perdite umane consistenti da entrambe le parti, ma l’Isis ne starebbe uscendo rafforzando il controllo su vaste aree a nord di Damasco. A Kobane la battaglia si è violentemente riaccesa, e dopo che per qualche giorno raid alleati e combattenti curdi avevano ripreso l’iniziativa respingendo i miliziani islamisti, ieri i jihadisti hanno sferrato una nuova offensiva contro la città al confine con la Turchia sotto assedio da ormai un mese. Tra le sue tattiche, lo Stato islamico ha fatto esplodere due autobomba nella zona nord di Kobane e hanno lanciato razzi sulla città, dove proseguono gli scontri. Anche a Baghdad la situazione è assai complessa, e la violenza settaria non risparmia la capitale irachena. Un’ondata di attacchi terroristici ha provocato almeno 30 morti e 57 feriti. L’attentato con il maggior numero di vittime ha colpito il ristorante Habaybina nel quartiere a maggioranza sciita di Talibiya. Sempre un’area sciita è stata colpita da un attacco precedente, quando una bomba era saltata in aria in un mercato all’aperto nel quartiere meridionale di Abu Dashir. Gli attentati non sono stati rivendicati, ma hanno tutte le caratteristiche degli attacchi dell’Isis. Intanto ieri un raid delle forze aeree della coalizione internazionale ha colpito i miliziani dello Stato islamico presenti a un raduno nei pressi della Diga di Mosul. L’attacco, condotto da elicotteri e caccia della coalizione, si sarebbe basato su "accurate informazioni fornite dall’intelligence" e avrebbe portato all’uccisione e al ferimento di molti degli individui presenti al raduno, probabilmente impegnati nella pianificazione di un attacco. Tajikistan: stop al rilascio anticipato dei detenuti per reati di corruzione www.agccommunication.eu, 22 ottobre 2014 Il Governo tagiko e la società civile oggi devono assolutamente prendere provvedimenti e misure efficaci per combattere le pratiche di corruzione di alcuni funzionari di polizia. A dirlo è stato secondo Shokirjon Khakimov, leader del partito Socialdemocratico tajiko. Secondo il politico, la prassi vuole che in attuazione delle leggi "On Amnesty" annuali in Tagikistan, alcuni funzionari di polizia sono responsabili "per il rilascio anticipato dei condannati" che commettono reati di corruzione. "Tenendo conto che la situazione socio-economica in Tagikistan, è ancora tesa, il presidente e il parlamento della repubblica devono pensare all’adozione annuale della legge On Amnesty, senza attendere oltre" ha detto Khakimov. Secondo Khakimov, numerosi problemi sociali della vita quotidiana in carcere in Tagikistan costringono le autorità a dichiarare il condono certo numero annuo di cittadini che violano le leggi. Lunedì scorso il presidente del Tagikistan Emomali Rahmon alla vigilia del 20° anniversario dell’adozione della Costituzione ha presentato il progetto di legge Majlisi Oli "On Amnesty". L’esame della camera bassa del disegno di legge del capo di stato sarà in lettura per 29 ottobre. Nord Corea: cittadino statunitense Jeffrey Fowle rilasciato dopo 5 mesi di carcere Adnkronos, 22 ottobre 2014 Jeffrey Fowle, uno dei tre cittadini americani detenuti in Corea del nord, è stato rilasciato. Fowle, ha confermato la portavoce del Dipartimento di stato di Washington, Marie Harf, sta già facendo rientro a casa. La portavoce ha precisato che gli Stati Uniti sono impegnati a cercare di ottenere la liberazione degli altri due cittadini statunitensi, Matthew Miller e Kenneth Bae, tuttora detenuti in Corea del nord. Fowle, 56 anni, era entrato nel paese il 29 aprile scorso ed era stato arrestato nel mese di giugno mentre cercava di uscirne. Era stato accusato di reati contro lo stato. All’uomo era stato rimproverato tra l’altro di aver lasciato una Bibbia in un ristorante della città settentrionale di Chongjin anche se la famiglia ha sempre contestato il fatto che lui si trovasse li per una missione religiosa. Nel mese di agosto l’uomo aveva lanciato un appello con l’altro detenuto, Matthew Miller, chiedendo aiuto al governo americano perché garantisse il loro rilascio. Miller è stato successivamente condannato a sei anni di lavori forzati per aver commesso ‘atti ostili’. Harf ha ringraziato la Svezia, che rappresenta gli interessi americani in Corea del nord, per i suoi "instancabili sforzi".