Giustizia: Dap, il conto salato del mancato ministro di Stefano Anastasia Il Manifesto, 1 ottobre 2014 La concorrenza surreale tra Gratteri a Palazzo Chigi e Orlando al Ministero della Giustizia sulle due ipotesi di riassetto del Ministero e dell’amministrazione penitenziaria. Se si tratta di un risarcimento per il millantato credito nella formazione del Governo, bisogna far sapere a Matteo Renzi che l’indennizzo che sta pagando a Nicola Gratteri è decisamente sproporzionato alla frustrazione che il magistrato calabrese può aver subito dalla mancata nomina a Ministro della giustizia. Lasciamo per un momento da parte il metodo (su cui ha richiamato l’attenzione Lirio Abbate su L’Espresso ancora in edicola e ieri il manifesto), e la surreale concorrenza di due ipotesi di riassetto del Ministero della Giustizia e dell’amministrazione penitenziaria, una maturata istituzionalmente nelle stanze di via Arenula e dovuta alla spending review del Governo Monti, l’altra in corso di elaborazione a Palazzo Chigi sotto la regia del procuratore Gratteri. Stiamo al merito della proposta Gratteri e a quel che se ne sa. L’Amministrazione penitenziaria (un Dipartimento con circa 50.000 dipendenti, mica l’Anti-droga, che ne avrà sì e no una ventina) verrebbe abolito e sostituito da non si sa cosa. Certamente non verrebbe abolita la polizia penitenziaria che, invece, con un più ambizioso nome ("polizia della giustizia") amplierebbe le sue competenze, dall’esecuzione degli ordini di reclusione alla ricerca dei latitanti, dal controllo dell’esecuzione penale esterna (detenzione domiciliare in primis) alla protezione dei collaboratori di giustizia e - già che ci siamo - anche dei tribunali e dei singoli magistrati. Ai commissari della polizia penitenziaria andrebbe poi la responsabilità diretta e formale degli istituti penitenziari, che verrebbero abbandonati progressivamente dagli attuali dirigenti "civili", incanalati in un ruolo professionale a esaurimento. Nonostante l’ottima preparazione di alcuni dei giovani dirigenti della Polizia penitenziaria, finirebbe così definitivamente la mitologia del direttore dal volto umano, il Brubacker di Robert Redford, e il carcere tornerebbe a essere innanzitutto un luogo di reclusione e di sicurezza, a scapito di ogni promessa di trattamento e di rieducazione. Nessuna notizia delle altre figure professionali penitenziarie, dagli educatori agli assistenti sociali (di cui, scoprendo l’acqua calda, si dice che debbano occuparsi del reinserimento dei detenuti negli uffici di probation: ciò che già fanno), agli esperti (psicologi e criminologi) già sottoposti a turn over forzato dalle amministrazioni che si sono succedute negli ultimi due anni. In questo modo, attraverso la "messa in sicurezza" del carcere e delle misure alternative, "con pochi accorgimenti tecnologici e impiegando i nuovi agenti, si potrebbero avere in esecuzione pena fuori dal carcere 200 mila persone", non si sa se e di quanto riducendo i detenuti. Dopo il disincantato realismo immobiliare di Franco Ionta, che pensava di affrontare il sovraffollamento penitenziario aumentando la capienza del sistema fino a 70mila posti letto (la storia ha poi dimostrato che si potevano diminuire i detenuti e il coraggio potrebbe fare anche di più), siamo ora all’utopia negativa del raddoppio della popolazione in esecuzione penale, dagli 80-100mila degli ultimi dieci-quindici anni, ai 200-250mila del progetto Gratteri: un popolo di santi, poeti, navigatori… e malfattori in esecuzione penale. Non sorprende questa proposta. Qualcosa era stato anticipato in un’audizione sul 41bis presso la Commissione diritti umani del Senato dove Gratteri rappresentò le sue idee sul carcere, già ampiamente criticate su queste pagine da Franco Corleone ("Il carcere del lavoro forzato", 18 giugno 2014). Ma ora siamo alla prefigurazione di un sistema penitenziario di tipo nuovo, la cui compatibilità con i principi costituzionali in materia di pena è tutta da verificare. Un conto davvero troppo salato per l’incauta promessa di un posto da ministro. Giustizia: i risarcimenti ai detenuti sono un fallimento, porteremo le prove a Strasburgo www.radicali.it, 1 ottobre 2014 Ieri sera a Radio Carcere (la trasmissione condotta da Riccardo Arena su Radio Radicale) la Segretaria di Radicali Italiani, Rita Bernardini, ha parlato dello stop ai ricorsi pronunciato dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per violazione dell’art. 3 della Convenzione (trattamenti inumani e degradanti). Secondo quanto riportato dalle agenzie di stampa, la Corte Edu nel respingere 19 ricorsi provenienti dall’Italia, ha dichiarato di "non avere prove per ritenere che il rimedio preventivo e quello compensativo introdotti dal governo con i decreti legge 146/2013 e 92/2014, non funzionino". La Corte di Strasburgo ha inoltre deciso di mettere uno stop anche ai quasi 4.000 ricorsi ricevuti in questi anni dai detenuti delle carceri italiane. "Come abbiamo già documentato al Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa con il nostro dossier del 22 maggio (non consegnato per tempo ai delegati dalla burocrazia europea) - ha dichiarato la Segretaria di Radicali italiani, Rita Bernardini - proveremo che i rimedi previsti dal Governo italiano non solo sono umilianti per chi ha subito trattamenti equiparabili alla tortura, ma nemmeno funzionano per come è organizzata oggi la Magistratura di sorveglianza, inadeguata persino a rispondere alle istanze di ordinaria amministrazione avanzate dalla popolazione detenuta. Toccherà ancora una volta a noi e alle associazioni del mondo penitenziario armarsi di nonviolenza e di molta precisione e pazienza per impedire che la "peste italiana" della negazione di diritti umani fondamentali si diffonda anche in Europa. Lo faremo con i detenuti e le loro famiglie". Giustizia: "Protocollo farfalla", gli 007 finti avvocati dal boss in cella di Salvo Palazzolo La Repubblica, 1 ottobre 2014 Protocollo Farfalla, nuovi retroscena sugli incontri degli uomini dell’Aisi con il capo mandamento di Bagheria. Due agenti segreti nel mirino: si spacciavano per legali. Il fascicolo per falso ideologico entra nell’indagine sulla "trattativa" Stato-mafia. Due agenti segreti dell’Aisi si fingevano avvocati per incontrare in carcere un confidente davvero particolare, il capomafia di Bagheria Sergio Flamia. Un comportamento che la procura di Palermo ritiene illegittimo. Ecco perché l’inchiesta sugli 007 ha già un’ipotesi di reato ben precisa, "falso ideologico". E al vaglio dei pm c’è proprio la posizione dei due agenti, che hanno operato fra il 2008 e il 2012. L’inchiesta è quella sul "Protocollo Farfalla", il patto stipulato nel 2004 fra i vertici dei Servizi, all’epoca c’era il Sisde diretto da Mario Mori, e il dipartimento delle carceri, che avevano come obiettivo (questo dichiaravano) la gestione di alcuni confidenti al 41 bis. Da qualche giorno, gli accertamenti sul "Protocollo Farfalla" e sulle visite degli 007 nelle carceri fanno ufficialmente parte dell’inchiesta bis sulla trattativa Stato-mafia. I pm Di Matteo, Tartaglia, Del Bene e Teresi ipotizzano infatti che durante quegli incontri segreti in carcere fra agenti e capimafia possa essersi consumato un dialogo dai contorni poco chiari. Il vice presidente della commissione antimafia Claudio Fava avanza l’ipotesi che il "Protocollo Farfalla" sia servito "a sapere per tempo chi intendeva collaborare, e forse a organizzare qualche depistaggio". Di certo, non si è mai saputo cosa hanno rivelato ai servizi segreti gli otto capimafia che nel 2004 avevano accettato di fare da confidenti. "Troppe notizie sono state negate alla commissione antimafia". Fava parla di una "Gladio nelle carceri" e denuncia: "Mentre certamente i magistrati non erano stati informati, ho ragione di pensare che sia stato ben informato il presidente del consiglio dell’epoca, Silvio Berlusconi". Del "Protocollo Farfalla" parla anche Salvatore Riina durante le sue passeggiate in carcere. Il 9 settembre dell’anno scorso, è il suo compagno dell’ora d’aria, il pugliese Alberto Lorusso, a introdurre il tema: "Alla televisione disse che c’è stato un patto". Riina coglie al volo: "Questa è la figlia di quello che hanno ucciso a Barcellona". Il riferimento è a Sonia Alfano, la figlia del giornalista assassinato nel 1993, ex presidente della commissione parlamentare europea. Le intercettazioni di Riina sono state depositate a luglio al processo trattativa. Dice Lorusso, che sembra informatissimo: "C’è uno scontro, una guerra tra la procura e i servizi, questo coso si chiama protocollo farfalla, una cosa segreta che ci sono 200 dei servizi che tengono i detenuti per fare in modo che non escono le notizie perché vanno alla procura. L’ha detto questa Alfano". Riina risponde in maniera sibillina: "I servizi segreti hanno spalle ovunque, ne hanno avuto assai informazioni". E fa un riferimento che resta poco chiaro: "Perciò, questo colloquio quando diciamo che lo facciamo...". A qualche colloquio fa riferimento Riina? Poi, iniziano a parlare di donne. Il capo di Cosa nostra accenna a sua moglie, "è stata previdente". Lui, invece, si vanta di essere "un uomo di scienza". E parla di regali: "Perché io facevo preparare i cioccolatini". Parole poco chiare, ma comunque inquietanti, che sono state oggetto di una riunione del comitato per l’ordine e la sicurezza presieduto dal prefetto di Palermo. "Quelli di Riina sono riferimenti pericolosissimi contro Sonia Alfano", dice il senatore Giuseppe Lumia. Sonia Alfano si dice preoccupata: "La mia colpa è aver parlato del protocollo Farfalla". E si chiede perché queste parole di Riina non siano state segnalate al Viminale. Fava (Ld): il Protocollo farfalla era una sorta di Gladio (Ansa) Il cosiddetto Protocollo farfalla era "una sorta di Gladio delle carceri che ha avuto la funzioni di fare intelligence, di raccogliere informazioni, non si sa che tipo di informazioni siano state raccolte né che uso ne sia stato fatto, n a cosa sia servito esattamente questo protocollo che certo ha gestito una decina serie di detenuti, tutti capimafia, nessuno collaboratore di giustizia". Il vicepresidente della Commissione parlamentare Antimafia, Claudio Fava, deputato di Libertà e diritti, ha oggi espresso la propria "forte preoccupazione maturata sulla vicenda dell’operazione farfalla". "Pensiamo - ha spiegato - che sarebbe stato dovere dell’allora direttore del Dap e dei vertici del Sisde mettere al corrente anche l’autorità giudiziaria mentre nulla sia è saputo, è stata negata esistenza del protocollo ed è grave che questi detenuti siano stati gestiti e pagati nell’ignoranza totale da parte di tutti i magistrati che su di essi indagavano". Il dubbio, per Fava, è che l’operazione farfalla sia servita "a capire chi intendeva collaborare, cosa voleva dire, e forse a organizzare qualche depistaggio". Stucchi (Copasir): su Protocollo farfalla va fatta una valutazione politica (Ansa) "Il protocollo farfalla è un modo per definire un piccolo nucleo di documenti a disposizione della Commissione Antimafia". Così il presidente del Copasir, Giacomo Stucchi, al termine dell’audizione del premier Matteo Renzi a Palazzo San Macuto, ha replicato a chi gli chiede se il cosiddetto protocollo farfalla, che sarebbe stato siglato da Servizi segreti e Dap per poter ottenere informazioni da alcuni detenuti al 41 bis, sia stato tra le questioni affrontate durante l’audizione. "Il protocollo farfalla - ha sottolineato Stucchi - rappresenta qualcosa che è successo e su cui va fatta una valutazione politica. Si tratta comunque - ha rimarcato il numero uno del Copasir - di documenti che restano classificati, sebbene non più secretati". Nel confronto con il premier Renzi "è stata fatta una panoramica completa su tematiche sia interne, sia esterne - ha concluso Stucchi. Sono state poste domande dai membri del Comitato, su alcune delle quali, nei prossimi giorni, arriveranno risposte scritte". Il giudice Sabella: con Protocollo farfalla inquinate fonti prova "Del Protocollo farfalla io ne avevo già sentito parlare diverso tempo fa: è purtroppo una delle tante operazioni mediante cui si entra all’interno delle carceri, si recuperano informazioni che in qualche modo vengono utilizzate per fini di cui l’autorità giudiziaria non è mai a conoscenza o meglio ne è a conoscenza in minima parte e solo in quella parte che chi acquisisce quell’informazione ha deciso di darti". A parlare dell’accordo segreto stipulato nel 2004 tra Dap e Sisde per ottenere informazioni da alcuni boss in carcere in 41 bis, è il giudice Alfonso Sabella, negli anni 90 pm antimafia a Palermo e poi al Dap, intervistato da "Restate scomodi" di Radio 1. Del Protocollo Farfalla - la cui esistenza è stata a lungo negata - si è tornato a parlare in questi giorni nell’ambito del processo d’appello al generale Mori. "A me - afferma Sabella - non sconvolge tanto che si paghi un informatore perché dia le informazioni ai servizi segreti o alla polizia giudiziaria. Quello che a me sconvolge è il fatto che si agisca su delle possibili potenziali fonti di prova dell’autorità giudiziaria, inquinandola alla radice, e quando anni dopo o mesi o settimane, questi boss, hanno deciso di collaborare, probabilmente non erano più le stesse fonti di prova che potevano essere in passato nel senso che le loro dichiarazioni potevano essere state inquinate pilotate, indirizzate". Giustizia: tagli Prap e riorganizzazione, rinviata riunione ministero, preoccupati sindacati Ansa, 1 ottobre 2014 Rinviato l’incontro con i Sindacati dei comparti sicurezza e polizia penitenziaria prevista oggi pomeriggio al ministero col guardasigilli Andrea Orlando: nello stesso orario, infatti, è stato posticipato il Consiglio dei ministri. Le organizzazioni sindacali erano state convocate per discutere il regolamento di organizzazione del ministero che via Arenula sta predisponendo e che incide, tra l’altro, sul Dap, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Sei sigle - Sappe, Uilpa, Sinappe, Ugl Polizia pentienziaria, Fns-Cisl, Cnpp - hanno intanto inviato al ministero un documento in cui manifestano "preoccupazione" per alcuni passaggi del piano di riorganizzazione. I sindacati rilevano "più di una perplessità" sul taglio dei posti di dirigenza generale dai 25 a 14. E rifacendosi al contenimento della spesa previsto dai vari provvedimenti di spending review che si sono succeduti (10% prima, poi un ulteriore 10% e infine a un altro 20% con possibile differimento di 2 anni), indicano in 17 il numero di direzioni a cui scendere. Critiche vengono mosse anche all’ipotesi di trasferire la direzione generale dell’esecuzione penale esterna al dipartimento per la giustizia minorile. "Forte preoccupazione", inoltre, per l’ipotesi di accorpamento dei Provveditorati regionali, che per i sindacati avrebbe "conseguenze devastanti sulla politica penitenziaria e comporterebbe uno stato di abbandono degli istituti penitenziari". Tanto più in una fase in cui si sta ancora lavorando sulle misure per contenere il sovraffollamento nelle carceri, come chiesto dalla Corte di Strasburgo. Un provvedimento che "rischia di destabilizzare un sistema di governance della sicurezza e di presidio territoriale della legalità a livello regionale", affermano i sindacati, che chiedono il mantenimento dei Provveditorati o, in seconda battuta, che vengano istituiti Presidi Territoriali nelle sedi dei Provveditorati soppressi. Fp-Cgil: Orlando convochi stati generali del settore "Circolano in questi giorni proposte informali di riorganizzazione del Ministero della Giustizia e in particolare del sistema di esecuzione della pena. Proposte alternative a quelle avanzate dall’amministrazione, per altro in assenza di un dibattito pubblico. Alcune di queste non ci piacciono. A questo punto riteniamo più appropriato convocare gli Stati Generali, come annunciato qualche settimana fa dal Ministro della Giustizia Andrea Orlando". Con queste parole Salvatore Chiaramonte, segretario nazionale Fp-Cgil, rilancia la proposta del responsabile del dicastero di Via Arenula sulla convocazione degli Stati Generali del mondo penitenziario, ovvero dell’esecuzione penale. "Una riforma così complessa - conclude Chiaramonte - non può che nascere da un dibattito tra i protagonisti del sistema Giustizia, e dal consenso degli operatori che saranno chiamati ad attuarla. Siamo convinti che il Ministro lo sappia e che terrà fede al suo impegno". Giustizia: il Viceministro Costa firma accordo Fesi per incentivi a Polizia penitenziaria Ansa, 1 ottobre 2014 Ieri mattina al Ministero della Giustizia, il Viceministro Enrico Costa, su delega del Ministro Andrea Orlando, ha sottoscritto l’Accordo sul Fondo per l’Efficienza dei Servizi Istituzionali (Fesi) del Corpo di Polizia Penitenziaria relativo al 2014, sul cui testo è stata raggiunta l’intesa con la maggioranza delle Organizzazioni Sindacali di categoria. Presenti anche il Capo di Gabinetto Giovanni Melillo, il Consigliere per le tematiche sociali e della devianza Mauro Palma, il Vice capo dipartimento vicario del Dap Luigi Pagano, il Direttore generale del personale e della formazione del Dap Riccardo Turrini Vita e il Direttore generale del personale e della formazione del Dipartimento Giustizia Minorile (Dgm) Luigi Di Mauro. Il Fesi ha lo scopo di promuovere e valorizzare la funzionalità dei servizi demandati al personale di Polizia Penitenziaria, attraverso il conferimento di incentivi economici. Le risorse del Fondo sono ripartite sulla base di parametri che considerano la presenza in servizio e l’impiego in incarichi di particolare responsabilità, che possano anche comportare rischi e disagi. L’importo complessivo, stanziato per l’anno in corso, corrisponde ad euro 30.474.323,34 per il Dap e ad euro 624.826,00 per il personale impiegato presso il Dgm. "È importante - afferma Costa - che questi fondi oggi vengano sbloccati. Non costituiscono infatti solo degli incentivi economici. Sono soprattutto un segnale del riconoscimento che lo Stato attribuisce al lavoro, complesso e in molti casi rischioso, che migliaia di uomini appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria affrontano ogni giorno". Stamani, Costa ha sottoscritto anche gli Accordi integrativi del personale dirigente del Dap, relativi al Fondo per la retribuzione di posizione e di risultato per gli anni 2010, 2011-2012, condivisi dalle Organizzazioni sindacali di categoria. Le indennità di risultato verranno ripartite sulla base della valutazione individuale espressa da un’apposita commissione. Giustizia: Corte costituzionale, lo stallo peserà nella lite di Renzi con l’Anm di Vincenzo Vitale Il Garantista, 1 ottobre 2014 Inevitabili le rimostranze del presidente Tesauro: Renzi sottovaluta l’indebolimento che potrà derivargli nei rapporti con la magistratura dall’incapacità di eleggere i due giudici mancanti. Il presidente della Corte costituzionale Giuseppe Tesauro si lamenta del fatto che dopo quattordici tentativi ancora il Parlamento non sia riuscito a trovare le maggioranze necessarie a eleggere i due giudici che mancano per colmare l’organico della Consulta, permettendole di tornare a funzionare a pieno regime. Egli teme ancora che questi indebiti e dannosi ritardi possano finire con il coinvolgere anche le scelte che invece dovrà esercitare il Capo dello Stato, al quale spetta la nomina di altri due giudici della Corte, per colmare tutte le lacune oggi esistenti. Va subito detto che il grido d’allarme di Tesauro è ben giustificato, dal momento che davvero ormai il Parlamento sembra incapace di superare lo scoglio che ha davanti, vittima di opposte fazioni che mostrano fra l’altro le difficoltà in cui si dibattono gli stessi Renzi e Berlusconi. In proposito infatti bisogna dire che sia il primo che il secondo stanno mostrando di non aver abbastanza il controllo dei propri schieramenti parlamentari, dal momento che pur in presenza di direttive precise e anche pubblicamente ostentate da parte loro, alla resa dei conti, le forze parlamentari hanno fatto di testa propria, senza preoccuparsi dei leader. Questo fatto pone un doppio problema politico. Il primo, interno a ogni singolo schieramento, ci dice che la capacità di Renzi e Berlusconi di farsi seguire dai propri parlamentari non è senza limiti, ma che anzi è forse insufficiente a risolvere i problemi del presente. E ciò per il semplice motivo che ciò che oggi ci vorrebbe per togliere l’Italia dalle secche è del tutto assente : una forte e visibile coesione fra leader, parlamentari ed elettori. Si assiste invece a uno scollamento tendenzialmente perpetuo, a una costante incapacità di compattarsi per garantire il raggiungimento del risultato, qualunque esso sia. Il secondo problema, invece, forse più delicato del primo, riguarda la pessima impressione che questa situazione di stallo è capace di produrre in sede istituzionale e, più in genere, nei rapporti con altre realtà politiche. Un Parlamento che non sia in grado di eleggere due giudici della Corte costituzionale dà infatti l’impressione di essere incapace di tradurre in decisioni istituzionalmente vincolanti e produttive di effetti i rapporti politici sui quali la sua stessa esistenza è stata edificata. Questa palese incapacità non solo indebolisce l’istituzione parlamentare agli occhi degli elettori, ma lo fa nei confronti delle altre realtà politicamente significative ed in particolare nei confronti di quella - fra di esse - che oggi più marcatamente acquista e rivendica - lo voglia o no - un ruolo politico: l’Associazione nazionale magistrati. Quando in genere la magistratura accusa la classe politica di incapacità, quando si mette in essere la funzione dì supplenza dei giudici al posto di politici e amministratori, quando si diffonde l’idea che tutto ciò che vien toccato dalla politica per ciò soltanto diventa immondo e corrotto, allora l’incapacità del Parlamento ad eleggere i due componenti della Corte rischia di sembrare qualcosa di più dì un semplice e passeggero stallo politico, uno dei tanti che costellano il panorama pubblico italiano: sembra - e forse è - una sorta di sconfitta finale, dalla quale non ci potrà riprendere se non a costo di sforzi inauditi che oggi sembrano improbabili. Ecco perché bisognerebbe evitare questo tipo di problemi, ecco perché il Parlamento dovrebbe una buona volta finirla con queste sterili contrapposizioni - buone per altri momenti storici - ed affrettarsi ad eleggere ì due componenti della Corte costituzionale. Se non altro per dar mostra di non essersi ridotto ad una pletorica assemblea di nullafacenti, buona soltanto ad eseguire gli ordini del capo quando si tratta di conservare la poltrona perché il governo ha posto la questione di fiducia, ma che invece, quando tale preoccupazione non c’è, allora ne approfitta per vendicarsi, sollecitando il riconoscimento della propria indipendenza e giocando a fare i dispetti al proprio leader. Uno spettacolo penoso: non solo una grave perdita di tempo, ma, ancor di più, una resa senza condizioni alla propria incapacità. Giustizia: Consulta, un epilogo annunciato, con buona pace della certezza del diritto di Donatella Stasio Il Sole 24 Ore, 1 ottobre 2014 Non solo ancora una fumata nera sulla Corte costituzionale ma anche la figuraccia di aver mandato al Csm una persona "ineleggibile", la professoressa napoletana Teresa Bene, in quota Pd, accreditata come candidata del guardasigilli Andrea Orlando di cui è stata consulente quand’era ministro dell’Ambiente, eletta dal Parlamento in seduta comune il 15 settembre con 486 voti ma ieri "decaduta" dall’incarico con un voto unanime del Csm. Che quindi nasce già zoppo. Il capo dello Stato Giorgio Napolitano, che ha presieduto il primo plenum del Csm, si è "rammaricato" dell’accaduto, rimproverando alle Camere, eufemisticamente, "qualche frettolosità e disattenzione". Raccontano che, a fine seduta, si sia rammaricato anche della reazione della Bene e delle sue parole ("Una decisione errata, nel merito e sul piano procedurale; infondata, strumentale, frettolosa, che lede palesemente i miei diritti di partecipazione") perché obiettivamente stonata rispetto al contesto normativo e fattuale e all’unanimità del verdetto. Ma tant’è. Lo spettacolo andato in scena nell’aula Bachelet - un Organo di rilevanza costituzionale costretto, alla sua prima seduta, a estromettere un componente per mancanza dei titoli - è più che grottesco. È mortificante. Rimanda l’immagine di una politica superficiale o, al contrario, in preda a un delirio di onnipotenza che, nell’uno e nell’altro caso, ha smarrito il senso delle istituzioni e delle responsabilità cui è chiamata. L’ineleggibilità della Bene era "citofonata", per usare un termine in voga. Era infatti più che prevedibile ma è stata ignorata. Fin da quando è stata proposta, su quella candidatura sono emersi dubbi, non legati alla persona ma alla compatibilità del suo curriculum con l’incarico al Csm. E durante le votazioni precedenti la fumata bianca, erano arrivati segnali anche da Palazzo dei Marescialli. Sarebbe bastata una seria verifica delle norme e dei precedenti per evitare quanto è poi accaduto. L’articolo 104 della Costituzione stabilisce che i membri laici del Csm debbano essere professori ordinari di Università in materie giuridiche o avvocati con 15 anni di esercizio della professione. Il 2 novembre 2011, il Csm approvò una delibera - in occasione della verifica dei titoli del professor Adalberto Albertoni, eletto dal Parlamento - in cui chiarì che non basta l’iscrizione all’Albo degli avvocati: bisogna dimostrare l’effettivo esercizio della professione (per esempio con l’iscrizione all’Albo dei Cassazionisti, che richiede 12 anni di esercizio davanti a Corti d’appello e Tribunali). Iscritta all’ordine degli avvocati di Napoli dal 1994, la Bene è stata ricercatore universitario dal 2002 e, dal 2005, professore associato. Qualifiche che, per le modalità svolte (a tempo pieno), sono incompatibili con l’esercizio dell’attività libero professionale nonché con consulenze esterne o incarichi retribuiti (articolo 11 Dpr 382/80; articolo 6 legge 240/2010). Quanto basta per cambiare cavallo. Il Parlamento, invece, l’ha eletta lo stesso. Ieri è stato ricordato che il 20 settembre la commissione del Csm ha convocato la Bene per segnalarle il "deficit" del suo curriculum e chiederle chiarimenti o integrazioni. Il 27 settembre, con una nota, lei ha spiegato di aver svolto negli ultimi 15 anni consulenze stragiudiziali ad altri colleghi avvocati a titolo gratuito e, più raramente, a pagamento. "A prescindere da ogni valutazione circa la compatibilità di tale attività con il divieto di legge", ha osservato ieri Maria Rosaria San Giorgio per conto della commissione, l’attività indicata dalla Bene manca dei requisiti di "continuità e sistematicità che connotano necessariamente l’effettivo esercizio della professione di avvocato". Di qui l’ineleggibilità, confermata anche dopo altre due note (ritenute generiche oltre che tardive) inviate via email nella tarda serata di lunedì. Un epilogo annunciato, insomma. Con buona pace di quella "certezza del diritto" troppe volte invocata a sproposito e mai troppo, invece, rispettata. Giustizia: pistole elettriche taser agli agenti e da domani il debutto delle action-cam di Eleonora Martini Il Manifesto, 1 ottobre 2014 Primo sì dalle commissioni Giustizia e Affari costituzionali della Camera. Telecamere sulla divisa e pistola elettrica Taser. Aspettando la "cura dimagrante" per i cinque corpi delle forze dell’ordine promessa da Renzi e osteggiata dai sindacati di categoria, nel frattempo ci si prepara a fornire agli agenti di polizia un nuovo armamentario. Ieri le commissioni Giustizia e Affari costituzionali della Camera hanno dato il primo via libera all’utilizzo in via sperimentale della pistola Taser che "nel Nord America (Usa e Canada) ha mietuto almeno 864 vittime dal 2001", secondo quanto denunciato da Amnesty International, approvando un emendamento del berlusconiano Gregorio Fontana al decreto legge sugli stadi. Intanto, sempre ieri, il Garante della Privacy ha dato parere positivo all’uso delle mini telecamere indossabili sulle divise degli agenti "nel corso di manifestazioni pubbliche, ma solo in caso di effettiva necessità", giusto in tempo per il vertice della Bce che si terrà domani a Napoli e per il quale è previsto l’esordio ufficiale delle action-cam, dopo mesi di sperimentazione nei dipartimenti di pubblica sicurezza di Roma, Torino, Milano e della stessa città partenopea. L’emendamento al decreto Stadi (che ora passa al vaglio dell’Aula) è stato approvato nella nuova formula voluta dal viceministro Filippo Bubbico, secondo la quale la sperimentazione della pistola Taser deve avvenire "con le necessarie cautele per la salute e l’incolumità pubblica e secondo principi di precauzione e previa intesa con il ministro della Salute". Ad opporsi, soltanto Daniele Farina (Sel) e Emanuele Cozzolino (M5S) perché, tra le altre cose, la sperimentazione di una nuova arma "non è esigenza urgente e necessaria tale da essere inserita in un decreto legge". Al contrario esultano i Funzionari di polizia (che invitano però a "impiegare già nella fase sperimentale Taser che dispongono di un sistema di videoregistrazione connesso automaticamente al loro uso, come avviene già in Francia") e il centrodestra; in particolare, manco a dirlo, il vice presidente del Senato Maurizio Gasparri. Il forzista Fontana invece quasi nicchia, intimorito dalle condizioni poste nella riformulazione di Bubbico che, dice, "c’è da augurarsi che non si trasformino in una manovra ostativa verso un’operazione di ammodernamento tecnologico", tanto più che, sostiene confutando i dati di Amnesty, "la Taser, come è noto, è un’arma di dissuasione non letale: essa produce una scarica elettrica che rende la persona colpita inoffensiva per alcuni secondi, sufficienti alle forze dell’ordine per arrestarla. Il suo utilizzo, pertanto, contribuisce sia a ridurre i rischi per l’incolumità personale degli agenti sia a ridimensionare drasticamente il numero delle vittime nelle operazioni di pubblica sicurezza, come dimostra l’esperienza di molti Paesi avanzati, tra cui gli Stati Uniti, il Regno Unito, la Francia e la Svizzera". Amnesty invece ricorda le "conseguenze mortali su soggetti con disturbi cardiaci" o in condizioni di debolezza fisica perché, al momento di essere "taserizzati", erano sotto "l’effetto di alcol o droghe" o "ancora perché sotto sforzo, ad esempio al termine di una colluttazione o di una corsa". Da domani, invece, a Napoli, si passerà alla fase due della sperimentazione delle mini telecamere che gli agenti in tenuta antisommossa applicano al gilet tattico attivandole in base alle indicazioni del funzionario di piazza. Nel suo parere, il Garante della privacy ha ricordato che le registrazioni, da effettuare solo "ove vi sia effettiva necessità in occasione di manifestazioni pubbliche", ossia "nel caso di insorgenza di concrete e reali situazioni di pericolo di turbamento dell’ordine e della sicurezza pubblica", devono rispettare i principi del Codice sul trattamento dei dati personali. Le immagini riprese, dunque, dovranno essere "pertinenti e non eccedenti rispetto alle finalità per le quali sono raccolte", "dovranno essere conservate per un periodo di tempo limitato e poi cancellate", e infine "nel caso si siano effettuate riprese in occasione di situazioni di presunto pericolo per l’ordine e la sicurezza pubblica poi non concretizzatosi, deve essere disposta la tempestiva cancellazione delle immagini". Campania: dopo le denunce di malasanità nelle carceri ripartono le visite ispettive Il Velino, 1 ottobre 2014 Nei prossimi giorni saranno effettuate due visite ispettive in altrettanti penitenziari della Campania. La mattina del 6 ottobre il consigliere regionale Corrado Gabriele e il radicale Luigi Mazzotta, condurranno un’ispezione a Poggioreale. Focus delle visite sarà il monitoraggio e la denuncia di nuovi casi di malati gravi non curati in carcere. Per il tandem Gabriele-Mazzotta si tratta di un ritorno nella struttura, dopo l’ispezione condotta assieme il 21 maggio 2013 nei padiglioni Salerno e San Paolo. Continua dunque in Campania il dialogo fra due forze politiche (radicali e socialisti) che sul tema della giustizia e dei diritti civili ha già prodotto iniziative analoghe a Salerno (coi consiglieri Gennaro Mucciolo e Gennaro Oliviero assieme al radicale Donato Salzano) sfociate anche in testi normativi presentati unitariamente, come in occasione della proposta di legge per la cannabis terapeutica nella nostra regione. Prevista, ma non ancora calendarizzata, un’altra visita ispettiva che sarà condotta nel carcere salernitano di Bellizzi. In questo caso, assieme ai radicali dell’associazione Per la grande Napoli (promotori di entrambe le iniziative) per condurre la visita è annunciata la presenza di un altro politico da tempo impegnato in questo ambito come il senatore del Nuovo Centro Destra, Luigi Compagna. Quest’ultimo, raggiunto oggi al telefono dal Velino: "Mi recherò in visita al carcere di Bellizzi quanto prima - ha dichiarato - il tempo di completare alcune cose dato che sto partendo per Ginevra. Non posso ancora dire nulla su questo carcere, visto che non lo conosco ma conto di andarci entro un mesetto. Posso però dire che la situazione sanitaria nelle carceri campane è disastrosa un po’ in tutti gli istituti". Sardegna: Socialismo Diritti Riforme; a rischio l’autonomia della sede Prap di Cagliari Ristretti Orizzonti, 1 ottobre 2014 "Il Provveditorato regionale dell’amministrazione Penitenziaria della Sardegna, ubicato a Cagliari, rischia di perdere l’autonomia e di essere accorpato a quello di Lazio e Abruzzo con sede a Roma". Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione "Socialismo Diritti Riforme" con riferimento ai contenuti del "Documento di sintesi per la riorganizzazione e riduzione complessiva degli uffici dirigenziali e delle dotazioni organiche del Ministero della Giustizia" in cui viene prospettata anche la riduzione dei Prap regionali da 16 a 8. "Il progetto di accorpamento - sottolinea Caligaris - è stato proposto al Ministero della Giustizia dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria con una nota del 30 aprile scorso ed è alternativo al mantenimento di 10 Prap che invece salverebbe l’organizzazione penitenziaria nell’isola. La drastica semplificazione degli Uffici decentrati per ridurre le spese, se adottata, avrebbe ripercussioni sulla Giustizia Minorile e sugli Uffici dell’Esecuzione Penale Esterna". "Si tratterebbe - rileva la presidente di Sdr - di un’autentica mannaia per l’isola in quanto il modello interregionale determinerebbe un centralismo per tutto ciò che riguarda la vita dentro le strutture penitenziarie. Un duro colpo soprattutto in considerazione dell’insularità, un criterio che non sembra essere stato preso in alcuna considerazione". "Il progetto di ridimensionamento degli Uffici, che è attualmente in fase di elaborazione da parte di due gruppi di lavoro, approderà in un apposito decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri cui seguiranno i regolamenti attuativi. Qualora dovesse passare la linea più restrittiva, prevalendo la visione ragionieristica, la Sardegna - conclude Caligaris - vivrebbe una condizione paradossale. Risulterebbe infatti una regione con ben 12 Istituti Penitenziari, l’unica con tre Colonie Penali, senza un proprio Provveditorato". Piacenza: i Garanti visitano carcere; abbattimento numero detenuti e no sovraffollamento Ristretti Orizzonti, 1 ottobre 2014 Accompagnati dalla direttrice, Caterina Zurlo, e da personale della Polizia penitenziaria, Desi Bruno, Garante regionale delle persone private della libertà personale, e Alberto Gromi, Garante comunale di Piacenza, lo scorso 26 settembre hanno visitato la Casa circondariale piacentina. In linea con il complessivo dato regionale relativo alle presenze, si conferma l’abbattimento dei numeri e non si ravvisano profili di sovraffollamento: alla data del venerdì 26 settembre, risultano presenti 320 detenuti del circuito media sicurezza (fra questi 10 donne), di cui 216 stranieri e 149 i tossicodipendenti. Nella vecchia struttura sono collocati 235 detenuti, 85 nel nuovo padiglione (due detenuti possono lavorare all’esterno, uno è in regime di semilibertà). Risulta in aumento il numero dei condannati in via definitiva (254), e anche in ragione di ciò si avverte la carenza di un numero adeguato di professionalità con competenze giuridico-pedagogiche, che seguono direttamente il percorso trattamentale della popolazione detenuta. È intenzione dei Garanti provvedere a sollecitare gli organi competenti. Appare pienamente applicata la disposizione dipartimentale che prevede il regime "a celle aperte", con i detenuti che possono stare fuori dalla camera di pernottamento per almeno per otto ore giornaliere, e possono utilizzare gli spazi comuni presenti. Risulta perciò prioritario riempire di contenuto il tempo che i detenuti possono trascorrere al di fuori della cella con il potenziamento dell’offerta trattamentale. Diversi i progetti in cantiere, con particolare riguardo alle attività lavorative: un laboratorio per la pasta fresca negli spazi della vecchia lavanderia; la coltivazione di piante officinali; apicoltura; legatoria (negli spazi del nuovo padiglione). Il Garante di Piacenza ha informato dello stanziamento di risorse da destinare alla popolazione detenuta (circa 10.000 euro) che, per il tramite della Caritas, verranno utilizzate per finanziare il lavoro domestico interno. Grazie a un finanziamento comunale e alla collaborazione dell’Ufficio scolastico provinciale, è previsto il ripristino della palestra, con la presenza settimanale di un insegnante di educazione fisica. Nel nuovo padiglione la vigilanza è garantita da un sistema di videosorveglianza contiguo ma esterno alla sezione, con l’intervento del personale a chiamata, attraverso un citofono, del detenuto, ovvero quando se ne ravvisi l’opportunità. Nella nuova struttura esce confermata la congruità degli ambienti dal punto di vista degli spazi e della luminosità, anche con le docce nel bagno all’interno della cella. In linea con quanto previsto dalla definizione del nuovo circuito regionale, la struttura si sta caratterizzando per una importante presenza in termini numerici di detenuti sex-offender (collocati in due sezioni), mentre sono in corso di valutazione contatti per l’avvio di progetti per il trattamento e la presa in carico di autori di reati sessuali, per contrastare l’alto rischio di recidiva. È attivo, con cinque posti letto, il Reparto di osservazione psichiatrica, in grado di ospitare persone detenute in regione che necessitano di osservazione psichiatrica per una permanenza massima di trenta giorni. Sono attivi anche il corso di alfabetizzazione e la scuola media: quest’anno verrà garantita anche la terza classe della scuola professionale, consentendo l’accesso alla qualifica di operatore agroalimentare. Roma: Minnucci (Pd); interrogazione sulla vicenda denunciata da Garante detenuti Lazio Agenparl, 1 ottobre 2014 In merito alla vicenda denunciata dal Garante dei detenuti della Regione Lazio Angiolo Marroni riguardante Claudio B., detenuto italiano di 46 anni, che vede ancora oggi a distanza di mesi negata la possibilità di ricorrere a cure mediche specifiche di fisioterapia necessarie a salvaguardare l’utilizzo degli arti inferiori, abbiamo presentato un’interrogazione scritta al Ministro della Giustizia e al Ministro della Salute. Riteniamo infatti importante sapere quali iniziative il governo voglia intraprendere per consentire l’immediato invio del detenuto in una struttura carceraria adeguata e se ed in che modo si voglia intervenire per risolvere le gravi incongruenze emerse nel processo decisionale di assegnazione dei detenuti e per consentire una più efficace comunicazione tra l’amministrazione penitenziaria e quella sanitaria per scongiurare il ripetersi di casi analoghi". Così in una nota i deputati democratici Umberto Marroni ed Emiliano Minnucci. Tempio Pausania: sinergia sempre più forte tra carcere e territorio di Angelo Mavuli La Nuova Sardegna, 1 ottobre 2014 A Tempio potrebbero essere creati i presupposti per la creazione di una comunità di Giustizia riparativa. La constatazione è stata fatta nel corso di una conferenza sulla Giustizia riparativa, appunto, organizzata, (con la collaborazione fattiva della direzione del carcere di Nuchis), dal Dipartimento di Scienze Politiche, Scienze della Comunicazione e Ingegneria dell’Informazione dell’Università di Sassari, diretto dalla professoressa Patrizia Patrizi, ordinario di psicologia giuridica del Dipartimento con il suo gruppo di lavoro, coordinato dal dott. Gian Luigi Lepri. Questa volta la conferenza per la promozione della Giustizia riparativa, (dopo quella del 18 giugno nella Casa di reclusione di Nuchis), si è svolta nella sala delle conferenze del municipio. "Le finalità di queste conferenze - afferma la professoressa Patrizia Patrizi, sono la divulgazione e la promozione del "sistema", in primo luogo, ma anche la rilevazione per capire quanto l’idea di una "Giustizia riparativa" sia capace di attecchire e di essere attuata". All’incontro nel palazzo comunale erano presenti insieme ai partner del progetto rappresentati delle istituzioni locali quali la magistratura, le forze di polizia, il mondo della scuola, della Asl e numerosi volontari che, come singoli, o in associazione lavorano all’interno della comunità penitenziaria di Nuchis. Alla conferenza era presente anche una rappresentanza di detenuti che frequentano l’università e che hanno accettato di partecipare alle iniziative trattamentali/riparative in corso. La direttrice del carcere Carla Ciavarella, nel corso del suo intervento, ha sottolineato, fra le altre cose, come la sinergia creatasi tra carcere e territorio sia nata anche dalla disponibilità dei detenuti. "La possibilità di porre in essere pratiche riparative - ha detto la Ciavarella, è anche frutto del percorso che i detenuti con un lungo fine pena, hanno deciso di intraprendere con l’intento di riscattarsi di fronte alla società". Il prossimo appuntamento su tale argomento è fissato per il mese di novembre durante la settimana europea della giustizia riparativa, promosso dall’European Forum for Restorative Justice. L’evento prevede l’organizzazione di un pranzo riparativo per riunire intorno ad un tavolo conviviale tutte le esperienze e le idee "riparative" in cantiere per il 2015. Fano (Pu): bando comunale per operatori sociali finalizzato all’inserimento di ex detenuti www.comune.fano.pu.it, 1 ottobre 2014 Questa Amministrazione Comunale, intende procedere alla formazione di un elenco di operatori economici e/o sociali, aspiranti al convenzionamento finalizzato all’inserimento lavorativo di soggetti ex detenuti e detenuti ammessi a misure alternative alla pena detentiva. L’elenco sarà utilizzato dal Comune per promuovere l’inserimento lavorativo di n. 4 soggetti, destinatari di progetti per l’inclusione sociale già approvati dalla Regione Marche, ai sensi del sopra citato Decreto. L’inserimento lavorativo avverrà tramite assunzione o tirocinio formativo, a fronte di un riconoscimento da parte del Comune all’operatore economico e/o sociale impegnato, di un contributo in favore di ogni soggetto ospitato. La domanda dovrà pervenire all’Ufficio Protocollo del Comune di Fano entro il giorno 14 ottobre. Eventuali informazioni potranno essere richieste al Comune di Fano - Settore Politiche Sociali: Dott. Roberto Busca tel. 0721/887487 - fax 0721/887484 - roberto.busca@comune.fano.ps.it. D.ssa Cristiana Ruggeri tel.0721/887425 fax 0721/887422- cristiana.ruggeri@comune.fano.ps.it. Nuoro: Sdr; encomio direttrice di Badu e Carros a ergastolano, per aiuti dopo alluvione Ristretti Orizzonti, 1 ottobre 2014 Nuovo riconoscimento per Alessandro Bozza, l’ergastolano di Ginosa (Taranto) ideatore dei "Libri Farfalla", le originali produzioni di carta che racchiudono tra ali colorate racconti, filastrocche e novelle per bambini scritte dai detenuti dell’Alta Sicurezza. A tributargli l’encomio è stata la direttrice del carcere di Badu e Carros Carla Ciavarella per un gesto di generosità nei confronti della comunità di Onanì, duramente colpita dal nubifragio del 18 novembre 2013. Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione "Socialismo Diritti Riforme", sottolineando "l’importante ruolo della Direzione nella valorizzazione della sensibilità del cittadino privato della libertà e del significato della sua partecipazione umana al dolore della comunità nuorese". Nell’atto, che è stato trasmesso alla direzione generale dei detenuti e trattamento del Dap, al provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria e al magistrato di sorveglianza di Nuoro, si evidenzia infatti non solo la "positiva evoluzione del comportamento intramurario" ma si prende atto della volontà del detenuto di "voler sostenere la comunità di Onanì, danneggiata dall’alluvione, donando alla locale Scuola per l’infanzia il ricavato dalla vendita degli oggetti di sua realizzazione, per l’acquisto degli arredi per le aule che ospitano i piccoli alunni". "Tale scelta - si legge nel testo dell’encomio - è meritoria e apprezzabile quale segno di sensibile attenzione ai problemi della comunità esterna. Tenuto conto infine del personale impegno nel gestire la quotidianità in maniera costruttiva dedicandosi ad attività artigianali realizzando piccoli oggetti di arredo e gioco con materiali riciclati". L’encomio si aggiunge all’identico riconoscimento tributato nel 2013 al detenuto 54/enne dalla ex direttrice di Badu e Carros Patrizia Incollu, prima di lasciare la Casa Circondariale di Nuoro per assumere l’incarico a Sassari. Non è la prima volta che Bozza dimostra sensibilità. Aveva donato infatti alcuni lavori all’ Aism e Theleton e organizzato in carcere una raccolta fondi per il terremotati dell’Abruzzo. L’ergastolano ha anche conseguito a Nuoro il diploma di Liceo Scientifico. "Tante soddisfazioni - conclude la presidente di Sdr - per una persona che dimostra costantemente di avere maturato un alto senso civico e di essere cambiato profondamente". Chieti: "Sport in carcere", presentato progetto per recupero detenuti, promosso dal Coni Agi, 1 ottobre 2014 Ieri mattina, nel corso di una conferenza stampa svoltasi presso la Casa Circondariale di Chieti, è stato presentato il progetto per il recupero dei detenuti "Sport in carcere" promosso dal Coni e contestualmente è stato sottoscritto il Protocollo d’Intesa che prevede una stretta collaborazione per i prossimi 3 anni volta ad attivare, nella struttura penitenziaria, percorsi di pratica sportiva e formativa. Erano presenti il direttore della Casa Circondariale Giuseppina Ruggero, il presidente del Coni Abruzzo Enzo Imbastaro, il delegato Coni Point Chieti Gianfranco Milozzi, il funzionario giuridico - pedagogico Annamaria Raciti, il comandante Valentino di Bartolomeo, l’insegnante di educazione fisica Ennio Mariannetti e una delegazione di detenuti che parteciperanno alle attività. Il progetto "Sport in carcere" prevede una serie di interventi nelle carceri di tutta la provincia - ha spiegato Gianfranco Milozzi - e anche a Chieti abbiamo trovato la massima disponibilità del direttore che ha da subito creduto nell’iniziativa. Per la realizzazione di questo progetto ci ho messo l’anima in quanto credo fortemente nell’importanza dell’attività sportiva e dei valori di cui è portatrice. Oltre alle discipline sportive sono previste una serie di preziose attività collaterali come i corsi di primo soccorso e di corretta alimentazione". Il direttore Giuseppina Ruggero ha osservato che questo "è un progetto molto ambizioso. Lo sport ha una grande rilevanza sotto molteplici aspetti: quello della salute, e del rigore nello stile di vita molto importante soprattutto per chi ha avuto esperienze di tossicodipendenza. In carcere si è sempre fatto sport ma in maniera spontanea a dimostrazione di come l’essere umano non può non muoversi. Un bisogno che cresce in chi è costretto a vivere in uno spazio molto limitato. Il problema - ha aggiunto il direttore - riguarda gli spazi adibiti negli istituti più datati come il nostro ma ho potuto contare sul prezioso contributo del comandante Di Bartolomeo e della dottoressa Raciti che hanno saputo individuare le aree adattabili all’attività sportiva e in particolare al corpo libero e al calcio a 5. Ben vengano questo tipo di iniziative che riguardano anche l’alimentazione e guardano al benessere psico-fisico dei detenuti". "Finalmente, dopo qualche anno - spiega il presidente Imbastaro - è stato possibile attuare questa attività rivolta ai detenuti ai quali viene offerto un prezioso sostegno affinché possano avere una vita più sana. Lo sport insegna il rispetto delle regole e in un ambiente come questo è un aspetto fondamentale. Inoltre una buona condizione fisica migliora i rapporti tra le persone ed è molto importante sotto l’aspetto sanitario. Il nostro obiettivo è allargare l’iniziativa al maggior numero di carceri". Perugia: "Sbarre"… un film, il suo regista, un attore che ha imparato a recitare in cella di Fabrizio Marcucci Giornale dell’Umbria, 1 ottobre 2014 "Guagliò, si gruoss!". L’esclamazione rimbomba inaspettata. Perché le decine di detenuti di Capanne riuniti nella sala cinema del carcere erano stati fino a quel momento silenti, quasi intimiditi al cospetto di un regista come Daniele Segre e di un attore come Salvatore Striano. Avevano ancora nelle pupille le immagini di "Sbarre", il docufilm di Segre che lo staff del PerSo Festival - la rassegna di cinema sociale che ha riempito la scorsa settimana le sale perugine di Zenith, Sant’Angelo e Méliès al ritmo di quattro-cinque proiezioni al giorno - ha fatto entrare anche lì, dentro il carcere "che è parte di questa città", come ha spiegato il direttore organizzativo del festival, Marco Casodi, davanti a quel pubblico particolare. E quella porzione di città chiusa ha aperto le porte grazie alla direttrice della struttura, Bernardina Di Mario. Così è potuto accadere qualcosa di non ordinario. Così, da platea silente i detenuti hanno cominciato a parlare. Rispettosi. Emozionati. Con una voglia di lanciare messaggi nella bottiglia al mondo fuori espressa con gli occhi, prima che con le parole. "Scrivilo, scrivilo che ho mia madre e la mia compagna in carcere e che da quando me le hanno portate in questa struttura paradossalmente soffro ancora di più nel vederle", soffia all’orecchio del cronista Giuseppe prima di rientrare in cella. "Non capisco perché qui non ci fanno usare la colla, io in altre carceri ho fatto dei modellini di barche, ci passavo il tempo", rileva rassegnato uno dei più anziani, più rughe in faccia che compleanni, capelli lunghi incanutiti raccolti in un elastico e baffi alla Asterix dello stesso colore. Gli affetti, il tempo, sono non a caso due delle criticità che i detenuti del carcere di Sollicciano, dove nel 2013 è stato girato "Sbarre", hanno meglio lasciato impresse nelle interviste rilasciate a Segre che sono appena state proiettate in sala. "Guagliò, si gruoss’!". Ma l’esclamazione, e l’applauso successivo, cadono sorprendendo anche per un altro motivo. Perché sono un elogio a Striano che in quel momento non sta dicendo nulla di lusinghiero alla platea. "Il sovraffollamento, le condizioni delle carceri fanno di tutto per farvi sentire vittime. Ma ricordatevi che voi non siete in credito, siete qui per saldare un debito". Di qui il segno più tangibile che Striano ha toccato la corda giusta. Cosa relativamente facile per lui, ma non per questo scontata. Ex detenuto, mezza vita passata a cavalcare il limite che separa il legale e l’illegale; e l’altra, cominciata qualche anno fa, da attore celebrato dopo aver recitato in "Gomorra" di Matteo Garrone ed essere stato il Bruto di "Cesare deve morire" dei fratelli Taviani, Striano ha trovato proprio nell’inginocchiatoio del carcere la forza per rimettersi in piedi. Ha frequentato un corso di recitazione a Rebibbia e "lì mi è capitato - racconta davanti a quelli che un tempo sono stati suoi compagni - che mi venne dato da leggere un copione in cui era descritto un uomo immensamente migliore di me. Lì ho capito che mi stavo buttando via e che dovevo sfruttare il tempo là dentro per migliorarmi e per non tornarci più. E questo è quello che vi dico: migliorate e non entrateci più qua dentro, perché lo sappiamo tutti che non si va col sorriso a fare una rapina, a spacciare o a rubare una macchina. Allora smettiamo di farlo, sta a noi". Eccole le corde che Striano conosce e che tocca tutte le volte che può, rientrando in carcere come testimonial (per una volta questa parola vacua si riempie di senso) di un cambio possibile. Lo stesso cercato da Segre: "Io concepisco il cinema, la cultura, per cambiare le cose, il mondo; questo è il lavoro che cerco di fare", dice il regista guardando quelli che sarebbero potuti essere i protagonisti di "Sbarre". E qualcosa, forse, è cambiato in quella platea. A partire dal ragazzo che ha scandito "guagliò, si gruoss!", quasi a scuotere se stesso. A partire dall’applauso che ha scatenato. A partire da Antonio, che con la voce tremante ha rivolto domande all’autore di "Sbarre". E a partire dalla collaborazione possibile tra il carcere e il PerSo Festival. L’anno prossimo dei detenuti potrebbero essere chiamati nella giuria della manifestazione; più film potrebbero essere proiettati a Capanne. E chissà che non si riesca a mettere in piedi un laboratorio di recitazione affinché altri Striano nascano (la direttrice Di Mario dà la sua piena disponibilità) e dal carcere escano persone migliori di quelle che vi sono entrate. Col beneficio di tutti: loro che ora stanno dentro e noi che stiamo fuori. Teramo: con lo spettacolo "Il coraggio di stare" la speranza in carcere arriva danzando di Anna Fusaro Il Centro, 1 ottobre 2014 "Ho imparato a ascoltare l’arcobaleno": un’immagine poetica, uscita con voce incrinata dall’emozione dalla bocca di un uomo grande e grosso, baffi, gilet di cuoio. Un’aria da duro, se non fosse per quell’arcobaleno. Come lui anche gli altri detenuti impegnati nello spettacolo di teatrodanza "Il coraggio di stare" erano felici e commossi al termine della performance. E così i ballerini che avevano agito con loro nella sala-teatro della Casa circondariale di Castrogno, a Teramo. E gli spettatori: quelli arrivati dall’esterno e quelli arrivati dalle celle, circa 120 persone tra le rappresentazioni di sabato e domenica mattina. Tutti consapevoli di aver vissuto un momento importante, una speranza in risposta allo stigma. Non sono sfuggiti all’emozione nemmeno gli autori della performance, il regista Tommaso Serratore e il videomaker Salvatore Insana, chiamati dalla direttrice artistica di Electa Creative Arts, Eleonora Coccagna, a creare "Il coraggio di stare", spettacolo di apertura del 9° Festival Interferenze. "Questo lavoro con me stesso ha saputo risollevarmi da un periodo nero della mia vita. Pochi giorni prima di entrare qui dentro ho perso mio padre e mi ero chiuso nel buio più nero. Ballare ed esprimere le mie emozioni col corpo mi ha fatto di nuovo vedere la luce", ha commentato a fine spettacolo un detenuto. E un altro: "Nei giorni delle prove scendere qui in sala era per me staccare la spina e dimenticare dove mi trovo. In quelle ore mi sentivo libero, ero fuori di qui". E un altro ancora: "Vorrei dedicare questo spettacolo a chi crede che non esista una seconda possibilità per noi". Salvatore, Claudio, Diego, Gaetano, Marco, Achille, Raimondo hanno dato il meglio lavorando appena una settimana, 15 ore, con il regista, riuscendo a superare con curiosità e creatività l’imbarazzo di mettersi in gioco in una disciplina come il teatro danza. Nel laboratorio/residenza "Corpo pensante" hanno lavorato con giovani ballerini che si avviano al professionismo: Sara Pischedda, Teresa Morisano, Elisabetta Bonfà, Luca Castellano, Ramona Di Serafino, Mara Cibelli, Morena Antonelli. Dal laboratorio è scaturito lo spettacolo WIl coraggio di stare", ideato da Serratore ispirandosi a "Into the wild", film di Sean Penn del 2007 a sua volta tratto dal romanzo culto di John Krakauer "Nelle terre estreme", il cui protagonista cerca la felicità lasciandosi tutto alle spalle (gli spazi aperti e sconfinati del film erano proiettati sulla parete della sala-teatro). Il direttore della Casa circondariale, Stefano Liberatore, e la capoarea trattamentale Elisabetta Santolamazza hanno sottolineato: "Questa esperienza, come le altre iniziative di carattere culturale e ricreativo che ci impegniamo a realizzare, sono parte fondamentale di un percorso di riabilitazione sociale. Perché si riesca a proseguire su questa strada è necessario che i ragazzi che hanno partecipato attivamente condividano emozioni e pensieri positivi con tutti gli altri detenuti, innescando un meccanismo virtuoso". Immigrazione: Amnesty International accusa i Paesi Ue "vergognosa mancanza d’azione" di Marco Zatterin La Stampa, 1 ottobre 2014 "La linea invalicabile è "salvare le vite umane nel Mediterraneo"", attacca John Dalhuisen, responsabile di Amnesty International per l’Europa e l’Asia Centrale. Non vuol dire quale sarebbe la soluzione ideale, si ferma al "basta che lo facciano". Che sia "mantenendo Mare Nostrum o sostituendolo con un’iniziativa congiunta europea, fa poca differenza". Nell’ultimo anno sono annegati in 2500, troppi per fare marcia indietro. Per questo ha dubbi sulla nuova versione di Frontex. Arretra la frontiera del monitoraggio, "è inadeguata e insufficiente". È duro il rapporto "Vite alla deriva: rifugiati e migranti in pericolo nel Mediterraneo" pubblicato ieri dall’Ong che dal 1961 difende i diritti umani. Scodella accuse pesanti, gravi preoccupazioni, testimonianze drammatiche. Se la prende con "la vergognosa mancanza d’azione" dei paesi dell’Ue e di come questa "abbia contribuito all’aumento delle morti nel Mediterraneo". Dal 2008 a oggi, le persone che affogate mentre raggiungevano le coste meridionale europee sono state 21.344. L’intero comune di Orbassano, oppure Orvieto, per dare un’idea. A quasi un anno dalla tragedia di Lampedusa, la situazione è peggiorata. Tra l’ottobre 2013 e il settembre di quest’anno l’attività di Mare Nostrum ha salvato oltre 138 mila persone. Ma il numero dei morti aumenta: nel 2011 i decessi erano stati stimati in 1.500, sono stati 500 nel 2012, e al 15 settembre scorso erano "almeno 2.500". Il loro numero reale, avverte Amnesty "non sarà mai conosciuto, dal momento che molti sono i corpi rimasti in mare". Sono disperati in fuga. Amnesty International rileva che il 63% di tutti gli arrivi irregolari via mare in Europa riguardava persone provenienti dalla Siria, dall’Eritrea, dall’Afghanistan e dalla Somalia, "tutti Paesi dilaniati da conflitti e da dilaganti violazioni dei diritti umani". Nei primi otto mesi del 2014, il 40% delle persone giunte irregolarmente nelle nostre sponde attraverso il Mediterraneo erano eritrei (23%) e siriani (17%). "La maggioranza di chi abbandona questi Paesi fugge da persecuzioni che necessitano di protezione internazionale", si ribadisce. L’Europa sta cambiando strategia e Amnesty non pensa sia per il meglio. Il governo italiano vuole ritirare la costosa e contestata, per quanto utile, impresa Mare Nostrum. L’Europa metterà in campo Triton, il che vuol dire arretrare la linea del controllo dalle acque internazionali alla frontiera di Schengen. È "Frontex Plus", avrà fondi triplicati (3 milioni) e mezzi raddoppiati. "Siamo fortemente preoccupati - chiarisce Matteo de Bellis di Amnesty Europa -, perché un’operazione che sta funzionando ha intenzione di chiudere i battenti, mentre Triton non ha per ora i requisiti per poter far fronte alla situazione". L’idea espressa dal ministro Alfano è di asciugare gradualmente Mare Nostrum profittando dell’inverno. In primavera, ci potrebbe essere solo Triton. Assicura Dalhuisen che "il fattore di attrazione generato da Mare Nostrum è minore del fattore di spinta provocato dalle guerre a noi vicine". Siamo a un bivio terribile, afferma. Le ragioni dell’Europa saranno inversamente proporzionali al numero di vittime che avremo fra un anno, insiste. Meglio evitare la conta, tenere Triton in alto mare, lavorare sul reinsediamento, sulla revisione dei regolamenti di Dublino sulle domande d’asilo. L’alternativa sono i morti. Più di quanti sia possibile immaginare. Stati Uniti: violenze nel carcere minorile di Rikers Island, il giudice fa licenziare 6 guardie Asca, 1 ottobre 2014 Le violenze nel carcere minorile di Rikers Island, nello Stato di New York, dove spesso gli alterchi tra polizia e detenuti si risolvevano con brutali pestaggi, si sono susseguite per anni senza importanti conseguenze. Ma lunedì, con una mossa a sorpresa, un giudice amministrativo ha chiesto il licenziamento immediato per sei guardie, responsabili del pestaggio di un ragazzo, avvenuto due anni fa. Ne parla il New York Times. Quando nell’aprile del 2012 il diciassettenne Robert Hinton fu trascinato in una cella di isolamento in una sezione del carcere per detenuti con problemi mentali, ne riemerse con vistosi lividi, occhi gonfi, naso e una vertebra rotti. Esprimendosi sul caso, il giudice che ha emesso la sentenza, ritenendo i sei responsabili di uso della forza eccessivo e di menzogna alle autorità, ha commentato: Spero che questo aiuterà a rompere la morsa di silenzio e collusione che è entrata in gioco in questo incidente. A luglio lo stesso Times aveva documentato 129 casi in cui i detenuti di Rikers, molti dei quali minorenni come Hinton, erano stati vittime di pestaggio. Il caso aveva finito per coinvolgere anche le più alte cariche pubbliche, tra cui l’ex sindaco di New York Michael Bloomberg, che non avrebbe preso sufficientemente a cuore la questione. Pakistan: il Pastore Zafar Bhatti in carcere dal 2012 è vivo, ferito un altro detenuto Agenzia Fides, 1 ottobre 2014 Il Pastore protestante Zafar Bhatti, in carcere a Rawalpindi dal 2012 per presunta blasfemia, non è stato ucciso e non è nemmeno ferito, come erroneamente riportato in Pakistan nei giorni scorsi (vedi Fides 26/09/2014). Nell’attentato perpetrato da una guardia carceraria - che ha detto di aver agito per "ispirazione divina" - è stato invece gravemente ferito Muhammad Asghar, cittadino scozzese, affetto da malattia mentale e condannato a morte per blasfemia. Lo conferma all’Agenzia Fides la Commissione "Giustizia e Pace" dei Vescovi pakistani. Cecil Shane Chaudhry, Direttore esecutivo della Commissione, dichiara a Fides: "Posso confermare che alcuni membri del mio ufficio, recatisi nel carcere di Adiala, a Rawalpindi, hanno parlato con i membri della famiglia del Pastore e poi con Zafar stesso". I familiari sono indignati per come sia circolata la falsa notizia della morte. La notizia dell’omicidio di Bhatti era stata diffusa dall’Ong pakistana "Life for All" e poi ripresa da numerosi mass media-pakistani e da agenzie internazionali. Chaudhry commenta a Fides: "Posso dire che è davvero assurdo come alcune organizzazioni possano diffondere tali notizie non confermate e come alcuni mass-media riferiscano senza verificare, per essere i primi. La situazione è davvero imbarazzante e traumatica per la famiglia. Abbiamo bisogno di operatori umanitari e giornalisti più responsabili in Pakistan". L’avvocato cristiano Mushtaq Gill ribadisce a Fides che comunque "resta viva la nostra preoccupazione per incidenti come quello accaduto nella prigione di Rawalpindi e per i casi di esecuzioni extragiudiziali di imputati per blasfemia e dei loro avvocati". Egitto: condannati 68 sostenitori dei Fratelli musulmani accusati di uccisione manifestanti Aki, 1 ottobre 2014 Un tribunale del Cairo ha condannato al carcere 68 sostenitori dei Fratelli Musulmani accusati di aver preso parte alle violenze esplose lo scorso anno dopo la destituzione del presidente islamico Mohamed Morsi e di aver provocato la morte di altri manifestanti. Lo riferiscono i siti locali, spiegando che l’accusa si riferisce in particolare alla morte di 30 manifestanti al Cairo il 6 ottobre del 2013, durante scontri tra sostenitori e oppositori di Morsi. Per 63 degli imputati la condanna è a 15 anni di carcere, mentre altri cinque sono stati condannati alla detenzione per 10 anni. Dallo scorso anno, centinaia di sostenitori e attivisti dei Fratelli Musulmani sono stati processati e condannati. La Fratellanza, inoltre, è stata messa fuorilegge e la sua stessa guida suprema, Mohamed Badie, è stata condannata a morte, pena poi convertita in ergastolo. Molte organizzazioni egiziane e internazionali accusano le autorità di attuare una vera e propria rappresaglia contro gli islamici. Russia: ok Mosca a progetto Pussy Riot per sito web su carceri Tm News, 1 ottobre 2014 L’Authority per le telecomunicazioni russa Roskomnadzor ha registrato come media il progetto Mediazona, lanciato dagli ex membri della band punk Pussy Riot (Maria Alekhina e Nadezhda Tolokonnikova). Le ex Pussy Riot avevano già annunciato di aver lanciato una propria pubblicazione Internet Mediazona sulla vita in prigione. Il direttore sarebbe l’ex vice direttore di Russkaja Planeta, Sergey Smirnov. Le Pussy Riot si sono messe in luce attaccando la campagna elettorale con cui, nel 2012, il primo ministro Vladimir Putin si sarebbe assicurato la rielezione per la terza volta a presidente della Russia. Nel mese di marzo 2012, tre di loro sono state arrestate con l’accusa di "teppismo e istigazione all’odio religioso" per aver messo in scena, durante una celebrazione religiosa nella Cattedrale di Cristo Salvatore, un’esibizione non autorizzata contro Putin. Il loro caso ha attratto notevole interesse, sia in Russia, sia nella comunità internazionale, a causa dei presunti abusi a cui sarebbero state sottoposte durante la custodia, e per la minaccia incombente di una sentenza severa, fino a sette anni di detenzione, secondo le misure previste dalla leggi varate in Russia in tempi recenti rispetto ai fatti. La loro performance, tuttavia, ha guadagnato loro anche l’ostilità di una parte della società russa, che vi ha percepito un’offesa alla propria sensibilità religiosa e alle proprie tradizioni. Marocco: cinque arresti a Dakhla per proteste dopo morte detenuto Saharawi Nova, 1 ottobre 2014 La polizia marocchina ha arrestato ieri 5 persone in seguito ad alcune proteste scoppiate davanti all’ospedale militare di Dakhla. La protesta è scattata dopo che i familiari di un detenuto Saharawi si sono radunati davanti all’ospedale dove il loro congiunto era morto l’altro ieri. Si tratta di un detenuto arrestato nel 2011 a seguito di scontri scoppiati nel 2011 dopo una partita di calcio del campionato locale.