Giustizia: "Fermate Gratteri!"… ma nessuno ascolta gli avvocati di Paolo Comi Il Garantista, 17 ottobre 2014 Non tutti, pare, sono disposti ad assistere silenziosi alla controffensiva della magistratura che ha come obiettivo non solo la cancellazione della riforma della Giustizia immaginata dal ministro Orlando, ma addirittura il ripristino di un sistema giudiziario di tipo fascista, o comunque da stato totalitario. C’è un gruppetto di "resistenti" che si è radunato attorno alle Camere penali e che tenta, a fatica, di fare sentire la propria voce. Ieri la Giunta nazionale dell’Unione Camere Penali ha diffuso un comunicato di protesta, che comunque possiamo già dirvi non sarà ripreso da quasi nessun giornale nazionale, o forse proprio da nessuno. on è che noi ci divertiamo a fare i profeti, è che conosciamo un po’ questo mondo. Del resto già da un paio di mesi vi avevamo detto che la riforma della Giustizia non si sarebbe mai fatta, perché i magistrati non la vogliono, e in Italia chi conta davvero sono i magistrati: come vedete non avevamo sbagliato di molto. O meglio, avevamo sbagliato, ma per ottimismo. Eravamo convinti che l’Anm (l’associazione nazionale magistrati) si sarebbe accontentata di affondare la riforma (specie nella parte che riguarda la responsabilità civile dei giudici) sebbene la riforma Orlando sia molto all’acqua di rose e lasci sostanzialmente inalterato il potere discrezionale, quasi divino, della magistratura. Invece l’Anm voleva andare molto oltre, e ora chiede una controriforma "durissima" della giustizia che nella sostanza sacrifichi all’ideale della lotta alla criminalità, la sostanza dello Stato di diritto e soprattutto il diritto degli imputati alla difesa. Tutto questo avviene attraverso una commissione consultiva, presieduta dal dottor Gratteri - il magistrato sceriffo di Reggio Calabria che fu candidato lui stesso a fare il ministro della Giustizia, bocciato in extremis dall’intervento diretto del Presidente della Repubblica - che sta preparando un testo di riforma del tutto opposto a quello del ministro Orlando, e sul quale stanno emergendo molte indiscrezioni che fanno accapponare la pelle. Una specie di maccartismo in salsa italiana, che trasformerebbe il nostro paese in un paese situato geograficamente nell’occidente ma governato, sul piano della giustizia, come una dittatura in piena regola. I giornali non parlano di questo, probabilmente perché hanno avuto un input dalle procure. E le procure, lo sapete, essendo la principale fabbrica delle notizie, hanno un potere enorme sui giornali italiani, e già questa è una anomalia che tiene l’Italia abbastanza lontana dagli standard di libertà di stampa che vigono negli airi paesi occidentali. Ieri sul Corriere della Sera però è sfuggito un soffio di dissenso: un articolo di Bianconi, pubblicato in una pagina molto interna, nel quale il giornalista, tra le righe (non nel titolo) mette in guardia contro la mina della riforma-Gratteri. Cioè la riforma che noi, ieri, abbiamo definito la riforma "Torquemada". Il commento dei penalisti a quanto sta avvenendo, è molto duro e preoccupato. Lo trascriviamo: "Mentre è in corso un confronto, certamente vivace, a volte anche aspro, con il Ministro della Giustizia, al quale riconosciamo il merito di dialogare anche con l’Avvocatura, sulle ipotesi di riforma della giustizia penale, notizie di stampa riferiscono che la Commissione presieduta dal Dott. Nicola Gratteri avrebbe predisposto ipotesi di riforma ancora una volta parziali e settoriali, ispirate ad una logica di compressione del diritto di difesa, portato di una visione inquisitoria del processo, in aperto contrasto con i principi costituzionali". Il progetto, sottolineano i penalisti, "delinea una significativa limitazione del sistema delle impugnazioni e, per scoraggiare l’appello, si arriverebbe addirittura alla possibilità dell’aumento di pena anche nel caso di impugnazione del solo imputato. Si prevede l’estensione della condanna alle spese al difensore dell’imputato soccombente, quasi che avvocato ed assistito fossero una cosa sola". Altra proposta, aggiunge l’Ucpi, è l’estensione dell’uso della videoconferenza come forma ordinaria di partecipazione al processo da parte delle persone detenute, così rendendo l’udienza pubblica un simulacro. "Dunque una Commissione consultiva che pare scavalcare le proposte governative, evidentemente dando voce a chi considera inutile l’interlocuzione con gli avvocati e vorrebbe un processo di marca autoritaria. I principi informatori delle proposte del Dott. Gratteri sono chiari: un processo nel quale la difesa non conta, le impugnazioni sono un inutile orpello se non una perdita di tempo, dimenticando che quasi la metà delle sentenze vengono riformate in appello". Secondo la commissione Gratteri, prosegue la nota, "l’unico obiettivo è abbreviare i tempi perché tanto bastano le ipotesi accusatorie e quando la difesa immagini di esercitare fino in fondo le sue prerogative... ne paghi le spese. È molto triste essere costretti a richiamare principi fondamentali, quanto elementari, sui quali si fonda l’autonomia e l’indipendenza del difensore. È evidente - concludono i penalisti - che queste proposte mirano non a riformare i codici, ma ad operare una vera "controriforma" del giusto processo che svilisce del tutto la funzione difensiva e i diritti e le garanzie dell’imputato. Se qualcuno volesse davvero percorrere questa strada, troverà la ferma opposizione dell’Avvocatura penale". Giustizia: Ucpi; proposte Gratteri sono controriforma, i limiti al ricorso in appello non sono soluzione Asca, 17 ottobre 2014 "Mentre è in corso un confronto, certamente vivace, a volte anche aspro, con il Ministro della Giustizia, al quale riconosciamo il merito di dialogare anche con l’Avvocatura, sulle ipotesi di riforma della Giustizia penale, notizie di stampa riferiscono che la Commissione presieduta da Nicola Gratteri avrebbe predisposto ipotesi di riforma ancora una volta parziali e settoriali, ispirate ad una logica di compressione del diritto di difesa, portato di una visione inquisitoria del processo, in aperto contrasto con i principi costituzionali". Così afferma in una nota l’Unione Camere Penali. Il progetto, sottolineano i penalisti, "delinea una significativa limitazione del sistema delle impugnazioni e, per scoraggiare l’appello, si arriverebbe addirittura alla possibilità dell’aumento di pena anche nel caso di impugnazione del solo imputato. Si prevede l’estensione della condanna alle spese al difensore dell’imputato soccombente, quasi che avvocato ed assistito fossero una cosa sola". Altra proposta, aggiunge l’Ucpi, è l’estensione dell’uso della videoconferenza come forma ordinaria di partecipazione al processo da parte delle persone detenute, così "rendendo l’udienza pubblica un simulacro. Dunque una Commissione consultiva che pare scavalcare le proposte governative, evidentemente dando voce a chi considera inutile l’interlocuzione con gli avvocati e vorrebbe un processo di marca autoritaria. I principi informatori delle proposte del Dott. Gratteri sono chiari: un processo nel quale la difesa non conta, le impugnazioni sono un inutile orpello se non una perdita di tempo, dimenticando che quasi la metà delle sentenze vengono riformate in appello". Secondo la commissione Gratteri, prosegue il comunicato, l’unico obiettivo è "abbreviare i tempi perchè tanto bastano le ipotesi accusatorie e quando la difesa immagini di esercitare fino in fondo le sue prerogative… ne paghi le spese. è molto triste essere costretti a richiamare principi fondamentali, quanto elementari, sui quali si fonda l’autonomia e l’indipendenza del difensore. è evidente - concludono i penalisti - che queste proposte mirano non a riformare i codici, ma ad operare una vera controriforma del giusto processo che svilisce del tutto la funzione difensiva e i diritti e le garanzie dell’imputato. Se qualcuno volesse davvero percorrere questa strada, troverà la ferma opposizione dell’Avvocatura penale". Giustizia: se New York celebra le battaglie di Gratteri di Massimo Gaggi Corriere della Sera, 17 ottobre 2014 "L’Unione Europea non può impartire lezioni all’Italia sulla giustizia. Abbiamo processi lenti e carceri affollate, è vero, ma la nostra legislazione anticrimine è la migliore e nessuno combatte le mafie come noi. Solo a Gioia Tauro quest’anno abbiamo sequestrato tre tonnellate e mezzo di cocaina, mentre a Rotterdam, principale porta d’ingresso della droga in Europa, quasi nulla". "La Sicilia ha strutture antimafia in eccesso, mentre la Calabria è quasi disarmata nella lotta a una ‘ndrangheta ormai assai più potente e pericolosa di Cosa Nostra: serve un travaso". Una giornata diversa a New York, seguendo un italiano diverso. In Italia Nicola Gratteri è il coraggioso giudice antimafia misteriosamente scomparso dalla lista dei ministri che Matteo Renzi portò al Quirinale e il presidente della Commissione per la riforma della legislazione antimafia istituita a Palazzo Chigi. Un eroe, ma per qualcuno, forse, anche un personaggio trasformato da quasi trent’anni di vita blindata in una specie di Ufo dalle idee radicali. In America, invece, per un giorno Gratteri è solo il campione universale della lotta alla criminalità al quale la Train Foundation ha deciso di assegnare il riconoscimento più prestigioso: il Civil Courage Prize. Nel consegnarglielo durante una cerimonia al Council for Foreign Relations, Cyrus Vance Jr, capo della Procura di New York, celebra la determinazione di Gratteri con un passo di Mark Twain: "È curioso che la storia sia piena di casi di grande coraggio fisico, mentre gli esempi di coraggio morale scarseggiano". Gratteri ostenta la sua modestia contadina: racconta l’esempio del padre che lo ha spinto, da magistrato, a restare a combattere nella sua Calabria. Fa leggere ad Ariadne Platero il suo discorso in inglese nel quale racconta di 25 anni passati senza poter andare al cinema o fare un passo se non con la scorta. "Eppure mi sento libero, quando curo il mio pezzo di terra nei fine settimana, quando vado nelle scuole a spiegare ai ragazzi perché non devono cedere alla cultura mafiosa". Fine della cerimonia, è il momento degli abbracci e delle foto. Il sorriso radioso di Vance, mentre in quello di Gratteri c’è un fondo di mestizia. Comprensibile visto che il procuratore di New York non rinuncia al "lieto fine" americano spiegando che combatterà fino alla sconfitta definitiva delle organizzazioni criminali mentre il magistrato italiano sa che la sua è una battaglia senza fine perché l’istinto mafioso "sparirà solo con la fine del mondo". Giustizia: fuori dal carcere per pene ingiuste, dalla Cassazione arriva una sentenza storica di Francesco Lo Dico Il Garantista, 17 ottobre 2014 L’importante pronunciamento delle sezioni unite della Cassazione è il definitivo colpo d’ariete sferrato contro il mito dell’intangibilità della sentenza passata in giudicato. In molti, non certo sanculotti animati da spirito eversivo, attendevano l’importante svolta che invece, in punta di diritto, riconduce nell’alveo della legittimità la condanna e la pena, sottraendola a un’arbitrarietà che talvolta, in spregio dello stesso diritto, ha sacrificato sull’altare del dogmatismo la stessa nozione di giustizia. Ma non si tratta qui soltanto di inerti disquisizioni teoriche: la sentenza della Cassazione rappresenta una buona notizia per il popolo delle carceri che da anni attende giustizia. Perché mai, in nome di un fideismo granitico, un cittadino dovrebbe difatti continuare a scontare per intero la pena inflitta, se la stessa norma che lo costringe alla detenzione viene riconosciuta come incostituzionale, e dunque illegittima, e in termini ancora più chiari, ingiusta? La conquista, seppure tardiva, non può che essere accolta con favore: già nel dopoguerra, giuristi come Giovanni Leone e più tardi Franco Coppi avevano contestato il mito del giudicato. Ma come si è giunti alle preziose 43 pagine della sentenza numero 42.858 delle sezioni unite che scardina il falso mito dell’irreversibilità della sentenza? La Suprema Corte si è trovata a dover valutare nei mesi scorsi, il caso di un imputato per detenzione e spaccio di stupefacenti che era stato condannato nel 2012 a 6 anni di carcere. La pena inflitta all’uomo fu allora calcolata sulla base del divieto, introdotto nel 2005 dalla legge ex Cirielli, di dare prevalenza all’attenuante del fatto di lieve entità - che nel caso specifico era rappresentata dalla dose modesta di droga detenuta - rispetto alla recidiva. Nello stabilire la pena, in altre parole, fu determinante il fatto che il reato era stato compiuto dal soggetto più di una volta. Che la droga in possesso dell’imputato fosse molto poca, non aveva avuto insomma alcuna rilevanza nel mitigare la condanna, in quanto era vietato per legge. Ma la situazione cambia nel 2012, quando la Consulta cancella il divieto di dare precedenza all’attenuante, in caso di recidiva. Tradotto in parole povere, anche se il reato era stato già commesso dall’imputato, era ingiusto non tenere in considerazione l’attenuante, e cioè il fatto incontestabile che la droga in suo possesso fosse poca. Ed è più o meno questa la ragione, espressa certo con parole più aree, che ha spinto la Cassazione alla svolta. "Nei confronti del condannato - scrive infatti la Suprema Corte nel valutare la palese ingiustizia subita - è pertanto in atto l’esecuzione di pena potenzialmente illegittima e ingiusta, in quanto parzialmente determinata dall’applicazione di una norma di diritto penale sostanziale dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale dopo la sentenza irrevocabile e contrastante con la finalità rieducativa prevista dall’articolo 27, terzo comma, della Costituzione". E qui si giunge alla ricaduta pratica del diritto sulla vita dei cittadini, che in questo caso sono detenuti sulla scorta di una sentenza irrevocabile di condanna. Se la Consulta valuta come illegittima una norma che ha inasprito la pena inflitta all’imputato, occorre rimodulare la condanna sulla base di questa sopraggiunta illegittimità. Ancora, in soldoni: se una legge è stata valutata come ingiusta, incostituzionale, decade il suo potere, e la pena che il condannato sta scontando deve essere ricalcolata. Spetta al pm, l’obbligo di chiedere al giudice dell’esecuzione il ricalcolo della pena. Va aggiunto inoltre, che una condanna scontata sulla base di norme dichiarate illegittime non è soltanto oggettivamente sbagliata, ma lo è anche in senso soggettivo, in quanto, spiega la Cassazione, "sarà inevitabilmente avvertita come ingiusta da chi la sta subendo" poiché "imposta da un legislatore che ha violato la Costituzione". In questo passaggio è inevitabile comprendere quale sia il bersaglio grosso della Suprema Corte, e cioè la politica. I signori parlamentari, parafrasando, sono invitati a formulare leggi rispettose della Costituzione. Un ultimo chiarimento. La sentenza della Cassazione non implica che la rivalutazione di un reato in tempi successivi alla condanna debba riaprire il processo. Se il furto in appartamento viene ad esempio rimodulato con pene più lievi, per intenderci, ciò non vuol dire che la condanna di chi è già stato giudicato dovrà essere riformulata. In questo caso la definitività del giudicato resta inattaccabile. Giustizia: Sarno (Uil-Pa) chiede al Dap e al Ministro misure severe contro le aggressioni agli agenti Ansa, 17 ottobre 2014 Dal 1 gennaio 2014 a ieri gli episodi di aggressione in danno di poliziotti penitenziari, perpetrati da soggetti detenuti, sono stati 309 per un totale di circa 420 operatori feriti, di cui circa 130 che hanno riportato prognosi superiori ai 7 giorni. E di conseguenza, le giornate di assenza per malattia degli agenti derivanti dalle aggressioni ammontano a circa 1500, nel solo 2014, per un costo pari a circa 180mila euro. Sono i dati forniti dal segretario generale della Uil-Pa Penitenziari, Eugenio Sarno, che ha scritto una lettera in merito al vice capo vicario del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, Luigi Pagano, inviata anche al Ministro della Giustizia Andrea Orlando. Sottolineando che le tante aggressioni "rischiano di far fallire il nuovo progetto di sorveglianza dinamica, peraltro ancora lungi dall’essere definito compiutamente e che risulta essere residuale nella gran parte dei modelli organizzativi degli istituti penitenziari", Sarno chiede che "nei confronti dei detenuti violenti si adottino misure esemplari che, nel pieno rispetto della legge e di ogni garanzia, rendano più stringente il regime detentivo a cui devono essere sottoposti". Lettere: l’ex boss Rino Bonifacio scrive a Celentano "in carcere non c’è solo Fabrizio Corona…" Il Garantista, 17 ottobre 2014 Giusto chiedere la grazia per Fabrizio Corona, ma senza dimenticare gli altri detenuti che non hanno voce e soffrono in silenzio nelle nostre carceri. Intellettuali, giornalisti e altre personalità dovrebbero occuparsi anche dei reclusi "ignoti", invece di essere sensibili solo ai casi dei "detenuti vip". È questo il senso della lettera dell’ex detenuto Rino Bonifacio rivolta ad Adriano Celentano, promotore di un appello al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano affinché conceda la grazia a Fabrizio Corona. Rino Bonifacio ha scontato diciotto anni di galera, dopo aver vissuto nel lusso più sfrenato il suo periodo di malavita. E stato un potentissimo boss del narcotraffico internazionale di cocaina, legato ai più temibili cartelli colombiani. Un uomo dai mille volti: manager, boss, playboy, imprenditore, personaggio capace di creare e dettare tendenze, icona di stile, ha goduto della stima e del rispetto di personalità di spicco, sia nel mondo criminale che in quello dello spettacolo con il quale la sua figura è sempre stata legata a doppio filo. È stato il primo narcos a introdurre in Italia l’ecstasy, quando ancora non era considerata sostanza illecita dal nostro codice penale e, diversificando i suoi affari, fra discoteche e locali alla moda, agenzie di sicurezza e commercio di auto di lusso, è riuscito a venire a capo di un ingente patrimonio. In una sua intervista a "Il Giornale", dichiara di aver conosciuto Johnny Depp nel 1997 a Miami ove, a detta sua, si sarebbe ispirato per il film "Blown" e di aver avuto un flirt con l’attrice Emmanuelle Seigner, moglie di Roman Polanski. Bonifacio ora è libero e ha pubblicato anche un libro autobiografico, già alla seconda edizione, che si intitola "Malabellavita". Ciao Adriano, il mio nome non ti dirà nulla. Mi chiamo Rino Bonifacio e sono un ex detenuto, un detenuto di dignità che di anni di galera se n’è fatti tanti. Con tutto il rispetto per Fabrizio Corona, l’ex re dei paparazzi che ultimamente confessa la sua depressione sui giornali palesando che sta scontando la sua pena in modo dignitoso ma che vorrebbe torna re a casa, io credo che tu faccia una discriminazione invocando la grazia solo per lui. Caro Adriano, insieme a Travaglio, Fiorello e Vip che in massa chiedete la grazia, perdonatemi! La vostra è una discriminazione verso ì detenuti. Quanti giovani, italiani, rinchiusi nelle nostre carceri, sovraffollati, stipati, doloranti nelle ossa e negli affetti ci sono? Non si chiamano Fabrizio Corona. I detenuti "anonimi" non hanno le sue conoscenze mediatiche. Detenuti vessati che rimangono soggetti alla violazione dei propri diritti dettati dalla nostra orinai violata Costituzione, nonché dalle leggi della Corte Europea per i diritti umani garantiti. Nessuno di questi detenuti che hanno ricevuto pene anche inferiori a quelle comminate a Fabrizio, anche malati e quindi incompatibili con la detenzione in carcere, hanno la possibilità di veder la propria mamma invitata a qualche trasmissione tv per esternare e decantare le tante violazioni e mancanze riscontrate dal proprio figlio/a in carcere. Sì perché non dimenticate, tu Adriano e gli altri vip, che in carcere ci sono anche molte donne e molte giovani che non possono esprimere parole di aiuto al di là delle sbarre della loro cella e nemmeno prostrandosi possono ricevere una grazia, perché è come gridare al vento o come intraprendere una causa già persa in partenza come quello di richiedere un beneficio di legge. Donne, anche madri con figli in carcere in custodia con loro... rifiuti della società civile che non ha il coraggio di spendere una sola parola di pietà per il silenzio di queste anime dimenticate. Ecco perché caro Adriano, pur condividendo l’appello che hai inviato al Presidente chiedendo la grazia per Corona, ti invito a ripeterlo a nome di tutti i detenuti, che pur non avendo visibilità o popolarità come "Il re dei paparazzi", possano trovare in te un angelo che si occupi di loro e si ricordi dei loro problemi. Non tutti hanno avuto la tua fortuna di diventare da ex ragazzo della via Gluck, quel grande cantante che sei oggi. Molti detenuti che soffrono in carcere, pur conoscendoti musicalmente troverebbero conforto nel sapere che la tua voce possa spendere parole d’aiuto nei loro riguardi. Così come sarebbe bello se Travaglio, Fiorello e tutti i Vip, interventi per Fabrizio, trovassero il coraggio di spendere una parola su un termine che da circa 25 anni non è più di moda: amnistia! Un caro saluto da Rino Bonifacio. Abruzzo: il Presidente D’Alfonso e il Ministro Orlando firmano protocollo per recupero dei detenuti Dire, 17 ottobre 2014 "È fondamentale che persone che hanno conosciuto l’errore, il delitto e la pena possano avere progetti di impiego e di utilità produttiva grazie ad una attività di collaborazione tra territorio e istituzioni". Lo ha detto il presidente della Regione Abruzzo, Luciano D’Alfonso, oggi a Roma, nella sede del Ministero di Grazia e Giustizia dove è stato stipulato un protocollo operativo tra Regione Abruzzo, Provveditorato Regionale e Tribunale di Sorveglianza per sostenere misure alternative speciali e percorsi terapeutici rivolti ai detenuti con problemi di tossicodipendenza. Erano presenti il ministro della Giustizia Andrea Orlando, il presidente della Regione Abruzzo Luciano D’Alfonso, il presidente del Tribunale di sorveglianza dell’Aquila, Laura Longo e il presidente di Anci Abruzzo Luciano La Penna. Una attenzione particolare per quei soggetti che necessitano di speciali percorsi riabilitativi, rieducativi e di reinserimento sociale e lavorativo. La Regione e l’Anci, quindi, si impegnano a promuovere ed incentivare presso i Comuni della Regione la sottoscrizione di appositi accordi per il sostegno delle attività a favore dei detenuti che potranno vedere la compartecipazione del Ministero della Giustizia, anche attraverso finanziamenti della Cassa delle Ammende". "L’accordo prevede misure alternative alla detenzione attraverso azioni orientate al reinserimento della persona nel tessuto socio-economico. Il tutto avverrà anche grazie a reti di volontariato presenti sul territorio per la realizzazione, nei prossimi tre anni di esperienze progettuali di questo tipo diffuse nel territorio regionale. L’impegno è quello di sostenere progetti per l’accoglienza del detenuto nel territorio di residenza attraverso percorsi di inserimento abitativo e orientamento al lavoro, in particolare per le persone prive di risorse economiche e familiari. "Questi interventi - ha spiegato il Presidente - devono avere un effetto reale per diminuire il rischio di recidiva dei reati e per il recupero del soggetto che ha scontato una condanna penale detentiva. Per questo è fondamentale il pieno coinvolgimento delle comunità di riferimento, incrementando la collaborazione tra le Istituzioni Locali". Orlando: costruire idea diversa della pena "Costruire una idea diversa della pena per poi renderla effettivamente percorribile". È anche questa la riforma della giustizia "che non è fatta solo di norme", ma anche di contatto e collaborazione con le realtà locali e con il mondo del volontariato. È quanto ha affermato il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, che nel pomeriggio ha siglato presso la sede del dicastero di via Arenula a Roma un protocollo operativo tra il ministero della Giustizia e la Regione Abruzzo, Anci Abruzzo e Tribunale di sorveglianza dell’Aquila. A siglare l’intesa, la nona in questo senso è stato ricordato, sono stati lo stesso guardasigilli e il presidente della Regione Abruzzo Luciano D’Alfonso. L’intesa prevede di sviluppare tutte quelle realtà che consentano il reinserimento delle persone in esecuzione penale. Si tratta in particolare, è stato spiegato, di persone in condizione di tossicodipendenza che necessitano, ha ricordato il presidente D’Alfonso, "di speciali percorsi riabilitativi, rieducativi e di reinserimento sociale e lavorativo". Il protocollo d’intesa prevede, tra l’altro, di predisporre un piano di azione regionale per favorire l’applicazione delle misure alternative e consentire l’attivazione di percorsi terapeutici rivolti ai detenuti con problematiche correlate alle dipendenze patologiche. In tutto, in Abruzzo, si tratta del coinvolgimento di 200 detenuti. Al momento sono in tutto 43 coloro che sono affidati a misure alternative alla carcerazione. "Occorre - ha ribadito il ministro Orlando - procedere su questa strada collegandosi sempre più a strutture territorialmente radicate che consentano di migliorare le condizioni di esecuzione della pena, sia in carcere che con modalità alternative di pena. Un fatto questo - ha poi aggiunto - che spesso è rimasto inapplicato proprio per le difficoltà di renderlo attuabile con le entità locali". Basilicata: Uil-Pa, il 18 ottobre delegazione sindacale farà visita al penitenziario di Melfi La Prima Pagina, 17 ottobre 2014 La Uil-Pa Penitenziari rende noto che nella mattinata del prossimo 18 ottobre una delegazione capitanata dal segretario regionale aggiunto Donato Sabia farà visita all’istituto penitenziario della città federiciana per documentare, attraverso riprese video fotografiche, lo stato dei luoghi di lavoro degli operatori di Polizia Penitenziaria. "Riteniamo - dichiara Sabia - che il carcere di Melfi sia degno di attenzione, sia per la tipologia di detenuti che ospita sia per le carenze strutturali. L’iniziativa denominata "Lo scatto dentro, perché la verità venga fuori", ha già toccato più di 50 istituti penitenziari d’Italia. "La possibilità di documentare le condizioni di lavoro dei baschi blu è un obiettivo che abbiamo lungamente perseguito - afferma Eugenio Sarno segretario generale della Uil-Pa Penitenziari. Noi siamo fermamente convinti che occorre alimentare la conoscenza sociale su ciò che è realmente il carcere, senza nascondere nulla e senza nascondersi da nulla". "Il corpo di Polizia Penitenziaria - sottolinea Sabia - merita i giusti riconoscimenti per i sacrifici e la professionalità messa in atto negli ultimi anni nell’ombra, è stato un pilastro portante per la realizzazione del nuovo modello di esecuzione della pena scaturito con la sentenza Torreggiani, in modo che l’Italia non pagasse le pesanti condanne annunciate dalla Corte Europea dei Diritti Umani di Strasburgo, per trattamento inumano e degradante, in un periodo tra sovraffollamento e carenza di personale. Occorre rivedere quindi, gli organici del Corpo che sono in deficit di circa 7mila unità, rivedere anche attraverso il progetto condiviso della sorveglianza dinamica, la deresponsabilizzazione del personale e carichi di lavoro assurdi. Consegneremo ai mass-media copia di un Cd contenente il servizio viedo-fotografico effettuato durante la visita. Il tutto può essere pubblicato, considerato che abbiamo già ottenuto specifica autorizzazione". Genova: detenute protestano nel carcere di Pontedecimo, danneggiate le celle Asca, 17 ottobre 2014 A Genova le 62 detenute del carcere femminile di Pontedecimo hanno inscenato la notte scorsa una rumorosa protesta, battendo oggetti contro le inferiate delle celle, lanciandone altri nei corridoi e appiccando alcuni piccoli incendi che sono stati subito spenti dalla polizia penitenziaria. Lo ha reso noto Michele Lorenzo, segretario regionale del Sappe, sindacato autonomo di polizia penitenziaria. Per riportare la situazione alla normalità i poliziotti hanno impiegato quasi 9 ore. Secondo quanto riferito dal Sappe, durante la protesta nessuna persona sarebbe rimasta ferita ma sarebbero state danneggiate alcune celle. "Come sindacato -ha affermato Lorenzo- non siamo a conoscenza delle motivazioni della protesta ma, al di là delle motivazioni, la nostra attenzione è rivolta verso le precarie condizioni operative dei colleghi che hanno dovuto operare con difficoltà ma con professionalità per evitare ulteriori danni o pericoli alla struttura e alle persone in modo prioritario". Notte di tensione per protesta delle detenute (Comunicato Sappe) Poliziotti penitenziari alle prese con una rumorosa protesta da parte delle detenute del carcere femminile di Pontedecimo: 9 ore per riportare la situazione alla calma. Una situazione paradossale che covava ormai da qualche giorno - esordisce il Sappe il sindacato di categoria maggiormente rappresentativo - sfociata poi in questa notte di protesta da parte delle 62 recluse del carcere di Pontedecimo che hanno protestato anche in maniera rumorosa e sotto alcuni aspetti anche violenta a causa di lanci di oggetti nei corridoi e qualche piccolo principio d’incendio prontamente soffocato dal reparto della Polizia Penitenziaria di Pontedecimo che ha impiegato quasi 9 ore per ripristinare la calma senza nessun danno alle persone ma solo a qualche cella. Come sindacato non siamo a conoscenza delle motivazioni della protesta - continua il Segretario Lorenzo - ma al di la delle motivazioni la nostra attenzione è rivolta verso le precarie condizioni operative dei colleghi che hanno dovuto operare con difficoltà ma con professionalità per evitare ulteriori danni o pericoli alla struttura e persone in modo prioritario. La protesta si è concretizzata con la rumorosa "battitura" alle inferriate, tipica forma di protesta adottata dalla popolazione detenuta. Contestiamo che i nostri vertici - continua il Sappe - dimostrano una scarsa attenzione verso la sicurezza che riteniamo sia l’unico elemento indispensabile per la gestione del carcere e per la salvaguardia di tutti i ristretti. È indispensabile che i nostri vertici intervengano subito per rimuovere le cause che ingenerano questi violenti episodi e con la nuova organizzazione del Ministero, che vede cancellato il Provveditorato regionale ligure accorpato con il Piemonte, temiamo un’ulteriore disattenzione verso le problematiche penitenziarie liguri. Chiederemo subito un tavolo di confronto con i vertici ministeriali per capire e discutere la nuova organizzazione della Liguria. Concludendo il Sappe ritiene indispensabile nuove assegnazioni di poliziotte in quanto ad oggi a Pontedecimo il personale di Polizia Penitenziaria femminile è solo di 32 unità che devono garantire, oltre la sicurezza interna anche servizi esterni come piantonamenti presso gli ospedali o i servizi presso le aule di Giustizia. Reggio Emilia: botte in cella al detenuto, nove guardie sotto processo di Tiziano Soresina Gazzetta di Reggio, 17 ottobre 2014 Per il pm picchiarono il 19enne per vendicare il tentato omicidio di un poliziotto. Il giovane si è costituito parte civile insieme alla madre a cui rivelò le aggressioni. In un clima teso si è chiusa in tribunale, in poco meno di un’ora, l’udienza preliminare che ha visto sul banco degli accusati nove agenti di polizia penitenziaria: sono stati tutti rinviati a giudizio dal Gup Giovanni Ghini - come richiesto dal pm Maria Rita Pantani che ha condotto le indagini - e quindi sarà un processo ad entrare nei dettagli di una vicenda che da oltre due anni sta scuotendo l’ambiente carcerario di Reggio. Se ne riparlerà fra cinque mesi davanti al giudice Alessandra Cardarelli e sarà un processo a dir poco battagliato. Da una parte il pm Pantani che ritiene un ladro georgiano (il 21enne Guram Shatirihvilli, nel 2012 rimasto coinvolto nel tentato omicidio di un poliziotto nelle cantine del complesso residenziale di via Mantegna) al centro di un vero e proprio pestaggio all’interno del carcere della Pulce nei momenti subito successivi all’arresto. Le indagini della questura sono arrivate alla conclusione che almeno in tre occasioni (fra il 9 e il 10 luglio di due anni fa) il giovane arrestato (ai tempi 19enne) venne fatto uscire dalla cella per poi colpirlo con calci e pugni in più parti del corpo, causandogli fratture costali giudicate guaribili in oltre 40 giorni. Un pestaggio che gli inquirenti interpretano come una ritorsione nei confronti di chi tentò di uccidere un agente. Un "quadro" che ha portato il magistrato ad accusare i 9 agenti di polizia penitenziaria di lesioni pluriaggravate in concorso, con l’aggiunta di tutta una serie di aggravanti: l’aver agito per futili motivi, l’aver commesso il reato con abuso di autorità, ma anche approfittando dello stato di inferiorità della vittima che è incarcerata. Le indagini erano partite quando, in carcere, venne intercettato un colloquio fra il giovane georgiano e la madre: la Mobile cercava di "captare" i nomi dei complici sfuggiti alla cattura nel condominio residenziale di via Montagna preso di mira dalla banda di ladri georgiani, invece sentirono la donna chiedere al figlio: "Ma ti picchiano ancora?". Ieri, fra l’altro, sia Shatirishvilli che la madre si sono costituiti parte civile tramite l’avvocato modenese Fulvio Orlando: intendono chiedere i danni morali e materiali. Sull’altro fronte vi sono, compatte, le nove guardie carcerarie: Andrea Ambrogi (41 anni), Vincenzo Coccoli (40), Marco Lettieri (40), Andrea Affinito (40), Roger Farinaro (32), Pasquale Zorobbi (31), Domenico Gasparro (27), Carmine Nocera (29) e Claudio Pingiori (46). Ieri l’avvocato Liborio Cataliotti (che difende Nocera e Pingiori) ha richiesto un’integrazione probatoria, finalizzata a sentire un’altra guardia carceraria, come "mossa" indispensabile per arrivare, secondo il difensore, al proscioglimento dei suoi due assistiti. Invece gli avvocati Federico De Belvis e Donata Cappelluto hanno chiesto il non luogo a procedere ritenendo non sussistenti gli elementi per arrivare al rinvio a giudizio. Strategie difensive diverse, ma accomunate dalla ferma negazione della fondatezza delle accuse. Richieste della difesa non accolte dal giudice che ha optato per il rinvio a giudizio. Facce scure all’uscita dall’aula: erano presenti sei dei nove agenti penitenziari ora finiti sotto processo. Napoli: Fattorello (Sappe); a Poggioreale nessun pestaggio… la cella zero? La usavano 30 anni fa Il Velino, 17 ottobre 2014 Per il segretario campano del Sappe "campagna mediatica contro Poggioreale". "I pestaggi a Poggioreale da parte degli agenti penitenziari nei confronti dei detenuti non sono mai avvenuti". Lo ha detto il segretario del Sappe Campania, Emilio Fattorello. "La nostra posizione - ha aggiunto - è sempre la stessa, cioè che non è mai stata perpetrata alcuna illegalità dagli agenti penitenziari a scapito dei detenuti". Sui casi di presunti pestaggi di agenti su detenuti, talvolta anche morti per cause poco chiare e sui quali si sta interessando la magistratura, Fattorello: "Ci sono delle inchieste in corso dell’Autorità Giudiziaria - ha ricordato - ma poco prima del cambio di direzione da Teresa Abate ad Antonio Fullone c’è stata stranamente una campagna mediatica contraria all’istituto di Poggioreale". "La cella zero o doppio zero? Esisteva negli anni 80 e ne sono testimone diretto perchè all’epoca stavo proprio in quei padiglioni". Fattorello ha ammesso l’esistenza di luoghi del genere, ma ha fornito una versione diversa da quella, secondo cui, in quel luogo fossero gli agenti a picchiare i ristretti affermando che: "I detenuti ci lasciavano i cadaveri dopo accoltellamenti o regolamenti di conti e venivano compiute sevizie sessuali ai danni di altri detenuti". Quindi il segretario del Sappe Campania ha ribadito che anche durante la direzione di Teresa Abate i detenuti non sono mai stati picchiati dagli agenti, così come ciò non avviene oggi andando a contraddire quanto affermato pochi giorni fa con una lettera al "Roma", da detenuti ristretti nel Padiglione Livorno. Da più parti si è detto che a Poggioreale le condizioni di vita per detenuti e agenti sono migliorate e, secondo Fattorello, il motivo è facilmente individuabile: "La cosa davvero determinante è che Poggioreale ha 1.000 detenuti in meno. L’elemento fondamentale per tentare di migliorare la vita dei detenuti (perchè la struttura è quella e bisogna farci i conti) e dei poliziotti, è un’utenza di 1.000 detenuti in meno". "Riguardo al resto - ha concluso Fattorello con riferimento all’organizzazione lavorativa e alle vicende inerenti l’organico - abbiamo avuto un incontro preliminare con la direzione e ci rivedremo il 29 ottobre per l’organizzazione, nel dettaglio, del lavoro della Polizia Penitenziaria a Poggioreale". Milano: Fp-Cgil; sventato suicidio di un detenuto all’Istituto Penitenziario per Minori "Beccaria" www.rassegna.it, 17 ottobre 2014 "Solo il caso o la fortuna hanno voluto che lo scorso 13 ottobre ci fossero in servizio due agenti di polizia penitenziaria, quando invece quotidianamente quel posto di servizio è presidiato da una sola unità. Diversamente, forse, il sedicenne che ha tentato il suicidio all’Istituto Penitenziario per Minori di Milano non avrebbe potuto essere salvato. Il ragazzo, di nazionalità italiana, non è nuovo ad episodi di autolesionismo, tossicodipendente già seguito dal Sert. In carcere per espiare una pena per reati contro il patrimonio, è già evaso da una comunità a cui era affidato". Lo afferma la Fp-Cgil Lombardia in una nota. "Da tempo come Fp-Cgil Lombardia stigmatizziamo le condizioni di lavoro cui i poliziotti penitenziari sono oggi costretti a operare, con una grande responsabilità anche di vite umane - segnalano Natale Minchillo e Calogero Lo Presti, rispettivamente segretario e coordinatore regionali. All’Ipm di Milano c’è una cronica carenza di personale, come risultato da ultimo nell’ispezione del 25 settembre scorso. In questo difficile contesto, ripetutamente denunciato dal sindacato, gli agenti penitenziari sono riusciti ad assicurare il proprio mandato istituzionale evitando che nel nostro paese si registrasse l’ennesimo suicidio nelle carceri italiane". Padova: catturato dopo 24 ore di latitanza il detenuto evaso dal carcere di Pordenone Adnkronos, 17 ottobre 2014 Un tunisino di 28 anni, stupratore seriale, evaso ieri dal carcere di Pordenone, è stato arrestato dalla Polstrada di Padova stamattina. L’uomo, era evaso ieri dopo aver sferrato un pugno ad un agente di polizia penitenziaria addetto alla portineria. Nella notte di ieri aveva aggredito e sequestrato una donna, le aveva rubato la macchina e l’aveva portata con sè nella fuga fino a Padova. La vittima, una ragazza di 28 anni, è adesso ricoverata all’ospedale di Mirano nel veneziano per accertamenti, avrebbe subito avances sessuali da parte dell’uomo. Le ricerche dopo la fuga erano state estese a tutto il Nordest. A ritrovarlo, quasi per caso stamattina, un agende della Polstrada di Padova, fuori servizio, che aveva notato il tipo sospetto all’interno di un’auto parcheggiata nei pressi di Selvazzano, alle porte di Padova. L’agente aveva fatto subito controllare i dati dell’auto che risultava rubata, e così gli uomini della squadra mobile di Padova lo hanno subito bloccato. L’uomo ha un precedente violento proprio in città. Nel febbraio scorso aggredì e rapì un’infermiera appena uscita dall’Ospedale, sequestrandola in auto, esattamente come ha fatto la scorsa notte. L’aggressione solo per caso non finì in violenza sessuale perché arrivato a Camin aveva incrociato un’auto della polizia ed era scappato per la paura. Legata con una sciarpa e immobilizzata all’interno della sua stessa auto, l’infermiera era rimasta in balia dell’uomo per una mezz’ora. In precedenza aveva derubato e violentato due prostitute in corso Stati Uniti, e ne aveva rapinate altre due sempre in quella zona. Cagliari: la Sardegna reclama l’ex carcere di Buoncammino, gli enti locali vorrebbero utilizzarlo di Damiano Aliprandi Il Garantista, 17 ottobre 2014 Il carcere-lager di Buoncammino, nonostante la chiusura, rimane proprietà del ministero della Giustizia e rischia di riaprire per ospitare i detenuti del carcere minorile e il personale della polizia penitenziaria. La Sardegna è una regione a statuto speciale e il carcere, una volta chiuso, sarebbe dovuto restare nella disponibilità delle istituzioni locali per essere adibito ad altro. "Buoncammino, in accordo tra Regione, Comune e Università, potrebbe ospitare un albergo, spazi per gli studenti e spazi di aggregazione, attività commerciali e tanto altro ancora", spiega Massimo Zedda, sindaco di Cagliari. "Abbiamo avuto contatti con privati - continua - che prevedevano investimenti per diversi milioni di euro. Il carcere dovrà essere a disposizione della città, delle esigenze dei cittadini e della popolazione studentesca. Come Comune avevamo già preso contatto e fatto i sopralluoghi per iniziative internazionali che si sarebbero potute svolgere a Buoncammino, non appena fosse stato libero. Mi auguro che si torni indietro, siamo pronti a coinvolgere su questo argomento direttamente il presidente del Consiglio, Matteo Renzi", conclude Zedda. Le reazioni alla decisione del governo sono state dure. Il deputato Mauro Pili, del gruppo parlamentare Uni do s, ha parlato di "atto politico del governo Renzi contro la Sardegna senza precedenti" e promette di incontrare tutte le organizzazioni sindacali e politiche per "concordare un’azione per contrastare questo piano nefasto". Duri anche i gruppi consiliari del Partito Democratico e La Base, i quali chiedono che il consiglio comunale, "nel rifiuto di ogni proposta diversa dalla riqualificazione in chiave turistica e culturale dell’ormai ex carcere di Buoncammino, si impegni ad avviare una immediata interlocuzione con il Presidente del Consiglio, con il ministro della Giustizia e con il presidente della Regione, finalizzata alla immediata acquisizione del complesso edilizio al patrimonio del Comune di Cagliari". Per la Sardegna, regione dove la disoccupazione è ai massimi storici, l’ex carcere di Buoncammino potrebbe diventare un’ottima risorsa economica. Ma il governo Renzi, per adesso, non ne vuol sapere. Bologna: Uil-Pa; agente preso a testate da un giovane detenuto nel carcere minorile del Pratello www.bolognatoday.it, 17 ottobre 2014 Istituto penale minorile del Pratello: aggressione ai danni di un agente della Penitenziaria. Maldarizzi: "Voglio ricordare che il Pratello di Bologna ha problemi irrisolti da tempo". Carcere minorile del Pratello: aggredito un agente della Penitenziaria da un minorenne: "Nel primo pomeriggio un poliziotto penitenziario in servizio all’Ipm di Bologna è dovuto ricorrere alle cure dei sanitari per ferite riportate a seguito di una aggressione da parte di un minore ristretto, con una prognosi di 7 giorni. L’Agente aggredito, reo di aver aperto una porta per controllare i detenuti durante le attività pomeridiane, è stato colpito con una testata al volto che gli ha procurato la frattura del setto nasale". Così Domenico Maldarizzi, del Coordinamento Provinciale di Bologna della Uil-Pa - Penitenziari, si esprime in relazione all’ultimo episodio di cronaca che vede l’aggressione in danno di un poliziotto penitenziario presso l’Ipm di Bologna. "Voglio ricordare che il Pratello di Bologna ha problemi irrisolti da tempo - afferma il Coordinatore Provinciale della Uil Penitenziari - quali l’eterno cantiere per i lavori di ristrutturazione che rende poco sicuro il lavoro degli Agenti, l’esiguo numero di agenti deputati a garantire la sicurezza oltre alla totale assenza di un sottufficiale di Polizia Penitenziaria". "Proprio nella mattinata il nostro Segretario Generale Eugenio Sarno ha posto la questione al Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria Dr. Luigi Pagano, e di sicuro vale anche per il contingente di Polizia Penitenziaria della Giustizia Minorile, facendo notare come dal 1 gennaio 2014 a ieri gli episodi di aggressione in danno di poliziotti penitenziari, perpetrati da soggetti detenuti, assommavano a 309 per un totale di circa 420 operatori feriti, di cui circa 130 che hanno riportato prognosi superiori ai 7 giorni da tutto ciò ne consegue che le giornate di assenza per malattia della Polpen, derivanti dalle aggressioni assomma a circa 1500 (nel solo 2014 ) per un costo pari a circa 180mila euro - e, posto che ogni aggressione subita da un poliziotto penitenziario nelle prime linee delle frontiere penitenziarie è da considerarsi una aggressione allo Stato, chiosa Maldarizzi, è assolutamente necessario che nei confronti dei detenuti che si siano macchiati di tale violenza - si adottino misure esemplari, nel pieno rispetto della legge e di ogni garanzia, anche per fungere - conclude Maldarizzi - da deterrente per tali spiacevoli episodi. Lucca: quattro posti per il servizio civile con il Gruppo Volontari Carcere www.luccaindiretta.it, 17 ottobre 2014 Scadrà il 28 ottobre il termine per la presentazione delle domande per il progetto di servizio civile "Andare Oltre le Sbarre", a cura del Centro Nazionale per il Volontariato e da svolgersi presso il Gruppo Volontari Carcere. "Vuoi spendere 12 mesi in un modo diverso e interessante? - si legge nell’annuncio - Ti piacerebbe osservare da vicino una realtà di cui tanto si parla ma che pochi conoscono veramente? Partecipa anche tu come volontaria e volontario del servizio civile regionale al progetto Andare Oltre le Sbarre". Questo è il sesto progetto di servizio civile che l’associazione Gruppo Volontari Carcere andrà a realizzare e si pone in diretta continuità con quello realizzato nel 2014 Reclusi ma non Esclusi. Attraverso queste esperienze nell’arco di poco meno di un decennio ben 25 giovani hanno vissuto un anno lavorando nell’area della pena e potendo quindi sviluppare un’esperienza unica. Questo progetto offre l’occasione davvero unica di entrare in contatto con un mondo, quello del carcere e della pena, normalmente "isolato" dietro quelle sbarre fisiche e culturali che rappresentano spesso un ostacolo insormontabile all’integrazione all’interno della nostra società civile. È una terra di confine, fatta di uomini e donne, di storie, di difficoltà, di sofferenza ma anche di passione e che nella nostra città già, grazie a molteplici interventi, si sta aprendo a realtà differenti come quelle della scuola, del volontariato, del teatro e dell’arte, del lavoro. "All’interno del progetto - si legge ancora nella presentazione - si potrà optare per uno degli interventi proposti, che comprendono la presenza dentro la casa di accoglienza per detenuti ed ex-detenuti Casa San Francesco a San Pietro a Vico; i contatti con le famiglie; i colloqui in carcere; altre attività in carcere da svolgere assieme alle persone detenute o a quelle accolte presso la Casa San Francesco, quali la redazione di un giornalino, l’attività teatrale, la biblioteca, il cineforum, lo sviluppo delle attività del tempo libero; l’implementazione del nostro sito web; l’attività di informazione sul territorio; l’attività di sensibilizzazione ai temi del carcere e della pena rivolto alle scuole secondarie superiori nell’ambito dei programmi di educazione alla legalità; l’attività di accompagnamento e sostegno nella ricerca del lavoro per coloro che escono dal carcere e di supporto per chi usufruisce di borse lavoro, tirocini formativi e altro". Il servizio ha una durata di 12 mesi con il probabile inizio nel gennaio 2014 e la sede operativa è quella della Casa San Francesco, in via del Ponte, 406 a San Pietro a Vico. I volontari previsti sono 4 e dovranno superare una selezione. C’è la possibilità di usufruire del vitto nell’orario di servizio che è di 30 ore settimanali su 6 giorni. Possono accedere giovani tra i 18 ed i 30 anni ed è previsto un compenso di 433,80 euro lordi mensili. Per saperne di più puoi contattare: il Centro Nazionale per il Volontariato in via A. Catalani, 158, dove vanno recapitate le domande (tel. 0583.419500) oppure Massimiliano Andreoni al 346.8093667. Aversa (Ce): chiusura scuola Polizia penitenziaria, interrogazione del Senatore Cardiello a Orlando www.campanianotizie.com, 17 ottobre 2014 "Grazie alla fattiva collaborazione del Senatore Franco Cardiello membro della Commissione permanente Giustizia del Senato che ha prontamente raccolto la richiesta di intervento avanzata dalla Segreteria Generale Alsippe sulla vicenda della chiusura della Scuola di Formazione per il personale di Polizia penitenziaria di Aversa, ed ha inoltrato in Commissione Giustizia del Senato un interrogazione al Ministro Orlando". Lo si legge in una nota del Segretario Generale aggiunto Alsippe Alessandro Belfiore. "Vogliamo ricordare che il Senatore Franco Cardiello da sempre è impegnato al fianco delle donne ed agli uomini in divisa con disegni di legge tra cui quello del ricongiungimento familiare del personale militare legato da vincolo matrimoniale con altro appartenente alle Forze armate, al Corpo della Guardia di finanza, ovvero con appartenente alle Forze di polizia ad ordinamento militare e civile , e con varie interrogazioni sempre al Ministro della Giustizia Orlando sulla grave situazione del sistema carcerario in Campania e le cattive condizioni di lavoro del personale di Polizia penitenziaria". Di seguito pubblichiamo l’interrogazione al Ministro Orlando in Commissione Giustizia. Il testo dell’interrogazione Premesso che: il complesso formativo della Scuola di Aversa nasce quale polo d’attrattiva culturale - avanguardistico - nell’aggiornamento e formazione del personale di Polizia Penitenziario nel Sud Italia, specificamente nella zona cd. "calda" dell’hinterland casertano; tale Polo formativo, in oltre dieci anni di attività, ha mantenuto fede all’impegno di elevare lo spessore formativo e culturale del personale di Polizia Penitenziaria e la sua giustificazione d’essere risiede anche che la maggior parte del personale interessato alla formazione proviene prevalentemente dalla Campania e dalle regioni limitrofe; si ipotizza la chiusura del complesso formativo della Scuola di Aversa, perfettamente funzionante e che non richiede spese per il suo utilizzo, e il permanere della Scuola di Portici per il cui funzionamento è necessario prevedere un importante impegno finanziario di risorse pubbliche; la Scuola di Aversa consentirebbero una sorta di felice coesistenza e sopravvivenza della stessa Scuola con il Tribunale da poco insediatosi all’interno del Castello Aragonese. Di fatto, al Tribunale occorrono ulteriori spazi quantificati in 15 stanze che la Scuola di Aversa può agevolmente concedere, potendo a sua volta soddisfare le esigenze didattiche previste (può ospitare 80 - 90 allievi per corso) e garantire i suoi alti livelli formativi, chiede se non ritenga opportuno, per attuare una ottimizzazione delle risorse pubbliche volte a prevenire spese non necessarie ed evitare valutazioni negative da parte della Corte dei Conti, prevedere il mantenimento della Scuola di Polizia Penitenziaria di Aversa. Torino: il Fondo "Alberto e Angelica Musy" raccoglie fondi pro-detenuti, web protesta Ansa, 17 ottobre 2014 Il Fondo "Alberto e Angelica Musy", organizzazione no profit intitolata alla figura del consigliere comunale di Torino morto per le conseguenze di un agguato a colpi di pistola, ha promosso una campagna a favore del reinserimento sociale dei detenuti. L’annuncio, pubblicato su Facebook, è stato però accolto da una serie di commenti negativi (sommati a quelli che plaudono all’iniziativa) da parte degli internauti. Il progetto, cui partecipano la Città di Torino, l’Università, l’Ufficio esecuzione penale esterna e il Garante dei detenuti, prevede il finanziamento di borse di tirocinio ai reclusi "che si laureino in giurisprudenza o culture, politica e società perché - si legge - troppo spesso ci si chiede quale sarà la durata di una detenzione anziché valutare che genere di persona uscirà dal carcere". Il primo post di commento, che spiana la strada al fronte dei "negativisti", dice che "con tanti giovani onesti che non possono studiare forse era meglio destinare ad altri le borse di studio"; il secondo invita a "pensare di più agli onesti". Numerosi sono però le posizioni a favore e non manca chi invita a cancellare i "commenti monnezza". Ferrara: detenuti accusati di estorsione, carcerato racconta le angherie di cui sarebbe stato vittima www.estense.com, 17 ottobre 2014 Tutto era nato come un tranquillo modo per passare il tempo nel carcere di via Arginone: partite a poker durante le "ore di socialità". Nessuno - né tanto meno gli agenti della polizia penitenziaria - poteva immaginare i risvolti della vicenda, con un carcerato minacciato di ripercussioni sulla sua famiglia se non avesse pagato i debiti contratti nel giro di pochi mesi con tre compagni di gioco, tutti ospiti dell’ex quarta sezione della casa circondariale. E costretto - almeno secondo il suo resoconto - a effettuare un versamento in contanti e a comprare beni di consumo per i propri creditori all’interno del carcere. Una vicenda non semplice da ricostruire per i giudici, quella di cui si è trattato nel tribunale di Ferrara. Dove sul banco dei testimoni è salito proprio l’uomo che ha dato il via alle indagini, raccontando alla polizia penitenziaria le angherie a cui sarebbe stato sottoposto dai tre ex compagni di poker: "All’inizio si trattava solo di piccole scommesse tra noi detenuti: ci giocavamo i caffè o le sigarette. Poi mi hanno accusato di non aver pagato la quota per le puntate di apertura: 600 euro a ognuno di loro. Ma era una regola che si sono inventati, non so quel giorno o in maniera premeditata". Da quel momento, racconta il carcerato, durante la sua reclusione nella casa circondariale sarebbero cominciate le minacce - più o meno velate - di pestaggi e ritorsioni anche verso la sua famiglia, tanto da spingerlo a scendere a patti con gli ex compagni di gioco pagandoli direttamente o attraverso piccoli acquisti nello spaccio del carcere. A essere imputati nel processo, con l’accusa di estorsione e rapina aggravata, sono i due detenuti Giovanni Marino e Salvatore Raimondi, mentre il terzo degli accusati, Alban Alushaj, è stato prosciolto in sede di udienza preliminare. I fatti si svolgono nella primavera del 2012, quando i tre cominciano a riunirsi per alcune sessioni di poker con un detenuto recluso da poche settimane dopo una condanna per truffa. Ed è stato proprio il "truffatore" del gruppo oggi a parlare in tribunale del "raggiro" di cui sarebbe caduto vittima: dopo qualche incontro infatti i suoi tre compagni di gioco lo avrebbero accusato di non aver pagato una somma per la puntata di apertura - a suo dire mai concordata - assai consistente: 1.800 euro da dividere equamente in tre parti. Un debito che il detenuto avrebbe cominciato a prendere sul serio solo qualche settimana dopo, quando Marino uscì dal carcere per andare agli arresti domiciliari. Da quel momento Raimondi si sarebbe fatto carico di riscuotere il debito complessivo, aggiungendo in maniera sibillina di essere al corrente di dove vivesse la famiglia del suo debitore. La preoccupazione insomma era che uno dei creditori, ormai fuori dal carcere, potesse effettivamente mettere a segno una ritorsione verso i familiari del detenuto. Che per questo motivo chiese alla figlia di spedire un vaglia da 250 euro a Marino per calmare le acque e nel frattempo cominciò a fare la spesa con piccoli beni di consumo per Raimondi e Alushaj, ancora reclusi in via Arginone. Furono anche altri detenuti, estranei alla vicenda, a consigliargli di denunciare il tutto alla polizia penitenziaria, dando così il via alle indagini. Spetterà ora al collegio dei giudici Marini, Testoni e Attinà stabilire l’effettivo svolgimento dei fatti e stabilire se le "amichevoli" partite a carte si siano effettivamente trasformate in vere sedute di gioco d’azzardo - vietate per legge, tanto più all’interno di un carcere - con tanto di estorsione verso un partecipante. Nel frattempo, nel dubbio, vale la pena ricordare un detto tanto saggio quanto antico per i giocatori di poker: "Se dopo cinque minuti non hai ancora capito chi è il pollo seduto al tavolo, probabilmente il pollo sei tu". Velletri (Rm): Cisl-Fns; tentata evasione dall’ospedale, detenuto preso in strada dagli agenti Agenparl, 17 ottobre 2014 Apprendiamo che stamattina un detenuto di origine italiana, fine pena 2018, proveniente da Viterbo Mammagialla, ha strattonato gli agenti addetti alla Piantonamento, per una visita programmata, scappando. Il personale dopo vari tentativi e supporto del personale del carcere ha raggiunto il detenuto bloccandolo in strada. Ferito al polso un collega nel tentativo di bloccarlo. Il detenuto con tale gesto ha perpetrato il reato di evasione. Grande soddisfazione per la brillante operazione del personale di Polizia Penitenza. Comunicazione del Segretario Regionale Cisl-Fns Costantino Massimo. Trieste: Pino Roveredo compie 60 anni, scrittore "Premio Campiello" è Garante regionale dei detenuti Il Friuli, 17 ottobre 2014 Oggi lo scrittore Pino Roveredo compie 60 anni. È nato, infatti, il 16 ottobre 1954 a Trieste da una famiglia di artigiani: il padre era calzolaio. Dopo varie esperienze di vita, ha lavorato per anni in fabbrica. Operatore di strada, scrittore e giornalista, fa parte di varie organizzazioni umanitarie che operano in favore delle categorie disagiate. Attualmente, è anche Garante regionale delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale. Nel 2005 il grande salto sula ribalta letteraria nazionale, vincendo la XLIII edizione del Premio Campiello con il libro "Mandami a dire" e a quel periodo risale l’intervista rilasciata al nostro settimanale, che di seguito pubblichiamo. Nella vita ne ha passate davvero tante. E tra "Capriole in salita" (titolo del suo primo libro) e brusche cadute, la sua scrittura non è un puro esercizio intellettuale, ma nasce dalle intense esperienze vissute e profondamente meditate. Dall’alcolismo, alla prigione, al manicomio, Pino Roveredo, scrittore triestino, oggi si dice sereno e, come operatore sociale, si dedica prevalentemente al recupero dei giovani tossicodipendenti. Per raccontarla bisogna necessariamente partire dalla sua biografia. Fin dalla nascita la sua vita è stata particolare… "Sono nato nel 1954 da una famiglia normalissima. Per me "particolari" erano gli altri. Mio padre e mia madre erano sordomuti, da cui il mio primo soprannome di ‘figlio dei mutì. I miei primi ricordi sono di affetti rumorosi: i sordomuti quando abbracciano, abbracciano davvero e quando baciano, baciano davvero. Per me era un mondo a colori, anche se c’erano dei problemi". Quali? "La miseria. Mio padre era calzolaio, ma c’erano sempre meno scarpe da riparare. Era il periodo del boom economico, ma a noi non ci sfiorò neppure. Spesso i miei genitori ci portavano a mangiare al refettorio comunale, perché a casa non c’era nulla. Il secondo problema era che mio padre aveva delle profondissime infelicità alcoliche. Quando beveva, diventava violento, eccessivo. Poi, a sei anni, cambiò tutto". Come? "Mi portarono in un istituto, l’Ente comunale di assistenza, dove avrei potuto vivere e studiare assieme ad altri 300 ragazzi. Fu il tuffo in un mondo in bianco e nero: il primo obiettivo era insegnarci la disciplina, con le marce militari nel cortile e i vari ‘sissignore, nossignorè". A 13 anni, però, fuggì dall’Istituto. "Assieme a un compagno, trovai il coraggio di scappare e di tornare a casa, affrontando i miei genitori. Mio padre accettò il mio rientro in famiglia a patto che andassi a lavorare. Così trovai un lavoro come garzone in un Dopolavoro ferroviario: andavo a portare il caffé negli uffici. Guadagnavo 4 mila e settecento lire alla settimana e ne davo 4 mila e duecento in famiglia" Come spendeva le 500 lire che teneva per sé? "Compravo abiti a colori, dopo anni di divise dell’istituto. E andai a sbattere contro la libertà che agognavo. Se non la si conosce bene, la libertà può fare ammalare. Mi ci ammalai, usai l’alcol per raggiungere gli altri che vedevo sempre davanti a me. A 17 anni ero "Pino bibita", indicato come un alcolista agitato. Quando mi portavano al Pronto soccorso dopo una sbornia, la terapia prescritta era sempre la stessa: "unguento di scimmia e una notte in gabbia". In quegli anni, come capitò a me, per alcolismo si finiva pure in manicomio". Conobbe Basaglia che in quegli anni rivoluzionò il sistema dei manicomi in Italia? "Si. Lo vedevo passeggiare nel cortile o lungo i corridoi, una volta giocammo una partita a scacchi. E la cosa straordinaria era che non portava il camice. Per cui ero lì quando nacque la scintilla, ma non mi resi subito conto dell’importanza di quella rivoluzione". La tappa finale del suo percorso fu il carcere. "Si. La prima volta, nel 1972, fu per un tentativo di furto d’auto. Ne fui quasi esaltato. Mi pareva una grossa referenza farsi qualche mese di prigione, mi sentivo più uomo. Ma l’impatto fu violentissimo. Nel carcere vigono moltissime regole cui devi abituarti immediatamente. Io riuscii a ritagliarmi un ruolo grazie alla mia passione per la scrittura. Ero "Pino letterata": scrivevo lettere a famiglie, avvocati e fidanzate". È stata proprio la scrittura, assieme all’amore per la sua famiglia, la sua ancora di salvezza. "Durante un ricovero nel reparto di alcologia, mia moglie venne a trovarmi con mio figlio più piccolo, di tre anni appena. Subito pensai "Ma che cazzo c’entra lui con tutto questo?". Fu un’idea che mi aiutò a uscire dall’alcolismo. La dipendenza è una strozzina: all’inizio ti dà tutto, amici, successo. Poi pretende il pagamento con gli interessi. Il prezzo del passato lo pago ancora, ogni giorno. Mi sembra che esista un me stesso piccolo, debole, ogni momento a rischio di ricadere nella dipendenza. Ciò che mi trattiene è il pensiero che ci metterei un attimo a ritornare quello che ero e a rovinarmi di nuovo la vita". Le statistiche in materia dicono che soltanto un alcolista su mille, circa, ce la faccia a smettere. "Siamo pochissimi, è vero. Le cause sono molte, ma prima di tutto io noto il disinteresse da parte della società. Non si vuole neppure affrontare certi temi. Così, quando certe cose non capitano agli altri, ma a noi, siamo impreparati". È questo il messaggio che vuole lanciare attraverso i suoi libri? "Io sono allergico ai messaggi. Non ho la presunzione di dire che lancio un messaggio. Voglio solo raccontare le storie degli ultimi. Storie di sconfitte, per ridare valore anche alla sconfitta. Perché la società di oggi ci vorrebbe tutti primi, tutti vincenti. Ma troppo spesso non ci rendiamo conto che, per chi è ultimo, arrivare una volta penultimo è già una vittoria". Ha incontrato anche i ragazzi di Napoli, città oggi alla ribalta della cronaca per gli episodi di violenza e criminalità. Cosa ricorda di quell’esperienza? "A Napoli ho parlato delle mie storie e della mia vita davanti a una platea di 500 ragazzi delle superiori. Per molti di loro il mio era il primo libro che avevano letto in tutta la vita. Penso che il problema della violenza non ci sia da oggi o dalla scorsa settimana, ma da sempre. E così i giovani di Napoli sono rassegnati al fatto che la società li abbia abbandonati. Parlando con loro, la camorra non è mai vista positivamente. Ma è l’unica scelta che sembra esserci, quando le istituzioni non esistono". Come ha cambiato la sua vita la vittoria del premio Campiello? "Prima di tutto mi hanno affibbiato un altro soprannome - l’ultimo speriamo - "Pino Campiell". Poi la vita quotidiana è diventata più piena, più faticosa, ma più bella. Ricevo molte telefonate, molti inviti. E ho provato l’ebbrezza di essere invitato, e non portato a forza, in carcere". Tra tante esperienze della vita che ha provato sulla sua pelle, qual è quella più significativa? "Spero che sia quella che mi capiterà domani". Roma: niente soldi al teatro per le detenute Alta Sicurezza di Rebibbia, al via il crowd-funding Redattore Sociale, 17 ottobre 2014 L’iniziativa si chiama "Le donne del muro alto". A Rebibbia era stato salutato come uno dei progetti più innovativi di reinserimento carcerario ma ora è bloccato per mancanza di risorse. La regione finanzia solo il 50 per cento del budget, l’associazione lancia una raccolta fondi: "Esperienza troppo importante per le detenute, non può finire così". Al suo debutto" Didone, una storia sospesa" era stato salutato come uno dei progetti di teatro in carcere più innovativi, perché realizzato per la prima volta all’interno della sezione di massima sicurezza di Rebibbia, il carcere femminile di Roma. Ma ora dopo gli onori della cronaca il percorso intrapreso un anno fa rischia di arrestarsi. Non ci sono fondi per permettere al laboratorio di reinserimento attraverso l’attività teatrale di andare avanti, nonostante l’associazione Per Ananke che se ne occupa abbia vinto un bando regionale. Il finanziamento da parte della regione Lazio, infatti, copre solo il 50 per cento dei costi dell’iniziativa. Non solo, ma il contributo potrebbe essere annullato se non si riesce a trovare la restante parte delle risorse. E così l’associazione ha lanciato l’iniziativa "Donne del muro alto", un crowd-funding, che è anche una corsa contro il tempo, per chiedere a tutti di sostenere l’iniziativa di rieducazione e reinserimento per le donne detenute. "Il percorso che abbiamo avviato a Rebibbia ha visto per la prima volta nella storia del carcere femminile di Roma aprire le porte della sezione di massima sicurezza- racconta la responsabile del progetto Francesca Tricarico -. È stata una piccola grande rivoluzione: perché con scadenza regolare potevamo aver accesso alla struttura, incontrare le donne detenute e lavorare con loro sui testi teatrali che poi avremmo messo in scena. E lì abbiamo toccato con mano la forza del teatro dal punto di vista pedagogico e rieducativo. Queste donne aspettavano con ansia gli incontri con noi per il grande bisogno di parlare che hanno, ma anche perché per loro era un’opportunità per rapportarsi all’esterno, e riflettere attraverso i testi teatrali anche sulle loro dinamiche interiori. Che tutto questo non possa andare avanti è veramente assurdo". Perché l’attività non si blocchi servono 25mila euro entro dicembre. Il progetto "Le donne del muro alto", prevede oltre a un laboratorio biennale di teatro in carcere, anche un libro di testo e fotografico scritto dalle detenute attrici. L’obiettivo è raccontare l’esperienza del laboratorio, ma anche le dinamiche carcerarie, il rapporto tra le carcerate e le difficoltà con le istituzioni. "Quello che vogliamo portare a termine è un progetto ampio che sia anche una finestra su questo mondo ancora poco raccontato - aggiunge Tricarico. Per queste donne potersi aprire e mettere a nudo è molto importante. Quando lo scorso anno abbiamo messo in scena lo spettacolo era chiaro che per molte di loro quella fosse anche una piccola occasione di riscatto. E il risultato è stata una crescita non solo personale ma anche di gruppo". Il progetto è strutturato su due annualità: nella prima (entro marzo 2015) è prevista la realizzazione di uno spettacolo teatrale per un pubblico esterno e interno all’istituto penitenziario e la pubblicazione del Libro "Diario di Bordo". Nella seconda, che prenderà il via ad aprile 2015 e terminerà entro aprile 2016, si porterà in scena uno spettacolo teatrale, anche questa volta sia per un pubblico esterno che interno all’istituto penitenziario, e si fornirà una relazione sull’intero progetto biennale. Ma tutto questo solo se si riusciranno a trovare in tre mesi i fondi necessari. Trapani: nella Casa Circondariale un triangolare di calcio, detenuti, Asd 5 Torri e Adiconsum www.trapaniok.it, 17 ottobre 2014 In data 16 ottobre 2014, presso il Campo Sportivo della Casa Circondariale di Trapani, si è svolto un triangolare di calcio a 5 all’insegna dell’integrazione, tra una rappresentativa di detenuti di diverse nazionalità e le squadre Asd 5 Torri e Adiconsum. Il torneo che parte da una iniziativa del Presidente dell’Asd 5 Torri Giulio D’Alì e dagli avvocati Giancarlo Pocorobba e Giovanni Robino Presidente dell’Adiconsum, da sempre impegnati nel sociale, mira ad offrire momenti di svago ai detenuti ma anche essere concretamente vicini agli ospiti della Casa Circondariale di Trapani donando loro beni di prima necessità, ai detenuti meno abbienti e magliette e palloni di calcio ai detenuti partecipanti al triangolare. Per la cronaca il Torneo è stato vinto dall’Asd 5 Torri che battendo i detenuti ai calci di rigore (2 - 2) risultato dell’incontro, e successivamente per 5 - 1 l’Adiconsum si sono aggiudicati il trofeo che hanno lasciato in dono al Direttore dott. Renato Persico, a memoria della bella giornata di sport e solidarietà. La squadra dei detenuti, messa in campo dal Comandante Giuseppe Romano, però non ha sfigurato, pareggiando con i ben più quotati atleti dell’Asd 5 Torri e vincendo per uno a zero con l’Adiconsum. Presenti anche vecchie glorie del calcio trapanese come Ettore La Vecchia, Gigi Lamia e Nicola Bucaria. I Presidenti D’Alì e Robino hanno manifestato entusiasmo per la perfetta riuscita del triangolare, auspicando per il futuro una collaborazione concreta e non estemporanea. Grecia: rapporto della Commissione per la prevenzione della Tortura sulle carceri di Maria Laura Franciosi L’Indro, 17 ottobre 2014 Il Consiglio d’Europa ha pubblicato oggi un rapporto in cui denuncia le condizioni di detenzione negli istituti di pena e nei commissariati di Polizia della Grecia e condanna il degrado in cui gli immigrati richiedenti asilo sono costretti a vivere. Il rapporto reso pubblico oggi dal Consiglio d’Europa si riferisce ad una visita effettuata dalla Commissione anti tortura nell’aprile 2013, due anni dopo un’altra visita che aveva messo in luce gravi mancanze nelle condizioni di detenzione in Grecia. Purtroppo la commissione ha dovuto rilevare che, nonostante le promesse delle autorità, la situazione non era cambiata rispetto al 2011 sia per il trattamento dei migranti irregolari sia per le condizioni disumane in cui i detenuti, condannati o in attesa di giudizio, sono costretti a vivere. Particolarmente gravi, secondo il rapporto, sono i maltrattamenti da parte delle forze di Polizia che sembrano essere aumentati senza nessun segno tangibile di intervento o indagine da parte delle autorità competenti. Anzi, i maltrattamenti sembrano essere diventati prassi corrente tanto da indurre i responsabili a ritenere di poter agire nella massima impunità. Nel corso della visita la commissione si è recata in 25 commissariati di Polizia e stazioni di frontiera e in otto centri di immigrazione e centri di detenzione della guardia costiera greca per esaminare le condizioni degli immigrati illegali detenuti in base alla legislazione nazionale. Altri sette istituti di pena sono stati visitati dalla commissione che ha anche esaminato le condizioni di salute e i programmi di attività fisica e scolastici offerti ai detenuti. Per i migranti irregolari, la commissione ha denunciato condizioni ‘totalmente inaccettabilì sia per la durata sia per i luoghi della detenzione, celle sotterranee umide e senza luce e in condizioni di sovraffollamento (a volte neppure 1 m2 a persona). In un commissariato di Polizia due o più donne sono rimaste detenute per mesi in una cella scura e completamente ammuffita di 5m2 senza mai poter uscire all’aperto né disporre di prodotti igienici. Insetti, topi e scarafaggi infestano le celle di molte stazioni di polizia e molti detenuti appaiono affetti da scabbia o presentano punture di insetti su tutto il corpo. In alcuni casi vengono spruzzati insetticidi nelle celle in presenza dei detenuti che in molti casi hanno sofferto malori per aver respirato le sostanze nocive. In molti istituti di pena le guardie carcerarie indossano guanti sanitari quando entrano nelle celle. La Commissione per la Prevenzione della Tortura ha quindi chiesto alle autorità greche di prendere al più presto le misure necessarie per trasferire i migranti in centri appositamente designati e non tenerli più prigionieri nelle stazioni di Polizia o nei centri di detenzione aperti nei principali porti greci. Particolarmente criticato il centro di Igumenitza. Per i centri di rimpatrio dei migranti la commissione ha criticato il loro approccio punitivo in cui i detenuti vengono trattati come criminali e raccomanda di avviare programmi di attività ludiche o culturali dato che il soggiorno in tali centri spesso raggiunge e supera i 18 mesi. Per gli istituti di pena i rilievi del Consiglio d’Europa si riferiscono soprattutto alle condizioni di eccessivo affollamento, di scarsità di assistenza sanitaria e di penuria di guardie carcerarie. Nel carcere maschile di Korydallos ad esempio una sezione con circa 400 detenuti ha soltanto due guardie carcerarie durante il giorno. Durante la notte la sorveglianza si assottiglia ancora di più: solo otto guardie carcerarie restano a controllare 2300 detenuti. L’uccisione di un detenuto polacco non ha modificato la situazione dato che le guardie carcerarie non intervengono nelle risse tra detenuti, ma preferiscono lasciarli risolvere da soli le loro dispute. Un capitolo speciale viene dedicato alle condizioni dei minori non accompagnati spesso costretti a condividere le celle con adulti e trattati come detenuti a tutti gli effetti, senza alcuna possibilità né di ora d’aria né di attività educativa o culturale. La carenza di personale di custodia lascia impuniti gli episodi di bullismo e di intimidazione dei più giovani da parte degli anziani. Nel centro di detenzione di Avlona il fenomeno ù andato avanti a lungo ma dopo la denuncia del CoE le autorità hanno deciso il trasferimento dei più giovani in un altro istituto. In particolare, per le condizioni di sovraffollamento, la commissione ha notato che spesso i detenuti sono costretti a dormire per terra senza materassi su coperte sporche e maleodoranti. A suo avviso gli istituti di pena sono al 200% e in qualche caso al 300% al di sopra delle loro capacità di accoglienza con carenze nelle condizioni igieniche e sanitarie. Ma sono soprattutto le denunce di maltrattamenti da parte della Polizia ad essere al centro dei rilievi della commissione antiforatura. Le denunce si riferiscono a maltrattamenti fisici (calci, pugni, percosse con bastoni e altri oggetti). Un detenuto straniero ha raccontato alla commissione in visita di essere stato detenuto nel commissariato di Kypseli e di essere stato sottoposto a percosse per due giorni interi. Un altro ha raccontato di essere stato denudato e portato nei gabinetti da agenti incappucciati che lo hanno prima sottoposto a docce di acqua gelata poi gli hanno legato le gambe con uno spago e l’hanno percosso sui piedi e le gambe con bastoni rompendogli le ossa di una gamba irridendolo per tutta la durata dei maltrattamenti. Nonostante le sue richieste di visita medica, è stato trasferito al carcere di Korydallos dove non è stato fatto nessun controllo sanitario. Solo nove giorni dopo il suo internamento è stato chiamato un medico che ha predisposto il suo ricovero in ospedale per fratture multiple, dove è rimasto un mese. Ai detenuti viene sconsigliato di denunciare i maltrattamenti - anche dai loro avvocati - nel timore che le denunce possano portare ad un aumento dei maltrattamenti stessi. Gli avvocati d’ufficio spesso sono spettatori passivi nei processi a carico dei loro clienti e non viene fatto nessuno sforzo per presentare il caso dei detenuti che in molti casi non hanno nemmeno la possibilità di consultare gli avvocati prima del processo. Viene anche impedito loro di chiedere una visita medica per valutare le loro condizioni dopo i maltrattamenti. L’impunità sembra regnare ovunque, proprio per la mancanza di controlli e indagini da parte delle autorità carcerarie. Nel rapporto si invitano quindi le autorità greche a curare in modo particolare il reclutamento e l’addestramento degli agenti di custodia e di quelli di polizia preposti al servizio carcerario. Il rapporto indica che la colpevolezza per i maltrattamenti si estende anche agli astanti non direttamente attivi. Viene quindi incoraggiata le denuncia dei maltrattamenti anche da parte dei testimoni e il CoE raccomanda alle autorità l’adozione di misure di protezione degli informatori che denuncino tali pratiche. Viene anche raccomandata la registrazione in video e audio degli interrogatori di polizia a salvaguardia dei diritti dei detenuti e per evitare accuse di false dichiarazioni. La Corte europea per i Diritti Umani ha condannato in varie occasioni le autorità per non aver effettuato le necessarie indagini in seguito a denunce di maltrattamenti da parte di detenuti. Ma fino ad ora le autorità greche si rifiutano di riconoscere che i maltrattamenti sono una serio problema nel Paese e non hanno quindi preso fino ad ora le misure necessarie per risolverlo. Questo ha creato intorno all’operato degli operatori addetti alla sicurezza un alone di impunità per i maltrattamenti imposti ai detenuti. La commissione è però venuta in contatto anche con agenti che hanno espresso il loro desiderio di migliorare le condizioni degli interrogatori ma in questi casi sono stati gli stessi detenuti a lodare la condotta degli agenti. Il rapporto nota che un miglioramento delle condizioni di detenzione sarebbe anche auspicabile per le installazioni della Guardia Costiera dove vengono detenuti i migranti irregolari che hanno tentato di fuggire verso l’Italia, sono stati lì ricondotti dall’Italia o sono stati salvati in mare da battelli naufragati. Nel centro per migranti di Igumenitza ad esempio le condizioni dei migranti sono state giudicate precarie con celle e bagni in condizioni igieniche pessime, scarsa ventilazione e nessun accesso all’aperto per evitare fughe. Molti i casi di auto lesioni da parte dei migranti disperati. Un ragazzino di 13 anni non accompagnato era stato trovato nelle celle di Igumenitza e la commissione ne ha chiesto l’immediato trasferimento in una struttura adeguata. La richiesta è stata soddisfatta dalle autorità. Nel rapporto si ricorda che i richiedenti asilo non vanno trattati come migranti irregolari. Essi non vanno quindi privati della libertà in attesa della decisione sulla loro richiesta di asilo. In Grecia i richiedenti asilo possono essere detenuti in base al decreto presidenziale 114/2010 in attesa della decisione delle autorità che può arrivare dopo tre mesi estendibili ad altri tre. I motivi della detenzione: stabilire la loro identità, esaminare le motivazioni della richiesta di asilo, impedire la diffusione di malattie di cui i migranti potrebbero essere portatori. Questa posizione è stata però criticata dall’Unhcr e da esponenti della società civile greca che ne hanno denunciato la natura discriminatoria. Eppure, in seguito ad una richiesta di asilo cumulativa presentata dai migranti detenuti nel centro per richiedenti asilo di Corinto, le autorità greche hanno deciso, con un altro decreto presidenziale, di prolungare di altri 12 mesi il periodo di detenzione dei richiedenti asilo. Il periodo totale di detenzione per i richiedenti asilo à stato così di fatto portato a 18 mesi. La delegazione del Consiglio d’Europa ha incontrato molti profughi siriani in stato di detenzione sia nelle stazioni di Polizia sia nei centri di rimpatrio. L’impossibilità di rimpatriarli per motivi politici ha significato per loro l’allungamento del periodo di detenzione. L’Unhcr ha recentemente raccomandato agli stati di accoglienza di sospendere il rimpatrio forzato per i siriani e ha chiesto alle autorità greche di sospendere gli ordini di espulsione per i siriani. Nella loro risposta le autorità greche hanno fornito informazioni sulle misure prese per venire incontro ai rilievi della commissione del CoE e hanno ribadito che la detenzione nei commissariati di Polizia è soltanto di breve durata. Dal rapporto emerge invece che alcune delle persone detenute erano in cella da oltre sei mesi e per alcuni la detenzione risaliva all’anno precedente! Le autorità greche hanno anche risposto con un nuovo piano d’azione per la gestione dei richiedenti asilo e migranti e con nuove misure prese per migliorare le condizioni nei centri di rinvio dei migranti. Per il centro di Amygdaleza per minori non accompagnati la risposta delle autorità indica che sono stati fatti sforzi per migliorarne la vivibilità anche con l’offerta di attività per i ragazzi. La Commissione per la prevenzione della tortura è responsabile del monitoraggio dei 47 Paesi membri del Consiglio d’Europa per valutarne il rispetto della Convenzione Europea per la Prevenzione della Tortura e dei comportamenti o punizioni disumani o degradanti che la Grecia ha ratificato nel 1991. Iraq: Brigate Hezbollah minacciano uccisione prigionieri sauditi se Riad giustizierà Imam sciita Nova, 17 ottobre 2014 Le brigate irachene Hezbollah, una delle formazioni armate sciite del paese, hanno minacciato di uccidere tutti i prigionieri di nazionalità saudita detenuti in Iraq se l’imam Nimr al Nimr, condannato ieri a morte dalle autorità di Riad, sarà giustiziato. Lo ha dichiarato lo sceicco Abbas Muhammadawi, uno dei leader del gruppo sciita. "Il regime saudita deve fare marcia indietro sulla sua decisione", ha dichiarato Muhammadawi. Nella giornata di ieri le autorità saudite hanno condannato a morte l’imam sciita Nimr al Nimr, particolarmente popolare nella Provincia Orientale del paese per le sue critiche al governo di Riad e per la richiesta di maggiori diritti a protezione della comunità sciita. L’annuncio è stato dato dal proprio account Twitter dal fratello del leader religioso, Mohammed al Nimr, ripreso dal quotidiano "al Akhbar". La pena nei confronti dell’imam non prevede la pratica dell’hadd al haraba, ovvero l’esposizione pubblica del corpo del giustiziato. Nimr era stato arrestato nel luglio del 2012 per avere, secondo l’accusa, fomentato le proteste filo-democratiche del febbraio 2011 nel distretto orientale di Qatif, a maggioranza sciita. Proteste che, secondo Riad, sarebbero state istigate dall’Iran attraverso i propri contatti nell’area. L’arresto del leader religioso aveva provocato una nuova serie di proteste e di scontri tra polizia e manifestanti, nell’ambito dei quali erano rimasti uccisi tre cittadini sciiti. L’accusa formulata dalla procura nei confronti di Nimr era stata di "aiuto ai terroristi" e di "guerra a Dio", fattispecie passibili di pena capitale Medio Oriente. nelle carceri israeliane 600 detenuti palestinesi malati, di cui un terzo cronici www.infopal.it, 17 ottobre 2014 Fonti vicine a organizzazioni umanitarie palestinesi hanno dato notizia del peggioramento delle condizioni di un gruppo di prigionieri malati, nelle carceri e nei centri di detenzione israeliani. In particolare, risulta aggravato lo stato di salute del prigioniero Mutasim Raddad, affetto da un tumore all’intestino: le sue condizioni sono in continuo peggioramento. Nel suo rapporto ricevuto da Quds Press in data 15 ottobre, il "Circolo del Prigioniero palestinese" ha dichiarato che l’occupazione israeliana trattiene nelle sue carceri almeno 600 prigionieri palestinesi malati, di cui 160 con malattie croniche gravi e bisognosi di cure mediche urgenti e intensive. Il "Circolo" ha spiegato che il prigioniero Raddad è uno dei malati più gravi trattenuti in prigione dalle autorità di occupazione, nonostante le numerose richieste di scarcerazione e l’esperimento di diverse azioni legali finalizzate al rilascio: l’occupazione si ostina a trattenerlo in carcere, senza tenere conto del suo stato di salute. Secondo il rapporto, le sofferenze di Raddad, condannato a 20 anni di reclusione e detenuto nella prigione israeliana di Hadarim, sono dovute a diverse patologie, di cui la più grave è l’infiammazione cronica dell’intestino, che gli provoca continue emorragie, nausee, alterazioni della vista, aumento della pressione sanguigna, accelerazione del battito cardiaco, gravi difficoltà respiratorie, problemi al sistema nervoso e dolori permanenti alle articolazioni. Brasile: terminata la rivolta nel carcere di Guarapuava, rilasciate le 10 guardie tenute in ostaggio Il Velino, 17 ottobre 2014 È terminata la rivolta nella prigione di Guarapuava, nello stato meridionale di Paranà, in Brasile, dopo che i detenuti hanno liberato le ultime dieci guardie tenute in ostaggio. Un funzionario locale ha detto che la "ribellione" si è conclusa dopo che sono state accolte le richieste dei prigionieri di essere spostati in altre strutture. Circa 28 detenuti coinvolti nella rivolta sarebbero stati trasferiti dal carcere di Guarapuava ad altri centri di detenzione nella regione. Il Brasile ha la quarta più grande popolazione carceraria del mondo - 500 mila detenuti in carceri destinate a contenerne massimo 300 mila - e le rivolte nelle strutture penitenziarie non sono così rare. Cinque persone sono state uccise nel mese di agosto in una rivolta nel carcere di Cascavel, due di loro sono state decapitate. Sudafrica: il sistema carcerario del Sudafrica "sarà in grado di ospitare" Oscar Pistorius La Presse, 17 ottobre 2014 Il sistema carcerario del Sudafrica "sarà in grado di ospitare" Oscar Pistorius se l’atleta paraolimpico sarà condannato a una pena detentiva per l’omicidio colposo della fidanzata Reeva Steenkamp. Lo ha detto Zach Modise, l’amministratore delle carcerari sudafricane, che ha testimoniato nel quarto giorno delle udienze al termine delle quali sarà decisa la condanna da infliggere a Pistorius. La difesa aveva chiesto per l’atleta una condanna agli arresti domiciliari, affermando che in prigione Pistorius rischierebbe persecuzioni a causa della sua disabilità. Il sistema carcerario sudafricano, ha affermato però Modise, regge bene il confronto con le prigioni britanniche e statunitensi. Il funzionario ha ammesso alcuni problemi come il sovraffollamento e l’attività di gruppi criminali, ma ha sottolineato i progressi fatti dalle autorità. Alcune carceri, ha notato, sono adibite per poter accogliere detenuti disabili. L’avvocato della difesa, Barry Roux, ha riferito però voci secondo cui il leader di un gruppo criminale in carcere avrebbe minacciato Pistorius.