Giustizia: salviamo il soldato Orlando… per non finire "sotto" Gratteri! di Valerio Spigarelli Il Garantista, 11 ottobre 2014 Sulla Giustizia si inizia a litigare, dalle parti della maggioranza, in particolare sul reato di auto-riciclaggio, a causa dell’emendamento approvato in questi giorni, che stravolge gli accordi tra i partiti che sostengono il governo. Di nuovo, come succede sempre più spesso di questi tempi, non è tanto l’occasione che conta, quanto il contesto. Anche il reato di auto-riciclaggio, infatti, faceva parte del pacchetto di riforma presentato a fine agosto, quello pubblicizzato dopo il Consiglio dei Ministri del 29 agosto, come "la riforma della giustizia" e poi mai pubblicato dopo la sua approvazione; approvazione per modo dire verrebbe dunque da concludere. Di quella riforma, infatti, non si sa più nulla, visto che da quella data i testi sono incagliati negli uffici di Renzi. Nel frattempo l’iniziativa governativa ha cominciato a perdere pezzi: prima la responsabilità civile dei magistrati, mai formalizzata e "sorpassata" dal disegno di legge di iniziativa parlamentare a firma del senatore Buemi, ora il reato di auto-riciclaggio, In mezzo la vicenda della commissione Gratteri, dì cui si è parlato qualche giorno fa su queste pagine. Una commissione di esperti nominati dal Presidente del Consiglio che ha allo studio una serie di proposte chiaramente ispirate da una visione autoritaria e neo inquisitoria della Giustizia, e del processo penale in particolare, che forse hanno il pregio, agli occhi di chi utilizza il merchandising come linguaggio politico, di una brutale semplificazioni dei problemi, ma che sarebbero destinate a provocare l’opposizione di chi non vuole che i cittadini siano privati dei propri diritti fondamentali. Più passano i giorni più risulta evidente che Gratteri serve non solo a "correggere" le proposte di Orlando, ma soprattutto a liquidare il suo metodo di interlocuzione politica. E qui sta uno dei punti delicati della questione. Nessuna persona di buon senso, all’interno del mondo della giustizia, può pensare che alcune delle proposte che Gratteri ed il suo staff avanzano - l’estensione delle video conferenze ovvero l’abrogazione dell’articolo 606 lettera "e" del codice di procedura, cioè in pratica l’abolizione del ricorso per Cassazione per vizi di motivazione delle sentenze - possano essere presentate senza una dura reazione da parte, ad esempio, dell’avvocatura. Allora la conclusione è obbligata: sulla giustizia si vuole proporre lo stesso approccio che si segue su di altri temi, quello del fatto compiuto e della semplificazione propagandistica, di cui si sono già avuto avvisaglie sul toma delle ferie giudiziarie; magari tenendosi buoni settori della magistratura più legati alle agenzie investigative. Se così fosse, però, resta da stabilire quale ruolo avrebbe l’attuale ministro della Giustizia, il cui futuro, non a caso, nei giorni scorsi è stato oggetto di molte illazioni: chi lo voleva in partenza verso la carica di governatore di qualche regione, chi in rotta con lo stesso Presidente del Consiglio. Al riguardo, Orlando ha dichiarato, secondo il Corriere della Sera di ieri, "ho avviato le riforme nel campo della magistratura, e quando inizio un lavoro mi piace finirlo". Una frase interessante sotto diversi profili. Intanto colpisce l’affermazione, quasi un lapsus freudiano, secondo la quale la riforma della giustizia diventa "il campo della magistratura". Ciò si presta ad almeno due chiavi di lettura. O il ministro, come storicamente avvenuto da decenni per molti suoi predecessori, ritiene che la Giustizia coincida con il terreno di "proprietà" della magistratura, oppure - e forse questa è la chiave giusta - egli è perfettamente conscio del riflesso pavloviano della magistratura di fronte a qualsiasi tentativo di riforma, e dunque rivendica di aver, per la prima volta a sinistra, osato violare il campo del padrone. Quasi a dire: so qui si parla di una mia dipartita dalla sedia di via Arenula uno dei motivi è che sto provando a dimostrare autonomia verso la magistratura. Anche la seconda parte delle dichiarazioni di Orlando è interessante. A quale lavoro "iniziato" il ministro sì riferisce quando dice dì volerlo "terminare"? Il suo, evidentemente, non certo quello di Gratteri. Insomma, "il ministro sono io", ha detto Orlando, e mio è il compito di riformare la Giustizia, non di altri. I fatti ci diranno se ce la farà. Certo, pur non essendo affatto d’accordo su molte delle cose contenute nella sua "riforma", non solo per confronto con le idee che professano Gratteri & Co ma anche per salvaguardare la trasparenza dei processi democratici, oggi è necessario "salvare il soldato Orlando". Poi si vedrà. Giustizia: la videoconferenza non risolve, ma è un limite ai diritti di difesa di Rinaldo Romanelli (Componente Giunta Unione Camere Penali) Il Garantista, 11 ottobre 2014 Sui media rimbalza ormai da qualche tempo la notizia di una commissione insediata a Palazzo Chigi guidata dal dottor Nicola Gratteri, cui sarebbe stato demandato il compito di elaborare riforme in tema di giustizia. Di cosa si stia in concreto occupando questa commissione non è dato sapere. Certo è che le recenti dichiarazioni di Gratteri, rilasciate in occasione di un evento organizzato dal Sindacato autonomo della polizia penitenziaria, in particolare quelle in cui invoca la videoconferenza in tutti i processi per risparmiare, suscitano preoccupazione per i toni sprezzanti verso il ruolo della difesa nel processo e per l’idea autocratica della giustizia, vista evidentemente come una questione che debba essere gestita dall’autorità inquirente. La sensazione che se ne riporta è che si inquadrino perfettamente in quell’orientamento culturale strisciante ed al contempo inquietante che, ammantandosi di legaritarismo, persegue in realtà l’obiettivo opposto. Quello cioè di svuotare ed indebolire il processo, mettendolo in liquidazione e portando al centro del sistema il prodotto delle indagini preliminari. La tendenza è ormai ben nota e anche gli argomenti populisti che la puntellano: ridurre i costi (prima di tutto), accorciare i tempi, limitare i mezzi di impugnazione, aumentare l’efficienza. Il diritto di difesa, il principio del contraddittorio ed il principio di non colpevolezza sono implicitamente degradati da diritti costituzionali intangibili a costi sociali che, in tempo di crisi, non possiamo più sostenere. In altri termini, si vuol far credere che non possiamo più permetterci un processo che sia degno di questo nome e che svolga realmente la sua funzione di verifica della pretesa punitiva dello Stato nei confronti del cittadino. Tutto questo con buona pace di una realtà che è ben diversa da quella che si cerca di propagandare, nella quale i dati statistici ci dicono che il 70% dei procedimenti si prescrive nella fase delle indagini preliminari (nella quale i pm scelgono discrezionalmente quali fascicoli coltivare e quali lasciare nel cassetto), che circa il 50% delle sentenze viene riformata in appello (a dimostrazione dell’assoluta necessità di mantenere e potenziare il secondo grado di giudizio di merito), che le ragioni dei rinvii dei processi sono da addebitarsi alla difesa solo nella misura del 4% (ed in questi casi, dall’entrata in vigore della ex Cirielli, i termini di prescrizione restano sospesi). C’è un elemento che si coglie però nelle parole di Gratteri e che segna un significativo passo in avanti nella tendenza autoritaria inquisitoria; non sono più solo gli avvocati ad essere avvertiti come un orpello inutile o come un ostacolo ad una giustizia giusta, rapida ed efficace, ora lo sono anche i Giudici. A proposito della norma sulla videoconferenza afferma che "il Giudice non deve avere molto margine di manovra, il criterio discrezionale deve essere ristretto il più possibile. Più ampio è il potere discrezionale più ampio può essere l’abuso. Creare automatismi perché il Giudice non sbagli o perché il giudice non ampli la sua interpretazione". Insomma il giudice si faccia da parte, non interpreti, non adegui il principio generale astratto dettato dalla norma al fatto che deve giudicare, questi sono principi superati un po’ démodé e soprattutto fonte di "abusi". Il nuovo corso vuole che si limiti ad un’attività burocratico-amministrativa, il più possibile vincolata e che certifichi con un’elegante stampigliatura "nel nome del Popolo Italiano" l’autorità del lavoro del Pubblico Ministero. Se questo è il retroterra culturale di quello che da più parti è stato definito il "ministro ombra", la preoccupazione per il prossimo futuro più che legittima, è doverosa. Fino ad oggi l’interlocuzione con la politica è stata ed è per l’Unione delle Camere Penali Italiane un momento fondamentale ed imprescindibile. La disponibilità manifestata dal ministro Orlando ad ascoltare la voce dell’avvocatura penale e più in generale la scelta di procedere ad affrontare i temi della giustizia con un metodo aperto e dialogante, sono valori che intendiamo difendere anche verso incursioni dì soggetti, allo stato autoreferenziali e privi di investiture istituzionali. Noi siamo sostenitori del legalitarismo, quello vero, che attribuisce al Ministro e non ad altri le prerogative sulla giustizia. La sola ipotesi dell’esistenza di una figura "ombra" che vi si sovrapponga esautorandone i poteri, sarebbe un vulnus inaccettabile alla funzione istituzionale del Ministro e vogliamo pensare e sperare, malgrado i concreti elementi di segno opposto di cui non possiamo che prendere atto, che questi scenari non rispondano a realtà e che non gli sarà consentito di materializzarsi in un prossimo futuro. Confidiamo sulla sensibilità del Guardasigilli e sulla sua capacità di resistere a pressioni più o meno striscianti e visibili; deve però essere chiaro che non accetteremo alcuna riforma che sia confezionata nell’ombra di segrete stanze, mentre alla luce del sole ci si confronta e si sostiene un dialogo costruttivo per risolvere i veri problemi della giustizia. Se ciò avverrà nessuno dubiti che l’Avvocatura penale saprà prendere posizioni meno dialoganti ricorrendo anche alle necessarie forme di protesta. E, in ogni caso, deve essere chiaro che non intendiamo confrontarci con delle ombre. Giustizia: i poliziotti penitenziari e il burnout, trenta suicidi negli ultimi tre anni www.altrenotizie.com, 11 ottobre 2014 Effetto carcere. In questo caso non per i detenuti, quanto per gli agenti di Polizia Penitenziaria. È la sindrome di burnout, un eccessivo carico emotivo attribuito al lavoro, con assenza di fattori motivanti. Rigidità dei ruoli, che determinano l’alienazione, affidati a singoli connessa alla sollecitudine di richieste plurime da parte dell’ambiente in un’organizzazione molto strutturata. Vedi la prigione. Dove la condivisione di spazi ristretti, i processi di alienazione individuale derivati dalla routine mansionale, l’assenza di riconoscimenti da parte dei superiori e delle autorità, la superficialità delle direttive dirigenziali, la rigidità della struttura di comando, uniti a un sovraffollamento dato da una crescita esponenziale della popolazione carceraria e, di contro, una carenza di personale, con un sotto organico a livello nazionale di circa diecimila unità (dato del 2012), il "male di vivere sembra non avere fine". È la denuncia del Sindacato autonomo della Polizia Penitenziaria che, per bocca del suo segretario, Donato Capece, porta a conoscenza "lo stato di abbandono in cui è lasciato il corpo di Polizia Penitenziaria" e aggiunge: "Siamo sotto organico di circa ottomila agenti e se uno sbaglia non gliela perdonano. Eppure riusciamo ancora a salvare la vita a tanti detenuti disperati". Per la direttrice dell’associazione Ristretti Orizzonti, Ornella Favaro, le cause sono da attribuirsi al degrado delle carceri e alla mancata nomina del nuovo capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria: "Senza capo del Dap non c’è nessuno che si senta responsabile". Per migliorare la qualità del lavoro è fondamentale "introdurre attività che non siano di pura custodia". Cosa che è nei progetti di Palazzo Chigi, per mano del procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Nicola Gratteri. Ossia l’attribuzione, in seguito alla riforma della Polizia Penitenziaria per trasformarla in un modello di "polizia della giustizia", di compiti di primo piano, a differenza della situazione attuale che la vede confinata alla funzione di custodia dei detenuti. Introducendo nuove competenze: "Eseguire gli ordini di arresto per gli imputati con condanne definitive, ricercare latitanti, controllare gli arrestati domiciliari, i soggetti sottoposti alle misure alternative, proteggere i collaboratori di giustizia, i tribunali e i magistrati". Ma l’agente di Polizia Penitenziaria, secondo quanto stabilito dalla legge numero 395 del 1990, non aveva già, oltre a quella di custode del carcerato e di mantenimento dell’ordine nella struttura, anche una mansione di partecipazione all’osservazione e al trattamento rieducativo della popolazione carceraria? Non erano sufficienti queste, elogiate tra l’altro abbondantemente, dal Capo dello Stato nell’Annuale del Corpo di quest’anno. Dette mansioni consistono nella presa in carico emotiva del prigioniero, in rapporti che vanno ben oltre la sfera della propria consapevolezza, spesso soffrendo di carenze nella preparazione all’impatto emotivo e con l’incapacità di prendere le distanze da una forma mentis di matrice militare che interpreta la realtà su basi dicotomiche, tipo bene o male, positivo o negativo? La stessa dicotomia che è racchiusa nel motto del Corpo: "Vigilando redimere". Giustizia: si chiude oggi il Congresso nazionale forense, atteso il ministro Orlando di Gabriele Ventura Italia Oggi, 11 ottobre 2014 La riforma della giustizia alla prova del nove. Oggi, infatti, si terrà l’atteso confronto tra il ministro della giustizia, Andrea Orlando, e gli avvocati, riuniti a Venezia al XXXII Congresso nazionale forense, dove il guardasigilli interverrà in mattinata. Un confronto ancora più atteso dopo l’approvazione, l’altro ieri in commissione giustizia del senato, dell’emendamento che esclude la negoziazione assistita in materia di lavoro, che ha sollevato le proteste della categoria. "Rispediamo al mittente questa miope operazione", ha commentato il presidente Oua, Nicola Marino. Conciliazioni e arbitrati in materia di rapporti di lavoro restano quindi appannaggio dei Consigli provinciali dell’ordine dei consulenti del lavoro che, grazie alla legge Biagi e al collegato lavoro 2010, hanno istituito delle commissioni ad hoc di certificazione dei contratti, conciliazione e arbitrato, operando in regime di terzietà. La giornata congressuale di ieri, invece, è stata dedicata in particolare al tema della rappresentanza della categoria forense, con una serie di mozioni di modifica allo statuto dell’Organismo unitario dell’avvocatura, mentre a latere si sono tenute una serie di tavole rotonde. Entriamo nel dettaglio. Un nuovo rapporto fisco contribuente. La tavola rotonda organizzata dal Consiglio nazionale forense ha avuto come tema cardine il rapporto tra fisco e contribuente. Sono intervenuti il vicepresidente del Cnf, Ubaldo Perfetti, il nuovo presidente di Equitalia Vincenzo Busa, il direttore della direzione della giustizia tributaria del ministero dell’economia, Fiorenzo Sirianni, il presidente del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria Mario Cavallaro e Bruno Lo Giudice, presidente dell’Unione nazionale camere avvocati tributaristi. Il Cnf ha proposto l’estensione della procedura di conciliazione anche al giudizio di Cassazione, ha suggerito di rivedere l’ordinamento dei giudici tributari, rendendoli terzi rispetto all’amministrazione finanziaria e ha richiesto la modifica dei sistemi di accertamento e riscossione, guardando alla "qualità" del debito tributario e non solo puntando alla "quantità" e programmando l’attività di accertamento. Sirianni ha annunciato che è in valutazione l’allargamento della procedura di mediazione ad enti diversi dall’Agenzia delle entrate. Cassa forense, erogazioni più rapide. L’ente di previdenza ha invece organizzato una tavola rotonda su "Le nuove regole per l’iscrizione. Le innovazioni tecnologiche", dove è stato presentato il nuovo programma Pec. In pratica, le comunicazioni con gli iscritti d’ora in avanti avverranno solo in via telematica, grazie alla piattaforma messa a punto dalla Cassa. Al via anche il nuovo programma online per i contributi di maternità, che verranno così erogati in tempi più rapidi. "È un segnale forte che vogliamo dare alle donne", ha spiegato il presidente, Nunzio Luciano, "il procedimento cartaceo allungava di troppo i tempi per l’erogazione dei contributi". Le altre tematiche. Nella giornata di ieri, inoltre, si è tenuta una tavola rotonda organizzata dall’Ordine degli avvocati di Venezia, guidato da Daniele Grasso, sul tema "La giustizia, un bene comune", dove è intervenuto il giurista Gustavo Zagrebelsky. Al congresso è intervenuto poi il presidente dell’Ucpi, Beniamino Migliucci, che ha segnalato la necessità di "valorizzare la storia e le specifiche competenze di ogni associazione". Il presidente dell’Oua, Nicola Marino, ha invece commentato l’ultimo rapporto della Commissione europea sull’efficienza della Giustizia preparato dal Consiglio d’Europa (Cepej), che condanna l’Italia all’ultimo posto per la lunghezza dei processi. "Rispetto al decreto Orlando serve di più: riorganizzazione degli uffici, estensione delle best practices e reale applicazione del processo telematico, assunzione di magistrati". Sardegna: rispunta l’idea del carcere per detenuti in regime 41-bis sull’isola dell’Asinara di Gianni Bazzoni La Nuova Sardegna, 11 ottobre 2014 Una Commissione che fa capo al Governo studia il possibile ritorno dei mafiosi. A favore della soluzione Nicola Gratteri, procuratore aggiunto di Reggio Calabria. Ci risiamo. Stavolta si riparla di riaprire il carcere dell’Asinara passando per altre vie, per esempio la revisione del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e un intervento sul sistema carcerario. Da qualche anno è diventato il tema dell’estate - con puntate più o meno credibili - e il fatto che accada a ottobre forse non è neppure un caso, visto che la stagione estiva sembra avere dilatato i propri confini. A leggere bene le dichiarazioni, però, potrebbe non trattarsi delle solite frasi per raccontare quanto è stato dannoso chiudere supercarceri come Pianosa e Asinara che hanno turbato i sonni dei boss mafiosi. Al di là dello staff tecnico del ministero della Giustizia - che ragiona su un progetto che mira a ridurre le spese, a promuovere un nuovo regolamento, a tagliare i provveditorati regionali da 16 a 10 e ad accorpare una serie di funzioni - c’è una commissione autorevole che studia un intervento sul sistema carceri e fa capo direttamente alla presidenza del consiglio dei ministri, quindi a Matteo Renzi. È formata da magistrati con nomi ed esperienze importanti come Nicola Gratteri, Piercamillo Davigo e Sebastiano Ardita. Il procuratore aggiunto di Reggio Calabria sul tema delle carceri ha le idee chiare e non le ha mai nascoste: è stato proprio lui - in più occasioni - a domandarsi ad alta voce il perché della chiusura negli anni Novanta dell’Asinara e Pianosa. Una scelta che non l’ha mai visto tra i favorevoli. Nel corso del 2014, almeno in un paio di occasioni, ha auspicato ufficialmente la loro riapertura con la destinazione specifica all’accoglimento dei detenuti 41bis. E proprio sul funzionamento del sistema, il magistrato (che era in lizza anche per diventare ministro) ha svolto una lunga e dettagliata analisi: in sostanza ha contestato la distribuzione di 750 detenuti in regime di carcere duro in 12 istituti, con i rischi di interpretazioni diverse (da parte dei direttori) delle norme. E ha indicato come soluzione la costruzione di 4 nuove carceri "esclusive" guidate da altrettanti direttori "specializzati". Nicola Gratteri, infatti, è per i campi di lavoro. "Chi è detenuto in regime di 41bis - ha detto - coltivi la terra se vuole mangiare, non può stare a guardare la tv. In carcere si deve lavorare, serve come rieducazione". E i campi di lavoro, con livelli di sicurezza elevati, si possono realizzare solo in determinati ambienti. Quindi uno più uno fa sempre due. Insieme al progetto che modifica il sistema carceri (dovrebbe sparire persino l’ambita poltrona di capo del Dap che solitamente viene affidata a un magistrato e vale una indennità di circa 500mila euro: è vacante dal 28 maggio), la commissione Gratteri-Davigo-Ardita, sarebbe impegnata anche auna sorta di "revisione" della Polizia penitenziaria che dovrebbe diventare una "police" della giustizia. Insomma, tutta la parte dell’esecuzione penale verrebbe affidata proprio alla polizia penitenziaria. Si tratta di compiti che già in parte vengono svolti, anche se in condominio con altre forze del comparto sicurezza. In questa nuova idea di sistema carcerario, è evidente che i riferimenti alla possibile riapertura dell’Asinara e di Pianosa, oggi parchi nazionali, sono continui e sostenuti anche da chi si è sempre chiesto come mai lo Stato abbia rinunciato a quelli che venivano considerati "strumenti efficaci nella lotta alla mafia e alla criminalità organizzata". Sembra tardi per tornare indietro, ma se ne parla ancora e le preoccupazioni ci sono. Sardegna: Sdr; preoccupa proposta Gratteri riapertura carcere dell’Asinara per il 41-bis Ristretti Orizzonti, 11 ottobre 2014 "Suscita viva preoccupazione la riapertura del carcere dell’Asinara per ospitare i detenuti in regime di 41-bis proposta dal Procuratore aggiunto di Reggio Calabria Nicola Gratteri incaricato dal Presidente del Consiglio Matteo Renzi, insieme agli altri Magistrati Piercamillo Davigo e Sebastiano Ardita, di formulare un progetto di riforma del sistema penitenziario. Un nuovo programma assurdo che paradossalmente rischia di acquisire fondatezza proprio per il problema dei detenuti mafiosi destinati alla Sardegna". Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione "Socialismo Diritti Riforme", osservando che "di tanto in tanto viene prospettata l’idea di riaprire il carcere dell’Asinara con l’intento di risolvere i problemi del regime di massima sicurezza". "Purtroppo - sottolinea Caligaris - la volontà di far prevalere la forza sulla ragionevolezza e il buon senso rischia di travolgere e annullare un percorso di emancipazione in cui l’isola dell’Asinara è inserita da tempo. Sarebbe infatti inqualificabile se lo Stato, dopo aver ceduto alla Regione l’area demaniale, destinasse i detenuti in regime di massima sicurezza a un’isola-Parco di straordinaria bellezza paesaggistica e naturalistica e dove il turismo sta assumendo finalmente un ruolo importante". "Lo Stato ha mantenuto sull’Asinara alcune porzioni di territorio ma questo non può significare che possa in alcun modo riattivare le sezioni detentive di Fornelli o Cala d’Oliva. Non è la prima volta però che si ritorni su decisioni "storiche". La Sardegna appare sempre più esposta a subire scelte dall’alto. Speriamo che stavolta - conclude la presidente di Sdr - si tratti solo di un esercizio letterario senza conseguenze, anche se è meglio vigilare". Calabria: il Governo risponde a interrogazione sulla situazione degli istituti penitenziari Public Policy, 11 ottobre 2014 2.364 detenuti su 2.620 posti detentivi disponibili, un solo ricorso nel 2013 alla Cedu presentato da alcuni detenuti calabresi per violazione dell’articolo 3 della Convenzione sui diritti dell’uomo e, nel 2014, 190mila euro per la manutenzione ordinaria e 1 milione e 352mila euro per quella straordinaria delle case circondariali calabresi. Sono questi alcuni dei numeri forniti in commissione Giustizia alla Camera dal viceministro della Giustizia Enrico Costa, che ha risposto a un’interrogazione di Vittorio Ferraresi (M5S) sulla situazione degli istituti penitenziari in Calabria. Da quanto riferito dal governo, "a fronte di una capienza regolamentare di 2620 posti detentivi, alla data del 29 settembre scorso, negli istituti calabresi risultano presenti 2364 detenuti". Nello specifico, ha ricordato Costa, nella casa circondariale di Vibo Valentia vi sono 258 detenuti presenti a fronte di una capienza regolamentare di 365 posti, a Castrovillari sono 110 su 122 posti, nel carcere di Cosenza 243 presenze ma 220 posti, nella casa circondariale di Locri sono 146 presenti per 89 posti. A Palmi, invece, il numero dei detenuti ammonta a 176 a fronte di una capienza di 152 posti mentre a Paola la capienza è indicata in 182 posti ma ci sono 224 persone. Nella casa circondariale di Reggio Calabria "Panzera" 180 presenti per una capienza di 176 posti, nel carcere di Rossano 247 presenti su 215 posti e, infine, nella casa circondariale di Catanzaro i presenti sono 560 e la capienza regolamentare è di 627 posti. Eppure, per il viceministro, bisogna ricordare come "la capienza regolamentare" cui si fa riferimento è quella "calcolata dalla competente direzione generale utilizzando un parametro ben superiore a quello considerato dalla Corte". Infatti il parametro del ministero della Salute italiano si riferisce a "uno spazio di 9 mq per una persona singola più 5 mq per ogni altra persona alloggiata nello stesso ambiente" mentre il paramento della Corte di Strasburgo "è di 7 mq per la persona singola e altri 4 mq per ciascuna ulteriore". Ricorsi alla Cedu Per quanto riguarda i ricorsi presentati alla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo per violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali da parte dei detenuti negli istituti di pena della Calabria nel 2011, "sono stati comunicati dalla Cedu al governo italiano 8 ricorsi, presentati da altrettanti detenuti presso l’istituto penitenziario di Cosenza". Ma i primi ricorsi "sono stati dichiarati irricevibili dalla Corte europea con sentenza del 16 settembre 2014 - ha continuato Costa - non risultando esaurite le vie offerte dal diritto interno". Nel 2013, invece, "è stato comunicato un solo ricorso, da un detenuto ristretto nell’istituto penitenziario di Catanzaro", anch’esso dichiarato irricevibile dalla Corte con sentenza del 1° aprile 2014. Per Costa, invece, negli anni 2010, 2012 e 2014 non sono stati comunicati ricorsi da detenuti calabresi. Effetti dello svuota-carceri Secondo quanto riferito da Costa sui detenuti che negli istituti penitenziari calabresi hanno fruito delle norme cosiddette svuota-carceri "dal 2010 alla fine del mese di agosto 2014 il numero ammonta a 406 soggetti, 44 sono le istanze complessivamente avanzate ai sensi della legge 199/2010 (quella sull’esecuzione domiciliare delle pene; Ndr) e 25 il numero complessivo delle istanze di espulsione dal territorio dello Stato come misura alternativa alla detenzione, presentate da detenuti stranieri ai competenti uffici di sorveglianza". Risorse finanziarie Per quanto attiene alla manutenzione ordinaria e straordinaria delle carceri in Calabria il viceministro ha riportato puntualmente i conti: nel 2009 le somme destinate ammontano a 360.873,76 euro per la manutenzione ordinaria e a 1 milione e 200mila euro per la manutenzione straordinaria, nel 2010 a 509.360,00 e a 798.302,00 euro; nel 2011 a 729.970,00 ed a 37.112,76 euro; nel 2012 a 224mila e 500 euro ed a 3.224.197,96 euro; nel 2013 a 327.226,18 ed a 2.423.447,92 euro; nel 2014 190mila euro e a 1 milione e 352mila euro. E nel 2014 "è stata assegnata una ulteriore somma pari a 253mila euro, destinata a finanziare i lavori di completamento del nuovo reparto dell’istituto di Catanzaro". Carcere Catanzaro Per quanto riguarda la casa circondariale di Catanzaro, per Costa, non sussiste carenza di personale di polizia penitenziaria essendoci "298 unità a fronte della previsione di 257" e "la carenza relativa alla mancanza di una figura di capoarea per l’area educativa e per l’area contabile è stata risolta già da tempo dal provveditorato regionale". E "gli uffici interni destinati alle varie attività istituzionali e gestionali sono stati tutti sistemati" mentre "è in atto la progettazione degli interventi di adeguamento dei reparti detentivi che non hanno la doccia all’interno delle stanze detentive. Infine - ha riferito il viceministro - "sono in corso lavori di adeguamento dei cortili dei passeggi, per i quali è prevista la creazione di un posto di servizio coperto per il personale vigilante e l’implementazione del sistema di videosorveglianza". E in merito alla popolazione detenuta straniera "non sono presenti i mediatori culturali, ma vi è una positiva presenza del volontariato". Infine in merito alla allocazione di tre detenuti per cella, chiusi per 20 ore al giorno - cui faceva riferimento l’interrogazione - Costa ha ricordato "che nei circuiti di alta e di media sicurezza le camere detentive ospitano al massimo 2 detenuti. Soltanto nel padiglione di reclusione di media sicurezza nel quale le celle hanno una superficie maggiore ai 18 mq - escluso il bagno - sono ospitati fino a tre detenuti". La situazione a Paola Nel carcere di Paola, invece, da quanto riportato nel testo della risposta all’interrogazione "ogni ristretto fruisce all’interno della camera di pernottamento di 4,5 mq calpestabili, escluso il bagno, che diventano 5 mq nel nuovo padiglione adibito a custodia attenuata e che, in conformità alle indicazioni contenute nella sentenza Torreggiani, sono garantite almeno 8 ore al giorno al di fuori della camera di pernottamento, che salgono a 10 ore per i detenuti allocati nel reparto a custodia attenuata a sorveglianza dinamica". Ed è presente "un teatro dotato di 158 posti a sedere dove si svolgono rappresentazioni artistiche anche con il coinvolgimento dei ristretti e una ampia palestra solo momentaneamente chiusa per contingenti necessità organizzative". L’impegno del ministero Infine, ha concluso Costa, la questione carceri "esige un impegno costante che il ministro ha in più di un’occasione manifestato", assicurando anche che "l’attenzione e la sensibilità al tema delle condizioni detentive è costantemente mantenuto dal ministero della Giustizia, nella convinzione che la dialettica parlamentare non mancherà di fornire i propri contributi per ogni nuova soluzione" funzionale al raggiungimento "dell’obiettivo condiviso di una realtà carceraria migliore e più umana". Cosenza: il vice ministro Costa risponde sul carcere di Paola, insoddisfatti i Radicali di Emilio Enzo Quintieri (Esponente dei Radicali Italiani) www.radicali.it, 11 ottobre 2014 Il Governo Renzi, giovedì pomeriggio, come preannunciato, ha risposto in Commissione Giustizia alla Camera dei Deputati all’Interrogazione di cui è primo firmatario l’Onorevole Vittorio Ferraresi (M5S), sollecitata dal radicale calabrese Emilio Quintieri, relativa anche alla situazione in cui versa la Casa Circondariale di Paola. La risposta è giunta dal Vice Ministro della Giustizia Enrico Costa, dopo una lunga istruttoria, effettuata dal Dipartimento dell’Organizzazione Giudiziaria, del Dipartimento degli Affari di Giustizia e del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria del Dicastero di Via Arenula, rispettivamente investiti della verifica dell’operato della Magistratura di Sorveglianza, della sussistenza o meno di possibili violazioni della normativa europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle condizioni del penitenziario. Ulteriori notizie sono pervenute, per il tramite del Presidente della Corte di Appello di Catanzaro, dai Presidenti dei Tribunali di Catanzaro e Cosenza e dai Magistrati di Sorveglianza in servizio presso detti Uffici. Il Deputato pentastellato, anche a nome dei suoi colleghi firmatari dell’Interrogazione, in replica al Vice Ministro, ha ringraziato il Governo per l’impegno posto in essere e per l’esaustività della ricostruzione dei fatti, riservandosi l’accertamento di quanto dichiarato e quindi l’eventuale presentazione di altri atti di sindacato ispettivo. Restano insoddisfatti i Radicali per la mancata risposta del Governo ad alcuni quesiti e per l’inesattezza delle informazioni fornite. Il Vice Ministro, in via preliminare, ha precisato che l’impegno del Guardasigilli Andrea Orlando per migliorare le condizioni detentive è stato massimo e polidirezionale sin dall’inizio del suo mandato. I risultati ottenuti sul versante della diminuzione della popolazione carceraria sono sicuramente importanti. Sono infatti notevolmente diminuiti, anche a seguito delle recenti riforme in materia di custodia cautelare, di stupefacenti e di pene non detentive, i flussi medi di ingresso, così come si sono significativamente ridotte le presenze di detenuti in attesa di primo giudizio ed è grandemente cresciuto il numero dei detenuti ammessi a misure alternative. Dall’istruttoria praticata - dice l’On. Costa - non sono emersi riscontri per eventuali carenze o omissioni suscettibili di rilievo disciplinare da parte della Magistratura di Sorveglianza. In particolare, non sono stati rilevati comportamenti dovuti a negligenza o inerzia, risultando piuttosto una attenta vigilanza - anche tramite frequenti visite - nei penitenziari di competenza. È stato reso noto che, alla data del 29 settembre, a fronte di una capienza regolamentare di complessivi 2.620 posti detentivi, negli Istituti calabresi risultano presenti 2.364 detenuti e, nella Casa Circondariale del Tirreno, la capienza è indicata in 182 posti, mentre le presenze ammontano a 224 dei quali 35 stranieri (42 in esubero). Prima, tiene a precisare Quintieri, la capienza era di 161 posti, poi aumentata a 172 ed ulteriormente a 182 e la presenza effettiva era sempre intorno alle 300 unità (260 al 31/12/2012, 252 al 30/06/2013, 289 al 31/12/2013, 264 al 30/06/2014). All’interno dell’Istituto, vi sono ristretti 49 tossicodipendenti e 7 detenuti affetti da patologie psichiatriche. Relativamente alla manutenzione ordinaria della struttura, negli ultimi 5 anni, è stata impegnata una cifra così ripartita per anno : 28.000,00 euro nel 2009, 57.000,00 euro nel 2010, 44.548,00 euro nel 2011, 24.320,00 euro nel 2012, 8.190,00 euro nel 2013. Per quanto attiene l’impegno di spesa per la manutenzione straordinaria è stata impegnata la cifra di: 378.743,00 euro nel 2009, 72.430,00 euro nel 2010, 35.840,00 euro nel 2011, 74.089,00 euro nel 2012 e 687.826,00 euro nel 2013. Complessivamente, in Calabria, sono state spese : nel 2009, 360.873,76 euro per la manutenzione ordinaria e 1.200.000,00 euro per la manutenzione straordinaria, nel 2010, 509.360,00 e 798.302,00 euro, nel 2011, 729.970,00 e 37.112,76 euro, nel 2012, 224.500,00 e 3.224.197,96 euro, nel 2013, 327.226,18 e 2.423.447,92 euro, nel 2014, 190.000,00 e 1.352.000,00 euro. Sebbene nel corso del 2014 le somme assegnate abbiano subito un decremento rispetto agli anni precedenti, ha segnalato il Vice di Orlando, è stata assegnata una ulteriore somma pari a 253.000 euro, destinata a finanziare i lavori di completamento del nuovo reparto annesso all’Istituto di Catanzaro. Il Governo ha rassicurato gli Onorevoli interroganti che nel Carcere di Paola è stato finalmente approvato il Regolamento interno con regolare Decreto del Capo del Dipartimento del 16 febbraio scorso, che viene praticata la "sorveglianza dinamica" imposta con la Sentenza Torreggiani della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, garantendo ai detenuti almeno 8 ore al giorno al di fuori della cella, che salgono a 10 ore per i detenuti allocati nel nuovo reparto a custodia attenuata. Ogni ristretto, secondo il Ministero, fruisce all’interno della cella di 4,5 mq calpestabili, escluso il bagno, che diventano 5 mq nel nuovo padiglione adibito a custodia attenuata e che nessuno vive in spazi inferiori ai 3 mq imposti dall’Europa. Questi dati, in particolare, vengono sonoramente contestati dal radicale Quintieri perché, ogni detenuto nei cinque reparti comuni, fruisce di uno spazio pro capite di 2,88 mq, e quindi inferiore ai 3 mq, e ciò in quanto dalla superficie totale va sottratta la superficie occupata dagli arredi della cella (letti, armadietti, etc.) come stabilito dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo e della Cassazione. Riguardo le opportunità trattamentali offerte in ambito intramurario sono molteplici: in particolare, la biblioteca centrale gestita dal cappellano che si aggiunge ad altre attività, quali quelle che si svolgono nella sala socialità ed in quella di lettura e modellismo presenti in ogni reparto, perfettamente funzionanti ed assiduamente frequentate dai detenuti. Nella struttura paolana vi è altresì un teatro dotato di 158 posti a sedere dove si svolgono rappresentazioni artistiche anche con il coinvolgimento dei ristretti e una ampia palestra solo momentaneamente chiusa per contingenti necessità organizzative. Anche queste ultime circostanze vengono contestate dall’esponente radicale il quale riferisce che: le sale socialità, lettura e modellismo, sono state allestite ed aperte solo di recente così come il teatro, realizzato nel 2005, precedentemente chiuso e non funzionante per tutto il 2013 per lavori di ristrutturazione dovuti ad infiltrazioni meteoriche e le rappresentazioni artistiche di cui parla il Vice Ministro risalgono a qualche anno fa. Le attività lavorative presenti ha confermato il Governo sono esclusivamente quelle alle dipendenze dell’Amministrazione. Tuttavia, l’On. Enrico Costa, ha segnalato che esiste un protocollo di intesa tra la Casa Circondariale ed il Comune di Paola, sottoscritto il 19/12/2012 con validità triennale, con il quale dovrebbero essere avviati al lavoro esterno ai sensi dell’Art. 21 della Legge Penitenziaria, un congruo numero di detenuti. Allo stato, per quanto mi risulta, continua il radicale Quintieri, nessun detenuto è mai stato ammesso al lavoro esterno con il Comune di Paola. La lavanderia, risulta chiusa dallo scorso mese di luglio per lavori di ristrutturazione. L’impianto di illuminazione notturna è stato ripristinato ed è oggi perfettamente funzionante, in seguito all’accoglimento, da parte del Magistrato di Sorveglianza di Cosenza, di un reclamo presentato dal detenuto Quintieri, quand’era ristretto in detto Istituto. Per le sale colloqui, ha aggiunto il Vice Ministro On. Enrico Costa, sono in via di completamento i lavori di adeguamento che riguarderanno anche la creazione di una sala destinata ai colloqui con i bambini oltre ad altre 3 sale a norma del Regolamento di Esecuzione Penitenziaria. È garantita a tutti i detenuti la effettuazione dei colloqui anche nelle ore pomeridiane e per sei giorni a settimana, compresa, a rotazione, la giornata di domenica ed è prevista la prenotazione delle visite al fine di evitare file ed attese. Nel corso del 2014 è stato attivato, a cura del "Centro Territoriale Permanente - Educazione degli Adulti" di Paola, un progetto a termine di servizio di mediazione culturale per la popolazione detenuta straniera, iniziato nel mese di maggio e concluso nel successivo mese di luglio 2014. Il rappresentante del Governo ha tenuto a precisare che, anche la Casa Circondariale di Paola, viene visitata con cadenza temporale periodica, dalla competente Autorità Sanitaria Locale. Nulla ha detto il Governo - conclude il radicale calabrese Emilio Quintieri agli specifici quesiti formulati nell’atto ispettivo parlamentare - afferenti le istanze di espulsione avanzate all’Ufficio di Sorveglianza di Cosenza dai detenuti stranieri, le date e gli esiti delle visite igienico - sanitarie effettuate ed alla frequenza delle visite, anche di ispezione nelle celle dei detenuti, da parte del Giudice di Sorveglianza. Frosinone: il Garante; Magistrato di Sorveglianza in maternità, permessi diventano rebus Agenparl, 11 ottobre 2014 Tempi di attesa lunghissimi anche solo per conoscere una risposta ad istanze di liberazione anticipata, oltre un anno per avere l’esito di una istanza di permesso premio, ripercussioni concrete sulla possibilità di richiedere i benefici previsti dalla legge. Sono questi i disagi nei rapporti con il Magistrato di Sorveglianza che i detenuti del carcere di Frosinone hanno lamentato in una lettera inviata al Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni. Ritardi e disagi sono causati dalla mancanza di un Magistrato di Sorveglianza fisso. Dal momento che il giudice titolare è entrato in maternità, i detenuti non hanno più un Magistrato di Sorveglianza che si occupi, a tempo pieno, di loro e delle loro istanze. Ogni quindici giorni il posto viene infatti coperto a rotazione da sostituti, con tangibili ripercussioni sull’attività dell’Ufficio. Una situazione per altro nota al Garante, che in questi mesi ha più volte sollecitato all’Ufficio di Sorveglianza istanze di detenuti e di avvocati. Per capire l’importanza dell’assenza del Magistrato di Sorveglianza basti pensare che, fra i suoi compiti, ci sono anche la concessione dei permessi-premio, passaggio importante per il detenuto in vista dell’assegnazione di una misura alternativa alla detenzione. "Una situazione - ha detto il Garante - che si aggrava ogni giorno di più anche in considerazione del fatto che le ultime leggi adottate dal Parlamento hanno certamente imposto un aggravio di lavoro agli Uffici di Sorveglianza. Quella che stanno vivendo, con sempre maggiore insofferenza, i detenuti del carcere di Frosinone è una situazione che ritengono fortemente lesiva dei loro diritti. Per questo, ho interessato della vicenda il Ministero della Giustizia e il Presidente del Tribunale affinché si facciano carico di risolvere, in tempi brevi, la situazione al fine di restituire la piena operatività all’Ufficio". Modena: sopralluogo della Garante dei detenuti alla Casa lavoro di Castelfranco Emilia www.modena2000.it, 11 ottobre 2014 Dopo la visita del 9 ottobre alla casa lavoro di Castelfranco Emilia (Mo), la Garante regionale dei detenuti, Desi Bruno, sottolinea come "resta valido l’interrogativo sull’effettiva utilità per gli internati e per la collettività di strutture così concepite". Il dato relative alle presenze è di 93 persone (di cui 89 internati e 4 detenuti in custodia attenuata); fra questi, 15 internati non erano fisicamente in istituto, ma in carico alla struttura, in quanto in licenza. Secondo la Garante, "è sconfortante il quadro relativo alla possibilità di lavorare all’interno della struttura; persino la lavanderia, in cui erano impiegati i pochi detenuti in custodia attenuata è allo stato chiusa. E ciò avviene nonostante il lavoro debba rappresentare il contenuto caratterizzante questa misura di sicurezza. Al contrario, mancano progetti di lavoro effettivo e remunerato, lavorando le persone per lo più nelle mansioni alle dipendenze dell’Amministrazione penitenziaria, e solo pochi internati sono impiegati nell’azienda zootecnica e nel lavoro agricolo e delle serre, che dovrebbero essere la vera ricchezza della struttura". Nella casa lavoro, si trovano per la quasi totalità persone che hanno commesso reati a cui il magistrato ha applicato questa ulteriore misura di sicurezza perché considerate socialmente pericolose, per lo più in condizione di fortissimo disagio sociale, con problemi psichiatrici, alcune delle quali con doppia diagnosi. Proprio nei giorni scorsi, si deve registrare un tentativo di suicidio da parte di un internato, salvato grazie al pronto intervento di un compagno di cella. Si tratta di una persona con disagio psichico, che in passato ha trascorso un anno presso l’Opg (Ospedale psichiatrico giudiziario) e che, in precedenti periodi detentivi presso altre strutture, aveva già posto in essere tentativi auto-soppressivi. Nel corso del colloquio, l’internato ha riferito di avvertire un miglioramento delle condizioni, anche in ragione dell’integrazione della terapia farmacologica. Ha, inoltre, comunicato che è in contatto con associazioni che si stanno impegnando per il suo inserimento in una comunità adatta alle sue condizioni, ma, essendo senza fissa dimora, non può essere preso in carico dai servizi (l’Ufficio del Garante solleciterà i servizi demografici del Comune di Castelfranco Emilia). La Garante ha incontrato una rappresentanza di internati e detenuti, i quali hanno espresso forte disagio e preoccupazione in relazione alla vacanza del magistrato di sorveglianza di Modena che ha competenza territoriale sulla struttura, il cui ruolo è temporaneamente affidato, in supplenza, ad altri magistrati di sorveglianza. La mancanza del magistrato (o la mera supplenza) può determinare, e in alcuni casi si è già verificato, il blocco dell’attività ordinaria di esame delle istanze presentate dai detenuti e dagli internati, con conseguente interruzione dei percorsi trattamentali esterni. La carenza di provvedimenti da parte della magistratura di sorveglianza, avrebbe già comportato la cancellazione di appuntamenti, da tempo calendarizzati, con i Ser.T. territoriali, propedeutici alla presa in carico con l’ingresso in comunità terapeutica. Nel corso dell’estate, l’Ufficio del Garante regionale aveva già segnalato la questione al ministero di Giustizia, al Consiglio superiore della Magistratura e ai Parlamentari eletti in Emilia-Romagna. Appare prioritaria una rapida soluzione, nell’ambito della necessità di risolvere la carenza di organico della magistratura di sorveglianza della regione, sul cui territorio ci sono istituti a forte criticità e complessità, come l’Opg di Reggio Emilia e gli istituti penitenziari di Parma. In attesa di decisioni al riguardo, si ha conferma che la vicenda è all’attenzione del Ministero. Sono presenti anche quattro detenuti in custodia attenuata, con problemi di tossicodipendenza, privi di una reale progettualità. Risulta scarsa la presenza di volontari. Detenuto tenta suicidio, salvato Tentativo di suicidio, nei giorni scorsi, di un internato nella casa lavoro di Castelfranco Emilia (Modena). Lo rende noto la Garante regionale dei detenuti, Desi Bruno, che ha nuovamente visitato la struttura ieri e, tra l’altro, ha incontrato l’uomo, salvato grazie al pronto intervento di un compagno di cella. Si tratta di una persona con disagio psichico, che in passato ha trascorso un anno all’ospedale psichiatrico giudiziario e che, in precedenti periodi detentivi in altre strutture, aveva già tentato di togliersi la vita. Nel corso del colloquio, l’uomo ha riferito alla Garante di avvertire un miglioramento delle condizioni, anche in ragione dell’integrazione della terapia farmacologica. Ha, inoltre, comunicato che è in contatto con associazioni che si stanno impegnando per il suo inserimento in una comunità adatta alle sue condizioni, ma è un senza fissa dimora e pare che non possa essere preso in carico dai servizi; in ogni modo, l’Ufficio del Garante solleciterà i servizi demografici del Comune di Castelfranco Emilia. Restano dubbi su utilità Case di lavoro La Garante regionale dei detenuti, Desi Bruno, ha rilanciato "l’interrogativo sull’effettiva utilità per gli internati e per la collettività" di strutture come la casa lavoro di Castelfranco Emilia (Modena), visitata nuovamente ieri. Sono concepite - spiega - per il lavoro come "contenuto caratterizzante" della misura di sicurezza, ma "è sconfortante il quadro relativo alla possibilità di lavorare all’interno della struttura; è chiusa persino la lavanderia, in cui erano impiegati i pochi detenuti in custodia attenuata". Inoltre, prosegue l’avvocato Bruno, "mancano progetti di lavoro effettivo e remunerato", e gli internati sono impiegati "per lo più nelle mansioni alle dipendenze dell’Amministrazione penitenziaria, e solo pochi nell’azienda zootecnica e nel lavoro agricolo e delle serre, che dovrebbero essere la vera ricchezza della struttura". Presenti ieri 93 persone (89 internati e 4 in custodia attenuata con problemi di tossicodipendenza, ma 15 internati assenti in licenza). Quasi tutti hanno commesso reati a cui il magistrato ha applicato questa ulteriore misura di sicurezza perché considerati socialmente pericolosi, per lo più in condizione di fortissimo disagio sociale, con problemi psichiatrici, alcuni con doppia diagnosi. Scarsa la presenza di volontari. Una rappresentanza di internati e detenuti ha espresso alla Garante preoccupazione per "la vacanza del magistrato di sorveglianza di Modena che ha competenza territoriale sulla struttura, il cui ruolo è temporaneamente affidato, in supplenza, ad altri magistrati di sorveglianza", situazione che ha già bloccato a volte l’esame "delle istanze presentate dai detenuti e dagli internati, con conseguente interruzione dei percorsi trattamentali esterni. La carenza di provvedimenti da parte della magistratura di sorveglianza, avrebbe già comportato la cancellazione di appuntamenti, da tempo calendarizzati, con i Ser.T. territoriali, propedeutici alla presa in carico con l’ingresso in comunità terapeutica". L’Ufficio del Garante aveva già segnalato la questione al ministero di Giustizia, al Consiglio superiore della Magistratura e ai parlamentari eletti in Emilia-Romagna, regione dove sono presenti "istituti a forte criticità e complessità, come l’Opg di Reggio Emilia e gli istituti penitenziari di Parma" e, in attesa di decisioni, "la vicenda è all’attenzione del Ministero". Potenza: Bolognetti (Ri) denuncia stato pietoso del carcere, ma viene convocato per altro di Massimo Brancati Gazzetta del Mezzogiorno, 11 ottobre 2014 È stato chiamato dai magistrati del tribunale di Catanzaro in qualità di testimone per una vicenda che riguarda un detenuto all’epoca rinchiuso nel carcere di Potenza. Si è arrovellato nei pensieri e negli interrogativi: che c’entro io con quell’uomo? Una persona mai conosciuta, un nome che non gli dice niente. Maurizio Bolognetti, segretario regionale dei Radicali, ha scoperto solo ieri il motivo di quella chiamata: sarà ascoltato, insieme alla moglie Maria Antonietta, su una storia di minacce che quel detenuto avrebbe rivolto ad un magistrato potentino all’interno della casa circondariale dove Bolognetti e consorte si erano recati in qualità di accompagnatori dell’on. Rita Bernardini. Una visita ispettiva che risale all’estate del 2012, una delle tante che vede impegnati i Radicali da sempre molto attenti alle tematiche riguardanti i diritti dietro le sbarre. Secondo l’accusa il detenuto, proprio nel corso di quella visita, avrebbe minacciato il Giudice di sorveglianza. I coniugi Bolognetti sono stati convocati dalla Procura per questa storia che è inedita nel panorama delle visite ispettive, ma della loro denuncia sulle condizioni precarie del carcere neppure l’ambra di un riscontro. Avevano scritto al Procuratore di "bagni dei puffi" a vista, di mancato rispetto dell’art. 27 della Costituzione, di carenze di organico, di scarsa manutenzione. A questo punto la domanda è d’obbligo: ma in Italia esiste l’obbligatorietà dell’azione penale? E se esiste, perché la Procura non ha dato seguito alla denuncia di Bolognetti? Il leader lucano dei Radicali dice di non ricordare di aver assistito, in occasione della visita, ad accuse del detenuto al magistrato. E lo ribadirà in tribunale. Ma se lui e la moglie, come ritiene la Procura di Catanzaro, sono stati spettatori di questa aggressione verbale allora lo è stata anche l’on. Rita Bernardini, a capo della delegazione. Perché non è stata citata anche lei tra i testimoni? Opera (Mi): un caso di tubercolosi in carcere, scattano i controlli su 150 dipendenti di Alessandra Corica La Repubblica, 11 ottobre 2014 Controlli a tappeto. Per individuare le persone entrate in contatto con il "paziente zero", e sottoporle ai test per verificare se sono state esposte al batterio oppure no. Succede nel carcere di Opera: a un funzionario in forza nella casa circondariale è stata diagnosticata la Tbc. Per questo motivo il personale che potrebbe essere stato esposto all’infezione dovrà essere sottoposto al test di Mantoux. Coloro che risulteranno positivi saranno inviati per ulteriori accertamenti a Villa Marelli, il centro specializzato nella cura della tubercolosi che dipende dall’ospedale Niguarda. E, in caso di diagnosi conclamata, dovranno iniziare la terapia. Nei mesi scorsi uno dei lavoratori della struttura - originario e residente nel Sud Italia, dove adesso è ricoverato - avrebbe iniziato a mostrare i primi sintomi. La diagnosi conclamata della malattia però sarebbe arrivata solo di recente. Di qui, l’allerta di questi giorni dell’Asl di Milano, che ha avviato i controlli sul personale della struttura (in tutto, circa 700 persone: di questi, secondo i calcoli dell’Asl, circa 150 sono da esaminare). Le verifiche dovrebbero proseguire fino all’inizio della prossima settimana. Il protocollo prevede che sia fatto il test di Mantoux a chi potrebbe essere entrato in contatto con il batterio: l’esame permette di capire se, nell’ultimo periodo, una persona è stata esposta oppure no all’infezione. "Coloro che risulteranno positivi, e che non sono per forza malati - spiega Giorgio Ciconali, direttore del servita zio Igiene e sanità pubblica dell’Asl di Milano - saranno presi in carico dagli specialisti di Villa Marelli per ulteriori accertamenti". Da corso Italia ci tengono a sottolineare che non c’è alcun allarme: i controlli saranno limitati solo ai lavoratori "che hanno avuto contatti seri e prolungati con il paziente ammalato". I test non dovrebbero essere fatti ai detenuti, che vengono già sottoposti a controlli periodici e di routine dai medici dell’ospedale San Paolo (la struttura incarica- dell’assistenza nel carcere di Opera). Chi risulterà negativo, dovrà rifare l’esame tra due-tre mesi, "visto che i segnali che il soggetto è entrato in contatto con il virus possono manifestarsi anche a distanza di tempo", precisa il direttore di Villa Marelli, Giorgio Besozzi. Chi invece sarà positivo, sarà inviato nella struttura di viale Zara, specializzata proprio nella diagnosi e cura della Tbc. "A ogni paziente sarà fatta una lastra - dice Besozzi. Se questa permetterà di diagnosticare la malattia in modo conclamato, allora il soggetto sarà subito sottoposto alla terapia per la Tbc. Chi invece non presenterà tracce della malattia nella lastra, nonostante la positività al test di Mantoux, dovrà essere sottoposto a una terapia preventiva di sei mesi". Cremona: tenta di evadere dal carcere confondendosi tra i muratori, fermati dagli agenti La Provincia, 11 ottobre 2014 Gli agenti capiscono tutto e bloccano il detenuto prima che riesca a varcare i cancelli. Avrebbe finito di scontare la pena tra non più di cinque mesi, ma ha tentato ugualmente di evadere dal carcere. Ci ha provato cercando di uscire da Cà del Ferro confondendosi tra gli operai che in queste settimane lavorano all’interno della struttura. Un classico, quantomeno della filmografia di genere. Gli agenti, però, hanno visto e capito tutto e sono intervenuti prima che il detenuto riuscisse a varcare i cancelli. Ora un detenuto romeno, a seguito della denuncia rimediata per il tentativo di fuga di lunedì 6 ottobre, potrebbe ritrovarsi a trascorrere oltre le sbarre ben più dei mesi che gli restano da scontare. La notizia è stata confermata da varie fonti sindacali, a cominciare dai vertici Lombardi del Sappe. Livorno: "Invertiamo la rotta", progetto di "Matti per la Vela" per i giovani detenuti Libero, 11 ottobre 2014 Si è conclusa nei giorni scorsi, con una visita dell’isola di Gorgona, la fase sperimentale di "Invertiamo la rotta", progetto per minori dell’area penale esterna residenti sul territorio livornese che Matti per la Vela Onlus ha strutturato in collaborazione con l’Ufficio di Servizio Sociale per i Minorenni di Livorno del Centro per la Giustizia Minorile. Nelle prossime settimane, quindi, i due enti definiranno gli ultimi dettagli di un nuovo programma triennale che verrà successivamente presentato alla città. Giovedì 25 settembre quattro ragazzi in carico all’Ufficio di Servizio Sociale per i Minorenni (USSM) sono sbarcati a Gorgona ospiti della struttura penitenziaria. Gli adolescenti, che mai prima avevano messo piede su una barca a vela, hanno navigato, partecipando attivamente alle manovre, alla volta dell’isola livornese per una visita ai siti del carcere. Il viaggio didattico ha avuto il merito di coniugare la sperimentazione della navigazione a vela - che funziona solo con la partecipazione in squadra di tutto l’equipaggio - con l’incontro con percorsi di vita piuttosto particolari, nella cornice della natura pressoché incontaminata dell’isola. Una sintesi perfetta di quello che è al centro di Invertiamo la rotta, il progetto di Matti per la Vela, attivo ormai da cinque anni sul territorio livornese grazie ad accordi siglati sia con il Cgm che con i Servizi sociali del Comune e incentrato sui minori a rischio del territorio ai quali offrire una nuova esperienza di comunità e sbocchi professionali alternativi. "Questa iniziativa ha una duplice valenza - ha spiegato la dottoressa Anna Amendolea, direttrice dell’Ufficio di Servizio Sociale per i Minorenni per il Distretto di Corte d’Appello della Toscana del Dipartimento per la Giustizia Minorile del Ministero della Giustizia, che ha partecipato all’attività -: da un lato ha permesso di avvicinare i ragazzi alla navigazione con le relative fatiche e soddisfazioni, dall’altro ha consentito di mostrare ai giovani l’isola aprendo un dialogo sul tema delle conseguenze delle proprie azioni da un punto di vista penale e le occasioni di percorsi di cambiamento. Questa esperienza apre ora le porte ad un nuovo progetto triennale che sarà finalizzato anche a formare i giovani selezionati verso i mestieri del mare". Droghe: San Patrignano; necessarie misure alternative al carcere, anche per risparmiare Ansa, 11 ottobre 2014 Le misure alternative per i detenuti con problemi di droga "sono una necessità per attuare il dettato costituzionale, per abbattere la recidiva dei reati e per risparmiare: solo i detenuti accolti a San Patrignano hanno evitato quasi 300 milioni di euro di spese". È quanto emerso nel primo dibattito dei WeFree Days 2014, aperti oggi a San Patrignano davanti a un pubblico composto in gran parte da studenti cui le giornate sono dedicate. La comunità di recupero riminese si legge in una nota, "dal primo gennaio 1980 al 30 settembre scorso, ha accolto 3.844 persone tra arresti domiciliari, affidamento sociale e detenzione domiciliare, in sostituzione di 1.387.669 giorni di carcere che, calcolando un costo, inferiore alla realtà, di 200 euro al giorno, hanno permesso un risparmio per la collettività di 277.635.800 euro. Nel solo 2013 - chiosa la nota - 190 persone hanno scontato in Comunità pene per 41.915 giornate e di conseguenza lo Stato ha risparmiato 8.383.000 euro". Stati Uniti: Obama studia opzioni per chiudere Guantánamo, ignorando pareri Congresso Asca, 11 ottobre 2014 La Casa Bianca sta definendo le opzioni che permettano al presidente Barack Obama di chiudere Guantánamo ignorando il divieto di trasferire i detenuti negli Stati Uniti imposto dal Congresso. È quanto hanno riferito al Wall Street Journal fonti dell’amministrazione, sottolineando che il presidente preferirebbe di gran lunga una soluzione legislativa, piuttosto che ricorrere al suo potere esecutivo, ma allo stesso tempo Obama è fermo nel suo impegno di chiudere Guantánamo e vuole che siano pronte tutte le opzioni a sua disposizione. Secondo i funzionari della Casa Bianca sono due le opzioni a disposizione del presidente, qualora il Congresso dovesse confermare il divieto di trasferimento dopo le elezioni di mid-term: potrebbe porre il veto sulla legge annuale di politica militare (National Defence Authorization Act), che comprende anche tale disposizione riguardo a Guantánamo, oppure firmare la legge, bollando al contempo le restrizioni sul trasferimento dei detenuti come una violazione dei suoi poteri di comandante in capo. Sebbene negli ultimi anni diversi detenuti siano stati trasferiti in paesi alleati degli Stati Uniti, l’amministrazione americana sa che il carcere di Guantánamo non potrà mai essere chiuso senza il trasferimento di alcuni prigionieri negli Stati Uniti, misura a cui il Congresso si oppone dal 2010. Le autorità di sicurezza Usa hanno già approvato il rimpatrio di 79 dei 149 detenuti ancora presenti a Guantánamo, ostacolato finora da difficoltà politiche o diplomatiche; altri 37 prigionieri sono considerati troppo pericolosi per essere rilasciati ma, in assenza di prove da parte del governo Usa, sono al momento destinati a rimanere in stato di detenzione senza processo; altri 23 sono invece sotto processo. La strategia dell’amministrazione per vincere l’opposizione al loro trasferimento negli Stati uniti consiste anche nel denunciare l’insostenibilità dei costi di Guantánamo, dove un detenuto costa 2,7 milioni di dollari l’anno contro i 78.000 dollari di un carcere americano di massima sicurezza. A fronte di numeri sempre più esigui a Guantánamo, la questione di un trasferimento interno si rafforza, ha detto una fonte dell’amministrazione. Stati Uniti: "chiudere il carcere di Guantánamo", Obama valuta un ordine esecutivo Ansa, 11 ottobre 2014 Il supercarcere di Guantánamo deve essere chiuso. Obama non ha dimenticato la promessa fatta prima di essere eletto, rinnovata anche dopo essere stato rieletto, e ora torna alla carica. In questi sei anni il Congresso gli ha messo i bastoni tra le ruote in tutti i modi, ma ora il presidente sta considerando la possibilità di aggirarlo, utilizzando i suoi poteri esecutivi in qualità di Commander in Chief. La Casa Bianca sta esaminando le possibilità sul tavolo, perché il presidente "è incrollabile nel suo impegno", ha detto un alto funzionario dell’amministrazione citato in forma anonima dal Wall Street Journal. Ma la strada è ancora tutta in salita, mentre gli Stati Uniti sono di nuovo alle prese con un’offensiva contro il terrorismo globale. E anche se gli ostaggi occidentali dell’Isis sono stati mostrati al mondo con indosso la tutta arancione come quella dei detenuti di Guantánamo, prima di essere decapitati, la gran parte degli americani sono contrari alla chiusura del supercarcere militare a Cuba. Secondo un sondaggio dello scorso giugno pubblicato dal Wsj, solo il 29 per cento degli interpellati è a favore della chiusura e del trasferimento dei detenuti in carceri di massima sicurezza negli Usa, mentre il 66 per cento si dice contrario. Una situazione di fatto rispecchiata anche dal Congresso, dove i repubblicani sono contrari e i democratici potrebbero spaccarsi. Tra le opzioni praticabili, secondo gli esperti della Casa Bianca, il presidente potrebbe ricorre al veto alla legge annuale che stabilisce la politica militare, il "National Defence Atuhorization Act" (Ndac), in cui è menzionato il divieto di trasferimento dei detenuti da Guantánamo negli Usa. Ma si tratta di una prospettiva che potrebbe avere significativi rischi politici. Più praticabile appare l’ipotesi di ricorrere ai poteri esecutivi firmando il Ndac ma dichiarando che il divieto al trasferimento è una violazione dei suoi poteri di Commander in Chief, come ha già fatto in passato. Eventuali azioni unilaterali "provocherebbero una tempesta di fuoco, anche se sono la migliore soluzione per il problema di Guantánamo", ha affermato Stephen Valdeck, docente di diritto all’American University. Ma in tempi di vacche magre, un ulteriore tasto da schiacciare potrebbe essere quello dei risparmi. Attualmente, i 149 detenuti rimasti a Guantánamo costano al contribuente 2,7 milioni di dollari l’uno l’anno. Un detenuto di un carcere di massima sicurezza costa invece 78 mila dollari l’anno. Cina: attacco in un Mc Donald’s, condannati a morte due adepti di una setta religiosa Agi, 11 ottobre 2014 Due membri della setta religiosa della Chiesa di Dio Onnipotente sono stati condannati a morte in Cina per l’omicidio di una donna in un Mc Donald’s di una piccola località dello Shandong, Zhaoyuan, nel maggio scorso. La Corte Intermedia del Popolo di Yantai, nella provincia orientale cinese dello Shandong, ha inflitto anche pene dai sette anni di carcere all’ergastolo a tre complici, due dei quali parenti dei condannati a morte. L’omicidio della donna, di cognome Wu, è stato uno dei più efferati casi di cronaca di quest’anno e aveva provocato un’ondata di sdegno per la sua brutalità e per il mancato intervento dei presenti nel fast food. La donna, madre di un bambino di cinque anni, era stata picchiata a morte dagli uomini perchè non voleva aderire alla setta. Iran: Maryam Rajavi; oltre 1.000 le esecuzioni capitali durante la presidenza di Rouhani www.ncr-iran.org, 11 ottobre 2014 In un messaggio in occasione della Giornata Internazionale contro la Pena di Morte, il 10 Ottobre, Maryam Rajavi, Presidente eletta della Resistenza Iraniana, ha dichiarato che l’esecuzione di oltre 1000 prigionieri durante la presidenza di Rouhani, tra i quali molti detenuti politici, tradisce ancora una volta l’illusione di moderazione di questo regime e quelli che lo compiacciono. Rende inoltre ancor più pressante la necessità di presentare il dossier sulle barbare e sistematiche violazioni dei diritti umani in Iran al Consiglio di Sicurezza dell’Onu e che i leader del regime dei mullah affrontino la giustizia. Maryam Rajavi ha anche affermato che la dittatura religiosa al potere in Iran è un governo forcaiolo come dimostrano la sua storia, la sua ideologia, le sue leggi e le sue politiche quotidiane. Ogni otto ore impicca almeno una persona ed è incapace di sopravvivere senza queste esecuzioni. Questo regime ha impiegato la crudele pena di morte, in particolare quella in pubblico, per creare un’atmosfera di orrore e terrore che tenga a freno le fiamme della rabbia di una popolazione stufa di oppressione, inflazione, povertà e disoccupazione. Il trend in crescita delle esecuzioni è direttamente collegato allo stato di crisi che avviluppa questo regime e il fatto che lo scorso anno in Iran sia stato praticato il più alto numero di esecuzioni dell’ultimo quarto di secolo, indica la debolezza senza precedenti di questo regime nei confronti della resistenza di un popolo infuriato. L’indifferenza dimostrata dalla comunità internazionale verso questi crimini, con la scusa dei negoziati sul nucleare, equivale ad approvare questi criminali al potere in Iran e ad incoraggiarli a continuare le loro atrocità. Maryam Rajavi ha elogiato le dimostrazioni e i movimenti di protesta delle famiglie dei giustiziati, dei detenuti e dei giovani valorosi contro le esecuzioni dei prigionieri ed ha chiesto alla popolazione di aumentare queste proteste. Ha aggiunto che la Resistenza Iraniana propugna l’annullamento della pena di morte in Iran dopo la caduta dei mullah ed il ristabilimento di una società basata sui diritti umani, dove la tortura e le esecuzioni apparterranno al passato. Durante la presidenza di Rouhani, oltre 1.000 prigionieri sono stati giustiziati, benché le notizie delle esecuzioni di molti di loro non vengano mai date. Tra questi ci sono almeno 27 donne e 12 detenuti minorenni all’epoca del loro arresto, 20 prigionieri politici e 57 di queste esecuzioni sono state pubbliche. Durante questo stesso periodo molti prigionieri sono stati uccisi sotto tortura. Oltre all’esecuzione dei detenuti, durante l’anno passato l’omicidio è stato un metodo utilizzato per eliminare i dissidenti. Inoltre, molti sono stati uccisi dalle forze di repressione in diverse parti del paese. Pene atroci, come il taglio della mano, l’accecamento e il taglio delle orecchie, hanno completato il ciclo di atrocità e orrore nel regime dei mullah. L’indifferenza della comunità internazionale e il suo immobilismo di fronte alle atrocità commesse da questo regime medievale, ha fatto sì che i suoi leader si siano sfacciatamente vantati dei loro crimini. Il mullah Rouhani definisce l’esecuzione "legge di Dio" e "legge del popolo". (agenzia di stampa Tasnim, legata alla forza terroristica Quds - 19 Aprile 2014) E Javad Larijani, capo della cosiddetta "sezione diritti umani" della magistratura dei mullah dice: "Noi non ci vergogniamo della lapidazione o di altri dettami islamici.... nessuno ha il diritto di dire ad un giudice di evitare di emettere certi verdetti perché disturbano le Nazioni Unite". (10 Aprile 2014) Allo stesso modo ha chiesto "fermezza" nelle esecuzioni in quanto "un grande servizio all’umanità" e "una sorgente di vita". E ha detto: "Questa questione è motivo di orgoglio per il nostro sistema giudiziario e per i nostri organi di sicurezza. Ci aspettiamo che le istituzioni internazionali e il mondo ci siano grati per questo enorme servizio all’umanità". Questo stesso criminale ha orribilmente definito l’ultimo rapporto del Dr. Ahmed Shaheed, l’Inviato Speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei Diritti Umani in Iran, un sostegno al terrorismo e ai terroristi dicendo: "La sua difesa del terrorismo è perseguibile e noi non possiamo lasciar cadere facilmente la cosa. Ha dichiarato tutti gli individui arrestati o puniti in Iran per il reato di terrorismo, difensori dei diritti umani. Ciò può essere perseguito legalmente. Secondo le norme delle Nazioni Unite, nessuna istituzione può difendere il terrorismo". (Tv di stato - 8 ottobre). Segretariato del Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana Siria: dopo la liberazione di padre Hanna Jallouf, restano ancora detenuti 5 cristiani Agi, 11 ottobre 2014 Dopo la liberazione di padre Hanna Jallouf, parroco nel villaggio siriano di Knayeh, rimangono ancora in stato di detenzione cinque uomini dei circa venti parrocchiani che insieme con lui avevano subito il rastrellamento da parte di una brigata di Jihadisti, la notte tra domenica 5 e lunedì 6 ottobre. Fonti locali riferiscono all’Agenzia Fides che i cinque uomini sono persone coinvolte nelle attività dei conventi francescani dei villaggi di Knayeh e del contiguo villaggio di Yacoubieh, ambedue situati in un’area della Siria nord-occidentale da anni sotto il controllo delle milizie anti-regime. Tra i cinque uomini ancora detenuti c’è uno zio di padre Hanna. Gli altri sono il cuoco del convento di san Giuseppe a Knayeh e l’operaio factotum del convento di Nostra Signora di Fatima a Yacoubieh, insieme ai rispettivi fratelli. Nuovi particolari emersi con il trascorrere delle ore chiariscono la dinamica del rastrellamento avvenuto nella notte tra domenica e lunedì scorsi: non si è trattato di un rapimento, ma di una misura punitiva messa in atto su disposizione del Tribunale islamico di Darkush, a pochi chilometri da Knayeh. Tutta l’operazione è stata condotta su input di quell’organismo garante del "nuovo ordine" che gli islamisti hanno imposto nelle aree sottoposte al loro controllo. Allo stesso Tribunale Islamico padre Hanna Jallouf aveva fatto appello nei giorni precedenti al blitz dei miliziani in parrocchia, per denunciare le crescenti vessazioni subite dal convento da parte di islamisti armati. In alcune interviste rilasciate nella giornata di ieri, il Custode di Terrasanta, Pierbattista Pizzaballa, ha confermato che padre Hanna si trova di fatto confinato nel suo villaggio, in attesa dell’esito del processo presso il Tribunale Islamico che lo vede indagato con l’accusa di collaborazionismo con il regime di Assad. Vietnam: intellettuale cattolico in carcere "trattato come uno schiavo" Asia News, 11 ottobre 2014 Francis Dang Xuan Dieu, condannato per il suo attivismo, ha subito per mesi percosse e umiliazioni dagli altri prigionieri. Dietro gli abusi, il rifiuto di indossare la divisa del carcere con la scritta "criminale". Il fratello lancia un appello perché venga sottratto "a quell’inferno". La famiglia ha potuto incontrarlo solo una volta. L’ingegnere e intellettuale cattolico Francis Dang Xuan Dieu, condannato per il suo attivismo e prigioniero politico nelle carceri vietnamite, in cella subisce percosse, umiliazioni ed è trattato alle stregua di uno "schiavo". La denuncia arriva dal fratello e da un compagno di prigione ora libero, secondo cui dietro le violenze vi è il rifiuto opposto dall’uomo di indossare la divisa del carcere. Le autorità hanno inoltre impedito alla famiglia di incontrarlo, dopo che l’attivista aveva scritto una lettera di denuncia in cui raccontava gli abusi subiti. "Lo stanno trattando malissimo" afferma il fratello Dang Xuan Ha in un’intervista a Radio Free Asia (Rfa), che auspica un movimento di pressione internazionale perché egli "venga portato via da quell’inferno". "Dieu ha sempre ribadito di essere innocente - continua il fratello - per questo non intende indossare una divisa che reca impressa la parola criminale". Su richiesta dei familiari, i cattolici di Ho Chi Minh City - in particolare i Padri redentoristi - hanno promosso in passato iniziative di preghiera e campagne di solidarietà per chiederne la scarcerazione. Egli è stato arrestato nel luglio 2011 e condannato nel 2013 a 13 anni di prigione, più altri cinque di sorveglianza. Assieme ad altri cristiani, è stato processato dal tribunale provinciale di Ngh-An per aver cercato di "rovesciare il governo del popolo" e di aver "violato l’art. 79 del Codice penale". In passato Francis Dang Xuan Dieu - appartenente alla diocesi di Vinh e membro del gruppo Viet Tan, bollato come illegale da Hanoi - ha guidato le proteste dei nazionalisti vietnamiti contro la politica "imperialista" di Pechino nel mar Cinese meridionale. Egli si è inoltre battuto per la scolarizzazione dei bambini, in particolare dei poveri, e contro lo sfruttamento intensivo delle miniere di bauxite negli Altipiani centrali. L’intellettuale cattolico ha promosso anche campagne di sensibilizzazione per la liberazione del prigioniero politico Cu Huy Havu, del professor Phom Minh Hoàng e di altri detenuti imprigionati per reati di opinione. Dall’inizio del periodo detentivo, la famiglia ha potuto incontrarlo una sola volta; intanto le guardie delle prigioni in cui è stato rinchiuso hanno lasciato - per mesi - che l’attivista cattolico venisse picchiato dagli altri carcerati, che lo trattavano come uno "schiavo". Egli non ha accesso a ventilatori per refrigerarsi dal caldo o acqua potabile e ha dovuto posare come "modello" per ritratti in cui viene rappresentato "mezzo uomo e mezza bestia" da parte degli altri prigionieri. Per questo ha promosso uno sciopero della fame, chiedendo un regime di detenzione più "umano". In Vietnam è in atto una campagna durissima del governo contro dissidenti, blogger, leader religiosi (fra cui buddisti), attivisti cattolici o intere comunità come successo nella diocesi di Vinh, dove si è assistito a una campagna diffamatoria e attacchi mirati contro vescovo e fedeli. La repressione colpisce anche singoli individui, colpevoli di rivendicare il diritto alla libertà religiosa e al rispetto dei diritti civili dei cittadini. Solo nel 2013, Hanoi ha arrestato decine di attivisti per crimini "contro lo Stato", in base a una norma che gruppi pro diritti umani bollano come "generiche" e "vaghe". Con oltre sei milioni di fedeli, il cattolicesimo è la seconda religione per importanza e numero di fedeli nel Paese, dopo il buddismo. Da tempo sono in atto controversie con Hanoi, nella maggioranza dei casi per questioni legate a proprietà terriere o beni ecclesiastici che il governo vuole requisire.