Giustizia: Stati Generali; al carcere serve una cosa sola, la legalità di Riccardo Polidoro (responsabile Osservatorio Carcere dell’Unione Camere penali) Il Garantista, 27 novembre 2014 Ben vengano gli Stati Generali, ma siano preceduti da un serio impegno politico e da una campagna d’informazione governativa sull’importanza del rispetto dei principi costituzionali e delle norme in materia di detenzione. Le recenti dichiarazioni del ministro della Giustizia Andrea Orlando sulla necessità di dare voce alle soggettività che ruotano intorno al mondo penitenziario, con l’organizzazione, nella prossima primavera, degli Stati Generali del Carcere, è senz’altro una buona notizia. È la prima volta che un uomo politico si pone il problema dì coordinare le molteplici figure istituzionali e non, che si occupano di questo delicatissimo, quanto importante, segmento della Giustizia in Italia, Giustizia che ha il primato dell’inefficienza, laddove in tutti i settori le leggi sono spesso travalicate da prassi e addirittura da provvedimenti locali che rendono la punizione del reo diversa da regione a regione. Come, ad esempio, per la "prescrizione", laddove per far fronte al disservizio giustizia, la magistratura ha ritenuto d’intervenire sostituendosi alla politica. Alcuni procuratori della Repubblica hanno invitato i propri sostituti a dare la precedenza alle indagini su alcuni tipi di reato, tralasciando quelle dì minore pericolosità sociale. Alcuni presidenti di Tribunale hanno emanato circolari che sollecitano la definizione di certi processi, a discapito dì altri che vengono rinviati per avviarli alla prescrizione. Certo è che qualunque processo, anche il più banale, è importante per colui che lo subisce e per l’eventuale persona offesa, ma anche per l’opinione pubblica che chiede comunque il rispetto di un percorso previsto dalla legge. Tale circostanza è consacrata dall’ancora vigente, ma spesso dimenticata, obbligatorietà dell’azione penale. Se il Governo, per superare la ghigliottina della prescrizione, ha ritenuto di allungare i tempi del processo, arrivando addirittura ad ipotizzare una possibile sospensione della prescrizione tra il primo e il secondo grado di giudizio, con un "premio" per l’imputato di uno sconto dell’eventuale pena che sarà inflitta se l’irragionevole termine venisse superato, allora si naviga a vista e certamente in direzione sbagliata, sulle onde di un facile e momentaneo consenso che farà per sempre perdere la rotta. La bussola della Giustizia non deve essere in mano all’opinione pubblica, che invece va meglio informata e soprattutto educata sui temi del processo e della pena. Ben vengano, dunque, gli Stati Generali, ma siano preceduti da una campagna d’informazione governativa sull’importanza del rispetto dei principi costituzionali e delle norme in materia di detenzione. L’Italia ha un Ordinamento e un Regolamento penitenziario tra i migliori d’Europa che non trova concreta applicazione per mancanza di un reale impegno politico su temi che troppo spesso sono in contrasto con il comune pensiero di cittadini disinformati e culturalmente non pronti a recepire principi di civiltà e legalità. Una corretta informazione e un sistematico insegnamento sui principali temi della giustizia, che possano far comprendere all’opinione pubblica l’importanza di una pena scontata in maniera legale, devono essere accompagnati dalla necessità di garantire una pena "certa", che offra garanzia di sicurezza al cittadino. Altro tema, dunque, è la certezza della pena, unitamente alla sua immediatezza. Citando Beccaria: "ogni pena non sia una violenza di uno o dì molti contro un privato cittadino, dev’essere essenzialmente pubblica, pronta, necessaria, la minima delle possibili nelle date circostanze, proporzionata ai delitti, dettata dalle leggi". Il Legislatore, invece, per sopperire alla palese illegalità con cui vengono ristretti la maggior parte dei detenuti, ha adottato diminuzioni dì pena che non possono trovare alcuna giustificazione non solo per le vittime dei reati, ma per gli stessi cittadini che non si sentono tutelati. Si pensi al recente sconto di pena di un giorno per ogni dieci giorni di detenzione in condizioni disumane e quanto sopra già riferito sull’ulteriore riduzione di pena dovuta alla lunghezza del processo e ancora alla diminuzione di quarantacinque giorni per ogni sei mesi prevista dalla liberazione anticipata. Istituto quest’ultimo del tutto stravolto dalla prassi dovuta alla necessità di sottomettere i detenuti e a non farli protestare se vogliono ottenere il benefìcio, mentre sarebbe destinato a chi ha dato prova di partecipazione all’opera di rieducazione, ai fini di un suo reinserimento nella società. E allora che Stato è quello che ha una pena illegale e incerta? Che "tortura" i detenuti e li risarcisce? Che non è in grado di promuovere percorsi rieducativi e si assicura l’ordine nelle carceri, riducendo la pena inflitta? Che non garantisce il diritto alla salute? Che toglie la libertà, ma oltraggia la dignità, bene non disponibile? Le buone intenzioni del ministro dovranno tenere conto soprattutto di questo, altrimenti gli Stati Generali del Carcere null’altro saranno che l’ennesimo incontro tra persone che sono tutte d’accordo su quei principi di diritto che continueranno a non trovare applicazione. Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare e ci auguriamo che il ministro sappia riappropriarsi della bussola per condurre, finalmente, la malridotta barca della Detenzione in Italia verso il porto della Legalità. Giustizia: l’Onu valuta l’Italia sul rispetto dei diritti umani, fatte 186 Raccomandazioni Ansa, 27 novembre 2014 L’Italia ha ricevuto 186 Raccomandazioni nell’ambito della Revisione periodica Universale presso il Consiglio Diritti umani delle Nazioni Unite tenutasi lo scorso 27 ottobre a Ginevra: lo ha riferito oggi il Ministro plenipotenziario Gian Ludovico De Martino nel corso di un’audizione davanti alla Commissione Esteri della Camera. "In termini generali il clima della sessione è stato estremamente positivo nei confronti del nostro Paese", ha detto De Martino. "Sono state formulate 186 raccomandazioni", ha quindi riferito, sottolineando che esse "riguardano prevalentemente le ratifiche, quali la convenzione internazionale sulla protezione per i diritti dei lavoratori migranti ed i membri delle loro famiglie; la convenzione internazionale per la protezione di tutte le persone dalla sparizione forzata: il protocollo opzionale alla convenzione sui diritti del fanciullo sui reclami individuali e il protocollo opzionale al patto internazionale per i diritti economici, sociali e culturali". Un totale di "ben 23 raccomandazioni", ha osservato il ministro, riguardano la "creazione di un’istituzione nazionale indipendente sui diritti umani secondo i principi di Parigi". Tra le altre, ha proseguito, ci sono "misure contro la discriminazione di genere e la violenza contro le donne" e la "lotta al razzismo, all’istigazione all’odio razziale, alla xenofobia e all’islamofobia, soprattutto in politiche e nello sport". Non mancano inoltre, le raccomandazioni relative ai "diritti dei migranti e dei richiedenti asilo", alla "attuazione efficace della strategia nazionale di inclusione di Rom, Sint e Caminanti", al "sovraffollamento delle carceri e condizioni dei detenuti", al "contrasto al traffico di esseri umani e protezione delle vittime", nonché all’adozione di misure positive a favore dei diritti delle persone con disabilità. Il consiglio dei diritti umani, ha ricordato De Martino, adotterà il rapporto finale nel corso della sessione di marzo e "prima di questa scadenza l’Italia dovrà sciogliere la riserva su tutte le raccomandazioni illustrando le ragioni delle proprie posizioni". Onu: esperti tortura annunciano visita in Italia nel 2015 L’Italia è nella lista dei paesi in cui gli esperti dell’organo dell’Onu per la prevenzione della tortura intendono compiere una missione l’anno prossimo. Lo annuncia un comunicato reso noto dalle Nazioni Unite oggi a Ginevra. Guatemala, Italia, Nauru e Filippine sono tra i paesi che il Sottocomitato delle Nazioni Unite per la prevenzione della tortura (Spt) pianifica di visitare nel 2015, afferma la nota. Le date delle visite non sono precisate. Compito dell’Spt è di prevenire ed eliminare la tortura, i trattamenti crudeli, disumani o degradanti dei detenuti. L’organo composto da esperti indipendenti collabora con i governi dei paesi che hanno ratificato il Protocollo opzionale alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura (Opcat). In tutto 76 Stati hanno ratificato il protocollo. L’l’Italia ha depositato lo strumento di ratifica nell’aprile del 2013. L’anno prossimo, oltre a visitare Italia, Guatemala, Nauru e Filippine, gli esperti indipendenti dell’Spt torneranno in Azerbaijan, per portare a termine una missione interrotta nel settembre 2014, ed effettueranno visite di consulenza nei Paesi Bassi e in Turchia per quanto riguarda i loro meccanismi nazionali di prevenzione. L’Spt prevede anche due visite di follow-up in Paesi visitati in precedenza. In missione in un paese, la delegazione dell’Spt visita i luoghi in cui le persone sono private della libertà. Alla fine della visita, gli esperti comunicano le loro raccomandazioni e osservazioni allo Stato in un rapporto confidenziale. Lo Stato è incoraggiato a chiedere il documento sia reso pubblico. Giustizia: il ministro Orlando; non si usino le carceri per risolvere i problemi sociali Ansa, 27 novembre 2014 "Sul carcere paghiamo molti ritardi. Ma in questi anni, in questi mesi, sono stati fatti passi avanti e soprattutto è stata invertita una tendenza che era quella che faceva sì che il carcere venisse utilizzato spesso come strumento per affrontare problemi anche di carattere sociale". Lo ha detto il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, in occasione del seminario internazionale "Dei delitti e delle Pene: giustizia ed economia politica", promosso da Aspen Institute Italia e Istituto Enciclopedia italiana in occasione dei 250 anni dalla pubblicazione dell’opera di Cesare Beccaria. "Stiamo tentando - ha spiegato il ministro - di chiudere la stagione in cui la sfera del diritto penale ha rappresentato terreno di propaganda politica per la conquista di facile consenso. La stagione in cui alle inquietudini sociali si rispondeva trattando le aree di marginalità non come un problema sociale, ma penale. È una grande sfida culturale che è ancora assediata da numerosi nemici e che richiede di essere vissuta dall’intero Paese con la massima consapevolezza". "Controcorrente" rispetto a "campagne demagogiche e populiste che fanno leva sulla paura", in "Parlamento pende un disegno di legge in materia di misure cautelari: auspico una rapida approvazione". "Abbiamo fatto cose importanti in termini di previsioni normative - ha aggiunto Orlando - abbiamo introdotto l’istituto della messa alla prova, è stata ampliata la possibilità di utilizzare i lavori di pubblica utilità, come modo di scontare la pena, ma soprattutto abbiamo fatto molte convenzioni con enti pubblici e territoriali per consentire l’utilizzo dei detenuti per questo tipo di attività: spero dia dei frutti significativi nei prossimi mesi". In generale, il ministro è convinto che occorra "ridurre l’area d’intervento del diritto penale, così come inizieremo a fare con l’utilizzo della delega del Parlamento sulle depenalizzazioni, aumentare l’utilizzo delle misure alternative alla detenzione, ricondurre l’istituto della custodia cautelare nel suo alveo naturale di misura di extrema ratio, implementare e rafforzare la funzione rieducativa della pena, attraverso il lavoro dei detenuti". E la questione su cui bisogna "concentrarsi", secondo il Guardasigilli, è la prevenzione della recidiva, che in Italia è "tra i più alti d’Europa". Giustizia: niente sciopero, sulla responsabilità civile i magistrati provano a trattare di Errico Novi Il Garantista, 27 novembre 2014 Dall’Associazione Nazionale Magistrati un appello alla Camera perché venga addolcita la legge sulla responsabilità civile. Così dopo alcuni giorni di attenta analisi del testo, l’Anm pronuncia un primo giudizio sulla legge che riforma la responsabilità civile dei giudici. Non è un parere favorevole, tutt’altro. Ma neppure si tratta di una stroncatura paragonabile a quella preventiva arrivata dal Csm il 30 ottobre scorso. "Dopo avere esaminato il testo del disegno di legge in materia dì responsabilità civile dei magistrati già approvato dal Senato", l’Anm denuncia "il preoccupante ampliamento dei casi di responsabilità con l’introduzione della previsione dell’ipotesi del travisamento del fatto e delle prove. Ciò costituisce un’insidia che potrebbe trascinare la responsabilità civile sul piano del sindacato della motivazione e del merito". La critica si focalizza dunque su un aspetto specifico, in particolare su una delle nuove circostanze che, se causate da "inescusabile negligenza". possono dar luogo a responsabilità da parte del giudice. Il sindacato delle toghe chiede di mettere mano a quel passaggio: "Tale ampliamento, insieme con la totale eliminazione del filtro di inammissibilità, espone il magistrato al rischio di azioni giudiziarie incontrollate, strumentalmente volte nei fatti a ottenere un ulteriore grado di giudizio se non addirittura a colpire il magistrato per condizionarne 1’azione", e perciò ci si appella alla Camera, a cui ora passo l’esame del testo, per "l’eliminazione" di quell’aspetto e "l’introduzione di strumenti dissuasivi, quali l’ipotesi di lite temeraria per i casi di manifesta inammissibilità dell’azione". Di minacce di sciopero neppure l’ombra. Non sarebbe strategico. La legge adesso dovrà passare al vaglio della commissione Giustizia della Camera. Dove c’è una presidente, Donatella Ferranti, da cui l’Anm spera di ricevere un trattamento migliore rispetto a quello riservato dal collega dì Palazzo Madama, il forzista Francesco Nitto Palma. In realtà Ferranti ho più volte respinto l’affermazione secondo cui questa riforma metterebbe a rischio l’indipendenza della magistratura. E il capogruppo dem in commissione, Walter Verini, ha assicurato che non ci saranno deragliamenti sul provvedimento. Neppure da parte di quella componente del Pd "ormai minoritaria", dice Verini, più sensibile alle preoccupazioni delle toghe. Ma intanto all’Anm conviene guadagnare tempo. C’è una componente che preme più delle altre perché si alzi la voce nei confronti del governo, ed è il gruppo di Magistratura indipendente. Nelle mailing list il retro-pensiero che qua e là emerge è che Sabelli sia stato finora poco efficace in virtù di una minore distanza politica tra questo esecutivo e la sua corrente di appartenenza, Unicost. In realtà il presidente dell’Associazione sa che l’opinione pubblica potrebbe reagire malissimo alla proclamazione di uno sciopero. Soprattutto perché lo metterebbe in relazione non tanto con la responsabilità civile, materia troppo tecnica per emozionare il grande pubblico, ma con la più decifrabile questione delle ferie tagliate. Un paradosso, se si tiene conto che al momento la riduzione del periodo di vacanza dei magistrati da 45 a 30 giorni rischia di essere giuridicamente inefficace, nulla. Lo ha fatto notare qualche giorno fa Piercamillo Davigo, lo conferma il parere di molti giudici che intervengono nelle newsletter associative. La vicenda delle ferie rientra in una più generale tendenza del governo a trattare i giudici come una qualsiasi categoria di dipendenti pubblici. Lo suggerisce, seppur implicitamente, anche l’attenzione sempre maggiore che Via Arenula rivolge all’efficienza dei singoli tribunali nello smaltimento dell’arretrato, soprattutto di quello civile. Da ieri sul sito del ministero della Giustizio sono disponibili gli elenchi analitici sulla "produttività" dei tribunali. Un approfondimento coordinato dal responsabile del Dipartimento dell’organizzazione giudiziaria Mario Barbuto. Che fa emergere l’ingolfamento di alcune sedi, come Foggia, Catanzaro e Lamezia. E il primato di Torino, tribunale di cui Barbuto è stato presidente e dove l’attuale capo dipartimento ha introdotto pratiche organizzative virtuosissime, L’efficienza è un bene, certo. Ma esaltare l’inefficienza di alcuni magistrati è un segno dei tempi. Marche: carceri all’avanguardia; 882 detenuti, molti impegnati in studio, lavoro, editoria Ansa, 27 novembre 2014 Negli otto istituti di pena delle Marche ci sono 882 detenuti (852 uomini e 30 donne), di cui 441 marchigiani. Quarantaquattro reclusi in base al 41bis si trovano nel carcere di Ascoli Piceno, 119 detenuti sono nell’alta sicurezza di Montacuto e Fossombrone e 79 in regime protetto a Pesaro. I dati, aggiornati ad oggi, sono stati letti da Teresa Valiani, giornalista e direttrice della testata del carcere di Ascoli "Io e Caino", durante la seduta aperta del Consiglio regionale dedicata alle attività socioculturali e artistiche dei detenuti. "Le Marche sono tra le regioni all’avanguardia in fatto di interventi - ha spiegato. Borse lavoro, lavori di pubblica utilità, convenzioni con enti pubblici e privati, aiuti per il reinserimento nel primo anno dopo la scarcerazione. È una legge, la n. 28 del 2008, che molte realtà ci invidiano". Dal 2004 ad oggi le risorse che la Regione Marche mediamente stanzia ogni anno per le attività trattamentali ammontano a 700 mila euro. "Il nostro compito - ha sostenuto l’assessore regionali alle politiche sociali Viventi - è quello di cercare di favorire il recupero e il reinserimento di coloro che hanno sbagliato. È un compito che svolgiamo con tutte le nostre limitazioni e i nostri difetti, ma riusciamo ad ottenere dei buoni risultati". Ad oggi nelle Marche lavorano per l’amministrazione penitenziaria 208 detenuti, 29 lo fanno per terzi, 73 reclusi stranieri seguono corsi di alfabetizzazione, 80 detenuti studiano per la licenza elementare, 60 per la licenza media superiore, 66 seguono corsi di informatica e di inglese. Grazie al progetto "Il lavoro penitenziario: una sfida per tutti", cofinanziato dalla Regione Marche "28 detenuti hanno concluso il percorso di formazione all’esterno, sei sono stati assunti e 20 avviati al percorso formativo presso enti locali ed enti pubblici". Perchè investire risorse per delinquenti quando ci sono diplomati e laureati senza prospettiva di impiego?" si è chiesta retoricamente la Valiani, che ha risposto con le parole di un regista teatrale: "i detenuti usciranno e verranno a vivere nelle nostre città, nei nostri quartieri. Come voglio che sia il mio vicino di casa? Per questo - ha sottolineato - occuparsi di carcere significa fare sicurezza". La direttrice di "Io e Caino" ha parlato anche delle altre quattro esperienze editoriali degli istituti di pena: "Fuori riga" a Montacuto, "Penna libera a tutti" a Villa Fastiggi, "L’altra chiave news" a Fermo, "Mondo a quadretti" a Fossombrone. "Fare un giornale in carcere - ha spiegato - significa raccontare un modo che non è parallelo al nostro, ma sua parte integrante. Il carcere ha il compito di riconsegnare all’esterno uomini e donne migliori, ma se nel momento della scarcerazione la società non è pronta a reinserirli, molto del lavoro intramurario rischia di andare perso". Il carcere entra in aula (www.consiglio.marche.gov.it) Seduta aperta con i detenuti sulle attività trattamentali negli istituti di pena Marchigiani. In aula musica, teatro, poesia e arte dietro le sbarre Il carcere entra in Aula e parla attraverso la poesia, la musica, il teatro. "L’Ora d’aria" è la presentazione delle attività socioculturali e artistiche svolte negli istituti penitenziari delle Marche che questa mattina ha aperto i lavori consiliari. Una seduta aperta promossa dall’Assessorato alle politiche sociali con l’Assessorato alla cultura, in collaborazione con il Provveditorato regionale amministrazione penitenziaria, il Garante regionale dei detenuti e il Consiglio regionale. "È la prima volta in Italia che in un’aula consiliare viene realizzato un evento simile - spiega il Presidente Solazzi introducendo l’iniziativa- Oggi l’Assemblea legislativa ha la possibilità di conoscere i risultati di una legge che si pone all’avanguardia, la legge 28 del 2008, che ha l’obiettivo di creare un rapporto costante di supporto nei confronti dell’attività dei detenuti". Il Presidente, ricordando i principi costituzionali, ha sottolineato che "la pena detentiva non può esaurirsi soltanto nel pagamento di un giusto tributo per un reato commesso, ma deve anche costituire un’occasione di riabilitazione, lo strumento per far sì che quando la pena è scontata il detenuto non sia in difficoltà nella fase del reinserimento". Il programma, presentato da Lorenzo Sabbatini, coordinatore del sistema bibliotecario carcerario regionale, ha spaziato dalla musica di Johnny Cash, all’interpretazione dei detenuti di brani scritti da agenti penitenziari, educatori, volontari. "È un evento che dà visibilità al mondo penitenziario, a tutte le iniziative finanziate dalla Regione che testimoniano una consolidata sinergia con il territorio - ha detto Ilse Runsteni, Provveditore regionale amministrazione penitenziaria. Questa iniziativa promuove il superamento del binomio carcere-società e propone l’espressione carcere nella società. Carcere come momento, come passaggio, come investimento, come risorsa e non solo come costo". Al momento sono 882 i detenuti presenti nella nostra regione, di cui 441 marchigiani. Quarantaquattro 41bis si trovano nel carcere di Ascoli Piceno, 119 detenuti sono nell’Alta sicurezza di Montacuto e Fossombrone e 79 in regime protetto a Pesaro. I dati, aggiornati ad oggi, sono letti da Teresa Valiani, giornalista e direttrice della testata del carcere di Ascoli "Io e Caino". "Le Marche sono tra le regioni all’avanguardia in fatto di interventi - spiega la Valiani - Borse lavoro, lavori di pubblica utilità, convenzioni con enti pubblici e privati. È una legge, la 28 del 2008, che molte realtà ci invidiano". Dal 2004 ad oggi le risorse che la Regione Marche mediamente stanzia ogni anno per le attività trattamentali è pari a 700 mila euro. "Il nostro compito - ha sostenuto l’Assessore alle politiche sociali Viventi - è quello di cercare di favorire il recupero e il reinserimento di coloro che hanno sbagliato. È un compito che svolgiamo con tutte le nostre limitazioni e i nostri difetti, ma riusciamo ad ottenere dei buoni risultati". Ad oggi nella nostra regione lavorano per l’amministrazione penitenziaria 208 detenuti, 29 lo fanno per terzi. 73 reclusi stranieri seguono corsi di alfabetizzazione, 80 detenuti studiano per la licenza elementare, 60 per la licenza media superiore, 66 seguono corsi di informatica e di inglese. Il frutto di tutte queste esperienze sono state raccontate dagli stessi detenuti, attraverso versi, video, fotografie, testimonianze, ascoltati in aula non solo dai consiglieri regionali, ma anche da molti rappresentanti dell’amministrazione e della polizia penitenziaria. Tanti in contributi proposti. Dal teatro napoletano della compagnia "Lo Spacco", alla produzione di Radio Freedom, dai brani tratti da "Il muro rock di gente da galera" dell’associazione Art’O alle "Lettere parole da dentro" dell’associazione l’Officina. In chiusura la video presentazione del progetto "Liberamente", curato dall’Ombudsman negli istituti penitenziari di Montacuto e Barcaglione e la voce di Giorgio Gaber sulle note di "La libertà". Umbria: tra Regione e Università Perugia protocollo su reinserimento sociale dei detenuti Quotidiano dell’Umbria, 27 novembre 2014 Favorire l’effettività dei diritti e delle opportunità riservate alle persone in stato di detenzione anche in vista del successivo reinserimento nella vita sociale: con questo obiettivo stamani a Perugia, nella sede della Giunta regionale di Palazzo Donini, è stato firmato un Protocollo operativo tra la Regione Umbria e il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Perugia. Per la Regione Umbria il documento è stato siglato dalla vicepresidente con delega al Welfare, Carla Casciari, per il Dipartimento di Giurisprudenza, ha firmato il vicedirettore Antonio Bartolini. Presente il Garante regionale delle persone sottoposte a misure restrittive o limitative della libertà personale, Carlo Fiorio, individuato quale responsabile scientifico delle attività previste dal Protocollo. All’incontro sono intervenuti per il Tribunale di Sorveglianza di Perugia, il presidente Roberto Ferrando, e la dottoressa Beatrice Cristiani. Illustrando le finalità del Protocollo la vicepresidente Casciari, dopo aver ringraziato il presidente del Tribunale di Sorveglianza di Perugia per la sua presenza e la vicinanza alle istituzioni, ha evidenziato come sia "importante riportare al centro delle politiche il ruolo della detenzione che è quello della rieducazione, che passa necessariamente dalla tutela dei diritti delle persone detenute. La Regione - ha aggiunto - è fortemente impegnata in questo percorso di inclusione sociale delle persone ristrette, a tal fine sono state investite risorse finalizzate alla formazione e al reinserimento lavorativo". "Vogliamo continuare a potenziare i percorsi di valorizzazione della condizione di vita e del lavoro dei detenuti sia dell’area penale interna che esterna, anche in vista di una più accurata integrazione con il territorio e la comunità di riferimento ha riferito la vicepresidente. Il Protocollo che firmiamo oggi, si inserisce in questo percorso e rafforza una fruttuosa collaborazione tra la Regione e il Dipartimento di Giurisprudenza favorendo anche la formazione di ‘operatori per i diritti’ dei detenuti selezionati tra i neolaureati, incentivando così le esperienze giuridiche in materia". Il vicedirettore del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Perugia, Giovanni Bartolini, ha ricordato che il Dipartimento, in sintonia con le sue linee didattiche istituzionali, intende stimolare i futuri operatori del diritto ad avere un’adeguata percezione dei bisogni e delle esigenze manifestate dalla società, armonizzandoli con i principi deontologici ed etici adottati dai diversi ordinamenti professionali. Di conseguenza, anche attraverso tirocini e legal clinics, si intende offrire occasioni di apprendimento e di esperienza professionale ai neo laureati. Il Garante Carlo Fiorio, ha riferito che "tra le finalità del Protocollo c’è anche la definizione e distribuzione di un vademecum per le persone detenute, funzionale alla trasmissione delle conoscenze penitenziarie, sia a livello trattamentale, che a livello tecnico-giuridico. Si tratta di un’iniziativa importante - ha precisato - soprattutto se si tiene conto della forte componente straniera tra le persone che stanno scontando una pena negli istituti penitenziari dell’Umbria". Fiorio ha quindi evidenziato come ormai "in Umbria sia stata superata la fase di sovraffollamento delle carceri che, allo stato attuale, contano meno presenze di soggetti in custodia cautelare rispetto a quelli che stanno scontando una condanna definitiva". Livorno: presidio di fronte al Tribunale per chiedere verità sulla morte di Marcello Lonzi Ansa, 27 novembre 2014 "Siamo qui per chiedere giustizia per quello che è successo a Marcello Lonzi. Vogliamo solo verità e giustizia". Così i manifestanti che hanno preso parte al presidio stamani di fronte al Tribunale di Livorno di Maria Ciuffi, madre del giovane livornese morto in carcere a Livorno oltre 11 anni fa, accompagnata da Rita Bernardini dei Radicali. Il caso, già stato archiviato una prima volta, è stato riaperto a giugno dopo una richiesta di opposizione all’archiviazione richiesta dai legali di Ciuffi. "A breve scadranno i termini delle indagini preliminari e noi vogliamo avere fiducia in questo palazzo di giustizia", hanno aggiunto i manifestanti. "Siamo qui perché da più di undici anni una madre lotta per chiedere verità sulla morte del figlio Marcello - ha detto infine Rita Bernardini. Una morte sotto la quale lo Stato ha scritto naturale". Cagliari: Pili (Misto); Segreto di Stato su agibilità carcere di Uta, provvedimento ridicolo La Presse, 27 novembre 2014 "Con un provvedimento ridicolo sia sul piano giuridico che sostanziale il provveditore regionale sulle carceri ha disposto il segreto sui certificati di agibilità e sicurezza del nuovo carcere di Uta. Una decisione che coincide con l’incapacità e l’arroganza di chi sta gestendo il sistema carcerario sardo". Lo dichiara il deputato del Gruppo misto Mauro Pili, leader del movimento Unidos-Sardegna, a proposito della situazione del penitenziario dove da tre giorni sono stati trasferiti i 340 detenuti prima reclusi nel carcere Buoncammino di Cagliari. All’interno della struttura sono stati segnalati diversi problemi, a cominciare dal numero insufficiente di agenti penitenziari, che oltre a causare disagi agli stessi operatori ricade anche sui detenuti, che fino a domani, per esempio, non potranno ricevere visite dei familiari. Già alla vigilia dell’apertura Pili aveva denunciato l’inadeguatezza della nuova struttura a ospitare i carcerati. "Hanno aperto un carcere per mille persone senza alcun tipo di certificato - afferma oggi - e soprattutto con un numero di agenti totalmente inadeguato alla sicurezza della struttura e degli stessi operatori penitenziari". Pili spiega di aver chiesto di poter visionare la documentazione relativa al nuovo carcere ma gli è stato negato l’accesso agli atti. "Aver messo nero su bianco una comunicazione con la quale per ridicole e fantasiose argomentazioni si nega il diritto di conoscere l’esistenza o meno di certificati di agibilità e di sicurezza sul lavoro è la dimostrazione più evidente di una gestione paradossale e palesemente inadeguata. Un funzionario di Stato attendibile e credibile - continua il parlamentare - non avrebbe avuto nessuna difficoltà a mostrare l’esistenza dei certificati di agibilità e sicurezza. Nessuno ha chiesto progetti o elementi che potevano mettere a rischio la sicurezza del carcere: ci ha pensato da solo il provveditore delle carceri sarde dimostrando che la struttura era totalmente inadeguata per essere aperta. Negare quegli atti conferma, invece, l’evidente incapacità di una gestione trasparente alla quale concorrono altri soggetti dello Stato". "Un dato è certo, il diniego di questi atti è l’anticamera di un reato (omissione d’atti d’ufficio) sia per chi li ha negati che per chi ne ha in modo assolutamente arbitrario negato l’accesso. Ad ogni buon conto - conclude - proprio per evitare qualsiasi tipo di omissione trasmetterò queste comunicazioni agli organi competenti perché tutti siano responsabili e a conoscenza di quanto sta accadendo". Sulmona (Aq): protesta medici del carcere, rischiano licenziamento insieme ad infermieri di Claudio Lattanzio Il Centro, 27 novembre 2014 Rischiano il licenziamento dopo anni di lavoro a contatto con i detenuti: sono i medici e gli infermieri del carcere di Sulmona che ieri mattina hanno manifestato tutto il loro disappunto davanti al penitenziario di via Lamaccio, esponendo striscioni di dissenso nei confronti della Regione e della Asl e annunciando l’avvio dello sciopero a oltranza. "Garantiremo solo il servizio d’urgenza fino a quando sarà chiarita la situazione", ha affermato il dirigente medico ed ex sindaco di Sulmona, Fabio Federico "i medici che hanno un’esperienza trentennale dentro queste mura e gli infermieri che vi lavorano da venti non possono essere sostituiti su due piedi da medici, altrettanto preparati, ma senza la dovuta esperienza che un incarico come questo richiede. Diventa oltretutto pericoloso soprattutto in un carcere di massima sicurezza come quello di Sulmona". Secondo Federico, con le nuove disposizioni si abbasseranno anche i livelli di sicurezza. "Ci sarà un solo medico per turno, cosa che non garantirà per 500 detenuti un’assistenza sanitaria decente, con problemi per reclusi e medici", conclude Federico "è l’ennesima beffa che viene maturata soprattutto qui a Sulmona, perché nelle altre Asl e nelle altre regioni come la Toscana sono stati stabilizzati i medici e gli infermieri che erano in servizio. Abbiamo parlato con il direttore generale della Asl Avezzano - Sulmona - L’Aquila, Giancarlo Silveri, che ci ha detto di non preoccuparci. E per questo noi siamo fortemente preoccupati". La protesta prevede l’esecuzione delle sole urgenze sanitarie e di atti che garantiscano la tutela dei diritti dei detenuti. Tutte le altre problematiche sanitarie saranno inviate presso il locale ospedale civile. Roma: Fns-Cisl; a Regina Coeli "stato di agitazione" del personale di Polizia penitenziaria www.romatoday.it, 27 novembre 2014 Il sit-in di protesta è previsto per il prossimo 2 dicembre. La Fns-Cisl: "Migliorare le condizioni di operatività e vivibilità del Personale". Polizia penitenziaria in agitazione. È indetto per il prossimo 2 dicembre un sit-in di protesta organizzato dalla Fns-Cisl davanti all’ingresso del carcere di Regina Coeli. La manifestazione è prevista dalle 10 alle 13 in via della Lungara. Questa il comunicato stampa con il quale la Fns-Cisl spiega le motivazioni della protesta: "Da tempo - scrive il sindacato dei baschi azzurri in una nota stampa - cerchiamo di far comprendere alla nuova dirigenza che alcuni metodi di gestione del Personale di Polizia Penitenziaria non sono condivisibili, denunciando altresì, la totale assenza d’interventi concreti per migliorare le condizioni di operatività e vivibilità del Personale". Le risposte che arrivano dalla Direzione ci confermano che dopo tanti anni di gestione e rapporti sindacali, talvolta pur complessi, alla C.C. di Regina Coeli la situazione è cambiata, ma in peggio. La Direzione del carcere ritiene che il Personale può essere gestito a propria esclusiva discrezionalità disconoscendo norme contrattuali e accordi locali faticosamente raggiunti negli anni. Altrettanto grave, su queste vicende, la latitanza ed il silenzio del Dirigente Generale che dai palazzi adiacenti Regina Coeli, dal Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria, lascia intendere che le cose possono andare così o - peggio ancora - che la nostra protesta sia infondata. Questo modo di gestire il personale che non rispetta le dinamiche previste da accordi sindacali, viene rigettato in toto dalle Fns-Cisl poiché tali comportamenti dell’Amministrazione ledono i diritti del personale sminuendone il senso di apparenza e la professionalità. Per questi motivi La Fns-Cisl Lazio ha proclamato lo Stato di Agitazione del Personale di Polizia penitenziaria della Casa Circondariale di Regina Coeli, organizzando una Manifestazione il prossimo 2 dicembre 2014. L’invito odierno è diretto a Tutto il Personale indistintamente dalla sigla sindacale di appartenenza affinché senza timori s’impegni a cambiare una condizione lavorativa che vede registrare a Regina Coeli un arretramento dei diritti e delle tutele che sono stati conquistati con la Riforma di smilitarizzazione del Corpo nel 1990". Imperia: Sappe e Uil; inascoltate le richieste di maggiore sicurezza, oggi sit-in di protesta Comunicato stampa, 27 novembre 2014 Il Sappe e la Uil-Pa Penitenziari, oggi dalle ore 9,30 alzeranno i toni per far ascoltare la loro voce alla sempre più sorda amministrazione penitenziaria. Sono mesi che denunciamo uno stato di avanzata criticità che tutt’ora permane nell’istituto di Imperia ed a farne le spese è sempre la Polizia Penitenziaria - questo è il commento dei sindacalisti che intervengono a tutela del personale. L’organizzazione e l’abbandono di Imperia deve essere portato al centro dell’attenzione perché non deve e non può essere d’esempio per gli altri istituti liguri. La Liguria penitenziaria è ormai priva di riferimento, il Provveditore regionale viene forse solo una volta alla settimana e non dedica nemmeno un po’ del suo tempo a verificare l’attività della Polizia Penitenziaria. Per questo abbiamo scelto la piazza di Imperia per manifestare il nostro dissenso alla politica di indifferenza dei nostri vertici. Autovetture vecchie e non funzionanti hanno determinato che la Polizia Penitenziaria pur di garantire la propria presenza esterna, abbia utilizzato la propria autovettura, carenza delle poliziotte, , in alcuni casi si è costretti a richiamare personale femminile dalle ferie per poter assicurare il controllo all’ingresso del carcere, Poliziotti penitenziari trasferiti e non impazzati, il verificarsi di eventi critici derivanti dalla popolazione detenuta, mette una serie ipoteca sulla gestione della sicurezza. Basta un ricovero ospedaliero di un detenuto che il sistema sicurezza vacilli. Un istituto che nel 2014 ha registrato 96 eventi critici tra i quali un tentato suicidio salvato dalla tempestività del personale e ben 36 ricoveri ospedalieri urgenti. Dati questi che non possono essere letti con superficialità se pensiamo che si riferiscono ad una popolazione detenuta di circa 90 ristretti. Eppure la storia negativa dell’istituto dovrebbe essere giustificativa per rafforzare invece che indebolire la Polizia Penitenziaria di Imperia. Ma è anche l’occasione per impedire che venga annullato il reparto delle traduzioni di Imperia per essere trasferito a San remo, questo determinerebbe ulteriore disagio alla Polizia Penitenziaria. I sindacalisti del Sappe (Lorenzo) e Uil (Pagani) precisano che oltre all’assenza del Direttore che assicura la presenza ad Imperia solo per un giorno. Per il Sappe, invece, è inconcepibile che la stressa analoga discrasia avverrà per il Comandante il quale, in caso di assenza, verrà sostituito dal Commissario Vice Comandante proveniente anch’esso da San remo, quindi un comandante che non conosce le dinamiche e l’organizzazione dell’istituto, quindi veramente una scelta che non può essere giudicata oculata. "La Polizia Penitenziaria di Imperia negli ultimi mesi ha effettivamente vissuto situazioni di criticità estrema. Anche se abilmente fronteggiate dal personale, hanno comunque determinato un aumento del livello di allerta, già di per se quotidianamente elevato". Non riusciamo a spiegarci - apostrofano Lorenzo e Pagani - come mai ciò che abbiamo continuamente segnalato ai vertici regionali, non hanno sortito alcun effetto restando inalterato, anzi per alcuni versi peggiorato, l’andamento dell’istituto dal punto di vista dell’organico e dell’organizzazione. Reggio Emilia: denuncia della Uil-Pa; il carcere tra umidità, sporcizia e infiltrazioni Il Resto del Carlino, 27 novembre 2014 Infiltrazioni d’acqua, muri bagnati, strumenti obsoleti, condizioni sanitarie precarie, locali degradati, sovraffollamento nelle celle e carenza di personale. Sono solo alcune delle problematiche denunciate dalla Uil-Pa, sigla sindacale della polizia penitenziaria, dopo una visita, documentata con tanto di foto eloquenti, agli istituti penali di Reggio. "L’ingresso dell’istituto, ovvero il biglietto da visita, presenta un Block House - così inizia il racconto la Uil - inadeguato per dimensioni, struttura e funzionalità con arredi vecchi e servizi igienici scadenti. Arriviamo alla portineria centrale e la porta metal detector non funziona, mentre una delle porte è rotta e inutilizzabile. Proseguendo lungo il passaggio pedonale ci sono pozzanghere d’acqua piovana e muri bagnati per infiltrazioni d’acqua. Poi, la portineria interna completamente aperta, priva di riscaldamento e due celle coi servizi igienico sanitari pessimi". Il tour dei sindacati prosegue: "I bagni sono fatiscenti, privi di sapone e rotolo di carta. Gli agenti sono costretti a portarseli da casa. I reparti si compongono di 25 camere destinate a un solo detenuto, ma quasi tutte sono occupate da due con letti a castello. In totale sono alloggiati in 125 a fronte di una capienza di 100. Un sovraffollamento del 25%". Infine l’Opg. "Sono presenti 147 internati a fronte di una capienza di 125. I bagni sono fatiscenti, la cucina è umida e sporca, così come il cortile. Nella sala colloqui non c’è riscaldamento. Il personale? Sarebbero previste 245 unità, ma ce ne sono 192... E molte aree sono presidiate saltuariamente proprio per questo. Chiediamo al garante regionale, al magistrato dell’ufficio di sorveglianza e al direttore degli istituti penali di risolvere queste criticità". Roma: l’Associazione A Roma Insieme e la "La biblioteca di Leda" nel nido di Rebibbia Comunicato stampa, 27 novembre 2014 Dare la possibilità alle madri detenute nel carcere di Rebibbia - ha detto, Gioia Passarelli, presidente dell’associazione "A Roma Insieme, Leda Colombini" - di conoscere e praticare l’importanza della lettura ad alta voce, di imparare a ritagliarsi un tempo per raccontare, per leggere una filastrocca il cui ritmo, anche se le parole saranno ancora sconosciute, sarà in grado di rasserenare, di dare piacere e amore è per noi ragione di grande orgoglio. Quelle mamme e quei bambini hanno il diritto di un tempo dedicato, hanno diritto a "nutrire la mente" e il cuore dei loro piccoli, perché pur avendo vissuto l’esperienza del carcere in tenera età, riescano ad avere nella vita, uguali opportunità. È stata presentata ieri nella sala Nassyria del Senato la nuova iniziativa dell’associazione A Roma Insieme, Leda Colombini che ha partecipato e vinto un bando finanziato con il ricavato dei fondi dell’8 per mille raccolti dalla Chiesa valdese, grazie al quale ha potuto realizzare una vera e propria biblioteca dedicata ai piccoli reclusi (0 - 3 anni) e alle mamme detenute nel carcere di Rebibbia. Susanna Pietra, responsabile della raccolta fondi della chiesa Valdese "che ci hanno permesso - ha detto - di investire 41 milioni di euro in iniziative benefiche - ha spiegato che le due categorie alle quali si è rivolto il progetto: detenuti e bambini sono al centro dell’attività della chiesa valdese ed è dunque con molto orgoglio che siamo stati "partner" di questa iniziativa", Il progetto si inserisce - secondo la definizione del senatore Luigi Manconi, presidente della Commissione diritti umani del Senato, che ne ospitava la presentazione alla stampa - nella logica del "nel frattempo". "Mentre continuiamo a fare pressioni sui legislatori perché si decidano ad applicare la legge del 2011 che stabiliva per le mamme detenute e i loro bambini l’istituzione delle case famiglie protette per evitare un oltraggio e un’afflizione nei confronti di assoluti innocenti - ha detto Manconi - nel frattempo dobbiamo seguire il percorso tracciato in tanti anni da Leda Colombini dell’emancipazione dalla pena, del miglioramento delle condizioni di vita dei piccoli reclusi. Il problema dei fondi per l’istituzione delle case famiglia - ha tenuto a sottolineare Manconi - è solo secondario. Il vero ostacolo è quello che lui ha definito: fatalismo istituzionale. Ma è stato dimostrato - ha concluso - che realizzare oggi queste strutture consentirebbe di spendere molto meno e di assicurare ai bambini e alle detenute madri, colpevoli di reati non gravi, un trattamento più civile". Non ha fatto mancare il suo contributo concreto all’associazione il Garante per l’infanzia, Vincenzo Spadafora che si è detto pronto anche a implementare l’attrezzatura e la collezioni dei libri della biblioteca. "I dati recentemente diffusi dall’Istat sulla povertà assoluta - ha detto Spadafora - spaventano per la loro crudezza: un milione e 400 mila persone vivono nella povertà assoluta e la gran parte di questi non ha mai letto un libro nella sua vita, vivendo anche nella assoluta povertà culturale. Ben vengano, dunque, queste buone pratiche da prendere a esempio e da distribuire nelle realtà carcerarie del territorio". La biblioteca è stata appositamente studiata per uno spazio di ridotte dimensioni e multifunzionale con mobili e complementi d’arredo colorati, interamente in cartone ondulato, pieghevoli e di facile montaggio. Quattro le librerie, di cui una verticale e tre orizzontali, per permettere la presa diretta dei libri anche ai più piccoli, tre i tavoli rotondi con venti sedie a misura di bambino per poter leggere insieme alle loro mamme o alle operatrici durante i laboratori. In collezione circa 150 titoli rivolti ai bambini da 0 a 3 anni, selezionati con cura da esperti del settore e adatti sia per le mamme detenute che per i loro figli. L’obiettivo principale del progetto era quello di far scoprire da vicino alle mamme le potenzialità degli albi illustrati, attraverso letture e attività ludico-creative, da sperimentare poi autonomamente con i propri bambini, incentivando una relazione positiva tra grandi e piccoli in un contesto difficile come quello carcerario. "Il progetto - ha spiegato la curatrice - Giulia Franchi - puntava prima di tutto al conseguimento di una fruizione autonoma della biblioteca da parte delle mamme; nei sei incontri che si sono svolte nel nuovo ambiente, abbiamo presentato una selezione di albi accompagnata da suggerimenti per la lettura e da attività di laboratorio (percorsi tematici sul colore, sul corpo umano, sugli animali ecc.). La risposta che abbiamo avuto sia dalle detenute che da parte dei piccoli è stata entusiasmante e il risultato finale si può dire che sia stata la scoperta da parte delle mamme che i libri sono pezzetti di esperienza da portare per sempre con se nel percorso della propria vita". Soddisfatta anche la direttrice di Rebibbia femminile, Ida dal Grosso - da sempre accanto all’associazione nelle battaglie per il miglioramento delle condizioni di vita dei piccoli quanto incolpevoli detenuti ospitati dal nido (attualmente sono 10) che ha voluto sottolineare come "il contatto diretto con i libri darà ai bambini la possibilità di sognare a occhi aperti, imparando dalle favole che un lieto fine è sempre possibile. Le madri, quando metteranno a letto i propri figli - ha aggiunto - potranno avere un momento di vicinanza con loro aiutandoli con la lettura a superare angosce e paure che, spesso, si affacciano quando è il momento di spegnere la luce".. Roma: letteratura dietro le sbarre, detenuti raccontano l’esperienza del carcere di Sarina Biraghi Il Tempo, 27 novembre 2014 "Una cicatrice sul cuore che non ci lascerà mai più". Il carcere comincia a bruciare nel momento in cui i detenuti sentono il tonfo sordo del portone che si chiude alle loro spalle e vedono sulla loro testa le griglie d’acciaio dei camminamenti di sorveglianza. Quando entri in carcere capisci subito che il mondo è un’altra cosa, avverti di non essere più con il popolo di fuori ma di essere sospeso in un non-luogo, non lo stesso con cui Marc Augé definì i centri commerciali, ma un non-luogo diverso da quelli finora frequentati, con abitudini diverse, odori diversi, una luce diversa perché le sbarre e i muri attorno spengono il sole e ti rimandano soltanto grigio, una solitudine, anche se sei ammassato in cella con altri sei carcerati, mai conosciuta prima, perché è quella dell’anima. Una gabbia di dolore dove il tempo è diverso perché scorre in un altro modo rispetto a fuori... Emozioni forti che si vivono fino alla commozione leggendo i racconti di 20 detenuti adulti e 6 minorenni di Regina Coeli raccolti ne "Il giardino di cemento armato", un volume edito da Rai Eri curato da Antonella Bolelli Ferrera, autrice radiofonica e scrittrice che ideò quattro anni fa il Premio Goliarda Sapienza di cui è madrina Dacia Maraini. "Racconti dal carcere" è un concorso dedicato a tutti i detenuti italiani e stranieri (donne, uomini e ragazzi) dei penitenziari e degli istituti di pena minorili, che si cimentano con un testo autobiografico. Tra le centinaia di riflessioni, ventisei sono state selezionate per il concorso e il titolo stesso del libro, "Il giardino di cemento armato" è preso dall’opera "Zero giorni" di Unknown, vincitore del primo premio minori (dei ragazzi si conosce soltanto lo pseudonimo). Facendo proprio il principio di rieducazione sancito dall’art. 27 della Costituzione, il concorso dà ai detenuti l’opportunità di esprimersi e di portare "fuori" la loro voce attraverso la parola scritta. La scrittura, per chi è abituato ad usare la mente e le mani per azioni furbesche, violente e criminose, diventa autocritica, riflessione più dolorosa del lettino di un analista, la scoperta dell’origine del percorso delinquenziale e di una vita interiore. I 26 detenuti sono stati seguiti da altrettanti tutor, scrittori e artisti che hanno collaborato con incredulità ed entusiasmo al progetto e hanno scritto l’introduzione ad ogni testo. Il primo premio tra gli adulti è stato vinto da Salvatore Saitto con il racconto "Così mi nasceva la solitudine" che ha avuto come tutor Erri De Luca. Le opere toccano l’anima e squarciano un velo sulla realtà carceraria che spesso preferiamo non "vedere": c’è la rabbia e la voglia di libertà della profuga siriana adolescente scappata dal marito, data in vendita dalle milizie e stuprata dagli scafisti che la portavano in Italia; c’è la ventenne Ohara, che sogna il perdono della sorella gemella Sarah che lei ha ucciso 4 anni fa, una notte; c’è la crudeltà del metodo di arruolamento del soldato-bambino in Somalia; c’è lo struggimento del killer mafioso che ha ucciso il suo miglior amico e che oggi, da pentito, guardando i figli soffre "per quelli che non possono più abbracciare i loro padri". Nel "Giardino di cemento armato" di Regina Coeli, c’è quella umanità "brutta e cattiva" che troppo spesso vorremmo nascondere o non rivedere fuori, quegli uomini e quelle donne abbrutiti da un luogo di cognomi urlati, di rituali sempre uguali, di regolamenti di conti e, per una legge non scritta, di supplementi di pena fatti di botte e sevizie, di code alle docce, di tv sempre accese, di odore di cibo e caffè fatti al fornelletto, di ore d’aria in cortile, di sudore, lacrime, sangue e suicidi. Un luogo chiuso dove l’ossessione della libertà può far diventare pazzi fino ad averne paura. O migliorare, aiutare a rinascere. Scrivere per i detenuti, come ha detto De Luca è stata "un’evasione, perché per chi è a tu per tu con la propria scrittura, non esiste più nulla attorno, non ci sono più muri o altro". Per noi leggere è capire che il carcere non è solo emarginazione, abbandono o devianza ma anche quel "male oscuro" che è dentro ognuno di noi e che a volte prevale. Un detenuto di lungo corso, finalista del Premio, ha detto: "Scrivere non serve certo a ripulire l’anima, ma ad assumere la consapevolezza di chi sono stato e potrei un giorno essere, questo sì". Perciò occorre, come consiglia la Bolelli Ferrera, "respirare e cominciare a leggere. Senza pregiudizi". Forlì: "Incontri in biblioteca", la scrittrice Simonetta Tassinari si incontra con i detenuti www.forlitoday.it, 27 novembre 2014 Tra i testi pubblicati dall’autrice "Che fine ha fatto Susy Bomb?", "La notte in cui sparì l’ultimo pollo" e ancora "Mexica. La bambina serpente". Sabato, in occasione del progetto "incontri in Biblioteca", la nota autrice romagnola Simonetta Tassinari , incontrerà la popolazione detenuta nella Casa circondariale di Forlì. Tra i testi pubblicati dall’autrice "Che fine ha fatto Susy Bomb?", "La notte in cui sparì l’ultimo pollo" e ancora "Mexica. La bambina serpente". Questi incontri, molto attesi dalle persone ristrette, sono volti ad offrire dei momenti di riflessione e di formazione culturale e sono resi possibili grazie allo sforzo e al lavoro di sinergia che il carcere sta realizzando con alcune associazioni del territorio. In particolare l’incontro di sabato prossimo è presentato dalle Associazioni Linea Rosa e Lions Club. Ricordiamo che Linea Rosa previene e tutela le donne contro la violenza maschile e si è resa promotrice, in carcere, di vari altri incontri culturali a favore della popolazione detenuta come quello di Lella Costa, Federica Bovolenta e Cristiano Cavina. Terni: iniziativa "Lo sport è vita", il calcio entra in carcere grazie al Panathlon Club www.umbria24.it, 27 novembre 2014 La finale fra due rappresentative di detenuti ha rappresentato il suggello all’iniziativa coordinata da Gianni Masiello e Nicola Traini. La finale fra due squadre composte da detenuti ha rappresentato il suggello all’iniziativa "Lo sport è vita", promossa dal Panathlon Club all’interno del carcere di Terni. In due mesi di lavoro, i tecnici responsabili del progetto - Gianni Masiello e Nicola Traini - sono riusciti a coinvolgere oltre trecento persone sul campo di calcio della casa circondariale. L’attività è partita lo scorso 15 settembre e si è conclusa con una giornata indimenticabile, accompagnata dalla partecipazione diretta dei panathleti ternani all’interno della struttura di vocabolo Sabbione. "Siamo molto attenti al sociale - spiega Massimo Carignani, presidente del Panathlon Terni - così come ai valori etici e morali che ci guidano". Si replica All’incontro ha partecipato la direttrice del carcere di Terni, Chiara Pellegrini, che ha ringraziato il consiglio direttivo del Panathlon per l’interessamento verso la struttura ternana e verso chi nella vita ha commesso degli errori. Tale iniziativa - spiegano dal Panathlon - sarà certamente seguita da altre, con le stesse finalità. Stati Uniti: l'italiano Chico Forti premiato per l’impegno in carcere Il Trentino, 27 novembre 2014 Gli amici del comitato fanno visita al detenuto in Florida, che ha ricevuto l’attestato per aver lavorato a favore degli altri. Una visita nel carcere a Florida City a Chico Forti, è stata l’occasione per il trentino detenuto da 15 anni di rivedere vecchi amici. Tra i quattro esponenti del gruppo "Una Chance per Chico" c’erano Lorenzo Moggio e Mauro Angelini (per loro si è trattato di un ritorno) e Sergio Boscheri e Stefano Girelli, per i quali l'incontro è stato ancora più emozionante, dato che non vedevano Chico da quasi 25 anni. Indescrivibile è stata la sorpresa e la gioia di Chico nel vedere i suoi amici che indossavano una polo azzurra con la scritta "Chico Ita-1" ( il suo numero velico ai tempi delle regate). "Circostanza che nei due giorni di visita ha suscitato una considerazione e un’ammirazione da parte degli altri ospiti del carcere che - dice Moggio - il nostro campione non ha mancato di segnalarci". Aggiungono gli amici: "Come al solito le poche ore a disposizione per gli incontri sono state molto intense, all'insegna dei ricordi, degli aneddoti, ma anche dei progetti e delle speranze che Chico porta dentro di sé e che comunica con il consueto entusiasmo ed energia". "Non c'è mai bisogno di fare domande - commenta Lorenzo Moggio, presidente del Comitato una Chance per Chico - perché Chico è un fiume in piena, vuole sapere di Trento e dei suoi vecchi amici, parla per ore di tutto, se si ferma è per presentarci un detenuto con cui è in rapporti di amicizia. Si capisce che lui cerca - e riesce - ad andare d'accordo con tutti grazie alla sua intelligenza e alle sua notevole empatia, con le quali riesce e far breccia anche con personaggi dal curriculum decisamente inquietante. E questo nonostante debba vivere in un ambiente estremamente difficile, dove ogni giorno è necessario confrontarsi con il rigido regolamento del carcere, con gli umori delle guardie, con i ricorrenti conflitti tra gruppi di detenuti". Chico ha mostrato agli amici con soddisfazione un diploma d’onore che gli è stato concesso per il lavoro svolto in carcere a favore degli altri detenuti. Una conferma del valore dell’imprenditore trentino, da 15 anni detenuto nelle prigioni americane ma per tutto questo tempo impegnato a favore delle altre persone incarcerate. Un esempio, l’ennesimo del suo valore umano e spirituale dal quale Chicco ha tratto in questi anni la forza morale per continuare la sua battaglia per la richiesta di revisione del processo. Un aspetto sul quale stanno attivamente lavorando l’avvocato newyorkese Joe Tacopina, i familiari e gli amici "Una Chance per Chico". "Abbiamo lasciato Chico con il consueto lungo abbraccio che lascia un velo di tristezza, ma anche con la speranza della vittoria nella sua battaglia", concludono gli amici. Medio Oriente: Ong denuncia "abusi su 240 bambini palestinesi detenuti in Israele" Tm News, 27 novembre 2014 Violenze sessuali su 40% dei 600 bambini arrestati da giugno 2013. Almeno 240 bambini palestinesi, arrestati dalle autorità israeliane a Gerusalemme da giugno 2013, avrebbero subito abusi sessuali in carcere: lo ha denunciato il Club per i prigionieri palestinesi (Pcc), un’organizzazione non governativa che si occupa dei diritti dei detenuti locali. Secondo quanto spiegato, il 40% dei 600 bambini palestinesi arrestati in poco meno di un anno e mezzo avrebbe subito questo tipo di abusi. L’Ong, si legge su Ibtimes, ha affermato in un rapporto che la "quotidiana campagna di arresto" di giovani palestinesi che vivono a Gerusalemme rappresenta una "punizione collettiva contro tutti i palestinesi residenti in città". Un avvocato dell’organizzazione, Andrei al-Haj, ha spiegato che altre violazioni sarebbero state compiute durante l’arresto dei bambini, come incursioni diurne e notturne nelle abitazioni delle loro famiglie e altri tipi di abusi fisici e sessuali. Secondo il legale, i bambini sotto investigazione in Israele dovrebbero essere accompagnati dai genitori ma "in molti casi le autorità israeliane non hanno avuto alcun rispetto di queste leggi". Ungheria: lavoro obbligatorio per 12mila dei circa 18mila detenuti presenti nelle carceri Asca, 27 novembre 2014 Dal prossimo anno in Ungheria i detenuti saranno tenuti per legge a "contribuire al costo del loro internamento" mediante forme di attività lavorativa non ancora specificate. Secondo un articolo del Magyar Nemzet la decisione significherebbe che 12mila dei circa 18mila detenuti delle carceri ungheresi dovranno lavorare. Sono infatti esclusi coloro la cui la salute non lo permette e i detenuti che hanno già raggiunto l’età pensionabile. Secondo l’articolo negli ultimi 4 anni il numero degli internati che hanno lavorato in prigione e per l’organizzazione di istituti correttivi sono aumentati di diverse migliaia. Jozsef Lajtar, vice capo del servizio "business e IT" del sistema detentivo ungherese, lo scorso anno le aziende di prodotti agricoli e industriali all’interno del sistema carcerario hanno totalizzato entrate per 14 miliardi di fiorini. Venezuela: morti almeno 21 detenuti per intossicazione farmaci, assunti per protesta Tm News, 27 novembre 2014 Erano in sciopero fame per protestare contro condizioni carcere. Almeno 21 prigionieri sono morti nelle carceri venezuelane a causa di un’intossicazione da farmaci. La notizia è stata prima diffusa dalla polizia e da una Ong e poi confermata dal governo venezuelano, che però parla di 13 decessi e 145 casi di intossicazione, tutti avvenuti nella prigione di Uribana, nel Sud-ovest del Paese. I detenuti avevano iniziato l’altro ieri uno sciopero della fame per protestare contro il trattamento disumano e le violazioni dei diritti dell’uomo di cui erano vittima da parte del personale carcerario. Nella prigione "David Viloria" di Uribana sono morti 17 detenuti, secondo la polizia. Ma altri 4 detenuti, trasferiti da questa prigione verso un’altra, sono deceduti per le stesse ragioni, ha indicato l’Osservatorio venezuelano delle prigioni. Secondo questa Ong i prigionieri si sono ammutinati e poi si sono recati nell’infermeria dove hanno assunto i farmaci. L’amministrazione penitenziaria ha parlato di decessi causati da "ingestione incontrollata" di antibiotici, medicinali contro l’epilessia e l’ipertensione, alcol. In agosto l’Osservatorio venezuelano delle prigioni aveva denunciato la situazione drammatica delle carceri del Paese con una sovrappopolazione che raggiunge il 190%; solo nel primo semestre 2014 ben 150 detenuti hanno perso la vita in carcere. Venezuela: 42 detenuti evadono da centro detenzione di Los Teques, in periferia Caracas Tm News, 27 novembre 2014 Un gruppo di 42 detenuti, condannati per vari reati tra i quali omicidio, sequestro e rapina a mano armata, sono riusciti a evadere da un carcere alla periferia di Caracas all’alba di questa mattina. Lo ha riportato la stampa locale. Gli uomini sono evasi dal centro di detenzione a Los Teques alle 4 del mattino, mentre aspettavano di essere trasportati in cella. Il quotidiano La Region ha scritto che sono evasi attraverso una fessura dalla porta posteriore. Il quotidiano ha inoltre pubblicato una lista di nomi degli evasi. Tra loro ci sono otto condannati per rapina, ventitré per omicidio e quattro per sequestro. Il centro di detenzione aveva una capienza di 40 detenuti ma ne ospitava oltre 130. Eritrea: lo Stato prigione di Marco Omizzolo e Roberto Lessio Il Manifesto, 27 novembre 2014 Almeno diecimila prigionieri politici. Leva obbligatoria fino a 50 anni per gli uomini e 40 per le donne. Obbligo di versare una percentuale dei guadagni per chi fugge all’estero. Pena: ritorsioni contro le famiglie. È l’Eritrea di Isaias Afewerki. In Eritrea da anni domina uno dei regimi più violenti al mondo. Il dittatore Isaias Afewerki, al potere dal 1993, non ha scrupoli con la popolazione locale e con quanti cercano di scappare dal paese. Chi sta con lui vive, chi lo contesta muore o è costretto a fuggire. Ricordare la violenza di questa dittatura è utile in vista della conferenza ministeriale organizzata dal viceministro per gli Affari Esteri Lapo Pistelli per oggi e domani a Roma con lo scopo di lanciare il Processo di Khartoum: un dialogo rafforzato tra i paesi africani e l’Ue per impegnarsi sulla gestione delle migrazioni. Alla conferenza prenderanno parte i rappresentanti dei paesi di origine e transito della Horn of Africa Migratory Route, la principale rotta migratoria verso l’Europa, tra i quali uno del governo eritreo. In concomitanza, il Comitato Giustizia per i nuovi desaparecidos ha convocato per domani una conferenza stampa alla Camera dei deputati per denunciare le morti di migranti nell’area mediterranea, ricostruire la verità, sanzionare i responsabili e rendere giustizia a vittime e familiari. A partire da quelle del regime eritreo. I portavoce del Comitato, tra cui Enrico Calamai, chiedono che il Processo di Khartoum non impedisca all’Italia di condannare Afewerki e di sostenere il popolo eritreo, vittima di una dittatura che ha cancellato ogni libertà, tutti i diritti civili e politici, qualsiasi tentativo di opposizione. Le ultime elezioni si sono svolte nel 1994 mentre la costituzione, approvata nel 1997, non è mai stata applicata. Dal 2001 sono agli arresti una quindicina tra ministri, funzionari e alti ufficiali dell’esercito, senza essere comparsi davanti a un giudice per conoscere almeno le accuse a loro carico. E numerosi giornalisti, leader religiosi, politici, obiettori di coscienza, semplici cittadini, sono scomparsi in prigione, spesso senza processo. Secondo Amnesty International sono almeno 10mila i prigionieri politici eritrei rinchiusi nelle carceri di Asmara, alcuni anche da vent’anni. Lager in realtà, non semplici prigioni. Come ad Eiraeiro, dove molti sono morti durante la carcerazione, come i giornalisti Dawit Isaak (cittadino svedese oltre che eritreo) e Yohannes Fesshaye, del quale non si conosce nemmeno l’anno preciso del decesso. Vige nel paese inoltre la leva militare obbligatoria fino al 50esimo anno per gli uomini e al 40esimo per le donne. Gli eritrei di questa età non possono espatriare e molti, quindi, fuggono illegalmente, spesso morendo nel Mediterraneo o lungo il deserto, quando non diventano prede di trafficanti di esseri umani che, come denunciato dalle Nazioni unite, sono collusi con l’establishment militare. Secondo il The human trafficking cycle: Sinai and beyond della giornalista eritrea Meros Estefanos redatto con van Reisen e Rijken dell’università olandese di Tilburg, sarebbero circa 30 mila le persone imprigionate, tra il 2009 e il 2013, da clan di beduini. Questi rapiscono i profughi in fuga dall’Eritrea, insieme a sudanesi ed etiopi, per ottenere un riscatto passato in pochi anni da mille dollari a persona a 30-40 mila. Il giro d’affari è di circa 622 milioni di dollari, 453 milioni di euro. Le vittime sono soprattutto giovani eritrei (circa nove su dieci, secondo il rapporto) e spesso vengono dai campi profughi in Sudan o dal campo militare di Sawa. I sequestratori sono invece militari eritrei che gestiscono i campi di addestramento e che li vendono ai trafficanti di uomini. Questi operano lungo la frontiera Sudan-Eritrea e appartengono alle stesse bande di predoni, legate a organizzazioni internazionali del crimine, che per anni, nel Sinai, hanno sequestrato, ricattato, torturato e spesso ucciso migliaia di persone che tentavano di varcare il confine tra Egitto e Israele. Un business mafioso La loro presenza ai margini del confine settentrionale eritreo è la prosecuzione dello stesso business mafioso, giocato sulla vita di chi cerca di evitare guerre e persecuzioni. L’unica differenza è che le basi operative dei vari clan si sono trasferite dal deserto del Sinai in Sudan, e che ai vecchi clan di predoni si sono aggiunti gruppi di terroristi che fanno del traffico di uomini una lucrosa fonte di finanziamento. Una spinta decisiva in questa direzione è arrivata dalla costruzione della barriera che ha blindato nel deserto la frontiera israeliana. La conseguenza non è stata la fine del flusso crescente di profughi ma solo il suo spostamento. I primi segnali si sono avuti con la presenza di emissari dei mercanti di morte intorno o addirittura all’interno dei campi profughi sudanesi: personaggi senza scrupoli che si propongono come intermediari per la traversata del Sahara verso la Libia o addirittura rapiscono nei campi le loro vittime per venderle alle varie bande organizzate. Questo sistema criminale si è ramificato intorno ai confini con l’Etiopia e controlla sia la frontiera che il suo retroterra, intercettando e sequestrando un numero crescente di profughi. L’ultima conferma viene da un episodio recente: almeno 15 ragazzi, tra i 20 e i 23 anni, sono stati catturati da predoni armati a pochi chilometri dal confine, mentre tentavano di raggiungere il campo di Shakarab o di proseguire verso Khartoum. La loro sorte è stata segnalata all’agenzia Habeshia dalla famiglia di uno del gruppo; un ventenne che, come i suoi compagni, ha disertato dall’esercito eritreo. Il ragazzo è riuscito a contattare un familiare attraverso il cellulare messogli a disposizione dai rapitori per chiedere il riscatto: 15 mila dollari. Una cifra inesigibile. "Piangeva e urlava di dolore - ha raccontato il familiare - perché durante la telefonata lo picchiavano e lo torturavano per rendere più convincenti le sue parole…". Lui stesso ha raccontato come è stato rapito e che erano una quindicina, incatenati l’uno all’altro, chiusi in una piccola casa nel deserto. Se la famiglia non riuscirà a pagare la sua liberazione sarà venduto ad un’altra banda e poi ad un’altra ancora, con crescita del riscatto ad ogni passaggio e la minaccia finale di passarlo ai trafficanti di organi per i trapianti clandestini. Ricatti alle famiglie Anche le famiglie di chi fugge subiscono continue ritorsioni; i genitori o i parenti di primo grado possono essere arrestati e obbligati a pagare una multa elevatissima. Un modo per l’Eritrea di rimediare risorse per la propria sopravvivenza: è la cosiddetta diaspora taxation. Ogni eritreo all’estero deve versare il 2% del proprio reddito al regime; una tassa pagata alla dittatura proprio da chi fugge da essa e cerca di ricostruirsi una vita. Il regime di Asmara liquida come provocazioni le contestazioni che si moltiplicano in Eritrea e all’estero tra le migliaia di rifugiati della diaspora e parla di congiura internazionale per giustificare la progressiva crisi del paese. Intanto la povertà domina. L’Eritrea è uno dei paesi più poveri al mondo. Il pil pro capite è di 792 dollari l’anno. La carestia che ha investito il Corno d’Africa nel 2010 è stata devastante. Ma il regime ha negato l’emergenza e rifiutato gli aiuti internazionali per ragioni politiche e di prestigio, condannando la popolazione a sofferenze enormi. La dittatura è accusata anche di armare i gruppi fondamentalisti che operano nel Corno d’Africa. Hillary Clinton, allora segretario di stato americana, ne ha parlato fin dal 2008-2009, con riferimento agli estremisti islamici di Al Shebaab, il movimento legato ad Al Qaeda che opera in Somalia e vicino al califfato dell’Isis. Il medesimo gruppo che ha attaccato recentemente un autobus pubblico a Mandera, nel nord del Kenya, uccidendo 28 persone e ferendone molte altre. La stessa contestazione è stata mossa ad Asmara da tutti gli Stati del Corno d’Africa. La Svezia, invece, ha inserito nella lista dei personaggi da perseguire il presidente Afewerki e alcuni suoi ministri. La Chiesa eritrea ha denunciato duramente l’attuale situazione con una coraggiosa lettera pastorale firmata da tutti i vescovi. Inoltre, il Consiglio delle chiese, riunitosi a Ginevra nel luglio scorso, ha fatto proprie le posizioni dei vescovi eritrei e protestato contro l’arresto e detenzione ai domiciliari, dal 2004, del patriarca Antonio. L’Eritrea è stata dunque isolata da quasi tutti i governi democratici. L’incontro del 28 novembre potrebbe essere l’occasione per un impegno reale dell’Italia contro il dittatore e in favore della popolazione eritrea. A patto di usare quel palcoscenico per combattere al fianco di un popolo oppresso e superare piccoli e grandi interessi che varie aziende italiane continuano ad avere con la dittatura. Ma questo è un altro capitolo che affronteremo a breve. Marocco: manifestazione a Tangeri per chiedere liberazione detenuti marocchini in Iraq Nova, 27 novembre 2014 Si è svolta ieri a Tangeri una manifestazione in favore dei marocchini detenuti in Iraq, la cui sorte non è nota a causa della crisi in corso nel paese arabo. Secondo quanto riporta il sito marocchino "Hespress", un sit-in è stato organizzato per le vie del centro cittadino. Decine di familiari dei detenuti marocchini presenti nelle carceri di Baghdad hanno chiesto al governo di intervenire per avere notizie sulla loro sorte. Le associazioni per i diritti umani marocchine hanno denunciato le torture subite dai loro connazionali da parte dei carcerieri sciiti in Iraq. Per questo i manifestanti hanno sollecitato le istituzioni di Rabat ad intervenire con le autorità di Baghdad per farli rientrare in patria.