Giustizia: il ministro Orlando rilancia "Gli Stati Generali delle carceri in arrivo nel 2015" di Errico Novi Il Garantista, 25 novembre 2014 "Nel 2015 faremo gli Stati Generali del carcere per vedere quanto è stato fatto e quanto resta da fare per migliorare la situazione dei detenuti". Il ministro della Giustizia Andrea Orlando annuncia un’iniziativa "epocale" sulla situazione penitenziaria. Ma ricorre a un’opportuna dose di cautela: vedremo quanto resta da fare, dice. Di sicuro ancora molto, come dimostra l’ennesimo suicidio in cella di questo autunno terribile. L’ultima tragedia viene da Sollicciano, il carcere di Firenze, dove "sabato sera si è tolto la vita nella sua cella un italiano originario di Massa Marittima, di 34 anni", come denuncia il Sappe, sindacato della Polizia penitenziaria. Ma appunto il guardasigilli cerca di stare in equilibrio tra propaganda e dati reali. Con qualche eccesso di ambizione invece, il governo si prepara a varare il provvedimento sul processo penale, in cui sono contenute anche le nuove norme sulla prescrizione. Oggi il premier Renzi ne parlerà con i familiari delle vittime dell’Eternit, in arrivo da Casale Monferrato. Il rischio è che prometta più di quanto sia contenuto nel disegno di legge preparato da via Arenula. D’altra parte su questa materia, molto tecnica eppure divenuta all’improvviso di grande interesse, si preannunciano nuove convergenze tra Pd e cinquestelle. A prescindere da cosa conterrà il testo preparato da Orlando dunque, potrebbe venir fuori una riforma più restrittiva. Se ne comincerà a discutere nella commissione Giustizia della Camera non appena il Consiglio dei ministri darà il via libera alla presentazione del ddl. La stessa commissione presieduta dalla pd Donatella Ferranti incontrerà oggi i rappresentanti delle famiglie di Casale Monferrato. Che chiederanno di dare un deciso colpo d’acceleratore anche a un’altra legge, quella sul reato di disastro ambientale: se già esistente, la nuova normativa avrebbe indirizzato il processo Eternit verso esiti diversi. L’appuntamento tra Ferranti e la delegazione piemontese farà slittare di qualche ora un passaggio chiave proprio sulla questione carceri: la replica del governo a un’interrogazione presentata da un deputato della commissione Giustizia, Saverio Romano, sul famoso decreto degli 8 euro. Il parlamentare forzista attende chiarimenti su una questione sollevata con analoga iniziativa anche dal vicepresidente della Camera Roberto Giachetti: l’effettività dei rimedi risarcitoli introdotti dal provvedimento di agosto. Più di un magistrato di sorveglianza in questi mesi ha dovuto lasciare che le istanze dei detenuti si accumulassero sulla sua scrivania: nel decreto ci sono molte zone d’ombra. Sia sulla possibilità di ottenere sconti di pena (o in alternativa il risarcimento di 8 euro) anche per periodi di detenzione pregressi, sia sui criteri per calcolare l’angustia delle celle. "Alle interrogazioni di Romano e Giachetti", spiega la presidente Ferranti, "il ministro Orlando dovrebbe rispondere con una circolare. Giustizia: il ministro Orlando "superare il modello passivizzante di detenzione" Ansa, 25 novembre 2014 "Questo governo si è insediato con diverse migliaia sopra i 60mila detenuti, ora siamo a 54mila: la forbice si è notevolmente ristretta", eppure non è solo una questione di numeri, ma di "modello di detenzione: il nostro è passivizzante, e non credo sia un caso che il nostro sia uno dei sistemi più cari e con più alto tasso di recidiva in Europa". Lo ha sottolineato il ministro della Giustizia, Andrea Orlando al simposio giuridico alla Corte Costituzionale "Vent’anni di democrazia costituzionale in Sud Africa: riflessione su dignità e giustizia". "Il Parlamento ha fatto un lavoro importante, che va sostenuto con la garanzia della effettività della svolgimento delle pene alternative, e per questo abbiamo firmato dieci protocolli di intesa", ha aggiunto il ministro per il quale "una volta sviluppato il binario parallelo delle pene alternative si tratta di ragionare su come si svolge la pena all’interno del carcere". Sono due gli aspetti da valutare: il tema dell’edilizia, e a questo proposito "dopo molti anni si apre un nuovo carcere, quello di Cagliari", ha sottolineato Orlando, e "l’aspetto trattamentale e delle professionalità coinvolte, su cui lavoreremo agli stati generali del carcere". Saranno nel 2015, ha confermato il ministro, che ha spiegato che per ora si è alla fase organizzativa: "Vorremmo dare voce alle soggettività che ruotano intorno al carcere, alla polizia penitenziaria, ai direttori degli istituti e ai volontari. Ma anche a coloro che guardano a questo universo dall’esterno, e che spesso sono stati utilizzati dalla propaganda". "Noi ci scontriamo - ha detto il ministro - con la paura, alimentata in maniera demagogica" e con "un’opinione pubblica su cui fa moltissima presa il teme del diritto penale e dell’esecuzione della pena". Giustizia: Renzi, il "mistero Gratteri" e la difficile rottamazione dei vecchi magistrati di Claudio Cerasa Il Foglio, 25 novembre 2014 I primi strepitano, si agitano, si espongono, scrivono, provano a esistere, fanno molte conferenze, si fanno spesso intervistare, vivono nella lamentela, promettono grandi rivoluzioni, si fanno coccolare dai giornali amici ma alla fine più di una buona citazione in un cortese corsivo di Marco Travaglio proprio non riescono a ottenere. I secondi non dichiarano, si muovono nell’ombra, agiscono con passo felpato, giocano con i cavilli, non compaiono sui giornali, sono specializzati a far arrivare al destinatario dei messaggi trasversali e alla fine riescono spesso con abilità a mettere il governo con le spalle al muro e a ottenere qualcosa di più di un bel quot sul Fatto Quotidiano. Succede questo. Succede che nove mesi dopo la nascita del governo Renzi ci sono due mondi insieme vicini e lontani dall’universo del rottamatore che in un modo o in un altro provano a influenzare il percorso del governo su un fronte importante che è quello della giustizia. Il primo fronte, che per semplicità potremmo definire il PdM (il Partito di Micro- Mega), è formato da un gruppo di magistrati nominati da Renzi come consulenti di Palazzo Chigi e capitanato da uno dei pubblici ministeri insieme più misteriosi e più ambiziosi d’Italia: Nicola Gratteri. Il 30 luglio del 2014, pochi mesi dopo essere stato brutalmente asfaltato da Giorgio Napolitano nel momento della scelta dei ministri del governo Renzi (il presidente incaricato portò il suo nome al Quirinale come possibile Guardasigilli ma alla fine fu sacrificato in cambio della nomina di Federica Mogherini agli Esteri al posto di Emma Bonino), il presidente del Consiglio (su richiesta di Graziano Delrio, che con Gratteri ha un vecchio rapporto di amicizia, dai tempi del comune di Reggio Emilia) ha offerto all’ex procuratore di Reggio Calabria la guida di una strategica e fondamentale commissione per "l’elaborazione di proposte normative in tema di lotta, anche patrimoniale, alla criminalità" dando così a Gratteri un giocattolino con cui consolarsi per la mancata nomina a ministro della Giustizia. Un giocattolino con cui Gratteri ha provato a fare Un giocattolino, si diceva, che il tonico Gratteri ha condiviso con alcuni magistrati di fede profondamente anti renziana (Piercamillo Davigo, magistrato, consigliere della Corte di cassazione; Sebastiano Ardita, magistrato, procuratore aggiunto a Messina) e con il quale ha provato a dettare l’agenda al governo (richiesta numero uno: niente responsabilità civile per i magistrati, perché non serve; risultato: responsabilità civile approvata pochi giorni fa in Parlamento). Un giocattolino, ancora, che il tosto magistrato calabrese ha scelto di utilizzare come uno strumento per far sentire sul collo del ministro ufficiale (Andrea Orlando) il fiato del ministro ufficioso (con accorati appelli sul Fatto, con appassionati manifesti su Micro- Mega, e pazienza se poi i giornali più distanti da Renzi per criticare Renzi siano costretti a ricorrere a magistrati appartenenti a correnti di destra). Un giocattolino, infine, osservato però con estrema ironia nel governo, dato che a quattro mesi dall’insediamento della commissione Gratteri l’atto pubblico più significativo prodotto dalla commissione è un appello su MicroMega nel numero di ottobre. Titolo distensivo: "Senza giustizialismo nessuna riforma". E mentre Gratteri prova a muoversi da mesi come se fosse il ministro shadow del governo Renzi (ché chi lo sa poi se Orlando finisce in Liguria o magari in Campania…; ché chi lo sa poi se magari Renzi cambia maggioranza…). Mentre succede tutto questo c’è un partito meno visibile del PdM che da alcune settimane si muove abilmente nel silenzio e che rischia di ottenere un risultato che suonerebbe come uno schiaffo sonoro al partito della rottamazione. Oggi l’obiettivo di questo partito è quello di ottenere una proroga a una prima proroga già ottenuta ad agosto durante la scrittura del decreto sulla pubblica amministrazione firmato Marianna Madia. Il decreto del ministro della Pubblica amministrazione prevedeva l’abolizione dei trattenimenti in servizio a partire dal 31 ottobre 2014 ma ai magistrati (la cui pensione venne anticipata dai 75 ai 70 anni) fu concessa - caso unico tra i dipendenti della Pa - una proroga fino al 31 dicembre 2015. La notizia - confermata al Foglio anche da fonti di Palazzo Chigi e del ministero della Giustizia - è che un fronte trasversale del gruppo parlamentare Pd si sta muovendo in una direzione opposta a quella del governo e sta preparando un emendamento per spostare di un anno ancora la pensione dei magistrati. Il fronte ha trovato terreno fertile non solo in Parlamento ma anche sul lato del Quirinale, dove negli ultimi giorni il consigliere del presidente della Repubblica, Donato Marra, ha ricevuto pressioni da parte di alcuni magistrati importanti come Edmondo Bruti Liberati e Giovanni Canzio (procuratore capo di Milano, presidente della Corte d’Appello di Milano). La prima proroga al decreto Madia valeva infatti per i magistrati arrivati già ai 70 anni: Bruti e Canzio hanno però entrambi 69 anni e per godere della possibilità di non perdere il posto avevano bisogno di una proroga in più. La richiesta non è stata accettata dal governo ma in Parlamento ha trovato sponde fertili. L’emendamento finirà nel Milleproroghe. E chissà che per Renzi rottamare i vecchi magistrati non sia davvero infinitamente più complicato (e infinitamente più rischioso) che rottamare i vecchi leoni del Pd. Giustizia: salviamo il processo da chi lo "divinizza" di Francesco Petrelli (Segretario dell’Unione Camere Penali) Il Garantista, 25 novembre 2014 Nel 1774, due anni prima della dichiarazione di indipendenza, il Congresso americano inviò al Parlamento di Londra una lettera nella quale gli insorti così scrivevano: "noi intendiamo godere dei medesimi vantaggi che la costituzione inglese assicura ai suoi sudditi... che noi pensiamo appartenere all’essenza stessa della libertà inglese, che niuno possa essere condannato senza essere ascoltato, né punito per offese imputategli senza aver la facoltà delle difese", affermando che questo sarebbe stato "un privare gli Americani di quel diritto che ogni uomo ha, quello di trovar giustizia presso un tribunale di giudici indifferenti". Metafora, questa, sufficiente a spiegare quale nesso profondo legava, e dovrebbe sempre legare, un popolo al "suo" processo, facendone il fondamento della libertà di tutti. Che manchi in questo paese, e mai come in questo momento, una simile comunione di valori, un nodo di senso, un patto sociale, che faccia del processo penale uno strumento condiviso di accertamento delle responsabilità del singolo e di soluzione razionale del conflitto fra l’autorità dello stato e la libertà dell’imputato, è sotto gli occhi di tutti. La collettività ha smesso da tempo di comprendere quali siano i limiti stessi del processo, le sue funzioni, i suoi strumenti. Lo spazio processuale, trasformato dai media in uno scontro agonistico insensato, è divenuto l’abisso infernale dove giudici feroci giustiziano gli innocenti e mandano assolti i colpevoli. Il patto insostituibile che deve stringere un popolo al "suo" processo sembra essersi spezzato inesorabilmente e sbaglia chi crede che la questione riguardi solo sociologi, antropologi o pochi addetti ai lavori e non sia invece una questione che riguardi la tenuta stessa dell’intera democrazia nel nostro paese. Ed è grave che non ci si avveda che non è con interventi approssimativi e simbolici, prodotti da improvvise fibrillazioni del sistema, che si avvicina la macchina processuale alla collettività. Gli interventi estemporanei e simbolici, adottati sotto la spinta di questo o quel caso giudiziario, non solo irrompono nel sistema processuale disarticolandone pericolosamente i già precari equilibri, ma producono un danno alla lunga ancor più grave, perché finiscono con il consolidare l’idea che siano stati i giudici a sbagliare, assolvendo gli imputati, e che le nuove leggi rimedino provvidenzialmente ai "loro errori", e che infine quella del legislatore reclamato a furor di popolo a far leggi come fossero medicamenti da applicare su di una ferita ancor viva sia una prassi virtuosa ed encomiabile. Questo sbilanciamento dell’intero sistema induce a credere che il processo sia il luogo ove si confrontano i buoni e i cattivi, dove dunque si consumano e si risolvono scontri sociali, dove maturano le trasformazioni. Una idea dalla quale si e già stati più volte tentati nel passato, ma che aveva tuttavia un tempo il privilegio di essere frutto di un’ideologia meditata che nasceva dentro l’esperienza di una politica forte e dentro la macchina di un processo inquisitorio e autoritario, e non era, come lo è oggi, il frutto occasionale della debolezza dell’uno e della inadeguatezza dell’altro. Si dislocano cosi, con una certa impudicizia, sotto la pressione di un incontenibile populismo, sulle spalle debolissime del processo e dei giudici tutte le manchevolezze, le incompetenze, i ritardi e le omissioni della politica. È la politica infatti che deve proteggere le fabbriche e l’ambiente dal diffondersi di agenti patogeni micidiali, è la politica che deve costruire una adeguata gestione del rischio prodotto dalle calamità naturali, ed è la politica che organizza, forma e prepara forze dell’ordine, luoghi di detenzione ed ospedali dove i detenuti non subiscano mai violenze o trattamenti inumani e dove non si muoia, ed è ancora la politica che dovrebbe assegnare al processo, non solo le risorse materiali, ma soprattutto gli spazi di senso che gli spettano, che sono quelli di un limite indeclinabile all’azione dell’autorità dello stato, ovvero di semplice strumento di accertamento delle responsabilità dei singoli, libero dal peso di lottare contro la criminalità, di risarcire la collettività di danni irrisarcibili, di essere strumento di impossibili palingenesi sociali. Quanto manchi invece una profonda e condivisa cultura liberale del processo è cosa evidente, se sfugge a molti di coloro che dovrebbero costituire i formatori delle future classi dirigenti del paese quale sia la funzione stessa del processo in una moderna società democratica, e quale la funzione del giudice e quale, infine, il limite stesso del giudizio. Quando si chiede ai giudici della Cassazione di "sporcarsi le mani" o ai giudici in genere di farsi interpreti del "clima" che aleggia in un processo, come si è sentito dire di recente da magistrati ed editorialisti di punta, significa chiedere al processo penale ciò che il processo non deve e non può produrre. Si chiede al processo di essere il propulsore e moltiplicatore delle suggestioni del momento, di essere strumento oscillante delle emozioni collettive, di farsi veicolo improprio di estemporaneo di soluzione di quei conflitti sociali e di tutti i problemi cui la politica da tempo a smesso di occuparsi. E nel far questo si finisce con l’assolvere la politica di tutti i mali che ha prodotto, scaricando sul processo responsabilità e pesi che non può e non deve sostenere. Tutto ciò che il processo non può, non vuole e non deve essere, dovremmo tornare a insegnarlo, ma non solo nelle università, ma nelle scuole, dove occorre formare le generazioni future educandole ad una idea di processo come valore collettivo, come strumento di tutela della libertà di tutti, e ad un’idea semplice e condivisa di legalità e di verità che non sta solo dalla parte dell’accusa, ma che si forma sulle prove disponibili e che vive nel contraddittorio delle parti davanti a un giudice terzo, competente, imparziale e indipendente, ma che non può cambiare il mondo. Giustizia: il Comitato etico della Fondazione Veronesi e il carcere come "extrema ratio" Il Sole 24 Ore, 25 novembre 2014 Il Comitato etico della Fondazione Umberto Veronesi è un "advisory group" composto da eminenti personalità provenienti da ambiti diversi, che guida le scelte etiche della Fondazione ed è il portavoce ufficiale di riflessioni in materia di etica e di bioetica che si concretizzano in documenti e pareri. In occasione dell’anniversario dei 250 anni dalla pubblicazione dell’opera di Cesare Beccaria Dei Delitti e delle Pene che ricorre quest’anno e, alla luce della recente condanna ricevuta dalla Corte Europea di Strasburgo per il trattamento inumano e degradante all’interno delle carceri del nostro Paese, il Comitato ha reputato urgente affrontare e trattare il tema delle carceri e del sistema sanzionatorio penale. "Ripensare il sistema sanzionatorio penale" è il documento elaborato da Paola Severino e Antonio Gullo con la collaborazione di Cinzia Caporale approvato dal Comitato etico lo scorso 6 novembre che qui pubblichiamo. Scopo del documento è tracciare un percorso a più tappe per una possibile riforma del sistema sanzionatorio penale con un ampliamento di misure alternative al carcere. Su proposta del Prof. Umberto Veronesi, il Comitato Etico affronta l’ampia e importante tematica dello stato della Giustizia in Italia. Verranno analizzati alcuni aspetti relativi all’andamento dell’amministrazione della Giustizia, alle condizioni delle carceri e alle modalità di custodia, alla razionalizzazione ed efficienza degli uffici e dei servizi, nonché agli interventi e strumenti che, opportunamente individuati e adottati, potrebbero garantire concreti miglioramenti del sistema, essenziali e urgenti per la corretta tutela dei diritti, soprattutto di quelli delle persone più vulnerabili. L’approfondimento dei punti di maggiore criticità verrà articolato in diversi documenti, il primo dei quali è dedicato al sistema sanzionatorio penale. Ripensare il sistema sanzionatorio penale è un tema da tempo al centro del dibattito scientifico. Negli ultimi anni è finalmente divenuto anche un impegno nell’agenda del legislatore. Una decisiva spinta al processo riformatore è venuta dalla Sentenza "Torreggiani" della Corte europea dei diritti dell’uomo che, condannando l’Italia per la violazione dell’art. 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali - disposizione che vieta la tortura e i trattamenti inumani o degradanti, ha imposto all’attenzione pubblica la necessità di rivedere l’attuale sistema penale. L’esigenza di assicurare il rispetto della dignità della persona nella fase di esecuzione della pena impone infatti una riflessione che si indirizzi verso il sistema penitenziario ma, ancor prima, sull’analisi degli spazi che, in un diritto penale moderno, dovrebbero essere riservati alla reclusione in carcere. Giustizia: il Quirinale risponde ai Radicali "le carceri cessino di essere luoghi disumani" Public Policy, 25 novembre 2014 Bisogna "continuare a profondere il massimo impegno per far sì che gli istituti carcerari italiani cessino in fretta di essere luoghi disumani. Solo una rinnovata concezione del carcere, non più come luogo di segregazione ed isolamento sociale, bensì come luogo di rieducazione e reinserimento, potrà definitivamente porre fine ad episodi tragici come quello di Marcello Lonzi". È quanto si legge in una lettera di Ernesto Lupo, consigliere per la Giustizia del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, in risposta alla richiesta del segretario di Radicali italiani, ex deputata, Rita Bernardini, affinché si faccia chiarezza sulla morte in carcere, a Livorno nel 2003, di Marcello Lonzi. "Comprendo - scrive Lupo - quanto un evento tanto tragico possa essere ancora piu` difficile da accettare quando avviene in ambiente carcerario. Episodi del genere lasciano sgomenti e su di essi è necessario fare la massima chiarezza. La vicenda di Marcello Lonzi non ha trovato sinora sorda la magistratura [...] La stessa ultima richiesta di integrazione delle indagini dimostra la volontà di andare a fondo nel tentativo di fare luce sui fatti, pur nei limiti di un accertamento processuale. Non ci resta, pertanto, che avere fiducia nella professionalità dei magistrati e dei loro ausiliari, consapevoli tuttavia delle difficoltà che derivano dal lungo tempo trascorso e dalla complessità della ricostruzione dei fatti". La battaglia per migliorare la condizione delle carceri italiane, aggiunge Lupo secondo quanto riporta Bernardini sul suo blog, "è un tema, una battaglia culturale e civile, che il presidente considera della massima importanza e nel cui ambito c’è ancora molto da fare". Giustizia: Ilaria, dall’assoluzione degli imputati per la morte del fratello a inviata di Rai 3 di Riccardo Arena Il Post, 25 novembre 2014 "L’Italia è un paese in cui Ilaria Cucchi, di professione amministratrice di condominio, ora diventa inviata di Raitre". Lo ha scritto qualche giorno fa Filippo Facci su Twitter. Un’affermazione che fotografa una grave anomalia del nostro Paese. Uno strano Paese che, grazie a un’informazione capace di manipolare conoscenza e convincimenti, assomiglia sempre di più a un magic circus. Ovvero a un circo magico, dove si confonde realtà con mere ipotesi. Un circo magico che trasforma il semplice sospetto, mai approfondito ma ben manipolato dai media e cavalcato dalla politica, in dato fattuale. Un circo magico in cui, senza avere alcuna certezza, si grida allo scandalo, quando lo scandalo potrebbe non esserci e si immola a "vittima dello Stato" chi vittima potrebbe non essere. Esattamente ciò che è accaduto con il processo Cucchi e con le relative conseguenze sulla vita della sorella, Ilaria. Fortunate conseguenze. Non a caso, grazie a questo circo magico, nel comune sentire Stefano Cucchi viene visto come una vittima del sistema. Eppure, non abbiamo certezze. Non sappiamo ancora se Cucchi sia stato una vittima oppure no. Non è detto che sia morto per colpa dello Stato, come non è escluso che il suo decesso fosse inevitabile. Un’incertezza confermata, non solo dalle sentenze, ma anche dalla realtà, visto che può accadere (e accade) che si muoia negli ospedali, senza per questo essere delle "vittime del sistema". Insomma, senza dati certi, sul c.d. caso Cucchi regna una gran confusione. Una confusione generata da un’informazione che in questi anni ha manipolato il comune convincimento, senza operare alcun approfondimento. Una manipolazione fatta di superficialità, di foto impressionanti, di facile sdegno, ma dove nessuno si è letto le carte per capire e far capire davvero dove sia la ragione o il torto. Una manipolazione che ha anche influito sulle indagini e sulle determinazioni dei Pubblici Ministeri. Un fenomeno questo, comune a tanti altri casi, dove la mala informazione genera mala giustizia. Un ruolo patologico dei media che rischia di creare "casi", che casi non sono o di immolare a vittima chi non lo è. Ed è in questo circo magico che Ilaria Cucchi diventa una vittima. Vittima a prescindere dalla realtà e da ciò che afferma la giustizia. Vittima comunque, sia che abbia torto o ragione. Ilaria Cucchi è una vittima, anche se viene intascato un risarcimento record da a un milione e trecentoquaranta mila euro. Risarcimento sproporzionato che nessun "giornalista" si è preso la briga di analizzare per capire come si è giunti a una cifra tanto elevata. Ilaria Cucchi è una vittima, anche se hanno assolto i medici quando lei accusava solo gli agenti della polizia penitenziaria. Ed infine, grazie a questo circo magico, Ilaria Cucchi si consacra definitivamente vittima proprio grazie alla recente assoluzione. Ci si chiede: se il processo di appello fosse terminato con una condanna, chi avrebbe più parlato di lei? Chi l’avrebbe immolata a "vittima del sistema"? Sta di fatto che Ilaria Cucchi conquista una notevole notorietà mediatica, trasformandosi in un’attrazione politica e istituzionale. Viene ricevuta dal Procuratore capo di Roma e anche dal Presidente del Senato. Una vittima che fa audience e che per questo fa gola a tanti. Soprattutto a un certo ambiente ipocrita della vecchia sinistra. Un ambiente ipocrita a cui non interessa l’imprenditore accusato ingiustamente, ma la vittima popolare, anche se non si è sicuri che lo sia veramente. Un ambiente ipocrita della vecchia sinistra che assume Ilaria Cucchi come inviata per la trasmissione "Questioni di famiglia" in onda su Rai 3. Ora, visto come vanno le cose in questo circo magico, non mi stupirei se un domani Ilaria Cucchi fosse eletta in Parlamento. Giustizia: scongiurare l’archiviazione del caso Marcello Lonzi di Carlo Da Prato L’Avanti, 25 novembre 2014 Nella tragedia euripidiana de "Le Troiane", l’essenza drammatica del testo è perennemente in scena, come presenza vitale e ingombrante che diventa essa stessa personaggio; una patina densa e stagnante generata dallo smarrimento delle protagoniste, deturpate nel fisico e nell’anima dal corrosivo effluvio ferroso della carneficina. Ecuba, Andromaca, Elena e Cassandra, perdute in un labirinto senza uscita, accettano di muoversi nei suoi meandri senza permettere il disfacimento della volontà di denunciare le ingiustizie e la follia della violenza. Maria Ciuffi, madre che con ostinata tenacia cerca di squarciare il velo di omertà (traducasi archiviazioni) nel disperato tentativo di fare finalmente luce sulla morte del figlio Marcello, avvenuta nelle carceri di Livorno, ha lo spessore tragico di Andromaca, alla quale i greci sottrassero il dolce figlio Astianatte per ucciderlo gettandolo giù dalle mura. La gelida cronaca dei fatti ci riconduce alla notte del 3 gennaio 2003, quando Marcello Lonzi entra nel carcere de "Le Sughere" per tentato furto; l’intreccio prosegue per narrare una quotidianità della quale diventa padrone la custodia dello Stato, un ticchettio sofferto di lancette che avanza a fatica per fermarsi definitivamente come un orologio male assemblato l’11 luglio dello stesso anno, quando il giovane ventinovenne viene trovato morto nella sua cella: il referto medico parla di morte naturale sopraggiunta per arresto cardiaco. Come le donne Troiane, Maria Ciuffi si trova nel disperata condizione di chi ha perduto tutto e conserva solo la memoria del passato, fatta di tenerezze e premure che una madre dona al proprio figlio. Maria Ciuffi è stata privata di tutto nella presenza viva e acuta del dolore, ma non della sua dignità umana, che invece altri abominevoli esseri sembrano non aver mai posseduto; insensati aguzzini capaci delle più brute barbarie senza minima remora. Perché a discapito dell’infarto, alcune drammatiche foto scattate appena dopo il decesso ritraggono il giovane Marcello con il viso tumefatto e tagliuzzato, il corpo livido e una copiosa perdita di sangue dalla testa. Il referto medico parla di otto costole rotte, tre denti spaccati, due fori in testa, un polso rotto e una mandibola fratturata. Maria Ciuffi chiede la verità da 11 anni, scontrandosi con ostinati e disumani muri di gomma che negano l’evidenza: la stessa procura e lo stesso gip hanno già archiviato il caso due volte, la prima per morte naturale e la seconda per infarto, e dopo la riapertura delle indagini nel giugno di questo anno ora il rischio è quello di una nuova archiviazione. Per scongiurare questa ennesima beffa, irrisoria e cinica, mercoledì 26 novembre, alle ore 11 a Livorno davanti al Tribunale in via Falcone e Borsellino si terrà una manifestazione organizzata da Maria Ciuffi, Rita Bernardini (Segretaria di Radicali Italiani), Irene Testa (Segretaria dell’associazione "Il Detenuto ignoto") e Marco Pannella. Comunque vada a finire questa drammatica storia, abbiamo il dovere di lottare al fianco di questa madre e per la causa che ponga fine alla drammatica situazione delle carceri italiane, con la speranza che dal massacro della violenza germogli più forte l’istinto alla vita. Lettere: torturatelo, torturatelo, vedrete che alla fine parlerà di Tiziana Maiolo Il Garantista, 25 novembre 2014 Se stanno sperimentando sulla cavia Bossetti una lenta forma di tortura che dovrà portarlo a una sorta di ritrovata pena di morte, lo dicano chiaro. Non si spiega diversamente il trattamento riservato al muratore bergamasco, unico sospettato dell’omicidio di Yara Gambirasio. Bossetti è in carcere da cinque mesi (di cui quattro trascorsi in isolamento totale) senza che sia stato ancora neppure chiesto il rinvio a giudizio. Si dichiara estraneo al delitto. Fino a ora non esiste nei suoi confronti la "pistola fumante", non c’è movente né arma del delitto. C’è l’esame del dna, e non è poco. Ma i magistrati non si decidono a chiedere il giudizio immediato, cioè quel rito processuale che consente di abbreviare i tempi, andando subito al dibattimento quando si ritiene si avere in mano solide prove. Ma ci sono le prove? Così, mentre è ancora avvolta nel mistero la morte della ragazzina di Brembate, si avvicina la data che segna il triste ricordo del giorno in cui lei sparì, il 26 novembre di quattro anni fa. Un anniversario che forse il Pubblico Ministero pensava di ricordare con un colpo di scena, visto che si è presentata al carcere ieri mattina accompagnata da uno squadrone di investigatori degno delle grandi occasioni dal comandante del nucleo investigativo dei carabinieri al capo della squadra mobile di Bergamo fino a un certo numero di dirigenti del Ros e dello Sco. Che cosa significa questo schieramento? È motivato solo dalla necessità di mostrare unità tra gli investigatori, quella che non c’è stata nel corso delle prime indagini e tanti danni ho portato ai risultati? O forse la rappresentante della Pubblica Accusa sperava nell’agognata confessione dell’indagato, che le avrebbe consentito di esibirla nell’anniversario della sparizione di Yara? Alle proteste dei difensori di Bossetti, che a quel punto si è avvalso della facoltà di non rispondere, è uscito subito allo scoperto il procuratore capo di Bergamo Dettori, che si è affrettato a rinnovare la fiducia nei suoi sostituti. Il che pare alquanto singolare, visto che si tratta di persone da lui delegate e che della fiducia del capo dovrebbero godere sempre, senza bisogno di pubbliche manifestazioni. Rimane il fatto che le pressioni psicologiche sull’indagato perché confessi qualcosa che lui dice di non aver commesso si fanno sempre più insistenti. Una forma di tortura che abbiamo riscontrato solo nei processi contro la criminalità organizzata. Con risultati spesso tragici, con persone che hanno accusato altri, ma anche se stessi, per delitti non commessi. Se Tesarne del dna, unico indizio finora raccolto contro Bossetti, viene ritenuto sufficiente, si vada in giudizio. Altrimenti si proceda almeno alla scarcerazione. Ma le indiscrezioni che escono dagli inquirenti ci dicono che loro stessi hanno troppi dubbi. Dopo aver detto ai quattro venti che il furgone di Bossetti era sicuramente in zona il giorno in cui Yara sparì, ora si scopre che stanno esaminando altre decine di furgoni simili. Nessuna spiegazione viene data inoltre al fatto che i tagli trovati sul corpo della ragazzina sono stati effettuati da diversi coltelli, forse impugnati da diverse persone, E come mai gli indumenti di Yara non sono tagliati nei punti corrispondenti alle ferite sul corpo? E ancora: dove è morta Yara e di che cosa? Non per le ferite, forse di freddo. Ma il suo corpo è stato ritrovato supino, con braccia e gambe allargate e distese. Chi muore di ipotermia al contrario in genere si rannicchia, per proteggersi. E ancora non ci sono le analisi sui peli (senza bulbo, però) trovati vicino al suo corpo. Così come non si sa se ci sono tracce di Dna della ragazza sul furgone e l’auto di Bossetti. Evidentemente no, altrimenti un argomento così forte sarebbe stato già strombazzato ai quattro venti. E allora? E allora non resta che la speranza della confessione. Che i magistrati vogliono raggiungere a ogni costo. Che cosa significherebbe se no il fatto che a Bossetti siano stati negati colloqui straordinari con i figli? Chi conosce il carcere sa quanto siano importanti per il detenuto i rapporti con il "fuori", in particolare con la famiglia. Se si recidono quei legami, il carcerato entra in depressione, diventa più fragile, quindi più malleabile, più disponibile. È forse su questo che puntava il Pm Ruggeri quando, alle dicci del mattino, ha bussato al portone del carcere di Bergamo con il suo squadrone. Cosa da chiamare con urgenza Amnesty International. Lettere: il vero "disastro ambientale"? la giustizia, tra carcere preventivo e legge Severino Paolo Cirino Pomicino Il Foglio, 25 novembre 2014 La vita in Italia diventa sempre più difficile. Recessione e povertà, riduzione degli occupati e dei consumi finanche alimentari, ghettizzazione delle grandi periferie urbane e un progressivo dissesto idrogeologico sono un quadro complessivo di sfarinamento del paese. Di tutto questo disastro ne parleremo in altra occasione. Oggi vogliamo ragionare sulla Giustizia i cui malanni aggiungono e aggravano la situazione descritta. Un universo mondo fatto di lentezze, di inadeguatezze strutturali e funzionali e dove campeggiano spesso protagonismi che producono ferite sanguinanti non solo a persone e a famiglie ma anche alla percezione che l’intero paese ha della nostra giustizia, una percezione drammatica che alterna timore e sfiducia. Partiamo da alcuni fatti di cronaca che attengono alla cosiddetta carcerazione preventiva di cui ha parlato finanche il Papa. Ci riferiamo ai casi di Silvio Scaglia, di Alfredo Romeo e di Francesco Gaetano Caltagirone Bellavista. Tre imprenditori diversi ma tre storie egualmente tragiche che rappresentano la punta di un iceberg di sofferenze e di ingiustizie. Tre uomini mantenuti in carcere per mesi ingiustamente dal momento che poi nel processo sono stati assolti perché il fatto non sussiste. E allora vorremmo chiedere all’associazione magistrati se davvero bisogna ricorrere così spesso alla carcerazione preventiva infliggendo mortificazioni e sofferenze senza sapere se davvero una persona sia colpevole. Davvero, cioè, le indagini non si possono fare senza incarcerare preventivamente gli indagati? Per evitare pressioni improprie tese a patteggiare o a confessare, perché non limitarla ai domiciliari stretti per quei pochi giorni necessari a ritirare il passaporto, fare perquisizioni ed eventuali misure interdittive? Naturalmente da queste domande sono esclusi i reati di sangue, quelli colti in flagranza e quelli della criminalità organizzata. Chi difende la indipendenza della magistratura inquirente deve saper difendere nel paese anche altri valori di gran lunga maggiori della prima quali la libertà e la reputazione delle persone. Vorremmo ragionare, senza alcuna polemica, con tutti e tre i poteri indicati da Tocqueville per dire loro che un potere diventa autorevole e accettabile quando si pone esso stesso dei limiti rispetto ai valori fondanti di una civiltà moderna. E lo diciamo anche al Parlamento che nel suo declino ventennale si è fatto dettare spesso norme liberticide o di segno contrario. Un esempio è l’ultimo caso di cronaca quello di Salvatore Mancuso che essendo stato rinviato a giudizio per ostacolo alla vigilanza si è dovuto dimettere dal consiglio di amministrazione dell’Enel nel quale era stato nominato dal ministero del Tesoro. Ci sono migliaia di Mancuso, imprenditori, professionisti autorevoli e perbene, che sono permanentemente sotto la spada di Damocle di un rinvio a giudizio che poi nei processi nel 50 per cento dei casi si dimostra fallace ma per il quale hanno dovuto lasciare qualche anno prima il proprio ruolo nella guida di società private o pubbliche. E perché quelli solo sospettati di aver sbagliato devono lasciare il proprio ruolo mentre chi alla fine della vicenda risulta di aver sbagliato come il magistrato inquirente conserva appieno le proprie funzioni? Parliamo dell’esercizio di una funzione inquirente che se si caratterizza molte volte per errori che colpiscono valori fondamentali (reputazione e libertà) non dovrebbe essere più consentita a chi l’ha esercitata destinando la persona a funzioni diverse. Dispiace che la famosa legge Severino porti il nome di una donna di cultura e di alta professionalità. In uno stato di diritto l’elettorato passivo va tolto solo dalla autorità giudiziaria perché è un diritto costituzionalmente protetto e lo è stato per 60 anni della vita repubblicana. Se dopo un processo penale l’autorità giudiziaria non dà l’interdizione dai pubblici uffici, perché si toglie a una persona il diritto all’elettorato passivo che risiede nelle mani solo dei partiti che le propongono e dei cittadini che le votano? Quando ancora deputati discutemmo di ineleggibilità, per spiegare la follia di quelle proposte presentammo un emendamento che dichiarava altresì ineleggibili quanti avevano chiesto o disposto misure cautelari per 7 volte su persone risultate poi innocenti. La legge si fermò. È più grave non aver denunciato un finanziamento elettorale alle Camere o una violazione per sette volte dei diritti dell’uomo così come descritti nella carta universale dell’Onu? In una stagione ormai lontana erano i partiti a non candidare persone sotto processo e prima ancora dei partiti erano i politici coinvolti in vicende giudiziarie a chiamarsi fuori anche dagli impegni di partito. Il senso del nostro appello di oggi ai tre poteri (l’esecutivo, il legislativo e quello giudiziario) è quello di ripristinare ciascuno nel proprio ambito il loro primato e la loro indipendenza, entrambi possibili solo se si recupera quella autorevolezza perduta che poggia, però, sulle spalle dei propri limiti e della propria responsabilità e coltivata da quel buon senso anch’esso smarrito. Se questo non dovesse accadere la società italiana si avvia più rapidamente di quanto si immagini a una implosione drammatica e a una fuga di massa di quanti sono in condizione di farla, giovani o anziani che siano. Sicilia: manca il Garante per diritti dei detenuti… se lo Stato arretra si favorisce la mafia di Davide Di Giorgi www.extraquotidiano.it, 25 novembre 2014 Dal 2013 esiste solo l’ufficio, ma è fermo perché la legge regionale assegna tutte le competenze all’authority. L’ex garante Fleres: "Ancora oggi arrivano tantissime segnalazioni. I casi come quelli di Stefano Cucchi sono centinaia all’anno". La Sicilia non ha più l’Ufficio del garante dei diritti dei detenuti. O meglio, esiste l’ufficio ma non il garante. Che però è fermo perché la legge regionale assegna tutti i poteri all’authority. Dal 16 settembre 2013 il presidente della Regione Rosario Crocetta non ha più nominato il garante per la tutela dei diritti fondamentali dei detenuti. Una figura che, dal 2006 al 20013, è stata ricoperta dall’ex senatore catanese Salvo Fleres. L’ex Garante racconta le tante iniziative svolte in questi anni a servizio dei diritti umani e dei detenuti. Su sua iniziativa, per esempio, nel carcere di piazza Lanza a Catania è stato chiuso un reparto per la ristrutturazione, dopo un ricorso. "Molti detenuti - racconta Fleres - segnalavano problemi legati alle prestazioni sanitarie scarse, abusi o episodi "strani". Abbiamo svolto indagini molte accurate sui casi segnalati, perché molto spesso le autorità competenti puntano a minimizzare ogni cosa. Esistono tanti casi Cucchi. I casi come quelli di Stefano Cucchi sono svariate centinaia all’anno". L’ex Garante racconta anche di "essere stato avvicinato presumibilmente da esponenti della criminalità organizzata che hanno proposto di fare il garante privato. Nel momento in cui lo Stato arretra e abbassa il livello di garanzia che offre ai cittadini, nella sanità per esempio, o nella scuola, o, in questo caso, nel carcere, si scatena l’iniziativa "privata". C’è chi ha pensato, quando hanno saputo del mio non rinnovo come Garante, che si potesse creare uno spazio d’azione: evidentemente quando un detenuto sta male ha due scelte, o si affida allo Stato oppure se manca il garante si affida alla famiglia d’origine. Dunque - sostiene con fermezza - chi non rinnova il garante fa una grossa cortesia alla mafia". E sulla situazione delle carceri in Sicilia, Fleres afferma che "è simile alla situazione italiana ma nell’Isola abbiamo un’aggravante. Esistono una trentina di carceri, per minorenni e adulti, molto vecchie dove un po’ dappertutto ci sono problemi di natura sanitaria, ci sono problemi legati alle scarse attività rieducative". Gloria Cammarata, funzionaria dell’ufficio del Garante ribadisce la necessità di trovare una soluzione: "L’ufficio è fermo perché secondo la legge regionale n. 5 del 2005, tutte le competenze sono in capo al garante, il quale per lo svolgimento delle sue attività si avvale di un ufficio, ma senza garante di fatto l’ufficio non può operare". E aggiunge: "Siamo stati la seconda regione d’Italia ad istituire questa figura. Le altre regioni hanno preso spunto dalla nostra legge. Al momento esiste dunque un ufficio con tre unità e nove ex Pip e l’unica cosa che fa è l’ordinaria amministrazione. È mortificante". Poi aggiunge: "Il tavolo del garante è pieno di lettere di detenuti che scrivono, ma tali lettere non possono essere aperte perché sarebbe una violazione di corrispondenza. Alcune invece sono indirizzate all’ufficio e possono essere aperte ma non possiamo rispondere perché le lettere di risposta devono essere firmate dal garante. Noi non sappiamo cosa c’è nelle lettere. Possono esserci richieste d’aiuto o d’intervento. Una risposta può salvare una vita ed evitare altri casi di suicidio, per esempio. Ci possono essere lettere di detenuti che lamentano situazioni sanitarie particolari, situazioni di abuso, o altro… Intanto le lettere aumentano. Meno rispetto a prima, ovviamente, perché chi non riceve risposta, da un anno, non ha alcun motivo di scrivere. Chi prima aveva riposto fiducia nel garante oggi non sa più a chi rivolgersi". E sulla mancata nomina del garante da parte del governatore Crocetta, Gloria Cammarata precisa di non conoscerne i motivi, ma lancia un appello: "Se non vuole nominare il garante allora faccia un emendamento di tre righe e chiuda l’ufficio. L’incarico è a titolo gratuito e le persone che vogliono farlo attualmente ci sono. Lo stesso Fleres, ad esempio, ha chiesto di essere rinominato, disponibile sin da subito a riprendere il lavoro". Napoli: carcere Poggioreale; anni 80, quando le squadrette speciali usavano la "cella zero" di Damiamo Aliprandi Il Garantista, 25 novembre 2014 Incappucciati, spogliati nudi e azzannati dai cani di razza fino a fargli mordere i genitali. A seguito della nostra inchiesta sui Gom, i reparti speciali del corpo della Polizia penitenziaria, abbiamo incontrato Pietro Ioia che ci racconta la terribile esperienza vissuta negli anni 80 al carcere di Poggioreale, In particolar modo ci descrive l’utilizzo della cosiddetta "cella zero" e i metodi di tortura delle squadrette speciali, i precursori dei Gom. Erano gli anni della faida interna della criminalità organizzata campana. Una guerra tra la "nuova camorra organizzata" di Raffaele Cutolo e la "nuova famiglia", la quale si combatteva anche all’interno delle carceri. Per salvaguardare la propria incolumità, ogni detenuto, anche chi non era affiliato, doveva proteggersi con la pistola e fare da sentinella armata all’interno del proprio padiglione. Per far fronte a tutto ciò, lo Stato faceva intervenire il corpo speciale della polizia penitenziaria, la quale utilizzava metodi simili alla tortura di Pinochet. Pietro Ioia attualmente è un uomo libero e ha fondato un’associazione napoletana che si batte per i diritti dei detenuti. A primavera uscirà un libro sulla cella utilizzata per torturare i detenuti, L’eventuale ricavato delle vendite, verrà utilizzato per aiutare i detenuti più poveri che non hanno i soldi per comprare i beni essenziali utili per sopravvivere all’interno del carcere. Grazie alle denunce e testimonianze di Pietro Ioia, la Procura di Napoli ha aperto un’inchiesta per far luce sull’utilizzo recente della "cella zero". Secondo la denuncia, tale cella è stata utilizzata fino a qualche mese fa. Oggi, grazie anche al cambio della dirigenza, il carcere di Poggioreale è diventato un po’ più "dignitoso". A seguire, la sua lettera shock dove racconta la brutalità delle squadre speciali. Pestati e morsi dai cani: così le teste di cuoio ci torturarono, di Pietro Ioia (presidente "Ex detenuti organizzati napoletani") Erano le 11 del mattino ed eravamo situati al terzo piano dei "padiglione Salerno" del carcere di Poggioreale . Fuori dalla mia cella si commentava il trasferimento notturno e coatto di alcuni boss mafiosi avvenuti nei giorni scorsi, quando all’ improvviso ci fu l’irruzione armata delle "teste di cuoio" dei penitenziari, la squadretta che dopo anni verrà chiamata Gom: spararono all’impazzata verso il soffitto del padiglione e tutti noi ci rifugiammo all’interno delle nostre celle. Io mi infilai sotto al mio letto dove sentivo fischiare le pallottole fin dentro la mia cella. Il tutto durò per pochi e interminabili minuti e restammo chiusi per tutta la giornata nelle celle. La "pace" finì presto. Verso le 19 e 45 della stessa giornata, mentre stavamo guardando il Tg3 regionale, sentimmo delle urla strazianti in lontananza. Piano piano si fecero sempre più forti finché fu la volta della nostra cella: entrarono due uomini alti, robusti e incappucciati dove con fucili alla mano ci intimarono di spogliarci nudi. Una volta spogliati ci pestarono con il calcio del fucile e ci obbligarono ad uscire di corsa fuori dalla cella. Ad aspettarci c’erano altri uomini che ci accompagnarono con calci, pugni e manganellate giù al piano terra. A quel punto, sotto il tiro delle armi, faccia al muro fummo pestati con manganelli dietro la schiena e sui glutei. Poi ci fecero correre tra le due fila composte da giovanissimi guardie che arrivarono dalla scuola della polizia penitenziaria di Portici. Continuarono a pestarci con manganelli, pugni e, come se non bastasse, venimmo azzannati da cani di razza, i pastori tedeschi. Ad alcuni detenuti, i cani gli morsero i genitali e rischiarono di farseli strappare. Poi di corsa, tutti tumefatti, pieni di sangue e senza alcuna assistenza medica, fummo portati giù alle compresse dove all’epoca cerano celle segrete molte ampie. Dopo due giorni, legato mani alla schiena e incappucciato, venni prelevato e portato in un ufficio. A quel punto mi fu tolto il cappuccio e vidi davanti a me molti uomini con il viso coperto. Alla domanda dove avevo nascosto la pistola, io risposi di non saperlo. Quindi mi fu rimesso il cappuccio e portato di peso al piano terra di un padiglione, mi fu tolto di nuovo il cappuccio e vidi una cella vuota con una luce rossa opaca, uno sgabello e una corda a cappio. Al tal punto io subito dissi dove nascosi l’arma e mi fu risparmiata l’ennesima tortura. Correva l’anno 1982 ed era in corso la guerra di camorra di Raffaele Cutolo e la "nuova famiglia": era in quell’anno che io e molti altri detenuti abbiamo assistito alla nascita della cella zero. Firenze: la Camera Penale; suicidi in carcere, c’è un’incapacità di arginare il fenomeno La Repubblica, 25 novembre 2014 Sul suicidio del giovane detenuto che sabato si è impiccato nel carcere fiorentino di Sollicciano interviene l’avvocato Luca Maggiora, responsabile dell’Osservatorio Carcere della Camera Penale di Firenze: "Si registra ancora una volta, e a pochissima distanza dal precedente, un ulteriore decesso all’interno del carcere di Firenze; questa volta un suicidio", scrive l’avvocato: "Se la recente morte per overdose della giovane donna aveva suscitato sentimenti di tristezza e di indignazione, questo ulteriore decesso - avvenuto proprio mentre a Firenze si stava svolgendo un importantissimo convegno sulla materia - dimostra come ormai sia evidente l’incapacità di arginare il triste e pericoloso fenomeno delle morti in carcere. Si ribadisce ancora una volta come non sia concepibile entrare in un carcere, sotto la tutela dello Stato, ed uscirne morti. Come riportato anche dalla stampa, questo è il terzo suicidio avvenuto nella struttura fiorentina ed il quinto in Toscana. La Camera Penale chiederà un incontro con la Direttrice del carcere; le esigenze di rieducazione devono essere accompagnate da seri ed efficaci strumenti a tutela della popolazione detenuta". Aduc: suicidio tossicodipendente, colpa inerzia istituzioni "Se un contribuente è incapace di far fronte ai propri debiti non deve essere l’ente creditore a curarlo (decidere come e se farlo pagare a rate, per esempio), ma un organismo indipendente e di tutela del malato creditore. Lo stesso dovrebbe valere per il tossicodipendente che deve scontare una pena: va levato dal carcere e curato da chi è preposto esclusivamente al suo benessere sanitario", "il suicidio di Sollicciano non è purtroppo un film, ma il risultato dell’assenza e dell’insufficienza di politiche in questo senso, cioè dell’inezia delle istituzioni". Così Vincenzo Donvito, presidente Aduc, commenta il suicidio nel carcere fiorentino di Sollicciano di un detenuto tossicodipendente, in cura metadonica, al quale era giunta la notifica di una sentenza definitiva per spaccio di droga. E aggiunge: "Come lui, in cura presso il Sert del carcere fiorentino, ce ne sarebbero circa altri duecento. Tra il diffuso disinteresse dei più". Perugia: nelle carceri c’è meno sovraffollamento, ma serve più lavoro… e più personale www.umbria24.it, 25 novembre 2014 A Perugia il convegno organizzato dai parlamentari Pd. Verini: "Occuparcene dovere morale". Paparelli: "Fare di più". Il cardinale Bassetti: "Detenuto non sia invisibile. Occuparsi di carceri non è un lusso, è un dovere, anche morale". Lo ha detto il deputato Walter Verini, capogruppo Pd in commissione Giustizia della Camera aprendo il convegno "Carcere, una pena civile in un sistema giusto ed efficiente" organizzato proprio dai deputati democratici. "Il Pd - ha detto Verini - sta provando a cambiare l’Italia e lo fa provando a introdurre riforme che abbiano impatto in molti campi, dal lavoro alla pubblica amministrazione, dalla scuola alla giustizia. Il 29 agosto - dunque - il Governo ha licenziato un pacchetto di misure per rendere la giustizia più veloce, trasparente, efficiente e per dare a cittadini e imprese la certezza del diritto". Oggi, "dopo 20 anni si può provare a discutere di giustizia partendo da temi generali e non dai problemi personali di qualcuno. E parlare di giustizia significa anche parlare di emergenza carceri". Grazie a molte delle misure prese negli ultimi mesi, "il tema del sovraffollamento si pone, oggi, in maniera meno emergenziale, ma la situazione, per quanto meno drammatica, rimane pesante e una società civile seria e una politica attenta alle esigenze delle fasce più deboli non possono rimanere insensibili a temi come questi. Occuparsi di carceri non è un lusso, è un dovere, anche morale". Come è un dovere "far entrare di più la società e le istituzioni nelle carceri per non lasciare soli quanti si occupano di detenuti e che in Umbria, in molti casi, hanno fatto della rieducazione e della umanità una ragione di vita. La pena - ha aggiunto Verini - non è una vendetta, ma deve puntare alla rieducazione, al reinserimento e investire nel recupero e nel reinserimento significa investire in sicurezza". "In Umbria - ancora Verini - il sistema carcerario soffre meno e dall’Umbria arrivano segnali importanti di civiltà: dagli spazi per la preghiera per detenuti di fede islamica al carcere di Terni alle attività agricole a Perugia, fino ai progetti di educazione e formazione a Spoleto". Dalle Province di Perugia e di Terni e dalla Regione Umbria sono in arrivo fondi per importanti progetti formativi, anche rivolti a minorenni, e per il sostegno a iniziative di reinserimento lavorativo come il progetto agricolo e l’officina creativa di produzione tessile a Capanne di Perugia. In questo senso è importante il "contributo - ha spiegato l’assessore regionale con delega alla Sicurezza Fabio Paparelli - delle associazioni di volontariato. Permangono, però, criticità importanti - per Paparelli - legate alla mancanza di mezzi e personale e spesso anche a generi di prima necessità. C’è attenzione - ha sottolineato Paparelli - verso il tema fondamentale della dignità umana e del recupero di quanti devono scontare una pena certa ma che deve rappresentare una occasione di espiazione e recupero sociale". Secondo Paparelli "abbiamo bisogno che questo tema non sia più affrontato ciclicamente ma in maniera strutturale e definitiva". Tra le difficoltà che il sistema carcerario umbro, che pure ha avviato esperienze importanti, evidenzia con più forza "alcune carenze legate al reinserimento lavorativo - ha sottolineato Cinzia Montanucci, responsabile Giustizia del Pd Umbria - l’organico insufficiente e un ritardo rispetto all’adeguamento dei luoghi e dei metodi di detenzione alle esigenze dell’universo femminile". Ha portato i suoi saluti agli ospiti del convegno il cardinale e arcivescovo di Perugia Gualtiero Bassetti. "Il carcerato - ha detto - è uno che non si vede, è recluso, non fa notizia, in poche parole non esiste e in molti casi è oggetto di una condanna morale da parte di cittadini esasperati da una società della paura". Ma "se un carcerato è invisibile per il mondo - per Bassetti - non deve esserlo per chi è credente e per un uomo di buona volontà che nel carcerato vede la dignità della persona umana, da rispettare e aiutare". Il cardinale Bassetti ha voluto richiamare l’attenzione sulla opportunità di rivedere l’istituto dell’ergastolo, definito da Papa Francesco "una pena di morte coperta". "Il carcere - ha sottolineato - non può diventare la panacea di tutti i mali che ci sono nella società e quando una pena è senza fine non ha più nemmeno un aspetto medicinale". A introdurre i lavori del pomeriggio il responsabile nazionale Carcere del Partito Democratico Sandro Favi e la responsabile giustizia del Pd Umbria Cinzia Montanucci. Tra gli ospiti: Stefano Anastasia, presidente onorario di Antigone, Francesco Cascini, vice capo del dipartimento Amministrazione penitenziaria, la senatrice Pd Valeria Cardinali, Massimo Costantini, Cnca Umbria, Beatrice Cristiani, del tribunale di sorveglianza di Perugia, Bernardina di Maio, direttore del nuovo complesso penitenziario Capanne di Perugia, Francesco Falcinelli, presidente della Camera penale di Perugia, Giorgio Flamini, regista e docente presso la casa di reclusione di Spoleto, Carlo Fiorio, garante dei detenuti della Regione Umbria, Marco Gambuli, coordinatore dei Dipartimenti del Pd Umbria, la senatrice democratica Nadia Ginetti, il consigliere regionale Manlio Mariotti, Chiara Pellegrini, direttore della casa circondariale di Terni, Eustachio Petralle, dirigente della direzione generale esecuzione penale esterna, Silvia Rondoni, Arci Solidarietà Ora d’Aria, Carlo Bonucci, consigliere Apv con delega alle tematiche del carcere, Ilse Runsteni, dirigente generale del Provveditorato amministrazione penitenziaria Umbria e Marche, Luca Sardella, direttore case di reclusione di Spoleto e Orvieto. Caserta: certificati falsi per favorire detenuti, condannati medici e poliziotti di Marilù Musco Il Mattino, 25 novembre 2014 Avrebbero favorito alcuni detenuti nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, in particolare Michele Froncillo del clan Belforte di Marcianise, fornendo medicinali per farli dimagrire. Per paura di ritorsioni o per ottenere una ricompensa. L’eccessivo dimagrimento di alcuni reclusi avrebbe potuto garantire la scarcerazione facile dei detenuti e l’affidamento a strutture di recupero: bastava avere il camice bianco amico che stilava un certificato favorevole per darlo ai giudici del tribunale di sorveglianza. Ieri, i medici in servizio alla Casa circondariale di Santa Maria Capua Vetere fino al 2008, sono stati condannati con una sentenza di Appello. Per tutti è caduta l’aggravante di aver agevolato alcuni esponenti di spicco della camorra casertana. L’unico condannato in Cassazione con sentenza definitiva per ora è il dottor Nicola Mortola di Trentola Ducenta, medico di base, il quale aveva scelto il rito abbreviato per farsi giudicare. Per gli altri i magistrati della corte di Appello di Napoli hanno letto il dispositivo ieri mattina: condannato a tre anni e quattro mesi il titolare di una struttura per riabilitazione per tossicodipendenti del Litorale Domizio, Vittorio Rovani (in primo grado era stato condannato a 4 anni). Stessa pena per il camice bianco Giuseppe Di Maio che il tribunale distrettuale condannò sempre a quattro anni. Per l’altro imputato, Vincenzo Noviello, medico pure lui, l’udienza è slittata al 20 gennaio assieme agli imputati Mario Frocillozio del collaboratore dì giustizia Michele Froncillo di Marcianise - e a Giuseppina De Crescenzo, moglie del detenuto Felice Napolitano. La condanna è stata emessa dai magistrati anche per Antonio Valentino, agente di polizia penitenziaria che avrebbe portato all’interno della Casa circondariale medicinali, stando alla procura Antimafia di Napoli. Si trattava di farmaci suscettibili ad alterare le condizioni di salute dei detenuti per creare uno stato di apparente sofferenza. A difendere i camici bianchi in primo e in secondo grado, c’erano gli avvocati Nando Letizia e Nando Trasacco. L’accusa scattata a carico degli imputati era quello di aver stilato un falso certificato medico e di aver favorito dei detenuti. Ridotta fa condanna per i fratelli Paolo e Riccardo Di Grazia di Carinaro e per fa gola profonda che aveva svelato il giro di certificati medici con il trucco dietro compenso di denaro per i camici bianchi: Michele Froncillo. Fu lui a rendere le prime dichiarazioni ai magistrati. Il periodo della sua detenzione fu fino al 2006. Ma tra le pieghe dell’inchiesta della Dda di Napoli venne commesso un grave errore giudiziario. Per diciannove giorni venne reclusa in care ere Anna Paglialonga, 53 anni di Capua, fa quale all’epoca dei fatti prestava servizio presso il Sert (Servizio per le tossicodipendenze) di Capua. Anna, notevolmente dimagrita nel fisico e distrutta nell’animo, viene scarcerata il nove maggio del 2008. La sua innocenza è stata poi dichiarata dai giudici, ma finire sui giornali per lei è stato terribile. Napoli: dibattito sulla sanità in carcere, presentate le strategie per prevenire Ebola e Hiv di Claudia Procentese Il Mattino, 25 novembre 2014 Non solo del virus che terrorizza il mondo si è parlato, ieri mattina, al convegno tenutosi nel carcere di Secondigliano dal titolo "Ebola, informazione e strategie preventive in carcere". L’incontro è divenuto occasione per discutere di sanità penitenziaria, partendo dall’unità di crisi allestita dall’Asl Napoli 1 Centro (e illustrata dal direttore sanitario Antonella Guida), per fronteggiare eventuali casi sospetti di Ebola con una specifica procedura rivolta agli istituti di pena di Secondigliano e Poggioreale, e arrivando all’analisi delle malattie infettive, come Hiv, epatiti, tubercolosi e sifilide, diffuse soprattutto in ambienti promiscui e sovra Bollati come le celle. "L’ultimo caso è di qualche giorno fa - ha spiegato Lorenzo Acampora, direttore Uoc Tutela Salute negli istituti penitenziari. Due detenuti hanno scoperto di essere affetti da Aids dopo la visita medica di primo ingresso in carcere, che per questo motivo riveste un’importanza fondamentale, soprattutto perché spesso ci troviamo di fronte a persone che fuori hanno rapporti sporadici con il servizio sanitario". A rassicurare, invece, sul virus Ebola è stato Francesco Faella, direttore del Dipartimento Malattie Infettive ed Emergenze Infettivologiche dei Colli. "Pochi rischi per l’Italia ed infondato il timore che siano i clandestini a portarlo - ha chiarito: il tempo di incubazione della malattia non è molto lungo e quando ci si ammala non si è certo in grado di viaggiare". Dello stesso avviso gli appelli del questore Guido Marino e del direttore generale Asl Napoli 1 Centro Ernesto Esposito, rispettivamente a non alimentare false psicosi tra la popolazione e a non accollare l’etichetta di "untore" al l’extracomunitario. "Ma questo non ci esime dalla prevenzione - ha precisato Giorgio Liguori, ordinario di Igiene alla Parthenope: il carcere può divenire un’opportunità di educazione alla salute". Necessario resta il "trovare il giusto bilanciamento tra l’esecuzione della pena e il diritto alla salute sancito dalla Costituzione" come ribadito dal presidente del tribunale di Sorveglianza Carmine Antonio Esposito. A fare gli onori di casa Liberato Guerriero, direttore del carcere di Secondigliano, e Tommaso Contestabile, provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria. Tra i presenti: Giuseppe Centomani, dirigente Centro giustizia minorile Campania, Carlo Brunetti, direttore Opg Secondigliano, Antonio Fullone, direttore della casa circondariale di Poggioreale, Giovanni Domenico Lepore, ex procuratore, Mario Barone, presidente di Antigone Campania, Antonio Mattone della Comunità di Sant’Egidio, don Franco Esposito, cappellano di Poggio-reale, e l’associazione "Il Carcere possibile". Firenze: Sappe; 2 poliziotti aggrediti nell’Ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo La Nazione, 25 novembre 2014 Oltre al detenuto che si è suicidato in cella nel carcere di Sollicciano a Firenze, nelle stesse ore di sabato scorso c’è stata una violenta aggressione a due poliziotti penitenziari nell’ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo Fiorentino (Firenze). È quanto riferisce il sindacato autonomo Sappe sottolineando le difficoltà che attraversano gli istituti penitenziari e il personale di polizia in Toscana. "Sabato pomeriggio - dà notizia il segretario generale del Sappe, Donato Capece - un internato dell’ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo ha prima colpito un altro recluso e poi, una volta raggiunto dai poliziotti penitenziari, li ha violentemente aggrediti con calci e pugni, tanto da fratturare ad uno lo zigomo e all’altro di ferirlo alla schiena". "Eventi del genere sono purtroppo sempre più all’ordine del giorno e a rimetterci è sempre il personale di polizia penitenziaria - aggiunge Capace - sono anni che sollecitiamo la dotazione di strumenti di tutela efficaci, come può essere proprio lo spray anti aggressione assegnato in fase sperimentale a polizia e carabinieri". Sulla vicenda specifica del suicidio di un detenuto di 34 anni a Sollicciano interviene anche l’associazione di consumatori Aduc, col presidente Vincenzo Donvito per il quale il tossicodipendente che deve scontare una pena "va levato dal carcere e curato da chi è preposto esclusivamente al suo benessere sanitario. Logica e metodo che, ovviamente, vale solo se al primo posto mettiamo la salute - e il diritto alla salute - dell’individuo e non quello della specie umana e sociale nel suo complesso". "Il suicidio di Sollicciano - si legga ancora nella nota dell’Aduc - non è purtroppo un film, ma il risultato dell’assenza e dell’insufficienza di politiche in questo senso, cioè dell’inezia delle istituzioni". La Spezia: Sappe; il carcere? una polveriera solo sulla carta stampata, ecco i numeri reali www.gazzettadellaspezia.it, 25 novembre 2014 La segreteria regionale del SAPPE - sindacato autonomo della Polizia Penitenziaria - ha preannunciato una visita all’istituto di La Spezia per verificare i posti di servizio della Polizia Penitenziaria ed anche per portare la propria attestazione di stima a chi opera con serietà ed abnegazione ed oggi si vede stranamente coinvolto in vicende che appartengono al singolo e non alla collettività. Contrariamente a chi tenta di far trasparire un quadro negativo dell’istituto di Villa Andreini screditando l’intero Corpo di Polizia Penitenziaria accusato di aver creato un clima "polveriera" - afferma il segretario regionale Michele Lorenzo - ho la certezza morale che l’istituto di La Spezia è ben diretto e la Polizia Penitenziaria è contraddistinta dalla caratterista di professionalità ed onestà. Così come sono anche certo - continua Lorenzo - che la Direttrice dell’istituto spezzino avrà modo di far valere le sue motivazioni alle accuse sollevatole. Il Sappe non riconduce il suo pensiero all’attività investigativa della magistratura che deve fare il suo percorso anzi, puntualizza il sindacalista, ben vengano queste inchieste che non possono fare altro che, avvallando l’attività positiva del Corpo di Polizia Penitenziaria, distinguere chi opera in onestà da chi ha sbagliato ricordando che la responsabilità penale è personale. Continua il Sappe: attendiamo l’esito conclusivo non solo delle indagini ma di tutto il procedimento giudiziario, affinché si possa ridare il giusto valore a chi ha operato con professionalità. Oggi - conclude il Sappe - è strumentale raggruppare in un unico calderone fatti accaduti in diversi periodi o anni, tanto da assumere l’appellativo di "carcere polveriera", estendendo l’accusa ai 136 poliziotti penitenziari che operano sempre con sacrificio e senso di appartenenza. Questo è dimostrabile con dati oggettivi che provengono dagli eventi critici praticamente azzerati rispetto ai precedenti anni. I dati in nostro possesso parlano chiaro, circa 200 i detenuti ristretti, dei quali 117 stranieri pari a 61% che fanno di La Spezia il carcere con la maggiore presenza di stranieri; nel 2014 sono soltanto 2 le aggressioni avvenute tra detenuti ed i 5 tentativi di suicidio sono stati sventati dalla Polizia Penitenziaria così come la Polizia Penitenziaria è intervenuta nei confronti di 6 detenuti, colti da malore che sono stati immediatamente soccorsi e trasportarli d’urgenza in ospedale. Ma il segno zero lo si riporta sulle aggressioni e sulle risse. Allora è questa la famosa polveriera? Sulmona (Aq): sit-in di protesta di medici e infermieri, 12 operatori licenziati da giugno www.rete5.tv, 25 novembre 2014 Sei medici su otto e altrettanti infermieri su 12 in servizio al carcere da anni rischiano di essere mandati a casa dal prossimo giugno, per essere sostituiti da quelli inseriti nelle graduatorie Asl. Per questo il personale sanitario - che ha iniziato lo sciopero ad oltranza che garantirà solo la cura delle urgenze e la tutela dei detenuti, con le altre esigenze che saranno dirottate all’ospedale - si è ritrovato questa mattina fuori dal carcere per manifestare con un sitin il malcontento. La protesta, però, a causa della mancata autorizzazione da parte della dirigenza della struttura, si è dovuta spostare fuori dai cancelli di via Lamaccio, scatenando le ire dei manifestanti. Assieme ai medici e agli infermieri ha protestato anche Fabio Federico, responsabile sanitario del carcere. "Quanto si sta facendo in questa struttura ha dell’assurdo - ha detto arrabbiato - non si possono mandare a casa persone con un’esperienza trentennale per assumerne altre, con contratti di primo livello, che implicheranno anche costi maggiori e che imporranno la presenza di un solo medico per turno su 500 detenuti. La situazione potrebbe diventare incandescente". Il decreto, che prevede l’assunzione di nuovi medici dalla graduatorie Asl da giugno, è stato firmato nei giorni scorsi dal presidente della Regione e commissario della Sanità, Luciano D’Alfonso, dopo la mancata applicazione del Dpcm del 2008, che ha assegnato alle Asl la competenza anche in materia penitenziaria dei servizi prima di pertinenza del ministero di giustizia. "Il presidente D’Alfonso stia più attento quando firma certe cose - aggiunge Federico - nelle altre Asl sono stati stabilizzati i medici e gli infermieri che lavorano da anni nelle carceri a contatto coi detenuti. Abbiamo interessato del problema anche il manager Giancarlo Silveri". Di Pangrazio: "Regione sta lavorando per stabilizzarli", di Maria Trozzi (report-age.com) Infermieri e medici degli istituti di pena di Sulmona e L’Aquila non rischiano il licenziamento perché in Pianta organica è stato tutto confermato. È il Presidente del Consiglio regionale ad assicurarlo. Raggiunto telefonicamente, Giuseppe Di Pangrazio ha chiarito la posizione di medici e infermieri del carcere Peligno che hanno manifestato ai cancelli del penitenziario, fuori le mura. Armati di striscioni e slogan, infermieri e medici hanno protestato questa mattina a via Lamaccio n.1, tra i 10 manifestanti non mancava il direttore sanitario del carcere, ex sindaco di centro destra del comune di Sulmona, Fabio Federico. Gli operatori sanitari da stabilizzare sono in realtà 5 infermieri, 3 medici e un fisioterapista, impegnati nella Casa di reclusione di Sulmona, sono da aggiungere 1 infermiere e 1 fisioterapista se si conta anche la Casa Circondariale dell’Aquila. Dovrebbero essere assunti a tempo indeterminato da 6 anni, in base a quanto stabilito già dal Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 1° aprile 2008 che si riferisce alle modalità e ai criteri di trasferimento al Servizio sanitario nazionale delle funzioni sanitarie, dei rapporti di lavoro, delle risorse finanziarie e delle attrezzature e dei beni strumentali della sanità penitenziaria). Sono stati confermati in pianta organica e la mancata contrazione, da queste parti, è da considerare già una notizia positiva. Loro però hanno timore di perdere il posto di lavoro a causa della nuova normativa regionale che regola le assunzioni di medici e infermieri nelle carceri abruzzesi e prevede il ricorso alle graduatorie della Asl per reperire personale da adibire al servizio, il timore è che ciò comporterebbe il licenziamento di tutti gli attuali addetti alla scadenza del loro contratto a tempo determinato. Il Presidente del Consiglio regionale, Giuseppe Di Pangrazio, è già a conoscenza della situazione e da più di un mese sta lavorando proprio per loro: "Il servizio presso i penitenziari è assicurato. È vero che non c’è stabilizzazione per i precari, ma a loro è assicurata per il momento la continuità lavorativa anche se aspettano da oltre 10 anni come precari almeno, questo atto di assicurare il lavoro a loro e di assicurare la prestazioni sanitaria nei penitenziari è assicurata. Nelle prossime settimane e nei prossimi mesi, probabilmente, con le condizioni che la Regione Abruzzo sta cercando di creare si potrebbe trovare una soluzione anche diversa dal concorso nazionale per la stabilizzazione definitiva - ripete Di Pangrazio - se si creano le condizioni, che la Regione sta cercando di organizzare, la loro stabilizzazione può avvenire anche in maniera diversa da quella che prevede la loro partecipazione al concorso nazionale". Di Pangrazio inoltre conferma che i numeri della Pianta organica quelli erano e quelli sono rimasti, insomma non vi è stata alcuna contrazione dei posti di lavoro e già questo, dato il periodo e considerata la valle, è un dato positivo. Inoltre l’ente regione tenta di creare le condizioni affinché questi precari con attività lavorativi di oltre 10 anni a tempo determinato possa essere data loro stabilizzazione diversa dalla partecipazione al concorso nazionale. Firenze: il progetto "2 x 4" fornisce una bici Piedelibero in sostituzione dell’auto guasta www.ecodallecitta.it, 25 novembre 2014 Biciclette riciclate realizzate dai detenuti delle carceri fiorentine offerte in sostituzione dell’auto guasta. È il progetto "2 x 4" che promuove il trasporto sostenibile, con una grande funzione sociale. E se l’auto di cortesia fosse una bicicletta? E se questa bicicletta fosse stata costruita con materiali di recupero dai detenuti delle carceri di Firenze? L’iniziativa, realizzata da Gestioncar in collaborazione con la Cooperativa Ulisse, è stata presentata al Museo Novecento alla presenza, tra gli altri, del sindaco Dario Nardella e della giunta, dell’amministratore delegato Gestioncar Mario Gargano, del presidente della Cooperativa Ulisse Gianni Autorino e di Marco Berry, testimonial del progetto. "È bello che i promotori abbiano scelto Firenze per lanciare questa iniziativa. Evidentemente la nostra città evoca un modello positivo, rispettoso dell’ambiente e coglie la sfida di una mobilità diversa - ha detto il sindaco Nardella - In tutto ciò c’è anche un valore di socialità, dato che le bici utilizzate sono realizzate dalla Cooperativa Ulisse nell’ambito del progetto Piedelibero, grazie al quale i detenuti possono sentirsi molto più utili. Sono sicuro che Firenze sarà un esempio per tutta l’Italia. Un bel messaggio - ha concluso Nardella - che lanciamo in un periodo difficile per la mobilità a causa dei lavori per la tramvia: dobbiamo puntare al massimo sulla collaborazione dei fiorentini e sulla possibilità di usare mezzi alternativi come la bicicletta". Tutte le officine della rete Gestioncar, oltre alle auto, avranno in dotazione delle vere e proprie bici "di cortesia" da offrire gratuitamente al cliente per tutto il tempo di fermo auto necessario alla riparazione. Le biciclette, già consegnate a 50 officine, sono state realizzate dai detenuti del carcere di Sollicciano che ha aderito al progetto Piedelibero promosso dalla Cooperativa Sociale Ulisse e che prevede la rigenerazione e il restauro di bici abbandonate provenienti dai depositi comunali. Gestioncar ha voluto regalare una bici Piedelibero a tutti i membri della giunta comunale. Sempre nell’ottica di incentivare l’uso della bici in città, Gestioncar offrirà gratuitamente a chiunque acquisti una bici "Piedelibero" la Gestioncard, una tessera che permetterà di avere a disposizione un numero verde, attivo h24 sette giorni su sette, per il soccorso stradale e indirizzamento su rete di riparatori a condizioni agevolate. Taranto: borse lavoro per ex detenuti, Comune riapre termini presentazione delle istanze www.tarantosera.it, 25 novembre 2014 "Riaprire i termini di presentazione delle istanze per la redazione di un ulteriore graduatoria da cui saranno attinti i nominativi ad esaurimento della precedente, per consentire la prosecuzione e la conclusione del secondo e terzo anno del progetto "borse lavoro per ex detenuti". È quanto si legge in una determina della direzione Servizi Sociali che ha confermato "il percorso di individuazione dei soggetti interessati così come stabilito con determina dirigenziale 439/13, prevedendo che, in caso di rinuncia o di mancata presentazione da parte degli ammessi, si provvederà allo scorrimento della graduatoria". Le istanze pervenute saranno valutate da una commissione, la stessa nominata con determina dirigenziale 930/13. A disposizione dell’Amministrazione comunale ci sono le risorse già stanziate per il progetto. "Il provvedimento - dicono dai Servizi Sociali - non comporta impegno di spesa poiché le somme necessarie alla prosecuzione del servizio risultano già impegnate per l’importo complessivo di 128.286,82 euro nonché per l’importo di 70.548,36 euro". Cagliari: Socialismo Diritti Riforme; inizia stagione Uta, con tanti gravi problemi irrisolti Ristretti Orizzonti, 25 novembre 2014 "Non è stato facile garantire nell’arco di sette ore il trasferimento di oltre 300 detenuti da viale Buoncammino, nel cuore della città di Cagliari, in una landa desertica e insalubre dell’area industriale di Macchiareddu-Uta, a 18 chilometri dal capoluogo regionale. Restano irrisolti però i problemi nella nuova sede detentiva non ancora del tutto completata. Saranno quindi necessari diversi mesi prima che il Villaggio Penitenziario possa entrare a regime". Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione "Socialismo Diritti Riforme", con riferimento "al passaggio epocale che ha portato alla chiusura dell’Istituto detentivo cagliaritano e all’inaugurazione della nuova mega struttura ubicata nell’area industriale di Macchiareddu". "La realtà della nuova sede penitenziaria di Cagliari-Uta, nonostante abbia impresso una svolta nella storia detentiva in Sardegna dopo poco meno di 150 anni, non può essere considerata - sottolinea Caligaris - soddisfacente e desta preoccupazioni. La mega struttura, articolata in sezioni separate l’una dall’altra e strutturata su cinque livelli, con una capienza regolamentare di quasi 600 detenuti, risulta difficilmente raggiungibile in quanto a tutt’oggi è assente una segnaletica in grado di indicare l’esatta ubicazione del carcere in una zona peraltro destinata a iniziative industriali". "I familiari dei cittadini privati della libertà - evidenzia la presidenza di Sdr - dovranno percorrere una strada privata, extra urbana, a tratti dissestata, con una scarsa segnaletica orizzontale e verticale, gravata da un traffico di mezzi pesanti e totalmente priva di illuminazione che ne accentua la pericolosità soprattutto nelle buie ore serali. Le difficoltà si moltiplicheranno per chi proviene da altre regioni a causa dei collegamenti con i mezzi pubblici scarsi e inadeguati. È infatti del tutto assente una linea diretta al carcere. Basti pensare che non è indicata alcuna fermata di autobus lungo tutto il percorso". "L’allontanamento delle sezioni detentive dal centro urbano del capoluogo sardo - osserva ancora Caligaris - limiterà inoltre l’accesso alla struttura dei volontari. Rischia intanto di essere cancellato almeno in parte il contributo della Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia che, peraltro, con un camper attrezzato ha garantito negli ultimi 20 anni accoglienza e sostegno ai familiari dei detenuti facilitando le prenotazioni e l’accesso ai colloqui con i parenti ristretti. La nuova struttura infatti utilizzerà un Centro Unico di Prenotazione per consentire la regolarità degli incontri tra ristretti e familiari. La distanza dal centro urbano avrà negative conseguenze anche sulla presenza dei Magistrati di Sorveglianza e graverà sulle spese del Ministero". "Problemi anche per garantire il trasferimento e il piantonamento dei detenuti che necessitano di ricoveri negli ospedali, senza contare le difficoltà per poter usufruire, in caso di urgenza, dell’ambulanza. Detenuti, familiari, agenti di Polizia Penitenziaria e amministrativi insomma vivranno ai margini della società e sarà sempre più difficile - conclude Caligaris - coinvolgere i cittadini di Cagliari e hinterland in attività di solidarietà e in azioni di sensibilizzazione, laddove le distanze e i tempi per raggiungere la nuova struttura ne condizioneranno la partecipazione. Sarà poi necessario verificare, aldilà delle buone intenzioni della Direzione e della Sicurezza affidate rispettivamente a Gianfranco Pala e Alessandra Uscidda, le reali condizioni quotidiane di vita dei cittadini privati della libertà". Fns-Cisl: bene chiusura Buoncammino La Segreteria Regionale della Fns-Cisl della Sardegna, ha scritto ai vertici del Dap manifestando "la propria soddisfazione per la riuscita dell’operazione" di trasferimento dei detenuti dal vecchio carcere di Buoncammino al Nuovo carcere di Uta, nell’hinterland cagliaritano e chiede "attenzione" per la nuova struttura. "L’Amministrazione penitenziaria con la forza messa in campo delle donne e degli uomini del Corpo di Polizia penitenziaria ha scritto un pezzo di storia che apparterrà a Cagliari, alla Sardegna e all’Italia intera", scrive il segretario Fns Nino Manca, chiedendo che ora "l’Amministrazione non distolga lo sguardo dal Nuovo carcere di Uta e dia il sostegno necessario al Personale, al Comandante e al Direttore". Oristano: Socialismo Diritti Riforme; niente dentista nel nuovo carcere di Massama Ristretti Orizzonti, 25 novembre 2014 "Si moltiplicano gli atti di protesta dei detenuti per l’inadeguatezza dell’assistenza sanitaria, con particolare riferimento alla cura e conservazione dell’apparato dentario. I cittadini privati della libertà sono decisi a presentare nuova istanza al Magistrato di Sorveglianza per inosservanza da parte dell’assessorato regionale della sanità del principio costituzionale sulla salute". Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione "Socialismo Diritti Riforme", che ha ricevuto diverse nuove segnalazioni da detenuti e familiari in merito all’indifferenza dell’Asl di Oristano alle problematiche nell’Istituto Penitenziario di Massama, dove sono ristretti oltre 300 detenuti 240 dei quali in regime di alta sicurezza. "Non si comprende come sia possibile che l’Azienda Sanitaria non abbia risolto il problema della cura e conservazione dell’apparato dentario mentre nelle altre realtà territoriali - sottolinea Caligaris - sia stata trovata una soluzione. La Asl oristanese non può continuare ad ignorare le norme nazionali e sovranazionali che stabiliscono l’effettivo accesso alle cure, a prescindere dalla condizione di reclusione". "È evidente infatti che quello alla salute - ricorda la presidente di Sdr - è un diritto che non può soggiacere a discrezionalità di tipo amministrativo dal momento che l’assenza di libertà non limita in alcun modo l’esercizio di un principio costituzionale. Ciò a maggior ragione quando da due anni chi si trova ristretto nella Casa di Reclusione di Oristano-Massama subisce una limitazione nella possibilità delle cure odontoiatriche". "La maggior parte degli interventi dello specialista odontoiatrico della Asl, che dispone di un numero di ore insufficienti alle reali esigenze, si risolvono con la distribuzione di antidolorifici, antibiotici e/o estrazioni dentarie anziché garantire le pratiche conservative ed è praticamente impossibile ricorrere a un dentista privato. L’Azienda Sanitaria Locale, per consentire a un dentista privato di utilizzare la dotazione strumentale, richiede una fideiussione di 25 mila euro e pretenda il 30% su ciascuna prestazione per l’utilizzo della poltrona odontoiatrica e della relativa strumentazione laddove la Asl non deve sostenere alcuna spesa in quanto risulta a carico dell’amministrazione penitenziaria. Non solo, ciascun professionista - evidenzia Caligaris - deve portare la strumentazione medicale". "La mancanza di risposte univoche a livello regionale sulle cure sta accentuando le tensioni tra i detenuti che chiedono l’applicazione delle norme in vigore nelle altre realtà territoriali. È quindi improcrastinabile - conclude Caligaris - un intervento dell’assessorato regionale della salute anche perché si presentano differenti problematiche nelle diverse Asl a testimonianza del fatto che è assente una linea unitaria per garantire il rispetto del dettato costituzionale". Milano: Fp-Cgil; nell’Ipm "Beccaria" compromessa la sicurezza di lavoratori e detenuti www.fp.cgil.lombardia.it, 25 novembre 2014 La carenza di personale e di mezzi al carcere minorile Beccaria di Milano sta compromettendo la sicurezza dei pochi agenti in servizio, e dei detenuti stessi. Lo dimostra la grande difficoltà con cui i poliziotti hanno fatto fronte agli atti di ribellione di questi mesi. L’ultimo, domenica scorsa: alcuni detenuti hanno innescato un incendio in uno dei corridoi. Il fuoco è stato domato, ma agli agenti mancavano estintori e mascherine. In pochi è difficile anche bloccare i tentativi di suicidio: solo 2 giorni fa un carcerato si è dato fuoco, riportando gravi ustioni. E prima ancora c’erano stati già altri 3 tentativi di suicidio. "Fino a quando l’Amministrazione potrà contare sulla professionalità dei pochi agenti? - dice il coordinatore Fp-Cgil Lombardia Lo Presti. Servono nuove assunzioni e la messa in sicurezza dell’edificio. Siamo pronti a organizzare iniziative di protesta". San Gimignano (Si): progetto a sostegno della paternità per i detenuti di Giulia Lotti e Michela Salvetti (Psicologhe ex art. 80 Op) Ristretti Orizzonti, 25 novembre 2014 In linea con quanto previsto nel protocollo d’intesa fra il Ministero della Giustizia e l’Autorità Garante per l’Infanzia, in accordo con questa Direzione, in merito alla decisione di attivare un percorso di sostegno alla genitorialità si è deciso di proporre ai detenuti due iniziative: degli incontri di gruppo dedicati al rapporto padri-figli e uno Sportello d’Ascolto Psicologico. I detenuti del Carcere di San Gimignano, per la tipologia di reato, provengono in larga maggioranza da zone geografiche del Sud Italia o fuori regione e questo, unitamente all’ostatività che spesso caratterizza la pena e alla forzata lontananza dai propri affetti, crea il rischio di uno svuotamento del ruolo genitoriale delegato generalmente alla madre. Nei colloqui con gli operatori emerge la sofferenza per la lontananza e il senso di colpa per esserne stata la causa con il proprio comportamento, insieme alla difficoltà di sviluppare forme di comunicazione a distanza. Il progetto sulla genitorialità vuole costituire un percorso di educazione e sostegno affettivo. Gruppo sulla paternità All’interno dei gruppi, verranno ripercorse le storie personali e individuate eventuali difficoltà nell’adattarsi alle diverse fasi esistenziali. Le modalità di interazione nel gruppo cercheranno di favorire la presa di consapevolezza delle emozioni connesse ai vissuti riferiti. A questo scopo, verranno privilegiati i canali espressivi che diano spazio all’esperienzialità e all’elaborazione verbale dei vissuti emotivi, pertanto, non saranno usate lezioni d’aula, ma modalità di conduzione con tecniche attive. L’analisi e l’attribuzione di un nome ai propri vissuti diventa così strumento di crescita individuale e di sviluppo della relazione genitore-figlio. Dopo un primo incontro di presentazione dell’iniziativa e di raccolta delle tematiche di interesse da parte dei detenuti, si sono aperte le iscrizioni che hanno portato alla costituzione di 4 gruppi omogenei per età dei figli. I detenuti hanno accolto l’iniziativa con significativo interesse: 51 hanno chiesto di partecipare ai gruppi, mentre 30 persone hanno presentato richiesta per la fruizione dello sportello. I detenuti hanno espresso la richiesta di parlare di vissuti molto intimi come: la sofferenza, il senso di colpa, la modalità per parlare ai figli del loro essere detenuti e del motivo per cui lo sono, la malattia e la disabilità dei propri figli, il senso di impotenza, le paure per i pericoli che possono correre e per il loro futuro, la difficoltà di gestire il disagio che spesso emerge nel contesto carcerario in cui i bambini si trovano ad effettuare i colloqui, le bugie rispetto al loro stato detentivo. I gruppi partiranno a novembre con uno sviluppo settimanale per cui ogni mese saranno attivati 3 gruppi (due di alta e uno di media sicurezza). La conduzione sarà effettuata dalle 2 psicologhe ex art. 80 O.P. con la collaborazione dell’educatore referente del progetto, dott.ssa Bruno. Nella parte conclusiva del percorso, il confronto sui temi in argomento si potrà effettuare anche mediante la produzione da parte dei detenuti di un eventuale elaborato finale. La conclusione dell’attività è prevista a giugno 2015 con la produzione di report intermedi sulla descrizione degli obiettivi raggiunti e quelli da perseguire ulteriormente. Sportello d’ascolto sulla genitorialità A supporto dell’attività di gruppo per i soggetti che desiderano dialogare sulle proprie problematiche genitoriali e non si sentono pronti ad esporle in gruppo, si è attivato uno sportello dedicato alle tematiche della genitorialità, gestito dagli esperti ex art. 80 O.P. L’accesso è volontario tramite richiesta scritta. L’iniziativa è in atto e sta riscuotendo una buona adesione. nello specifico L’attività di sportello avrà una cadenza quindicinale. Roma: Economia della Cultura; incontro "La cultura in carcere in Italia e in Europa" Il Velino, 25 novembre 2014 Mercoledì 26 novembre dalle ore 17.00 nella Sala del Consiglio Nazionale del Mibact, in Via del Collegio Romano n. 27 a Roma, si terrà un incontro dal titolo "La cultura in carcere, in Italia e in Europa", tema al quale la rivista "Economia della cultura" - a cura dell’omonima Associazione ed edita da "il Mulino" - ha voluto dedicare uno dei suoi ultimi numeri. Un tema che acquista particolare rilevanza, in un momento in cui la garanzia dei diritti dei detenuti nelle nostre carceri sono sotto la lente di osservazione del Consiglio d’Europa: rilevanza non solo sociale, ma anche economica, visto che il positivo effetto delle attività culturali svolte tra le mura delle carceri sul recupero dei detenuti - favorendo una miglior coscienza di sé, un loro successivo reintegro nella società e una diminuzione della recidiva - è ormai ovunque riconosciuto. E rappresenta un sostanziale contributo, prima ancora che alla crescita del Pil, al benessere della società nel suo insieme. Alla luce di contributi di esperti stranieri, nella rivista "Economia della cultura", le attività culturali svolte nelle carceri vengono esaminate in tutti i loro plurimi aspetti: la musica, il teatro, il cinema, le arti visive, la scrittura creativa. Accanto ad alcuni cenni alle politiche europee, inoltre, viene analizzato l’alterno evolversi delle azioni a sostegno della cultura nelle carceri portate avanti nel nostro paese e vengono messe in luce le diverse modalità che caratterizzano le attività svolte in questo campo da alcuni paesi europei con le loro implicazioni. Su questi temi l’Associazione per l’Economia della Cultura e l’Università Roma Tre, Dipartimento di Giurisprudenza, hanno chiamato a discutere - accanto ad esperti della materia - i rappresentanti delle amministrazioni maggiormente coinvolte in questa tematica: l’amministrazione della giustizia e l’amministrazione della cultura. Interventi previsti di: Paolo Leon, Marco Ruotolo, Carla Bodo, Fabio Cavalli, Michelina Capato, Mauro Palma, Antonia Pasqua Recchia, Antonio Taormina, Alessandro Leon, Innocenzo Cipolletta. Milano: "Antigone per Opera", prosegue il festival di teatro-carcere www.voceditalia.it, 25 novembre 2014 Prosegue il Festival di Teatro Carcere ad Opera con "Antigone per Opera", giovedì 27 novembre alle ore 21, nel teatro della Casa di Reclusione di Milano Opera, organizzato da Opera Liquida. Special guest della serata Cesar Brie, che recita nello spettacolo e nella "puntata pilota" della prima web serie italiana ambientata nelle carceri, proiettata durante lo spettacolo. Al primo appuntamento erano presenti in sala 160 spettatori esterni più 100 detenuti di Opera. Lo spettacolo, che verrà rappresentato nel Teatro Stabile in Opera (la sala teatrale da 350 posti della Casa di Reclusione di Milano Opera), è tratto da un testo di Chiara Battistini e Paolo Bernardelli, scritto per la prima web series italiana ambientata nelle carceri, premiata dal Milano Film Festival. Durante lo spettacolo verrà proiettata la puntata pilota "La banalità del male". Il progetto Antigone si struttura in diverse forme: web series, teatro, laboratori con i detenuti. Antigone per Opera è la prima assoluta di uno studio destinato a crescere e a svilupparsi per dare vita ad un vero e proprio spettacolo cross mediale che prevede collaborazioni con artisti internazionali come l’attore e regista argentino Cesar Brie e il compositore israeliano di musica contemporanea Yuval Avital. Special guest: Cesar Brie. Ispirato a storie realmente accadute fornite dall’Associazione Antigone, lo spettacolo conduce il pubblico e le protagoniste a riflettere sul senso della legge, della rieducazione, della carcerazione e sul rapporto tra diritto e legge. Seguiamo le vicende di due difensori civici che operano nelle carceri di Milano per garantire l’assistenza legale e civile dei detenuti. In ogni scena le due donne dovranno interfacciarsi con una storia diversa: un detenuto che chiede il loro aiuto esterno per risolvere una specifica necessità. Indagheranno, così, sul caso specifico e scopriranno chi si trovano realmente davanti. Il compito delle protagoniste non è giudicare, difendere o accusare, è semplicemente quello di ascoltare e garantire l’osservazione dell’articolo 6 della dichiarazione dei diritti dell’uomo: "Ogni individuo ha diritto ad essere protetto dalla legge" anche chi si trova in un istituto di correzione. Antigone per Opera conduce il pubblico e le medesime protagoniste a riflettere sul senso della legge, della rieducazione e della carcerazione, sul rapporto tra diritto e legge. Lo spettacolo sarà accompagnato dalle musiche di Yuval Avital, artista poliedrico e acclamato in campo internazionale, le cui ricerche lo hanno portato nel corso degli anni a confrontarsi con temi vicini al progetto di Antigone: rilettura in chiave contemporanea di tradizioni arcaiche, sperimentazioni tecnologiche all’avanguardia, coinvolgimento attivo del pubblico e utilizzo di nuove forme di comunicazione grazie a internet e ai social network. Prenotazioni entro martedì 25 novembre. Iraq: Stato islamico trasferisce decine di prigionieri da Mosul verso la Siria Nova, 25 novembre 2014 Lo Stato islamico sta trasferendo in Siria decine di prigionieri detenuti nelle carceri di Mosul. È quanto afferma una fonte della provincia di Ninive sentita dall’emittente locale "al Sumaria". Secondo la fonte, i prigionieri verrebbero spostati ad al Raqqa, roccaforte del gruppo jihadista in Siria. Tra i prigionieri ci sarebbero ufficiali e agenti delle forze di sicurezza e cittadini rifiutatisi di aderire al "califfato" proclamato dal leader dello Stato islamico Abu Bakr al Baghdadi.