Giustizia: l’età dell’odio che va fermata di Aldo Cazzullo Corriere della Sera, 23 novembre 2014 Pare di vivere nell’età dell’odio. Dopo anni passati a stupirci che la crisi non producesse conflittualità sociale, ora lo scenario è cambiato. Il linguaggio della discussione pubblica ha quasi raggiunto la virulenza degli anni 70, e alle parole cominciano a seguire i fatti. Gli incendiari grillini sono stati scavalcati dalla rivolta di Tor Sapienza, mentre i centri sociali aggrediscono leader sgraditi (e provocatori), e quasi ogni giorno viene devastata una sede di partito. Le cause sono molte. La sofferenza di chi perde il lavoro. La disperazione dei giovani che non lo trovano e talora neppure lo cercano. Ma anche la diffidenza reciproca di categorie che si detestano, di corporazioni che additano nelle altre la causa del male italiano assolvendo solo se stesse. E l’immigrazione senza controllo ha acceso una guerra tra poveri, scatenando la rabbia delle periferie e generando negli stranieri estraneità e frustrazione che, sommate al senso di impunità che lo Stato italiano comunica ai nuovi arrivati, minacciano di innescare tensioni già esplose ai margini delle metropoli europee. La risposta della politica è debole. L’allarme di Napolitano sugli estremismi interni e sul timore di "lupi solitari" islamici è passato quasi inosservato. Il durissimo scontro tra Renzi e la Cgil non aiuta. Il baratro apertosi a destra è stato riempito da Salvini, che ha schierato la Lega con i nazionalisti francesi. Sia chiaro: il passato non torna. Ma può insegnarci qualcosa. Il pericolo non viene solo dalle centrali del terrore; anche la violenza diffusa, l’odio manifesto, la crisi morale che ha il suo riflesso quotidiano nel degrado dei rapporti umani possono fare molto male alle nostre vite. La lezione della storia recente è che la violenza non va tollerata; altrimenti si riprodurrà in modo esponenziale. Com’è ovvio, il diritto a manifestare pacificamente non può essere messo in discussione: le prove di forza, di solito esercitate sui deboli, non servono a nulla se non ad alimentare la spirale dell’odio. Si tratta invece di ripristinare la legalità: non è possibile che chi si ritrova la casa "sequestrata" dal racket delle occupazioni non abbia gli strumenti per riprendersela, non è possibile rassegnarsi all’idea che in Italia sia lecito fare qualsiasi cosa senza prendersene la responsabilità. Nello stesso tempo chi partecipa alla vita pubblica dovrebbe tenere i nervi saldi, ristabilire un minimo di rispetto reciproco, e impegnarsi perché il governo italiano e quello europeo mettano in campo una politica sociale, che attenui la sofferenza e crei opportunità per i giovani. Il rogo dell’odio va spento, prima che ci avveleni l’aria e bruci le nuove generazioni. Giustizia: ma l’Italia è un Paese degno di Cesare Beccaria? di Damiano Aliprandi Il Garantista, 23 novembre 2014 Proposte e soluzioni per la drammatica situazione delle carceri italiane da portare e discutere in parlamento. È questo il risultato dell’importante convegno "Delitti e pena: 250 anni dopo Beccaria" organizzato da Franco Corleone, garante dei detenuti della regione Toscana. "Sulle questioni del carcere e dei diritti dei detenuti l’attenzione e l’impegno del Consiglio regionale resteranno alti fino a valutare, se il garante regionale dei detenuti lo riterrà utile, una proposta di legge al Parlamento", così ha dichiarato la consigliera Daniela Lastri nel saluto portato a nome dell’Ufficio di presidenza del Consiglio regionale in apertura del convegno che si è concluso ieri. L’iniziativa rientra tra le manifestazioni della Festa della Toscana "con la quale celebriamo - ha ricordato Lastri - l’abolizione della pena di morte da parte del Granduca di Toscana con l’editto del 30 novembre 1786". La Toscana, ha sottolineato ancora la consigliera, "è storicamente portatrice di diritti civili e sociali e la Regione ha assunto questa identità con la vocazione di trasmetterla alle giovani generazioni". Lastri, parlando del manifesto "No prison, senza se e senza ma" illustrato nel corso del convegno, ha detto di condividere la tesi numero 12 che afferma che invocare oggi l’abolizione del carcere è ripercorrere la strada di chi, nei secoli scorsi, invocava l’abolizione della tortura e della pena di morte. "Noi crediamo in questa affermazione - ha detto - sapendo che l’idea del superamento del carcere, le cui finalità mostrano un evidente fallimento, avrà bisogno di grande coraggio". Lastri ha poi auspicato che "la Regione porti a compimento in tempi brevi la struttura di detenzione attenuata presso l’ex Madonnina del Grappa destinata ad accogliere le donne carcerate con figli minori. E mi piacerebbe - ha concluso - che si seguisse con attenzione il dibattito parlamentare inglese apertosi intorno all’idea di abolire il carcere femminile. Sarebbe un primo passo importante per immaginare modalità per l’esecuzione della pena". I saluti del presidente della Giunta regionale sono stati portati dall’assessore alla Sanità Luigi Marroni che ha ricordato che "la salute è uno dei diritti fondamentali da garantire ai carcerati". L’assessore, dopo aver sottolineato che in questi anni la Regione ha raddoppiato la spesa per la sanità dei carcerati, ha annunciato che sarà presto conclusa la mappatura della salute in carcere, così "da avere a disposizione un documento conoscitivo che ci permetta di affinare al meglio la gestione di questo settore". Marroni ha anche affermato "che stiamo arrivando al superamento dell’Opg di Montelupo Fiorentino, grazie ad un progetto innovativo che prevede una struttura sanitaria con elementi di sicurezza e limitato a un esiguo numero di detenuti, quattro centri simili a case famiglia e la gestione dei malati sul territorio". Dall’altro canto, il garante dei detenuti Franco Corleone, ha dato il via al convengo con una domanda: "L’Italia può definirsi il paese di Beccaria? E retorico domandarselo dopo che la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato il nostro paese per una gestione delle carceri che umilia la dignità umana?". La questione carcere, ha continuato Corleone, "non si chiude con la fase drammatica del sovraffollamento, perché restano aperti i nodi della qualità della vita in carcere, delle scopo e della finalità della pena, di quale pena sia giusto comminare". Poi Franco Corleone indirizza una stoccata nei confronti della commissione giustizia del "ministro ombra" Gratteri: "Sul carcere e sulle condizioni di vita in carcere si sa tutto dal secolo scorso e allora come si giustifica una nuova commissione nominata dal presidente del Consiglio per la riforma della giustizia e del carcere? Ci sono tante proposte in materia che potrebbero essere discusse e, invece, la commissione propone lavori forzati e carceri speciali. È molto preoccupante". E ha aggiunto: "Il nostro tema, vale a dire il superamento del carcere, è forte e fo è per poter entrare nella discussione in atto con l’idea di respingere le spinte verso passati secoli imprecisati e di proporre una frontiera nuova, perché è chiaro ed evidente a tutti che il modello della struttura chiusa ha fallito". Corleone ha sottolineato che i diritti dei carcerati devono essere la frontiera prioritaria di intervento a partire dal definire "quale pena e quali spazi della pena. Rispetto a quest’ultimo punto per noi è fondamentale che le modifiche delle strutture vengano definite coinvolgendo i carcerati, introducendo cioè una pratica della democrazia in carcere". E si devono sciogliere i nodi "della tortura e del diritto all’affettività dei detenuti". Purtroppo, ha sottolineato, "siamo in una fase in cui, ormai da mesi, il sistema carcere è privo del vertice di governo, e questo non significa che si sia scelto l’autogestione delle carceri, semmai è il segno dì un abbandono". Il garante ha concluso con una domanda: "Dobbiamo sperare in un miracolo o, invece, in una risposta della politica fondata sulla ragione?". Gherardo Colombo: superare il concetto di pena Al convegno "Delitti e pena: 250 anni dopo Beccaria" è intervenuto anche il provveditore penitenziario Carmelo Cantone Firenze. "Si deve passare da un’idea secondo cui alla trasgressione si risponde con l’esclusione a una posizione che prevede l’inclusione e al contempo il reale recupero della persona alla società". La proposta di superare il concetto di pena è stata avanzata, nel corso del convegno "Delitti e pena: 250 anni dopo Beccaria, il fallimento del carcere", dall’ex magistrato Gherardo Colombo. Ha spiegato Colombo: "Premesso che chi è veramente pericoloso deve stare da un’altra parte affinché non gli sia consentito di rinnovare la sua pericolosità, fermo restando che anche a lui devono essere comunque garantiti i diritti umani fondamentali, chi ha sbagliato deve poter essere messo nelle condizioni di essere recuperato come persona". E ha indicato la strada della "giustizia ripartiva", che passa attraverso "sistemi di mediazione penale" come ipotesi da seguire. "Tali mediazioni, condotte da professionisti appositamente formati, devono portare i responsabili a rendersi conto di quello che hanno fatto e la vittima ad essere risarcita per il danno subito". Nel pomeriggio è intervenuto anche, fra gli altri, il provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria della Toscana, Carmelo Cantone, che ha parlato della dignità del detenuto e degli "spazi della pena". Il suo è stato l’intervento conclusivo della giornata. Il convegno, che vede la partecipazione di magistrati, presidenti di tribunale, docenti universitari, avvocati ed esponenti politici, si concluderà domani con la presenza, fra gli altri, del giornalista Livio Ferrari, promotore del manifesto "No Prison", e con lo svolgimento di una sessione dedicata all’attualità e alle prospettive dell’abolizionismo e con un’altra sessione riepilogativa dei temi affrontati in prospettiva di possibili Stati generali del carcere. Una tavola rotonda condotta da Laura Zanacchi, redattrice di Fahrenheit e curatrice di "Dei delitti e delle pene, 250 anni dopo Beccaria", chiuderà la "due giorni". In calendario, anche in questo caso, gli interventi di avvocati penalisti, politici e magistrati. Giustizia: carceri meno sovraffollate ma è allarme infezioni. Hiv ancora ampiamente diffusa Asca, 23 novembre 2014 Diminuisce il sovraffollamento nelle carceri italiane ma è emergenza infezioni. Un detenuto su tre è effetto da epatite C, mentre oltre la metà delle persone detenute risulta venuta a contatto con il virus dell’epatite B, anche se coloro che risultano portatori attivi di malattia si attestano intorno al 5-6% dei presenti. I test di screening cutanei sulla tubercolosi, che non rilevano la malattia attiva ma permettono d’identificare i portatori dell’infezione, risultano 15-20 volte superiori alla popolazione generale e, tra i detenuti stranieri, oltre la metà risultano positivi. Preoccupa il tasso in aumento di mortalità a causa di tutte queste malattie, ma è in diminuzione quello dei suicidi. Un detenuto su tre è straniero. È la situazione nelle Carceri italiane cosi come la fotografano i dati forniti dalla Società’ Italiana di Medicina e Sanità Penitenziaria (Simspe-Onlus), la Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali (Simit) e Network Persone Sieropositive Italia (Nps). L’infezione da HIV è ancora oggi ampiamente diffusa tra le persone detenute tossicodipendenti, con prevalenze in questi maggiori del 20% e del 5-7% sulla popolazione generale residente. Le malattie a trasmissione sessuale appaiono di frequente riscontro in tale ambito e, in particolare la sifilide pur interessando non più del 2-3% dei presenti, mostra un tasso di inconsapevolezza elevatissimo (>85%). Grazie agli ultimi provvedimenti presi, si è registrato un calo repentino dei presenti, passati a circa 54.252 contro i 61.449 di giugno 2014. In diminuzione, quindi, anche il sovraffollamento: da circa il 128,8% si è giunti al 110,1%. Il problema è stato parzialmente risolto sia con l’aumento dei posti letto, che ormai raggiungono i 49.400 contro i 47.700 di giugno, sia con l’uscita di molti detenuti in attesa di giudizio. Giustizia: il Presidente del Senato Pietro Grasso a politici "riformate la prescrizione, ora" di Andrea Giambartolomei Il Fatto Quotidiano, 23 novembre 2014 Della prescrizione parliamo da vent’anni. Ora è successo un fatto che ha scosso le coscienze e sono tutti d’accordo. Io vorrei che domani tutti fossero insieme a risolvere il problema". Il presidente del Senato Pietro Grasso è intervenuto ieri sul tema dopo l’annullamento della condanna a Stephan Schmidheiny nel processo Eternit e ha premuto l’acceleratore: "Con l’emozione del momento gridiamo tutti alla necessità di fare al più presto. Da tempo ho indicato quale potrebbe essere il nuovo modo di vedere la prescrizione e speriamo che finalmente, visto che tutti si dichiarano d’accordo, possa andare avanti". Pure il presidente dell’Associazione familiari vittime dell’amianto Romana Blasotti Pavesi vuole andare a fondo sulla questione. Martedì lei e altri rappresentanti dei familiari delle vittime di Casale Monferrato e Bagnoli torneranno a Roma per incontrare il presidente del Consiglio Matteo Renzi. "Gli chiederemo due cose: che mantenga le promesse sulla prescrizione e lo faccia subito; e che stanzi le somme necessarie per ultimare la bonifica. Deve far presto, soprattutto per le nuove generazioni", dichiara. Alle 15 i familiari potrebbero incontrare anche il presidente della Camera Laura Boldrini, mentre si sta lavorando ad altri incontri coi presidenti delle commissioni parlamentari nella settimana successiva: "Si tratta dei primi approcci per poi andare a fondo", dice Nicola Pondrano dell’Afeva. Tra i temi centrali degli incontri ci sarà il risanamento ambientale: "Abbiamo bisogno di almeno 60 milioni nei prossimi due o tre anni perché a causa della sentenza della Cassazione Schmidheiny non sarà obbligato a risarcirci - spiega il sindaco casalese Titti Palazzetti, che martedì sarà a Roma con il primo cittadino di Cavagnolo Mario Corsato. Vorremmo uscire dal patto di stabilità non solo per il 2015, come è già stato stabilito, ma per gli anni successivi, in modo da procedere con gli stanziamenti". Venerdì sul piatto è stato aggiunto oltre un milione di euro stanziato dal ministro Gian Luca Galletti, il quale ieri ha ricordato che per Casale "nello Sblocca Italia ci sono 15 milioni esenti dal patto di stabilità". Altro nodo importante è il Fondo delle vittime per l’amianto, presieduto da Pondrano: "Ci sono 30 milioni di euro e vanno spalmati sui prossimi anni. Serve un intervento per allargarlo anche alle vittime "civili" e non solo a chi era esposto all’asbesto per il lavoro". Sui temi della prescrizione e delle bonifiche si muove anche Bagnoli. Ieri in piazza del Plebiscito a Napoli si sono radunati i sindacati Cgil, Cisl e Uil e dei parenti delle vittime riuniti dell’associazione "Mai più amianto". Intanto un altro processo sta per chiudersi a Milano dove ieri il pm Maurizio Ascione ha chiesto condanne comprese tra due e otto anni e mezzo di carcere per sei persone, ex vertici di Enel come l’ex presidente Francesco Corbellini ed ex responsabili della centrale termoelettrica di Turbigo, tutti accusati di omicidio colposo per i decessi di otto operai esposti all’amianto tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta: "Nessuna misura di sicurezza per proteggere i lavoratori esposti alle polveri è stata adottata dagli anni Trenta fino agli anni Novanta". D’altronde che l’asbesto fosse dannoso si sapeva già da decenni: nel 1906 il tribunale di Torino aveva scagionato un giornale contro cui si era scagliata la "British asbestos company limited" per alcuni articoli sulle morti degli lavoratori della cava amiantifera di Nole, nel torinese. Giustizia: allungare la prescrizione o rinunciare all’indipendenza del pm? di Alberto Cisterna Il Garantista, 23 novembre 2014 Anche il nodo prescrizione ha trovato il suo drammatico pettine. Se ne parlava da circa un decennio, dalla riforma Cirielli in poi, ma nessuno ha mai pensato di metterci mano in modo serio, E non è detto che accada a breve. I ceti dirigenti del paese fanno melina, mischiano le carte, sono sostanzialmente contrari. Fatta eccezione per i cronisti embedded delle procure, per i quali si sa il "processo più pende più rende" come dicono certi cinici avvocati, anche la corporazione della stampa non è poi così favorevole. Da quelle parti si punta a sopprimere il reato, ma in mancanza la prescrizione va anche bene per non saturare troppo il certificato penale (caso Sallusti docet). Contro l’allungamento dei tempi della prescrizione depone un solo argomento, grande quanto un macigno: la macchina giudiziaria è ingolfata e, paradossalmente, la prescrizione le consente un minimo di efficienza. Senza il "salutare" e iniquo salasso di decine di migliaia di prescrizioni le procure della Repubblica salterebbero, gli uffici di primo grado si intaserebbero, per non parlare dell’appello e della cassazione. Allungare non basta, per allontanare il giorno della prescrizione occorre diminuire in modo drastico i processi. Si badi bene: i processi e non i reati, per i quali (è inutile prendersi in giro) non è possibile scendere sotto una certa soglia. La massa critica dei processi deriva da reati che nessuno può pensare di abolire. La domanda, allora, si sposta sul tema dell’obbligatorietà dell’azione penale. Se il processi si "devono" celebrare, allora non c’è nulla da faro. Prescrizione lunga ed obbligatorietà dell’azione penale è una miscela che nessun sistema al mondo è in grado di reggere, a meno che non si accettino tempi biblici che farebbero insorgere i cittadini. Quindi se si vuole evitare lo "scandalo" di questi giorni, con un paese perplesso e rabbioso, è necessario che si dismettano i panni ipocriti di cui invoca un semplice "allungamento" dello prescrizione e si indossino quelli scomodi dei veri riformatori. Moltissimi casi che intasano le aule di giustizia non meritano un giudizio. Sono vicende tutto sommato bagatellari (comprese le diffamazioni a mezzo stampa) che dovrebbero essere risolte con modalità sbrigative e con sanzioni amministrative o con lavori dì pubblica utilità; senza scomodare le carceri e i giudici. In un paese serio che voglia ancora permettersi il lusso dell’azione penale obbligatoria (ma Giovanni Falcone non la pensava così, lui che il crimine voleva batterlo davvero) non resta che mandare al macero tutti quei processi che, per la modesta entità del danno, per la certa irrogazione di una pena sospesa, per la mancanza di interessi pubblici coinvolti, non devono entrare nelle aule di giustizia. Sia l’accusa a decidere cosa merita un processo e cosa un circuito alternativo. Certo è una valutazione discrezionale, quindi politica in fin dei conti. E qui c’è il macigno dell’indipendenza del pubblico ministero. Tema inavvicinabile, anche se in molte procure (anche importanti) cova il sospetto che il grande potere affidato ai capi degli uffici dalla riforma del 2006/2007 si sia risolto in una gestione "personalistica" dell’azione penale e proprio nei casi più delicati. Prescrizione, obbligatorietà dell’azione penale, indipendenza del pubblico ministero un ginepraio cui nessuno, probabilmente, metterà mano a breve. Salvo che il renzismo si consolidi davvero e allora chissà. Giustizia: moratoria universale sulla pena di morte, l’Italia aspetta un regalo dall’Onu Il Garantista, 23 novembre 2014 Il ministro degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale, Paolo Gentiloni, ha espresso viva soddisfazione per l’adozione la scorsa notte della quinta Risoluzione per una moratoria universale della pena di morte: "Il voto della notte scorsa alle Nazioni Unite rappresenta un ulteriore passo avanti nella battaglia di civiltà a favore della moratoria universale della pena di morte, che vede l’Italia protagonista ormai da anni, anche attraverso un’incisiva azione della società civile, in particolare della Comunità di Sant’Egidio, di Amnesty International, di Nessuno Tocchi Caino e di tutti coloro che si sono impegnati in questa campagna. Il nuovo ottimo risultato è frutto dell’ impegno congiunto del nostro Paese e dei partner europei ed internazionali. Attendiamo ora fiduciosi il voto da parte dell’Assemblea Generale, che avverrà in dicembre, continuando ad impegnarci per un aumento dei consensi alla nostra iniziativa". La Risoluzione per una moratoria della pena di morte è stata promossa dall’Italia insieme ad una coalizione di Paesi di diverse aree geografiche. Il 21 novembre la gran maggioranza dei Paesi del mondo ha dato l’appoggio alla risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite per istituire una moratoria sulle esecuzioni in vista dell’abolizione globale della pena di morte: 114 dei 193 stati membri hanno votato a favore della risoluzione, che verrà esaminata a dicembre dall’ Assemblea generale in sessione plenaria per la definitiva approvazione. Il voto conferma che un numero sempre maggiore di paesi concorda sul fatto che la pena di morte è una violazione dei diritti umani che deve cessare - ha commentato Chiara Sangiorgio, esperta sulla pena di morte del Segretariato Internazionale di Amnesty International - Il voto trasmette inoltre un messaggio chiaro alla minoranza dei paesi che ancora usa la pena capitale: siete sul lato sbagliato della storia". Dal 2007, ricorda una nota di Amnesty, quattro risoluzioni hanno chiesto una moratoria mondiale sulla pena di morte, con un sostegno ogni volta più ampio. La risoluzione di ieri ha ottenuto tre voti in più a favore rispetto al 2012: 114 rispetto a 111, con 36 voti contrari rispetto a 41 e 36 astensioni rispetto a 34. Marazziti: da Onu passo avanti importante "Per la quinta volta consecutiva cresce il no alla pena di morte all’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Il mondo conferma che la pena di morte, se lo è mai stato, è uno strumento di giustizia del passato. E che non c’è giustizia senza vita. Perché la giustizia che uccide smette di essere giustizia". Lo dichiara in una nota Mario Marazziti, presidente del Comitato per i diritti umani della Camera e membro della task force della Farnesina per promuovere la campagna mondiale contro la pena capitale creata da Federica Mogherini, commentando la votazione di ieri notte in cui 114 Stati su 193 hanno dato il proprio assenso alla nuova Risoluzione. "Quello compiuto nel Palazzo di Vetro - sottolinea Marazziti - è un passo avanti importante sulla via del rispetto di una soglia più alta dei diritti umani perché la grande parte dei Paesi del mondo affermano che la pena di morte non è solo un affare interno ai singoli Paesi, ma tocca il rispetto dei diritti umani. Il voto dell’Onu è il frutto di un metodo nuovo di lavoro e di sinergia tra governi e le maggiori Ong del mondo, con un ruolo intelligente dell’Italia in prima fila, rinnovato dalle scelte del governo e di politica estera che hanno messo la diplomazia umanitaria tra le priorità. Il voto non è vincolante, ma segna uno standard sotto il quale diventa imbarazzante per i Paesi rimanere. È il metodo della sinergia umanitaria che ha uno stile molto italiano ed europeo, non invasivo, efficace. Adesso il voto finale dell’Assemblea generale previsto per dicembre: una occasione in più per i Paesi che ancora hanno la pena di morte nel loro ordinamento per decidere una moratoria di legge e un percorso verso l’abolizione". Lettere: "La Collina" di don Ettore Cannavera, osservatorio sugli ultimi e su noi stessi di Agnese Moro La Stampa, 23 novembre 2014 Gli amici di Africadegna mi hanno fatto conoscere a Serdiana, vicino a Cagliari, La Collina; un luogo molto bello che è tante cose insieme, e più della loro somma. Tutto comincia con l’Associazione "Cooperazione e Confronto", Onlus "nata - da un’intuizione di don Ettore Cannavera, Cappellano del carcere minorile di Quartucciu, che l’ha fondata nel 1994 insieme a un gruppo di operatori sociali attivi nel campo della prevenzione e della riabilitazione. Da questa associazione, che svolge soprattutto iniziative culturali, ha preso avvio la cooperativa sociale "Comunità La Collina", alla quale è affidata la gestione delle tre strutture comunitarie destinate ad accogliere giovani che beneficiano di misure alternative alla detenzione o vivono situazioni di emarginazione" (di questa ultima attività mi propongo di riparlare). C’è un’azienda agricola - biologica - gestita dalla Cooperativa sociale con la collaborazione dei ragazzi della comunità. Si estende su dieci ettari. Ci sono un oliveto, piante da frutto, un orto e un impianto di erbe aromatiche e officinali. La Collina è, nel suo insieme, un punto di riferimento molto seguito per attività di formazione e cultura, un luogo di confronto aperto alla riflessione "spirituale, sociale e politica con cui dar voce alle istanze degli ultimi: i detenuti, gli immigrati, gli esclusi". Ha una casa editrice, una biblioteca con circa 20.000 volumi e riviste specialistiche, una propria rivista e una newsletter. La sera del giovedì è dedicata alla spiritualità e alla convivialità, con incontri in cappella - multi religiosa, "luogo di pace ove soffermarsi a riflettere su ciò che davvero sta a cuore a ciascuno di noi" e cene comunitarie. Ci sono poi gli incontri culturali del mercoledì "per denunciare le ingiustizie e fare proposte per un presente più giusto"; un’opera di informazione su temi di carattere sociale, politico e spirituale; su diritti umani, carcere, emarginazione, immigrazione, malattia mentale. Sono "occasioni animate di dibattito che, traendo spesso spunto dalla presentazione di libri, aiutano a capire meglio la realtà in cui viviamo, illuminando quelle zone d’ombra cui manchiamo di volgere lo sguardo perché i mezzi di comunicazione ce le nascondono per conformismo o paura". Un luogo da cui guardare con altri occhi alla realtà e a se stessi. Isernia: Fabio non è morto per caduta accidentale, compagni di cella indagati per omicidio di Damiano Aliprandi Il Garantista, 23 novembre 2014 L’autopsia ha rivelato la drammatica morte. È accaduto nel carcere di Isernia, era dentro per rapina nei confronti della madre. Ufficialmente era morto per una caduta accidentale, ma dopo l’autopsia trapela l’ipotesi inquietante di omicidio. Si tratta di Fabio De Luca, detenuto di 46 anni morto il 13 novembre scorso, dopo essere stato trasportato d’urgenza dalla Casa Circondariale di Isernia, alla volta dell’Ospedale del capoluogo per un grave trauma cranico. La stessa Procura di Campobasso, che ha aperto come atto dovuto un fascicolo, non ha creduto alla versione ufficiale e dopo aver posto i sigilli alla cella teatro del ferimento, ha disposto il sequestro anche della cella in cui dormiva il 45enne romano. Cambia perfino il capo di imputazione per i due detenuti inscritti nel registro degli indagati: da lesioni a omicidio. Vacilla la versione ufficiale, resa nell’immediatezza del decesso in base alla quale De Luca sarebbe caduto dalla sommità di una scala a causa di un malore mentre stava recuperando una gruccia sopra un armadio, grazie all’autopsia effettuata. Ieri i risultati: si evince un evidente e gravissimo "trauma cranico multifocale" non visibile all’esterno e una morte "indotta non compatibile con la caduta". Per questo motivo ora la Procura di Campobasso indaga per omicidio, ipotizzando un’aggressione da parte di altri detenuti, o comunque da terze persone. Il 45enne romano, arrestato per una rapina e dal 6 ottobre nel carcere di Isernia, era arrivato il 4 novembre all’ospedale di Isernia, e poi trasferito a Campobasso in rianimazione dopo un intervento chirurgico al capo. Dopo 9 giorni di ricovero, la morte. All’inizio si era parlato di una caduta accidentale avvenuta mentre saliva su un letto a castello, ma nei giorni successivi la procura di Isernia ha aperto un fascicolo contro ignoti e indagato per lesioni aggravate i detenuti che erano con lui in quel momento. Nei loro confronti la Procura starebbe procedendo per l’ipotesi di reato di "morte come conseguenza di un altro delitto" coadiuvata dalla squadra mobile di Campobasso: gli inquirenti intendono vederci chiaro su cosa è accaduto nel carcere di Isernia. A dare l’allarme furono proprio i due detenuti, napoletani, che stavano scontando gli ultimi mesi di pena (uno è da poco uscito dal carcere). "Era andato in un’altra cella a recuperare le grucce lasciate sulla parte superiore di un armadio quando è caduto sbattendo la testa", era emerso durante i primi interrogatori. Fabio De Luca aveva subito in passato altro violenze. A fine agosto De Luca era finito in ospedale dopo un violento pestaggio avvenuto a Roma, a San Lorenzo e da lui denunciato. Riportò diversi traumi, anche una mandibola fratturata. L’uomo, separato dalla moglie, lascia una figlia di 15 anni. Dopo aver vissuto al Prenestino, era senza fissa dimora, ospite di parenti e amici. Stava scontando una condanna per rapina, arrestato dai carabinieri proprio per aver aggredito, per motivi economici, la madre che viveva a Isernia. Cagliari: misure sicurezza al massimo per il trasporto dei 350 carcerati nel nuovo istituto di Stefano Ambu La Nuova Sardegna, 23 novembre 2014 Il più grande trasferimento di detenuti in Italia da un carcere all’altro. Parola di Gianfranco Pala, direttore della Casa Circondariale di Buoncammino: circa 350 ospiti che dicono addio a Cagliari. E riempiono la nuova struttura di Uta, destinata, una volta terminati i lavori, ad accogliere anche i 41bis. Un esodo anticipato dal trasferimento nei giorni scorsi di armi e documenti. Un’operazione segretissima, con un’ora X conosciuta da pochissimi. E seguita naturalmente da uno schieramento di forze di polizia consono al momento storico: in campo gli agenti della penitenziaria, i vari reparti della polizia di Stato, i carabinieri, la Guardia di finanza e la municipale. Nei giorni scorsi riunioni su riunioni per stabilire modi e percorso. Ieri mattina Pala ha fatto un giro tra i detenuti per capire un po’ che aria tirava. "Mi sono sembrati di buon umore - ha detto - pronti e soddisfatti per il trasferimento". Tutti protagonisti direttore, personale e detenuti di una svolta epocale con il carcere che esce di scena dalla vita della città. Con quel viale, Buoncammino, bello e panoramico. Maun po’ triste con le mura e le torrette a fargli ombra. Un vago senso di inquietudine per il mondo oltre il cancello, a pochi passi in linea d’aria dalle passeggiate e da uno snack nei chioschetti. Un portone di ingresso che ora resterà probabilmente aperto. O, se chiuso, non protetto da tutte quelle misure di sicurezza ovvie per un carcere. Sì perché per il futuro, già dalle prossime settimane, la palazzina degli uffici davanti all’ingresso sarà occupata dal personale del Provveditorato di va Tuveri e dai dipendenti dell’Esecuzione penale esterna, ora in via Peretti. Poi si parla di un possibile trasferimento dell’istituto minorile di Quartucciu. Ma quindicimila metri quadri sono uno spazio immenso. E in quella posizione, con quella vista e con un Castello così vicino si può fare molto di più. O ben altro come rivendicato in Consiglio comunale nelle settimane scorse quando è trapelata la notizia del trasloco. Tante idee: turismo, cultura, accoglienza studenti che arrivano dall’estero. Giusto per voltare pagina. Anche se nei prossimi decenni il tormentone è quasi scontato: qui una volta c’era il carcere. Cagliari: nell’antica fortezza ora c’è solo il silenzio dei ricordi e del dolore di Giampaolo Cassitta La Nuova Sardegna, 23 novembre 2014 L’odore è di quelli forti, intensi. Tra umido e sugo, tra sudore e ricordi. Di mezzo anche la carta dei fascicoli che si muovono, milioni di parole condensati in archivi che, per un attimo, vedono la luce, lungo il tragitto che dal vecchio carcere di Buoncammino li porterà ad Uta, nel nuovo complesso. Archivi con scorta, che si trasportano il peso degli anni. Ne sono passati uomini da questa porta oggi di un blu forte e denso. Rapinatori, stupratori, tossicodipendenti, quelli dell’anonima sequestri, colpevoli e innocenti. Dalla fine del 1800 la Casa circondariale di Cagliari concepita, in quegli anni come carcere giudiziario moderno, era stata sistemata sul colle di Buoncammino, a fianco del quartiere storico di "Castello", al centro della città. Ha sempre mantenuto questo disegno originale e anche all’interno ci sono state solo piccole modifiche: la chiusura del reparto minorile e il seminterrato della sezione del reparto sinistro. Un pachiderma che, lentamente comincia a svuotarsi. Con all’interno il peso dei ricordi, degli anni, dei rumori mai sopiti, delle lacrime mai asciugate delle urla centrifugate nella noia e nel terrore. Un carcere che muore dovrebbe essere una bella notizia. Non si dovrebbe avere bisogno di una struttura per ingabbiare essere umani in una società avanzata. Ma non è così. Il carcere serve come opportunità e non come budello marcio dove nascondere i mali che la stessa società ha prodotto. Dentro queste mura che resteranno comunque sullo stesso viale, rimarranno le voci sparse di chi dentro quel carcere ci ha vissuto, respirato, condiviso affetti, disperazione, sudore, morte. Un quartiere che si svuota mestamente, con la consapevolezza che da queste parti non si ritornerà più. Quel tipo di vita, adesso, è altrove. Un altrove indefinito e indefinibile tra le lande salate di Macchiareddu, tra le pale eoliche e il silenzio immenso, contrapposto solo al fruscio delle foglie di enormi eucalipti. Non si sentirà più il rumore lontano delle sirene che raccontavano di una città vicina, quasi a portata di mano. Su Buoncammino cala la tela, definitivamente. Come su San Sebastiano, come per la rotonda di Tempio e la Reggia di Oristano. In Sardegna, adesso ci sono quattro nuovi istituti penitenziari più ampi, più spaziosi, più vicino alle nuove esigenze trattamentali però, paradossalmente, più soli. E più lontani. La carovana di pullman blu lentamente si muove nel tragitto che dal vecchio carcere arriverà nella zona di Uta. Sembra, per un attimo, la processione che da Cagliari cammina verso Pula, quella di Sant’Efisio. La strada è la stessa poi, però, si svolta a destra, verso la zona industriale, dopo Giorgino, la vecchia spiaggia dei cagliaritani. Quando si chiude un carcere si pensa sempre a cosa quel carcere è stato e cosa in quel carcere c’è stato. San Sebastiano era divenuto l’emblema della fatiscenza, dell’inadeguatezza. Il carcere di Cagliari è sempre stato quello sovraffollato, reparti stretti e camere molto piccole. Odore forte che si respira anche oggi, nel suo ultimo giorno di vita. Ha un battito lento questo pachiderma in agonia. Lentamente il ventre si svuota della varia umanità che lo ha abitato nel corso degli anni. Sostituito: come una vecchia auto, come un logoro elettrodomestico che non funzionava più; quel carcere non era più idoneo a svolgere il suo ruolo istituzionale. Gli occhi e gli sguardi raccontano e sono un misto di mestizia e di piccola eccitazione. I cambiamenti sono sempre complicati nelle vite delle persone. L’assistente capo ha in mano la chiave: quella del cancello blu. Lo guarda, per l’ultima volta. A Uta è tutto meccanizzato. Così dicono. Il poliziotto gira la chiave nella toppa. Quattro mandate. Non c’è più nessuno all’interno. Cagliari: Cossa (Rs); difenderemo Scuola di Polizia penitenziaria di Monastir a ogni costo L’Unione Sarda, 23 novembre 2014 "Le notizie che arrivano sulla sorte della scuola di polizia penitenziaria non sono affatto buone. Ribadiamo ancora una volta la nostra assoluta contrarietà a questo piano di smantellamento: gli agenti hanno il diritto di formarsi e addestrarsi in Sardegna al pari di altre forze di polizia". Lo ha detto ieri il coordinatore regionale dei Riformatori sardi, Michele Cossa. "La politica sarda - aggiunge il coordinatore dei Riformatori - deve tenere alta la guardia. La Regione non può stare in silenzio, ma deve impegnarsi per costringere il governo a tornare indietro sul l’ennesimo scippo ai danni della Sardegna". Michele Cossa esprime, inoltre, "grande preoccupazione per la situazione dei lavori del nuovo carcere di Uta. Si trasferiscono i detenuti con un cantiere ere ancora aperto. Altra questione su cui la politica sarda deve tenere alta la guardia. Sarebbe inaccettabile che rimanesse un’altra grande incompiuta, per di più con dentro i detenuti". Stati Uniti: detenuto saudita di Guantánamo scarcerato, restano ancora 142 prigionieri Ansa, 23 novembre 2014 Un detenuto saudita che ha trascorso gli ultimi 12 anni nel supercarcere della base militare americana di Guantánamo è stato scarcerato mentre gli Usa continuano con i tentativi per ridurre la popolazione carceraria con l’obiettivo finale di far chiudere la prigione. Il Pentagono riferisce che Muhammad al-Zahrani è stato trasferito in patria, dove seguirà un programma di riabilitazione, dopo le conclusioni di una commissione che sta valutando se sia ancora necessario tenere alcuni detenuti. È il 13esimo prigioniero scarcerato da Guantánamo quest’anno. Fino al 3 ottobre scorso al-Zahrani era considerato un "grande rischio" per il popolo americano. Ma il comitato di revisione, composto da sei agenzie governative, tra cui il Dipartimento di Stato e il Pentagono, ha detto che l’uomo sospettato di essere un membro attivo di al-Qaida non è più una minaccia per gli Stati Uniti. A Guantánamo rimangono ancora 142 prigionieri e il Pentagono ha annunciato che altre scarcerazioni sono previste nelle prossime settimane.