Giustizia: carcere di Como, quello strano suicidio dopo le lettere d’amore di Daniel Rustici Il Garantista, 22 novembre 2014 Lo strano caso di Maurizio Riunno, trovato impiccato nella sua cella. L’ipotesi della morte autoindotta non convince la famiglia di Maurizio Riunno, padre di 3 figli. Maurizio Riunno scrive due lettere ai figli e alla moglie durante i suoi dieci giorni di detenzione nel carcere di Como. Sono lettere piene di angoscia e di scoramento, ma non sembrano le lettere di un imminente suicida. Non c’è nemmeno un segnale, una traccia che possa far pensare a questo. Soprattutto va rilevato che la missiva spedita alla moglie Marta viene scritta il giorno prima del presunto suicidio. In questa lettera Maurizio chiede alla compagna penne e francobolli per poter continuare a scriverle, si augura che presto Marta e i bambini possano andare ai colloqui in carcere con lui: "Spero che per qualche motivo domani vi fanno venire a colloquio: non vedo l’ora". Dire che la notizia della morte, ufficialmente per suicidio, di Maurizio Riunno, 28 anni, padre di tre figli piccoli sia giunta per i suoi cari come un fulmine a ciel sereno forse sarebbe fuori luogo, considerato che si trovava rinchiuso da una decina di giorni in carcere, dove è difficile vedere sia la serenità sia il cielo. Per di più, per motivi di incompatibilità con alcuni detenuti, Riunno nel penitenziario di Bessone di Como si trovava sotto osservazione, il che equivale in pratica a una specie di isolamento per evitare contatti con altri indagati. L’accusa di aver partecipato ad un sequestro insieme ad altre quattro persone lo aveva posto in una delle condizioni più difficili tra quelle che possono capitare nella vita di un uomo ma nonostante ciò, il giorno prima di morire, in una lettera indirizzata alla compagna, Maurizio usava parole che pur nella loro drammaticità facevano comunque trapelare la voglia di non arrendersi e di riabbracciare le persone che amava: "[...] non ho voglia di combattere questa guerra ma ci proverò e ci proverò solo grazie a te e grazie a tutto l’amore che solo tu sai darmi. E per questo te ne sarò grato per l’eternità. Credimi, una volta finito tutto basta starò con te e la nostra famiglia...". In una un’altra missiva, Riunno lamentava poi il razionamento delle penne, temendo di non riuscire più a comunicare con l’esterno. Il tono di queste lettere sono uno dei motivi per cui la sua compagna nutre forti dubbi sulle intenzioni suicide di Maurizio, trovato impiccato venerdì 21 ottobre nella sua cella: "Conosco bene il mio compagno e so che non avrebbe mai fatto un gesto del genere. Da qui cominciano poi tutti gli altri nostri interrogativi. […] La sera verso le 21.00 ho telefonato al carcere, perché ero fuori di me e soprattutto distrutta e ho chiesto come era successo, come l’avevano trovato, a che ora è successo e come mai lì non c’era nessuno a tenere d’occhio Maurizio, visto che loro, come già anticipato prima, la cella in cui si trovava la chiamano "cella di osservazione". Comunque mi è stato risposto che l’hanno trovato intorno alle 16.00/16.30 e già qui la mia prima domanda, perché ci hanno avvisato solo alle 19.00? E cioè tre ore dopo? […] Dicono inoltre che non sono state trovate altre lesioni, ma noi ci siamo fatti forza e prima dell’autopsia abbiamo fatto delle foto e aveva un occhio nero, una spalla violacea […] graffi sulle mani, graffi sul collo". Ma sono tante secondo i familiari di Riunno le cose che non tornano in questa vicenda e per cercare di fare luce su tutti gli aspetti non chiari hanno deciso di chiedere aiuto ai Radicali. Grazie anche al loro interessamento la morte del 28enne nel carcere di Bessone di Como è divenuta oggetto di un’interrogazione parlamentare presentata dal vicepresidente della Camera, il democratico Roberto Giachetti ,alla quale dovrà rispondere il ministro della giustizia Orlando. Con questa Giachetti intende rivolgersi al Guardasigilli per chiedergli "se, indipendentemente dalle iniziative della magistratura, non ritenga di dover accertare i motivi che avrebbero spinto Maurizio Riunno al suicidio anche al fine di verificare se, con riferimento ad esso, non siano ravvisabili profili di responsabilità disciplinari in capo al personale penitenziario". Tante le domande a cui il Ministero della giustizia dovrà dare una risposta: le telecamere hanno ripreso i momenti in cui è avvenuta la morte di Riunno? Riunno aveva avuto colloqui con uno psicologo vista anche la situazione particolare d’isolamento nella quale viveva? Quali erano le condizioni igieniche della sua cella? Il personale medico del carcere aveva constato al presenza di particolari disturbi psichici nel detenuto? Quante ore sono passate dal momento del suo decesso alla comunicazione di quanto avvenuto ai suo familiari? Dove il 28enne avrebbe eseguito il suo suicidio? E quanto tempo è passato prima che qualcuno gli prestasse soccorso? E ancora: come è organizzato dal punto di vista dell’assistenza psichica ai detenuti il carcere di Como? Quali sono state le modalità in cui si è verificato il suicidio di un detenuto cileno, avvenuto il 12 ottobre sempre nel carcere dove è morto Maurizio Riunno? Quanti sono i decessi che si sono verificati nel 2014 negli istituti penitenziari italiani e quanti fra essi sono stati i suicidi? Per quale motivo non è ancora avvenuta la nomina del Garante Nazionale delle persone private della libertà? "Il ministro della giustizia Orlando dovrà rispondere a un sacco di domande, e se non darà riscontri adeguati a quanto gli viene chiesto ciò sarebbe molto grave: rappresenterebbe il segno dell’impotenza delle istituzioni davanti alla barbarie" conferma la segreteria dei Radicali Rita Bernardini che a Il Garantista annuncia anche una sua visita all’istituto penitenziario di Bessone di Como. "Colpisce", sottolinea inoltre la numero uno del partito transnazionale "che famiglie come quella di Riunno debbano mettersi in contatto con i Radicali perché non sanno a chi altro rivolgersi. Il carcere dovrebbe essere un’istituzione trasparente e riconoscibile ma ancora oggi appare invece come un’istituzione oscura, impenetrabile alla Legge e al rispetto dei diritti umani". "Che in uno stessa struttura carceraria si assista nel giro di pochi giorni alla morte di due detenuti", conclude infine Bernardini riferendosi all’uomo cileno trovato senza vita sempre nel carcere di Como "è un fatto davvero inquietante che non può lasciare indifferenti. La nostra battaglia per ripristinare la legalità all’interno delle carceri italiane, purtroppo, è ancora lunga". "Cari bimbi, cara Marta sono lontano ma penso sempre a voi" Ecco le due lettere che Maurizio Riunno scrive ai figli e alla moglie durante i suoi dieci giorni di detenzione nel carcere di Como. Sono lettere piene di angoscia e di scoramento, ma non sembrano le lettere di un imminente suicida, il testamento di un uomo in procinto di togliersi la vita. Non c’è nemmeno un segnale, una traccia che possa far pensare a questo. Soprattutto va rilevato che la missiva spedita alla moglie Marta - dove Riunno, seppure stanco, si dice determinato a combattere la sua battaglia per uscire in qualche modo dall’incubo in cui è finito (o si è cacciato) - viene scritta il giorno prima del presunto suicidio. In questa lettera Maurizio chiede alla moglie penne e francobolli per poter continuare a scriverle, si augura che presto moglie e bambini possano andare ai colloqui in carcere con lui: "Spero che per qualche motivo fortunato domani vi fanno venire a colloquio: Non vedo l’ora e so già che non riuscirò più a lasciarti andare via". Per Michelle, Aaron e Ryan dal vostro papà: vi amo! Cari bimbi, è il vostro papà che vi scrive. Come state? Spero bene e soprattutto che non state facendo tributare la mamma e la nonna perché loro, come me, vi amano. Purtroppo, il vostro papà si è dovuto allontanare ancora per lavoro, ma non preoccupatevi perché, anche se sono lontano, vi penso sempre e vi amo ogni giorno sempre di più. Mi raccomando, state vicino alla mamma e alla nonna e dite loro che papà le ama più della sua stessa vita e che un giorno finirò di lavorare e finalmente non vi lascerò più. Mi mancate veramente tanto e questa lontananza per lavoro mi sta facendo tanto male. Tornerò presto e vi prometto che saremo una famiglia felice. Ora vi mando un bacione grosso, e vi ricordo che papà è sempre lì con voi anche se non mi vedete. Papà Cara Marta, cara vita mia, come stai? Spero sempre benissimo. Oggi finalmente ho ricevuto tre lettere, una del 24, una del 25 e una del 27. Non vedevo l’ora e credimi, vita mia, che cominciavo ad avere paura che non mi avresti più scritto, anche se dall’altra parte ero certo che non ti saresti mai comportata così, perché il nostro amore è più forte di qualsiasi condanna. Io ti amo e ti penso sempre ma ho bisogno di vederti, di parlarti e di sapere come stai e di come possiamo fare per rimediare a questo errore. Tu solo, vita mia, puoi consigliarmi su cosa fare, perché, come ben sai, io vivo solo di te e per te, e quello che mi dirai di fare o che ti sembrerà più giusto fare, io farò. Non voglio più farti soffrire. Ora basta! Cosa stiamo passando, sangue mio, mi trovo ancora in isolamento, allo sciopero della fame e della sete e in più ho una voglia di fumare, ma non posso purtroppo. Ma ciò non mi interessa. Mi interessa solo sapere che mi ami, che mi pensi sempre e che mi aspetterai anche questa volta, qualunque tempo sia. Facevo tanto l’uomo forte… e invece senza di te sono debolissimo, non ho forze e soprattutto non ho voglia di combattere questa guerra. Comunque ci proverò, e ci proverò solo grazie a te e grazie a tutto l’amore che solo tu sai darmi. Per questo grande dono ti sarò sempre debitore, e una volta chiuso questo triste capitolo, starò solo con te e la nostra famiglia, ma ora, vita mia, non so come fare per rimediare al danno. Ti sto scrivendo tutti i giorni e spero che le mie lettere ti arrivino perché come io ho bisogno delle tue, anche tu hai bisogno di leggere le mie. Per piacere, mandami dei francobolli, una penna, qualche foglio ma le buste no e io ti scriverò tutti i giorni per farti sapere cosa faccio e come sto ma soprattutto per non farti dimenticare quanto ti amo e quanto ti penso e soprattutto quanto mi manchi. Ora vita mia ti chiedo: ma tu mi ami?, mi vuoi ancora?, mi aspetterai?, mi pensi? I bambini come stanno? E la mamma? Sto diventando matto per potervi vedere, spero che per qualche motivo fortunato domani vi fanno venire a colloquio: sarebbe la cosa più bella che ci sia capitata in questi maledetti dieci giorni, vero? Non vedo l’ora e so già che non riuscirò più a lasciarti andare via. Maury Giustizia: "Maurizio non voleva morire, ora si indaghi", l’interrogazione di Giachetti (Pd) Il Garantista, 22 novembre 2014 Di seguito il testo dell’interrogazione a risposta scritta presentata dal vicepresidente della Camera Roberto Giachetti al ministro della Giustizia poche ore dopo la morte di Maurizio Riunno nel carcere di Como. "Per sapere, premesso che secondo quanto riportato dal Quotidiano Nazionale del 2 novembre in un articolo a firma di Paola Pioppi, venerdì 31 ottobre un altro detenuto, Maurizio Riunno, si è impiccato nel carcere Bassone di Como; un caso simile si era verificato lo scorso 12 ottobre nello stesso carcere, quando a suicidarsi era stato un trentenne cileno; Maurizio Riunno, padre di tre bambini in tenera età, aveva 28 anni e, secondo quanto riportato nel succitato articolo, si trovava in carcere da una decina di giorni accusato di sequestro di persona insieme ad altre quattro persone. Dopo il suo arresto - si legge nell’articolo di Paola Pioppi - era stato portato in osservazione, quattro celle presidiate da un agente, dove confluiscono i detenuti che hanno motivi di incompatibilità con gli altri. In questo caso, si trattava di esigenze giudiziarie, legate alle indagini ancora in corso, per le quali la Procura aveva disposto il divieto di contatto tra i vari indagati. Venerdì pomeriggio verso le 16, gli agenti lo hanno trovato esanime, impiccato con le lenzuola della sua branda. Non aveva avuto contatti con nessun altro, se non l’agente che, a intervalli ravvicinati, controllava le sue condizioni in cella. Ciononostante, è riuscito a realizzare il suo intento; Il giorno stesso del decesso, sempre secondo le notizie di stampa, è stato subito avvisato il magistrato di turno della Procura di Como, chiamato a valutare l’eventuale necessità di disporre accertamenti ulteriori, al di là dell’autopsia, atto dovuto in questi casi. Il 7 novembre scorso, i familiari di Maurizio Riunno si sono messi in contatto con la Segretaria di Radicali italiani Rita Bernardini, facendo presente di avere grossi dubbi sugli intenti suicidari del loro congiunto; in particolare, la compagna ha scritto in una email "Conosco bene il mio compagno e so che non avrebbe mai fatto un gesto del genere. Da qui cominciano poi tutti gli altri nostri interrogativi, perché Maurizio ha passato dieci giorni in cella che loro chiamano "osservazione" ma a testimonianza di altre persone, amici di Maurizio, che si erano trovati proprio dove stava Maurizio era in isolamento […]. Comunque la sera verso le 21.00 ho telefonato al carcere, perché ero fuori di me e soprattutto distrutta e ho chiesto come era successo, come l’avevano trovato, a che ora è successo e come mai lì non c’era nessuno a tenere d’occhio Maurizio, visto che loro, come già anticipato prima, la cella in cui si trovava la chiamano "cella di osservazione". Comunque mi è stato risposto che l’hanno trovato intorno alle 16.00/16.30 e già qui la mia prima domanda, perché ci hanno avvisato solo alle 19.00? E cioè tre ore dopo? A me hanno riferito che l’hanno trovato attaccato al lenzuolo e il lenzuolo attaccato alla brandina, ma all’avvocato è stato detto che invece era stato trovato attaccato alla finestra, e ovviamente l’altra domanda esce spontanea, dov’era? Alla domanda invece se lì non c’era nessuno a "osservare" Maurizio mi è stato risposto con queste testuali parole, neanche comprensibili: "sì c’era la guardia, poi non so si è distratta, poi sono tornati in gruppo, per cercare di farlo tornare indietro, ma non ci sono riusciti", e ovviamente la mia domanda è stata, ma tra la guardia che si è distratta e tra che poi sono tornati in gruppo, cosa c’è in mezzo? L’autopsia poi ha confermato che la morte è avvenuta per asfissia, dicono inoltre che non sono state trovate altre lesioni, ma noi ci siamo fatti forza e prima dell’autopsia abbiamo fatto delle foto e aveva un occhio nero, una spalla violacea (la spalla destra) […] graffi sulle mani, graffi sul collo, ma purtroppo non abbiamo potuto vedere il resto del corpo in quanto ci hanno vietato di assistere all’autopsia e/o di poterlo vestire. In più io ho ricevuto da lui come ultima lettera la lettera del 30/10, che vi manderò in allegato, così vedrete e leggerete se può sembrare qualcuno che ha intenzione o pensa di fare un gesto così grave, in più quando sono andata a ritirare gli effetti personali di Maurizio ho letto la lista e nella lista mancavano le lettere che gli avevo spedito, ho chiesto e mi è stato risposto che cinque lettere in entrata, le mie e una lettera in uscita, quella sicuramente del 31/10 erano state sequestrate dalla Procura, ma io senza ancora averla potuta leggere sono convinta che sia uguale identica a quella del 30/10": quali informazioni e chiarimenti intenda fornire su quanto rappresentato in premessa; se, indipendentemente dalle iniziative della magistratura, non ritenga di dover accertare i motivi che avrebbero spinto Maurizio Riunno al suicidio anche al fine di verificare se, con riferimento ad esso, non siano ravvisabili profili di responsabilità disciplinari in capo al personale penitenziario; se le telecamere abbiano ripreso i momenti drammatici dell’atto suicidario e le modalità e i tempi del successivo soccorso; se Maurizio Riunno abbia avuto colloqui con lo psicologo del carcere considerate le problematiche che possono manifestarsi in condizioni di isolamento; se il personale sanitario abbia annotato particolari disturbi psichici del detenuto e se lo stesso era sottoposto a qualche terapia farmacologica; quali erano e sono le condizioni di igiene e sanità delle celle del reparto di "osservazione"; quante ore sono passate dal decesso di Maurizio Riunno al momento in cui i familiari sono stati informati del drammatico evento; in quale luogo della cella Maurizio Riunno avrebbe messo in atto il gesto suicidario e quanto tempo è passato prima dell’arrivo dei soccorsi e se era ancora vivo quando li ha ricevuti; quanti sono gli psicologi in servizio presso il carcere Bassone di Como, quale copertura d’orario garantiscono e, in particolare, quanti colloqui e di quale durata media riescano a fare in un mese; come è organizzato, di quale personale e di quale attrezzature dispone il presidio sanitario del carcere di Como; in particolare, quale servizio viene assicurato dal punto di vista psichiatrico; quali sono state le modalità in cui si è verificato il suicidio del detenuto cileno, avvenuto il 12 ottobre sempre nel carcere Bassone di Como; quanti sono i decessi che si sono verificati nel 2014 negli istituti penitenziari italiani e quanti fra essi sono stati i suicidi; se si ritenga necessaria e indifferibile, proprio per garantire i diritti fondamentali delle persone, la creazione di un "osservatorio" per il monitoraggio delle morti in carcere, osservatorio in cui siano presenti anche le associazioni per i diritti dei detenuti; cosa si attende e quali siano i motivi per i quali non è ancora avvenuta la nomina del Garante Nazionale delle persone private della libertà. Giustizia: ministro Orlando "costruire più carceri non basta, puntare su pene alternative" Prima Pagina News, 22 novembre 2014 A che punto è la riforma del sistema di custodia cautelare? "Siamo intervenuti per arginare il sovraffollamento delle carceri, limitando l`arresto solo per reati che, in caso di condanna, avrebbero portato a pena detentiva. Alla Camera si sta discutendo un testo che privilegia la detenzione domiciliare su quella in carcere, in determinati casi". Lo dice in un’intervista al Mattino il ministro della Giustizia Andrea Orlando. "Credo che l`approveremo per la fine dell`anno. Aumentare la detenzione non aumenta la sicurezza, è ormai dimostrato", spiega. E il piano carceri che fine ha fatto?, gli viene chiesto "Era fatto di procedure e obiettivi eccezionali. Costruire più carceri non basta. Occorrerebbe, invece, prevedere per i tossicodipendenti più comunità terapeutiche, sviluppare il sistema delle pene alternative come nel resto d`Europa. Per questo, abbiamo superato la figura del commissario e siglato già 10 convenzioni con le Regioni per utilizzare le comunità terapeutiche per l`esecuzione della pena". Giustizia: il Garante Franco Corleone "va ripensato il rapporto tra carcere e democrazia" www.gonews.it, 22 novembre 2014 "L’Italia può definirsi il paese di Beccaria? È retorico domandarselo dopo che la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato il nostro paese per una gestione delle carceri che umilia la dignità umana?". Franco Corleone, garante dei detenuti della Regione Toscana, ha cominciato con queste parole la sua introduzione al convegno "Delitti e pena: 250 anni dopo Beccaria" in corso di svolgimento a Firenze, fino a domani, nell’Aula di Sant’Apollonia. La questione carcere, ha sottolineato Corleone, "non si chiude con la fase drammatica del sovraffollamento, perché restano aperti i nodi della qualità della vita in carcere, delle scopo e della finalità della pena, di quale pena sia giusto comminare". In questo senso, ha aggiunto, "va ripensato il rapporto tra carcere e democrazia, perché se sappiamo cos’è il carcere, un luogo chiuso e di potere e spesso violento, sul fronte della democrazia serve avviarsi sul terreno della salvaguardia dei diritti fondamentali dei detenuti". Sul carcere e sulle condizioni di vita in carcere, ha spiegato il garante regionale della Toscana, "si sa tutto dal secolo scorso e allora come si giustifica una nuova commissione nominata dal presidente del Consiglio per la riforma della giustizia e del carcere? Ci sono tante proposte in materia che potrebbero essere discusse e, invece, la commissione propone lavori forzati e carceri speciali. È molto preoccupante". E ha aggiunto: "Il nostro tema, vale a dire il superamento del carcere, è forte e lo è per poter entrare nella discussione in atto con l’idea di respingere le spinte verso passati secoli imprecisati e di proporre una frontiera nuova, perché è chiaro ed evidente a tutti che il modello della struttura chiusa ha fallito". Corleone ha sottolineato che i diritti dei carcerati devono essere la frontiera prioritaria di intervento a partire dal definire "quale pena e quali spazi della pena. Rispetto a quest’ultimo punto per noi è fondamentale che le modifiche delle strutture vengano definite coinvolgendo i carcerati, introducendo cioè una pratica della democrazia in carcere". E si devono sciogliere i nodi "della tortura e del diritto all’affettività dei detenuti". Purtroppo, ha aggiunto, "siamo in una fase in cui, ormai da mesi, il sistema carcere è privo del vertice di governo, e questo non significa che si sia scelto l’autogestione delle carceri, semmai è il segno di un abbandono". Il garante ha concluso con una domanda: "Dobbiamo sperare in un miracolo o, invece, in una risposta della politica fondata sulla ragione?". Lastri: pronti a presentare proposta di legge al Parlamento su diritti detenuti "Sulle questioni del carcere e dei diritti dei detenuti l’attenzione e l’impegno del Consiglio regionale resteranno alti fino a valutare, se il garante regionale dei detenuti lo riterrà utile, una proposta di legge al Parlamento". Lo ha dichiarato la consigliera Daniela Lastri nel saluto portato a nome dell’Ufficio di presidenza del Consiglio regionale in apertura del convegno "Delitti e pena: 250 anni dopo Beccaria", che si svolge oggi e domani nell’Aula di Sant’Apollonia a Firenze. L’iniziativa, organizzata dall’ufficio del garante regionale dei detenuti, Franco Corleone, rientra tra le manifestazioni della Festa della Toscana "con la quale celebriamo, ha ricordato Lastri, l’abolizione della pena di morte da parte del Granduca di Toscana con l’editto del 30 novembre 1786". La Toscana, ha sottolineato ancora la consigliera, "è storicamente portatrice di diritti civili e sociali e la Regione ha assunto questa identità con la vocazione di trasmetterla alle giovani generazioni". Lastri, parlando del manifesto "No prison, senza se e senza ma" che sarà illustrato nel corso del convegno, ha detto di condividere la tesi numero 12 che afferma che invocare oggi l’abolizione del carcere è ripercorrere la strada di chi, nei secoli scorsi, invocava l’abolizione della tortura e della pena di morte. "Noi crediamo in questa affermazione - ha detto - sapendo che l’idea del superamento del carcere, le cui finalità mostrano un evidente fallimento, avrà bisogno di grande coraggio". Lastri ha poi auspicato che "la Regione porti a compimento in tempi brevi la struttura di detenzione attenuata presso l’ex Madonnina del Grappa destinata ad accogliere le donne carcerate con figli minori. E mi piacerebbe - ha concluso - che si seguisse con attenzione il dibattito parlamentare inglese apertosi intorno all’idea di abolire il carcere femminile. Sarebbe un primo passo importante per immaginare modalità per l’esecuzione della pena". I saluti del presidente della Giunta regionale sono stati portati dall’assessore alla Sanità Luigi Marroni che ha ricordato che "la salute è uno dei diritti fondamentali da garantire ai carcerati". L’assessore, dopo aver sottolineato che in questi anni la Regione ha raddoppiato la spesa per la sanità dei carcerati, ha annunciato che sarà presto conclusa la mappatura della salute in carcere, così "da avere a disposizione un documento conoscitivo che ci permetta di affinare al meglio la gestione di questo settore". Marroni ha anche affermato "che stiamo arrivando al superamento dell’Opg di Montelupo Fiorentino, grazie ad un progetto innovativo che prevede una struttura sanitaria con elementi di sicurezza e limitato a un esiguo numero di detenuti, quattro centri simili a case famiglia e la gestione dei malati sul territorio". Brogi (Pd): qualcosa si è mosso, ma i numeri sulla salute spaventano "Con una sentenza di condanna, nella maggior parte dei casi, viene garantita anche una malattia. Le strutture carcerarie sono ambienti patogeni. Sappiamo che nei nostri istituti penitenziari l’età media dei detenuti è di 38 anni e che il 60- 80 per cento di loro è affetto da una patologia. C’è un forte, ed evidente, contrasto tra la giovane età dei detenuti e la grande diffusione di malattie all’interno degli istituti. Questo per dire che, è vero, abbiamo fatto passi in avanti per quanto riguarda il sovraffollamento, ma c’è ancora tanto da lavorare su quelle che sono le condizioni igienico-sanitarie all’interno dei penitenziari. E su questo devono continuare a lavorare, tenacemente, le istituzioni. Ed è un bene che il convegno di oggi abbia ancora una volta messo in luce le condizioni delle nostre carceri. Inoltre, accolgo positivamente le parole dell’assessore Marroni in merito al futuro dell’Opg di Montelupo Fiorentino. Una struttura per la quale, esiste già un progetto di superamento messo a punto dalla Regione; un piano che dobbiamo attuare concretamente, al più presto, e con coraggio. Non aspettiamo, non rimandiamo ulteriormente una decisione così importante". Marroni: progetto innovativo per superamento Opg "Stiamo arrivando al superamento dell’Opg di Montelupo Fiorentino, grazie ad un progetto innovativo che prevede una struttura sanitaria con elementi di sicurezza e limitato a un esiguo numero di detenuti, quattro centri simili a case famiglia e la gestione dei malati sul territorio". Lo ha detto l’assessore toscano al diritto alla salute, intervenendo oggi al convegno "Delitti e pena: 250 anni dopo Beccaria", in programma fino a domani a Firenze. Marroni ha poi sottolineato che "la salute è uno dei diritti fondamentali da garantire ai carcerati", in questi anni la Regione ha raddoppiato la spesa in questa direzione, e presto sarà presto conclusa la mappatura della salute in carcere, così "da avere a disposizione un documento conoscitivo che ci permetta di affinare al meglio la gestione di questo settore". Cantone: penitenziari siano vicini a idea quartieri Il superamento del carcere "passa dal ripensamento degli spazi carcerari. Un carcere che possa essere concepito non più come un luogo di deposito di corpi ma molto più vicino all’idea di un quartiere. Il carcere-quartiere non è un assurdo e esistono belle esperienze all’estero e anche nel nostro paese". Lo ha detto il provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria della Toscana, Carmelo Cantone, a margine di un convegno a Firenze sul tema del superamento del carcere. Il carcere-quartiere, ha aggiunto, è una realtà "dove le persone vivono in limitazione della libertà personale ma dove si ha la possibilità di avere occasioni di studio, culturali, di confronto e dialogo e di lavoro, e stimoli per guardare oltre la punta del proprio naso. In quest’ottica la compartimentazione degli spazi è importante". Giustizia: ddl sulla responsabilità civile dei magistrati, "colpa grave" ampliata di Simona D’Alessio Italia Oggi, 22 novembre 2014 Responsabilità indiretta dei magistrati (soltanto lo stato potrà, cioè, agire contro di loro, non il singolo cittadino che ha subito un abuso durante un processo), con ampliamento delle fattispecie di "colpa grave": sarà considerata tale sia la violazione della normativa europea, sia il "travisamento della prova". E le toghe dovranno rispondere anche del danno erariale. Con una serie di ritocchi, alcuni apportati nelle ultime ore, i senatori accendono il semaforo verde sul disegno di legge che disciplina la responsabilità civile dei giudici con 150 voti a favore, 51 contrari e 26 astenuti (fra cui Sel); insieme alla maggioranza si schiera il M5S ("non abbiamo trovato un muro, questa volta" dichiara un esponente pentastellato, al termine dell’esame), mentre arriva il "no" da Fi, Gal e Lega nord a un testo che, adesso, ritorna all’esame di Montecitorio. Il parlamento rimette così mano alla legge Vassalli (117/1988), delineando il perimetro della responsabilità relativa all’operato della magistratura, e definendo in che misura lo stato potrà reclamare il risarcimento. Fra le innovazioni della norma, in cui sono stati immessi anche capitoli della riforma della giustizia del ministro Andrea Orlando, varata a palazzo Chigi alla fine di agosto, c’è sicuramente l’ampliamento della possibilità di ricorso, attraverso l’eliminazione del filtro di ammissibilità della domanda di indennizzo. Una scelta esaltata dal numero due del dicastero di via Arenula Enrico Costa: "In un quarto di secolo", dichiara al termine dell’approvazione del provvedimento, a palazzo Madama, che definisce "storica", le condanne "si contano sulle dita di una mano, e i cittadini danneggiati rinunciano a chiedere i risarcimenti, prevedendo di infrangersi contro il muro del filtro, proprio quel filtro di ammissibilità che" il disegno di legge "opportunamente cancella". Toga responsabile, pertanto, nei casi di "dolo e colpa grave", un recinto in cui il legislatore inserisce la violazione manifesta delle norme e del diritto comunitari, il travisamento del fatto, o delle prove, poi l’affermazione (o negazione) di un fatto "la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa (o meno) dagli atti del procedimento", l’emissione di un provvedimento cautelare personale e reale fuori dai casi consentiti dalla legge, o "senza motivazione". E una correzione passata in aula, a firma del Ncd, aggiunge anche che si dovrà rispondere di danno contabile. Vincolo di rivalsa in capo al presidente del Consiglio, tenuto a esercitarla ("entro due anni" dal risarcimento avvenuto) nei confronti del giudice per "colpa grave", riconosciuta nell’ambito delle fattispecie appena elencate. Ma a quanto ammonterà il risarcimento richiesto dalle istituzioni? La disciplina prevede che non possa superare una somma pari alla metà di un’annualità, al netto delle trattenute fiscali, dello stipendio percepito dal magistrato nel momento in cui l’azione di rivalsa è proposta; l’esecuzione, quando avviene con il metodo della trattenuta, non potrà comportare "il pagamento per rate mensili di una misura superiore al terzo" della retribuzione netta. A poche ore dal via libera dei senatori, Rodolfo Sabelli, presidente dell’Associazione nazionale magistrati (Anm), parla di "una riforma che risente di molti pregiudizi e di un atteggiamento molto superficiale". Al contrario, secondo l’Unione delle camere penali, il testo costituisce "una svolta", perché sembrerebbe "assurdo lasciare priva di sanzione un’aperta violazione di legge quale quella che si produce negando all’individuo di conoscere le ragioni per le quali venga privato dei più elevati diritti costituzionalmente garantiti". Giustizia: vi spiego l’incredibile garbuglio delle ferie dei magistrati di Vincenzo Vitale Il Garantista, 22 novembre 2014 Dobbiamo ammettere che Piercamillo Davigo ha assolutamente ragione. Infatti, la riduzione del periodo di sospensione estiva dei termini processuali è cosa completamente diversa dal periodo di ferie concesso ai magistrati. La prima serve a dare respiro alle parti e agli avvocati, a concedere un periodo minimo di necessario riposo prima di tornare ad incrociare le armi della dialettica processuale; le seconde invece costituiscono il periodo di riposo professionale garantito per legge ad una determinata categoria di impiegati dello Stato. Ne viene che avere sensibilmente ridotto il periodo di sospensione feriale dei termini - di quasi la metà - se incide sotto il primo aspetto, in modo peraltro molto negativo, a carico di parti ed avvocati, non c’entra nulla con il secondo aspetto, quello delle ferie dei magistrati. Questi, essendo impiegati dello Stato, si son visti ridurre le ferie, attraverso un aggiunta normativa , da 45 a 30 giorni. Tuttavia, non è stata abrogata una precedente norma secondo la quale i magistrati che esercitano funzione giurisdizionale continuano a godere, come prima, di 45 giorni di ferie. Il legislatore non si è perciò reso conto di aver ridotto le ferie ai soli magistrati fuori ruolo, quelli che non esercitano funzioni giurisdizionali. Non solo. Siccome nella nuova norma si stabilisce che i giorni di ferie sono "netti", ne viene, come giustamente osserva Davigo, che i magistrati che esercitano funzioni giurisdizionali (se dovessero avere davvero solo 30 giorni di ferie "netti"), smetteranno di scrivere sentenze o qualunque altro tipo di provvedimento durante quei 30 giorni e perciò lavoreranno di meno. La triste verità è allora che se il governo voleva colpire i magistrati, con il nuovo provvedimento ha sbagliato bersaglio, finendo con il penalizzare ingiustamente sia gli inermi cittadini, del tutto privi di alcuna tutela, sia gli avvocati i quali sono così stati privati del sacrosanto periodo di riposo che tutti gli altri hanno. Infatti, l’avvocato si vedrà fissare una udienza anche il 5 di agosto e dunque dovrà lavorare fino al 12 o al 13 agosto per tutti gli adempimenti successivi; potrà anche vedersi fissare una udienza l’1 settembre e dovrà perciò cominciare a prepararla proprio nel periodo di ferragosto: è stato così abolito nei fatti qualsiasi periodo di riposo per gli avvocati. Tuttavia, sia il magistrato che terrà l’udienza il 5 di agosto, sia quello che la terrà l’1 settembre continueranno tranquillamente a godersi i loro 45 giorni di ferie annuali. Alla faccia di Renzi! E naturalmente degli avvocati! Giustizia: Migliucci, Sabelli e la prescrizione… è iniziata la "guerra dei due mondi" Il Garantista, 22 novembre 2014 Improvvisamente il tema della prescrizione è tornato di moda. La sentenza che ha fatto decadere i reati del processo Eternit ha indotto persino Ronzi a sollevare un allarme e a chiedere di intervenire sull’istituto processuale. In realtà una modifica dell’attuale sistema dovrebbe essere introdotta dal ddl di riordino della materia penale che il ministro della Giustizia Andrea Orlando ha annunciato per inizio dicembre. Si tratta di un terreno che vede però l’attivismo della commissione consultiva presieduta dal pm di Reggio Calabria Nicola Gratteri. E anche della Commissione Giustizia della Camera, dove l’altro ieri sono intervenuti il presidente dell’Unione camere penali Beniamino Migliucci e quello dell’Anm Rodolfo Sabelli. Hanno portato due visioni diametralmente opposte. Vi proponiamo la trascrizione dei loro pareri, in vista di un dibattito parlamentare che si preannuncia molto aspro. Migliucci: la durata dei processi è già irragionevole La prescrizione è inidonea il garantire la durata ragionevole del processo, anzi diciamo che non c’entra nulla: dilatarne i termini rischia di portare a un allungamento dei tempi del procedimento; spesso si parla del processo ma si dimentica che il procedimento è un iter più complesso, più complicato e più lungo. C’è la necessità di considerare la documentazione tornita dalla commissione Giustizia della Camera per studiare le soluzioni migliori. Le raccomandazioni europee in realtà riguardano più i reati legati alla pubblica amministrazione. Cominciamo, quindi, quando parliamo di Europa, a non enfatizzare richiami e raccomandazioni come se riguardassero tutto. Riguardano un tema specifico, perché la corruzione è un tema evidentemente centrale e di questo si tratta. Altro aspetto che è necessario considerare sempre in riferimento alla documentazione che la commissione ci ha fornito è che dal 2005 sono dimezzati i processi che si prescrivono: sono passati da più di 213mila a 113mila circa, più o meno. Altro dato che deve far riflettere è poi che per quasi il 70 per cento dei procedimenti, il tempo dell’oblio matura nel corso delle indagini. E ancora, c’è un ulteriore aspetto da tenere presente: quando la prescrizione non matura, spesso si arriva al processo dopo che ci si sta per arrivare. Se noi non abbiamo presente questo non andiamo da massima parte; ogni proposta avrà il limite di non aver compreso dove sta il problema. Così come non si può parlare di rendere ragionevole la durata del processo soltanto parlando della prescrizione, anzi non si arriva a nulla. Dobbiamo parlare innanzitutto di una cosa: per quanti reati si fanno i processi. È un feticcio o no l’obbligatorietà dell’azione penale? E bisogna considerare che ci sono molti reati inutili per i quali si fanno processi inutili. È da valutare un’indagine sul giudizio dinanzi al giudice di pace. È da verificare fino a che punto si può incidere sulla durata ragionevole del processo se non si incide sul sistema penale e sostanziale. Allora io credo che ima riforma che non tenga conto di questo, potrebbe essere una riforma sbagliata, cioè che dà l’idea, soprattutto all’opinione pubblica, di poter arrivare finalmente in fondo a un percorso, a un processo penale perché si indicano dei colpevoli. Poi magari si tratta di innocenti, ma ci si accontenta di arrivare a un accertamento del fatto. In questo modo non si arriva a quello che dovrebbe essere un obiettivo cioè quello di rendere ragionevolmente breve il processo. Quindi bisognerebbe cominciare dalle disfunzioni organizzative, così che da 113mi-la prescrizioni arriveremmo già a 80mila e ponendo altre piccole riforme si arriverebbe al punto zero. Però il problema non sarebbe evitato perché noi abbiamo il dovere come cittadini di arrivare a un processo che sia ragionevolmente breve. Noi abbiamo un articolo che spesso dimentichiamo, che è l’articolo 27 della Costituzione e cioè la rieducazione del reo, principio che equivale ad affermare che se una pena arriva troppo tardi rispetto a un fatto è sommamente ingiusta. Quindi bisognerebbe ripensare a una rivisitazione complessiva del sistema: noi abbiamo dei termini del nostro codice di procedura penale che non sono ordinatori, non sono sanzionatori, cioè le indagini non finiscono mai; quando le sentenze si depositano si dovrebbero depositare nei termini che il codice assegna. C’è bisogno di un tempo in cui deve maturare l’oblio sostanziale, deve rimanere e deve essere assolutamente evitata ogni demagogica messa in discussione di questo aspetto. Deve essere privilegiato l’aspetto delle sospensioni. Sabelli: arrivati al rinvio a giudizio il timer va fermato Come è noto la prescrizione è stata profondamente riformata con la legge 251 del 2005. Questa legge non si è limitata soltanto a ridurre in linea generale, peraltro non sempre, i termini di prescrizione, ma ha prodotto un sistema profondamente incoerente oltre che molto complesso. Solo a titolo di esempio, ha innestato sull’istituto della prescrizione gli effetti collegati ad esempio a qualità soggettive dell’imputato, e ha in qualche modo anche interferito con le scelte future del legislatore attraverso un collegamento rigido fra termine di prescrizione e pena massima. Ricordo ad esempio quanto è avvenuto in occasione della riforma della corruzione, laddove l’aumento della pena edittale è stata nella discussione pubblica collegata più a un’esigenza legata al termine prescrizionale piuttosto che ad una valutazione effettiva sul disvalore del reato di corruzione. Dico questo perché tutte e tre le proposte in esame hanno il pregio di destrutturare completamente l’istituto delia prescrizione così come era venuto dalla riforma del dicembre del 2005 e per la verità anche rispetto a quella che era la disciplina previgente. Che siano anche poco più di 100mila i casi di prescrizione è una situazione grave, che determina, fra le altro coso, la violazione dei diritti delle persone offese oltre a un enorme dispendio di energie, di risorse. La prescrizione è istituto di diritto penale sostanziale che trova la sua ragion d’essere nell’esaurimento dell’interesse repressivo dello Stato; non è invece compito della prescrizione l’esigenza di assicurare la ragionevole durata del processo. Questa finalità, ovviamente tutelata dall’ordinamento, deve essere piuttosto realizzata con altri strumenti, e in particolare con strumenti di natura processuale e organizzativa. L’istituto della prescrizione è collegato al cosiddetto diritto all’oblio, è stato detto, ma se è così allora bisogna anche chiedersi se sia ragionevole un sistema che consente il decorso della prescrizione anche quando lo Stato ha manifestato con l’esercizio dell’azione penale la volontà di procedere e continua a manifestare con un processo in corso la volontà di non dimenticare quel fatto, quel reato. I dubbi sulla ragionevolezza del sistema aumentano quando il prodursi di questo effetto di oblio possa essere rimesso all’iniziativa discrezionale del soggetto, dell’imputato che è interessato all’oblio attraverso gli strumenti processuali. Parliamo naturalmente di legittimo esercizio, di facoltà processuali che determinano però una confusione, una sovrapposizione fra prescrizione, tutela del diritto all’oblio e invece attualità della pretesa punitiva dello Stato ed esercizio di strumenti processuali che servono per una verifica della concretezza, delia fondatezza di questa pretesa punitiva. Da quanto ho detto deriva sul piano sistematico, quindi, di prevedere quantomeno la sterilizzazione della prescrizione per il tempo del processo. Aggiungo che alcune proposte. una anche di quelle in esame, prevede alcuni effetti interrottivi collegati all’emissione di alcune sentenze intermedie di condanna. Ecco questo a noi sembra una scelta errata sul piano del sistema, perché la tendenza del processo non può essere legata soltanto alla fondatezza delia pretesa punitiva né con riferimento al momento dell’esercizio dell’azione penale né con riferimento alle fasi processuali successivo e su questo vi è anche il conforto delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, che con una sentenza dei 2010 hanno affermato proprio che la sentenza di assoluzione è strutturalmente idonea a determinare la pendenza del grado di appello. C’è una stretta connessione fra le norme del sistema processuale e l’istituto della prescrizione. Non possiamo, non dobbiamo, a nostro avviso farci illusioni: nessuna riforma della prescrizione potrà mai essere autosufficiente se non si interviene anche sulle regole del processo, ivi comprese le regole che governano il sistema delle impugnazioni oltre che ovviamente sul sistema dell’organizzazione. Nel solo anno 2013 più della metà dei ricorsi pervenuti alla Corte di Cassazione sono stati dichiarati inammissibili. Bisogna tener conto che il sistema prevede che anche per questi ricorsi sia fissata l’udienza sia pure in Camera di Consiglio, ancorché non partecipata con conseguente dispendio di risorse. Giustizia: attenti però che la difesa della prescrizione non diventi l’articolo 18 dei penalisti di Cataldo Intrieri Il Garantista, 22 novembre 2014 Per una singolare coincidenza mentre le agenzie di stampa ed il web esplodevano la notizia della sentenza con cui la corte di cassazione ha azzerato definitivamente il processo Eternit, il presidente dell’unione delle camere penali rilasciava una nota sul contenuto di un colloquio conoscitivo con la commissione giustizia della Camera sullo spinoso ed ormai drammaticamente attuale problema della prescrizione. A fronte della santabarbara dell’indignazione popolare e del dolore tremendo dei parenti delle tantissime vittime, le rituali parole in difesa dell’intangibilità dell’istituto suonavano come flebile musica di un’orchestrina di valzer coi musicisti un po’ fuori dal tempo, compuntamente intenti a suonare melodie di altre epoche, mentre il Titanic affonda. Ormai una modifica radicale della prescrizione sembra inevitabile, e come tradizione vorrà una accanita difesa di un giusto principio scadrà a furbata corporativa dei soliti penalisti incapaci di vincere sul campo. Il processo di Torino è stata la pistola fumante che magistratura, politica ed una opinione pubblica sempre più insofferente cercavano per sferrare l’ultimo attacco. La prescrizione del reato contestato (art. 434, disastro innominato, non omicidio, attenzione) trova la sua causa prima in una capziosa formulazione dell’accusa tesa ad eliminare ostacoli di natura logica e probatoria, quelli che un capo d’imputazione tradizionalmente imperniato sull’accusa di omicidio avrebbe incontrato quanto al nesso causale tra condotta ed eventi mortali. Una "mossa", tra furbizia ed "epater le bourgeois". A ben vedere il meccanismo non è dissimile da quello adottato nel processo dell’Aquila: soluzioni tecniche altamente acrobatiche, narcisisticamente appaganti, di dubbia sostenibilità giuridica. E non poteva essere ignoto l’indirizzo assolutamente maggioritario della cassazione. È dunque un’ipocrisia l’accusa alla prescrizione di essere l’origine del male ma ciò non toglie che gli avvocati si trovino a dover affrontare il rischio che la difesa della prescrizione appaia come una sorta di "articolo 18" del penalista al pari dei sindacati, un principio eticamente corretto ma che l’opinione pubblica avverte come un privilegio ed un retaggio superato. Ora non sempre la maggioranza ha ragione, ma è pur vero che l’attuale disciplina della prescrizione copre, come un ombrello slabbrato, situazioni differenti con rischi di creare gravi iniquità. Dunque c’è la necessità di individuare un percorso "politico" di soluzione del problema. Se è sacrosanto protestare contro il congelamento dei termini di prescrizione per il dilatamento dei tempi processuali, è tuttavia altrettanto giusto che i termini decorrano sempre e comunque dalla data del commesso reato anche quando l’accertamento dell’illecito avvenga a molti anni di distanza? Magari necessariamente? Come nel caso di malattie e tumori che hanno lunghi periodi di latenza o di scoperte scientifiche che permettano di rileggere casi archiviati o neanche mai aperti. Mi chiedo se sia scandalosa una tale proposta in un sistema che ammette la sospensione della prescrizione ad libitum per gli imputati irreperibili, senza soverchio scandalo di nessuno. Eppure anche lì vi sono esseri umani cui il decorso del tempo secondo taluni dovrebbe valere come salvacondotto "perché sono ormai altri uomini" Il nostro sistema come tutti i sistemi europei progressivamente equipara i diritti degli imputati a quelli delle vittime. Può non piacere ma la realtà è questa e non basta gridare che "il presepe non mi piace" E forse il diritto di difesa non è qualcosa di totalmente differente da quello all’impunità? Ma questa è un’altra storia che prima o poi si dovrà affrontare, col permesso dei bacchettoni. Giustizia: Storace condannato a sei mesi di reclusione per vilipendio al Capo dello Stato Ansa, 22 novembre 2014 "Sono l’unico italiano condannato per questo reato", ha commentato Francesco Storace dopo la sentenza del giudice Laura D’Alessandro che ha accolto la richiesta del pubblico ministero. "Questa decisione - ha detto ancora Storace - è stata presa su commissione". E su Twitter l’ex governatore del Lazio reagisce postando un fotomontaggio che lo ritrae con il Presidente Napolitano: "Sarà contento lui", la frase che accompagna il tweet. Il giudice oltre a riconoscere a Storace le attenuanti generiche gli ha concesso anche quelle previste dall’articolo 61 che al paragrafo 6 riconosce un attenuante a chi prima del giudizio abbia riparato il danno. Come è stato ricordato oggi in udienza dai difensori, Storace qualche tempo dopo i fatti scrisse al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano una lettera chiedendo e ottenendo di poterlo incontrare e scusandosi per le polemiche suscitate nei riferimenti alla Montalcini. Gli avvocati Giosuè Naso e Romolo Reboa, che hanno assistito Storace nel processo hanno commentato: "Attendiamo le motivazioni per poi presentare appello così come accadde per la vicenda Laziogate. Quest’ultima vide Storace condannato in primo grado e poi assolto in appello". La condanna a sei mesi è la conclusione di una vicenda iniziata nel 2007 quando sul sito web de ‘La Destrà era stato fatto un attacco contro Rita Levi Montalcini accusata in sostanza di aiutare con il suo voto a Palazzo Madama l’allora governo Prodi. Dal Quirinale fu emesso un comunicato con il quale si affermava che "mancare di rispetto, infastidire, tentare di intimidire la professoressa Levi Montalcini, che fa e ha fatto tanto onore all’Italia è semplicemente indegno". L’ex governatore della Regione Lazio rispose sottolineando che Napolitano non aveva "alcun titolo per distribuire patenti etiche per disdicevole storia personale, per palese e nepotistica condizione famigliare, per evidente faziosità istituzionale. È "indegno" di una carica usurpata a maggioranza". All’epoca dei fatti vi era Clemente Mastella, come Guardasigilli, che diede il via libera a procedere in 48 ore. Poi nel 2009 Storace non era più senatore e dopo che il Senato dichiarò l’insindacabilità delle sue opinioni, Storace scrisse una lettera la Capo dello Stato ammettendo di aver alzato troppo i toni e chiedendo un colloquio che avvenne una quindicina di giorni dopo. Storace: in Italia si rischia carcere per le idee "Hanno inventato il vilipendolo. Il vilipendio che dondola, a seconda di chi è accusato di commetterlo e nei confronti del presidente della Repubblica. Oggi lo verificheremo con la bilancia della giustizia, in una sentenza che conosceremo nel pomeriggio, dopo sette anni dai fatti, per il processo che riguarda lo scontro polemico che ci fu tra me e Giorgio Napolitano nel 2007". Lo scrive il segretario nazionale de La Destra, Francesco Storace, sul sito del partito e sull’editoriale de Il Giornale d’Italia. "In questi mesi si è tentato di abrogare un reato anacronistico, e ci tengo a ringraziare per la battaglia sincera che ha condotto Maurizio Gasparri - prosegue - Il vicepresidente del Senato ha tentato in tutti i modi di far approvare la sua proposta di legge che spazzava via questo reato di casta, ma il Pd si è messo di traverso. Hanno utilizzato il regolamento del Senato per impedire di approvare in commissione giustizia persino una modifica della legge vigente, perché manca il parere della commissione affari costituzionali. Che è presieduta dalla Finocchiaro, un tempo nemica di Renzi per le miserabili (parole sue) accuse sulla spesa con la scorta all’Ikea e oggi killer di una legge insensata". "Ma, come sempre nella mia vita, non è un problema - prosegue Storace. I processi si svolgono in tribunale e i miei legali hanno carte da giocare per vincere anche questa battaglia giudiziaria. L’elemento più’ importante è proprio il vilipendolo, ovvero la giustizia con due pesi e due misure. Come ministro della giustizia, a dare il via libera all’inchiesta della magistratura, roba da regime vecchio stampo sovietico, mi capitò la sfortuna di imbattermi in quel pavido uomo che risponde al nome di Clemente Mastella. Se mi fosse toccato in sorte Andrea Orlando, il guardasigilli di oggi, magari mi sarei salvato come Grillo, come tanti deputati e senatori grillini". "Invece no. Una battaglia parlamentare per contrastare l’uso politico dei senatori a vita a sostegno del governo Prodi diventò e rimane un reato da punire – prosegue. Se rispondi con la parola ‘indegnò all’identica parola usata dal capo dello Stato nei tuoi confronti, vai alla sbarra. Se poi il Senato ti riconosce il diritto a manifestare le tue opinioni e nonostante questo scrivi comunque, e volontariamente, al Presidente per proporre un chiarimento riconoscendo di aver ecceduto e ti riappacifichi con lui, il codice impone incredibilmente di processarti lo stesso". "Oggi saprò finalmente se sarò assolto o condannato, se ho diritto a criticare atti che contesto o se merito la galera. Senza appello, perché non vorrei sconti da uno che dovesse punire la lesa maestà; nel momento in cui un numero crescente di ladroni resta in libertà, si può finire dentro più per la parola che per la mazzetta". "È un’Italia che mi piace sempre meno; perché è incapace di reagire contro una minaccia alla libertà di critica che può riguardare chiunque, se sgradito a un ministro. E di questo approfitta il Pd per insabbiare una legge al Senato. Vogliono la rassegnazione di un popolo. Vogliono che non ci si indigni più. Così - conclude - magari salvano i manigoldi che annoverano tra le loro fila". Giustizia: Storace condannato per lesa maestà… una sentenza indegna di Piero Sansonetti Il Garantista, 22 novembre 2014 Una volta il reato si chiamava "lesa maestà". Scattava quando un cittadino metteva in discussione l’autorità dell’imperatore. Era previsto dalla "Lex Iulia maiestatis" , a Roma, e fu varato nell’ottavo anno prima della nascita di Cristo. Prevedeva pene che andavano dall’esilio fino alla morte. Francesco Storace, ex leader fascista, ora esponente di spicco dell’estrema destra, è stato condannato ieri più o meno in base alla legge Iulia, con 2022 anni di ritardo da quando Augusto impose quella norma a difesa della sua "divinità". Il reato ha cambiato nome, ma non molto: vilipendio. Più precisamente vilipendio contro il capo dello Stato. Però nei codici della Repubblica italiana non esiste più la pena di morte, né l’esilio (ci sarebbe il confino, ma non è una pena, è solo una misura di polizia) e così Storace è stato condannato a sei mesi di carcere. Lo metteranno in prigione? Chiuderanno a chiave la cella? Avrà il 41bis, oppure potrà usufruire dell’ora d’aria? Il tribunale ha disposto la sospensione della pena. Storace può ricorrere in appello e nel frattempo, magari, al Parlamento verrà in mente che quel reato assurdo può essere cancellato. Storace però ha detto che non vuole ricorrere in appello, che è pronto a ripetere il reato, che vuole andare in prigione, perché si sappia che in Italia c’è una classe politica che non è disposta a cancellare il reato di vilipendio a capo di Stato. La vicenda della condanna di Storace è complicata e molto triste. Lui, nel 2008, una volta se la prese coi senatori a vita che col loro voto avevano salvato il governo Prodi. Disse che era illegale, anzi disse cose molto più pesanti e anche un po’ volgari (visto che i senatori a vita non sono espressione del popolo e la loro presenza, quando è decisiva nel determinare una maggioranza, distorce il risultato elettorale). Poi spedì delle stampelle in omaggio ai senatori a vita, tra i quali l’anzianissima scienziata Montalcini, che di stampelle in quei giorni aveva bisogno davvero, perché non stava bene e aveva 100 anni. Napolitano si arrabbiò, volle difendere la Montalcini e rilasciò una dichiarazione durissima nella quale usava la parola "Indegna" nei confronti dell’azione della Destra. Storace rispose pan per focaccia: "indegno sarà lei", e poi - per la verità - aggiunse considerazioni davvero un po’ eccessive e sciocche. Solo che tra dire cose un po’ sciocche e commettere un reato c’è una bella differenza, altrimenti staremmo tutti, da tempo, dietro le sbarre. Qualche tempo dopo, tra il Presidente della Repubblica e Storace ci fu un lungo incontro di chiarimento. Fecero pace. Però il processo andò avanti. Avrebbe potuto fermarlo il Parlamento, cancellando finalmente quel reato insensato che è il vilipendio, e che è il più puro tra tutti i reati di opinione. Ma il Parlamento non volle farlo. Almeno, finora non lo ha fatto. E adesso? C’è una sola via d’uscita: che il Presidente della Repubblica si faccia carico personalmente del problema, prenda le distanze dalla sentenza, e annunci che se Storace rinuncia all’appello e dunque la sentenza diventa definitiva, lui concederà immediatamente la grazia. Qualunque altra soluzione - diciamolo così - sarebbe indegna. Giustizia: si può negare la cresima al figlio di un boss? di Errico Novi Il Garantista, 22 novembre 2014 Lui è un ragazzo di 17 anni e ha un nome "pesante". Si chiama Michele Graviano. L’altro protagonista della vicenda si chiama Paolo Romeo, e ha un mestiere "pesante": fa l’arcivescovo. Michele è figlio di Giuseppe, e Giuseppe sta in prigione, da tanti anni, all’ergastolo, perché condannato come boss mafioso e come mandante dell’uccisione di don Puglisi. Michele non ha mai toccato suo padre. È nato quando il papà era già in prigione, e per di più al 41 bis, e al 41 bis non si può avere contatto fisico con nessuno, nemmeno col figlio, nemmeno quando è bambino. Michele va a una scuola di Gesuiti, fa il liceo, e domani avrebbe dovuto cresimarsi in una cerimonia in cattedrale, con tutti i suoi compagni. Era contento, ci teneva. Ieri gli si è avvicinato un prete e gli ha detto di no, meglio di no, l’arcivescovo è preoccupato, non vuole fare entrare il figlio di Graviano nella cattedrale dove è sepolto don Puglisi. Le colpe si ereditano? La nuova dottrina della Chiesa è questa? Se ne è parlato di nuovo qualche mese fa, quando l’attuale Pontefice, Papa Francesco, decise di farsi rappresentare nella cerimonia di beatificazione di don Pino Puglisi dal predecessore dello stesso Romeo, il cardinale Salvatore De Giorgi. Secondo alcuni retroscena, la scelta avrebbe costituito uno schiaffo per l’arcivescovo Romeo. Farsi rappresentare dall’arcivescovo della città natale del beato è cosa quasi inedita, di solito vengono coinvolte gerarchie superiori. Al di là del prestigio personale del cardinale De Giorgi, è stata l’osservazione di molti, sta di fatto che si sarebbe potuto indicare l’arcivescovo attuale anziché il suo predecessore. In ogni caso è proprio Romeo, a quanto risulta, ad aver innescato la manovra del prete-professore. Che dice a Michele: "Sabato insomma è meglio se non vieni, nella cattedrale ci sono le spoglie di don Puglisi. Se ci fossi tu, che sei figlio di Giuseppe, quello che ha fatto uccidere don Puglisi, rischiamo di creare uno scandalo. Tu farai così: ti cresimi da solo. Non sarai con gli altri cinquanta. Tu la cresima te la fai, ma da solo nella chiesa della scuola". Michele torna e racconta tutto alla madre, Rosalia. Confessa il suo dispiacere. La madre stenta a crederci. Riparlano con il sacerdote, provano a far cambiare idea alla Curia. Niente da fare. Così è: Michele resta fuori. Non c’è un ordine scritto. Non esiste un documento, un atto formale che spieghi il motivo per cui la somministrazione del Sacramento, per Michele Graviano, debba avvenire in una chiesa diversa da quella dove domani si cresimeranno i suoi compagni. E non potrebbe essere altrimenti: cosa potrebbe mai scrivere la Curia? Che le colpe dei padri ricadono sui figli? Che Michele porta nel suo cuore un pezzo della criminale ferocia con cui suo padre ordinò l’assassinio di don Pino Puglisi? Non potrebbero. Non avrebbe senso. E poi cosa direbbe Papa Francesco? Già: cosa dirà Papa Francesco? Michele e Rosalia hanno appunto un’ultima speranza: che il Santo Padre dica qualcosa. All’arcivescovo, o a chi per lui. E faccia scoppiare uno scandalo. Sul serio. Lettere: i pensieri degli studenti di Porto Torres dopo l’incontro con gli ex detenuti La Nuova Sardegna, 22 novembre 2014 Ecco alcune riflessioni scritte dai ragazzi dell’Istituto Scolastico "Paglietti" di Porto Torres. Ho trovato molto interessante l’incontro con Davide e Lorenzo, è stata un esperienza che è servita per aprire la mente a molte persone compresa me. Io penso che il carcere sia un posto orribile e soprattutto molto triste! Sono convinta che tutte le persone debbano avere una seconda possibilità per poter cambiare vita , logicamente scontando la propria pena. Finché ti arrestano per spaccio di droga mi può andare anche bene, ma se so che sei un omicida mi immagino che potresti avere ammazzato uno della mia famiglia, allora non ho pena per queste persone! Questo è un mio parere personale non ho pregiudizi verso nessuno però sono convinta che Dio da la vita e Dio la leva. Come si sapeva il carcere è uno schifo ma finché non ci stai dentro non puoi mai fartene un idea giusta di come sia veramente , da come ci hanno raccontato loro io non riuscirei a durare manco un anno senza diventare pazza. Siamo nati uomini "liberi" e essere rinchiusi così è uno shock mentale che certi non reggono. Molti tentano di levarsi la vita perché hanno troppi anni da scontare e continuare a passarli chiusi in una cella senza poter fare niente: è insostenibile. L’unica cosa che possono fare è coricarsi nel letto e pensare , sicuramente non sono bei pensieri e quindi bisogna avere una mente molto forte per affrontare questa esperienza traumatica. Elisa Picconi Secondo me il carcere e un posto riabilitativo per persone che hanno commesso dei reati gravi tipo un omicidio oppure per droga. Io penso che non è molto bello che quando hai scontato la pena in carcere poi non riesci a trovare lavoro e la società non ti accetta più perché sei un ex carcerato oppure un ex tossico e non puoi più fare nulla nella vita. Incontrare un ex carcerato è stato bello perché ho conosciuto la storia della sua vita e mi ha detto che si voleva ammazzare perché aveva troppi anni da scontare e che quando sarebbe uscito dal carcere era troppo grande per cercare lavoro e che nessuno avrebbe mai preso un ex carcerato. Roberto Solinas Io penso che il carcere sia il posto più brutto che ci possa essere al mondo. Però alla fine è secondo me, la punizione da scontare da qualcuno che ha sbagliato, commettendo errori più o meno gravi, ci sono perlopiù gente con cattive intenzioni, teppisti, evasori, spacciatori e tanti altri tipi… però non ci sono solo quei tipi di persone, ci sono anche persone brave che sono finite in carcere per sbaglio oppure che sono entrate al posto di altri. Però il carcere a parer mio dovrebbe subire un po’ di cambiamenti, quando uno finisce in carcere vuol dire che ha sbagliato e che quindi dovrebbe essere rieducato, cioè che dovrebbe essere messo ai lavori, alle pulizie ecc. Perché quando uno commette un errore gli si deve far capire lo sbaglio che ha fatto e perciò dovrebbe scontare anche le serie di lavori che uno merita a seconda di cosa ha fatto per essere sbattuto dentro. Io conosco una persona che è stata in carcere, che più o meno ha raccontato al figlio, che è un mio amico, come funzionava lì dentro, che la non si aveva libertà di fare niente, che c’era gente messa male che si stava tutti i giorni ad annoiarsi e attendere sempre la sentenza dei giudici per aiutarlo a uscire dal carcere. Angelo Pisu Abbiamo parlato in classe con la professoressa riguarda la conferenza del 11 novembre 2014, con la testimonianza di due detenuti che hanno testimoniato la loro vita nel carcere. Io pensavo che nel carcere erano un po liberi, lavoravano e venivano pagati ma invece no è tutto diverso, prendono poca aria ed è brutto. Sono chiusi in una stanza piccola, in condizioni pessime, e io quella non la definirei vita, perché ormai sei chiuso li dentro e ti può venire in mente anche di ammazzarti. Non si può sentire la propria famiglia e per sentirla deve passare un mese, credevo fosse tutto più facile invece no, è brutto più di quanto io pensassi. È una punizione di qualcuno che commette qualcosa, migliorandolo e facendogli capire dove ha sbagliato, magari sperando che quando esce è una persona migliore e non ne commette più reati, ed è pronto a iniziare una vita più rispettoso di altre persone. Vanessa Salaris Ho partecipato a un incontro alla Nuova Sardegna dove ho conosciuto due ex-detenuti, Davide e Lorenzo. Ascoltando i loro racconti riguardanti la vita carceraria, ho capito quanto il carcere sia un posto triste e senza libertà. Quello che mi ha colpito di più è il futuro di un carcerato, nel senso che una volta scontata la pena per loro sarebbe difficile trovare un posto di lavoro perché nessuno si fiderebbe di loro a causa dei loro precedenti. Secondo me, non bisognerebbe giudicare una persona per il proprio passato, le persone cambiano continuamente e dai propri errori si impara. Io sono del parere che a queste persone bisognerebbe dargli una seconda possibilità invece di giudicare senza conoscere, cosa fatta dalla maggior parte delle persone. Giudicare è il più grande difetto dell’uomo. Luca Biddau Per me il carcere serve solo alle persone che sbagliano perché alla fine stare 1-2 mesi in carcere ti fa molto pensare non si ha la libertà però alla fine il carcere fa capire cose come il rispetto e insegna darlo verso gli altri ma soprattutto verso i genitori. Gianni Salaris Abbiamo discusso con la professoressa in classe riguardo alla conferenza avuta l’ 11 novembre presso la Nuova Sardegna, con la testimonianza di due detenuti che hanno parlato della loro vita in carcere. Io penso che nel carcere ai detenuti al posto di lasciarli li buttati a non far nulla e nemmeno sentire la propria famiglia quando si vuole di impegnarli in qualche lavoro o mestiere. Il carcere è abbastanza pesante così com’è dato che hanno tantissimi limiti e pochi spazi. Queste punizioni saranno poi d’insegnamento per quando usciranno dal carcere. Così quando uscirà dal carcere potrà iniziare una nuova vita migliore e senza commettere gli stessi errori commessi in passato. Francesco Paulesu Ciao l’undici novembre siamo andati a un incontro alla nuova Sardegna dove abbiamo incontrato due ragazzi del carcere, uno si chiama Lorenzo ed è ancora in carcere e l’altro si chiama Davide ed è già 1 anno e mezzo fuori . Mi ha molto colpito il loro racconto, come si sta in carcere e quello che fanno. Dopo che sei stato in carcere le persone li vedono in modo diverso e nel lavoro si fidano di meno. È anche vero che hanno pagato ma se vedi che è stato dentro per omicidio o furto ti viene più difficile fidarti, io personalmente forse lo assumerei, poi dopo un po’ di tempo che so come lavora e lo conosco meglio, inizierei a fidarmi. Rita Salaris Abbiamo parlato in classe con la professoressa riguardo la conferenza avutasi l’11 novembre 2014, sul carcere con la testimonianza di due detenuti che hanno testimoniato sulla loro vita in carcere. Penso che non si possa chiamare vita quando trascuri degli anni in carcere, la vita e simbolo di libertà e felicità, e in carcere tutto ciò non c’è. E vero anche che le carceri sono estete inventate per far recludere chi commetteva reati, ma non si può vivere in certe condizioni, cioè nessuno e ripeto nessuno starebbe da solo in una stanzetta di 3x3. Non è neanche normale quando un carcerato deve chiamare la propria famiglia e deve aspettare settimane, solo per sentire la voce e sapere come stanno i genitori o la moglie e i figli perché molte volte sono i padri di famiglia che entrano nelle carceri. Penso che il perdono deve essere dato a tutti, e vero che a volte e difficile perdonare ma tutti sbagliamo chi più echi meno. Per esempio nel carcere vecchio di Sassari "San Sebastiano" il luogo ormai vecchio era vissuto non solo da detenuti ma anche da topi, quindi pensato voi come si "vivrebbe" lì. Le carceri come ho detto prima sono state create per punire chi ha fatto del male, ma a volte vengono rinchiusi uomini innocenti, che non centrano nulla mentre chi davvero ha davvero commesso reati e ha fatto del male sia fuori continuando a creare problemi, credo che in tutto ciò sia anche colpa della società. Non parliamo delle donne molto spesso allontanate dai bambini, pensate voi già chiuse nelle celle per aver commesso un reato in più private alla libertà di vedere i propri bambini. Nelle carceri hanno solo un’ora al giorno per respirare e ditemi voi se un uomo richiuso li possa essere ancora vivo dopo essere uscito. Federica Gadau Marche: l’Unione Forense per la tutela dei diritti umani debutta con l’emergenza carceri Ansa, 22 novembre 2014 Ripartire dai diritti umani per ricostruire il sistema economico e sociale, alle prese con la crisi e distratto dal "contingente". È lo scopo dell’Unione Forense per la tutela dei diritti umani, la cui sezione regionale delle Marche è stata inaugurata con un’iniziativa dedicata all’emergenza carceri. "Siamo partiti dall’attualità - spiega il segretario Iacopo Casini Ropa - nella convinzione che, soprattutto in una fase di crisi, bisogna rimettere al centro i diritti umani, che sono diritti primari". L’associazione, guidata a livello nazionale dal segretario Anton Giulio Lana si occupa di vari settori, compresi diritti di particolari categoria di malati. Ne fanno parte avvocati, giuristi, ma anche magistrati, esponenti delle istituzioni e appartenenti al mondo delle istituzioni. Quanto all’emergenza carceri, - ha spiegato uno dei relatori, Giovanni Di Cosimo, docente di diritto costituzionale dell’Università di Macerata, "la popolazione carceraria è diminuita, passando in un anno da 64 mila a 54 mila detenuti, al 31 ottobre 2014. Risultato di politiche e misure volte ad abbassare il numero dei reclusi, adottate dal legislatore italiano su pressioni esterne: la Corte Europea dei diritti dell’Uomo con la sentenza Torreggiani del gennaio 2013, il conseguente messaggio alle Camere del presidente della Repubblica e una sentenza della Corte Costituzionale. Il legislatore è stato costretta a farlo. Ora servono interventi più organici e misure alternative al carcere. Il problema vero è la funzione rieducativa della pena, sancita dalla Costituzione". Anche il sostituto procuratore di Ancona Andrea Laurino ha parlato di "dato positivo, con il sovraffollamento degli istituti di pena italiani sceso in percentuale da 136 a 110". Cagliari: per 341 detenuti da domani inizia il maxi-trasloco alla nuova struttura di Uta Agi, 22 novembre 2014 Il trasferimento dei detenuti dal vecchio carcere di Buoncammino a Cagliari alla nuova struttura di Uta (Cagliari) sarà il più imponente mai eseguito in Italia. Significativi i numeri: i 341 ospiti della struttura in dismissione verranno accompagnati nella casa circondariale costruita di recente dagli oltre 200 agenti di polizia penitenziaria in servizio nel capoluogo sardo. Il trasloco, salvo complicazioni, sarà completato nell’arco di una sola giornata, ma per ragioni di sicurezza non sono state fornite indicazioni precise sulla data. I viaggi verso Uta dovrebbero iniziare domenica prossima, ma dai vertici di Buoncammino non arrivano né smentite né conferme. "Il giorno esatto deve rimanere riservato, di certo il trasferimento sarà eseguito entro il prossimo 8 dicembre", ha spiegato all’Agi il direttore Gianfranco Pala. Escluso, al momento, l’arrivo dei detenuti in regime di massima sicurezza visto che la nuova struttura non è ancora pronta ad ospitarli. Infine, qualche certezza in più arriva sul futuro del vecchio penitenziario di Buoncammino, che ospiterà gli uffici del Provveditorato e dell’amministrazione penitenziaria. Resta, invece, ancora indefinita la possibilità, ipotizzata in passato che Buoncammino possa diventare sede del carcere minorile oggi a Quartucciu (Cagliari). Cappellacci: restituire lo spazio del Buoncammino alla città "La storia di Buoncammino come struttura detentiva sta per concludersi, ora questo spazio deve essere restituito alla città". Lo afferma Ugo Cappellacci (Fi), che invita la Giunta regionale a farsi parte attiva con il Comune di Cagliari per attivare un progetto che renda fruibile per la popolazione un’area ubicata nel cuore del capoluogo della Sardegna. "Siamo fortemente contrari - prosegue l’ex presidente della Regione - ad un uso, come quello per una struttura detentiva per minori o per uffici, che chiuderebbe ancora una volta e per sempre le porte. In ogni caso, la decisione spetta alla comunità cittadina e non a quattro burocrati. Buoncammino deve rappresentare un tassello di quel complesso che insieme all’Anfiteatro, all’Orto Botanico, all’Orto dei Cappuccini e all’Ospedale San Giovanni di Dio può rappresentare una delle carte forti della città di Cagliari per proporsi sullo scenario nazionale ed internazionale come meta turistica e culturale di eccellenza. Per questo occorre togliere i lucchetti agli angoli più suggestivi del capoluogo - conclude Cappellacci - e liberare le potenzialità, rimaste in gran parte ancora inespresse, di una parte di Cagliari che per troppo tempo è rimasta chiusa e non fruibile per i cittadini e per i turisti". Trapani: detenuto tenta suicidio impiccandosi nel carcere di San Giuliano, agente lo salva Agi, 22 novembre 2014 L’intervento di un agente della polizia penitenziaria ha salvato la vita di un detenuto di 32 anni che la notte scorsa ha tentato il suicidio impiccandosi nel carcere di San Giuliano a Trapani. Lo rende noto Gioacchino Veneziano, segretario generale Uil-pa Trapani e coordinatore regionale Uilpa Penitenziari. Il detenuto si trovava nella sezione Isolamento. Dopo essere stato soccorso è stato ricoverato nell’infermeria del carcere per valutare le sue condizioni fisiche. "Il mio plauso va all’agente che dimostrando grande professionalità ha impedito che accadesse il peggio", afferma Veneziano. Altamura (Ba): "I giardini che nessuno sa", così i detenuti diventano floro-vivaisti www.altamuralife.it, 22 novembre 2014 Allestire e curare un’area verde in carcere, mentre si espia la pena, in attesa di poter svolgere, una volta liberi, la professione di floro-vivaista. Questo lo scopo del progetto di reinserimento sociale tenutosi presso l’istituto penitenziario di Altamura, e presentato nel corso del convegno "I giardini che nessuno sa". Dodici i detenuti interessati dal corso di formazione, organizzato dalla cooperativa Auxilium e rientrante nelle attività dell’ambito territoriale per i servizi sociali. Un laboratorio del verde ha permesso di realizzare un giardino fiorito nelle aree esterne dell’istituto. Al convegno erano presenti, oltre al sindaco Mario Stacca e all’assessore Raffaella Petronelli, la direttrice Lidia De Leonardis, il provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria Giuseppe Martone ed il Garante regionale dei detenuti Piero Rossi che ha illustrato la prossima iniziativa regionale dei "Cantieri sociali". Dai vari interventi è emersa l’importanza di iniziative simili per creare opportunità e competenze spendibili nel mondo del lavoro dopo aver scontato la pena detentiva. Un’iniziativa sperimentale con esiti positivi, la prima dedicata alla popolazione carceraria dell’istituto di pena altamurano, che secondo il dirigente comunale Berardino Galeota e la coordinatrice dell’Ufficio di Piano Caterina Incampo sarà seguita da ulteriori bandi riguardanti iniziative di inclusione. La struttura penitenziaria di Altamura è una sezione di casa di reclusione a custodia attenuata, l’unica presente in Puglia, ed ospita tre padiglioni con detenuti di media sicurezza, protetti e semiliberi di non rilevante pericolosità. La caratteristica principale di tali strutture è appunto la sperimentazione di attività finalizzate al recupero e al reinserimento sociale dei detenuti. Avellino: Sappe; il vecchio padiglione del carcere di Ariano Irpino rischia la chiusura di Gianni Vigoroso Otto Pagine, 22 novembre 2014 Il vecchio padiglione del carcere di Ariano Irpino è a rischio chiusura, la doccia fredda arriva dal Sappe che ha fotografato attraverso una visita ispettiva, una situazione a dir poco drammatica. Ne parla con estrema preoccupazione il segretario generale del sindacato autonomo polizia penitenziaria Donato Capece: "Hanno fatto degli obbrobri, l’apertura del padiglione nuovo ad esempio rappresenta una cattedrale nel deserto. Per accedere alle sezioni, un solo esempio riguarda il mancato funzionamento del montacarichi. L’altra questione grave è la fatiscenza della struttura infermieristica Abbiamo un reparto che sicuramente non è a norma e non capiamo, perché l’Asl continua a tenerlo aperto. Del caso interesseremo anche i Nas. La cucina per i detenuti va chiusa immediatamente, non in grado di offrire igienicità e salubrità, per non parlare di alcuni reparti della vecchia struttura. L’istituto di Ariano, sembra posto ai confini del mondo, abbiamo invece il Carcere di Sant’Angelo che è eccellente sotto ogni punto di vista. I cittadini che commettono reati, devono essere privati della libertà ma non della dignità. Emilio Fattoriello segretario nazionale per la regione Campania ha mostrato alla stampa alcune foto scattate internamente, dalle quali si evince chiaramente lo stato precario in cui versano i vari luoghi di lavoro e i servizi igienici. Elogi da parte del Sappe nazionale all’ispettore della Polizia Penitenziaria Nicola Limone, per le numerose operazioni anti droga portate a termine con successo all’interno della casa circondariale. Presente ad Ariano l’intero staff della segreteria provinciale Sappe, a fare gli onori di casa il segretario locale Rocco Iagulli. Milano: tentati suicidi e roghi, alta tensione all’Istituto Penale Minorile "Beccaria" di Matteo Pucciarelli La Repubblica, 22 novembre 2014 In carcere è tornato il cosiddetto "piccolo Vallanzasca" di Quarto Oggiaro, che oggi ha 17 anni, detto anche "la pulce". Ma che dietro ai disordini degli ultimi giorni ci sia lui "è una falsità", rispondono gli operatori sociali da via Calchi Taeggi. Ad oggi la casa viene gestita in un interim dalla vicedirettrice Olimpia Monda insieme a un sorvegliante generale nominato da poco e la situazione di provvisorietà probabilmente non aiuta. Difficile capire, però, chi potrà intervenire: a livello nazionale sia il dipartimento amministrazione penitenziaria che quello della giustizia minorile, da mesi, non hanno un vertice. Minchillo e Calogero Lo Presti della Fp-Cgil - i lavoratori hanno fatto fronte agli atti di ribellione che si sono susseguiti in questi mesi. Un altro esempio? Domenica scorsa alcuni dei reclusi hanno dato fuoco a magliette ed altri oggetti, innescando un incendio in uno dei corridoi del carcere. L’incendio è stato domato, ma agli agenti mancavano estintori e mascherine di protezione". Ma in realtà non si tratta di una guerra in corso tra guardie e detenuti, sottolinea Giuseppe Merola, uno dei 57 dipendenti. Il clima è pesante perché, in primis, gli spazi non bastano più. Nel 2008 sono iniziati i lavori di ristrutturazione dell’istituto: "Avrebbero dovuto concludersi in tre anni, ma sono stati interrotti e ora sono fermi per problemi con la ditta appaltatrice. Il che - è il report dell’associazione Antigone - ha comportato il ridimensionamento provvisorio della capienza e il trasferimento fuori regione dell’intera sezione femminile". Nei mesi scorsi, poi, sono cambiate delle direttive nazionali, "dentro i carceri minorili si può restare anche fino ai 24 anni - dice Alessandra Naldi, garante dei diritti dei detenuti del Comune - e quindi l’aumento dell’età comporta anche un aumento dei problemi, non si ha più a che fare solo con degli adolescenti". La settimana scorsa un ragazzino di 16 anni ha tentato di darsi fuoco, lo hanno soccorso due guardie prima che le fiamme lo devastassero. È l’ultimo episodio in ordine di tempo spia del disagio che si respira al carcere minorile "Cesare Beccaria", che a oggi ospita circa 60 detenuti, molti dei quali affetti da problemi psichiatrici. "Una situazione potenzialmente esplosiva", raccontano gli stessi agenti di polizia penitenziaria, che infatti organizzeranno un presidio davanti al Centro di giustizia minorile per i prossimi giorni. Perugia: lunedì prossimo vertice nazionale sulle carceri con politici, operatori e agenti www.umbria24.it, 22 novembre 2014 Incontro organizzato dal gruppo dei deputati del Pd lunedì pomeriggio. Ci sarà anche il cardinale Bassetti. "L’incontro di lunedì sarà un’occasione importante per fare il punto sulla situazione delle carceri in Italia e in particolare nella nostra regione; per scambiarsi opinioni sulle iniziative e gli interventi già attuati e quelli da attuare per rendere i luoghi di detenzione più umani e per far sì che la giusta pena per chi ha sbagliato non sia vendetta, ma rieducazione e reinserimento, come prescrivono la Costituzione e i principi del rispetto dei diritti umani". Così Walter Verini, Capogruppo del Pd in Commissione Giustizia alla Camera, presentando il senso del convegno che si terrà lunedì pomeriggio a Perugia, sul tema della politica carceraria. "Si tratta di una iniziativa - aggiunge Verini - promossa dal Gruppo Parlamentare del Pd, in collaborazione con la Segreteria Regionale del partito che vedrà la presenza di magistrati e avvocati, operatori della giustizia e direttori delle carceri, esperti e rappresentanti della polizia penitenziaria e del Dap, mondo del volontariato e delle istituzioni. Ci sono le condizioni, quindi, per un confronto concreto e positivo, tra interlocutori disponibili al dialogo su questi temi". "Voglio ringraziare tutti e in particolare il Cardinale Gualtiero Bassetti, Arcivescovo di Perugia, per aver accolto il nostro invito a partecipare. Una presenza particolarmente significativa - prosegue il Capogruppo Pd in Giustizia - quella di una personalità come il Cardinal Bassetti che ha in tante occasioni dimostrato grande sensibilità e vicinanza per le problematiche delle condizioni della popolazione carceraria. Discutere e intervenire concretamente su queste questioni - conclude Verini - significa anche investire in sicurezza: carceri più umane, dove si possa davvero lavorare per rieducare e reinserire nella vita sociale i detenuti significa anche meno recidive, meno delinquenza, meno reati". Lanciano (Ch): "Lettere d’amore dal carcere", la premiazione del Concorso nazionale di Stefania Sorge Il Centro, 22 novembre 2014 Si rivolgono all’amata che li aspetta fuori o a quella di cui riconquistare la fiducia tradita. C’è chi indirizza i propri pensieri ai figli, chi scrive all’amore e chi perfino "al vecchio e grande Danubio". Sono le passioni che smuove lo scrivere a chi è costretto tra quattro mura, quelle delle carceri di tutta Italia. Per il secondo anno Lanciano ha, infatti, ospitato il concorso nazionale "Lettere d’amore dal carcere", organizzato dalla casa circondariale di Villa Stanazzo in collaborazione con il Comune di Torrevecchia Teatina, sede del Museo della Lettera d’amore. Sono state oltre cento le lettere arrivate da tutti gli istituti penitenziari d’Italia. I pensieri dei detenuti che hanno partecipato non sono rivolti solo all’amore per il proprio uomo o la propria donna. "Il pensiero va a tutto ciò che smuove le passioni ed è piacevole da pensare, insomma all’ amore nella sua accezione più ampia", spiega il professor Vito Moretti, presidente della giuria, "chi ha usato toni realistici e chi di fiaba, chi ha scelto la forma della cronaca o del diario, chi lo ha fatto come una confessione intima oppure dando voce alla rabbia, chi solo per il piacere di scrivere scoprendosi anche in modo diverso". La giuria del premio ha scelto di premiare quattro lettere (con un ex aequo per il secondo posto). "Con te non mi mancava niente ed ora, non lo nego, mi manchi tantissimo. Da due anni sono chiusa in queste quattro mura pagando i miei errori, errori che ho commesso per disperazione", è l’amore disperato di Marilù Arriaga, 34 anni, messicana reclusa a Rebibbia, per il compagno scomparso. È questa la lettera vincitrice del concorso: "Tra queste mura ho capito molte cose e ho cominciato a riapprezzarne altre. Ti prometto però che quando uscirò da questo posto starò sempre con le nostre figlie. Proteggici da dove sei". Al secondo posto, a pari merito, ci sono le lettere di Nicu Marius Cret, romeno, detenuto a Treviso, e Massimiliano Solla, 47, in carcere a Pavia. "Mi hai insegnato ad emergere da quell’ oceano di falsità e malignità che mi circondava e che pian piano mi faceva sprofondare, soffocandomi", scrive Nicu Cret all’amata, "questo è stato un tuo regalo: insegnarmi a combattere". Solla si rivolge invece ai figli: "Amori miei, non permettete al male che vi ho cagionato di impedirvi di fidarvi dell’amore. Amate, anche qualora non foste mai amati da nessuno". "Un mese, trenta giorni, settecentoventi ore, quarantatremila duecento secondi di lontananza dal tuo ciuffo ribelle, aspettando una carezza del tuo sguardo che non arriva", conta Federico Torchia (44 anni, recluso a Padova, quarto classificato), cercando di riconquistare la fiducia della sua donna, "quattro anni, un’eternità, mi dividono dalla verità e nei tuoi occhi leggo perplessità per un futuro lontano che magari mai arriverà". La cerimonia di premiazione, presentata da Stefano Angelucci Marino, si è svolta nel teatro Fenaroli di Lanciano, alla presenza di alcuni detenuti del carcere di Villa Stanazzo, della direttrice del penitenziario, Maria Lucia Avantaggiato, del prefetto Rocco Fulvio de Marinis e delle scolaresche. Brani delle lettere sono stati letti dagli attori del Teatro Studio di Lanciano, mentre Ivan Zulli e l’associazione Accordi versi ha curato le musiche. Dieci scritti sono stati segnalati dalla giuria. "Alle prove dell’orchestra ci siamo conosciute e durante le prove ci hanno separate, dopo tre anni di concerti e studio", si rivolge alla compagna Renee Garaventa Malfatto, napoletana, detenuta nel carcere femminile di Rebibbia, "la prigione è cattiva, amore mio, in prigione si può impazzire, ma tu mi hai preso per mano fin dall’inizio e non mi hai più lasciato". "Mi hai parlato di alti e bassi, mi hai detto che hai bisogno di me amore mio: un bacio immaginario per buonanotte, due lacrime per la colazione, è tutto quello che ti posso offrire in questo momento", scrive Petar Skoro, serbo, 37 anni, detenuto a Opera. "Buon giorno amore mio, spero che anche stamattina nonostante tutto, il tuo sia stato un dolce risveglio", immagina Mario Seminara, 60 anni, dal carcere catanese della Bicocca, "anche se vedo con gli occhi dell’anima la tua mano che accarezza l’altro cuscino per cercare la testa del compagno, del marito che non c’è, del padre lontano dagli occhi dei figli, lontano perché sta pagando un prezzo allo Stato, lontano perché ha sbagliato". "Scrivo una lettera all’Amore", esordisce Fabrizio Locatelli, milanese, 42 anni, recluso a Pavia, "questa emozione che ho trovato tra le piaghe del mio dolore, che è riuscita a mostrarmi come anche nel buio esso non ti abbandona mai". Anche tra le mura di una cella. Torino: con la Compagnia "Teatro e Società" studenti e detenuti s’incontrano in scena www.laprimapagina.it, 22 novembre 2014 "Ognuno ha la sua legge uguale per tutti" è l’evento teatrale proposto dal regista Claudio Montagna e dalla Compagnia Teatro e Società, il 25, 26, 27, 28 novembre 2014 presso il teatro della Casa Circondariale di Torino, con l’obiettivo di affrontare i pregiudizi e gli stereotipi che riguardano la giustizia. Le serate, cui parteciperà un pubblico di oltre 500 persone, nascono da una riflessione sui confini tra lecito e non lecito, sulle molte sfaccettature dei reati, sul ruolo del carcere. L’iniziativa è realizzata nell’ambito del progetto Varianti dell’Esilio da Teatro Società grazie al sostegno della Compagnia di San Paolo che sostiene in maniera significativa importanti progetti all’interno degli istituti penitenziari: "La pena inflitta a un detenuto - secondo quanto afferma il dettato della nostra Costituzione - non deve rappresentare soltanto una sanzione bensì tendere alla riabilitazione. Questo percorso di emancipazione non si conclude nell’individuo, ma offre vantaggi in ultima analisi all’intera collettività. La Compagnia di San Paolo, d’intesa con enti e autorità locali, sostiene e promuove da anni, attraverso "Progetto Libero" progetti su temi carcerari che rispondano a tali principi. Tra questi figurano le iniziative di Teatro e Società, che offre su questi temi riflessioni da un punto di vista non convenzionale e con grande impegno sociale e civile". Il progetto vede la partecipazione dell’Assessorato alla Cultura della Città di Torino: "continua lo straordinario sforzo che ci vede impegnati e partecipi al progetto teatrale nei luoghi di detenzione, spiega l’Assessore alla Cultura, Turismo e Promozione della Città di Torino, Maurizio Braccialarghe. Realizzare un ponte tra la comunità civile e le persone recluse consente di portare avanti una riflessione sul tema della giustizia e della restituzione che la finzione teatrale ci aiuta a compiere. Quest’anno il coinvolgimento di giovani studenti insieme ai detenuti ci consentirà un ulteriore passo avanti rispetto a quelli finora compiuti". È condiviso operativamente dalla Direzione, dagli educatori e dagli agenti della Casa Circondariale Lorusso e Cutugno e dal Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Torino nell’ambito della Cattedra di Sociologia Giuridica. È seguito dall’Ordine degli avvocati; dal Comune di Torino nella figura della Garante dei diritti delle persone private della libertà; dall’Assessorato alle politiche sociali della Provincia di Torino. Nelle quattro serate, un gruppo di 15 detenuti del Padiglione A e un gruppo di 15 studenti universitari della Facoltà di Giurisprudenza e degli Istituti di scuola Media Superiore di Torino porteranno al centro della scena le ragioni di chi condanna, quelle di chi assolve mettendole a confronto con le leggi dello Stato e con il punto di vista del pubblico. Mentre un gruppo improvviserà brevi storie di illeciti, l’altro gruppo, senza averle conosciute prima e diviso in due fazioni contrapposte, dovrà condannare o assolvere. Attraverso momenti teatrali, saranno proposti casi reali, tratti dalla vita quotidiana inerenti le cosiddette furberie o le situazioni che offrono giustificazioni "umane" ma anche occasioni di trasgressione dalle norme che, secondo la legge, prevedono la detenzione. A un esperto di diritto il compito di chiarire di volta in volta ciò che la Legge dispone, fornendo uno strumento in più per comprendere la forza della norma giuridica e il suo- a volte complesso- rapporto con i valori e il sentire comune. "È diffusa - spiega Claudio Montagna - una propensione proprio da parte dei più giovani a giudicare pesantemente i comportamenti devianti. Ma chi giudica poi sa accettare fino in fondo le regole? Su questo interrogativo e per approfondire il significato di alcune risposte al questionario, abbiamo costruito il confronto. L’obiettivo è quello di far emergere e cogliere dal vivo, com’è nostra consuetudine, abiti mentali e atteggiamenti che spesso destano stupore non per fornire risposte ma per stimolare piuttosto una conoscenza critica e la maturazione del senso civico". Il tema è stato sviluppato attraverso incontri mirati con gli studenti, svolti presso l’Università degli Studi e in carcere con i detenuti, alla luce degli inattesi risultati di un questionario elaborato nell’ambito di una ricerca avviata nei primi mesi del 2014 dalla Cattedra di Sociologia Giuridica e che ha coinvolto 336 studenti - frequentanti l’ultimo anno di 5 scuole superiori diverse e studenti del primo anno dei corsi di laurea di Giurisprudenza - e 100 detenuti presso la casa circondariale Lo Russo e Cotugno. Lo studio condotto dal prof. Claudio Sarzotti, dalla prof.ssa Cecilia Blengino e dalla prof.ssa Silvia Mondino si è occupato di ricostruire come sono vissuti il rapporto con la legge e con le conseguenze sanzionatorie della sua violazione, sia quello con i diversi attori sociali coinvolti in un’azione penalmente rilevante (vittima, forze dell’ordine e autore di reato). Mette in evidenza come - di fronte a situazioni concrete - il principale riferimento per i comportamenti degli individui non sia sempre rappresentato dalla "legge" ma da norme di carattere sociale o morale. Gli studenti intervistati tendono ad identificare come reati comportamenti che percepiscono come particolarmente gravi e nei quali sembra che essi riescano ad identificare con facilità un danno e una vittima. Grosseto: "Happiness Choir", da Pitigliano al carcere di Volterra, il gospel per i detenuti di Cristina Rufini La Nazione, 22 novembre 2014 Un concerto per i carcerati di Volterra. Dopo l’esperienza di Rebibbia, il coro gospel di Pitigliano domenica sarà appunto nel carcere volterrano, dove peraltro è detenuto con "fine pena mai" l’arcidossino Francesco Innocenti, condannato con sentenza passata in giudicato per l’omicidio di Ausonio Coli, l’8 marzo del 2004. Happiness Choir, il coro della città del tufo, diretto dalla maestra Giorgia Iaconetti e di cui fa parte anche Claudia Francardi, parteciperà alla messa celebrata dal cappellano e poi in un concerto per i carcerati. "Non è la prima esperienza del genere - spiega Francardi, la vedova del carabiniere Antonio Santarelli, ucciso il 25 aprile del 2011 - siamo già state nel carcere romano, ed è stata un’esperienza incredibile, per questo quando il cappellano del carcere di Volterra mi ha proposto l’idea, abbiamo accettato subito". È un passaggio, uno dei tanti che Claudia sta compiendo in un mondo, quelle dei carcerati, che l’ha prima travolta e poi coinvolta. Insieme alla madre di Matteo Gorelli, il ragazzo che ha ucciso suo marito. Il concerto a Volterra è qualcosa di diverso, ma ogni esperienza con chi deve scontare una pena porta Claudia a parlare dell’associazione "AmiCainoAbele" che ha fondato insieme alla madre di Gorelli, Irene Sisi e a don Enzo Capitani. Il loro è un impegno per affermare la giustizia riparatrice. "Anzi, forse è meglio dire conciliatrice - precisa Claudia - È un impegno importante, lo sappiamo. Non è una strada facile da percorrere, ma riteniamo che il fatto di vedere insieme la madre di chi ha ucciso con la moglie della vittima possa facilitare. Il nostro non è un impegno comune svolto separatamente. È un percorso che affrontiamo insieme, perché anche visivamente si percepisca quanto sia importante che vittime e rei siano considerati. Ricordati anche quando i riflettori si spengono". L’impegno con l’associazione, che è stata presentata a Grosseto alla fine di settembre scorso, è sempre più importante e coinvolgente. Peraltro proprio al carcere di Volterra - conclude Claudia - sono stata con Irene in estate scorsa e durante una delle cene galeotte che vengono organizzate nel carcere. Gli impegni con l’associazione proseguono e si intensificano: di recente abbiamo parlato a un convegno alla presenza di 500 giovani. Sono molto interessati e attenti a questa tematica. L’ho sperimentato di recente anche all’istituto Nautico di Porto Santo Stefano". Intanto, prima del prossimo impegno con AmiCainoAbele, Claudia Francardi domenica sarà a Volterra insieme alla coriste per portare un raggio di felicità tra le mura di un carcere. Medio Oriente: circa 500 palestinesi stanno scontando l’ergastolo nelle carceri israeliane www.infopal.it, 22 novembre 2014 Martedì un’organizzazione palestinese che si occupa di diritti umani ha annunciato che 475 palestinesi stanno attualmente scontando l’ergastolo nelle carceri israeliane, è quanto ha riportato l’agenzia di stampa Anadolu. Il Centro studi per i prigionieri palestinesi ha dichiarato che 28 dei 475 palestinesi condannati all’ergastolo provengono dalla Striscia di Gaza, mentre gli altri sono di diverse aree della Cisgiordania e di Gerusalemme. Il prigioniero di Gaza Hassana Salameh ha ricevuto il maggior numero di condanne all’ergastolo. È stato arrestato il 17 maggio 1996 e sta scontando 48 ergastoli. Tutti i prigionieri palestinesi devono affrontare tribunali militari israeliani che, come il giornale Haaretz ha riferito l’anno scorso, "negano sistematicamente ai palestinesi il diritto a un processo equo". Il 26 agosto scorso, il ministero palestinese per i Prigionieri ha diffuso un rapporto secondo cui circa 7.000 prigionieri palestinesi sono attualmente nelle carceri israeliane - l’84,8 per cento provengono da territori occupati della Cisgiordania, il 9,5 per cento da Gerusalemme o dalla Palestina del 1948 e il 5,7 per cento da Gaza. Cina: respinto appello uiguro Tohti, condannato all’ergastolo con l’accusa di separatismo Agi, 22 novembre 2014 Respinto dal tribunale cinese il ricorso in appello dell’intellettuale uiguro Ilham Tohti. Lo studioso era stato condannato nel settembre scorso all’ergastolo con l’accusa di separatismo. Professore di economia all’università delle Minoranze di Pechino, Tohti, 44 anni, appartiene alla minoranza etnica che vive nella regione autonoma dello Xinjiang, teatro di frequenti attentati tra la popolazione turcofona e musulmana e gli han, l’etnia cinese più numerosa. Critico nei confronti della linea dura del governo centrale nello Xinjiang, a gennaio Tohti era stato portato via dall’appartamento di Pechino in cui vive con la famiglia e portato in una località sconosciuta assieme alla madre in stato di detenzione. Ilham Tohti è finito più volte in carcere negli scorsi anni. Nel 2009, è stato incarcerato per circa una settimana dopo che il suo sito web, uighurbiz.net, aveva riportato notizie riguardanti gli scontri etnici nello Xinjiang che avevano provocato la morte di circa 200 persone. Egitto: la famiglia del giornalista australiano di "Al Jazeera" Greste si appella ad al Sisi Nova, 22 novembre 2014 I genitori del giornalista australiano di "Al Jazeera" Peter Greste, arrestato lo scorso anno dalle autorità egiziane e condannato a sette anni di prigione per favoreggiamento del terrorismo, hanno rivolto un appello al presidente egiziano, Abdel Fateh al Sisi, per chiedere la liberazione del detenuto e del suo collega canadese Mohammed Fahmy in occasione delle prossime festività natalizie. Ieri al Sisi, in un’intervista per l’emittente "France 24", ha aperto a un dialogo sul dossier, cosa che ha spinto il ministero degli Esteri australiano a chiedere un colloquio al rappresentante dell’Egitto alle Nazioni Unite. Greste è stato condannato assieme a Fahmy e all’egiziano Baher Mohammed con l’accusa di aver prodotto e diffuso notizie false in occasione delle rivolte seguite alla destituzione del presidente islamista Mohammed Morsi, nell’agosto del 2013. Altri 11 giornalisti dell’emittente satellitare qatariota sono stati condannati "in absentia" a dieci anni di carcere nell’ambito dello stesso processo. La scorsa settimana, al Sisi ha emesso un decreto per permettere il rimpatrio dei detenuti stranieri, riaccendendo di fatto le speranze per un ritorno a casa di Greste e Fahmy. A favore di un tale sviluppo potrebbe inoltre giocare il recente invito dell’Arabia Saudita all’Egitto per una normalizzazione dei rapporti con il Qatar.