Giustizia: sarà la riforma di Orlando o di Gratteri? di Valerio Spigarelli Il Garantista, 19 novembre 2014 Adesso si parte sul serio nella vicenda della responsabilità civile. Con l’apertura della discussione al Senato si capirà se il partito dei magistrati conta come una volta o se qualcosa è cambiato; veramente, però, non solo a parole, o meglio a slogan. Soprattutto si comincerà a capire se il governo investe sulla sostanza del problema o solo sul suo appeal mediatico. Fino ad oggi, infatti, i segnali sono apparsi contrastanti. Se, da un lato, il ministro Orlando ha difeso la riforma anche dì fronte al Csm, indicando come punti qualificanti proprio quelli che erano stati oggetto dell’icastico parere approvato dallo stesso organo, come ad esempio l’eliminazione del filtro di ammissibilità, d’altro lato non può non pesare il fatto che la stessa riforma, assieme ad altri disegni di legge sulla giustizia approvati nel corso del Consiglio dei Ministri del 29 agosto scorso, come proposta governativa e desaparecida nel volgere di qualche settimana, per risorgere "solo" come disegno di legge parlamentare del Senatore Buemi ed unicamente perché questo aveva preso l’avvio sulla spinta delle sanzioni europee. Ora, il fatto in sé potrebbe non essere significativo, visto che l’impianto delle due iniziative coincide, ed anzi far cadere una proposta governativa per lasciar spazio ad un lavoro parlamentare già avanzato a volte può anche essere indice di una accorta strategia che privilegia il lavoro già fatto. Se, invece, l’accantonamento della iniziativa ministeriale rientra nel più generale abbandono di quanto approvato nel corso di quel Consiglio dei Ministri, lo scenario potrebbe essere più complicato. Sulla tanto strombazzata riforma della Giustizia di agosto, invero, non si può dire che Renzi abbia insistito molto - a parte le battute dì stile berlusconiano e di ideologia anti-casta su falsi problemi come le ferie giudiziarie - tanto da lasciarla in sospeso pur dopo la sua formale approvazione. Benché nessuno ne parli, costituisce un curioso record ed una sicura anomalia democratica il fatto che a quasi tre mesi dalla loro approvazione i disegni di legge discussi nella riunione del 29 agosto, e con grande enfasi illustrati il giorno stesso dal governo, non siano mai stati neppure pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale. Un record che, tra lo tante, ha trovato una spiegazione indiretta sulle pagine di Micromega, dove il Dottor Gratteri ha spiegato che su incarico di Renzi sta alacremente lavorando sulle stesse tematiche già affrontate dal Ministro di Giustizia, per sottoporre "al parlamento", una serie di ricette dì segno diverso. Segnali contraddittori, perlomeno, che creano confusione e lasciano sul campo molti slogan vincenti ma poche proposte concrete. Tornando alla responsabilità civile dei magistrati, in questo panorama Orlando non può che difendere la legge in discussione, che in larga parte riprende la sua proposta, ma sa che la stessa naviga senza le insegne del governo e dunque potrebbe essere esposta a qualche burrasca. Burrasche che, nel caso di specie, potrebbero essere costituite dalla possibile alleanza estemporanea di quella parte del Pd che continua a rimanere strettamente collegata all’Anm e che, come già avvenuto in Commissione Giustizia, tende a collegarsi con il Movimento 5 Stelle. E qui si finirà per misurare la reale volontà politica dei partiti, e delle loro correnti interne. A ridurre la portata dell’intervento, infatti, basterebbe un qualche blitz parlamentare che, per esempio, raccogliendo le diuturne lamentazioni sul punto dcll’Anm reintroducesse il filtro di ammissibilità. Basterebbe solo questo per ridurre la legge nuova agli stessi minimi termini della vecchia. E basterebbe solo questo a far pagare a chi non ne porta la minore responsabilità, il ministro, le incertezze e le contraddizioni di una politica sulla giustizia che non ha ancora imboccato la via giusta, cioè quella delle riforme strutturali, ivi inclusa la stessa impostazione costituzionale, per rimanere ancorata alla politica degli annunci. Sotto questo profilo meglio è il realismo di Orlando che non i boatos di Renzi, simili a quelli di Berlusconi di un secolo fa e come quelli destinati a non cambiare nulla. Giustizia: Ospedali psichiatrici giudiziari, la chiusura definitiva è sempre più vicina di Errico Novi Il Garantista, 19 novembre 2014 Resteranno meno di 300 internati. Non solo dal 31 marzo 2015 gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari potrebbero essere tutti definitivamente chiusi. Può darsi che servirà ben poco spazio anche all’interno delle strutture che avrebbero dovuto accogliere gli ultimi internati, le cosiddette Rems. È quanto meno un auspicio, per il ministro della Giustizia Andrea Orlando, tornato a fare il punto sulla questione lunedì pomeriggio. Alla riunione ha preso parte la catena di comando che fa capo al ministero della Giustizia e che a breve dovrebbe trasferire la questione alle Regioni; i presidenti dei Tribunali di sorveglianza nei cui distretti si trovano gli ex "manicomi giudiziari", provveditori e vertici del Dap. Ne è venuto fuori che l’ulteriore proroga del termine di chiusura degli "Opg" potrebbe essere davvero scongiurata. Tutto sta a verificare le posizioni di alcune centinaia di internati che per ora sono stati giudicati "non dimissibili", anche se non rientrano nella categoria degli "altamente pericolosi". Andrà verificato caso per caso l’applicabilità di quei trattamenti personalizzati espressamente previsti dall’ultima normativa sulla materia, la legge 81 del 2014. Si tratta di fare un ultimo passo oltre le rigidità burocratiche: per l’amministrazione è più facile risolvere i casi per grandi gruppi omogenei anziché in modo differenziato, ma è proprio quest’ultima la via che Orlando ha chiesto dì seguire. Da presidenti dei Tribunali e dirigenti dell’amministrazione penitenziaria è arrivato l’impegno a fare tutto il possibile per rispettare la scadenza di fine marzo. In pratica si tratta di capire quanti sono davvero gli internati non dimissibili e se i posti assicurati dalle Regioni nelle nuove residenze, le Rems sono sufficienti a ospitarli. Sui circa 750 internati complessivamente trattenuti nei 6 ospedali in via di chiusura, oltre la metà sarebbe immediatamente dimissibile. Dei circa 350 che restano solo una settantina sarebbe ad alta pericolosità sociale. Rimane da capire se gli altri 280 debbano essere effettivamente destinati alle Rems o se siano percorribili altre soluzioni. In ogni caso la fine dell’inferno dei vecchi manicomi giudiziari è davvero a un passo. Giustizia: i super duri delle carceri, ecco l’epopea nera dei Gom di Damiano Aliprandi Il Garantista, 19 novembre 2014 E l’élite del corpo di Polizia penitenziaria, una struttura simile ai servizi segreti. Si è trovata al centro di pesanti polemiche e denunce per la scia di pestaggi lasciati all’interno delle carceri dopo il suo passaggio, come quello nella struttura di San Sebastiano di Sassari dell’aprile 2000, e per le brutali perquisizioni nel carcere milanese di Opera (da presidente della commissione Giustizia della Camera, Giuliano Pisapia aveva denunciato senza mezzi termini gli “episodi di brutalità” avvenuti, parlando del passaggio di “un vero e proprio uragano che ha distrutto ogni cosa”), fino alla gestione della caserma Bolzaneto, con relative torture, durante il G8 di Genova 2001. Non sono mancate nemmeno le denunce da parte dei penalisti per aver messo sotto controllo, illegalmente, i colloqui con i detenuti. Il Gom, Gruppo Operativo Mobile, è un corpo speciale attualmente diretto dal generale Mauro D’Amico, fu istituito nel 1997 con un provvedimento firmato dall’allora capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Michele Coiro, ma soltanto due anni dopo (con il decreto ministeriale del 19 febbraio 1999, firmato dall’allora ministro della Giustizia Oliviero Diliberto) ebbe il suo definitivo riconoscimento. Il Gom nasce per provvedere al servizio di custodia dei detenuti sottoposti al regime previsto dall’articolo 41 bis, il carcere duro. Tale norma legislativa venne introdotta nel 1992, nel cosiddetto "super decreto antimafia", come risposta alle stragi mafiose da poco avvenute e che causarono la morte dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, e degli agenti delle loro rispettive scorte. Ufficialmente lo scopo del 41 Bis sarebbe quello di recidere ogni possibile contatto del detenuto con l’esterno, e quindi, con l’organizzazione criminale di riferimento. Proprio per far sì che ciò avvenisse, venne creato il Gruppo operativo mobile, che in realtà raccolse l’eredità di un altro reparto, lo "Scopp" (Coordinamento delle attività operative di Polizia penitenziaria), istituito nei primi anni ‘90 soprattutto per consentire la sicura esecuzione dei processi, e del "Battaglione Mobile" dell’allora corpo degli Agenti di custodia, che operò a cavallo fra gli anni 70 e 80. Mansioni "speciali" Tra le altre funzioni ufficiali di questa struttura vengono indicate il mantenimento dell’ordine e della disciplina negli istituti penitenziari, con priorità a interventi in occasione di "gravi situazioni di turbamento" tipo risse o rivolte dei detenuti; inoltre i Gom sono impegnati nel garantire la sicurezza delle traduzioni e piantonamento relativi a detenuti ed internati definiti ad altissimo indice di pericolosità e con particolare posizione processuale (collaboratori di giustizia e altri), che possono essere effettuati, per motivi di sicurezza e riservatezza, in deroga alle vigenti disposizioni amministrative in materia, con particolari modalità operative. Infine al Gom competono ì servizi di tutela e scorta del personale in servizio presso l’Amministrazione penitenziaria esposto a particolari situazioni di rischio personale (effettuati dal nucleo Tutela e scorte costituito da circa 50 unità), la traduzione di tutti i detenuti "collaboratori dì giustizia", ad altissimo rischio, la gestione del servizio di multi video comunicazione (processi in videoconferenza) e gli interventi disposti dal direttore generale nei casi di emergenza previsti dall’articolo 41 bis (irruzioni nelle celle, intercettazioni). Il Gom, diretto dal generale D’Amico, e costituito da circa 700 uomini alle dirette dipendenze della direzione del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Ufficialmente ha compiti di sorveglianza e protezione dei detenuti di massima pericolosità. Insomma è un fiore all’occhiello del corpo di polizia penitenziaria e gode di cospicui finanziamenti. Come abbiamo già scritto, il Gom nasce dalle ceneri dello Scopp, corpo speciale che oltre a sedare le proteste ha avuto la funzione, poi ereditata dal Gom, di acquisire informazioni. L’operato del Gom è stato sempre messo in discussione per i suoi metodi non propriamente democratici. Nel passato ci furono molte denunce da parte dei detenuti per il modo brutale delle loro ispezioni alle celle. Proprio per questo si era pensato a un coinvolgimento dei Gom nel pestaggio del carcere di Sassari dell’aprile 2000, sebbene sia poi emerso che la presenza di agenti Gom fosse limitata a poche unità. I Gruppi operativi mobili sono coperti dalla più totale impunità in quanto non rispondono delle loro azioni né alla direzione né al comando delle guardie dell’istituto penitenziario in cui intervengono, e godono dell’autorizzazione a intervenire direttamente dal ministero. Da Pianosa a Opera Durante gli anni 90 furono aperte due grandi inchieste per maltrattamenti avvenuti nelle carceri di Secondigliano e Pianosa. Vennero rinviati a giudizio 65 agenti dello Scopp diretti dall’allora generale Enrico Ragosa, poi passato al Sisde e successivamente alla direzione dell’Ugap (Ufficio Garanzie Penitenziarie) che dirige l’attività dei Gom. Il carcere di Pianosa venne in seguito chiuso per intervento dell’ex direttore del Dap, Alessandro Margara. L’ex direttore, davanti alla Corte europea, utilizzò parole inquietanti e di estrema attualità: "I fatti accaduti nella prigione di Pianosa erano stati voluti o quanto meno tollerati dal governo in carica. In particolare i trasferimenti erano effettuati secondo modalità volte a intimorire i detenuti stessi. La famigerata sezione Agrippa era stata gestita ricorrendo ad agenti provenienti da altre regioni (ossia reparti speciali) che disponevano di carta bianca. Il tutto corrispondeva ad un preciso disegno". Alessandro Margara fu poi sostituito da Giancarlo Caselli per volere dell’allora ministro Diliberto. Sì, lo stesso ministro che, una volta disciolto il famigerato Scopp, ha istituito il Gom. Non ha fatto in tempo a renderlo operativo che già scoppiarono degli scandali. Il primo accade nel 1998. Una quindicina di agenti Gom entrarono nel carcere milanese di Opera per effettuare una perquisizione straordinaria dove si arrivò perfino allo scontro con le guardie penitenziarie semplici. In quell’occasione, nei giornali, si utilizzò il paragone cileno: "Detenuti spogliati, qualcuno anche tre volte, costretti a ripetuti piegamenti, pure i cardiopatici e gli anziani; quindi raggruppati nel cortile, al freddo dalle 9.30 alle 13.30, chi in accappatoio, chi scalzo, mentre le celle venivano perquisite". "Alcuni agenti di Opera erano sconcertati, ed hanno raccontato di aver rischiato di arrivare alle mani con i loro colleghi del Gom". Le richieste di scioglimento dei Gom in quell’occasione non portarono a nessun risultato. Anzi, nel 1999, il solito ministro Diliberto, dopo aver posto ai vertici dell’Amministrazione penitenziaria Giancarlo Caselli in sostituzione di Margara, fece nascere l’Ugap (Ufficio Garanzie Penitenziarie) che attualmente dirige l’attività dei Gom. A capo dell’Ugap venne messo l’allora generale Enrico Ragosa, già degli Scoop e del Sisde, che guiderà anche la spedizione di funzionari del ministero di Giustizia italiano in Kossovo per procedere alla ricostruzione e riorganizzazione post-bellica del sistema penitenziario kosovaro. Una fama mondiale L’altro scandalo prosegue nel marzo del 2000 dove agenti dei Gom intercettarono, in palese violazione della legislazione vigente, le comunicazioni tra un imputato e il suo avvocato durante un processo per associazione camorristica. Arriviamo poi ai giorni terribili del G8 di Genova, repressione definita da Amnesty International "la più grande sospensione dei diritti democratici, in un Paese occidentale, dalla fine della Seconda guerra mondiale". Alla caserma Bolzaneto, dove furono trattenuti i manifestanti, avvennero delle indicibili violenze da parte dei penitenziari. In particolar modo la spedizione punitiva (secondo l’allora magistrato, capo del Dap Alfonso Sabella, fu tutto regolare) era composta esattamente dai Gom. Dopo quei fatti, associazioni come Antigone chiesero l’immediato scioglimento del Gom, e magari di sostituirlo con un corpo controllato e trasparente. Insomma più democratico. Giustizia: Garante Lazio su caso Cucchi "ho sempre detto che verità va cercata altrove" Ansa, 19 novembre 2014 "Sono rimasto sorpreso dal clamore suscitato dalle mie dichiarazioni di ieri sul caso Cucchi. Ho sempre chiaramente detto che, a mio avviso, le indagini sulle cause della morte del povero Stefano dovessero riguardare anche le vicende precedenti al suo arrivo al Tribunale di piazzale Clodio". Lo dichiara in una nota il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni. "Il mio personale convincimento - ha aggiunto Marroni - è che le indagini si siano concentrate eccessivamente sul carcere e sull’ospedale. Ora c’è una sentenza di assoluzione che, paradossalmente, può aiutarci a trovare la verità. Per fare piena luce su quanto accaduto credo si debba guardare oltre, indagando sia quanto accaduto quando il ragazzo era libero nel quartiere, prima del suo arresto, e poi in custodia dai Carabinieri". Giustizia: caso Cucchi; Sappe a Anonymous "la vostra battaglia hacker non ci interessa" Asca, 19 novembre 2014 "Nostri colleghi finiti su banco imputati sono innocenti". "Cari Anonymous sparsi per la rete internet". Comincia così, a quanto riferito da una nota, la lettera aperta che il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria (Sappe), ha pubblicato sul proprio blog www.poliziapenitenziaria.it dopo avere avuto notizia che il blog e il sito del Sappe - www.sappe.it - potrebbero essere l’obiettivo di non meglio precisati attacchi informatici condotti dal movimento Anonymous Italia a seguito dei noti avvenimenti riguardanti il caso Cucchi. "Prima di subire queste ‘attenzioni vorremmo, però, avere la possibilità di dire tre cose", scrive il Sappe nella lettera aperta. "La prima è che i nostri colleghi finiti sul banco degli imputati, prima, e sulla gogna mediatica, poi, sono innocenti sotto qualunque profilo si voglia inquadrare la vicenda: quello giudiziario, quello sociale o quello morale". "La seconda" prosegue la lettera "è che siamo consapevoli che prima o poi riuscirete di nuovo a manomettere i nostri siti web e a sospendere temporaneamente la nostra voce sul web. Su questa partita ci dichiariamo già sconfitti. La terza, infine, è che nessun atto dimostrativo e nessun sabotaggio riuscirà a fiaccare la nostra determinazione a parlare, discutere ed informare di carcere, di società, di giustizia e di sicurezza, in modo obiettivo e al solo fine di rendere l’istituzione penitenziaria una ‘casa di vetrò, così che la gente riesca davvero a farsi un’opinione senza essere condizionata dai filtri e dalle interpretazioni di chicchessia". Il primo Sindacato della Polizia Penitenziaria ribadisce che "il nostro scopo principale è quello di far conoscere a tutti il lavoro di migliaia di persone normali che ogni giorno indossano l’Uniforme della Polizia Penitenziaria e diventano persone speciali disposte al sacrificio personale e delle proprie famiglie pur di compiere il proprio dovere al servizio del Paese". E sulle battaglie del gruppo di hacker puntualizza: "La Vostra è una battaglia che non ci interessa perché, a nostro parere, i problemi dell’esecuzione penale non si risolvono con dimostrazioni tanto eclatanti quanto simboliche, ma con il lavoro quotidiano e determinato, per ora svolto solo dal Corpo di Polizia Penitenziaria e pochi altri". Toscana: il Garante; sovraffollamento risolto, ma 10 morti in carcere… 4 i casi di suicidio Adnkronos, 19 novembre 2014 "In Toscana quasi raggiunta la coincidenza tra capienza e presenze. Anche se il problema del sovraffollamento nelle carceri è stato superato, le tragedie incombono. In Toscana sono detenute 3.367 persone su una capienza regolamentare di 3.345, quindi abbiamo quasi raggiunto la coincidenza tra capienza e presenze però anche quest’anno in Toscana ci sono stati 10 morti in carcere, dei quali 4 sono stati casi di suicidio (1 a Lucca, 1 a Pisa, e 2 a Firenze)". Lo ha detto il Garante regionale dei detenuti della Toscana, Franco Corleone, presentando in Consiglio regionale il convegno "Delitti e pena: 250 anni dopo Beccaria", che si terrà nell’aula di Sant’Apollonia (via S. Gallo) a Firenze venerdì 21 tutta la giornata a partire dalle 9.30 e la mattina di sabato 22 novembre. "Bisogna cambiare la qualità di vita nel carcere e trovare pene alternative che favoriscano il reinserimento sociale come i lavori socialmente utili. In Gran Bretagna - ha aggiunto il garante - si sta portando avanti il dibattito per abolire il carcere femminile. In Toscana le donne detenute sono 109". Il convegno, organizzato in occasione della Festa della Toscana, sarà un’occasione per riflettere sul senso della pena, sulla funzione dell’istituzione carceraria e su nuove possibili prospettive sanzionatorie. Tra gli interventi previsti nella giornata del 21 novembre, il professor Massimo Pavarini che illustrerà il manifesto "No prison, senza se e senza ma". Poi si parlerà del "carcere dei diritti", delle pene alternative e della dignità degli spazi carcerari. Il professor Emilio Santoro ha fatto presente che in tutta l’Europa occidentale si sta ridiscutendo "sul senso del carcere che al di là dell’incapacità immediata non porta al reinserimento sociale". "L’obiettivo - ha detto Santoro - sarebbe quello di far scontare la pena a chi abbia condanne fino a 4 anni, con lavori socialmente utili". L’ambizione dell’incontro è quella di costruire una piattaforma capace di tracciare una riforma del sistema penale e penitenziario innovativa e credibile, prendendo le mosse da un contesto in cui importanti questioni sono ancora aperte, come il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari, l’introduzione del reato di tortura, la nomina del capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e del garante nazionale per i diritti dei detenuti e piena attuazione della sentenza della Corte costituzionale sulla Fini-Giovanardi. Corrado Marcetti della Fondazione Giovanni Michelucci ha, infine, evidenziato che al convegno si parlerà anche di architettura carceraria, dell’importanza di "ritrovare la dignità degli spazi e dello stato dell’edilizia penitenziaria". Nominare capo del Dap, posto vacante da mesi E manca anche Garante nazionale detenuti, lo chiede l’Onu. Sul fronte della politica carceraria "importanti questioni sono ancora aperte e in cerca di una definizione coerente con la tutela dei diritti: la nomina del capo del Dap, il cui posto è vacante da mesi, l’introduzione nell’ordinamento del reato di tortura, come richiesto dall’Onu, la nomina di un garante nazionale dei diritti dei detenuti, sempre chiesta dall’Onu, e infine la piena attuazione della sentenza della Corte costituzionale sulla legge Fini-Giovanardi, attraverso la riduzione di pena per i condannati per il reato di spaccio di droghe leggere". Lo ha detto parlando con i giornalisti a Firenze, il garante dei detenuti per la Toscana, Franco Corleone. In Italia complessivamente i reclusi sono 54.207, a fronte di una capienza di 49.327 unità. Dall’inizio dell’anno, ha ricordato il garante, le morti in carcere sono state 122. Sardegna: sit-in Sindacati davanti al Prap, contro chiusura scuola di Polizia penitenziaria Ansa, 19 novembre 2014 Chiusura della scuola di Polizia penitenziaria di Monastir e degli istituti di Iglesias e Macomer, carenza di organico a Tempio e Oristano e per la prossima apertura del carcere di Uta. Sono alcuni dei motivi che hanno spinto oggi i sindacati Uilpa Penitenziari, Fp Cgil e Sinappe a manifestare in via Tuveri a Cagliari davanti al Provveditorato dell’Amministrazione penitenziaria. "Manifestiamo contro la decisione di sopprimere la scuola di polizia penitenziaria di Monastir e gli istituti di Iglesias e Macomer - ha evidenziato il segretario regionale del Sinappe, Sandro Serra - ma anche per lamentare la cronica carenza di organico: nell’isola dovrebbero esserci 1.924 agenti di polizia penitenziaria ma, invece, il numero è fermo a 1.400". Al sit-in davanti al Provveditorato, a cui hanno preso parte una cinquantina di persone, accanto ai sindacati c’erano politici e il Comitato dei cittadini contro l’apertura del Cpsa a Monastir. "La soppressione della scuola - ha evidenziato Michele Cossa coordinatore dei Riformatori - è una perdita gravissima non solo per il Corpo ma per tutta la Sardegna. È un ulteriore impoverimento. Rimangono i problemi della Polizia penitenziaria con personale non sufficiente per le carceri sarde costretto a doppi turni di lavoro". Dello stesso avviso Romina Mura, deputata del Pd e sindaco di Sadali: "Trovo assurda e irrazionale la chiusura di una scuola che invece potrebbe essere adibita a spazio formativo interforze, i nostri agenti saranno costretti ad andare a Roma per la formazione. Inoltre rimane il problema della carenza di personale che potrebbe ricadere anche sull’apertura del carcere di Uta. Lavoreremo affinché per la nuova struttura ci sia personale sufficiente". Parla di tempi di colonizzazione penitenziaria il consigliere regionale del Centro democratico Annamaria Busia: "Lo Stato non può decidere di chiudere e aprire istituti penitenziari senza sentire il governo Regionale - ha detto -. Occorre che la Regione prenda parte alle decisioni, basta dictat da Roma". Cossa: Regione agisca contro chiusura scuola Polizia penitenziaria "La Regione non deve stare a guardare ma agire subito per costringere il governo a tornare sui suoi passi sulla chiusura scuola di polizia penitenziaria di Monastir (Ca)". Lo afferma il coordinatore regionale dei Riformatori Sardi, Michele Cossa, dopo l’annuncio della chiusura della scuola da parte del Ministero della Giustizia denunciata dal deputato di Unidos Mauro Pili il 6 novembre scorso. Cossa ha partecipato alla manifestazione di oggi promossa dai sindacati della polizia penitenziaria. "Il progetto di chiusura - dice Cossa - desta molta preoccupazione negli amministratori locali per le ripercussioni sull’ordine e la sicurezza che una tale decisione potrà creare nel comune ospitante, a Ussana e a Sestu". "Ma il problema vero è che la Sardegna perde senza una motivazione razionale una struttura importante per la polizia penitenziaria: l’Istituto ha svolto, per decenni - spiega Cossa - un eccellente lavoro nella formazione di migliaia di agenti penitenziari, le organizzazioni di categoria regionali del Comparto Sicurezza e Ministeri si dicono fortemente contrariate per la soppressione della Scuola per agenti di Polizia penitenziaria". Ecco perché, conclude il coordinatore regionale dei Riformatori sardi, "chiediamo alla Giunta di agire sul governo affinché venga tutelata la Scuola di formazione degli agenti di polizia penitenziaria". Veneto: Presidente Zaia; situazione limite sulla sicurezza, lo Stato non garantisce più Ansa, 19 novembre 2014 "La sicurezza è un diritto inalienabile di ogni cittadino, che lo Stato non è più in grado di garantire ai Veneti al punto che le cronache dei media, suffragate dalle statistiche, testimoniano di un vero e grave allarme sociale in atto". Lo denuncia il presidente della Regione del Veneto Luca Zaia, dicendosi "preoccupato e indignato" per i dati ministeriali sulla criminalità e per "le situazioni sempre più al limite" che emergono dalle cronache quotidiane e dalle richieste di aiuto dei cittadini. "Nella Marca Trevigiana - osserva Zaia - i reati complessivi calano di un insignificante 0,3%, ma aumentano del 9,4% i furti in casa, del 6% i borseggi, addirittura del 29,4% le rapine. A che cosa sia dovuto il calo davvero non si capisce. A Vicenza aumentano tutti i delitti del 3,8% e i furti in casa del 25%, così come a Verona (più 3,1%) dove il prefetto chiede più militari in strada. A Valeggio sul Mincio i cittadini hanno dovuto aprire una pagina Facebook per aiutarsi a vicenda a controllare il loro territorio; a Legnago insorgono perché si vuole tagliare la Polfer". "Questo è un vero e proprio bollettino di guerra - dice Zaia - e giustamente la gente pretende risposte, che di certo non possono venire dalla pur straordinaria abnegazione delle Forze dell’Ordine presenti sui territori, poche e mal pagate, né dalle polizie Urbane, che pur combattono anche esse la loro battaglia quotidiana ad armi impari. Servono più uomini e più mezzi - precisa Zaia - per presidiare il territorio e le strade, perché anche la sola presenza fisica dei tutori dell’ordine è fondamentale. Lo chiediamo con forza al Governo e al Viminale, perché, a forza di tagli, la resa ai delinquenti è vicina. E se proprio non ce la fanno, che mandino l’esercito, che sarebbe certamente più utile a difendere i cittadini italiani che non ad andare in giro per il mondo in missioni perlomeno discutibili". "E poi - aggiunge - basta scarcerazioni facili per risolvere il sovraffollamento delle carceri rimettendo i delinquenti nella condizione di delinquere, più attenzione all’ondata migratoria che può nascondere molte mele marce tra i profughi, pene più severe e certe per chi viola la legge. Infine - conclude Zaia - più attenzione alle condizioni psicologiche della gente, che è stufa. La soluzione della giustizia fai date è più vicina di quanto non si pensi. Non sarebbe una buona soluzione, sarebbe una sorta di dichiarazione di decesso dello Stato". Fossombrone (Pu): detenuto di 43 anni si impicca, aveva fine pena nel 2024 Il Quotidiano di Rimini, 19 novembre 2014 Forse quel fine pena fissato nel 2024, oppure un momento di depressione acuta. Fatto sta che Remo Busacchetti, 43 anni, originario di Casteldelci, detenuto dal 2000 per omicidio, il 4 novembre scorso si è impiccato annodando il lenzuolo del letto ad una sporgenza del bagno. Pochi secondi ed è sopraggiunta la morte. Senza che gli agenti della polizia penitenziaria potessero accorgersi di nulla: il bagno, infatti, era l'unico posto lontano dalla loro vista. Il detenuto tempo fa era stato sottoposto ad una visita psichiatrica che non aveva dato particolari preoccupazioni. Ed anche il periodo trascorso nel carcere marchigiano era stato privo di segnali che potessero far immaginare un simile e tragico epilogo. Intanto, ieri ai Casetti era in programma una visita dell'avvocato Davide Grassi, garante dei detenuti. Isernia: eseguita autopsia detenuto morto. Legale "fatti più seri di quanto immaginavamo" Ansa, 19 novembre 2014 È stata eseguita ieri sera dal medico legale Vincenzo Vecchione, all’obitorio dell’ospedale Cardarelli di Campobasso, l’autopsia sul corpo del detenuto romano morto una settimana fa in seguito ad un episodio dai contorni poco chiari avvenuto nel carcere di Isernia. L’esame disposto dal sostituto procuratore Federico Scioli è durato un paio di ore ed è stato effettuato alla presenza di due medici nominati dalla famiglia del detenuto e di un medico nominato dai due compagni di cella di quest’ultimo che sono indagati per lesioni aggravate. "I fatti sono più seri di quello che potevamo immaginare - ha detto all’Ansa, subito dopo l’autopsia, l’avvocato Salvatore Galeazzo, legale della famiglia del detenuto deceduto - per ora non posso dire altro, oltre non posso andare". I risultati ufficiali dell’esame si conosceranno all’inizio del prossimo anno. Il 45enne romano era stato ricoverato dopo il misterioso episodio avvenuto in cella all’inizio del mese: si era parlato di una caduta avvenuta mentre saliva su un letto a castello. Nei giorni successivi però la procura di Isernia ha indagato i due detenuti che erano con lui in quel momento. Napoli: detenuto muore in ospedale. I familiari denunciano "In carcere è stato picchiato" Corriere del Mezzogiorno, 19 novembre 2014 Quando fu ricoverato Luigi Bartolomeo presentava ecchimosi sul volto e sul corpo. Indaga la Procura. È morto ieri nella sala di rianimazione dell’ospedale Loreto Mare di Napoli dove era stato ricoverato il 22 ottobre scorso, Luigi Bartolomeo, il detenuto di 45 anni che secondo la denuncia dei familiari avrebbe subito pestaggi. Lo ha reso noto Pietro Ioia, presidente dell’associazione ex detenuti organizzati. In un primo momento i parenti e l’associazione avevano puntato l’indice contro le forze dell’ordine, successivamente riferirono che l’uomo, mentre era agli arresti domiciliari in casa, era stato aggredito e malmenato da due conoscenti del suo quartiere, Ponticelli, mandati dalla sue ex convivente. Sulla vicenda la procura di Napoli ha aperto una inchiesta coordinata dal procuratore aggiunto Luigi Frunzio. La procura disporrà l’autopsia, chiesta anche dall’avvocato Michele Capano, legale della famiglia Bartolomeo. Il penalista chiede che venga fatta chiarezza, in primo luogo sull’assistenza sanitaria prestata nel carcere di Poggioreale per verificare eventuali ritardi nel trasferimento dal penitenziario all’ospedale, avvenuto il giorno successivo all’ingresso in carcere. Bartolomeo, che presentava ecchimosi sul volto e sul corpo, fu ricoverato in prognosi riservata per gravi problemi polmonari. Poco dopo il ricovero entrò in coma dal quale non si è più risvegliato. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, lo scorso 21 ottobre Bartolomeo evase dalla sua abitazione del quartiere Ponticelli e fu arrestato dai carabinieri, che lo ricondussero a casa. Alcune ore dopo l’uomo evase nuovamente e fu arrestato dalla polizia: ma aveva già sul corpo i segni delle percosse, tanto che, prima di essere condotto in questura, fu accompagnato al Loreto Mare per essere medicato. Secondo indiscrezioni riferite da Pietro Ioia a picchiarlo sarebbero stati due conoscenti dello stesso quartiere su incarico della ex convivente. Roma: Cooperativa Cooss, dieci detenuti di Rebibbia ripareranno le auto dei vigili urbani Corriere della Sera, 19 novembre 2014 La cooperativa Cooss - che da 8 anni fa la manutenzione dei mezzi della penitenziaria - ha vinto l’appalto anche per le vetture dei "pizzardoni". L’officina è nel carcere. Le auto della Polizia municipale saranno aggiustate e rimesse in strada dai detenuti del carcere di Rebibbia. La cooperativa Cooss, infatti, ha vinto un appalto indetto dal Campidoglio per occuparsi della manutenzione dei mezzi in dotazione ai "pizzardoni" della Capitale. Dieci detenuti, chi carrozziere e chi meccanico, sono pronti già da due settimane ad occuparsi delle automobili in questione, spiega Edoardo Colangeli, gestore della cooperativa, "dal Campidoglio sono già arrivati i preventivi, ora aspettiamo i mezzi in officina dentro il carcere". La cooperativa si occupa già da 8 anni della manutenzione dei mezzi della Polizia penitenziaria e da due anni di quelli della Asl RmB e RmD. "I nostri detenuti - spiega Colangeli - sono più che felici di iniziare questa nuova avventura, hanno solo voglia di lavorare e basta. Tutti i dipendenti dell’officina, inoltre, sono assunti regolarmente con stipendio e relativi contributi". C’è una procedura da rispettare per mandare un’automobile a riparare presso la cooperativa. "Il giorno prima dell’entrata in officina della macchina - spiega Colangeli - il cliente deve mandarci il libretto. Dopo qualche ora arriva il pass per far entrare l’auto all’interno del carcere. Di solito ce ne occupiamo noi ma se il cliente vuole si può fare il pass anche per lui. La macchina viene controllata e perquisita sia all’entrata e sia all’uscita dal carcere, questo per evitare che qualche detenuto possa approfittarne ma quelli che lavorano qui vogliono solo fare il loro mestiere e basta". I prezzi concorrenziali sono stati sicuramente alla base della vincita del bando. "Noi chiediamo solo 20 euro l’ora di manodopera - prosegue Colangeli - abbiamo uno scontistica che varia in base al pezzo di ricambio che ci viene chiesto. I nostri prezzi sono tra i più bassi in Italia". Curiosità per l’esito di questa esperienza viene espressa dal comandante della Polizia Locale Raffaele Clemente. "Spero che sia una cosa redditizia, che sia anche una soluzione peri detenuti. Un meccanico resta un meccanico anche da dietro le sbarre. Proviamo a vedere come va. Può darsi che siano lenti o che non sappiano aggiustare le auto. Aspettiamo e speriamo che funzioni tutto per il meglio". Cagliari: ultimi giorni di vita per il Buoncammino, domenica 300 detenuti trasferiti a Uta di Matteo Vercelli L’Unione Sarda, 19 novembre 2014 Pronto un imponente servizio d’ordine per il trasferimento di circa 300 detenuti dal carcere di Buoncammino al nuovo penitenziario di Uta. Nei giorni scorsi il trasloco di armi e documenti. Cagliari si prepara a dire addio a un pezzo della sua storia: domenica all’alba inizierà il trasferimento di circa 300 detenuti dal carcere di Buoncammino alla nuova struttura di Uta. Di notte, se non ci saranno intoppi, il penitenziario nel cuore di Cagliari resterà praticamente vuoto. Tutto pronto dunque per un trasferimento che avverrà con un imponente servizio di sicurezza. Un piccolo antipasto si è avuto domenica scorsa con il trasloco di armi e documenti da Buoncammino a Uta. Sono state impegnate tutte le forze dell’ordine: Polizia, Carabinieri, Guardia di Finanza e la polizia municipale. In questi giorni circa sessanta carcerati, non diretti a Uta, lasceranno Buoncammino per finire negli altri penitenziari dell’Isola. Domenica il grande giorno. Le operazioni di trasferimento inizieranno all’alba. Tre bus, scortati da polizia e carabinieri, accompagneranno i detenuti a Uta. Previsti diversi viaggi. L’operazione verrà sorvegliata dall’alto anche da alcuni elicotteri. Nei giorni scorsi il deputato Mauro Pili aveva parlato di "disastro" riferendosi a Uta: "I lavori sono in alto mare", aveva denunciato il parlamentare di Unidos pubblicando su Facebook delle foto. La replica del direttore di Buoncammino, Gianfranco Pala, era stata immediata: "Il carcere di Uta è praticamente finito. Resta soltanto da completare la sezione del 41 bis e all’esterno i parcheggi e il campo sportivo. Inoltre così come succede a Bancali i lavori proseguiranno anche una volta che sono stati trasferiti i detenuti da Cagliari, visto che è un settore totalmente isolato". Non aveva parlato di date. Ora tutto è pronto: domenica notte Cagliari avrà dato l’addio al carcere di Buoncammino. Si aprirà poi la grande partita sul futuro della struttura. Il Ministero vorrebbe ospitare il carcere minorile. Il Comune di Cagliari spera di averlo a disposizione per utilizzarlo in altro modo. Trapani: detenuto aggredisce agente nel carcere di Favignana. Osapp "carenze personale" Ansa, 19 novembre 2014 "Un detenuto del carcere di Favignana nel pomeriggio di venerdì scorso ha aggredito per futili motivi un agente di polizia penitenziaria. Grazie all’intervento immediato di un altro collega si è scongiurato il peggio. L’agente aggredito ha dovuto far ricorso alle cure dei medici che hanno prescritto sei giorni di prognosi". Lo rende noto il segretario regionale dell’Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria (Osapp) Rosario Di Prima, sottolineando come nel carcere di Favignana vi è "una forte carenza di organici di polizia penitenziaria" e come nella struttura "vige già il regime attenuato". "Pare che l’episodio sia isolato - aggiunge Di Prima - e che non vi siano state altre situazioni che avrebbero potuto mettere in pericolo la sicurezza dell’istituto. È del tutto evidente che diversi fattori hanno determinato la criticità del caso e in primo luogo l’esiguità del personale di polizia penitenziaria in servizio". "La segreteria regionale dell’Osapp - conclude Di Prima - esprime piena solidarietà al collega aggredito con l’augurio di una pronta guarigione con la speranza che l’amministrazione penitenziaria riveda la propria posizione sugli organici". Solidarietà del Sindaco all’agente aggredito in carcere Il sindaco delle Isole Egadi, Giuseppe Pagoto, esprime a nome proprio e dell’Amministrazione che rappresenta, solidarietà all’agente di polizia penitenziaria aggredito da un detenuto del carcere di Favignana, e a tutto il personale che presta servizio all’interno della struttura: lavoratori che, al pari dei loro colleghi che operano in situazioni di tensione nelle carceri del nostro Paese, risultano esposti a stressanti condizioni di lavoro, anche a causa della forte carenza di organici di polizia penitenziaria, e a volte anche di pericolo. Perugia: con progetto "Un triennio di botanica", inaugurazione Orto botanico nel carcere Ansa, 19 novembre 2014 Sarà inaugurato domani, alle 10.30, "l’Orto botanico" del Complesso penitenziario di Perugia Capanne alla presenza del direttore della struttura, Bernardina Di Mario, e del vescovo ausiliare, mons. Paolo Giulietti. Questa iniziativa - riferisce una nota della Caritas diocesana - è il frutto del progetto "Un triennio di botanica (2012-2014)" realizzato grazie all’apporto della Fondazione Cassa di risparmio di Perugia e del Cesvol, messo a punto dall’Apv (Associazione perugina di volontariato), realtà promossa dalla Caritas diocesana, in linea con quanto indicato nel suo Statuto, che propone ad alcuni dei suoi soci di mettere a disposizione competenze, esperienze e buona volontà per la realizzazione del suddetto progetto. L’obiettivo è quello di una migliore qualità della vita e di riabilitazione carceraria. Del progetto, ricorda il presidente dell’Apv Maurizio Santantoni è stato parte integrante un corso di botanica, conclusosi recentemente. Gli studenti sono stati una quindicina, seguiti per tre anni dai consiglieri Apv Mauro Cagiotti, in qualità di docente e promotore dell’iniziativa, e Feliciano Ballarani, tutor del corso. In occasione dell’inaugurazione dell’Orto botanico verranno presentate anche le attività pratiche dagli studenti del corso, alcuni dei quali, ricorda il presidente dell’Apv, hanno trovato occupazione, altri hanno intenzione di svolgere nel futuro attività di coltivazione e di vivaismo, o di entrare nel settore dell’erboristeria; altri ancora hanno mostrato una predisposizione al disegno naturalistico, o allo studio-ricerca di piante antiche utilizzate nell’industria tessile. Verona: l’arte fotografica come riscatto sociale per cinque ragazzi con storie di detenzione L’Arena, 19 novembre 2014 La fotografia per riscattarsi da una vita sbagliata. È il progetto messo in campo dal Dipartimento Giustizia minorile del ministero della Giustizia, dalla Manfrotto, del Gruppo Vitec, leader mondiale nel settore fotografico e dall’istituto Don Calabria. Dopo una positiva prima esperienza a Napoli, la seconda tappa di "Picture of live", presentata a Palazzo Barbieri dall’assessore ai Servizi sociali Anna Leso, prenderà il via sabato prossimo a Verona. L’obiettivo è dare un futuro professionale a un gruppo di cinque giovani con procedimenti penali, seguiti dai servizi della giustizia minorile del Triveneto. Con l’assessore c’erano Paolo Attardo, direttore del Centro per la Giustizia minorile del Veneto, Friuli Venezia Giulia e delle Province autonome di Trento e Bolzano, Alessandro Padovani, direttore dell’istituto Don Calabria e la direttrice Marketing Communications Vitec Group Loredana Mariani. "Questo progetto", esordisce, l’assessore, "rappresenta un bell’esempio di collaborazione tra istituzioni, enti pubblici e imprese, in un’azione di responsabilità sociale". Il percorso, che terminerà nel gennaio 2015, si avvale della professionalità di fotografi del team Manfrotto. Al termine sarà allestita una mostra delle foto realizzate dai ragazzi. I più "creativi" avranno la possibilità di essere coinvolti in una collaborazione con la Manfrotto, ma a tutti resterà un bagaglio di esperienza, oltre che l’attrezzatura, "spendibile dal punto di vista artistico e del lavoro", sottolinea Attardo, "anche in un momento di grave crisi economica". E Padovani parla di "investimento importante sulle capacità dei ragazzi coinvolti". Loredana Mariani evidenzia "l’esperienza positiva" della prima tappa di Napoli. "An-chea Verona i ragazzi avranno l’opportunità di mettersi in gioco, imparando le tecniche della fotografia con cui esprimere la propria creatività, un investimento personale per costruire competenze e sviluppare attitudini professionali". "Abbiamo gettato un seme e questa esperienza ha segnato anche noi", commentano Christian Patrick Ricci e Mirko Sotgiu, due dei fotografi professionisti coinvolti nel progetto. "La fotografia è linguaggio, oltre che tecnica, e ai ragazzi ha aperto un mondo che non conoscevano, rompendo schemi, creando curiosità e facendo loro scoprire che ci sono altri modi positivi per vivere... Non è facile, ma ora lastrada è aperta". Bologna: oggi in carcere prova di teatro con "Dodici metri quadrati di Gerusalemme" Ansa, 19 novembre 2014 Prova aperta oggi al carcere della Dozza di Bologna per il Teatro del Pratello, con "Dodici metri quadrati di Gerusalemme in carcere", laboratorio avviato a febbraio con attori detenuti sulla Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso per attività di scrittura, canto e teatro. Tra il pubblico sono annunciate due classi quinte del liceo Laura Bassi di Bologna, oltre a operatori e addetti ai lavori. L’appuntamenti è parte del progetto Stanze di Teatro in Carcere del coordinamento Teatro Carcere Emilia Romagna, associazione che raccoglie chi fa progetti teatrali in sei carceri della regione. Il programma 2014-2015, che vede tutte le realtà del Coordinamento impegnate sulla Gerusalemme Liberata, si concluderà con sei spettacoli all’interno delle Case Circondariali o, in alcuni casi, nei teatri della regione. L’esito del laboratorio verrà intanto presentato nei prossimi giorni anche al carcere di Ferrara (24 novembre, Casa Circondariale, prova aperta "Tasso-Materiali", regia Horacio Czertok del Teatro Nucleo, partecipa il liceo Ludovico Ariosto) e alla casa lavoro di Castelfranco Emilia (Modena) il 21 novembre, con "Gerusalemme Liberata!" a cura di Stefano Tè del Teatro dei Venti. Sabato verrà inoltre presentato a Parma il secondo numero della rivista Quaderni di Teatro Carcere, annunciati tra gli altri Cristina Valenti e il regista Paolo Billi. Bari: "Libere di danzare", un laboratorio di espressione artistica rivolto alle detenute Ansa, 19 novembre 2014 È stato presentato ieri, a Palazzo di Città, a Bari, alla presenza dell’assessora al Welfare Francesca Bottalico e della presidente dell’associazione culturale "A Mick" Elisabetta Pennelli, il progetto "Libere di danzare", un laboratorio di espressione artistica rivolto alle detenute del carcere di Bari. Il progetto, che gode del patrocinio del Comune, nasce in collaborazione con le associazioni culturali "Le ali di Iside" e "Gens Nova", presiedute da Marilena De Letteriis e Antonio La Scala. "Il progetto "Libere di danzare" che l’Assessorato al Welfare promuove con l’associazione A Mick" - ha detto Bottalico - è coerente con l’impegno di questo assessorato di attraversare i luoghi, i tempi, le storie personali dei soggetti che si trovano in momenti di particolare fragilità. Un modo per aiutare le donne detenute a rielaborare i propri vissuti, recuperare la propria dimensione individuale, offrirsi la possibilità di scelte diverse oltre e dopo il carcere". Il modo in cui questo progetto pensa di poter contribuire al raggiungimento della valorizzazione della donna detenuta - ha spiegato Elisabetta Pennelli, ideatrice del progetto "Libere di danzare" - "è la creazione di un laboratorio artistico all’interno delle carceri che punti sulla "danza terapia", nel nostro caso la danza medio-orientale, come sistema per sollecitare l’area emotiva delle detenute portandole, a passo di danza, a rafforzare la capacità di manifestare positivamente i propri vissuti emotivi, sostenendo il superamento di paure e fobie con il chiaro intento di migliorarne l’autostima". Il progetto "Libere di danzare", condotto da tre danzatrici dell’associazione culturale "Le ali di Iside", sarà rivolto a tutte le detenute ritenute idonee dalla Direzione Penitenziaria e partirà il prossimo 27 novembre (tutti i giovedì dalle ore 16.00 alle ore 17.30). Televisione: Bergonzoni torna in tv e racconta il carcere con "Urge… dietro le sbarre" Il Velino, 19 novembre 2014 Su laeffe. A seguire il documentario di Filippo Vendemmiati girato alla Dozza di Bologna. Nuovo appuntamento d’autore su laeffe con il ritorno in televisione di Alessandro Bergonzoni domani alle 21.10 nello speciale "Urge… dietro le sbarre" cui seguirà in esclusiva tv il film doc "Meno male che è lunedì" firmato dal giornalista e regista Filippo Vendemmiati. Una serata per parlare, entrare, evadere e raccontare un tema che "urge", il carcere e le sue storie. Bergonzoni elabora ad hoc frammenti del suo spettacolo teatrale "Urge" insieme alle sue riflessioni sul tema carcerario. "Bisogna compiere un ‘voto di vastita" per vedere che non esiste un fuori e un dentro? Siamo tutti registi, autori, sceneggiatori, comparse e attori di un film sul carcere. Siamo noi che possiamo fare azioni, oltre a fare volontariato, sensibilizzare, andare nelle scuole". Invita l’artista bolognese: "Ci vuole tenerezza, il diritto alla tenerezza nelle carceri, la tenerezza sta chiedendo da secoli di entrare nelle carceri. Ci sono dei temi poetici, prima che etici. Ci sono dei temi artistici prima che morali". A seguire "Meno male è lunedì" film-documentario interamente girato tra le stanze del penitenziario della Dozza. La pellicola racconta l’esperienza di tre aziende bolognesi che hanno aperto una sede di lavoro nell’ex palestra della struttura di detenzione. Una storia positiva sul valore che il lavoro, la solidarietà, l’impresa ha nella vita di ognuno, anche dietro le sbarre. Nell’opera di Vendemmiati, regista già vincitore del David di Donatello 2011, si va alla ricerca del sorriso, della tenerezza, della punizione e della pena che diventa poi speranza, futuro, lavoro, risata e riflessione culturale. Chiude la serata l’anteprima dello spettacolo Ti aspetto fuori", il laboratorio teatrale comico che ha portato 15 detenuti sul palco di un noto cabaret milanese: perché la forza della risata, fuori e dentro il carcere, è l’arma che stempera le angosce della vita di ciascuno di noi. Droghe: "guerra alla droga" e "sicurezza", parole da riscrivere di Grazia Zuffa Il Manifesto, 19 novembre 2014 Da tempo il tema della sicurezza domina il dibattito pubblico e il binomio droga-sicurezza ha storicamente occupato la scena, anche se oggi sembra sopravanzato dall’allarme per lo straniero, nelle nostre città sempre più affollate di poveri e deprivate di servizi e di opportunità. Tuttavia, il "discorso droga" rimane centrale per comprendere il "discorso sicurezza" e viceversa. Nel recente convegno svoltosi a Perugia, promosso dal dipartimento di giurisprudenza e dalla Regione Umbria. Quali politiche per la sicurezza?, Giuseppe Mosconi avanzava riserve sul termine stesso "sicurezza", che evoca una minaccia da cui difendersi, condizionando la conseguente risposta "contro". Le politiche sulle droghe a livello internazionale si sono costruite fin dall’origine come politiche "contro" per eccellenza (la "minaccia droga"): miranti a "ridurre fino a eliminare la disponibilità di droghe illegali" tramite lo strumento penale (questa è ancora la dizione che recitano le dichiarazioni finali dei meeting periodici delle Nazioni Unite). Da notare: in ossequio a questa finalità "contro", le convenzioni internazionali, e a cascata le leggi nazionali, vanno contro principi consolidati del diritto, come quello della proporzionalità della pena in relazione alla consistenza del reato: non solo le pene legate alla droga sono in genere elevate, più elevate dei reati di violenza, ma i reati minori sono schiacciati su quelli più gravi: basti pensare all’equiparazione della semplice cessione di droga (senza alcun lucro) sullo spaccio. La scelta della proibizione cento anni fa si fondò sull’idea che l’uso di determinate sostanze psicoattive causasse il "degrado" personale, familiare e sociale e spingesse al crimine, convogliando il biasimo su coloro che indulgevano all’uso di droghe, piuttosto che sulla povertà e le ineguaglianze sociali. Oggi la ricerca ci dice che la gran parte dei consumatori di droghe illegali riesce a tenere sotto controllo i consumi, così come avviene per l’uso di bevande alcoliche. E come ha mostrato il criminologo Alex Stevens nel suo libro Drugs, Crime and Public Health, esistono solide evidenze che i danni legati alle droghe (in particolare l’uso intensivo e la violenza legata al mercato illegale) si concentrano nelle aree socialmente deprivate. Dunque, egli sostiene, la lotta all’ineguaglianza dovrebbe essere centrale nell’affrontare la questione sicurezza. Ciò non è, anzi. Il tema droghe-sicurezza è occupato dalle politiche "dure", che si presentano senza alternative. Nonostante la politica cerchi di rilegittimarsi tramite il modello tecnocratico, con relativa enfasi sul ruolo degli esperti e della scienza, il discorso politico sulla droga si fa forza invece del suo valore simbolico, dell’essere "contro", senza compromessi e mediazioni. La costruzione della "minaccia" droga permette di governare i conflitti delle società post moderne, giustificando le disuguaglianze fra cittadini in termini di diritti, garanzie, accesso al bene sicurezza, a scapito di chi usa droghe. Se l’establishment politico, internazionale e nazionale, sembra incapace di una svolta, la spinta viene "dal basso": dal movimento per la legalizzazione della cannabis negli Stati Uniti, dal rifiuto della "guerra alla droga" nei paesi dell’America Latina, dalla "resistenza" (nonostante i tagli al welfare) della riduzione del danno: intesa come paradigma di risoluzione dei conflitti (si pensi ai conflitti urbani) tramite la mediazione fra soggetti e interessi diversi, per garantire opportunità e diritti per tutti, senza discriminazioni. Saprà questa spinta influire sulla prossima Assemblea Generale dell’Onu sulle droghe del 2016? Questa è la sfida che ci sta di fronte. India: Tomaso Bruno e Elisabetta Boncompagni in carcere, slitta causa Corte Suprema Ansa, 19 novembre 2014 La Corte Suprema indiana non è riuscita a esaminare oggi per mancanza di tempo il ricorso di Tomaso Bruno e Elisabetta Boncompagni, i due italiani condannati all’ergastolo per omicidio, nonostante la promessa fatta una settimana fa di trattare il caso "in via di urgenza". Lo ha appreso l’ANSA sul posto. L’esame dell’appello era stato fissato presso la terza sezione del tribunale con il numero di ordine 17, ma i giudici hanno discusso soltanto sei casi. Prima dell’avvio delle udienze, gli avvocati di Bruno e Boncompagni hanno sollecitato la Corte a anticipare il processo nel calendario odierno ricordando che il caso doveva essere prioritario in quanto coinvolgeva due stranieri. Ma i giudici (Anil R. Dave e Kurian Joseph) hanno replicato che oggi c’erano anche altre cause che avevano la precedenza. Quindi la causa slitta ora al prossimo martedì. In aula erano presenti l’ambasciatore d’Italia a New Delhi, Daniele Mancini, e Marina Maurizio, madre dell’albenganese Tomaso. Iran: per la Procura Ghoncheh Ghavami è stata arrestata per suo ruolo nell’opposizione La Presse, 19 novembre 2014 Ghoncheh Ghavami, arrestata in Iran a giugno, è stata fermata dalle autorità a causa dei suoi legami con l’opposizione e non per avere cercato di assistere dagli spalti alla partita di pallavolo maschile fra Iran e Italia. Lo rende noto l’agenzia di stampa di Stato Isna, citando un comunicato della procura di Teheran. La nota afferma che Ghavami, cittadina iraniano-britannica, ha avuto un ruolo attivo nelle proteste all’estero contro il governo e ha mantenuto contatti con canali satellitari come Bbc Farsi, vietato in Iran perché accusato di fomentare le tensioni nel Paese. Dal giorno dell’arresto, la 25enne Ghavami è trattenuta senza accuse formali e nei suoi confronti non sono stati emessi verdetti o sentenze. Tuttavia, nei giorni scorsi il suo avvocato ha fatto sapere di avere visionato la bozza di una condanna a un anno di carcere nei confronti della donna, per avere "fatto propaganda contro il governo". Il comunicato della procura non fa riferimento ad alcuna condanna e afferma che il caso è ancora in esame. Abu Dhabi: oscura realtà di arresti, sparizioni e torture, dietro il clamore della Formula 1 La Repubblica, 19 novembre 2014 La denuncia di Amnesty International. Lo scarto tra l’immagine che gli Emirati Arabi Uniti cercano di dare di sé - un’economia moderna, dinamica e in rapido sviluppo, hotel di prestigio, grattacieli e centri commerciali all’avanguardia - e la realtà, in cui il dissenso viene regolarmente colpito con persecuzioni. In un rapporto pubblicato alla vigilia del Gran premio di Formula 1 di Abu Dhabi - previsto per il 23 novembre prossimo - Amnesty International ha denunciato il profondo scarto esistente tra l’immagine che gli Emirati Arabi Uniti cercano di dare di sé - un’economia moderna, dinamica e in rapido sviluppo, hotel di prestigio, grattacieli e centri commerciali all’avanguardia - e la più oscura realtà, in cui il dissenso viene regolarmente colpito con persecuzioni, arresti, condanne, sparizioni forzate e in alcuni casi torture. In un clima di paura. Il rapporto di Amnesty International descrive il clima di paura che si è instaurato nel paese a partire dal 2011, ovvero da quando le autorità hanno fatto ricorso a misure estreme per ridurre al silenzio ogni critica, dissenso e richiesta di riforme. "Dietro una facciata sfarzosa e scintillante, gli Emirati Arabi Uniti nascondono la natura repressiva delle proprie istituzioni nei confronti di attivisti che è sufficiente postino un tweet critico per finire nei guai" - ha dichiarato Hassiba Hadj Sahraoui, vicedirettrice del programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International. "Milioni di spettatori di ogni parte del mondo vedranno il Gran premio di Abu Dhabi, nella maggior parte dei casi ignorando com’è fatta la vita di ogni giorno degli attivisti degli Emirati Arabi Uniti, anche a causa del silenzio della comunità internazionale, che preferisce gli affari alla difesa dei diritti umani" - ha proseguito Sahraoui. Le categorie sociali perseguitate. Tra le persone prese di mira dalle autorità figurano avvocati, professori universitari, studenti, attivisti della società civile. Alcuni di essi sono legati all’Associazione per la riforma e la guida sociale (al-Islah), un’organizzazione popolare e pacifica che le autorità accusano di essere legata alla Fratellanza musulmana egiziana. La repressione si manifesta anche attraverso la revoca della cittadinanza e le ripercussioni nei confronti dei familiari, che si vedono bloccare l’accesso alle carriere professionali e universitarie. Il giro di vite dal marso 2011. Il giro di vite è iniziato nel marzo 2011, a seguito di una petizione sottoscritta da 133 persone in favore di riforme politiche, tra cui il diritto di voto per eleggere il parlamento. Più di 100 firmatari sono stati processati per minaccia alla sicurezza nazionale o reati informatici. Oltre 60 di loro sono stati condannati a pene fino a 14 anni. Uno di loro è Mohammed al-Roken, noto avvocato per i diritti umani, già da anni nel mirino delle autorità per aver criticato la situazione dei diritti umani nel paese e aver chiesto riforme democratiche. Sta scontando una condanna a 10 anni di carcere, inflitta al termine del cosiddetto "processo dei 94" dalla sezione per la sicurezza dello stato della Corte suprema federale. Le irregolarità nel processo giudiziario. Il "processo dei 94" è stato segnato da numerose irregolarità. Complessivamente, il sistema giudiziario degli Emirati Arabi Uniti non è indipendente né imparziale; i tribunali spesso non sembrano far altro che mettere il timbro su decisioni prese dal potere esecutivo. In molti casi, i processi di basano su "confessioni" estorte ai detenuti, che non possono vedere gli avvocati né presentare appello contro le condanne. Un altro caso è quello di Osama al-Najjar, un attivista di 25 anni arrestato nel marzo 2014 per aver scritto su Twitter a proposito dei maltrattamenti subiti da suo padre, Hussain Ali al-Najjar al-Hammadi, e da altri prigionieri politici della prigione al-Razeen, ad Abu Dhabi. Dopo l’arresto, Osama al-Najjar è stato posto isolamento e, secondo quando ha denunciato, è stato picchiato e preso a pugni sul volto e sul corpo e minacciato di essere torturato con le scariche elettriche. Suo padre, arrestato nel 2012, sta scontando una condanna a 11 anni di carcere per vaghe imputazioni relative alla sicurezza nazionale. Nei primi otto mesi dall’arresto, è rimasto in isolamento in condizioni equivalenti a una sparizione forzata. Le accuse di torture in carcere. Alcuni prigionieri hanno denunciato di essere stati sottoposti a maltrattamenti e torture durante gli interrogatori. Tra i metodi riferiti, lo strappo delle unghie, la rasatura della barba e del petto, i pestaggi, la sospensione a testa in giù per lunghi periodi di tempo e le minacce di scariche elettriche, stupro e morte. Il rapporto di Amnesty International contiene una serie di richieste urgenti alle autorità degli Emirati Arabi Uniti: cancellare le leggi che criminalizzano l’esercito pacifico dei diritti alla libertà d’espressione e d’associazione, compresa la legge sui reati informatici e la nuova legge antiterrorismo dell’agosto 2014; porre immediatamente fine agli arresti e alle condanne dei prigionieri di coscienza e alle sparizioni forzate; condannare pubblicamente la tortura e prendere misure efficaci per proibirla e prevenirla; indagare in modo indipendente e imparziale sulle denunce di tortura e portare i responsabili di fronte alla giustizia. Le risposte delle autorità. Le autorità degli Emirati Arabi Uniti hanno risposto alle preoccupazioni espresse nel rapporto di Amnesty International affermando che la promozione dei diritti umani è "un processo in corso". "Gli Emirati Arabi Uniti non possono proclamare di essere una nazione progressista o vantarsi di far parte del Consiglio Onu per i diritti umani e un partner economico di livello internazionale e contemporaneamente chiudere in carcere chi si limita a esprimere pacificamente le sue idee. Le autorità devono mostrare il loro reale impegno verso i diritti umani attraverso misure rapide e concrete e non giri di parole che servono solo a oscurare la spietata repressione interna" - ha concluso Sahraoui.