Giustizia: rivoluzione in arrivo… niente processo per i piccoli reati di Silvia Barocci Il Messaggero, 16 novembre 2014 I furti al tempo della crisi raccontano storie di anziani indigenti che con imbarazzata circospezione nascondono scatolette di tonno o confezioni di parmigiano. Li chiamano reati "bagatellari", che in Italia vanno sempre perseguiti. Per velocizzare la giustizia in arrivo un decreto legislativo: stabilirà "l’improcedibilità per tenuità" del danno arrecato. Ci sarà l’archiviazione per la vecchietta che ruba la mozzarella al supermercato, ma il comportamento non deve essere abituale. I furti al tempo della crisi raccontano storie di anziani indigenti che con imbarazzata circospezione nascondono scatolette di tonno o confezioni di parmigiano, ma anche la paradossale fine dell’epopea criminale di Renato Vallanzasca, l’ex capo della banda della Comasina pizzicato a rubare un paio mutande in un supermercato. Li chiamano reati "bagatellari", che però in Italia vanno sempre e comunque perseguiti in ossequio al principio dell’obbligatorietà dell’azione penale. Con l’effetto di rallentare la già farraginosa giustizia italiana. Ma entro breve, forse già a partire dal 2015, non sarà più così. Il ministro della Giustizia Andrea Orlando ha trasmesso a Palazzo Chigi il testo di un decreto legislativo delegato che introduce nel codice la "non punibilità per particolare tenuità del fatto". Cinque articoli in tutto, attesi entro dicembre - termine dell’esercizio della delega che proviene dalla recente legge sulla messa alla prova. Una vera rivoluzione. La bozza del provvedimento prevede che "nei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, l’offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale". Tradotto dal "giuridichese", significa che truffe o furti semplici, oppure lievi forme di abuso d’ufficio o di peculato d’uso potranno esser chiusi subito, senza alcun processo. A condizione, però, che l’offesa sia tenue e che il comportamento dell’autore non sia abituale. Il furto di una bici di non grande valore, ad esempio, può finire in sede penale col proscioglimento per tenuità del fatto, a meno che il giudice non trovi di fronte a sé un ladro di biciclette di professione. E la persona offesa? Il proprietario del supermercato che un giorno vede sparire dagli scaffali due scatolette di tonno da tre euro e che l’indomani si accorge di un altro affamato indigente in azione? Non avrà voce in capitolo? Chi ha subito il danno potrà sempre far valere le sue ragioni in sede civile. In ogni caso, il decreto Orlando prevede che la vittima, entro dieci giorni, possa prendere visione degli atti e presentare opposizione alla richiesta di archiviazione del pm. A decidere sarà il giudice, che con un inevitabile margine di discrezionalità dovrà bilanciare le esigenze dell’indagato e quelle della persona offesa. Alcuni la definiscono "depenalizzazione in concreto": non potendo depenalizzare il furto semplice o quei reati di allarme sociale che hanno una pena fino a cinque anni, si è trovato il modo di far uscire dall’area di punibilità fatti "immeritevoli". In questo modo - è scritto nella relazione - non solo si "contribuisce a realizzare l’esigenza di alleggerimento del carico giudiziario", ma anche quello del "principio di proporzione", essendo il "dispendio di energie processuali per fatti bagatellari del tutto sproporzionato sia per l’ordinamento sia per l’autore, costretto a sopportare il peso anche psicologico del processo a suo carico". Pare di vederlo, l’imbarazzato sessantenne di Torgiano che ha fatto scivolare nella tasca del cappotto un pezzo di parmigiano. Certo, dovesse ripetere il furto, l’archiviazione sfumerebbe. Giustizia: responsabilità civile dei magistrati, l’arresto immotivato non sarà punibile Il Garantista, 16 novembre 2014 La legge-clou della riforma della giustizia, quella destinata a suscitare lo scontro più aspro tra governo e toghe, non è certo quella sul falso in bilancio, e neppure la norma che introduce l’auto-riciclaggio o il ddl in preparazione sul processo penale. Ad aver già surriscaldato gli animi fino alle minacce di sciopero arrivate domenica scorsa dall’assemblea dell’Anm è la riforma della responsabilità civile dei magistrati. Un testo che in realtà modifica la preesistente legge Vassalli soprattutto in un punto: il filtro di ammissibilità delle cause intentate dai cittadini, che viene abolito. È il passaggio sul quale si fonda anche il parere negativo consegnato al ministro Andrea Orlando dal Csm. Il guardasigilli è consapevole che il confronto con la magistratura procede su un filo sottilissimo, e intende far arrivare in porto una legge priva di ulteriori aspetti controversi. Da mercoledì prossimo inizia l’esame dell’aula di Palazzo Madama, dopo un lavoro in commissione Giustizia durato quasi un anno. Ma il giorno prima Orlando dovrebbe incontrare il capogruppo del Pd al Senato Luigi Zanda per fare il punto della situazione. Gli chiederà anche di far passare un emendamento governativo al testo varato in commissione, una modifica con cui verrà eliminata una norma approvata in extremis la settimana scorsa, relativa alla custodia cautelare. In pratica, i senatori della maggioranza hanno introdotto tra gli errori per i quali un magistrato può essere esposto a un’azione di responsabilità anche il difetto di motivazione di un provvedimento di arresto. A Orlando questa novità non è piaciuta: "Non ha senso definire in modo così dettagliato questo tipo di situazioni, paradossalmente l’eccessiva puntualizzazione può far incrementare gli abusi". A maggior ragione non avrebbe senso, per il guardasigilli, innalzare su un punto del genere il livello dello scontro con le toghe. A Zanda verrà dunque chiesto di consentire l’eliminazione di quel comma. Nel caso piuttosto remoto in cui non si riuscisse a trovare un’intesa con i senatori della maggioranza, Orlando sarebbe anche pronto a sostituire l’articolato all’esame di Palazzo Madama con un decreto legge, anche per evitare la procedura d’infrazione già minacciata dalla Ue. Giustizia: "lo Stato difende chi è Stato", un giusto processo per i morti di carcere? di David Gallerano www.pagina99.it, 16 novembre 2014 Spazi isolati e omertà, perfino fra i detenuti. Tutti gli ostacoli alla verità raccontati dai legali delle vittime. È quasi cattedratico il tono con cui gli ultras della Roma hanno commentato - a mezzo striscione - la sentenza del processo Cucchi. "Lo Stato difende chi è Stato", così insegna chi pensa di saperla lunga, segnato da un’esperienza pluridecennale di confronti con la polizia. Esiste un meccanismo protettivo con cui lo Stato difende, sistematicamente, i suoi uomini che sbagliano? A crederlo non è solo, o non più soltanto, chi è in conflitto ideologico con il potere costituito. Lo dimostrano le vaste proteste di queste settimane, e ne sono certi anche i difensori delle vittime. Rimane comunque difficile individuare come questo meccanismo protettivo s’inneschi e chi sia responsabile del suo funzionamento. Nel caso dell’assoluzione dei 12 imputati per la morte di Cucchi, la famiglia e i suoi legali hanno dichiarato di avere massimo rispetto per l’autorità giudicante. Mario Lucio d’Andria è "persona serissima" per l’avvocato Fabio Anselmo, che rappresenta la famiglia Cucchi. Poiché il giudice decide in base alle prove che gli sono state fornite, è allora naturale che i sospetti si addensino sulle attività di indagine. "È principalmente un fatto di uomini. Molti magistrati sono refrattari a indagare sui loro principali collaboratori" dice Anselmo a pagina99. "Non tutti i pm hanno quella curiosità istituzionale che scaturisce dal presupposto che la legge è uguale per tutti". È vero, conferma l’avvocato Francesco Romeo, difensore di alcuni ragazzi torturati durante il G8 di Genova, "nella procura scatta una specie di riflesso pavloviano quando si tratta di indagare sulla polizia". Ma non si può generalizzare. A volte un pm può essere sostituito e un processo riprendere linfa, come nel caso della morte di Giuseppe Uva. Ma un pubblico ministero come Agostino Abate, nei confronti del quale la Procura generale della Cassazione ha avviato un procedimento disciplinare imputandogli la violazione di tre articoli del codice di procedura penale, e che urlava in faccia al teste chiave per aver chiesto, alla terza ora di interrogatorio, un caffè, rimane comunque un caso eccezionale. E rispetto a Pavlov, rassicura l’altro legale della famiglia Cucchi, Alessandro Gamberini, "il riflesso nei pm era sicuramente più forte anni fa che adesso". Le indagini su casi del tipo Cucchi, o Uva, presentano problematiche che vanno oltre la buona volontà del singolo pm. In primo luogo, segnala Gamberini, c’è "l’abitudine inveterata di far coincidere i corpi di polizia che svolgono le indagini con quelli che hanno commesso gli abusi". Carabinieri indagano su carabinieri, polizia su polizia, "in contraddizione con la giurisprudenza della Corte europea di Strasburgo". Per Simona Filippi, difensore civico di Antigone Onlus, le difficoltà si annidano nelle circostanze in cui avvengono i fatti. Le caserme, come le celle di sicurezza, sono spazi contraddistinti da un totale isolamento. Nessuno, oltre i carnefici e la vittima, è presente nei luoghi dove vengono perpetrate le violenze. Se la vittima non muore, ne consegue una dinamica processuale di uno contro l’ altro, dove l’uno è un servitore dello Stato nell’esercizio delle proprie funzioni, e l’altro un individuo detenuto o fermato, il quale a volte non è nemmeno nel pieno delle proprie funzioni cognitive, perché ubriaco, drogato o sotto shock. Accade che qualcuno oda qualcosa fuori dalla stanza, come il detenuto ghanese Samura Yaya nel caso Cucchi o l’amico di Uva, Alberto Bigioggero. Grazie a loro si spezza una catena di omertà che lega forze di polizia, guardie carcerarie, dirigenti, medici e finanche i detenuti, molti dei quali, secondo Filippi, aderiscono a un codice criminale secondo cui "parlare è da infami", fosse pure per denunciare gli abusi delle guardie. Oppure tacciono per evitare ritorsioni, come suggerisce la storia di Cucchi che, ai medici che gli chiedevano delle sue lesioni, rispose di essere caduto dalle scale. Come soluzioni, Gamberini propone telecamere nelle caserme e nelle celle e numero identificativo sulle divise dei poliziotti. Filippi suggerisce la rimozione degli "scandalosi ostacoli burocratici che impediscono ai familiari di vedere il proprio congiunto detenuto nelle ore immediatamente successive all’arresto". Perché la vittoria della giustizia non finisca per dipendere soltanto da quei singoli individui, soprattutto stranieri ed emarginati, che posseggano "un’ingenuità positiva" - come la definisce l’avvocato Gamberini - contrapposta "all’italico approccio di diffidenza nei confronti dello Stato". Giustizia: "via dall’Italia"… caccia al migrante, anche in cella replicata la discriminazione di Damiano Aliprandi Il Garantista, 16 novembre 2014 Per loro le garanzie di difesa sono meno tutelate: non possono quasi mai assicurarsi un avvocato di fiducia e devono ricorrere a quelli d’ufficio. Gli immigrati sono il capro espiatorio del disagio sociale che si vive nelle periferie abbandonate delle città. Alcuni politici alimentano la rabbia dei cittadini indirizzata verso lo straniero auspicando il rimpatrio degli immigrati. La stessa identica cosa, o addirittura amplificata, la si vive all’interno della disastrata istituzione carceraria: anche in questo caso la parola d’ordine per risolvere il problema carcerario è "Rispedire i detenuti immigrati alle carceri del loro Paese". Se gli immigrati vivono una forte discriminazione sociale, dentro le mura carcerarie il problema è amplificato e totalizzante. Con la crisi dello Stato sociale e la corrispondente opzione a favore di una risposta penale per tutti quei fenomeni che vengono messi in relazione alla questione della sicurezza e in particolare della sicurezza urbana, a fare le spese di questa "giustizia penale" sono sempre più spesso i "soggetti deboli", cioè quelle categorie di persane che incontrano maggiori handicap nell’accesso ai diritti e alle garanzie (sempre più ridotte) offerte dai sistemi sociali: tra questi si inseriscono a pieno titolo gli stranieri, la cui presenza in carcere infatti negli ultimi anni è notevolmente aumentata, sia in termini assoluti che percentuali. Oggi gli stranieri detenuti in Italia sono quasi un terzo della popolazione detenuta, pari al 29,5% delle presenze in carcere, Alla fine degli anni 80, quando il fenomeno dell’immigrazione straniera cominciava a farsi strada, un detenuto su otto era straniero. Nel 1991 la percentuale di stranieri tra i nuovi ingressi in carcere era esattamente del 17,3% e nel giro di 5 anni (1996) la percentuale arrivò al 28,1%, cioè più di una persona su quattro. Nel 1999 è stata poi superata la soglia di uno su tre e nel 2000 la quota di stranieri sui nuovi giunti è salita ancora fino al 36,2%. Ma quali sono le ragioni dell’aumento della presenza di detenuti stranieri? Innanzitutto bisogna sottolineare che, parlando in generale di criminalità straniera e in particolare di stranieri in carcere, il dato percentuale andrebbe sempre usato con attenzione poiché si presta a facili mistificazioni, E infatti un dato che riflette non solo l’aumento del numero di persone straniere che entrano in contatto col sistema penale e carcerario, ma anche il parallelo calo del numero di cittadini italiani che vivono un’esperienza di detenzione. La criminalità straniera in Italia è ovviamente in aumento ma è un dato che va di pari passo con lo stabilizzarsi degli immigrati nel nostro paese: il trend di aumento della criminalità straniera, ricostruito in base ai dati sulle denunce a carico di cittadini stranieri e sugli ingressi di stranieri in carcere, è infatti del tutto simile a quello del numero di permessi di soggiorno concessi a cittadini stranieri. Ma c’è un altro motivo importante del perché gli stranieri detenuti risultano in aumento: nei loro confronti vengono spesso intrapresi percorsi penali differenziati rispetto a quelli riservati agli italiani. Per gli stranieri si fa un notevole ricorso alla custodia cautelare e questo fa sì che quasi il 60% degli stranieri nelle carceri italiane siano detenuti in attesa di giudizio, mentre tra gli italiani il dato scende al di sotto del 40%. L’aumento dei detenuti stranieri in carcere è dovuto certamente alle scelte politiche di repressione del crimine e di gestione del fenomeno immigrazione, ma anche a problematiche specifiche del sistema giudiziario e penale italiano che, proprio dì fronte all’affermarsi in Italia di una ampia fascia di criminalità straniera, sta manifestando nuove e pesanti criticità. Si può notare innanzitutto che, se gli stranieri compiono mediamente reati meno gravi degli italiani, si tratta però proprio di quei reati (furti, scippi, spaccio di droga) più frequentemente associati alle istanze securitarie che tanto spazio hanno avuto nell’agenda pubblica del nostro paese negli ultimi anni, e che parallelamente sono diventati ancora più l’oggetto privilegiato delle politiche di controllo del territorio e dell’attenzione delle forze dell’ordine. Inoltre, trattandosi per lo più di reati di strada, l’individuazione dell’autore di questo tipo di crimini coincide per lo più con un arresto in flagranza di reato. Quindi senza dover ricorrere a un notevole impiego di risorse investigative, come invece esigono, ad esempio, ì reati economici e finanziari. Una volta entrati in contatto con il sistema penale italiano, è facile riscontrare come i cittadini stranieri subiscano ulteriori situazioni di discriminazione di fatto. Per loro lo garanzie di difesa in sodo processuale risultano essere meno tutelate per una serie di ragioni: non possono quasi mai assicurarsi un difensore di fiducia e devono quindi ricorrere a difensori d’ufficio; c’è la difficoltà linguistica di comunicazione e di scarsa conoscenza del sistema giuridico italiano. Ma soprattutto è facile dimostrare che nei confronti degli stranieri provenienti dai paesi poveri, come avviene spesso anche per gli altri "soggetti deboli", l’istituzione giudicante mostra in genere un livello di attenzione minore rispetto a quello che viene garantito non solo ai cosiddetti "imputati eccellenti" ma in generale a chiunque per status, benessere economico e posizione sociale abbia degli strumenti di tutela da attivare in caso di errori giudiziari, palese violazione delle garanzie di difesa e battaglie per far luce sulle morti sospette. Infine, a parità di imputazione o di condanna, la permanenza in carcere degli stranieri è mediamente più lunga di quella degli italiani, sia in fase di custodia cautelare che dopo l’eventuale sentenza. Questa differenza è da ricondurre al fatto che spesso gli stranieri non hanno un domicilio certificato per poter usufruire degli arresti domiciliari o delle misure alternative alla detenzione; ma anche quando la società civile è in grado di offrire soluzioni provvisorie per rimediare a questo problema (come nel caso delle molte associazioni di volontariato offrirono un alloggio temporaneo ), da parte della magistratura di sorveglianza si riscontra spesso un atteggiamento di maggiore chiusura nei confronti degli stranieri che rende loro ancor più infrequente che per gli italiani il ricorso a percorsi penali alternativi al carcere. Il detenuto straniero incontra la prima difficoltà a partire da quando varca la soglia del carcere. La fase di ingresso si caratterizza nell’immatricolazione e già qui iniziano le prime difficoltà. Quasi sempre lo straniero è privo di documenti d’identità. Emergono dubbi sia sul nome sia sull’età della persona e ciò anche in considerazione del fatto che spesso il soggetto dichiara false generalità nella convinzione o nel tentativo di ottenere qualche benefìcio. All’avvenuta immatricolazione segue la visita medica di ingresso da parte del sanitario e il colloquio effettuato dallo psicologo. La situazione di maggioro difficoltà è collegata alla non facile comunicazione e comprensione linguistica. Può infatti succedere che il detenuto non parli o non conosca a sufficienza la lingua italiana e quindi il sanitaria ha difficoltà ad acquisire dati anamnestici attendibili o ad orientarsi rispetto ad ipotetiche patologie. Quando possibile, è previsto anche il colloquio di primo ingresso, svolto in genere dall’educatore. Fase importante per l’inserimento del detenuto e il percorso che dovrà intraprendere; ma il fulcro principale del problema è sempre il solito: il rapporto tra numero di detenuti ed educatori è talmente sproporzionato da non garantire sempre tali incontri. La soluzione è risolvere queste criticità, oppure il rimpatrio come ha suggerito anche il "ministro ombra" Gratteri? Considerando che gran parte degli stranieri provengono da Paesi dove la tortura all’interno delle carceri è sistematica, che democrazia siamo se rimandiamo i detenuti (ribadiamolo: arrestati per reati minori) in quelle carceri dove la loro sofferenza, o morte , è certa? Giustizia: secondo il pm i No-Tav sono terroristi, richiede condanna a 10 anni di carcere Il Garantista, 16 novembre 2014 Una condanna a 9 anni e 6 mesi di reclusione è stata richiesta dai pm Antonio Rinaudo e Andrea Padalino per i quattro attivisti No-Tav accusati per l’ assalto notturno compiuto tra il 13 e il 14 maggio 2013 al cantiere della Tav di Chiomonte. Quasi dieci anni. Gli imputati ora ne hanno circa trenta, se la Corte dovesse prendere sul serio la folle richiesta dei Pm, potrebbero uscire a 40 anni! L’accusa contro gli attivisti è davvero esorbitante: terrorismo! Come si usa, spesso, negli stati totalitari. Terrorismo perché? Hanno ucciso, hanno sequestrato qualcuno, hanno tentato di rovesciare la Repubblica? Non esattamente. Però hanno bruciato un compressore, cioè una grossa pompa. Alla lettura delle richieste, nella maxi aula bunker delle Vallette di Torino, il pubblico presente e gli imputati dentro la gabbia hanno reagito con il silenzio. Di Chiara Zenobi, Mattia Zanotti, Nicolò Blasi e Claudio Alberto, in carcere da quasi un anno -carcere duro, una specie di 41 bis - il pm Rinaudo ha detto: "Hanno fabbricato e detenuto e portato armi da guerra ed esplosivi". Quali siano queste armi da guerra non è chiaro: cannoni, bazooka, arei? "Le testimonianze comprovano - ha aggiunto - che gli assalitori quella notte hanno chiuso i cancelli 4 e 5 del cantiere, per impedire l’uscita a chi era dentro. Lo scopo perseguito era reso evidente dal lancio di molotov e di altri ordigni micidiali verso le forze dell’ ordine. Fu un’ azione di gruppo concertata". I pm non hanno ritenuto di concedere le attenuanti generiche per "elevata pericolosità degli imputati". Mentre in aula regna il silenzio, su Twitter si scatenano le polemiche dei No Tav. "Per l’incendio di 1 compressore i pm chiedono 9 anni e 6 mesi per ogni imputato", "non è un pro-cesso, è una caccia alle streghe", sono alcuni dei commenti. L’ avvocato Mauro Prinzivalli, legale della presidenza del consiglio dei ministri, ha preso la parola dopo i pm chiedendo che allo Stato, che è parte lesa, vengano risarciti i danni, rimettendo alla Corte la quantifica. I danni sono stati chiesti anche da Ltf che ha richiesto una provvisionale di 50mila euro, anche se l’ammontare totale è di 180mila euro. "Se gli imputati saranno condannati a risarcire - ha detto l’avvocato Daniele Zaniolo, legale della società con Alberto Mittone - i soldi verranno donati alla Onlus Vittime del dovere d’Italia, per i familiari di poliziotti, carabinieri e rappresentanti delle istituzioni". Non è chiaro dove questi ragazzi potrebbero trovare 180 mila dollari. Lo stipendio di un precario, quando lavora, in genere è di 8 o 900 euro al mese. Per arrivare a 180.000 ci vogliono circa 200 mesi. Un risarcimento è stato chiesto anche dal Sap, sindacato autonomo di polizia. Per il momento, comunque, nessuno ha chiesto l’impiccagione, e questa è una cosa buona. Lettere: se hai a cuore questo Paese abbonati al Garantista…. e sostieni noi Radicali di Laura Arconti (Direzione di Radicali Italiani) Il Garantista, 16 novembre 2014 A volte ci si chiede come definire un Paese in cui si muore di carcere e ci si uccide per debiti. Un Paese in cui si può perdere la vita a causa di un "disastro naturale" quando un nubifragio si abbatte su fiumi e torrenti dagli argini dissestati, o un terremoto arriva su costruzioni messe in piedi con mattoni forati, poco cemento e tante bustarelle. Un Paese in cui i pensionati sociali ricevono una elemosina insufficiente anche solo ad un pane e una tazza di latte quotidiani, e un invalido grave riceve un rimborso di accompagnamento di circa 16 euro al giorno, che basta a pagare un aiuto per non più di due ore al giorno mentre per tutti il resto del tempo il disabile deve arrangiarsi da sé o restare immobile a vegetare. E mentre nel frattempo ogni giorno si scoprono falsi invalidi che percepiscono indebitamente denaro perché medici infedeli hanno certificato malanni inesistenti, e mentre manager pubblici sono pagati a peso d’oro e le strutture - anche parlamentari - che dovrebbero essere al servizio del popolo costano cifre enormi e svuotano le tasche dei contribuenti. Un Paese in cui il piccolo imprenditore o il lavoratore "autonomo" (che ha poca autonomia perché vincolato da leggi, regolamenti, ordinanze d’ogni tipo) passa il suo tempo a dibattersi nelle difficoltà burocratiche anziché rispondere alla legge universale del confronto sulla qualità, e della libera concorrenza. Un Paese in cui si pagano le tasse sul denaro guadagnato col proprio lavoro, e se di quel guadagno si risparmia una parte pensando previdenti al futuro e la si investe, di nuovo poi si paga una tassa su quella stessa pecunia che si riteneva già affrancata dal tributo pagato. Un Paese in cui i governi occultano, la stampa acquiescente ignora e cancella diritti, e partiti di massa si accordano sul modo migliore di sottrarre al popolo quella sovranità che la Costituzione gli attribuisce: e lo fanno accantonando i loro stessi princìpi, valori, tradizioni, storia, pur di conservare il potere e la forza prevaricante. Un Paese in cui nonostante tutto questo si fa festa perché la tecnologia nata dalla genialità di menti italiane ha collaborato a far saggiare di che materiale è fatta una cometa, dopo un viaggio lungo dieci anni e dopo altri dieci anni di ricerche: il che è legittimo, perché bisogna sapere tutto su ciò che ci circonda, tutto sul contesto in cui viviamo. E poco importa se poi vengono nascoste le nozioni, le conoscenze su ciò che accade agli esseri viventi giorno per giorno; poco importa perché a nessuno è chiaro che il diritto a conoscere la verità è un diritto umano e civile di pari valore rispetto al diritto di vivere liberi e con pari dignità rispetto ai proprio simili. Penso che questo sia un Paese giunto al tempo terminale di un complesso di malattie gravi: un Paese schizofrenico, in preda a carenze cognitive, dissociato da ogni logica, avulso dalle proprie stesse radici originali. Messi all’angolo, ignorati da chi scrive e di conseguenza da chi legge i mezzi di comunicazione, ignoti all’opinione pubblica al punto che non se ne conosce l’esistenza, resistono al disastro un quotidiano ed uno smilzo gruppo di visionari che hanno per religione la libertà e per legge il rispetto delle regole. Il quotidiano, scritto da volontari coraggiosi e da collaboratori occasionali che ancora nutrono speranze, lotta ogni giorno con l’ostilità del sistema distributivo, con gli edicolanti che non vogliono "seccature", con la posta che non consegna il giornale agli abbonati: il suo nome è Cronache del Garantista. E quei quattro matti visionari che quando dicono "politica" pensano alla polis, e si studiano di produrre qualcosa di utile per i cittadini, che sono stati scacciati dalle istituzioni perché estranei ad ogni patteggiamento e malversazione, e ancora lavorano guardando alla stella polare di un futuro migliore per cittadini uguali fra loro, si chiamano da sessant’anni "Radicali". Se questo Paese non è davvero giunto alla fase terminale della sua irresponsabilità, dovrebbe sostenere questi ultimi due presidi di speranza -questo giornale e questi Radicali - contribuendo economicamente, offrendo qualche soldo per il lavoro quotidiano, abbonandosi al giornale e iscrivendosi al Partito Radicale: che non hanno legami di interdipendenza fra loro, se non quelli della stima reciproca e della "simpatia", cioè (secondo l’etimo greco) della scelta univoca del sentire, di sentimenti e pensiero. Passate parola, voi che leggete. Diffondete queste considerazioni e le convinzioni che ne scaturiscono. Pubblicatele nelle vostre pagine Facebook, trasformatele in tweet ripetuti, stampatele e fatele leggere ai vostri amici, ai parenti, ai colleghi, ai vicini. Tu che mi leggi, chiunque tu sia, se hai a cuore questo nostro Paese, se hai capito la sua vocazione europea tuttora frenata dall’ignavia e dalla corruzione, muoviti, fai qualcosa, aiutaci a dar voce alla speranza: non lasciare che l’egoismo e i fanatismi uccidano l’anima del futuro. Veneto: il presidente Zaia; nessun indulto, ma nuove carceri, anche nella laguna Askanews, 16 novembre 2014 Nessun indulto, ma nuove carceri, magari anche in un’isola della laguna. Lo afferma Luca Zaia, presidente della Regione veneto, commentando il furto di un’auto, vicino a Treviso, che aveva all’interno un bambino, poi riconsegnato dai ladri. "È angosciante pensare che siamo arrivati a dei livelli che conoscevamo solo attraverso i film - ha commentato Zaia. Fatti come questi significano che non c’è più un governo della sicurezza. Le forze dell’ordine fanno il loro dovere, ma in Parlamento e al Governo si pensa soltanto a nuovi indulti, non a costruire più carceri, magari anche rivitalizzando qualche isola abbandonata della laguna di Venezia". Valle d’Aosta: presto trasferimento alla Regione delle competenze sanitarie sulle carceri www.valledaostaglocal.it, 16 novembre 2014 "Siamo alle battute finali" per il trasferimento delle competenze dallo Stato alla Regione in materia di assistenza sanitaria in carcere. Lo ha detto l’assessore regionale alla Sanità, Antonio Fosson, durante la presentazione del dvd "Oltre le sbarre: legalità e sicurezza contro il dolore". "Il problema è il trasferimento dei fondi", ha spiegato Fosson. Durante le riunioni che si sono tenute "in sedi ministeriali è stata scartata la nostra ipotesi di un’assistenza 24 ore su 24. Si è giunti a un accordo per un altro tipo di assistenza, più limitata ma sicuramente dignitosa. La Valle d’Aosta non può farsi carico dell’assistenza carceraria senza avere dallo Stato i fondi", ha aggiunto l’assessore. "Il perdono è fondamentale, sbagliare ci permette di migliorare", ha osservato l’assessore alle Politiche sociali del Comune di Aosta, Marco Sorbara, commentando il dvd (patrocinato dalla Regione e dall’azienda Usl) della Licd-Vda, realizzato "dando voce" ai bambini e ai carcerati. Un’iniziativa che rientra nel progetto di far partire dalla Valle d’Aosta una "Carta per i diritti del sofferente" (versione italiana e inglese) concernente ogni situazione di dolore. Documento che Andrea Borney, portavoce del Forum del terzo settore Valle d’Aosta, ha auspicato "diventi uno strumento di tutti e magari una convenzione Onu". Durante la presentazione del dvd, Maurizio Bergamini, presidente dell’Associazione valdostana volontariato carcerario, e Stefania Perego, presidente del Csv, si sono concentrati sull’importanza dell’"ascolto" di chi è privato della libertà, mentre Giovan Battista De Gattis, presidente di Cittadinanzattiva Valle d’Aosta, ha posto l’accento sulla "macchina giudiziaria italiana che non funziona". Abruzzo: "Letture d’evasione", oggi raccolta di libri da destinare alle Case circondariali Asca, 16 novembre 2014 I Giovani Democratici di Martinsicuro (Te) promuovono l’iniziativa dell’Avv. Loris Di Giovanni responsabile regionale del Dipartimento Cultura del Pd Abruzzo denominata "Letture d’evasione" e consistente nell’implementazione delle biblioteche nelle carceri d’Abruzzo. Domenica 16 novembre in Piazza Cavour a Martinsicuro (Te) i Giovani Democratici saranno presenti per raccogliere dizionari, libri in lingua italiana e/o straniera da destinare alle case circondariali abruzzesi. Il carcere per troppo tempo è stato considerato un luogo lontano dove confinare la parte reietta della popolazione, dove esiliare il fallimento della società, quasi come se, nascondendolo, quell’insuccesso nell’educare l’individuo ad una corretta vita sociale venisse meno. Ed ora in una visuale comune costituita su queste premesse, pensando al carcere, non riusciamo ad immaginare altro che delinquenti, dimenticando, troppo spesso, la parte umana nascosta nel reo. L’articolo 27 della Costituzione enuncia "Le pene (...) devono tendere alla rieducazione del condannato" e noi, noi ragazzi che abbiamo accompagnato Anguilla nella valle del Belbo, Astolfo sulla luna, noi che abbiamo aspettato Godot e ci siamo un po’ sentiti Uno, Nessuno e Centomila, noi sentiamo di dover donare a queste persone almeno un libro. Almeno un libro per sognare. Almeno un libro per evadere. Firenze: i Radicali manifestano davanti a Sollicciano "basta con i morti di carcere" Ansa, 16 novembre 2014 "La Regione Toscana deve mobilitarsi affinché si ponga fine all’omissione di soccorso in atto e si cominci a garantire, non solamente sulla carta e nelle dichiarazioni di principio, le cure anche per i cittadini detenuti". Lo chiedono Massimo Lensi, componente del Comitato nazionale di Radicali Italiani, e Maurizio Buzzegoli, segretario dell’associazione radicale Andrea Tamburi. I due stamani insieme a un gruppo di militanti hanno manifestato fuori dall’istituto penitenziario di Sollicciano, a Firenze, per ricordare le 2.358 morti in carcere dal 2000 ad oggi. I radicali fiorentini hanno mostrato cartelli con i nomi di alcune delle persone morte nelle varie carceri italiane o in custodia dello Stato (fra cui Stefano Cucchi e Riccardo Magherini) seguiti dall’hashtag #sonoStatoio, per sottolineare la responsabilità dello Stato italiano nei confronti di questi decessi. Secondo Lensi e Buzzegoli che hanno ribadito la necessità di un’amnistia o un provvedimento di indulto, "i proclami del ministro Orlando vengono quotidianamente sconfessati dai suicidi e dagli atti di autolesionismo all’ interno delle strutture penitenziarie. Ai detenuti si continuano a perpetrare trattamenti inumani e degradanti". Isernia: sequestrata cella del detenuto morto, la Procura preleva anche cartella clinica Ansa, 16 novembre 2014 È stata messa sotto sequestro dalla procura di Isernia la cella del carcere di Ponte San Leonardo dove dieci giorni fa si è verificato l’episodio a seguito del quale è morto un detenuto romano. All’interno della stanza, stando ad una prima ricostruzione dell’accaduto, l’uomo sarebbe caduto mentre saliva su un letto a castello. Ricoverato in un primo momento all’ospedale Veneziale di Isernia, è stato poi trasferito al Cardarelli di Campobasso dove è morto mercoledì scorso. Nell’ambito delle indagini in corso, oltre alla cella, è stato disposto anche il sequestro della cartella clinica del 45enne e si è proceduto a raccogliere testimonianze: sono stati sentiti i detenuti che erano presenti al momento della caduta, e gli agenti della polizia penitenziaria che sono intervenuti subito dopo. Ieri autopsia per chiarire cause del decesso Eseguita ieri pomeriggio l’autopsia sul corpo del detenuto morto mercoledì scorso all’ospedale Cardarelli di Campobasso dopo una caduta, avvenuta dieci giorni fa nel carcere di Isernia. L’esame autoptico è stato disposto dal sostituto Federico Scioli, della procura di Isernia, titolare dell’indagine aperta per fare piena luce sull’accaduto. Il 45enne romano era arrivato al Cardarelli, dopo un primo ricovero al Veneziale di Isernia, con un gravissimo trauma cranico. Stando alla versione ufficiale dei fatti l’uomo si sarebbe arrampicato su un letto a castello nella cella di altri detenuti per prendere una gruccia, ma sarebbe improvvisamente caduto all’indietro battendo la testa. Spoleto: il Garante denuncia punizioni in carcere. Il direttore "relazione inqualificabile" Corriere dell’Umbria, 16 novembre 2014 "La relazione firmata dal garante regionale dei detenuti è inqualificabile, smentisco in tutto e per tutto le accuse che ha formulato al mio indirizzo e a quello dei miei collaboratori e mi riservo di valutare eventuali azioni legali". Così il direttore della casa di reclusione di Maiano, Luca Sardella, all’indomani del duro documento firmato dal professor Carlo Fiorio che ha contestato una raffica di anomalie all’interno della carcere spoletino". Resoconto che Sardella respinge con forza: "Innanzitutto chiariamo che lo sciopero dei reclusi è illegittimo perché non è previsto dall’ordinamento penitenziario che li obbliga a lavorare, attività retribuita che rappresenta un’opportunità oltre che un privilegio, visto che non siamo in grado di far lavorare di tutti". E poi: "Negli ultimi mesi non c’è stata nessuna impennata delle sanzioni disciplinari nel carcere di Maiano. Riduzione del vitto ai detenuti che hanno aderito allo sciopero? Si è astenuto dal lavoro anche il personale della cucina quindi abbiamo dovuto organizzare un pranzo al sacco per i reclusi e, in base alle verifiche compiute dall’ufficio contabilità, gli è stato erogato un pasto di valore equivalente, mentre su telefonate e colloqui è stata avviata una razionalizzazione del regolamento perché c’era troppa disorganizzazione che in questo lavoro comporta dei rischi". Napoli: detenuto a 75 anni. I familiari denunciano "lo lasciano in cella senza cure" di Claudio Silvestri Roma, 16 novembre 2014 Il giudice ha chiesto una relazione, i familiari: vogliamo solo che venga visitato. Nel Paese in cui nessuno va in galera, succede che un uomo di 75 anni, ammalato, venga messo in cella per scontare un mese dì detenzione. E che in quella cella di Poggioreale, che condivide con altri otto detenuti, resti senza cure. Come se la salute non fosse un diritto, o come se potesse attendere i tempi inconcepibili della burocrazia. Giovanni Castellano, zio di Nunzia, la donna uccisa dall’ex compagno a Posillipo, è un infartuato, ha un distacco totale della retina, dovrebbe prendere dei medicinali e sottoporsi a degli esami clinici. "In carcere mi hanno detto che i farmaci dovranno essere acquistati a prezzo pieno - afferma il figlio Luigi. Quando era in libertà mio padre non pagava neanche il ticket. Oltre alla libertà ha perso anche tutti gli altri diritti?". Il grido di dolore dei familiari, non è un tentativo di sottrarre il proprio caro al regime carcerario. Lo svuota carceri approvato dal Parlamento consentirebbe al 75enne di continuare la sua pena ai casa già tra una decina di giorni. È l’appello perché venga rispettato il sacrosanto diritto di un uomo anziano e ammalato ad essere curato. Il 22 ottobre scorso, quando la polizia si presentò a casa sua, Antonio si sentì male, fu portato al Loreto Mare. Il medico di turno, Alfredo Pietroluongo, gli prescrisse una coronarografia, riposo in ambiente tranquillo e il prosieguo delle cure già in corso sotto il controllo del medico curante. Qualche giorno dopo in carcere è stato portato anche un oculista esterno per verificare le condizioni dell’occhio, che sono risultate notevolmente peggiorate. La vista è calata da otto a tre decimi e sul referto il medico ha scritto che tra i pericoli delle mancate cure, c’è anche la cecità. Dopo le sollecitazioni dei parenti, il magistrato di sorveglianza ha chiesto al penitenziario una relazione, di cui, però non si ha ancora traccia. "Se non provvedono a stilare questa relazione, il giudice non potrà fare nulla. Si parla tanto di carceri sovraffollale e poi si tiene dentro un anziano ammalato. E assurdo. Il mio terrore è quello di vedere mio padre cadere vittima dello Stato, per le omissioni di coloro che dovrebbero con velocità e coscienza descrivere la condizione di salute di mio padre. Voglio solo che un medico lo visiti, che si prenda la responsabilità di dire se sta bene o sta male, se deve essere curato o deve diventare cieco e morire in una cella. Faccio appello al direttore generale dell’Asl Napoli, Ernesto Esposito, perché intervenga in qualche modo. Non so davvero cosa fare. Vorrei chiedere aiuto al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che più di tutti ha insistito su questo tema, di intervenire". "Mio padre - conclude Luigi -potrebbe uscire di cella già tra dieci giorni per la legge svuota carceri. Vorrei che uscisse con i suoi piedi". Napoli: la storia di Fabio Ferrara, detenuto su una sedia a rotelle a Secondigliano di Claudia Sparavigna Roma, 16 novembre 2014 Ci sono storie che nessuno vorrebbe raccontare perché fanno male a chi le vive e a chi le racconta. Quando si sbaglia, si paga e il carcere è inevitabile. Ci sono però circostanze che impongono di rivedere le misure carcerarie per rispettare i diritti di un uomo, perché si è persone prima ancora che detenuti, soprattutto quando c’è di mezzo la salute. Fabio Ferrara è un detenuto del carcere di Secondigliano, doppiamente imprigionato perché è in carcere e su una sedia a rotelle. Le sue condizioni di salute sono critiche e, da mesi, la famiglia chiede che gli siano dedicate le giuste cure. I famosi tre metri quadrati di una cella sono già pochi per chi si regge sulle proprie gambe, figurarsi per chi è costretto in carrozzina. Ogni azione, in un posto pieno di barriere architettoniche, diventa titanica. Fabio Ferrara ha bisogno di essere aiutato dal suo compagno di cella per compiere anche le azioni quotidiane, come lavarsi e vestirsi. La vita di Ferrara è cambiata il giorno del suo arresto, quando fu ferito. Dopo sei giorni di coma, rimase immobilizzato e non più autosufficiente. Da più di sei mesi quest’uomo aspetta di essere operato alla vescica ma, poiché secondo i medici non si tratta di un intervento vitale, viene semplicemente curato nell’infermeria del carcere, in barba al diritto alla salute sancito dalla Costituzione italiana. "La moglie di Fabio, Anna Belladonna, mi ha detto che la situazione è diventata critica - spiega Pietro loia, presidente dell’associazione ex detenuti organizzati di Napoli, che da mesi si occupa del caso di Fabio Ferrara - dopo una visita di controllo in ospedale, la dottoressa che lo ha visitato ha detto che non c’è più tempo da perdere, l’operazione alla vescica deve essere fatta con urgenza, altrimenti potrebbero esserci danni irreparabili. L’avvocato della famiglia sta lavorando per ridurre i tempi burocratici ma io mi chiedo come sia possibile non pensare alla salute di una persona per star dietro alle trafile burocratiche. L’intervento è stato ordinato da un medico e deve essere eseguito quanto prima. La salute viene prima delle carte bollate e dei timbri". Intanto, dalla visita specialistica a cui Fabio Ferrara è stato sottoposto, sono già passate due settimane e niente di nuovo è accaduto. Così Pietro Ioia promette, se ci saranno ulteriori ritardi nell’esecuzione dell’intervento di Fabio, di organizzare una nuova manifestazione all’esterno del carcere di Secondigliano affinché la vera giustizia possa fare il suo corso, ponendo fine alle sofferenze di un malato grave. Nei mesi scorsi l’allarme per le condizioni di salute di Fabio Ferrara è stato dato a gran voce anche dai Radicali per la Grande Napoli che, nei ritardi burocratici che fino ad oggi hanno impedito l’esecuzione dell’intervento alla vescica di cui quest’uomo ha bisogno, hanno ravvisato "la flagranza di reato dello Stato italiano", come disse, più di un mese fa, Luigi Mazzotta chiedendo di salvare "il cittadino Ferrara". Rimini: firmata convenzione per coinvolgimento detenuti nella cura del decoro urbano Adnkronos, 16 novembre 2014 Un progetto approvato dalla Giunta Comunale due settimane fa e che nasce per favorire il percorso rieducativo dei detenuti, dando loro l’occasione di svolgere delle attività che potrebbero essere utili anche al momento del reinserimento nella società e nel mondo del lavoro. La convenzione prevede al momento di coinvolgere cinque detenuti, individuati dai responsabili della Casa circondariale, che saranno impiegati per lavori di cura e manutenzione del patrimonio pubblico, in particolare per la rimozione dei graffiti e delle scritte che deturpano gli immobili pubblici e privati della città. Nella convenzione sono previste anche altre attività, come la cura e la manutenzione del verde e la tutela del patrimonio culturale, come biblioteca e musei. Al Comune spetterà il compito di predisporre, in accordo con la Casa Circondariale un programma di lavoro per ogni persona coinvolta nel progetto, che sarà coperta da assicurazione per le attività che sarà chiamata a svolgere. Coloro che saranno impiegati nei lavori di pubblica utilità non riceveranno alcun compenso, ma il Comune potrà erogare un buono pasto per ogni giornata di lavoro. Sassari: progetto "Turismo responsabilmente", turismo e ambiente per rifarsi una vita di Antonio Meloni La Nuova Sardegna, 16 novembre 2014 Il progetto gestito da "Andalas de amistade" coinvolge detenuti in semilibertà o sottoposti a misure alternative al carcere. La riabilitazione sociale degli ex detenuti è un momento delicato e importante che può essere attuato esclusivamente attraverso sistemi sicuri e collaudati. In gioco c’è il recupero di persone che, una volta saldato il debito con la giustizia, sono pronte a rimboccarsi le maniche per ricominciare da capo. Con questo obiettivo è stato varato il progetto dal titolo "Turismo responsabilmente", che permetterà il reinserimento nella società e nel lavoro di venti persone attualmente sottoposte a misure detentive. I dettagli di questa bella e importante iniziativa, gestita dal consorzio "Andalas de amistade", sono stati illustrati ieri alla stampa, nella sala conferenze del Centro di educazione ambientale dello stagno di Platamona, dai responsabili del progetto affiancati dal sindaco di Sorso Giuseppe Morghen, dal vicepresidente del consiglio regionale Antonello Peru e da Tore Farina, componente del comitato d’indirizzo della Fondazione con il Sud, che cofinanzia il programma. Riabilitazione sociale. Due anni di tempo per ricollocare venti detenuti: dieci dei quali sottoposti al regime di semilibertà, e gli altri inseriti nei protocolli previsti dalle cosiddette misure alternative. Il tutto è reso possibile grazie alla preziosa collaborazione dell’amministrazione penitenziaria e dell’Uepe (Ufficio esecuzione penale esterna) struttura che coordina l’applicazione delle misure alternative alla detenzione. L’intento, come ha spiegato a margine della conferenza Iside Stevanin, presidente del consorzio "Andalas de amistade", è quello di "riabilitare socialmente i detenuti creando anche le premesse per la realizzazione di un’attività sostenibile sia sul piano ambientale che economico". Cuochi e operai. La sede dell’attività sarà il Centro di educazione ambientale che sorge sulla strada per Platamona, struttura, con annesso percorso di legno, realizzata qualche anno fa dal Comune di Sorso con l’intento di valorizzare e salvaguardare il sito d’interesse comunitario che comprende lo stagno e il ginepreto. In quella sede "saranno avviate due attività - ha proseguito Stevanin, una struttura ricettiva dotata di cucina e un’officina specializzata nella riparazione di biciclette, attività che a fine progetto dovranno essere in grado di proseguire autonomamente". Queste sono i servizi di base perché "il centro - ha aggiunto Giuseppe Morghen - si farà promotore di eventi e manifestazioni a carattere turistico e naturalistico tenuto conto del fatto che la posizione della sede è strategica in funzione del futuro sviluppo del territorio". Turismo responsabile. Dal prossimo 24 novembre, dunque, entreranno in servizio i primi cinque operatori che avvieranno i motori di questa iniziativa ideata con l’obiettivo di realizzare un turismo responsabile e permettere la riabilitazione sociale di un gruppo di detenuti. "Va rimarcato il fatto - ha ricordato Antonello Peru - che fra qualche mese partirà il progetto di riqualificazione della fascia costiera, un intervento importante che contribuirà a rendere il sito ancora più strategico". Un programma complesso e ambizioso, dunque, che ha richiesto il lavoro sinergico di diverse realtà, oltre alle cooperative "Albatros" e "Robinson", che fanno capo alla rete di Andalas, ci sono anche il Comune di Sorso, l’amministrazione del carcere di Bancali e la Fondazione con il Sud, che ha cofinanziato un progetto complessivo di 250mila euro in due anni. Roma: mercoledì prossimo l’inaugurazione della nuova palestra nel carcere di Rebibbia Ansa, 16 novembre 2014 Sarà inaugurata mercoledì 5 novembre la nuova palestra del carcere di Rebibbia nell’ambito del progetto "Lo sport dentro...ti cambia la vita" dedicato ai detenuti della casa circondariale e promosso, oltre che dall’istituto, anche dal Centro Studi Scuola Pubblica e dal Forum Sport Center. "L’intento - dicono i promotori - non è solo quello di consentire un mero allenamento per passare il tempo, ma un’occasione di crescita e di opportunità per quanti vorranno avvicinarsi allo sport e alla sana cultura sportiva". Ad oggi la palestra, allestita nel cortile interno del reparto G8, è diventato "un luogo dove ci si può sentire a proprio agio già al primo impatto: la condizione ottimale per accogliere tutte le informazioni di cultura sportiva che ne seguiranno". Ma nel futuro del progetto c’è anche l’idea di ripristinare anche un ulteriore spazio che "potrebbe essere trasformato in una sala con funzioni polisportive, con macchinari disposti sui lati, mantenendo libero un corridoio centrale e una parte della sala da utilizzare per corsi di ginnastica, di fitness e di wellness in generale, oltre che per convegni ed incontri". Perugia: Oscar Green 2014, premiati gli orti dei detenuti nel carcere di Capanne www.perugiatoday.it, 16 novembre 2014 La Coldiretti ha premiato per la categoria Paese Amico Bernardina Di Mario, direttrice di Capanne, grazie al progetto dell’orto amico dei detenuti. In questo carcere la vera libertà è nell’orto, è nei dodici ettari di terra, con frutteto, oliveto, quattro serre. La fattoria realizzata all’interno del carcere di Capanne ha vinto l’Oscar Green 2014 promosso dai giovani della Coldiretti sotto l’alto patronato del Presidente della Repubblica. La Coldiretti ha premiato per la categoria Paese Amico Bernardina Di Mario, direttrice di Capanne, grazie al progetto dell’orto amico dei detenuti. In questo carcere la vera libertà è nell’orto, è nei dodici ettari di terra, con frutteto, oliveto, quattro serre, ma anche ortaggi in pieno campo e un allevamento di polli, con tanto di macello aziendale. Lavorare campi, la gioia di vedere i prodotti crescere, la bellezza di sentirsi cambiati, utili, positivi serve come spinta per restituire ai detenuti la voglia di vivere. Nel carcere di Capanne c’è persino chi ha scontato la pena e potrebbe uscire, ma ha fatto richiesta di rimanere. È un oasi di pace dove è davvero possibile pagare gli errori e riconquistare la dignità, quella di essere lavoratori della terra, che producono qualità da mettere nel cestino della spesa, pensando ai bambini e alle famiglie che stanno a casa. Salerno: Sappe; detenuto in ospedale aggredisce poliziotti penitenziari Adnkronos, 16 novembre 2014 Un detenuto con problemi psichiatrici, ricoverato in ospedale a Salerno, aggredisce poliziotti penitenziari, lo aveva fatto anche in carcere prima di arrivare in ospedale. "Dotare baschi azzurri di spray anti aggressione", afferma Donato Capece, segretario generale del Sappe, il sindacato della Categoria. "Sono anni che sollecitiamo di dotare le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria di strumenti di tutela efficaci - prosegue il sindacalista - come può essere proprio lo spray anti aggressione recentemente assegnato - in fase sperimentale - a polizia e carabinieri. Mi auguro che il ministro della Giustizia Andrea Orlando valuti positivamente questa nostra proposta, dopo l’ennesima notizia di Baschi Azurri aggrediti". "Ciò che è accaduto" a Salerno "è grave e inqualificabile - rimarca Capece - Quanto accaduto è il culmine di una situazione che vede il penitenziario di Salerno sommerso da tutte quelle problematiche che il Sappe ha più volte evidenziato alle Autorità competenti senza però ottenere risposte e soluzioni. Eventi del genere sono purtroppo sempre più all’ordine del giorno e a rimetterci è sempre e solo il Personale di Polizia Penitenziaria". Torino: "Ognuno ha la sua legge uguale per tutti", dal 25 in scena detenuti e studenti www.teatrosocieta.it, 16 novembre 2014 "Ognuno ha la sua legge uguale per tutti" è l’evento che sarà portato in scena dal regista Claudio Montagna e dalla Compagnia Teatro e Società, il 25, 26, 27, 28 novembre 2014 presso il teatro della Casa Circondariale di Torino, con l’obiettivo di affrontare i pregiudizi e gli stereotipi che riguardano la giustizia. Quattro le serate nate da una riflessione sui confini tra lecito e non lecito, sulle molte sfaccettature dei reati, sul ruolo del carcere. Punto di partenza alcuni interrogativi: giudichiamo e condanniamo, talvolta in modo severo, oppure assolviamo ma la legge alla quale facciamo riferimento è la Legge dello Stato? Oppure i nostri codici si basano su sentimenti, abitudini, necessità individuali, dove il "diritto" è un po’ "storto" per tutti tranne che per noi? E chi trasgredisce è davvero così "altro" da noi? Le serate, cui parteciperà un pubblico di oltre 500 persone, alterneranno momenti teatrali, in cui un gruppo di detenuti del Padiglione A e un gruppo di studenti universitari della Facoltà di Giurisprudenza e degli Istituti di scuola Media Superiore di Torino porteranno al centro della scena le ragioni di chi condanna, quelle di chi assolve mettendole a confronto con le leggi dello Stato e con il punto di vista del pubblico. Mentre un gruppo improvviserà brevi storie di illeciti, l’altro gruppo, senza averle conosciute prima e diviso in due fazioni contrapposte, dovrà condannare o assolvere. Saranno proposti casi reali, tratti dalla vita quotidiana inerenti le cosiddette furberie o le situazioni che offrono giustificazioni "umane" ma anche occasioni di trasgressione dalle norme che, secondo la legge, prevedono la detenzione. A un esperto di diritto il compito di chiarire di volta in volta ciò che la Legge dispone, fornendo uno strumento in più per comprendere la forza della norma giuridica e il suo - a volte complesso - rapporto con i valori e il sentire comune. Il tema è stato sviluppato attraverso incontri mirati con gli studenti, svolti presso l’Università degli Studi, e alla luce degli inattesi risultati di un questionario elaborato nell’ambito di una ricerca condotta dalla Cattedra di Sociologia Giuridica con il coinvolgimento di giovani e detenuti. "È diffusa - spiega Claudio Montagna - una propensione proprio da parte dei più giovani a giudicare pesantemente i comportamenti devianti. Ma chi giudica poi sa accettare fino in fondo le regole? Su questo interrogativo e per approfondire il significato di alcune risposte al questionario, abbiamo costruito il confronto. L’obiettivo è quello di far emergere e cogliere dal vivo, com’è nostra consuetudine, abiti mentali e atteggiamenti che spesso destano stupore non per fornire risposte ma per stimolare piuttosto una conoscenza critica e la maturazione del senso civico". L’evento nasce nell’ambito del progetto Varianti dell’Esilio realizzato da Teatro Società grazie al sostegno della Compagnia di San Paolo e con la partecipazione dell’Assessorato alla Cultura della Città di Torino. È condiviso operativamente dalla Direzione, dagli educatori e dagli agenti della Casa Circondariale Lorusso e Cutugno e dal Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Torino nell’ambito della Cattedra di Sociologia Giuridica. È seguito dall’Ordine degli avvocati; dal Comune di Torino nella figura della Garante dei diritti delle persone private della libertà; dall’Assessorato alle politiche sociali della Provincia di Torino. Il progetto prosegue la riflessione avviata da tempo presso la Casa Circondariale di Torino da Claudio Montagna e dalla compagnia teatrale Teatro e Società. Lo scorso anno l’evento teatrale "Cicatrici e Guarigioni" - ottobre 2013 - mettendo a confronto vittime e autori del reato, aveva affrontato con ampio riscontro di pubblico e di critica il tema della giustizia riparativa. Nuoro: anche nel carcere di Badu e Carros si tiene la Giornata Mondiale del Diabete www.mnews.it, 16 novembre 2014 Nel carcere di Badu e Carros a Nuoro saranno distribuiti materiali informativi e valutato il rischio di sviluppare il diabete. Una prima assoluta nella storia di una delle manifestazioni più grandi del Volontariato nel campo della Salute. La Giornata Mondiale del Diabete è un evento straordinario perché si tiene più o meno contemporaneamente il 15 e 16 novembre in circa 500 città d’Italia. Medici, infermieri e persone con diabete organizzano eventi nelle piazze misurando i fattori di rischio del diabete e offrendo informazioni. Per la prima volta nella storia la Giornata Mondiale del Diabete si terrà anche in una Casa circondariale, un carcere insomma, per la precisione quello di Badu e Carros a Nuoro. "La quota di persone con diabete nelle carceri è probabilmente molto alta a causa della forzata sedentarietà e della valorizzazione del cibo che porta molti ad alimentarsi più del necessario", nota Alessia Prinzis, endocrinologa. Recentemente l’assistenza sanitaria nelle carceri è passata dal Ministero di Giustizia a quello della Salute ed è in via di integrazione con le Asl. "E questa è un’occasione per estendere, adattandole ai carceri, le strategie di prevenzione e screening sulle popolazioni a rischio e i percorsi di prevenzione che fanno parte ormai della cultura e delle buone pratiche delle Asl e del Volontariato, fra queste la Giornata Mondiale del Diabete", afferma Alessia Prinzis. "Questi percorsi di prevenzione in ambito carcerario hanno la possibilità di essere seguiti con più attenzione e dedizione di quanto accadrebbe nel mondo esterno", considera con ottimismo l’endocrinologa sarda, che - a partire dal 14 novembre Giornata Mondiale del Diabete - utilizzerà il materiale divulgativo e i questionari per la valutazione del rischio diabete preparati da Diabete Italia per la Giornata Mondiale del Diabete, nei suoi incontri con i circa 200 detenuti della casa circondariale che comprende una sezione a media sicurezza, una ad alta sicurezza e una sezione femminile. L’iniziativa ha trovato subito l’adesione dello staff medico del carcere e della Direzione e rappresenta un primo contributo verso una strategia di gestione del diabete in ospedale. Paura nel carcere di Fossombrone, detenuto dà fuoco alla propria cella Corriere Adriatico, 16 novembre 2014 Paura nel carcere di Fossombrone dove ieri sera un detenuto ha dato fuoco per protesta alle suppellettili della propria cella. L’incendio è stato domato dagli agenti della polizia penitenziaria, ma ha scatenato molto fumo, e sul posto sono dovute intervenire due squadre dei vigili del fuoco di Cagli. A darne notizia il vice segretario regionale del Coordinamento nazionale di Polizia penitenziaria Giuseppe Pasquino. "È stato un episodio gravissimo", dice, che ha messo a rischio gli altri detenuti e lo stesso personale di custodia, che ha agito "con grande coraggio". Milano: la rieducazione in rima, storie di 3 dischi rap usciti dalle carceri minorili di Alessandro Minissi www.deejay.it, 16 novembre 2014 Una nuova tendenza si è diffusa nelle carceri minorili italiane: rappare. Ne hanno dato esempio l’Istituto Meucci di Firenze, la Casa Circondariale di Monza e l’Istituto minorile di Milano Beccaria, che sta per pubblicare Errare Humanum Est, un disco Hip Hop scritto e registrato dai ragazzi in detenzione e promosso dall’associazione Suonisonori. L’album è stato anticipato dal video di Bianco e Nero. E sarà seguito da uno spettacolo teatrale che, affrontando in modo ironico il tema della devianza giovanile, cercherà di spiegare cosa significa incappare nella giustizia quando si è ancora ragazzi. Alla Casa Circondariale di Monza i ragazzi hanno potuto contare sull’aiuto di un maestro d’eccezione: il rapper cosentino Kiave. E grazie alla collaborazione con Potere alle Parole, il 3 ottobre 2014 è uscito Razzismobruttastoria, un disco di 8 tracce dove i detenuti si cimentano con la scrittura Hip Hop. Per averne un assaggio potete guardare il video ufficale della canzone Drama, o ascoltarlo interamente sulla loro pagina Soundcloud. A Firenze invece, con la supervisione della cooperativa CAT, è uscito nel 2013 Senza Ali, 17 brani incisi dai ragazzi dell’istituto minorile Meucci. Ke ne sai è il titolo del singolo diffuso in rete. Il nuovo progetto si chiamerà 16 Sbarre, ma per completarlo c’è bisogno del contributo di tutti. Per questo è stata organizzata una raccolta fondi su Musicraiser e una campagna di sostegno tramite il 5×1000. Lo scopo principale di queste iniziative non è scovare il prossimo rapper da classifica, ma offrire ai giovani detenuti un’opportunità di crescita e riflessione. L’Hip Hop infatti si dimostra un ottimo canale per aprire i ragazzi e far sfogare le loro emozioni. La scrittura diventa uno spazio per rielaborare le brutte storie che li hanno visti protagonisti. L’odio diventa stile, la rabbia flow, la sofferenza dà origine a un ritornello, e si torna liberi di esprimere ciò che si prova. Egitto: membro fratelli musulmani muore in carcere, secondo in una settimana Aki, 16 novembre 2014 Un esponente dei Fratelli Musulmani, Abu Bakr al-Qadi di 64 anni, è morto nel carcere di Qena, nell’Alto Egitto, per un tumore allo stomaco. Lo ha riferito la Confraternita in un comunicato, spiegando che si tratta del secondo esponente dei Fratelli Musulmani morto in un carcere egiziano questa settimana. La Fratellanza accusa inoltre la sicurezza egiziana di essersi rifiutata di trasferire al-Qadi in ospedale per ricevere le cure necessarie, causandone quindi il decesso. Una fonte della sicurezza contattata dall’Anadolu ha però smentito le accuse affermando che l’uomo "era curato all’ospedale universitario di Assiut per il tumore allo stomaco fino a quando è morto per la malattia". Al-Qadi era stato arrestato per incitamento alla violenza dopo la deposizione del presidente islamico Mohammed Morsi il 3 luglio dello scorso anno. Secono l’ong Egyptian Center for Economic and Social Rights, 21mila persone sono state perseguitate dalle autorità dalla deposizione si Morsi. Avvocato Mubarak: ex rais sta bene, smentite indiscrezioni su coma L’ex presidente egiziano Hosni Mubarak è "in buona salute" e non in coma, come hanno riferito questa mattina fonti mediche citate da quotidiani locali. "Ogni volta che si avvicina il processo del (ex, ndr) presidente, emergono indiscrezioni sulla sua salute, che lo ritraggono malato o in coma. Ma sono categoricamente menzogne - ha detto l’avvocato di Mubarak Farid al-Deeb contattato telefonicamente dall’agenzia di stampa Anadolu. Le sue condizioni (di salute, ndr) sono buone e stabili". Il prossimo 29 novembre un tribunale egiziano dovrà pronunciare la sentenza su Mubarak, il suo ex ministro degli Interni Habib al-Adly e sei alti funzionari della sicurezza. L’accusa nei loro confronti è di aver ordinato l’uccisione di centinaia di manifestanti durante i 18 giorni della Rivoluzione del 25 gennaio 2011 che portò alla deposizione del regime Mubarak. Alla fine del 2012 Mubarak e al-Adly furono condannati a 25 anni di carcere, ma il tribunale ha poi accolto l’appello e disposto un nuovo processo per civi procedurali.