Giustizia: Corte Strasburgo respinge ricorsi detenuti "sistema risarcitorio italiano valido" La Repubblica, 14 novembre 2014 Le norme introdotte con l’ultimo Dl carceri e con lo "svuota carceri" dello scorso dicembre sono state ritenute sufficiente dai giudici. Dopo la sentenza Torreggiani del 2013 l’Italia aveva un anno di tempo per adeguare la propria legislazione. I rimedi risarcitori introdotti in Italia per i carcerati che ricorrono per il sovraffollamento sono validi. Lo ha stabilito la Corte europea dei diritti dell’uomo che ha respinto tutti i ricorsi, ben 3564, presentati dai carcerati italiani contro il sovraffollamento degli istituti penitenziari. I detenuti che si ritengono danneggiati potranno ora ottenere giustizia dai tribunali nazionali. Oggi la Corte ha respinto una seconda tranche di ricorsi dopo che una prima parte era stata respinta tra il 16 e 23 ottobre scorsi. La Corte ha ritenuto quindi sufficienti le misure introdotte dal legislatore italiano dopo la "sentenza Torreggiani" del gennaio 2013 con la quale l’Italia veniva ritenuta colpevole di aver violato l’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti umani (Cedu). Il caso riguardava trattamenti inumani o degradanti subiti dai ricorrenti, sette persone detenute per molti mesi nelle carceri di Busto Arsizio e di Piacenza, in celle triple e con meno di quattro metri quadrati a testa a disposizione. Nel condannare l’Italia i giudici avevano dato al governo e al Parlamento un anno di tempo per assicurare ai detenuti di poter ottenere la fine della violazione e un risarcimento dai giudici nazionali. Strasburgo ha ritenuto di non avere motivi per considerare i rimedi risarcitori introdotti in Italia non adeguati: si tratta della legge 146 del 2013, un decreto legge del governo Letta che tra le altre cose ha istituito la figura del Garante nazionale dei detenuti, e la legge 92 del 2014, che prevede sconti di pena o soldi ai detenuti reclusi in "condizioni inumane". Il problema del sovraffollamento degli istituti di pena è un problema che affligge il nostro Paese da tempo. L’ultima denuncia in ordine di tempo è il rapporto pubblicato dal Consiglio d’Europa riferito all’anno 2012, in cui l’Italia è risultata ancora una volta nella top ten europea dei Paesi con il maggior numero di detenuti per posti disponibili, seguiti solo dalla Serbia. Orlando: sancita serietà e correttezza governo "La decisione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di respingere tutti i ricorsi ricevuti negli ultimi anni dai detenuti italiani sancisce definitivamente la serietà e la correttezza messa in campo dal Governo nell’affrontare la drammatica emergenza del sovraffollamento carcerario con cui abbiamo dovuto fare i conti fin dai primi giorni dell’insediamento a Via Arenula. La Corte di Strasburgo riconosce al nostro Paese l’impegno sia nell’aver messo sotto controllo il sistema sia nell’aver trovato soluzioni efficaci di risarcimento per i detenuti rispetto a una problematica che rischiava di costare all’Italia una pesante condanna sia in termini economici che di immagine, proprio durante il nostro semestre di Presidenza Europea. Nessuno pensi che ora l’azione riformista del nostro sistema penitenziario sia terminata: c’è ancora moltissimo da fare per rendere la pena e il carcere sempre più in linea con l’articolo 27 della nostra Costituzione; da oggi però possiamo continuare il nostro lavoro con rinnovato impegno, forti del riconoscimento e del percorso fin qui portato avanti". Lo afferma, in una nota, il Guardasigilli Andrea Orlando da Washington, dove si trova per partecipare alla riunione dei ministri della Giustizia dell’Unione Europea e degli Usa. Bernardini (Radicali): la "peste italiana" arriva e si insedia in Europa? "C’è da chiedersi se la peste italiana dell’inganno, della menzogna e del tradimento dello Stato di diritto si stia diffondendo e definitivamente insediando in Europa persino presso quelle istituzioni che dovrebbero garantire i diritti fondamentali dei cittadini". Reagisce così la Segretaria di Radicali italiani, Rita Bernardini, alla notizia che la Corte di Strasburgo ha respinto oltre 3.500 ricorsi di detenuti ritenendo i rimedi risarcitori introdotti in Italia validi in quanto i ricorrenti "possono ora ottenere giustizia dai tribunali nazionali". "Abbiamo dimostrato - argomenta Bernardini - dati e ordinanze dei magistrati di Sorveglianza alla mano, che la Legge 11 agosto 2014, n. 117 (in G.U. 20/08/2014, n. 192) riguardante i rimedi preventivi e risarcitori non è minimamente in grado di essere effettiva per i detenuti che subiscono o che hanno subito in passato trattamenti inumani e degradanti". "Abbiamo portato le testimonianze di Presidenti di Tribunali di Sorveglianza - ha quindi proseguito la leader radicale -, che hanno spiegato come sia impossibile nella pratica mettere in piedi un’istruttoria che ricostruisca lo stato di detenzione di ogni singolo caso; abbiamo rese note le ordinanze attraverso le quali in modo massiccio diversi Uffici di Sorveglianza respingono le istanze dei detenuti ritenendosi non competenti in materia in quanto il pregiudizio subito deve essere attuale e grave: che è come dire che chi è stato vittima di un terremoto non possa essere risarcito se il terremoto non sia ancora in corso". Bernardini conclude la sua dichiarazione chiedendo al ministro della Giustizia Andrea Orlando di avere il senso delle istituzioni e di rispondere, come è suo dovere, alle interrogazioni presentate in materia dal vicepresidente della Camera Roberto Giachetti e dall’on. Saverio Romano. Fns-Cisl: bene azioni governo, ma ancora da fare "Apprendiamo in queste ore della soddisfazione del ministro Orlando per il riconoscimento dell’azione svolta dal Governo per evitare le sanzioni economiche al nostro Paese. Indubbiamente si è tamponata una falla ma c’è molto da fare per avviare a soluzione il malfunzionamento della giustizia penale, civile e amministrativa e portare le carceri al rispetto dei principi sanciti dalla Costituzione". Lo dichiara in una nota il segretario generale della Fns Cisl, Pompeo Mannone. "Il ministro Orlando manifesta buone intenzioni ma è necessario fare presto e accelerare l’iter di molti provvedimenti in cantiere o in discussione in Parlamento. L’emergenza delle carceri, infatti - sottolinea Mannone - necessita di provvedimenti rapidi in tutti i campi, dai tempi dei processi, all’ammodernamento delle strutture carcerarie, alla valorizzazione dei lavoratori che in esse operano. È indispensabile che si coprano i vuoti degli organici e si rinnovino i contratti di lavoro". "Non è pensabile - conclude Mannone - che il governo pensi di attuare processi di riforma, seppure necessari, svilendo e sottovalutando i problemi degli operatori in particolare dei poliziotti penitenziari che quotidianamente rischiano la propria incolumità nelle carceri italiane". Giustizia: il presidente Napolitano "la pace si promuove rafforzando stato di diritto" Adnkronos, 14 novembre 2014 "Desidero rivolgere un cordiale saluto agli organizzatori ed ai partecipanti ai lavori di oggi, che oltre ad affrontare il cruciale tema della giustizia penale internazionale, celebrano il XX anniversario della fondazione di "Non c’è pace senza giustizia". Sono certo che la vostra riflessione contribuirà, nel solco dell’impegno da sempre profuso dall’Associazione, ad approfondire il dibattito sugli strumenti più adatti a garantire un efficace, celere ed equilibrato esercizio della giustizia penale internazionale". Lo scrive il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in un messaggio inviato alla fondatrice dell’Associazione "Non c’è pace senza giustizia", Emma Bonino. "Le spesso drammatiche vicende dell’attualità internazionale ci rammentano come la promozione della pace, della democrazia, dei diritti umani e delle libertà civili, passi anche attraverso il superamento della sfida costituita dal rafforzamento, al livello transnazionale, delle regole dello stato di diritto - prosegue Napolitano nel messaggio reso noto dal Colle. Certo che il positivo messaggio promosso da "Non c’è pace senza giustizia" e dalla "Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale" troverà un’ulteriore, feconda declinazione nei lavori di oggi, formulo fervidi voti di successo e i miei auguri di buon lavoro a tutti i partecipanti". Grasso (Senato): Corte Penale Internazionale a una svolta "Dobbiamo le primissime esperienze di giurisdizioni penali internazionali ai Tribunali di Norimberga e di Tokyo, istituiti dopo il secondo conflitto mondiale per giudicare le inaudite atrocità che durante quel periodo furono commesse. Si è spesso ripetuto che si trattò di una giustizia dei vincitori perché si trattava di tribunali istituiti dalle potenze che ebbero la meglio nel conflitto; e purtroppo vi si comminò la pena di morte, che noi respingiamo con fermezza. Ma ebbero un valore morale e giuridico indiscutibile perché per la prima volta si processarono i massimi responsabili statali di crimini internazionali, nel rispetto di fondamentali garanzie processuali e di difesa; e di fronte al mondo intero che così poté sapere cosa era successo". Lo ha detto il presidente del Senato Pietro Grasso, nell’intervento a palazzo Giustiniani per il convegno "XX Anniversario di Non c’è pace senza giustizia: sfide e opportunità per la Corte penale internazionale". "Abbiamo dovuto attendere ancora a lungo -ha ricordato- e assistere alle indimenticabili atrocità del conflitto in Jugoslavia e poi in Ruanda, perché nel 1993 e 1994 il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite costituisse i Tribunali ad hoc che hanno realizzato un modello di giustizia internazionale indipendente ed imparziale, nel concorrere di adeguate garanzie processuali e con l’esclusione della pena di morte". Per il presidente del Senato "la vita della Corte si trova a un punto di svolta importante. Deve affrontare problemi di carattere politico-diplomatico e giuridico". "Mi riferisco - ha precisato - alle proposte in materia di immunità dei Capi di Stato che metterebbero radicalmente in discussione uno dei principi fondanti, e l’impianto stesso dello Statuto di Roma; alla necessità di un’azione più forte e determinata dell’Assemblea degli Stati Parte, e in alcuni casi anche del Consiglio di Sicurezza per assicurare l’imprescindibile cooperazione degli Stati per molte attività della Corte (arresto, consegna degli imputati, svolgimento di indagini); all’eccessiva complessità del sistema processuale". Quindi, un monito: "Noi oggi - ha affermato Pietro Grasso - dobbiamo impedire che le critiche alle Corte possano in qualsiasi modo inficiare quel modello di moralità, di giustizia e centralità dei diritti nel sistema mondiale che rappresenta e dovrà rappresentare". "Accolgo dunque con favore - ha detto Grasso - gli sforzi già in corso, che devono essere intensificati, per rivedere la procedura e accelerare i procedimenti in corso e così garantire la richiesta di giustizia che si leva a gran voce dalle vittime, la cui partecipazione ai processi deve essere assicurata di più anche in vista dei giusti risarcimenti". "Sono poi convinto - ha aggiunto - che sia assolutamente cruciale un dialogo costruttivo con l’Unione Africana, con la quale condividiamo principi e valori espressi sia nella Carta dell’Unione sia nello Statuto di Roma. E guardo con molta speranza alla prossima presidenza dell’Assemblea degli Stati membri, formulando sinceri auguri di buon lavoro a chi presto assumerà questo importante onere". "L’Italia crede senza riserve nella Corte ed è aperta ad ascoltare, parlare e trovare soluzioni ai problemi. Sono convinto che la dedizione e la profondissima competenza delle personalità qui riunite oggi, contribuirà in modo significativo al dibattito sul futuro della Corte e della giustizia penale internazionale", ha concluso la seconda carica dello Stato. Giustizia: via libera da II Commissione della Camera a riforma della custodia cautelare Public Policy, 14 novembre 2014 Via libera in commissione Giustizia alla Camera alla riforma della custodia cautelare in carcere. Il testo, in terza lettura, approderà in aula lunedì prossimo. Soddisfatta Donatella Ferranti, presidente della II commissione, deputata Pd: "Si tratta di una riforma strutturale che si affianca e in linea con gli altri interventi di deflazionamento del sovraffollamento carcerario che anche oggi in sede europea hanno incontrato l’apprezzamento della Corte di Strasburgo. È una riforma indispensabile per ripristinare una cultura delle cautele penali fondata sul pieno rispetto del principio costituzionale della presunzione di innocenza e sulla necessità di valutare, caso per caso e senza automatismi, le misure più idonee a garantire le esigenze cautelari in attesa della sentenza. Un atto dovuto di civiltà umana prima ancora che giuridica". A giudizio di Ferranti, "le esigenze cautelari non devono mai essere applicate in funzione di anticipazione della pena: quello messo a punto, grazie anche al lavoro di sintesi dei due relatori Rossomando e Sarro, è un buon testo, un testo equilibrato che riesce a contemperare il principio di una carcerazione preventiva come extrema ratio con la necessità di tutelare le vittime e la sicurezza dei cittadini nei confronti dei gravi reati". Il provvedimento, al di fuori dei delitti di particolare gravità e di forte allarme sociale, rende più difficile incarcerare gli imputati in attesa di giudizio fissando regole stringenti di valutazione e motivazione e ampliando invece la possibilità di ricorrere alle altre misure coercitive e a quelle interdittive. Giustizia: i "domiciliari" come regola, il carcere come eccezione, lunedì la riforma in aula di Gabriella Monteleone Europa, 14 novembre 2014 Sì della commissione giustizia di Montecitorio al provvedimento a firma Pd che rivoluziona la logica della custodia cautelare. Mentre la Corte Ue riconosce i passi avanti dell’Italia sul fronte carceri e respinge tutti i ricorsi. Passo dopo passo, le politiche carcerarie vanno avanti. Certo, "c’è ancora molto da fare", avverte il ministro Orlando che pure non nasconde la sua soddisfazione per la pronuncia della Corte europea dei diritti dell’uomo che ha respinto tutti i ricorsi presentati da 3564 detenuti italiani contro il sovraffollamento degli istituti penitenziari. E questo grazie all’ultimo decreto leggi carceri e allo "svuota carceri" approvato lo scorso dicembre. Obiettivo almeno in parte raggiunto quindi, tant’è che la Corte ha ritenuto sufficienti le misure introdotte dopo la sentenza Torreggiani del gennaio 2013 con la quale l’Italia veniva ritenuta colpevole di aver violato l’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti umani (Cedu). Ciò che, dice il guardasigilli, "sancisce definitivamente la serietà e la correttezza messa in campo dal governo nell’affrontare la drammatica emergenza del sovraffollamento carcerario". Ad aiutare questo percorso di deflazione carceraria (e di riappropriazione di una cultura garantista) arriverà anche un altro provvedimento per certi versi "rivoluzionario", la riforma della custodia cautelare licenziata oggi dalla commissione giustizia della camera e che andrà in aula lunedì prossimo. Si tratta di un disegno di legge (a prima firma di Donatella Ferranti, Andrea Orlando, Danilo Leva, Anna Rossomando del Pd: quest’ultima relatrice con Carlo Sarro di Forza Italia) che rovescia, per così dire, la logica che fin qui ha caratterizzato la custodia in carcere come misura prioritaria, ora sostituita dagli arresti domiciliari ma ai quali può essere aggiunta tutta una serie di altre misure interdittive (come il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione). Se le scorse legislature sono state segnate da ripetuti "pacchetti sicurezza" che mettevano in cima il carcere per ogni infrazione del codice, aggiungendo reati anche di nuovo "conio" (vedi l’immigrazione clandestina), ora si cambia. Ciò non vuol dire che la misura del carcere esce di scena: per i reati più gravi, di terrorismo e mafia, naturalmente, resterà obbligatorio. Ma anche negli altri casi, ove lo riterranno necessario, i gip potranno disporlo ma dovranno motivarlo in maniera più stringente. La riforma dovrà tornare in senato, prima dell’approvazione definitiva, e non è detto che sia l’ultimo passaggio: Lega e M5S non hanno mai nascosto la propensione alle manette facili. E ciò nonostante nei nostri istituti di pena almeno un terzo dei detenuti sia in attesa di una sentenza definitiva. Ma la presidente della commissione giustizia della camera, Ferranti, va avanti convinta: "È una riforma indispensabile - dice - per ripristinare una cultura delle cautele penali fondata sul pieno rispetto del principio costituzionale della presunzione di innocenza e sulla necessità di valutare, caso per caso e senza automatismi, le misure più idonee a garantire le esigenze cautelari in attesa della sentenza". Dal passaggio più o meno facile che riuscirà ad avere il provvedimento fino all’approvazione definitiva si potrà misurare il vero tasso di cultura garantista che c’è in questo parlamento. Rossomando: custodia cautelare non sia pena anticipata "Con il via libera della commissione Giustizia la legge che riforma la custodia cautelare fa un passo avanti importante. È una norma che va controcorrente rispetto agli ultimi vent’anni segnati da provvedimenti tanto restrittivi nella concezione quanto inefficaci. Invece qui si riafferma il principio di civiltà secondo il quale la carcerazione preventiva non può in alcun modo essere un’espiazione anticipata di un’eventuale pena". Lo dice la deputata del Pd Anna Rossomando, componente la commissione Giustizia di Montecitorio e relatrice del provvedimento. "Come relatrice - aggiunge - esprimo massima soddisfazione per il lavoro svolto da tutta la commissione. Questa riforma è in linea con un complesso di interventi di Parlamento e governo che già hanno prodotto effetti positivi, come dimostra la decisione della Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo che riconosce la bontà e l’efficacia delle soluzioni adottate sul tema del sovraffollamento delle carceri". Giustizia: il Dap rinnova la convenzione per il volontariato nelle carceri e negli Uepe Ansa, 14 novembre 2014 Istruzione e formazione professionale, attività riabilitative, orientamento al lavoro, accoglienza residenziale per l’esecuzione delle misure alternative come la detenzione domiciliare, assistenza domiciliare ai detenuti e alle famiglie: il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria rinnova il protocollo per il volontariato nelle carceri e nell’esecuzione penale esterna con la Conferenza nazionale volontariato giustizia. Si tratta dell’aggiornamento della convenzione esistente dal 1999, che si è resto necessario visto come il carcere si è evoluto negli ultimi anni, "per le cifre, la popolazione e nell’esecuzione della pena", come spiega Elisabetta Laganà, presidente del coordinamento delle associazioni di volontariato. Secondo una stima del 2008 sono circa 10mila i volontari che lavorano a contatto con i detenuti. "La convenzione riconosce un ruolo fondamentale al mondo del volontariato. Un’istituzione che si rivolge al reinserimento sociale come il carcere deve aprire le porte alla società civile, che a sua volta deve offrire il proprio contributo", afferma il vice capo del Dipartimento Luigi Pagano che sottolinea la volontà dell’amministrazione, dichiarata anche in sede europea nel rispetto della sentenza Torreggiani, di aumentare le attività di enti locali e volontari. "La sorveglianza dinamica e le cosiddette celle aperte hanno bisogno di essere riempite di azioni e strumenti per dare ai detenuti un senso di reale occupazione delle giornata", aggiunge Laganà. Giustizia: "dopo condanna le riforme necessarie", incontro del volontariato penitenziario di Chiara Nardinocchi La Repubblica, 14 novembre 2014 Il 14 e 15 novembre si terrà a Roma il convegno nazionale del Seac. Al centro del dibattito i provvedimenti necessari per rimettere al centro delle leggi il detenuto e il suo rapporto con la società. A quasi quarant’anni dall’approvazione della legge che ha riformato il sistema penitenziario italiano, sono ancora molte le sfide da affrontare. Per discuterne il Seac (Coordinamento enti e associazioni di volontariato penitenziario) ha indetto una serie d’incontri dove si approfondiranno le tematiche sullo stato di salute delle carceri italiane e del reinserimento nella società. Sovraffollamento e società. Il sovraffollamento delle carceri è una piaga del sistema penitenziario che è costato all’Italia diversi richiami dalla Corte di Strasburgo. Ma sebbene sia la più famosa, è solo una delle carenze che minano l’efficacia dell’impianto detentivo italiano. "La politica penitenziaria del nostro Paese - si legge sul sito del Seac - si è progressivamente distanziata da quelle istanze di reinserimento sociale e umanizzazione della pena su cui pose le basi la legge del 1975. Non è un caso che la Corte europea dei diritti dell’uomo, assumendo che il sistema penitenziario del nostro Paese sia afflitto da un vizio sistematico, abbia emesso una sentenza pilota, che ingiunge allo Stato italiano di porre rimedio alle innumerevoli violazioni del diritto riscontrate nei suoi istituti di pena. La Corte suggerisce anche alcune strade maestre per conseguire questo fine: il minore ricorso alla custodia cautelare e le misure alternative alla detenzione". Un’occasione per riflettere sulle riforme. Dopo la sentenza della Corte Costituzionale sull’incostituzionalità della legge Fini-Givanardi, molti detenuti sono tornati a casa. Sebbene si sia ancora lontani dai parametri di vivibilità, la situazione nelle carceri è migliorata. "Il convegno - afferma il Seac - vuole offrire un’opportunità di riflessione sulle riforme necessarie: non solo quelle che permettano di uscire indenni dalla questione Cedu, ma anche e soprattutto quelle che rimettano al centro della esecuzione penale la persona e la sua relazione con la società. Riforme che abbiano il coraggio di spingersi verso l’obiettivo alto di una giustizia che tenda alla riconciliazione e che cerchi anche nelle prassi quotidiane gli strumenti per superare logiche puramente retributive". Il programma. Il convegno, sotto l’altro patronato della Presidenza della Repubblica, si aprirà il 14 novembre alle 10 nel carcere Regina Coeli con gli interventi, tra gli altri, di Luisa Prodi, presidente della Seac e Silvana Sergi, direttrice del penitenziario. Sabato 15 invece l’incontro avverrà all’Istituto Suore di Maria Bambina a Roma con la conferenza stampa dedicata al progetto "A scuola di Libertà", già avviato in 150 istituti scolastici. L’obiettivo è mettere in contatto il mondo del carcere e della scuola per confrontarsi e riflettere sul sottile confine fra trasgressione e illegalità, sui comportamenti a rischio, sulla violenza che si nasconde dentro ciascuno. Per consultare il programma o iscriversi all’evento è possibile consultare il sito della Seac. Giustizia: in un anno migliaia di detenuti in meno grazie alla legge "svuota carceri" di Giovanni Tizian L’Espresso, 14 novembre 2014 In solo otto mesi sono tornati in libertà 6 mila detenuti. Quasi mille al mese. È l’effetto delle politiche "svuota carceri", in particolare della legge varata dal governo Berlusconi nel 2010. È un dato parziale, aggiornato al 31 ottobre 2014, che non tiene conto dei provvedimenti presi dall’esecutivo di Matteo Renzi e del percorso intrapreso del ministro Andrea Orlando, che ha messo in cima alle priorità il potenziamento delle misure alternative alla detenzione che servono proprio a liberare il più possibile le celle così da renderle più vivibili. I penitenziari italiani sono sotto osservazione costante da parte della Corte europea dei diritti dell’Uomo. I giudici di Strasburgo hanno condannato più volte il nostro Paese per le condizioni disumane in cui vivono i prigionieri. E non sono mancati risarcimenti milionari versati a quei detenuti che si erano rivolti alla Corte. Una situazione insostenibile che sembra ora trovare una soluzione. Non che si sia normalizzata del tutto, ma cominciano a intravedersi all’orizzonte dei miglioramenti. Infatti se al 31 marzo 2014 le galere ospitavano 12 mila reclusi in più della capienza complessiva, quasi un anno dopo il surplus si è ridotto a 5 mila. Insomma, si è passati dagli oltre 60 mila ai 54 mila detenuti attuali. Un’accelerazione dovuta anche alle bacchettate arrivate da Strasburgo, come lo stesso ministro Orlando ha ammesso, due giorni fa, davanti alle toghe del Csm: "La nuova strategia, frutto del lavoro degli ultimi Governi e del Parlamento, va incontro alle Raccomandazioni del Consiglio d’Europa in favore delle sanzioni di comunità, pene che non contemplano soltanto la segregazione del condannato dal consorzio civile, ma che hanno anche l’obiettivo di recuperare il rapporto e la relazione tra l’autore del reato e il contesto sociale". Gli istituti di pena lombardi detengono il primato delle scarcerazioni. Secondo i dati del ministero della Giustizia al 31 ottobre scorso i cancelli si sono aperti per 2 mila 350 persone, il 40 per cento di queste sono stranieri. A seguire la Sicilia con quasi mille e 700 detenuti tornati in libertà, praticamente tutti italiani. Poi in terza posizione c’è il Lazio, dove hanno ottenuto la libertà in più di mille e 600. Subito dopo vengono Campania, Puglia, Piemonte e Toscana. I penitenziari di Basilicata e Valle D’Aosta invece sono agli ultimi posti, con poco più di cento detenuti tornati in libertà. Un dato interessante è invece quello dell’Emilia Romagna, con soli 445 scarcerazioni e il 50 per cento di queste concesse a uomini e donne di origine straniera. I risultati delle politiche svuota carceri però non soddisfano del tutto il Guardasigilli, che ha in cantiere altre proposte. Al vaglio degli esperti del ministero ci sono varie ipotesi di lavoro oltre che dossier pronti per riorganizzare il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. In particolare, come ha spiegato Orlando durante l’udienza a palazzo dei Marescialli, per sostenere il rafforzamento delle misure alternative al carcere è previsto "un nuovo dipartimento che si occuperà dell’esecuzione penale esterna", che sarà accorpato agli uffici della giustizia minorile, che sono "un modello di eccellenza". Non solo. Nei piani del ministro infatti c’è la riforma della custodia cautelare, la carcerazione preventiva per intenderci. Un tema che sta molto a cuore al ministro del governo Renzi che davanti ai magistrati ha auspicato una rapida approvazione della legge presentata qualche mese fa. E vista la situazione attuale, sono 10 mila i reclusi in attesa del primo grado di giudizio, potrebbe essere davvero la svolta per riportare il numero dei detenuti al pari dei posti realmente disponibili nelle carceri. È già in vigore invece la messa alla prova dell’imputato, "importante strumento di deflazione del carico giudiziario", ha spiegato Orlando. E sono diverse migliaia ad averne usufruito. Dai dati, che "l’Espresso" ha letto, sono 4.689 le persone che hanno richiesto di usufruire dello strumento entrato in vigore a maggio scorso. Le domande accettate però sono solo 109. Inoltre nell’ultimo anno sono cresciuti i numeri delle misure alternative. Si è passati dalle 20.367 del 31 gennaio 2013 alle quasi 22 mila dello scorso mese. Risultati soddisfacenti, dicono al ministero. L’obiettivo finale però è ridurre i procedimenti penali. Perciò i funzionari di via Arenula hanno già inviato alla presidenza del Consiglio lo schema del decreto legislativo sulla "tenuità del fatto". In pratica non si procederà per fatti ritenuti di lieve entità. Un’altra valvola di sfogo per la macchina della giustizia che viaggia con carichi di lavoro eccessivi. Giustizia: 007 nelle carceri? In Copasir audizione di Mauro Obinu, ex colonnello del Ros Adnkronos, 14 novembre 2014 Una audizione che ha permesso al Copasir di avere alcune conferme. Il quadro che sta emergendo nell’indagine partita l’8 ottobre scorso sulle presunte operazioni Farfalla e Rientro -che in passato avrebbero portato alcuni 007 del Sisde, in accordo con il Dap, ad avere accesso ad informazioni con mafiosi detenuti al regime del 41 bis - sembra confermare che nessun agente dei Servizi sia mai entrato nelle carceri italiane. Oggi il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica ha tenuto l’audizione di Mauro Obinu, ex colonnello del Ros. Un confronto che si aggiunge all’audizione, tenuta ieri, del colonnello del Ros, Felice Ierfone. Martedì era stato invece il magistrato Salvatore Leopardi, ex capo dell’ufficio ispettivo del Dap, a spiegare nell’aula del VI piano di palazzo San Macuto di non aver mai autorizzato agenti del Sisde a entrare nelle carceri. Si conta di chiudere il ciclo delle audizioni con una nuova audizione del sottosegretario Marco Minniti, autorità delegata per la Sicurezza della Repubblica. Prima della relazione finale, che probabilmente arriverà per fine mese, alla quale lavorerà principalmente il relatore Giuseppe Esposito, senatore Ncd e vice presidente del Copasir. Sulla base delle migliaia di pagine acquisite e delle audizioni tenute - dagli ex ministri Giuseppe Pisanu e Roberto Castelli all’ex capo della Polizia, Gianni De Gennaro, e ai vertici del Comparto Intelligence - il Comitato Parlamentare traccerà quindi una relazione che sarà inviata ai presidenti di Camera e Senato. Giustizia: racconti dal carcere, a Regina Coeli i vincitori del Premio "Goliarda Sapienza" di Paolo Petroni Ansa, 14 novembre 2014 Tutti d’accordo, tutor (scrittori che hanno seguito il lavoro dei concorrenti carcerati, abbinati per sorteggio), giurati (dal presidente Elio Pecora a Folco Quilici, Enrico Vanzina), rappresentanti delle istituzioni: "la scrittura è libertà" e in carcere ciò acquista un significato particolare, dà un valore molto importante al premio letterario "Goliarda Sapienza - Racconti dal carcere", rivolto ai detenuti di tutte le carceri e i luoghi di pena minorili italiani. Ieri, a Regina Coeli, si è svolta la cerimonia di premiazione, dopo la presentazione dei 20 finalisti adulti e dei 6 minorenni (su 500 partecipanti), i cui lavori sono raccolti in un volume edito da Rai Eri col titolo complessivo "Il giardino di cemento armato", derivato dall’opera "Zero giorni" di Unknown (tutor Alessandro D’Alatri), vincitore del primo premio minori, dei quali si conosce solo lo pseudonimo. Rai Fiction ha annunciato che realizzerà un cortometraggio ispirato ai migliori racconti finalisti con attori come Luca Argentero e Francesco Montanari. "Più che tutore mi son sentito un complice di evasione" ha dichiarato Erri De Luca, ricordando che, "per chi è a tu per tu con la propria scrittura, non esiste più nulla attorno, non ci sono più muri o altro" e l’evasione è ben riuscita, visto che il suo assistito, Salvatore Saitto, ha vinto il primo premio col racconto "Così mi nasceva la solitudine". Questi ha ringraziato tutti, a cominciare dai suoi compagni di pena con cui dice di "condividere una cicatrice sul cuore che non ci lascerà mai più", e ha colto l’occasione per chiedere pubblicamente la rimozione delle "gelosie", le lastre di metallo che tolgono luce alle finestre del terzo braccio di Regina Coeli. Seconda classificata Agnese Costagli, tutor Valeria Parrella, col racconto "Fuori" su tre giorni di permesso a casa alla vigilia di Natale, in cui si fa tutti i conti col dolore e il senso della detenzione. Terzi a pari merito, Corvus, tutor Giancarlo De Cataldo, con "Maschere dell’indifferenza" fredda, impietosa osservazione di un compagno di pena, e Cosimo Rega, tutor Carlo Lucarelli, con "Il ragazzo col cappotto", incontro con un compagno di carcere con disturbi psichiatrici. Tra i minori, secondo si è classificato Chuck, tutor Cinzia Tani, con "Il prezzo della libertà", ostile incontro in carcere con un coetaneo somalo, finchè questi rivela un suo terribile segreto e nasce un’amicizia. Terzo, Gabriel, tutor Carlo Verdone, con "(non) ho paura", storia d’infanzia rubata. Due infine i vincitori per la nuova sezione poesia: Reda King 89 per gli adulti con i versi "La storia di Reda King", e Josciua Algeri con "Non ho paura dell’inferno". Una donna analizza come comincia il male, in famiglia, passando dall’amore all’odio; un killer racconta la sua storia sconvolgente arrivando così a imparare a piangere; E adesso! in prigione il punto esclamativo pian piano diventa interrogativo; un arabo racconta come le prime vittime di tutte le guerre siano donne e bambini; un albanese rivive la drammatica fuga dal suo paese, da ragazzo; Mohammed racconta di scontare le proprie colpe, ma anche quelle della vita, del suo essere immigrato. Sono tanti e diversi i temi di questi racconti, che, come ha sottolineato Vanzina, "paiono arrivare da molto lontano, da quel buco nero che è il carcere, e invece scopriamo che ci riguardano e al cui fondo si avverte comunque una sofferta nota di verità". Mentre la madrina del premio, Dacia Maraini, ha notato come queste persone "che avevano l’azione come unica interazione col mondo, nell’inazione forzata si rivolgono al pensiero, aprono la porta dell’immaginazione e riflettono su se stessi e il proprio passato, in modo doloroso ma fruttifero". Alla cerimonia sono intervenuti, tra gli altri, il sottosegretario alla Giustizia Cosimo Ferri, il vice capo dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria Luigi Pagano ("questa è un’occasione per dimostrare che teniamo alla trasparenza delle carceri"), il capo dipartimento della giustizia minorile Palma Guarnier ("la scrittura e la cultura come strumento per tornare davvero a essere liberi"), il direttore di Regina Coeli Silvana Sergi ("col premio abbiamo trasformato un luogo di detenzione in un luogo di relazione"), la presidente della Rai Anna Maria Tarantola ("Il servizio pubblico deve accompagnare un percorso di questo tipo"). Calorosissimi gli applausi di tanti detenuti presenti ai loro compagni saliti sul palco, mentre Pecora sottolineava come "si fosse creato un ponte tra noi, tra l’esterno e questi luoghi, con la speranza che lo possano percorre tutti per uscirne". Giustizia: caso Cucchi. Il padre: mostra battaglia serva perché non si ripetano casi simili Adnkronos, 14 novembre 2014 "La battaglia che stiamo combattendo non è contro qualcuno, ma in difesa dei diritti di tutti. E siamo contenti che qualcosa si stia già muovendo", "è scomparsa quell’assurda norma che impediva ai familiari di parlare con i medici senza l’autorizzazione del magistrato. C’era un protocollo d’intesa tra Asl e Dap che ci ha impedito il colloquio con i medici. In quei giorni in cui Stefano è stato ricoverato al Pertini abbiamo fatto di tutto per metterci in contatto, ma senza riuscirci. Oggi sappiamo che altri genitori nelle nostre condizioni possono essere rassicurati sullo stato di salute del figlio e collaborare con i medici per le cure. E poi c’è anche più attenzione, grazie anche al clamore mediatico, nel momento in cui una persona viene fermata. Certo, sono piccole cose, ma impedire che possa accadere ad altri quello che è successo a Stefano è per noi il modo migliore di ricordarlo". Lo afferma in una intervista a Famiglia Cristiana il padre di Stefano Cucchi, il tossicodipendente 31enne morto nel 2009 in custodia cautelare, una morte ancora colpevoli dopo che il 31 ottobre scorso, in appello, sono stati assolti i 12 imputati - medici, infermieri e agenti di custodia. Giovanni Cucchi parla dell’incontro con il presidente del Senato Pietro Grasso: "Per noi è stata una sorpresa positiva sentire dire, per la prima volta da un uomo delle istituzioni, che chi sa deve farsi avanti". Cucchi continua a chiedersi, con la moglie Rita e con la figlia Ilaria, "il perché di quello che è successo", "ci sono stati, nei confronti di nostro figlio, una sciatteria e un cinismo incredibili". E aggiunge: "Sopravviviamo per merito dei nostri nipoti, Valerio e Giulia, di 12 e 6 anni. Loro sono il nostro futuro. Cerchiamo di farcela per loro. Ma anche per la memoria di nostro figlio e per tutti coloro che, come lui, subiscono ingiustizie. In questi anni ci siamo resi conto che il caso di Stefano è solo la punta di un iceberg. Tenteremo tutte le strade nelle istituzioni nazionali e, se non otterremo giustizia, andremo anche alla Corte europea". Cucchi spiega che in un casale di famiglia vicino Tivoli si sta pensando ad un progetto per un centro per tossicodipendenti ed ex carcerati in collaborazione con il Ceis "per far lavorare queste persone sfortunate che devono reinserirsi nella società. E dimostrando anche il nostro attaccamento alle istituzioni. Siamo cittadini italiani e crediamo nello Stato e nella giustizia". Cucchi: "morto per mano Stato". Procura indaga su manifesti Manifesti funebri con scritto "Stefano Cucchi morto per mano dello Stato" sono comparsi per le strade di un centro campano dove abitano i genitori di Nicola Minichini, uno degli agenti della polizia penitenziaria assolti nel processo d’appello per la morte di Stefano Cucchi, il geometra romano arrestato per droga nell’ottobre 2009 e morto una settimana dopo nel reparto detenuti dell’Ospedale Sandro Pertini di Roma. La vicenda è stata inserita in un esposto presentato in procura, e finito in un fascicolo sul quale si sta incentrando l’attenzione della magistratura capitolina. Intanto ieri pomeriggio i difensori di tutti gli agenti penitenziari imputati nel processo e assolti dai giudici d’appello (Domenici, Santantonio e Minichini) sono stati ricevuti dal Procuratore capo Giuseppe Pignatone. "Esprimiamo viva soddisfazione per l’incontro, molto positivo - si legge in una nota degli avvocati Massimo Mauro, Corrado Oliviero e Diego Perugini - il procuratore Pignatone ha assicurato il massimo impegno suo personale e del suo Ufficio nella verifica scrupolosa, all’esito dello studio di tutti gli atti, di comportamenti eventualmente non ancora totalmente vagliati, posti in essere da parte di soggetti diversi dai tre agenti assolti". "Nel corso dell’incontro - aggiungono i legali - c’è stata piena convergenza sul fatto che l’accertamento della verità è interesse sia della giustizia, sia dei tre agenti assolti". In merito ai manifesti funebri apparsi in questi giorni e sulle minacce apparse sui social network fin dal giorno della sentenza d’appello "il procuratore - conclude la nota - ha garantito la massima attenzione per la sicurezza degli agenti e delle loro famiglie ed ha già attivato le competenti Autorità". Lettere: i ministri Orlando e Lorenzin hanno ragione sulla chiusura degli Opg di Antonella Calcaterra (Camera Penale di Milano) Il Garantista, 14 novembre 2014 La relazione sullo stato di attuazione delle iniziative per il superamento degli Opg (ospedali psichiatrici giudiziari) presentata dal Ministro della Salute Beatrice Lorenzin e dal Ministro della Giustizia Andrea Orlando il 30 settembre 2014 ha provocato reazioni scomposte. Anche sulle pagine di questo giornale sono stati pubblicati due interventi pieni di preoccupazione per la "quasi certa" proroga del termine di chiusura degli Opg, attualmente previsto al 31 marzo 2015, a fronte dell’impossibilità di vedere ultimati per quella data i lavori per la messa a regime delle Rems. Luoghi, questi ultimi, dove dovranno essere espiate le misure di sicurezza detentive e la cui costruzione è affidata alle singole Regioni, che hanno accumulato dal 2012 ad oggi gravi ritardi. Da qui l’allarme immediato: inevitabile il rinvio del termine previsto al marzo 2015 e la "non chiusura" degli Opg, "luoghi in cui la reclusione è una forma di tortura e dove gli internati si trovano a scontare veri e propri ergastoli bianchi". Va detto, però, a chiare lettere che, se è vero che gli Opg rappresentano una vergogna e non sono luoghi di cura, l’"ergastolo bianco" non esiste e non esisterà più grazie alle modifiche legislative introdotte con la legge 81 del 2014: stupisce leggere ancora un riferimento a quel meccanismo che, davvero, faceva orrore, ma che ora risulta definitivamente soppresso. E allora un po’ di quell’allarme deve essere ridimensionato; non solo e non tanto per il guadagnato traguardo che ha posto fine alle segregazioni a vita, ma anche per i significativi contenuti di quella relazione dei Ministri, che rendono tutt’altro che scontata la temuta proroga della chiusura degli Opg. Essa apparirebbe addirittura non necessaria. Questo è quanto evidenziato al seminario promosso l’11 novembre in Senato dalla XII Commissione Igiene e Sanità in tema di salute mentale ed Opg, sia da parte del sottosegretario alla Salute Vito De Filippo che da Roberto Piscitello intervenuto per il Ministero della Giustizia. Una linea in parte conseguenziale e coerente ai contenuti di quella relazione ministeriale intorno alla quale è sorto con troppo anticipo il grido d’allarme. La relazione contiene, infatti, alcuni passaggi importantissimi che devono essere evidenziati e che dimostrano "quanta strada" è stata percorsa nel corso di questi due anni e quante curve spigolosissime, che quella strada ancora presentava, siano state smussate. La legge 81 del 2014 ha introdotto ima serie di modifiche fondamentali, tra cui il criterio di resi dualità nell’applicazione delle misure di sicurezza detentive dell’internamento in Opg e casa di cura e custodia, e l’obbligo di dare un’identità a quelle anime morte e sepolte, per lo più sconosciute ai servizi, con la previsione di un piano di cura e trattamento individualizzato per ciascuno di essi. In quella relazione è scritto che oggi ciascun internato, grazie alla nuova legge, ha un piano di cura e trattamento personalizzato, e che al 30 settembre 2014 circa 425 persone su 826 (oggi gli internati sono scesi a 750) risultavano immediatamente "dimissibili" sulla base delle indicazione contenute nel piano di trattamento individuale. Delle persone "non dimissibili", solo il 17% aveva ima pericolosità sociale come ridefinita dalla legge 81. Il resto risultava "non dimissibile" con motivazione del tutto non convincente e non legata ai nuovi criteri valutativi imposti. Questi dati evidenziano la necessità di un potenziamento dei servizi, di prese in carico territoriali e la superfluità della maggior parte di quei posti letto delle Rems che le Regioni si ostinano a voler costruire. Nel corso dell’ultimo anno molte volte era stato ribadito con forza il principio secondo cui non andavano costruiti "tanti posti letto" nelle Rems "quanti erano gli internati", perché la nuova normativa privilegiava i percorsi di cura inclusivi e non detentivi e perché la maggior parte degli internati non necessitava di un trasferimento in Rems. Questa curva spigolosissima del percorso appare oggi ancor più smussatale: gli esiti della relazione del 30 settembre danno conto della non necessità di tutte quelle Rems e la legge 81 del maggio 2014 consente, pei fortuna, che ciascuna Regione possa e debba rivedere i progetti iniziali, diminuendo le costruzioni ed investendo risorse per "favorire la dimissione e la presa in carico da parte dei servizi del dipartimento di salute mentale dei soggetti cui è applicata la misura detentiva". Alcune proposte di modifiche da parte delle Regioni sono in atto e non potranno non tenere conto del minor numero di posti nelle Rems effettivamente necessari. Proprio in ragione di queste modeste necessità residuali, nel seminario tenutosi in Senato è stata sottolineata la possibilità, anzi la seria intenzione, di non prorogare il termine di chiusura degli Opg. Effettivamente a questo numero ridotto di sistemazione dei non dimissibili si deve poter far fronte alla luce dell’ulteriore dato emerso nell’incontro dell’11 novembre di circa 18.000 posti di residenzialità psichiatrica. Appare utile disporre una proroga che mantenga in vita sei, ben sei, strutture così imponenti per numeri così bassi, con l’inevitabile rischio di vedere rimanere ingiustamente "posteggiate" persone definite dimissibili? Lo stato effettivamente fotografato da quella relazione deve indurre, ed infatti questo sta accadendo, a serie e importanti riflessioni. E non, invece, a facili allarmismi. Va anche detto, sempre per evitare i sopra ricordati allarmismi, che pur nell’auspicio che a detta soluzione di proroga non si arrivi, di certo essa potrebbe consentire l’opportunità di una ampia revisione dei progetti regionali in armonia, finalmente, con le nuove norme ed i numeri emersi. Solo una diversa distribuzione delle risorse, peraltro ben sostenuta nella medesima relazione, potrà, infatti, rendere superflui gli Opg, ridurre al minimo le strutture previste in sostituzione e consentire la massima applicazione di principi di cura ispirati all’inclusione sociale e territoriale e al rispetto della dignità e dei diritti inalienabili di cui il malato deve restare titolare. Bollate (Mi): detenuto di 53 anni muore dopo malore, sintomi sottovalutati dai medici di Riccardo Arena www.radiocarcere.com, 14 novembre 2014 Nel carcere "modello" di Bollate, la morte di un detenuto avvenuta in circostanze sospette. Sergio Zea, di 53 anni, muore dopo essere stato per due volte in infermeria. Milano, 22 ottobre. Carcere di Bollate. Sono le 7 del mattino. Sergio Zea, detenuto di 53 anni, ha un improvviso dolore al petto e al braccio sinistro. Sergio viene portato dal medico del carcere. Medico che lo visita e che lo rimanda in cella dopo avergli dato una tachipirina. Sono le 8 del mattino. Sergio Zea sta di nuova male. I sintomi sono gli stessi: dolore al petto e al braccio sinistro. Il compagno di cella chiede aiuto. Il personale della polizia penitenziaria porta Sergio Zea in infermeria. Verso le 9, Sergio Zea muore. Domanda: se questo accade in carcere "modello", cosa potrà mai accadere nelle altre carceri che "modelli" non sono? Isernia: detenuto muore in ospedale per gravi ferite alla testa, aperta un'inchiesta www.primonumero.it, 14 novembre 2014 La notte scorsa il 46enne Fabio De Luca è deceduto nel reparto di Rianimazione dell’ospedale Cardarelli di Campobasso dove era stato trasportato d’urgenza il 4 novembre con un grave trauma cranico. Il pm Barbara Lombardi della Procura di Campobasso potrebbe disporre l’autopsia per chiarire le cause della morte. La squadra Mobile di Isernia e quella del capoluogo stanno interrogando i compagni di cella dell’uomo che fino a 9 giorni fa era recluso nella casa circondariale di Ponte San Leonardo dove si sarebbe ferito dopo essere scivolato. Sono tutte aperte le piste sulla morte dell’uomo che fino a 9 giorni fa era rinchiuso nella casa circondariale di Isernia. Da Ponte San Leonardo, per cause al vaglio degli inquirenti, il pregiudicato isernino è stato trasportato d’urgenza al nosocomio di contrada Tappino con un preoccupante trauma cranico che potrebbe essere la conseguenza di una brutta caduta avvenuta nella struttura carceraria pentra. Gli investigatori però non escludono alcuna ipotesi, nemmeno l’aggressione da parte di altri detenuti o comunque di terze persone. In queste ore, infatti, gli agenti della squadra Mobile stanno ascoltando i compagni di stanza del 46enne e tutte le persone che hanno assistito all’incidente. Il corpo senza vita di De Luca si trova all’obitorio del Cardarelli a disposizione dell’autorità giudiziaria, il pm Barbara Lombardi, che quasi sicuramente disporrà l’autopsia. La Procura di Campobasso ha aperto un fascicolo sul caso per ora contro ignoti. Il detenuto deceduto al Cardarelli aveva un gravissimo e diffuso trauma cranico, ma, stando a quanto si è appreso, non visibile all'esterno. Una volta trasferito da Isernia a Campobasso l'uomo è stato operato, ma non si è mai ripreso. La versione ufficiale dei fatti riferisce di una caduta: il 45enne si sarebbe arrampicato su un letto a castello nella cella di altri detenuti per prendere una gruccia, ma sarebbe improvvisamente caduto all'indietro battendo la testa. Subito sono stati chiamati i soccorsi. L'uomo era in carcere dallo scorso sei ottobre in seguito ad una rapina commessa proprio a Isernia, città dove vivono alcuni suoi parenti. A quanto pare era alle prese ancora con i postumi di un pestaggio che aveva subito l'estate scorsa a Roma. "La versione dei fatti che conosciamo è quella della caduta, dovuta probabilmente ad un malore - spiega l'avvocato Galeazzo Salvatore, che è stato in questi mesi il difensore del 45enne - se poi le cose dovessero essere andate diversamente questo lo potremo sapere solo dall'autopsia". Spoleto (Pg): il Garante denuncia "la direzione dà meno cibo e punisce chi sciopera" www.umbria24.it, 14 novembre 2014 Il prof Fiorio firma una relazione inquietante sulle condizioni di vita nel carcere di Maiano. "Meno cibo e procedimenti disciplinari per i detenuti che scioperano, ma anche utilizzo sproporzionato dell’isolamento e telefonate dimezzate". È dettagliata quanto allarmante la relazione firmata dal Garante regionale dei detenuti, il professor Carlo Fiorio, sulle condizioni di vita all’interno della casa di reclusione di (Maiano) in cui vigerebbe "una gestione connotata da un’ingiustificata rigidità oltre che da un illegittimo ricorso al potere disciplinare". Secondo il documento a inasprire gli animi sarebbe stato lo sciopero pacifico proclamato dai reclusi che annunciavano l’astensione dalle attività lavorative e scolastiche, ma anche dall’acquisto di generi alimentari o prodotti diversi tramite il servizio di sopravvitto. "Lo scopo della protesta civile e non violenta - scrive Fiorio - era veicolare all’esterno talune criticità della gestione dell’istituto e a fronte di tale legittima scelta la direzione ha optato per la via dello scontro frontale, limitando drasticamente i diritti costituzionalmente garantiti alle persone detenute". Il Garante, quindi, passa a elencare quelle che a suo dire costituirebbero violazioni dell’ordinamento penitenziario: "A oggi si registra la generalizzata riduzione, in chiave punitiva, delle telefonate, improvvisamente diminuite da 4 a 2 mensili, e dei colloqui, la creazione di una sanzione disciplinare atipica prevista con ordine di servizio e cioè l’inquietante assoggettamento a procedimento disciplinare a carico di chiunque scioperi, che sortirà ricadute negative sia sulla liberazione anticipate che sui permessi premio. Non solo. Nel corso degli ultimi mesi nell’istituto spoletino - prosegue - si è registrato un singolare incremento dei procedimenti disciplinari per i motivi più disparati e talora per fatti non costituenti infrazione disciplinare, come la rottura di un fermaporta di una cella cagionato dallo sbattere della porta a causa del vento, la puntura di un agente causata da un ago da cucito, legittimamente detenuto e custodito in un portaoggetti, mentre effettuava una perquisizione". Il professor Fiorio ha incontrato il 10 novembre alcuni detenuti che hanno raccontato anche "una riduzione drastica del vitto a danno di chi sciopera, come pasto per l’intera giornata, oltre al latte mattutino, hanno ricevuto 30 grammi di coniglio ed un wurstel". Ma il Garante va anche oltre: "Risultano provvedimenti disciplinari irrogati senza la necessaria partecipazione del detenuto al relativo procedimento e in tale prospettiva, si registra un utilizzo sproporzionato dell’isolamento, applicato quasi sempre nella sua massima durata consentita e in un contesto assolutamente eterodosso rispetto alle coordinate legislative e regolamentari: ci si riferisce al fenomeno delle celle lisce, prive di qualunque oggetto o mobilio, senza televisione o radio, senza fornellino anche per un caffè, con il divieto (direttoriale) di far spesa e col blindato chiuso giorno e notte". La strigliata del Garante dei detenuti Da qui il Garante scrive: "La reazione amministrativa risulta sproporzionata e talora illegittima rispetto alle richieste dei detenuti, m è necessario che l’amministrazione penitenziaria adempia agli obblighi previsti da leggi e regolamenti e in questo senso, tutti gli organi dell’amministrazione sono richiesti di provvedere, nondimeno il Garante invita la magistratura di sorveglianza a esercitare un più penetrante controllo sugli atti amministrativi lesivi dei diritti soggettivi della persona detenuta". Cagliari: Pili (Unidos); salta apertura carcere Uta, opere del cantiere non ancora concluse Ansa, 14 novembre 2014 "Salta ancora l’apertura del carcere di Uta prevista per oggi e rinviata a data futura", lo rende noto il deputato Mauro Pili (Unidos), che ha denunciato varie opere ancora non concluse ed "un cantiere senza fine all’interno della struttura". Il parlamentare ha quindi presentato una dettagliata interrogazione parlamentare con la quale, anche attraverso rilievi fotografici, ha evidenziato la situazione del carcere, costato per ora "95 milioni di euro e ancora senza collaudi". Pili ha raccontato che le "celle di Riina e compagni sono senza muri in un cantiere in alto mare con gru interne e attrezzi pericolosi per una struttura penitenziaria", inoltre "l’interno e l’esterno del carcere dei boss sono collegati attraverso un condotto ad altezza d’uomo che ancora oggi è visibile a chiunque facesse un sopralluogo dell’area". Pili ha anche denunciato che "la struttura è stata realizzata in un’area a diretto contatto con bacini abbandonati a se stessi e carichi di rifiuti tossici". "Per la prima volta, nonostante i divieti apposti dal Dap alla visita di un cantiere e come tale fuori dalla giurisdizione penitenziaria - ha concluso il deputato - si è riusciti a conoscere lo stato dell’arte dei lavori del 41 bis, le celle dedicate ai capimafia". Nola (Ce): lavori carcere fermi al palo, interrogazione parlamentare dell’On. Cardiello www.ilgiornalelocale.it, 14 novembre 2014 Perché non viene costruito il carcere di Nola? È la domanda che il Senatore Franco Cardiello (Forza Italia) ha rivolto attraverso una interrogazione parlamentare al Ministro della Giustizia Andrea Orlando. La struttura penitenziaria di Nola, spiega Cardiello, potendo ospitare 900 detenuti potrebbe decongestionare le altre carceri, "dare la possibilità di uno sviluppo occupazionale al territorio del Nolano", e consentire "l’assegnazione di personale di Polizia penitenziaria che da molti anni presta servizio in altre sedi". L’appello di Cardiello è rivolto soprattutto alla condizione del personale della Polizia penitenziaria, già in crisi per la chiusura della Scuola di Formazione di Polizia penitenziaria di Aversa. Per risolvere parte degli attuali problemi della Forza di Polizia, dunque, potrebbe essere utile l’apertura dell’istituto di pena a Nola. Un progetto che da alcuni anni è portato avanti, essendo inserito nel Piano carceri, ma che non si realizza ancora. Il sindaco Geremia Biancardi all’atto del suo secondo inserimento, nel luglio scorso, menzionò proprio la costruzione del carcere tra le opere prioritarie per la città. Eppure nulla in apparenza si muove per cause in apparenza irrintracciabili, come sottolinea lo stesso Cardiello. Il progetto del carcere da 900 posti a Nola nasce per decongestionare quello sovraffollato di Poggioreale. Un istituto carcerario "non di massima sicurezza" capace di ospitare 900 detenuti non pericolosi che doveva sorgere in via Sarnella ed avrà un costo (ovviamente non a carico del Comune) di 75 milioni di euro. È stato inserito ufficialmente nel piano carceri nel luglio del 2013.. Altri istituti di pena sono previsti a Bari, Venezia, Mistretta, Sciacca, Marsala. Il piano carceri del Dap è stato formulato anni orsono, con variazioni in corso d’opera, per ovviare ai ben noti problemi di sovrappopolamento. Catania: carcere di Bicocca, detenuto in Alta Sicurezza appicca incendio alla propria cella www.cataniatoday.it, 14 novembre 2014 Un detenuto classificato "Alta Sicurezza", catanese e di circa 40 anni, con accertati problemi psichici ha dato fuoco alla propria cella nel carcere di Bicocca. A dare la notizia il sindacato Osapp. "Come sempre è la professionalità della Polizia Penitenziaria che assicura il mantenimento dell’ordine, la sicurezza e la disciplina nelle patrie galere" dichiara il segretario generale aggiunto dell’Osapp, Domenico Nicotra. "Solo il pronto intervento dell’Agente di sezione, supportato da quel poco di personale disponibile a fronte di una sovraffollamento che conta circa 240 detenuti presenti (30% in più della capienza) ha evitato che la situazione degenerasse. Infatti, aggiunge Nicotra, grazie al tempestivo intervento si è potuto evitare che le fiamme di propagassero, mentre nel frattempo e a causa dell’elevato fumo generatosi è stato necessario evacuare temporaneamente la sezione per evitare danni alla salute della popolazione detenuta. Nel carcere di Catania "Bicocca", prosegue Nicotra, la carenza è altissima, ancor più acuita per quanto riguarda la presenza di Ispettori e Sovrintendenti, ed oggi si può parlare di un pericolo scongiurato solo grazie all’altissima professionalità degli agenti in servizio. Si spera, conclude il leader dell’Osapp, che questa grave carenza venga colmata, almeno in parte, in occasione delle prossime assegnazioni di Ispettori di Polizia Penitenziaria". Reggio Calabria: due agenti sventano suicidio di una detenuta nel carcere di Arghillà Il Velino, 14 novembre 2014 "Anche questa volta solo grazie al tempestivo e professionale intervento di due giovani Agenti di Polizia Penitenziaria femminile, in servizio nel nuovo istituto calabrese di Arghillà, è stato scongiurato l’ennesimo tentativo di suicidio in carcere. La detenuta, poco più che trentenne ristretta in carcere per rapina, con un cappio rudimentale ha tentato l’estremo gesto autolesionista nel bagno della cella dove si trovava ristretta". Lo dichiara il Segretario Generale Aggiunto dell’Osapp - Domenico Nicotra. "Nel nuovo carcere di Arghillà - conclude, la carenza è già una criticità che necessita di un urgenti interventi di incremento, soprattutto se si pensa che non vi è la possibilità di aprire un nuovo piano detentivo per la penuria, appunto, di Agenti di Polizia Penitenziaria". Rimini: detenuti "arruolati" dal Comune per ripulire la città da scritti e graffiti www.newsrimini.it, 14 novembre 2014 Detenuti "arruolati" dal Comune per ripulire la città da scritti e graffiti che deturpano gli immobili pubblici e privati. Così da mettere positivamente a frutto l’opera, il tempo e le capacità delle persone in carcere e favorire il loro reinserimento in società. È il senso dell’accordo tra Comune di Rimini e casa circondariale "Casetti", una convenzione approvata martedì dalla Giunta comunale, che prevede il coinvolgimento di alcuni detenuti in attività di pubblica utilità, in particolare la cura e manutenzione del patrimonio pubblico. Si tratta del primo atto del percorso amministrativo che porterà alla firma dell’accordo vero e proprio e alla definizione nei dettagli dei progetti nei quali saranno coinvolti i detenuti. Il primo gruppo di carcerati (5 o 6 persone) sarà "arruolato" già in dicembre con l’obiettivo primario di ripulire Rimini da scritte vandaliche e graffiti sui muri della città, in particolare gli sfregi compiuti con una vernice rossa sulla Basilica Cattedrale (capolavoro del Rinascimento italiano) e su altri siti cittadini di valore storico e artistico: dalla biblioteca Gambalunga alla statua di Paolo VI in piazza Cavour, dal basamento della statua di piazza Ferrari alle facciate del liceo Giulio Cesare e della Polizia. Tutti i siti vergati con la frase "amor vincit omnia", citazione dalle "Bucoliche" di Virgilio. In media l’Amministrazione Comunale spende dai 40 ai 50mila euro l’anno per ripulire la città dagli imbrattamenti. Ma il risparmio è solo una delle molle che hanno fatto scattare l’operazione, e neppure quella decisiva. "Da una parte favoriamo il percorso rieducativo dei detenuti, dandogli l’opportunità di mettersi al servizio della comunità, prendendosi cura di beni che sono di tutti - sottolinea il vicesindaco e assessore al Welfare Gloria Lisi - Al contempo i detenuti avranno modo di fare esperienze che potrebbero essergli utili in un secondo momento, quando potranno lasciare la casa circondariale e dovranno provare a reinserirsi nella società e nel mondo del lavoro". Biella: blackout in carcere, detenuto chiuso in ascensore, agenti intrappolati tra cancelli www.ilperiodicodibiella.com, 14 novembre 2014 Dopo che la pioggia di questi giorni ha allagato completamente i sotterranei, questa mattina il carcere di via dei Tigli, ha vissuto tre ore di disagio e di confusione completa, a causa di un blackout totale quanto inatteso, che ha bloccato tutti i servizi dell’istituto. Dalle 8 fino alle 11 circa, la struttura di correzione biellese, è infatti rimasta senza elettricità: la prima "vittima", è stato un detenuto, rimasto chiuso nell’ascensore di servizio, fino a quando la corrente non è tornata; non meglio, è andata a sei agenti di polizia penitenziaria, che non essendo riusciti a far funzionare manualmente le serrature, sono rimasti intrappolati tra due cancelli, per circa tre ore. "Ovviamente - è l’analisi di Leo Beneduci dell’Osapp - benché nel nostro paese consimili episodi siano all’ordine del giorno, nei servizi pubblici fa sempre una certa impressione toccare con mano l’inadeguatezza delle infrastrutture penitenziarie, rispetto a particolari condizioni climatiche e quanto siano impreparati a fronteggiare le emergenze, i responsabili dell’Amministrazione Penitenziaria con i conseguenti disagi per il personale e per l’utenza". Stati Uniti: l’amministrazione Obama appoggia il trattato internazionale contro la tortura Nova, 14 novembre 2014 L’amministrazione del presidente Usa Barack Obama ha espresso il suo sostegno formale al trattato internazionale che bandisce al tortura e il maltrattamento dei prigionieri detenuti all’estero, ribaltando l’interpretazione dell’amministrazione precedente, guidata dal presidente George W. Bush, secondo cui il trattato si applicava soltanto ai detenuti entro i confini del paese. In un comunicato rivolto ieri alla commissione Onu di Ginevra che vigila sull’applicazione dei trattati internazionali, l’assistente segretario di Stato Usa, Tom Malinowski, afferma: "Riteniamo che la tortura, e le punizioni crudeli, inumani e degradanti siano proibite in ogni luogo e in ogni situazione, senza eccezioni". Il consulente legale del dipartimento di Stato Usa, Mary E. McLeod, ha specificato che la nuova interpretazione del trattato si estende a qualunque territorio o superficie dove gli Stati Uniti esercitino la loro giurisdizione, incluso il penitenziario speciale di Guantanamo Bay, a Cuba, e "le navi e i velivoli statunitensi registrati". McLeod ha anche ribadito che le confessioni e le dichiarazioni strappate a un detenuto col ricorso alla tortura non hanno alcuna valenza legale nell’ambito dei procedimenti giudiziari. Nonostante una legge degli Stati Uniti e una ordinanza emessa dal presidente Barack Obama proibiscano il ricorso alla tortura e la crudeltà nei confronti dei detenuti, per oltre sei anni l’amministrazione non ha formalmente ripudiato l’interpretazione formulata dall’amministrazione Bush nel 2005, secondo cui il trattato non si applica "agli stranieri oltremare". Anche negli ultimi anni, diversi sospetti di terrorismo sono stati catturati e interrogati a bordo dei vascelli della Marina Usa in acque internazionali, prima di comparire di fronte alle corti civili statunitensi. Stati Uniti: 36 detenuti di Guantánamo non saranno processati… né liberati Adnkronos, 14 novembre 2014 Dei 148 sospetti terroristi ancora detenuti a Guantánamo 36 non saranno incriminati o processati e continueranno ad essere imprigionati a tempo indeterminato. Lo ha detto, nella sua audizione di fronte alla Commissione dell’Onu contro la tortura, il generale Richard Gross, uno dei principali avvocati del Pentagono, che ha illustrato la situazione legale di tutti i prigionieri che si trovano nel campo di prigionia istituito da George Bush nella base militare americana a Cuba. Subito dopo il suo insediamento nel 2009, Barack Obama si era impegnato a chiudere Guantánamo, in risposta agli anni di critiche e condanne arrivate dalla comunità internazionale. Ma in tutti questi anni i suoi tentativi hanno trovato la netta opposizione del Congresso, anche di esponenti democratici, ed ha dovuto anche fare i conti con la difficoltà e la lentezza di rimpatrio, o trasferimento in Paesi terzi, dei detenuti che, dopo anni di detenzione extragiudiziaria, si è stabilito di rilasciare. Egitto: Al Sisi emana decreto che lo autorizza a consegnare detenuti stranieri ai loro paesi Nova, 14 novembre 2014 Il presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi ha emanato un decreto legge che "autorizza il capo dello Stato a consegnare imputati non egiziani ai loro rispettivi paesi per essere processati e scontare la pena emessa nei loro confronti", come recita una nota emessa dalla presidenza della Repubblica. Nella nota si spiega che il provvedimento sarà adottato "qualora lo richiedesse l’interesse supremo dello Stato e sulla base di una richiesta presentata dal procuratore generale e approvata dal Consiglio dei ministri". Iran: Amnesty e Modena Volley; liberate giovane in carcere perché voleva assistere partita Ansa, 14 novembre 2014 Prosegue la collaborazione tra Amnesty International e Modena volley, per portare alla scarcerazione di Ghoncheh Ghavami, la giovane iraniana condannata a un anno di carcere per aver voluto sfidare il divieto per le donne di assistere ai vari eventi sportivi. "È solo un evento agonistico, lo sport non può fare il cane da guardia della situazione dei diritti umani nel mondo. Non mescoliamo lo sport con la politica. Ne abbiamo sentite, di frasi come queste - spiega, in una nota, Riccardo Noury, direttore dell’Ufficio comunicazione Amnesty International Italia - pronunciate dai dirigenti sportivi di ogni disciplina, in occasione di eventi piccoli o grandi", l’ultimo dei quali è il Mondiale di calcio della scorsa estate in Brasile, mentre l’edizione del 2022 in Qatar rischia di passare alla storia come quella basata sullo sfruttamento del lavoro migrante in condizioni equivalenti alla schiavitù". "Di fronte a questa situazione deprimente - sottolinea Catia Pedrini, presidente di Modena volley - la mobilitazione del mondo del volley per Ghoncheh Ghavami è di straordinaria importanza. C’è una parte del mondo sportivo che non si chiude in sé stessa, nei palasport o negli stadi, ma che guarda a cosa accade nel mondo e alle interconnessioni tra ciò che nel mondo accade. Due fine settimane fa, il volley italiano ha mandato la propria solidarietà a Ghoncheh" colpevole di voler assistere a un partita tra Iran e Italia "e ha fatto sapere alle autorità iraniane che la repressione che stanno portando avanti non passa inosservata. Dobbiamo dare coerenza e continuità a questa e ad altre mobilitazioni. Ora Amnesty International ha lanciato un appello mondiale per la scarcerazione di Ghoncheh. In 53 anni di attività, gli appelli di Amnesty International hanno tirato fuori dalle carceri del mondo oltre 50.000 prigionieri di coscienza. Vogliamo che Ghoncheh sia la prossima".