Giustizia: per celebrare i 250 anni di Beccaria… approviamo il reato di tortura di Valter Vecellio Il Garantista, 13 novembre 2014 Chissà se pensava di aver scritto un’opera destinata a restare nei secoli, un vero e proprio spartiacque. Esattamente 250 anni fa, un nobile milanese, Cesare Bonesana Beccaria, marchese di Gualdrasco e di Villareggio, dava alle stampe, firmandolo come "Anonimo", e solo successivamente rivendicandolo, un libretto esile in quanto formato, ma destinato, appunto, a "segnare": quel "Dei delitti e delle pene", un testo fondamentale contro la tortura e la pena di morte. Fin da subito ha un’enorme fortuna, in tutta Europa e nel mondo: Thomas Jefferson e i "padri" fondatori degli Stati Uniti d’America, leggono "Dei delitti e delle pene" direttamente in italiano, e da quel "libretto" prendono spunto e ispirazione per le nuove leggi che devono varare per la giovane nazione americana; e in Francia incontra l’apprezzamento entusiastico dei filosofi dell’"Encyclopédie"; Voltaire ne è entusiasta e con Beccaria intraprende una fitta e interessante corrispondenza; e il "club" che raccoglie i philosophes più prestigiosi lo studia e postilla entusiasta, alla fine ne compare una traduzione in francese curata dall’abate filosofo André Morellet, impreziosita dalle note di Denis Diderot. In compenso, nel 1766 il libro di Beccaria viene messo all’Indice; chi lo legge può capirne le ragioni: il libro ha la sfrontatezza di operare una distinzione tra reato e peccato. "Dei delitti e delle pene" capovolge radicalmente la legislazione giudiziaria dei suoi tempi; si può ben dire sia un testo rivoluzionario; detta infatti il principio per cui la determinazione di pene e delitti deve basarsi esclusivamente su un codice ben fatto e definito di leggi; dunque al bando l’arbitrio o l’influenza del giudice, fino ad allora dominanti e prevalenti, e questo per la "semplice" ragione che essendo un uomo anche il giudice, può lasciarsi trascinare o influenzare dai propri istinti o interessi. I 250 anni verranno senz’altro ottimamente ricordati con adeguate celebrazioni, e con solenni appuntamenti; ne ricaveremo senz’altro volumi con gli atti di dotte relazioni per convegni di prestigio. Ma al di là del prevedibile profluvio di parole, almeno per quello che riguarda l’Italia basterebbe un gesto, del Parlamento, del Governo: introdurre, finalmente, anche nei nostri codici il reato di tortura, che non è ancora contemplato nonostante il nostro paese abbia sottoscritto e firmato da anni le relative convenzioni internazionali. Finalmente, comincerebbero a trovare pace gli Stefano Cucchi e gli Aldo Bianzino, i Federico Aldrovandi e i Giuseppe Uva, i Michele Ferulli e i Francesco Mastrogiovanni, le vittime della "macelleria messicana" che si consumò in occasione del vertice del G8 a Genova, e le decine di persone che sono entrate vive in una istituzione dello Stato (carcere, stazione dei carabinieri, questura, ecc.), e ne sono uscite morte; e anche le loro famiglie ne ricaverebbero un po’ di consolazione, perché le vittime dei "delitti" e delle "pene" potrebbero finalmente ottenere giustizia. Non è difficile compiere quel gesto: basta recuperare i testi di Legge presentati dai radicali e Pd e altri nella passata legislatura, o quelli presentati per esempio da Luigi Manconi in questa; in poco tempo, se ci fosse la volontà politica, quei testi si potrebbero approvare. Ma qui la domanda: perché chi può non vuole e non fa? In fin dei conti è questa la domanda da porre e da porci, se vogliamo davvero celebrare al meglio i 250 anni dei "Delitti e delle pene". Giustizia: ma quale "trattativa" Stato-mafia? i detenuti al 41bis restano carne da macello di Damiano Aliprandi Il Garantista, 13 novembre 2014 È considerata la prova regina di presunti accordi stato-mafia: ma il documento è in realtà la dimostrazione che nulla è cambiato. La lettera che pubblichiamo integralmente risale al febbraio del 1993 ed è rivolta all’altea presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro. A firmarla un gruppo di familiari dei detenuti che denunciano la tragicità del sistema penitenziario e in particolar modo le condizioni a cui furono sottoposti i detenuti nel famigerato carcere di Pianosa. Abbiamo scelto di pubblicarla per un motivo molto semplice. Oltre a dimostrare che certi problemi non sono mai stati risolti la lettera è infatti dì estrema attualità -questo documento è considerata la "prova" iniziale della presunta trattativa mafia-stato. Anzi, la prova regina sarebbe data dal fatto che l’allora capo del Dap, Capriotti, avrebbe "osato" leggerla e poi cercato di apportare dei piccoli cambiamenti al regime di detenzione. Questo è un teorema pericolosissimo. Attualmente numerose associazioni, soggetti politici come il partito radicale, ma anche famiglie dei detenuti e cittadini comuni sensibili a queste tematiche, intraprendono iniziative: scrivono lettere, lanciano petizioni, organizzano manifestazioni. Giornali come il nostro ospitano critiche al sistema penitenziario e denunciano anche le condizioni del 41bis. Dobbiamo dunque avere tutti qualcosa da temere? E se un domani ci sarà un capo del Dap sensibile (e c’è da sperarlo) ai diritti in carcere, dovrà temere di essere umiliato, magari a 90 anni, in un’aula di tribunale? Per non correre rischi, evidentemente un uomo delle istituzioni deve rimanere sordo alle urla di dolore dei detenuti. La lettera che riportiamo era stata inviata, oltre che al Quirinale, al capo del Dap, al Consiglio superiore della Magistratura, ai ministri della Giustizia e dell’Interno e anche al Papa. Oggi abbiamo però una novità. Questa volta abbiamo un Papa che ha accolto le lettere dei detenuti ergastolani e reclusi al 41bis e ultimamente ha criticato la deriva del populismo penale che comporta leggi dure e spietate. Dovrà temere anche lui? Qui di seguito la lettera integrale. Siamo un gruppo di familiari di detenuti che, sdegnati e amareggiati da tante disavventure, ci rivolgiamo a Lei, non per presentarci come persone che chiedono non sì sa bene quale forma di carità o di concessione, anche perché abbiamo una tale dignità che ci consente di affrontare, a testa alta, qualsiasi tipo di problema, pagando, anche di persona, qualsiasi tipo di pena, ma ci rivolgiamo a Lei perché riteniamo che si è responsabili in prima persona, quale rappresentante e garante delle più elementari forme di civiltà. Qual è il problema? Come, certamente, Lei saprà, in Italia esistono le carceri, dove vengono rinchiusi coloro che hanno sbagliato nei confronti della società "civile" o che hanno commesso reati di qualunque genere; a prescindere dal fatto se si tratta di persone colpevoli o innocenti, queste carceri servono per fare espiare le pene o, comunque, per recuperare chi ha sbagliato. Ora, o noi non abbiamo capito bene qual è la funzione delle carceri, o Lei non è a conoscenza di quello che succede nelle carceri italiane e in particolare in alcune dove la Bosnia a confronto diventa un paradiso. Per sintetizzare cominciamo ad affrontare quali sono le nostre difficoltà: 1) Sa quanto costa, per una famiglia dì un detenuto, spostarsi da Palermo o dalla Sicilia per recarsi in qualsiasi parte d’Italia, per poter stare un’ora con il proprio congiunto? Lei se lo è mai chiesto? 2) Quante volte la settimana Lei cambia la biancheria intima? Quante volte alla settimana Lei o chi per lei cambia le lenzuola del suo letto? Quante volte in una settimana, o al giorno. Lei si cambia di abito? Lo sa Lei quanta biancheria, e solo biancheria, in un mese noi possiamo portare al nostro congiunto? Soltanto cinque kg.; e si è mai chiesto con 5 kg. di biancheria cosa si può portare? Per Lei possono essere banalità, ma noi crediamo che, per chi sta in carcere, queste cose assumono non solo grande importanza per l’igiene ma costituiscono un motivo per incominciare ad aver fiducia nelle istituzioni della Repubblica. 3) Altro problema, ancora più grave, e crediamo che Lei debba vergognarsi di essere il capo dello Stato, è che lo Stato permette ai secondini delle carceri e in special modo a quelli delle carceri di Pianosa, di avere comportamenti uguali a quelli degli sciacalli o dei teppisti della peggior specie, nel senso che trattano i detenuti peggio di cani randagi, usando metodi della peggior tradizione fascista. Tutto questo è vomitevole, vergognoso, indegno. I secondini sono tali o "bestie" o "killer dello Stato"? Loro fanno tutto quello che vogliono, maltrattando i detenuti e con l’alimentazione che "fa schifo" e con i maltrattamenti fisici (si lascia libera l’immaginazione). Ora, non ci venga a dire che non è vero perché nessuno dall’interno delle carceri verrà a confermarle quella che è la realtà, considerando che le ritorsioni nei confronti di chi avrà l’ardire di lamentarsi sarebbero immaginabili. Immagino Signor Presidente che Ella, nei giorni di Natale, proprio quando tutta l’Italia veniva stretta dal freddo gelido, se ne stava al calduccio e sì riguardava al massimo per difendere il suo corpo dal freddo (non considerando che al minimo accenno di raffreddore i migliori medici sarebbero accorsi); sa che nel carcere di Pianosa più fa freddo e più tolgono (poche per la verità) le coperte ai detenuti?; di riscaldamento manco a parlarne; i medici a Pianosa non si sa cosa siano. Ora, se Lei ha dato ordine di uccidere, bene, noi ci tranquillizziamo, se non è così, guardi che per noi è sempre il maggior responsabile, il più alto rappresentante dell’Italia "civile" che, con molto interesse, ha a cuore i problemi degli animali, i problemi del terzo mondo, del razzismo, e dimentica questi problemi insignificanti perché si tratta di detenuti ovvero di carne da macello. Come puntualizzavamo prima, non chiediamo indulgenze particolari o grazie ma soltanto il rispetto di dignità di persone che, nella disgrazia, stanno pagando, senza battere ciglio, i loro debiti giusti o ingiusti che siano. Per noi significa dare la possibilità ai detenuti tutti di sopportare la restrizione in maniera dignitosa, cioè avere la possibilità di incontrarsi con i familiari senza spendere un patrimonio, la possibilità di poter portare almeno, settimanalmente, la biancheria oltre al vitto ai detenuti; togliere gli squadristi al servizio del dittatore Amato, dando dignità di detenuti ai detenuti. Concludiamo scusandoci per la forma arrogante con la quale ci siamo presentati, distogliendola da problemi sicuramente molto più gravi e urgenti di questi. Noi ci permettiamo farle notare che, continuando di questo passo, di detenuti ne moriranno, ma Lei non si curi di loro tanto, come dicevamo prima, si tratta di carne da macello. Per noi e per loro resta solo la consolazione che, un giorno, Dio che ha più potere di Lei, sarà giusto nel Suo giudizio; giudicherà tutti in base a come abbiamo visto Gesù, suo Figlio, nei fratelli (ammalati, carcerati, affamati, bisognosi ecc.). Lei si è vantato tante volte di essere un autentico cristiano, Le consigliamo di vantarsi di meno e di Amare di più. Non ci firmiamo lutti non per paura, ma per evitare ulteriori pene ai nostri familiari detenuti (e poi fanno lezioni di mafia!). Pensiamo, inoltre, che a Lei non interessano le firme quanto verificare e trovare i giusti rimedi. Al momento non crediamo che la volontà dello Stato che Lei rappresenta sia così civile nel dare una risposta adeguata. La sfidiamo a smentirci. Giustizia: la crisi di identità dell’amministrazione penitenziaria e il governo delle carceri di Evelina Cataldo www.articolo21.org, 13 novembre 2014 Ieri diversi membri dell’associazione Antigone hanno organizzato un convegno al quale hanno contribuito diversi rappresentanti istituzionali, del comparto sindacale della funzione pubblica e della dirigenza penitenziaria, nonché operatori interni alle prigioni italiane. Uno scambio di idee sul vuoto nel governo delle carceri, fruibile anche in streaming, che evidenzia in maniera raccordata le difficoltà che ogni professionalità sta vivendo nell’affrontare lo stallo che si è generato a seguito della sentenza Torreggiani e delle innumerevoli difficoltà che oggi vive il pianeta carcere. Un pianeta che vive un profondo abbandono, acuito dall’assenza di un effettivo Capo del dipartimento, dalla necessità di riorganizzare il Dap in maniera efficiente ma tagliando o accorpando nel rispetto delle norme penitenziarie, dalla esigenza di ristabilire un giusto equilibrio tra i bisogni del trattamento e quelli della sicurezza. Il residuo numero delle risorse umane impiegate nel processo di esecuzione penale mostra l’inadeguatezza per l’assolvimento della mission che l’Europa, la Costituzione e le leggi statali impongono. Risibile l’organico dei Magistrati di Sorveglianza, circa 150 in tutto il territorio italiano che nel tempo hanno visto aumentare il carico del lavoro sia nelle funzioni di vigilanza e garanzia dell’esecuzione della pena che nei percorsi di riabilitazione sociale; i direttori degli istituti vivono un periodo di assoluta solitudine, figura compressa tra il governo del personale e il management del penitenziario, spesso invitati a gestire più di una prigione in assenza di una riformulazione delle modalità per l’accesso a una carriera penitenziaria che sinora ha stabilizzato le figure ex lege (legge Meduri) e non attraverso aperti concorsi pubblici; impari la dotazione organica dei funzionari giuridico-pedagogici e del servizio sociale rispetto agli operatori della sicurezza, sui quali ricade non solo un compito di interazione e mediazione delle necessità del soggetto recluso ma anche il laborioso lavoro come consulente che relaziona al giudice dell’esecuzione. Stagnanti anche le chiusure in termini professionali della polizia penitenziaria la cui sorveglianza dinamica sta mostrando i suoi fallimenti dovuti non a una mentalità poco incline al cambiamento ma alle malagevoli azioni per realizzarla senza adeguate tutele in termini normativi. Interessante il sincero apporto del direttore dell’istituto superiore di studi penitenziari che ha apertamente evidenziato la presenza di humus intellettuale fervido e competente in tutti i ruoli penitenziari essendosi occupato per anni della formazione dedicata a tutto il personale dell’amministrazione, come anche alla sempre più sentita urgenza di riformulare lo spazio e il tempo della pena, argomenti di attualità da circa un ventennio. Tutti i settori della Pubblica amministrazione vivono un momento critico per l’intervento sempre più massiccio rivolto alla burocratizzazione e per una concezione del senso della mansione intesa come formale adempimento, suddivisa in maniera meccanicistica nell’inconsapevolezza personale del ruolo incarnato come pure ai mancati raggiungimenti di obiettivi individuali e in team. Doversi discostare dal proprio mandato istituzionale provoca un senso di degradante disorientamento e stesso avviene nei casi determinati dalle frequenti delegittimazioni professionali consequenziali a un "non-riconoscimento" dell’importanza delle funzioni svolte. L’intervento del funzionario della professionalità giuridico pedagogica operante dal 1991 ha ben rappresentato quei piccoli aspetti della vita quotidiana in carcere che assumono una grande importanza se rapportati alle norme esistenti e al lavoro singolarmente prestato. Quello che l’amministrazione rischia è la vanificazione di un progetto normativo e di sicurezza sociale/legale di estrema rilevanza sul quale si è tanto investito sinora e che, se non arginato e considerato in una prospettiva organica e razionale rischia un totale fallimento. Azioni per rinfoltire le risorse umane esistenti, rendere gli ambienti di lavoro salubri per il personale e per l’utenza, formare dei team di professionisti partecipi e soddisfatti delle azioni svolte, regionalizzare i Provveditorati riconoscendo maggiore autonomia di funzione, in una cornice di innovazione tecnologica, normativa, e di formazione continua del personale, potrebbero riavviare l’ultimo ingranaggio dell’azione penale in chiave civile orientandola a una correttezza politica oltre che giuridica. Giustizia: ddl Bilancio; per carceri sistema integrato con privati, terzo settore e volontariato Il Velino, 13 novembre 2014 I risparmi del Coni, ma anche delle regioni e degli altri enti locali, così come le somme versate da altri enti pubblici e privati alle casse dello Stato saranno riassegnate al ministero della Giustizia per il miglioramento della condizione carceraria. È quanto prevede uno degli emendamenti del governo alla legge di Bilancio che nella novella include tra gli interventi realizzabili attraverso questo tipo di contabilità assegnata al ministero della Giustizia anche "interventi e investimenti finalizzati al miglioramento delle condizioni detentive e delle attività trattamentali". Questa previsione si affianca alla destinazione delle somme versate anche da privati per il mantenimento, l’assistenza e per la rieducazione dei detenuti e internati, nonché per le attività sportive del personale del Corpo di polizia penitenziaria e dei detenuti e internati. "Tali persone - si legge nella relazione che accompagna l’emendamento del governo - in qualità di cittadini sono infatti destinatari di attività e interventi demandati anche ad altre istituzioni". "Ciò potrà contribuire alla realizzazione di un sistema integrato di interventi in cui istituzioni dello Stato, autonomie locali, organismi del terzo settore e del volontariato concorrono al perseguimento di obiettivi comuni". Giustizia: carcerazione preventiva, per il magistrato maggiori limiti alla discrezionalità di Francesco Grignetti La Stampa, 13 novembre 2014 È una legge che s’era persa nei meandri del Parlamento, ma che oggi sarà finalmente licenziata dalla commissione Giustizia della Camera nella sua formulazione forse definitiva e che lunedì va all’esame dell’Aula: la custodia cautelare cambia volto, il carcere diventa residuale, sostituito da arresti domiciliari cumulabili con pesanti misure interdittive (dal sequestro del passaporto al divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, all’interdizione dai pubblici uffici), e cadono una serie di automatismi che erano la filosofia dei diversi Pacchetti Sicurezza del centrodestra. Se quelli non facevano altro che imporre il carcere cautelare ad ogni tornante, questa legge che porta in calce le firme del Pd - e cioè Donatella Ferranti, Andrea Orlando, Danilo Leva, Anna Rossomando - riporta al centro la discrezionalità del magistrato. Che però si troverà il fardello di più pesanti motivazioni, quando deciderà di mandare dietro le sbarre un presunto colpevole. E per decidere la custodia in carcere, il magistrato dovrà valutare che i pericoli di fuga o di inquinamento delle prove siano "concreti e attuali". Una piccola grande modifica che cancella, anche qui, gli automatismi. "Il che non significa che i tagliagole se ne andranno a spasso - spiega la presidente della commissione Giustizia, Donatella Ferranti - ma neppure che debba essere obbligatorio il carcere cautelare per tutti, alla faccia della presunzione di innocenza. Anche se forse impopolari, dobbiamo sempre ricordarci che per alcuni reati, tipo mafia e terrorismo, esiste la "presunzione assoluta" per cui il carcere cautelare è obbligatorio, per altri reati gravi c’è una "presunzione relativa" e quindi spetta al magistrato valutare, infine che per i reati meno gravi ci sono valide alternative alla cella". Non finisce qui, però. Se anche la Camera a inizio settimana licenzierà questo ddl, occorrerà ancora un ultimo passaggio al Senato. E sarebbe il quarto passaggio. Chissà poi se basterà o se i senatori non vorranno modificare qualcos’altro. Già, perché è stato davvero lungo e combattuto l’iter di questa legge che rovescia un paradigma. Infrange un tabù. Nega il ricorso facile alle manette. E non c’è da meravigliare che sia insorto un ampio settore del Parlamento: in primis la Lega che dei diversi Pacchetti Sicurezza negli anni scorsi si è fatta proponente, ma anche i grillini. È forte nell’opinione pubblica il sentimento di chi è disgustato da tutto e da tutti e vuole vedere ladri e corrotti in carcere. Questo ddl, invece, va controcorrente. Va piuttosto nella direzione indicata dall’ex presidente della Cassazione, Ernesto Lupo, oggi consigliere giuridico del Capo dello Stato, il quale ammonì che mai la custodia cautelare dev’essere una "anticipazione del giudizio". Anche Papa Francesco s’è espresso contro la facilità con cui si ricorre, nel mondo, alla custodia in attesa di processo. Dice ancora Donatella Ferranti: "Nelle carceri italiane ci sono troppi detenuti in attesa di giudizio definitivo. È un’anomalia nel contesto europeo. Dobbiamo assolutamente utilizzare di più le misure alternative e allo stesso tempo accelerare i tempi del processo". Giustizia: così la magistratura si è ridotta a un sindacalismo senza visione di Giovanni Maria Jacobazzi Il Garantista, 13 novembre 2014 C’è da credere che Silvio Berlusconi, dopo aver letto le varie delibere approvate dall’assemblea nazionale dell’Associazione nazionale magistrati tenutasi la scorsa domenica a Roma, sia più depresso del solito. Come per prodigio, per la prima volta L’Anm, nella sua storica composizione Area-Unicost, ha parlato di status della magistratura, di dignità della funzione giudiziaria, di diritti dei magistrati (ferie, malattia, ecc.), di carichi di lavoro. Un approccio "sindacale" che rompe il classico refrain, per la verità simile a un disco incantato, circa l’auto-responsabilità, l’autoriforma, il richiamo all’efficienza, l’incremento della professionalità dei magistrati, la maggiore serietà del sistema disciplinare. Non si capisce però cosa debba fare il governo per "assicurare condizioni di lavoro decorose e piena tutela dei diritti fondamentali, quale il diritto alla salute" o per garantire che "nelle valutazioni di professionalità e nei procedimenti disciplinari si tenga conto delle condizioni di lavoro e degli effettivi carichi di lavoro dei magistrati". Deve essere il presidente del Consiglio quello che si attiva affinché vengano acquistate le sedie ergonomiche a norma di legge? Deve essere sempre lui quello che provvede a una equa distribuzione dei fascicoli evitando sperequazioni fra i componenti dell’ufficio? Tali attività sono compiti specifici dei capi degli uffici. Procuratori o presidenti di Tribunale. Rientrano nelle normali funzioni dirigenziali. Qualsiasi dirigente della pubblica amministrazione è tenuto a garantire che i propri dipendenti lavorino nelle migliori condizioni possibili. Avanzare tali richieste significa solamente sviare l’attenzione dal vero nodo della questione. E cioè l’incapacità da parte della magistratura associata di andare contro questo governo. C’è un aspetto che appare sempre più chiaro: se al posto di Renzi ci fosse stato Berlusconi, un provvedimento come il taglio (per altro scritto male, non si capisce a chi si applichi) delle ferie non sarebbe mai passato, in nome della mitologica indipendenza della magistratura si sarebbero scatenati girotondi, fiaccolate, raccolte di firme, lenzuolate varie. Le migliori firme del giornalismo conformista italiano, quello per intenderci con il ditino sempre alzato, avrebbe consumato fiumi d’inchiostro contro quest’atto liberticida. Invece Berlusconi è a Cesano Boscone e Renzi a Palazzo Chigi. Quindi fra slide, un paio di tweet, due selfie, una battuta a buon mercato e una citazione alla Steve Jobs, la riforma della giustizia procede. Procede talmente spedita che l’unica iniziativa concreta che la magistratura associata ha messo in campo è "la Giornata per la Giustizia, per il giorno di sabato 17 gennaio 2015, con l’apertura dei tribunali alla cittadinanza e la realizzazione di momenti pubblici di riflessione e confronto, con lo scopo di diffondere la corretta informazione sull’attività giudiziaria e sensibilizzare sulle condizioni in cui essa è svolta". Un po’ come si faceva un tempo con l’apertura delle caserme il Quattro novembre. Quando in occasione della festa delle Forze armate si portavano i bambini a vedere i carri armati. Oggi, che le caserme sono quasi tutte chiuse, ci sono le "notti bianche". Ma la sostanza è la stessa. Renzi può stare sereno. Ed andare avanti come un rullo compressore. Gli unici problemi alla sua azione di governo possono venire solo da D’Alema. Giustizia: Romano (Fi); interrogazione su risarcimento detenuti per condizioni inumane Il Velino, 13 novembre 2014 Risarcimento per i detenuti sottoposti a condizioni di detenzione inumane o degradanti. Nonostante l’approvazione della legge (117 dell’11 agosto 2014), nessun passo in avanti. Chiarire le competenze della magistratura di sorveglianza e potenziarla, per sanare una situazione inaccettabile che verrà certamente sanzionata dal consiglio dei ministri europeo. Una interrogazione parlamentare dell’on Saverio Romano (Fi), al ministro della Giustizia sulla tema della detenzione. "Il decreto-legge 26 giugno 2014, n.92, convertito con modificazioni dalla Legge 11 agosto 2014, n. 117 - spiega Romano - ha introdotto misure relative alla situazione carceraria, prevedendo un risarcimento in favore di quei detenuti e internati che siano stati sottoposti a condizioni di detenzione inumani o degradanti, in violazione dell’articolo 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (Cedu). La Corte ha ordinato alle autorità italiane di predisporre, nel termine di un anno, le misure preventive e compensative necessarie e quelle in grado di garantire una riparazione effettiva delle violazioni della Convenzione risultanti dal sovraffollamento carcerario in Italia". L’articolo 1 del decreto-legge inserisce nell’ordinamento penitenziario l’articolo 35-ter attraverso il quale si attivano a favore di detenuti rimedi risarcitori per la violazione dell’art. 3 della Convenzione. Quando il detenuto si trovi in condizioni di detenzione inumane e degradanti, il magistrato di sorveglianza, su istanza del detenuto (o del difensore munito di procura speciale), deve "compensare" il detenuto con l’abbuono di un giorno di pena residua per ogni 10 giorni durante i quali vi è stata la violazione. Inoltre il magistrato di sorveglianza liquida il richiedente con una somma di 8 euro per ogni giorno trascorso in carcere in condizioni inumane e degradanti quando il residuo di pena da espiare non permette l’attuazione integrale della citata detrazione percentuale o qualora il periodo detentivo trascorso in violazione dell’art. 3 Cedu sia stato inferiore a 15 giorni. "Con tale provvedimento - prosegue Saverio Romano - il governo italiano ha ottenuto dal Consiglio dei Ministri europeo un rinvio di una sentenza definitiva, anche se, visti i deludenti risultati di questi primi mesi di applicazione della norma, una condanna - con annesse salatissime multe - pare solamente ritardata. Ad oggi la Magistratura di sorveglianza risulta inadeguata persino a rispondere alle istanze di ordinaria amministrazione avanzate dalla popolazione detenuta e questo provvedimento, seppur mosso da buone intenzioni, rischia di paralizzarne definitivamente l’attività. I tempi delle decisioni si preannunciano pertanto lunghissimi, ben lontani dall’ esigenza di provvedere con immediatezza a risolvere una situazione di imminente problematicità. Parallelamente, la magistratura di sorveglianza lamenta la complessità dell’istruttoria per ogni singolo caso: dalla raccolta dei dati relativi alla metratura della cella per ogni periodo di detenzione, al numero effettivo dei detenuti presenti nella cella stessa, dalle condizioni igieniche alle attività di lavoro svolte. Tali difficoltà risultano ancora maggiori nei casi in cui sia necessario ricostruire le condizioni di precedenti carcerazioni. Il Governo dica quali iniziative di carattere normativo intende adottare al fine di chiarire in modo univoco le competenze della magistratura di sorveglianza in merito all’applicazione del nuovo articolo 35-ter dell’ordinamento; quali provvedimenti il Ministero pensa di promuovere, in stretta coordinazione con il Dap, al fine di dare la massima informazione sulle nuove possibilità offerte dalla nuova normativa fra la popolazione detenuta al fine di facilitare la presentazione delle domande e se non sia il caso di potenziare gli uffici della magistratura di sorveglianza, per evitarne la definitiva paralisi dell’attività". Giustizia: il "Forum nazionale dei giovani" si occupa della questione carceraria di Luigi Iorio* L’Opinione, 13 novembre 2014 Oltre 40 parlamentari hanno già sottoscritto il dossier presentato dalla piattaforma giovanile. Il problema del sovraffollamento carcerario nel nostro Paese non è solo un problema morale e sociale ma è, nella sua sostanza, anche strettamente interconnesso alla tematica della legalità; è, infatti, una contraddizione far vivere chi non ha recepito il senso di legalità in una situazione di palese non corrispondenza tra quanto normativamente definito e quanto attuato e vissuto, spesso, in condizione di palese violazione dei diritti umani. Nel nostro Paese, le strutture penitenziarie accolgono al momento una popolazione troppo superiore a fronte di una capienza regolamentare di 47.857 posti a disposizione nei 206 carceri nazionali. Questi numeri testimoniano, dunque, una vera tragedia sociale. Nell’ultimo decennio, l’aumento della popolazione carceraria italiana ha generato un forte sovraffollamento degli istituti di pena che ha contribuito ad un notevole deterioramento delle qualità della vita dei detenuti, già provati per le condizioni di limitata libertà. Questa condizione ha favorito il proliferare di malattie, una vera e propria emergenza sanitaria anche per tutti coloro che vivono e lavorano in carcere secondo la "Simpse", la Società italiana di medicina penitenziaria. La battaglia contro il sovraffollamento nelle carceri è anche una battaglia in difesa dei diritti umani, come previsto dalla "Convenzione Europea sui Diritti dell’Uomo". Purtroppo, a a poco sono servite le decine di interrogazioni parlamentari, rimaste disattese e il messaggio alle Camere del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Il sovraffollamento della popolazione carceraria, spesso, collima anche con un’emergenza di pubblica sicurezza. Infatti, all’incremento nel numero di detenuti non corrisponde un pari aumento dell’organico di polizia penitenziaria, come evidenziato anche dalle sigle sindacali. Ancora più significativi sono i suicidi compiuti da agenti penitenziari (8 dall’inizio del 2014), risultato di un ambiente lavorativo troppo degradato, senza omettere le molteplici aggressioni da parte di Detenuti. Dinanzi tale emergenza, non si comprende il motivo per il quale 90 strutture penitenziarie (molte delle quali case mandamentali), costruite negli ultimi anni in molte aeree della penisola, non vengano utilizzate. Il problema delle carceri e della loro popolazione non può essere però risolto soltanto implementando l’apertura di nuove strutture penitenziarie, il cosiddetto "Piano carceri". Più volte si è cercato di ridurre il sovraffollamento carcerario attraverso indulti, amnistie o con decreti come quello "svuota carceri o salva carceri" voluto con convinzione dal Ministro Prof.ssa Paola Severino, approvato nei primi mesi del 2012, (che ha avuto, purtroppo, risultati minimi). In assenza di interventi strategici, infatti, è prevedibile che nessun miglioramento strutturale della situazione carceraria sarà possibile. Tanti sono gli errori che hanno dato vita a tale emergenza: uno dei tanti, è stato commesso dalla politica, sempre a caccia del consenso elettorale, approvando, sulla spinta emotiva dell’opinione pubblica, provvedimenti che ribaltano totalmente il criterio cardine del carcere quale extrema ratio, così come il Legislatore aveva inteso con la riforma del 1988. Frutto di questo clima sono quei decreti che hanno fortemente stimolato l’utilizzo della misura cautelare carceraria, modificando gli artt. 275 e 380 del codice di procedura penale, implementando un allargamento delle ipotesi di carcerazione obbligatoria, come anche i ripetuti attacchi alla struttura stessa della legge "Gozzini". Tale situazione si verifica in un contesto nel quale, secondo le stesse stime del Ministero dell’Interno, negli ultimi anni i reati sono diminuiti del 5,1 per cento. Lo stato delle cose comunque migliorando anche se la questione va monitorata costantemente. La legge 10 del 2014 infatti ha avuto il merito di ridurre sensibilmente la popolazione carceraria negli ultimi mesi introducendo novità importanti in tema di diritti fondamentali dei detenuti e di riduzione controllata della popolazione carceraria, ma ancora non basta per risolvere definitivamente il problema. Il Forum Nazionale dei Giovani, da sempre attento alle categorie più vulnerabili e deboli, di cui i giovani detenuti fanno parte, ha deciso di intervenire in questo ambito, ipotizzando la realizzazione di attività di formazione all’interno delle carceri, avviando da subito un canale di comunicazione con le Istituzioni competenti ed immaginando attività pilota che possano rappresentare delle buone prassi da attivare su tutto il territorio nazionale. La piattaforma giovanile che mette in rete oltre 70 associazioni nazionali, ha indetto il ventidue ottobre una conferenza stampa, nella quale sono state presentate proposte e un dossier di approfondimento sul tema sottoscritto da oltre quaranta Parlamentari. All’iniziativa hanno preso parte l’On. Micaela Campana della segreteria nazionale del Pd, On. Marco Di lello segretario della commissione antimafia, On. Ascani presidente intergruppo giovani Deputati, l’On. Anna Grazia Calabria coordinatrice giovani di Forza Italia e l’On. Enza Bruno Bossio, sempre attenta alla questione dei diritti umani e delle carceri. Nelle prossime settimane, il Forum Nazionale dei Giovani intende relazionarsi con il mondo istituzionale, per continuare a porre l’attenzione sul tema anche in campo europeo in considerazione del principio sancito dall’art.7 delle Regole Penitenziarie Europee, secondo il quale "Devono essere incoraggiate la cooperazione con i servizi sociali esterni e, per quanto possibile, la partecipazione della società civile agli aspetti della vita penitenziaria. Prossima iniziativa prevista è per il dieci dicembre giornata mondiale dei diritti umani. *Coordinatore gruppo di lavoro "emergenza carceri" del Forum nazionale giovani Giustizia: D'Ambrosio Lettieri (Fi); situazione sanitaria nelle carceri rimane preoccupante www.quotidianosanita.it, 13 novembre 2014 Il capogruppo di Forza Italia in Commissione Sanità del Senato lancia l'allarme. "Molto spesso, in carcere, il detenuto ci arriva in salute. Evidentemente le condizioni della salubrità degli ambienti e quelle relative alla qualità della vita carceraria non collimano". “Il problema della salute nelle carceri italiane è senza dubbio uno dei punti di caduta più gravi registrati nell’ambito della nostra sanità. Nel sistema carcerario, infatti, la sanità registra ancora livelli assolutamente incompatibili con gli interventi richiesti ad un Paese che si dice civile. È quanto ha detto il senatore d’Ambrosio Lettieri, capogruppo Fi Commissione Sanità del Senato, intervenendo ieri mattina a Palazzo Madama alla presentazione della campagna di informazione e sensibilizzazione sulle patologie infettive croniche negli istituti penitenziari italiani, promossa dalla Società italiana di Medicina e Sanità penitenziaria e la Società italiana di Malattie infettive e tropicali. Per d’Ambrosio Lettieri questo è uno dei motivi per cui “lo stesso Presidente della Repubblica nell’ottobre del 2013 ha rivolto un appello al Parlamento perché la politica si occupasse credibilmente di azioni concrete ed efficaci. E questo è il motivo per cui il Comitato nazionale di bioetica in quello stesso periodo ha svolto un approfondito esame i cui riscontri sono stati consegnati in una ben nota relazione sul sistema carcerario e sulla sanità nei nostri penitenziari. C’è evidentemente da risolvere i problemi della dignità del detenuto e del detenuto malato nello specifico che, molto spesso, in carcere, però, ci arriva in salute. Evidentemente le condizioni della salubrità degli ambienti e quelle relative alla qualità della vita carceraria non collimano”. Il senatore sottolinea quindi che “bene hanno fatto i promotori dell’iniziativa ad aver posto all’attenzione del decisore politico il problema delle malattie infettive, non solo per evidenziare come larga sia la forbice tra i dati epidemiologici fuori e dentro il carcere, ma anche perché si metta mano con urgenza ad un sistema normativo e regolamentare che dia delle risposte concrete. L’ipotesi, per esempio, di istituire, presso l’Istituto Superiore di Sanità, un Osservatorio epidemiologico della salute nei penitenziari può rappresentare un elemento per produrre una legislazione di settore più adeguata ai tempi”. Allo stesso tempo è però importante individuare le modalità per consentire “l’accesso ai nuovi farmaci che curano l’epatite C in particolare, in una condizione tale da garantire copertura anche a questa platea di persone che sono oggi sovraesposte e che, una volta uscite dai penitenziari, se non curati adeguatamente, potrebbero essere anche veicolo di infezione per altri. Questo è soltanto uno dei tanti problemi della sanità penitenziaria che, da quando ha visto trasferite nel 2008 le proprie competenze dal livello centrale al livello regionale, credo abbia aperto falle che ancora determinano danni incalcolabili e su cui occorre intervenire con tempestività ed efficacia”. I dati diffusi dalle due Società, infatti, sono particolarmente preoccupanti. La diffusione dell’infezione da Hcv e l’epatite cronica attiva con evoluzione in cirrosi epatica è stimata tra il 30 e il 40% dei detenuti e rappresenta la prima emergenza sanitaria da affrontare. E anche l’infezione da Hiv risulta ancora oggi ampiamente diffusa tra i detenuti tossicodipendenti, con prevalenze in questi maggiori del 20% e del 5/75 sulla popolazione generale residente. C’è anche la sifilide che, pur interessando non più del 2/3 dei detenuti, presenta, però, un elevatissimo tasso di inconsapevolezza, più dell’85%. D’Ambrosio Lettieri sottolinea come “occorra fare sistema. Non c’è dubbio che le società scientifiche, per loro stessa natura, abbiano un livello di competenze che ritengo assolutamente utili per orientare l’azione del legislatore verso un approdo che sia più coerente e compatibile con le risposte di cui il sistema ha bisogno. I passi da compiere sono tantissimi. Bisogna agire con tenacia, competenza e soprattutto grande lealtà nei rapporti, sapendo che viviamo un momento difficile, ma che abbiamo anche la necessità di salvaguardare il nostro Ssn in una logica universalistica e - conclude - solidale che rappresenta essa stessa presupposto di coesione sociale”. Giustizia: al Senato conferenza su sfide e opportunità della Corte Penale Internazionale Nova, 13 novembre 2014 Si svolge oggi al Senato della Repubblica la conferenza dal titolo "XX anniversario di Non c’è pace senza giustizia: sfide e opportunità per la Corte penale internazionale", promossa dall’associazione Non c’è Pace Senza giustizia (Npsg), in occasione del ventesimo anniversario della fondazione dell’associazione. Alla conferenza parteciperanno, tra gli altri, il presidente del Senato italiano Pietro Grasso, il viceprocuratore della Corte penale internazionale (Cpi), James Kirkpatrick Stewart, il sottosegretario agli Affari Esteri italiano, Benedetto Della Vedova, Italia; l’ex ministro degli Esteri italiano e fondatrice di Non c’è Pace Senza giustizia, Emma Bonino, e l’ex ministro degli Esteri italiano e presidente della Società italiana per l’organizzazione internazionale (Sioi), Franco Frattini. Lo scopo della conferenza - si legge in una nota - è di esaminare l’interazione tra due elementi fondamentali alla base statuto della Cpi di Roma, vale a dire la cooperazione e la complementarità. Nei suoi primi 10 anni, la Corte penale internazionale ha fatto un grande lavoro su problemi politici specifici, tra cui sesso, le politiche giudiziarie e selezione dei casi, la gestione degli esami preliminari, e più recentemente ha iniziato a lavorare sulla politica per bambini. Queste politiche hanno disegnato insieme principi e le lezioni apprese dalla Cpi nel corso dei suoi primi 10 anni fondamentali, insieme a lezioni apprese da altri tribunali internazionali. Essi rappresentano un crescente corpo di letteratura in grado di supportare sia la Corte penale internazionale e gli altri nel fare il miglior lavoro possibile nel miglior modo possibile. L’associazione Non c’è pace senza giustizia, è stata istituita nel 1994 con il mandato di fare una campagna per l’istituzione della Corte penale internazionale come una parte fondamentale di un efficace sistema di giustizia penale internazionale. Giustizia: Marcello Lonzi morì in cella, la madre non sia arrende "Voglio il processo" di Celeste Costantino (Deputata di Sel) Il Garantista, 13 novembre 2014 Maria Ciuffi è un’altra donna costretta ad arrivare alle porte di Montecitorio per manifestare le sue paure, urlare il proprio dolore e chiedere giustizia a uno Stato che non si mette mai in discussione. È la madre di Marcello Lonzi, morto l’11 luglio del 2003 nel carcere livornese delle Sughere. Quello di Marcello è uno dei tanti casi archiviati come "morte per cause naturali". Infarto, precisamente. Per noi invece sembra inserirsi nell’ormai lungo elenco di morti che chiedono verità e giustizia, esattamente come quelle di Stefano Cucchi, Federico Aldrovandi, Aldo Bianzino, Giuseppe Uva e purtroppo tanti e tanti altri. Ieri siamo stati in piazza Montecitorio con Maria Ciuffi. Ha ricordato che Marcello era stato condannato a 9 mesi per tentato furto. Quando è stato trovato morto aveva già scontato metà della pena ed era in attesa di essere avviato in comunità per la riabilitazione, avendo quasi concluso la terapia a base di metadone. E invece il suo corpo è stato rinvenuto in una pozza di sangue: otto costole rotte, due buchi in testa, polso fratturato. Le indagini sulla morte di Marcello sono state riaperte lo scorso giugno, dopo undici anni di attesa. Purtroppo però il caso rischia di andare incontro a una nuova archiviazione. I familiari denunciarono l’11 luglio 2003 "evidenti ferite, nonché numerose ecchimosi, alla testa e al torace". Nell’ottobre dello stesso anno un’interrogazione parlamentare di Giuliano Pisapia, all’epoca deputato di Rifondazione Comunista e presidente della Commissione Carceri della Camera, chiedeva informazioni al Governo ricevendo dall’allora ministro Castelli questa risposta, che non aggettiverò ma lascerò ai lettori di trovare le parole per definirla. "Il corpo del detenuto, ormai defunto, è stato attentamente visitato dal medico Sias montante che non ha riscontrato alcun segno di lesioni in tutto il corpo ad eccezione di ferite lacero-contuse sulla fronte e sul labbro sinistro, verosimilmente procurate al momento della caduta, dopo avere sbattuto sul cancello d’ingresso della cella dove è stato trovato riverso bocconi con tracce di sangue intorno al capo. Gli accertamenti ispettivi effettuati e la ricostruzione della dinamica dell’evento sembrerebbero confermare che la morte del detenuto sia avvenuta per cause naturali". E ieri Maria Ciuffi ha esposto pubblicamente le foto del corpo martoriato di Marcello, chiedendo l’attenzione dei presidenti di Camera e Senato su una vicenda che, ad oggi, resta eufemisticamente un altro giallo irrisolto. Noi vorremmo andare un po’ oltre l’investimento legittimo delle alte cariche dello Stato e vorremmo chiedere al Parlamento di esprimersi. Perché questa istituzione, questo luogo sempre più svuotato delle proprie prerogative, deve una volta per tutte assumersi la responsabilità di conoscere la verità su quello che succede nelle caserme e nelle carceri del nostro Paese. Bisogna esprimere una volontà politica netta nel fare chiarezza e nell’individuare i guasti di un sistema che si riduce troppo spesso nell’assioma delle mele marce. Perché con delle leggi giuste anche i crimini delle male marce possono essere prevenuti. In questi anni c’è chi, per esempio Giovanardi, si è espresso in maniera urticante, dal mio punto di vista malvagio, su questi fatti. Eppure preferisco una posizione così lontana da me, ma che si definisce nella sua interezza, a quella di chi si nasconde in equilibrismi e retorica o, peggio, fa finta di niente aspettando che passi la bufera. Per questa ragione abbiamo presentato, e presenteremo, dei provvedimenti che cercano di rispondere in maniera concreta a questo bollettino di morte: vogliamo che siano il Parlamento e le forze politiche a non nascondersi più. Da tempo per esempio abbiamo depositato una proposta di legge per l’introduzione del reato di tortura nel codice penale per colmare così una lacuna gravissima nel nostro ordinamento. Oggi rappresenterebbe il primo passo per chiarire i limiti dell’esercizio della forza e dei pubblici poteri rispetto ad esigenze investigative o di polizia. In questi anni siamo stati al fianco di associazioni attive su questo tema, come Antigone e a buon diritto: insieme a loro abbiamo sollecitato l’introduzione di nuove leggi per il rispetto dei diritti umani, un impegno internazionale che il nostro Paese non rispetta da circa 25 anni (la Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti, ratificata dall’Italia ai sensi della legge 3 novembre 1988, n. 498, prevede all’art. 4 l’obbligo giuridico sull’introduzione del reato di tortura nel codice penale). Le storie delle morti nelle carceri stanno lì a ricordarci che la tortura esiste. Che è praticata. E nessuno può sentirsi al sicuro. Giustizia: l’On Manconi sul caso Cucchi; esiste una "questione-Arbarello" da chiarire Ansa, 13 novembre 2014 "All’interno del tragico "caso Cucchi" esiste anche un "caso Arbarello". Su questo, unitamente ad alcune decine di parlamentari del Pd di Sel e di 5 stelle e del gruppo misto, ho presentato un’interrogazione al ministro della Giustizia. Non si chiede, ovviamente, di accertare la verità dei fatti così dettagliatamente esposti dai familiari di Stefano alla Procura della Repubblica". È quanto afferma il senatore del Partito democratico Luigi Manconi. "I rilievi sull’operato del professor Arbarello (ndr, ex direttore del Dipartimento di Medicina Legale della Sapienza, consulente dei pm al processo Cucchi) sono noti: come ha potuto "rassicurare" le parti accusate dell’esito assolutorio della perizia prima che questa fosse esperita? - chiede Manconi - Quell’esito assolutorio è compatibile con l’evidenza dei fatti e con le acquisizioni scientifiche della medicina? Hanno pesato in quelle determinazioni gli incarichi che Arbarello ha ricevuto in corso d’opera da società interessate all’accertamento di una eventuale colpa medica? A questi interrogativi, che la magistratura dovrà vagliare, se ne aggiungono altri: non è forse evidente che il professor Arbarello ha mancato ai doveri essenziali di riservatezza, imparzialità e correttezza che dovrebbero essere di un perito nominato dall’autorità giudiziaria? E, se sì, non si ritiene forse che l’autorità giudiziaria debba valutare attentamente la correttezza deontologica di chi sceglie come perito? Infine, il professor Arbarello risulta essere presidente della Società italiana di medicina legale e delle assicurazioni. "Non considera opportuno, il professor Arbarello, che per non coinvolgere nel suo più che discutibile comportamento gli associati al Simla - conclude l’esponente Pd - egli debba immediatamente dimettersi da quel ruolo così prestigioso? È possibile che nessuno tra quegli associati solleciti una tale scelta?" Giustizia: Capece (Sappe) sul caso Cucchi; apprezzamento per interpellanza dei senatori Adnkronos, 13 novembre 2014 "L’atto di sindacato ispettivo ai ministri di Giustizia e Interno firmato e presentato oggi da 11 senatori ha il merito di ricordare ciò che, a fronte di una diffusa ed orchestrata disinformazione sul caso, pochi hanno avuto l’onestà di dire. E cioè che tutti i consulenti e i periti nel processo hanno indicato nelle mancate cure e somministrazione di acqua e cibo la causa della morte". È quanto dichiara il segretario generale del Sappe Donato Capece, che esprime il suo apprezzamento verso i parlamentari, che hanno il merito "di mettere ordine nelle cose e nella verità dei fatti processuali, nella diffusa disinformazione sulla triste vicenda di Stefano Cucchi". Capece esprime solidarietà verso la famiglia Cucchi, rivendicando l’onestà e la professionalità del lavoro del corpo di polizia penitenziaria: "L’ho detto e lo ribadisco, siamo sempre stati solidali con la famiglia Cucchi per la perdita del loro familiare, ma anche fieri del nostro lavoro quotidiano e della nostra abnegazione al servizio del Paese. Noi non abbiamo nulla da nascondere e da subito ci siamo detti fiduciosi nell’operato della magistratura". "Mi ha sorpreso molto sentir parlare in questi giorni di vera verità perché ciò presuppone l’esistenza di una ‘falsa verità’" - sottolinea Capece - "che, per quello che mi riguarda, non può essere altro che un ossimoro. Esiste la verità processuale, che è quella che si forma nel dibattimento e che è l’unica verità che può interessarci in questo caso". "E la vicenda processuale legata alla morte di Stefano Cucchi - prosegue Capece - ha chiarito un aspetto per noi molto importante: sia la sentenza di primo grado che quella di appello hanno assolto i poliziotti penitenziari che lavorano a piazzale Clodio, presso il Palazzo di Giustizia di Roma, dalle accuse (non suffragate da alcuna prova) loro mosse. Lo hanno accertato due Corti, 4 giudici togati, 12 giudici popolari". Il Sappe ricorda infine che già nel dicembre 2009 "la rigorosa inchiesta amministrativa disposta dall’allora Capo del dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria Franco Ionta sul decesso di Stefano Cucchi escluse responsabilità, da parte del personale di polizia penitenziaria, in particolare di quello che opera nelle celle detentive del palazzo di Giustizia a Roma". Giustizia: il Premio "Goliarda Sapienza" si appresta a concludere la sua quarta edizione www.mangialibri.com, 13 novembre 2014 Il 13 novembre, infatti, nel carcere di Regina Coeli avrà luogo la premiazione delle sezioni "Adulti" e "Minori". Quest’anno per la prima volta verranno premiati i vincitori della sezione "Poesia" e le poesie vincitrici saranno pubblicate da Poeti e poesia, edizioni Pagine, diretto da Elio Pecora. Il libro che raccoglie i ventisei racconti finalisti e le introduzioni dei loro tutor letterari sarò in libreria dal 21 novembre per Rai Eri: Il giardino di cemento armato. Racconti dal carcere, a cura di Antonella Bolelli Ferrera. Il premio ha ricevuto l’adesione del Presidente della Repubblica. Il Capo dello Stato ha voluto inoltre destinare, quali suoi premi di rappresentanza, 4 medaglie da assegnare a ciascun vincitore assoluto delle sezioni previste dal bando di concorso (Narrativa sezione Adulti, Narrativa sezione Minori, Poesia sezione Adulti, Poesia sezione Minori). Insieme, questi ventisei racconti assomigliano alla sceneggiatura di un film-verità a episodi. Sono storie che ci conducono dentro le nostre carceri, ma anche nelle strade, o nella case, dove si consuma il crimine. A volte ci portano lontano per farci toccare con mano l’orrore della guerra, del disprezzo per le donne e persino per i bambini. Dopo quattro edizioni del Premio Goliarda Sapienza, e migliaia di racconti letti, posso dire di avere acquisito uno spaccato della realtà carceraria che mi consente di comprenderne - per quanto possibile - le complesse dinamiche e di fare una riflessione, supportata da testimonianze dirette, su ciò che sta all’origine di molti percorsi criminali. Spesso la devianza nasce - oserei dire, viene indotta - in famiglia, in età addirittura preadolescenziale. I racconti dei minori che sono raccolti in questo libro sono emblematici in tal senso. Fra i più appassionati partecipanti al concorso, ci sono molti stranieri extracomunitari. Quasi mai lamentano le condizioni di vita dentro le nostre carceri. Questo fa pensare: meglio carcerati in Italia che liberi nel loro paese?" Antonella Bolelli Ferrera, Ideatrice e curatrice del Premio Ventisei racconti e ciascuno è una pagina di vita. Ventisei storie che conducono in un’Italia sfregiata dalla criminalità organizzata, dove bambini vengono allevati a pane e delinquenza, all’assenza di valori. A volte il racconto trasporta più lontano, in paesi devastati. Come in Siria, al fianco di una giovane in fuga dalla guerra e dal disprezzo per il genere femminile, trasformato in violenza atroce. O in Somalia, dove un bambino-soldato racconta i brutali metodi di reclutamento. Dalla vita "fuori" a quella "dentro" per inoltrarsi nella realtà carceraria, luogo di cognomi urlati, di rituali uguali dalla notte dei tempi, di regolamenti di conti, di suicidi, di tv sempre accese, di odori nauseabondi, di cortili per l’ora d’aria, di file alle docce, di sudore e di sangue. Dove convivono persone che hanno commesso ogni genere di delitto ma solo una parte di loro hanno "diritto", per una legge non scritta dei detenuti, a un supplemento di pena fatto di botte e sevizie. Luogo dove si può diventare pazzi. Di solitudine nel caos. Dove il pensiero della libertà può diventare un’ossessione, al punto di averne paura. Ma anche di rinascita "Migliorerò, riuscirò e mi rialzerò. Voglio fortissimamente voglio". Ventisei racconti dal carcere, i migliori selezionati per il Premio Goliarda Sapienza 2014. Si leggono d’un fiato. Le introduzioni sono di ventisei grandi scrittori. "Diversi grandi scrittori e artisti si sono avvicinati a questa iniziativa, in qualità di tutor, senza, forse, sapere bene dove li avrebbe condotti. Devo dire che molti di loro, anche se in maniera diversa, sono stati catturati, sorpresi, emozionati dalla vicinanza con il dolore, la sopraffazione, anche con il male., al punto di dedicare parte del loro tempo al detenuto cui hanno fatto da tutor, anche al di fuori del premio letterario." Antonella Bolelli Ferrera, Ideatrice e curatrice del Premio Il libro sarà presentato il 13 novembre in occasione della cerimonia di premiazione che si terrà a Roma presso la Casa Circondariale di Regina Coeli. La giuria, presieduta da Elio Pecora, costituita da Salvatore Niffoi, Daria Galateria, Enrico Vanzina, Folco Quilici, Lirio Abbate, Angelo Maria Pellegrino, Luca Ricci, Marco Ferrari e Andrea Di Consoli, sceglierà i vincitori (1°, 2° e 3° classificato) della sezione "adulti" e i vincitori della sezione "minori". I premi : Grazie al contributo di Unicredit, i 26 finalisti riceveranno in premio un pc portatile Ergo dotato di strumenti didattici, offerti dal Gruppo editoriale Gems. I primi tre classificati delle sezioni Adulti e Minori riceveranno anche un premio in denaro. Una giuria costituita da Silvia Bre ed Edoardo Albinati e presieduta da Elio Pecora, premierà la migliore poesia della sezione "adulti" e della sezione "minori". Il "premio letterario Goliarda Sapienza - Racconti dal carcere", è promosso da Dap Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, Dipartimento per la Giustizia Minorile, inVerso Onlus, e Siae, dalla prima edizione principale sostenitore dell’iniziativa. Unico premio letterario in Europa dedicato ai detenuti adulti e minori affiancati da importanti scrittori, quest’anno apre le porte anche alla poesia; una giuria specifica valuterà i migliori componimenti in versi selezionati tra le centinaia in concorso. Per la Narrativa circa 500 i racconti giunti da tutte le carceri d’Italia e 26 finalisti (20 per la sezione "Adulti", 6 per la sezione "Minori") abbinati, come nelle precedenti edizioni, a scrittori e artisti molto noti nel ruolo di tutor letterari. Il commento di Gino Paoli - Gino Paoli, presidente Siae (principale ente sostenitore del Premio), è stupito dal ritmo incalzante che emerge dai racconti di giovani detenuti e afferma: "Alcuni testi sembrano nati per la musica". I tutor della sezione "Adulti" - Carlo Lucarelli, Giancarlo De Cataldo, Erri De Luca, Francesca Melandri, Antonio Scurati, Valeria Parrella, Mirella Serri, Antonella Lattanzi, Andrea Vianello, Giordano Bruno Guerri, Federico Moccia, Andrea Purgatori, Valerio Evangelisti, Fiamma Satta, Silvia Calandrelli, Massimo Lugli, Marco Buticchi, Roberto Riccardi, Marco Franzelli, Maurizio de Giovanni. I tutor della sezione "Minori" - Carlo Verdone, Cinzia Tani, Pino Corrias, Alessandro D’Alatri, Marida Lombardo Pijola e Gloria Satta. Madrina è la scrittrice Dacia Maraini. Lettere: i miei compagni uccisi ogni giorno dall’ergastolo di Toto Cuffaro Tempi, 13 novembre 2014 Non si può vivere chiusi per sempre in un "marcitoio" dove la morte ha ragioni più forti di ogni speranza. Aboliamo questa ipocrita, interminabile esecuzione. Nel mio reparto G8 di Rebibbia, siamo 290 detenuti, tra cui 48 ergastolani. Proprio questi mi hanno chiesto di scrivere una riflessione sulla pena dell’ergastolo e chiederti di aprire un dibattito; l’ho scritta ben volentieri e te la allego. Credo che sia proprio giunto il tempo per aprire un dibattito politico-culturale serio per cancellare dal nostro Codice penale questa ignobile pena senza speranza. Ogni detenuto continua a sperare che ci sarà un giudice a Berlino. Ma c’è Berlino? Se lo chiede ogni giorno il detenuto del "fine pena mai", che ormai da anni guarda passare altri detenuti, e ancora purtroppo ne vedrà, ed è anche lui seduto con me sul sedile di cemento del cortile. Anche lui, per cui il desiderio sempre -così prevede lo Stato - dovrà rimanere tale, desidera come me la libertà; per lui però, purtroppo, il desiderio è solo ricordo e deserto e non futuro e mare. Solo di un’onda può godere, quella che rifluisce dai ricordi, sol di questa si bagna, si imbeve e si dilata il suo desiderare. Sono fiducioso, anche se solo un po’, per il mio amico detenuto "fine pena mai", un giorno anche lui potrà desiderare il futuro e il mare. È impossibile vivere in carcere senza la speranza di poter tornare liberi, eppure si vive, anche se non tutti lo fanno per sempre. Al devastante effetto causato sulla testa dalla pena dell’ergastolo, si aggiunge la condizione inumana del luogo e la consapevolezza insana e spietata di dover vivere per sempre sospesi e cancellati dal mondo. Vivere in un posto lugubre, in un "marcitoio" dove i detenuti "fine pena mai" si aggrappano all’esistenza con una voglia di vivere, quelli che scelgono di farlo, che ha dell’immaginifico, del miracoloso. La notte che colpisce l’anima La vita per loro scorre calma, ordinata, apatica, tra porte blindate e cancelli che si aprono e si chiudono con un rumore ormai familiare. Questi che sono i tanti, sono quelli che non crollano e che superano e vincono la tortura di una attesa senza fine; anche loro però non rinunciano alle urla, alle imprecazioni, alla disperazione, e non rinunciano alla preghiera e con essa a poter credere in una speranza senza speranza, e a chiedere patetiche e inutili domande di grazia. Altri che sono pochi, ma non pochissimi, cercano, incontrano e si aggrappano alla morte, la scelgono una sola volta per non morire ogni giorno sino alla morte, per non morire più volte e sempre. È fatica tenere in vita la vita quando è reclusa in una cella, per i "fine pena mai" è una fatica inumana. Tanti nelle carceri pensano alla morte, i "fine pena mai" più degli altri, hanno più motivi e più tempo per farlo; specialmente la notte, quando il carcere assassino colpisce l’anima, la notte quando i motivi per morire sono più forti delle ragioni per vivere, perché la notte, in carcere, la morte non è come fuori, è liberatoria. Ho visto in questi miei anni di carcere, dopo aver vissuto e sofferto con loro, i loro cadaveri portati via; uomini che il giorno prima vivevano, morti per loro scelta: impiccati nelle celle, con le vene tagliate, per inalazione di gas, soffocatisi nei modi più impensabili. Immagini reali e orribili di morte di chi, per paura di vivere una non vita, aveva scelto di non vivere. Mi piace pensare con Fabrizio De André che stanno attraversando "l’ultimo vecchio ponte" e che troveranno ad attenderli Chi dirà loro, baciandoli in fronte, "venite in Paradiso lì dove sono anch’io, perché non c’è l’Inferno nel mondo del Buon Dio". Il carcere toglie la vita perché è senza vita. Non so se è vero che nel nostro paese non c’è la pena di morte se consideriamo che nelle carceri italiane muoiono ogni anno per suicidio più persone di quante ne vengono giustiziate nei paesi dove ancora c’è la pena di morte. Il "fine pena mai" è come se fosse un omicidio programmato dallo Stato ma che aspetta di essere realizzato dal suicidio. Come se fosse una pena di morte la cui esecuzione viene lasciata alla libera scelta dell’ergastolano, alla sua libera determinazione, perché così il nostro Stato nella sua ipocrisia può sentirsi un paese dove al suo popolo viene garantita sempre la libertà e il diritto alla vita. Imparare il perdono Ipocrisia di un paese che si iscrive tra quelli che chiedono una moratoria per la pena di morte e nel contempo mantiene l’ergastolo che è una morte con una lunghissima pena. Una Legge perché renda responsabile lo Stato che la deve far rispettare, ed etica la politica che la vuole, deve essere una Legge in grado di far vivere e di viversi. Mi vado sempre più convincendo che si arriverà a guardare alla pena torturale dell’ergastolo con lo stesso imbarazzo e la stessa perplessità con cui oggi si guarda all’applicazione della vecchia tortura. Sono però, purtroppo, convinto che per quanto molti già oggi riconoscano l’inumanità e l’arretratezza di una esecuzione di pena così superata qual è la condanna a vita in carcere, questa nostra società che crede di essere civile non sia ancora pronta a scegliere e applicare una soluzione cristiana al problema della pena. Per avere la capacità di modificare la pena del carcere a vita introducendo una pena più razionale e più rispondente a Giustizia manca ancora alla nostra società una volontà più propensa al perdono, l’esperienza e la conoscenza per acquisire questa volontà, il coraggio per metterla in pratica. La classe dirigente politica invece di stimolare e guidare la società nella ricerca di questa volontà, finisce col subirne il condizionamento. La sensibilità dello Stato è arrivata, bontà sua, al punto di decidere di cambiare la dicitura "fine pena mai": ora sulla data di scarcerazione c’è scritto anno 9999. Che grande ipocrisia. Lo Stato ha tolto "fine pena mai" per non demoralizzare il detenuto con la condanna all’ergastolo, ma per non rischiare che quello possa uscire ha messo una data che sa molto di presa per il culo. Penso che la libertà sia il più grande dono che abbiamo ricevuto dalla vita, e che nessuno, neanche lo Stato, debba avere il potere, e meno che mai il diritto, di negarla e toglierla per sempre, a nessuno, per nessun motivo. Sarebbe altrimenti una ben magra libertà e non il dono di Dio, per questo penso che Lui possa aiutarci a superare questa non compiuta idea di difesa e di supremo valore del bene della libertà, e rendere possibile il miracolo di una presa di consapevolezza piena della nostra coscienza sulla libertà, per questo sono fiducioso che prima o dopo anche questa nostra società riuscirà a difendere il suo bene più prezioso e ad abolire l’ergastolo. È questa la speranza che canta il mio cuore quando vivo con questi miei compagni che hanno un "fine pena mai" e il cuore soffre per loro più del dovuto. Aspettando un miracolo d’amore I detenuti per sempre, esseri umani come noi, non hanno la capacità di fermare la vita, hanno il potere di fermare il corpo, possono stare fermi, pazienti o impazienti, hanno il potere di stare immobili nelle loro celle. Vite fermate, prima che la vita le fermi. Non sono uccise e non si uccidono, ma stare così per sempre, per tutta la vita, è come morire. Si è morti senza morire. Queste vite possono essere salvate e riportate in vita solo dall’amore, solo l’amore di una società rinnovata dalla coscienza da un Amore più grande può rianimarle, solo un miracolo dell’Amore può farlo, con la sua speranza di vita. Nei giorni più difficili la fiducia sbiadisce e sommersa d’irrealtà perde di consistenza. Una sensazione intensa e impetuosa mi trascina nel flusso cupo del carcere e mi lascia stordito, anche se avverto sempre spiragli di lucidità nei meandri del mio cervello. I miei compagni detenuti ergastolani, "fine pena mai", fine pena 9999, mi aiutano a sperare, e ad avere fiducia. Sardegna: Riforma Sanità, sì al coordinamento dell’assistenza medica nelle carceri Ansa, 13 novembre 2014 Il documento punta a garantire i livelli essenziali alla pari di quelli del cittadino libero, "nonché a rendere omogenea l’assistenza sanitaria all’interno degli istituti secondo linee guida uniformi e vincolanti per gli operatori. Sarà un coordinamento della sanità penitenziaria, creato all’interno dell’assessorato regionale competente, ad organizzare l’assistenza nelle carceri della Sardegna. Lo prevede un ordine del giorno approvato al termine dell’esame degli articoli sulla riforma sanitaria. Il documento, che impegna l’assessore a creare il nuovo organismo, punta a garantire i livelli essenziali di assistenza nelle carceri alla pari di quelli del cittadino libero, "nonché a rendere omogenea l’assistenza sanitaria all’interno degli istituti secondo linee guida uniformi e vincolanti per gli operatori". Soddisfazione bipartisan per l’approvazione della norma. Napoli: Gabriele (Psi); emergenza carceri, 2mila detenuti a Poggioreale sono ancora troppi Ansa, 13 novembre 2014 Visita al padiglione Napoli del carcere di Poggioreale del consigliere regionale del Psi Corrado Gabriele che è stato a colloquio con il direttore del penitenziario Antonio Fullone e con diversi detenuti. Con l’occasione Gabriele ha fatto il punto sulle presenze nell’istituto di detenzione: "Sono ad oggi 1.921 i detenuti del carcere di Poggioreale, di cui ben 629 sono in attesa del primo grado di giudizio e 388 del secondo grado in appello; 1.674 hanno la cittadinanza italiana e 247 sono gli stranieri, le comunità più numerose sono quelle del Nord Africa con quasi 100 detenuti provenienti da Marocco, Algeria e Tunisia". "Sono stati fatti molti passi in avanti - sottolinea Gabriele - come il mantenimento del rapporto detenuto superficie delle celle costantemente superiore ai 3 metri quadrati, le ore di aria che sono aumentate sensibilmente per alcuni reparti e che in prospettiva aumenteranno ancora con la previsione per i detenuti del padiglione di prima detenzione denominato Firenze che da dicembre prevedrà un periodo fuori delle celle tendente alle dieci ore giornaliere, o la sperimentazione dell’apertura dei colloqui anche di sabato, una novità assoluta per Poggioreale che consentirà ai familiari dei detenuti per la prima volta dal mese di dicembre di avere accesso ai colloqui per due sabato al mese". "Le sale dei colloqui - ha proseguito Gabriele - sono state completamente ristrutturate e rese più umane, ma molti altri problemi sono all’ordine del giorno a Poggioreale come ad esempio quello dei tempi di attesa per visite e esami specialistici e piccoli interventi chirurgici che scontano la difficoltà di liste lunghissime negli ospedali cittadini". Al padiglione Napoli, dove il consigliere Gabriele accompagnato dalle volontarie dell’associazione Nomos, le avvocatesse Argia Di Donato e Emanuela Monaco, ha visitato molte celle questa mattina, l’acqua delle docce è disponibile solo per un’ ora al giorno a giorni alterni a causa della incapacità degli impianti e nelle celle dove ci a volte ci sono anche otto detenuti il tempo per lavarsi è di pochi minuti a giorni alterni. I detenuti che hanno parlato con Gabriele alla presenza del direttore Fullone hanno chiesto di potersi dedicare per più tempo ad attività di formazione e scolarizzazione per poter acquisire competenze ed essere reinseriti al lavoro una volta scontata la pena. Roma: malata di tumore, 60 anni, ma la tengono rinchiusa a Rebibbia di Enrico Novi Il Garantista, 13 novembre 2014 Rosangela Oldani deve scontare un residuo di pena di 3 anni. Chiede inutilmente di essere scarcerata per operarsi al polmone prima di essere divorata dalle metastasi. C’è un film di un paio d’anni fa, interpretato con la consueta intensità da Toni Servillo, che racconta la storia di un uomo in fuga dal suo passato criminale. È ambientata in Germania, dove il protagonista riesce a ricominciare la vita da capo. Fino al giorno in cui il figlio che aveva lasciato in Italia bambino lo raggiunge e lo trascina nel vortice del passato, che diventa subito trappola. Il titolo di quel film è "Una vita tranquilla". Esattamente quello che Rosangela Oldani ha cercato e forse trovato in Inghilterra, dove ha trascorso 25 anni della sua vita finché un legame affettivo non l’ha riportata per un attimo in Italia, fino a scaraventarla in un incubo da cui rischia di non svegliarsi. La differenza con la storia del film è che descrivere Rosangela come una criminale sarebbe crudele. La sua è la storia di una fuga, anche dalla giustizia, consumatasi nel lontano 1988, provocata dalle angherie dell’ex marito, che sei anni prima l’aveva trascinata in un sequestro di persona. Lei aveva scontato una parte della pena, quindi aveva ottenuto la semilibertà. E alla prima occasione era scappata con il nuovo compagno, Angelo, per sfuggire al passato, all’ex marito che cercava ogni modo per poter continuare a soggiogarla. Rosangela ora ha 60 anni, è detenuta nel carcere di Rebibbia ed è malata di tumore. Il passato, l’Inghilterra, la nuova vita, non sono il vero rimpianto. La sua angoscia è per la malattia che la corrode. Nella sezione femminile del penitenziario romano dovrebbe scontare un residuo pena di 3 anni. Ma vorrebbe operarsi prima che sia il suo male a pronunciare una sentenza senza appello. Che le sue condizioni siano gravi non ci sono dubbi. All’istanza di scarcerazione presentata dal suo avvocato, Antonio Barbieri, è allegato un certificato della sezione penitenziaria dell’ospedale Sandro Pertini. Vi si legge di una "neoformazione del lobo superiore del polmone sinistro, altamente sospetta per neoplasia maligna". Andrebbe scarcerata, le andrebbe consentito di operarsi subito e non secondo i tempi della lista d’attesa del Pettini. Ma il magistrato di sorveglianza temporeggia. Cosa succede? Che il giudice chiede "aggiornamenti" all’area clinica di Rebibbia. Come se non se la sentisse di decidere. Come se non bastasse quella frase dell’ultimo appello dei legali, depositato due giorni fa; "Non sfuggirà al Tribunale di Sorveglianza di Roma che la signora Oldani è soltanto inserirà in lista d’attesa per l’intervento presso l’ospedale Sandro Pertini", laddove il compagno della signora "ha da ultimo preso contatti con il Centro tumori di Padova, dove la medesima potrebbe essere immediatamente ricoverata e sottoposta ad intervento chirurgico". Non ci sarebbe altro da fare che decidere per la scarcerazione: finché è in stato di detenzione, non può ricoverarsi a Padova. Ha 60 anni, ha commesso un reato pur grave nel 1982, e "scappata" nel 1988 e ha vissuto per 25 anni a Watford, in Inghilterra. Lontano dall’ex marito, le cui lettere di minaccia sono state mostrate al giudice. Un anno fa lei il compagno Angelo decidono di tornare in Italia per far visita alla madre di lui, che è malata Rosangela sottovaluta il suo conto con la giustizia. Eppure in Italia non succede nulla. Si rimette sulla strada del ritorno per l’Inghilterra, arriva alla frontiera tra Francia e Regno Unito, la fermano con un mandato di cattura internazionale. Passa 6 mesi in carcere lì dove l’hanno arrestata. Torna di nuovo in Italia, stavolta in manette e a poche settimane dal compimento dei sessant’anni. È provata, depressa per la detenzione. Ma lei e il compagno mettono in conto di dover passare quei tre anni, di dover attendere la pena residua. Lui prende casa qui, per poterle stare vicino, per poter andare il più spesso possibile a Rebibbia. Nel frattempo Rosangela si ammala. Nell’ultima istanza di scarcerazione il legale della donna ricorda come i medici abbiano "rappresentato l’esistenza di un rischio concreto di diffusione di metastasi, con il pericolo di rendere vano, in caso di ritardo, anche l’intervento chirurgico prescritto dall’ospedale Sandro Pertini". È un’evidenza che non dovrebbe lasciare spazio a tentennamenti. "Il trattamento penitenziario non può sostanziarsi in trattamento contrario al sentimento dì umanità", ricorda l’avvocato Barbieri, che ha anche presentato domanda di grazia. Cosa manca? La forza dì superare il pregiudizio. La possibilità di saper considerare il senso di umanità senza lasciarsi accecare dal riflesso giustizialista. Che non è un difetto dei magistrati ma parte di una cultura ormai radicata nel Paese. Dalla quale sembra sempre più difficile trovare chi abbia il coraggio di dissociarsi. Castrovillari (Cs): da detenuti a “sentinelle del fuoco” per il Parco del Pollino www.paese24.it, 13 novembre 2014 Un piano antincendio boschivo, ma ancora di più un’opportunità di reinserimento sociale per alcuni detenuti del carcere di Castrovillari. Questo l’obiettivo del progetto sottoscritto nel mese di giugno tra l’associazione di volontariato Anas, l’Istituto Penitenziario e il Parco del Pollino. Detenuti che durante il periodo estivo si sono trasformati in vere e proprie sentinelle del fuoco. E questo successo di valori umani e sociali è stato presentato martedì 11 novembre, a Castrovillari - nella sede provinciale Anas - alla presenza del presidente del Parco, Domenico Pappaterra, del presidente provinciale di Anas, Giuseppe Lufrano, del direttore dell’Istituto penitenziario di Castrovillari, Fedele Rizzo, del comandante del Reparto di Polizia Penitenziaria della Casa circondariale, Grazia Salerno, del funzionario giuridico pedagogico della stessa Casa circondariale, Maria Pia Patrizia Barbaro, del responsabile del Piano Aib dell’Ente Parco, Arturo Valicenti. I lavori sono stati coordinati da Tullia Lio. Un progetto di “nuovo modello di inclusione”- frutto di un lavoro di squadra - con un duplice obiettivo: salvaguardare il Parco del Pollino che, finora, ha visto seimila ettari del suo paesaggio andare in fumo, e rieducare, attraverso il lavoro e la sua valenza etica, chi sta scontando una pena, contro ogni pregiudizio e oltre le sbarre. E la testimonianza di due di loro ha dimostrato l’importanza di un’iniziativa che gli ha restituito - anche se per qualche ora al giorno - la libertà, ma lo ha fatto nel migliore dei modi: essendo d’aiuto agli altri e alla collettività. A questi “volontari speciali” sono stati consegnati, a fine incontro, gli attestati. Un pezzo di carta in cui resta impressa un’esperienza di vita, da ripetere. E proprio il presidente del Parco, Domenico Pappaterra, dopo aver sottolineato l’importanza del piano antincendio boschivo di cui l’Ente fino a qualche anno fa era sprovvisto e aver anticipato la presenza di altri progetti in porto - uno dei quali proprio per prevenire gli incendi attraverso sistemi tecnologici sofisticati e il telerilevamento - ha lasciato i presenti con la promessa di ripetere iniziative di tale importanza e l’augurio ai detenuti e alle loro famiglie di poter riprendere in mano la propria vita una volta usciti da quelle sbarre. Sassari: i detenuti raccontano la vita in carcere agli studenti di Gabriella Grimaldi La Nuova Sardegna, 13 novembre 2014 Si è tenuto il primo di una serie di incontri con le classi delle superiori organizzati dalla Nuova Sardegna. Gli studenti che vogliono pubblicare foto, racconti o pensieri possono scrivere all’email lastanzadeiragazzi@lanuovasardegna.it. Si è parlato di errori, di detenzione e di opportunità di riscatto nel primo incontro organizzato dalla Nuova Sardegna con gli studenti delle scuole superiori. Ieri mattina un centinaio di ragazzi del triennio del liceo classico Azuni e dei licei scientifici Spano e Marconi di Sassari e Paglietti di Porto Torres si sono confrontati, nella sala conferenze della redazione, con i curatori del libro "La colonia penale di Tramariglio. Memorie di vita carceraria", una preziosa raccolta di fascicoli riguardanti le storie dei detenuti nella ex colonia che oggi si trova all’interno del Parco di Porto Conte. Infatti a realizzare il progetto è stato proprio l’ente parco in collaborazione con la casa circondariale di Sassari e con l’Archivio di Stato. E ieri, tra gli ospiti che hanno raccontato la loro esperienza c’erano, oltre al direttore di Porto Conte Vittorio Gazale e alla responsabile dell’area trattamentale del carcere di Bancali Maria Paola Soru, due dei sei detenuti che in regime di articolo 21 (permesso di lavoro) hanno digitalizzato, in un anno di lavoro, 2362 i fascicoli su 4mila custoditi negli scantinati del carcere di San Sebastiano. "Abbiamo trovato le carte ricoperte di polvere, attaccate dalla muffa, dalle pulci e dai topi - ha raccontato Lorenzo, attualmente detenuto a Sassari. È stato un lavoro difficile ma alla fine siamo stati premiati con la scoperta di tante storie incredibili che oggi sono nel computer e pubblicate nel libro". Davide Aristarco, 28 anni, oggi libero ma all’epoca anche lui detenuto ha invece raccontato il primo giorno in cui con i compagni di lavoro è arrivato a Porto Conte e si è trovato davanti lo spettacolo mozzafiato della baia. Una visione rivelatrice: "In quel momento ho capito il valore della libertà e ho fatto tesoro dei miei errori". Tante le domande e le curiosità dei ragazzi sulla vita quotidiana in carcere, su come si finisce in una vita sbagliata, su come si può riuscire a ricominciare da capo e con l’aiuto di chi. E non sono mancate le riflessioni sul significato stesso dell’istituzione carcere e sul pregiudizio di chi sta fuori e magari potrebbe dare un’occasione a chi vuole buttarsi alle spalle un passato difficile. Agli studenti i due archivisti (hanno ottenuto il diploma dopo un periodo di formazione) hanno anche raccomandato di continuare a stare concentrati sullo studio perché è studiando che si hanno più possibilità di restare liberi e inseriti nella società. Il prossimo appuntamento con gli studenti si terrà il 10 dicembre, occasione in cui si parlerà di scuola. Nel frattempo i ragazzi potranno contribuire con le loro riflessioni anche sul tema trattato ieri o su qualunque altro argomento, con parole o con immagini, nello spazio che il sito della Nuova ha loro dedicato. Una "stanza" dove potersi ritrovare per esprimere le proprie opinioni in totale libertà. Napoli: progetto pescaturismo per recupero ragazzi detenuti, su barca confiscata a mafia Ansa, 13 novembre 2014 Trenta ragazzi dai 14 ai 24 sottoposti a misure di detenzione alternativa hanno una chance di costruirsi un futuro diverso, anche grazie a una barca sequestrata ai trafficanti di droga. Sono questi gli ingredienti del progetto "Pescaturismo con i ragazzi di Napoli" presentato oggi sul lungomare partenopeo con un "Open day" con i partecipanti e i formatori. Il progetto, finanziato con 250.000 euro dalla Fondazione Con il Sud, è portato avanti da otto partner tra associazioni ed enti tra cui il Centro di giustizia minorile di Napoli che ha selezionato i trenta ragazzi che parteciperanno all’iniziativa. Per loro si è già aperta una prima fase di attività con sociologi, psicologi ed educatori, poi cominceranno il corso di formazione di 600 ore per il riconoscimento della qualifica di operatore di pesca turismo, figura da poco inserita nella lista delle attività professionali riconosciute dalla Regione Campania. Al centro del progetto un gruppo di giovani da recuperare, quindi, anche attraverso un imbolo con la Santa Rita, il peschereccio confiscato alla criminalità organizzata pugliese che lo usava per trasportare la droga. A bordo i giovani faranno attività di manovra in mare e impareranno le tecniche di pesca per poter fare da guida ai turisti. Ma i giovani impareranno anche a tenere in ordine l’imbarcazione, con un corso di manutenzione in un cantiere a Largo Sermoneta, sul lungomare di Napoli. Nell’ambito dell’attività dio formazione è previsto anche un laboratorio di cucina tipica regionale campana. L’obiettivo finale del corso è di creare una cooperativa con cui questi giovani possano capire un servizio di pescaturismo nel golfo di Napoli. Immigrazione: a Roma avvocati europei a confronto sui diritti dei migranti di Vincenzo Comi Il Garantista, 13 novembre 2014 Migranti, accoglienza e diritti umani. La responsabilità dell’avvocato europeo. Con questo titolo si svolge oggi e domani a Roma la IV Conferenza europea organizzata dalla Scuola Superiore dell’Avvocatura e dal Consiglio Nazionale Forense. Un’importante iniziativa, oramai consolidata nella tradizione giuridica europea, che ha raggiunto la quarta edizione e che sarà ospitata presso la sede del Cnf sotto l’alto patronato della presidenza della Repubblica e della presidenza italiana del Consiglio dell’Unione Europea. Hanno aderito con entusiasmo le delegazioni di tutte le avvocature europee e sono previsti numerosi interventi sul tema, così come hanno assicurato la presenza molti rappresentanti delle istituzioni, giuristi di fama internazionale, politici e rappresentanti delle associazioni di volontariato (Giorgio Santacroce, primo Presidente della Suprema Corte di Cassazione; Felicio Angrisano, ammiraglio-comandante generale Guardia Costiera; Aldo Bulgarelli, presidente Ccbe; Guido Alpa, presidente Cnf; Fernando Piernavieja Niembro, presidente della commissione sull’Accesso alla Giustizia del Ccbe; Andrea Saccucci, professore di Diritto internazionale; Carlo Vermiglio, vice presidente Cnf; Michel Benichou, vice presidente Ccbe; Mads Andenas, presidente del Gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sulla detenzione arbitraria; Maksim Haxhia, presidente del Cnf di Albania; Lucia Tria, Consigliere presso la Suprema Corte di Cassazione; Viviana Valastro, Save the Children Italia Onlus). I lavori inizieranno alle ore 15,00 di giovedì con gli interventi delle istituzioni e l’apertura dei lavori di Alarico Mariani Marini, vice presidente della Scuola Superiore dell’avvocatura e proseguiranno con le relazioni del presidente della commissione sull’accesso alla Giustizia del Consiglio degli Ordini Forensi europei Fernando Niembro e di Andrea Saccucci, professore dì Diritto Internazionale. Venerdì sono previsti gli interventi dei rappresentanti delle avvocature europee. Ci si aspetta un importante confronto tra i colleghi Ue sulla questione dell’ingresso nel territorio nazionale tra esigenze di ordine pubblico e tutela dei diritti umani. Con una premessa: ogni scelta politica può prescindere dalla consapevolezza della necessità di dare attuazione concreta ai principi sanciti nei trattati e nelle carte internazionali. E primi tra tutti sono gli avvocati a dover essere garanti dei diritti fondamentali dei migranti. Con i colleghi europei sarà importante confrontarsi per denunciare lo stato di atrofia dei diritti dei migranti rispetto alla difesa delle frontiere. E bisognerà ancora una volta ribadire il carattere europeo del fenomeno e delle sue problematiche rivendicando una fattiva collaborazione di tutti gli Stati membri per realizzare una adeguata politica. Drammatico è il problema degli sbarchi dei minori non accompagnati per i quali l’accoglienza avviene in apposite strutture accreditate, oramai insufficienti a contenere il flusso di arrivi e ad assicurare soggiorni dignitosi per i bambini. Per questi casi il ruolo dell’avvocato è essenziale sia come difensore in caso di coinvolgimento del minore in un processo penale e sia come tutore del minore non accompagnato. Entrambi gli incarichi richiedono una elevata competenza e specializzazione, che passi anche attraverso una formazione comune con tutti i colleghi appartenenti ai diversi Stati Ue. Nel semestre di presidenza italiana dell’Unione europea, l’iniziativa della Scuola Superiore dell’Avvocatura assume particolare importanza anche perché si inserisce in un progetto più generale sul problema dell’accoglienza e dei diritti dei migranti e che ha visto anche la realizzazione di un presidio informativo giuridico a Lampedusa. La Scuola Superiore dell’Avvocatura, da sempre impegnata a rivendicare il ruolo sociale dell’avvocato e la responsabilità nei confronti di tutti i cittadini per la tutela dei diritti ha svolto un attività di grande interesse nella concreta assistenza per la soluzione di problemi relativi all’applicazione delle normative in materia di immigrazione e diritti umani, rispondendo anche attraverso la redazione di pareri scritti alle richieste di vari soggetti istituzionali locali quali la Capitaneria di Porto, il Comune, la Chiesa locale, il Responsabile sanitario per gli immigrati e le Associazioni e Ong tra le quali soprattutto Amnesty, Save the Children, Caritas, che sono ora stati resi disponibili sul sito della Scuola Superiore dell’Avvocatura. Tra l’altro nell’ambito di questo progetto, nato dalla collaborazione con il comando generale delle Capitanerie di Porto, si terrà il prossimo 4 dicembre a Roma un incontro per illustrare l’esperienza dell’avvocatura a Lampedusa a cui parteciperanno numerosi rappresentanti delle istituzioni tra cui il sindaco dell’isola Giusi Nicolini. Immigrazione: "Sos Cie", a Bari ingresso vietato ai giornalisti di Francesca Russi La Repubblica, 13 novembre 2014 Nel Centro di identificazione ed espulsione di viale Europa, al quartiere San Paolo di Bari, dove sono rinchiusi 70 migranti irregolari di varie nazionalità, si entra grazie alla campagna "LasciateCientrare" di Ordine dei giornalisti e Federazione della Stampa, ma ai giornalisti non è concesso filmare o fotografare. "Uno Stato civile non ha paura di far vedere i propri luoghi di detenzione - attaccano i deputati di Sel Erasmo Palazzotto e Annalisa Pannarale presenti ieri durante la visita con giornalisti, avvocati e volontari - l’unico pericolo delle immagini è per chi ha la responsabilità di mantenere in condizioni di dignità umana questi luoghi". Dignità umana che, invece, manca, stando all’ordinanza del Tribunale di Bari con cui a gennaio scorso si disponevano immediati lavori di manutenzione entro 90 giorni. Il tempo, infatti, è scaduto. "I lavori per ampliare la sala benessere dove trascorrono le giornate i migranti non sono stati effettuati - denuncia l’avvocato Luigi Paccione che ha curato il ricorso in Tribunale e che ha chiesto ora l’esecuzione immediata dell’ordinanza - le linee guida prevedono uno spazio di 3 metri quadri per ciascuna persona, il Ministero dell’Interno è inadempiente". Ci dovrebbe essere dunque una stanza da 74mq dato che in ogni modulo - ne sono aperti solo 3 su 7 - ci sono 24 detenuti, ma il corridoio è angusto e la parola benessere associata a quella stanza ha il sapore di beffa. "L’acqua cade dal soffitto" ci mostra un tunisino. Al centro delle proteste di chi è rinchiuso solo perché senza documenti di soggiorno c’è anche la questione avvocati. "Possiamo scegliere solo tra 6, non ci fanno nominare altri legali". Qualcuno lamenta anche le condizioni di salute. "Ci sono ragazzi con crisi epilettiche, non dovrebbero stare qui dentro". Stati Uniti: sulla tortura Obama cancella la "dottrina Bush" di Francesco Semprini La Stampa, 13 novembre 2014 Spariranno del tutto abusi come il water-boarding? "Ammettiamo di aver superato il limite in passato, ma non lo faremo più". Questo il messaggio inviato dagli Stati Uniti all’Onu in merito alla pratica della tortura sui prigionieri, in particolare detenuti in carceri situate al di fuori dei confini nazionali. Un vero cambio di registro quello voluto da Barack Obama, rispetto alla dottrina di George W. Bush. "Gli Usa sono orgogliosi del loro primato come leader nel rispetto, nella promozione e nella difesa dei diritti umani e dello stato di diritto, tanto in patria che nel mondo", ha spiegato Mary McLeod consulente legale del Governo Usa dinanzi alla Commissione delle Nazioni Unite contro la tortura. "Tuttavia sull’onda degli attentati dell’11 settembre, purtroppo non abbiamo tenuto fede ai nostri valori - ha proseguito McLeod. Abbiamo superato il limite e ce ne prendiamo tutte le responsabilità". McLeod è una dei 30 esperti della delegazione Usa arrivati a Ginevra per l’audizione dinanzi al comitato Onu, la prima dal 2006 e quindi sotto la presidenza Obama. I 10 membri del comitato hanno proceduto alla revisione dell’operato dei 156Paesi che hanno sottoscritto la "Convention Against Torture", e nel caso degli Stati Uniti hanno contestato una serie di violazioni. Indicazioni sono giunte in particolare su "black sites" della Cia, detenzione in strutture militari come Guantánamo, violenze perpetrate dalle forze dell’ordine, abusi sui prigionieri e detenzione di immigrati clandestini. Violazioni su cui i membri della delegazione Usa hanno ammesso le responsabilità del caso, in particolare durante la cosiddetta guerra al terrorismo attuata dall’amministrazione Bush, e durante la quale si è fatto ricorso alle cosiddette "tecniche di interrogatorio potenziato", come il water-boarding. "Riconosciamo che nessuna nazione è perfetta, la nostra compresa", ha detto un membro della delegazione Usa, spiegando tuttavia che da quando è subentrata l’amministrazione Obama "tali pratiche sono state bandite". Gli Usa si sono quindi impegnati a estendere la nuova dottrina sulle torture dovunque gli Usa abbiano effettivo controllo, anche al di fuori dei confini nazionali. La commissione Onu ha anche denunciato la brutalità della polizia Usa specie con le minoranze etniche ed è stato ricordato il caso di Michael Brown, i cui genitori erano presenti in questi giorni a Ginevra per alcuni eventi a margine dell’audizione. Libia: tre giovani attivisti per i diritti umani decapitati a Derna da miliziani dell’Isil www.horsemoonpost.com, 13 novembre 2014 I tre attivisti, uno 19 anni, un altro di 21 e il terzo di cui non si conosce l’età, avrebbero sostenuto le forze laiche che hanno affiancato il tentativo del generale Khalifa Haftar per ristorare la "Dignità della Libia". Serve un’azione militare internazionale sotto l’egida dell’Onu e a guida italiana. Secondo fonti locali, rilanciate dalle agenzie internazionali, i corpi di Mohammed Battu (19), Siraj Gatsh (21) e Mohamed al-Mesmari (del quale non si conosce l’età), rapiti lo scorso 6 novembre, sono stati trovati nei pressi di Derna, in Cirenaica, dove i jihadisti di Ansal al-Sharia hanno proclamato la propria adesione all’Isil e allo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante, l’autoproclamato Califfato. I due giovani erano attivisti dei diritti umani di Derna e, per questo motivo, erano sostenitori delle forze militari che sostengono il tentativo del generale Khalifa Haftar, a capo di un’azione di ripristino della legalità in funzione anti-jihadista dal maggio scorso, quando avviò l’operazione "Dignità della Libia" con il supporto della parte preponderante delle forze armate. I corpi dei due giovani sono stati trovati oggi dai residenti di Derna, città che è sotto il controllo del Consiglio della Gioventù Islamica (Majlis Shura Shabab al-Islam o Islamic Youth Shura Council-Iysc), che ha istituito un tribunale islamico e già compiuto esecuzioni. Il 3 novembre scorso, a Derna fu ucciso il colonnello Abdul Razaq Awad Bin Ali, tornato in città per la sepoltura del fratello. Domenica, mentre il ministro degli Esteri Gentiloni parlava di Libia su Rai3, intervistato da Lucia Annunziata, l’inviato dell’Onu, Bernardino León Gross, sfuggiva a un attentato perpetrato dai jihadisti locali. La delegazione delle Nazioni Unite così è stata costretta a ritornare a Tunisi, a dimostrazione del fatto che tutta l’impostazione della mediazione è sbagliata e che l’unica cosa intelligente sarebbe deliberare un’azione militare multinazionale, sotto bandiera Onu, a guida italiana. Siria: rilasciata dopo 10 giorni di carcere figlia dissidenti nata in prigione nel 1988 Ansa, 13 novembre 2014 Le autorità siriane hanno rilasciato, dieci giorni dopo l’arresto, Maria Bahjar Shaabo, una donna di 26 anni figlia di due dissidenti, che è nata e ha trascorso il primo anno e mezzo di vita in prigione durante un periodo di detenzione della madre. Lo riferisce oggi la stampa araba. Maria era stata arrestata dai servizi d’Intelligence di Damasco al suo ritorno in patria dopo un viaggio a Beirut, dove era andata per vedere la madre che partecipava a una conferenza medica. La giovane è nata nel 1988 in prigione, dove la madre scontava una condanna a quattro anni di reclusione. A un anno e mezzo, quando è uscita, di lei si è preso cura il padre, che poi a sua volta è stato incarcerato per dieci anni. Israele: isolamento in carcere per dirigente Fatah Barghouti dopo appello a rivolta armata Nova, 13 novembre 2014 Il dirigente di Fatah, Marwan Barghuti, è stato posto in isolamento per una settimana nel carcere israeliano di Hadarim,a nord di Tel Aviv, per aver incitato il popolo palestinese ad intraprendere una "rivolta armata" contro Israele. Lo riferisce il quotidiano "Jerusalem Post". "Impedire a Barghouti di comunicare con il suo popolo in patria e all’estero, così come con gli altri detenuti" è la ragione che ha portato nuovamente le autorità israeliane a mettere in isolamento l’esponente di Fatah. Barghouti, rinchiuso dal 2004 nel penitenziario di Hadarim, nella giornata di ieri, in occasione del 10mo anniversario dalla morte dell’ex presidente Yasser Arafat, era riuscito a far trapelare una lettera nella quale sottolineava la necessità di riprendere in considerazione l’opzione della resistenza, realizzare l’unità nazionale, dare sostegno ai palestinesi a Gerusalemme e interrompere ogni coordinamento di sicurezza" tra Autorità nazionale palestinese e Israele. Barghouti viene posto in cella d’isolamento per la 23esima volta da quando è in carcere.