Giustizia: in Senato arrivano ddl su amnistia e indulto, riserve del Pd sui provvedimenti Asca, 9 marzo 2014 Entro il 25 marzo i relatori dei ddl in materia di concessione di amnistia e indulto dovranno elaborare un testo unificato da sottoporre alla commissione Giustizia del Senato. È quanto è stato deciso dall’ufficio di presidenza integrato dai rappresentanti dei gruppi riunitosi il 5 marzo. Nel corso della discussione svoltasi il giorno prima il senatore del Pd Giuseppe Lumia ha ricordato la posizione del suo gruppo in merito al seguito dell’esame dei testi su amnistia e indulto: per ovviare ai problemi connessi al sovraffollamento carcerario è prioritario intervenire con misure di carattere strutturale diverse dai provvedimenti di clemenza. In questo senso il gruppo giudica positivamente le iniziative legislative in materia di depenalizzazione, di messa alla prova, di misure alternative alla detenzione e le modifiche al sistema delle misure cautelari detentive che si appresta ad arrivare in Aula, ritenendo opportuna una riflessione sulla riforma complessiva del codice penale. La commissione Giustizia ha anche proseguito l’esame dei testi in materia di unioni civili e patti di convivenza a cui è stato abbinato il ddl 1211, di cui è primo firmatario il senatore Andrea Marcucci del Pd. Giustizia: l’azione penale? me la gestisco io! la Costituzione che cambia e la politica silente dalla Giunta dell’Unione delle Camere Penali www.camerepenali.it, 9 marzo 2014 La Procura di Roma sceglie i reati da perseguire con il placet del Csm. L’iniziativa non è solo "eversiva" da un punto di vista istituzionale ma sancisce la definitiva resa della politica che si limita a prendere atto che le scelte di politica criminale vengono prese, irresponsabilmente, nel chiuso delle stanze delle burocrazie giudiziarie. Se la Procura di Roma "sceglie" i processi da celebrare, e dunque i reati da perseguire, con tutte le giustificazioni che si possono dare a questa decisione, rimane il dato conclamato della violazione del principio di obbligatorietà dell’azione penale, che è fissato in Costituzione in diretto collegamento col principio di uguaglianza dei cittadini e, pertanto, rappresenta uno dei caposaldi della democrazia. La prima conclusione da trarre, soprattutto da parte di chi si oppone da sempre ad ogni ipotesi di riforma costituzionale della giustizia, con argomentazioni apocalittiche che prefigurano il sovvertimento dello stato repubblicano, è che la Costituzione è già stata cambiata, ma da apparati burocratici e nel chiuso delle loro stanze, invece che dal Parlamento e seguendo le procedure previste dall’art. 138 Cost.. Il che è gravissimo e dovrebbe incontrare la censura del Csm. A questa vanno aggiunte altre considerazioni. La vicenda non è nuova, poiché da anni la magistratura va tastando il terreno con iniziative, similari a questa o del tutto diverse, che sono volte a conquistare spazi di discrezionalità politica senza sopportare la relativa responsabilità, così come in passato è riuscita ad occupare - e per sempre - i gabinetti dei Ministeri con i propri fuori-ruolo. Il metodo ha dei tratti comuni e si fonda essenzialmente su un circuito mediatico-giudiziario oramai oliatissimo, grazie al quale si riesce a creare la notizia che a sua volta fa si che l’opinione pubblica abbia la "percezione" dell’emergenza, la quale non per forza coincide con la "realtà" dell’emergenza. In tal modo, si riescono ad affermare prassi distorte e, in seconda battuta, finanche ad ispirare modifiche legislative che le traducono in norme. Gli esempi sono mille e vanno dall’attribuzione di un successo investigativo esclusivamente alle intercettazioni , per poter forzare i limiti fissati dall’art. 15 della Costituzione, alla mostrificazione dell’arrestato di turno, ritratto in manette all’uscita di casa da reporter appositamente convocati, che alimenta la richiesta di carcere e mortifica gli articoli 13 e 27 della Costituzione, per finire alla descrizione di una giustizia al collasso, sottacendo che le gravi disfunzioni sono dovute a difetti di organizzazione e di produttività degli uffici, per far passare l’art. 24 della Costituzione come affare da azzeccagarbugli e sopprimere il diritto di difesa dei cittadini, proponendo prescrizioni brevi, processi abbreviati e meglio se alla tele, giudici intercambiabili, impugnazioni eventuali e sempre più virtuali. Tutto questo accade per via di una politica sempre più debole: quando va bene assente, quando va male addirittura complice di chi la istiga al suicidio. E non si riesce a cambiar verso, se anche il neo premier anziché assumere una posizione, che sia una, autonoma in materia di giustizia, si è limitato a menzionare, nel discorso d’insediamento, l’omicidio stradale, ossia quel reato - peraltro già introdotto, sostanzialmente, pochi anni fa, con innalzamenti di pena specifici e severissimi - che è in testa ai titoli dei telegiornali ma in coda nelle statistiche scientifiche, quelle sulle quali chi governa dovrebbe regolare la propria azione. E non va meglio in Senato se, dopo la frustrante esperienza dello svuotamento dello "svuota-carceri", adesso sono stati presentati emendamenti che mirano ad affossare la riforma della custodia cautelare appena licenziata dalla Camera. Il tutto mentre il sottosegretario alla Giustizia teorizza di relegare il rito accusatorio solo ad alcuni reati più gravi, in modo da istituzionalizzare così la prassi, già dilagante nelle aule giudiziarie, di prospettare il diniego delle attenuanti se non si dà il consenso all’acquisizione degli atti istruttori, rinunciando all’oralità del processo. La politica ha bisogno di uno scatto di orgoglio, l’abbiamo detto per il problema carcere ma vale per tutto il tema della giustizia, ed invasioni di campo così eclatanti come quella di Roma devono costituire l’occasione per ristabilire l’equilibrio tra i Poteri dello Stato e ribadire la centralità del Parlamento. Tanto più che il tipo di giustizia che oramai da diversi anni si va delineando è sempre più quello di una giustizia per ricchi, poiché chi subisce un torto e non ha mezzi non vedrà nemmeno partire il processo penale contro l’autore del reato, atteso che il Procuratore di turno avrà considerato il suo processo indegno di impegnare l’Ufficio e la giustizia sarà denegata, con tanto di timbro su un immotivato decreto di archiviazione. Il processo come strumento di sperequazione sociale, dunque, alla cui trasformazione la classe politica assiste impotente, magari declamando, con ipocrisia consapevole, che la nostra è "la più bella Costituzione del mondo". Giustizia: "No" ad amnistia e indulto… Renzi ha una sola idea chiara in testa di Marco Travaglio Il Fatto Quotidiano, 9 marzo 2014 Una notizia buona e una cattiva. Prima la cattiva: Renzi non ha le idee chiare sulla giustizia (o, se le ha, le nasconde benissimo). Nel discorso d’insediamento al Senato, ha riassunto la riforma che ha in mente con questa supercazzola: "Sulla giustizia non possono esserci solo derby ideologici. La giustizia è un asset reale". Poi, rispondendo a Saviano su Repubblica, ha annunciato l’ennesimo "commissario anticorruzione" per combattere mafie e tangenti e recuperare il maltolto. Infine, per difendere i cinque membri inquisiti del governo, ha mandato la Boschi alla Camera a farfugliare di "presunzione di innocenza" e ha accusato Civati di incoerenza perché partecipò alle primarie del Pd essendo ancora indagato. Ora, nell’ordine. 1) Non sappiamo che diavolo sia un "asset reale", ma sappiamo per certo che in questi 20 anni sulla giustizia non c’è stato alcun "derby ideologico" fra opposte fazioni: c’è stato un attacco sistematico alla legalità dal partito trasversale della corruzione, dell’evasione e della trattativa Stato-mafia, a cui si sono opposti pochi giuristi, magistrati, giornalisti, politici e movimenti della società civile, Costituzione alla mano. 2) Mafie e corruzione non si combattono con i commissari straordinari (ne abbiamo visti sfilare a decine e non sono serviti a un tubo), ma con armi efficaci in mano ai magistrati, alle forze dell’ordine e alla Pubblica amministrazione: dalla riforma della prescrizione al ripristino del falso in bilancio all’introduzione dell’auto riciclaggio (l’apposito emendamento Civati al decreto sui capitali all’estero attende ancora l’ok del governo e il voto della maggioranza e del M5S). 3) La presunzione di non colpevolezza (non di innocenza) riguarda i processi e non c’entra nulla con i requisiti richiesti a chi viene designato a una pubblica funzione (un conto sono le primarie del partito, un’associazione privata, un altro la selezione dei membri del governo). La buona notizia è che, nella confusione renziana, c’è un’eccezione: il No chiaro e netto ad amnistia e indulto. L’altro giorno, con cinque mesi di ritardo, i soliti quattro gatti hanno discusso alla Camera il messaggio di Napolitano sul sovraffollamento delle carceri e sull’urgenza di provvedere prima di maggio, quando scatteranno le prime multe europee (i decreti svuota-carceri Alfano, Severino e Cancellieri - come avevamo ampiamente previsto in beata solitudine - erano buffonate). La neoresponsabile Giustizia del Pd, la renziana Alessia Morani, ha sbaraccato la linea dell’indulgenza plenaria, lasciando soli Ncd, FI e Udc a ululare alla luna il "liberi tutti". Era ora. Resta da capire quando arriverà la pars construens: edificare nuove carceri, riaprire Pianosa e Asinara, ristrutturare caserme in disuso per recludere detenuti meno pericolosi, abolire il reato di clandestinità, rivedere la Bossi-Fini e applicarla nella parte che prevede di far scontare agli stranieri gli ultimi tre anni nei loro paesi. Ma il fatto che il Pd cambi rotta, e che dunque la maggioranza dei due terzi richiesta per amnistie e indulti non esista più, è un’ottima novità. Soprattutto per le vittime dei reati, in continuo aumento a causa della crisi (l’Espresso parla di una casa svaligiata ogni due minuti). Finiscono così al museo di paleontologia i tromboni sinistri della decarcerazione, che han fatto danni per 20 anni. Ancora l’altro giorno l’Unità pubblicava un comico "saggio" di Luigi Manconi che tenta pietosamente di difendere l’indulto del 2006: quello che, per salvare Previti e B., mise fuori quasi 30 mila delinquenti e non ne fece più entrare almeno altrettanti. La tesi - tenetevi forte - è questa: chi viene scarcerato al momento giusto torna a delinquere per il 68%, mentre i detenuti liberati anzitempo nel 2006 ci sono ricascati (o meglio, sono stati beccati a ricascarci) "solo" per il 34%, dunque l’indulto conviene e bisogna farne altri. Saranno felici le 10 mila nuove vittime che non avrebbero subìto alcun danno se i loro 10 mila persecutori fossero rimasti dentro a scontare la pena per intero. Poi uno si domanda perché il centrosinistra non vince mai. Liguria: Sappe; nel 2013 nelle carceri regionali 1 detenuto suicida e 37 tentati suicidi Adnkronos, 9 marzo 2014 "Un detenuto suicida, 6 morti per cause naturali, 37 tentati suicidi sventati in tempo dalla polizia penitenziaria, 374 atti di autolesionismo, 9 ferimenti e 107 colluttazioni. Sono i numeri registrati nelle 7 carceri della Liguria nel corso di tutto il 2013". Lo scrive, in una nota del segretario generale aggiunto Roberto Martinelli, il Sappe. "Registriamo - si legge - anche 3 mancati rientri da permessi e semilibertà, che si sono concretizzate in evasioni, 197 proteste singole di detenuti con sciopero della fame e/o della sete e una serie di proteste collettive che ha visto coinvolti quasi 1.400 detenuti in Liguria". Rispetto alle singole sedi detentive della Liguria, Martinelli sottolinea che "è quello di Sanremo il carcere con il più alto numero di tentati suicidi sventati dai nostri agenti (12) ed atti di autolesionismo (119). L’unico suicidio in cella è avvenuto a La Spezia mentre le 6 morti per cause naturali sono avvenute a Genova Marassi, dove c’è un centro clinico ed una sezione detentiva per detenuti malati e affetti da Hiv. 1 tentato suicidio c’è stato anche a Chiavari e Savona, 7 a La Spezia, 8 a Marassi e 4 a Pontedecimo e Imperia. Gli atti di autolesionismo sono stati 6 a Chiavari, 94 a La Spezia, 2 a Savona, 19 a Imperia, 111 a Genova Marassi e 23 a Pontedecimo". Martinelli infine auspica "che il Guardasigilli Andrea Orlando, per altro ligure e da sempre sensibile sui temi penitenziari, adotti ogni utile provvedimento finalizzato a rendere davvero rieducativa la pena attraverso il lavoro dei detenuti, anche perché riduce notevolmente la tensione detentiva di chi oggi sta in cella". Puglia: Nuzziello; nelle carceri situazione drammatica, Consiglio regionale monotematico www.statoquotidiano.it, 9 marzo 2014 Nella sala "Guaccero" di Via Capruzzi, sede del Consiglio Regionale Pugliese si è tenuta una seduta congiunta della II e della III Commissione Consiliare in cui si è parlato della condizione carceraria in Puglia. Sono intervenuti il Provveditore Regionale per l’Amministrazione Penitenziaria, Giuseppe Martone, il Garante Regionale delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà, Pietro Rossi, i dirigenti ed il personale dell’Assessorato dei Servizi Sociali. "Si è trattato di un incontro interessante e costruttivo", ha detto il Consigliere regionale pugliese Anna Nuzziello, che aveva già preso parte ad un’ispezione al carcere di Foggia con Pietro Rossi ed il preposto Antonio Vannella, che si occupa proprio del carcere dauno. "Bisogna considerare - ha aggiunto Nuzziello - che indipendentemente dalle cabine di regia delle più recenti modifiche normative, ci sono dei punti essenziali che meritano un’approfondita analisi e c’è la necessità di nuove ed importanti azioni per garantire misure alternative alla detenzione in carcere". Nel corso dell’audizione si è prospettata un’incisiva azione di sostegno da parte del Consiglio Regionale affinché la Giunta e le strutture tecniche Amministrative Regionali possano dare una concreta esecuzione agli accordi sottoscritti negli scorsi anni dal Presidente della Regione Puglia. "Per far sì che il territorio possa essere in grado di far fronte all’emergenza carceraria - ha detto Nuzziello - è necessario indire una consiglio monotematico con gli attori-protagonisti (istituzioni, Comuni e imprese) dello scenario pugliese per favorire, ad esempio, un reinserimento sociale dei detenuti tramite l’espiazione della pena all’interno della comunità e, dunque, al di fuori delle carceri. È imprescindibile un coordinamento tra politiche attive nei settori dell’istruzione, formazione e rieducazione a garanzia dell’inclusione sociale, del sostegno lavorativo e dell’accoglienza abitativa. Non è possibile non considerare le cooperative e le associazioni del terzo settore affinché si possano individuare di interventi e priorità tali da realizzare misure alternative al carcere ed il reinserimento del reo all’interno della comunità territoriale di appartenenza. Un ultimo pensiero - conclude Nuzziello - lo rivolgo ai detenuti: viste le condizioni deplorevoli delle nostre carceri, la loro situazione non è degna di un paese civile". Sardegna: Sdr; sex offender trasferiti da carcere "Sa Stoia" di Iglesias a Sassari-Bancali Ristretti Orizzonti, 9 marzo 2014 "Ultime ore di permanenza nella Casa Circondariale di Iglesias per i cittadini privati della libertà per reati sessuali. Da domani lunedì 10 marzo infatti la maggior parte dei 107 detenuti attualmente a "Sa Stoia" saranno trasferiti nell’apposita sezione di Sassari-Bancali". Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione "Socialismo Diritti Riforme", con riferimento al provvedimento assunto dal Provveditore regionale dell’Amministrazione Penitenziaria Gianfranco De Gesu. "L’iniziativa del responsabile del Prap della Sardegna - ricorda Caligaris - è una conseguenza della disposizione del Ministero della Giustizia e del Dap che hanno deciso di assegnare i sex offender oltre che alla sezione del penitenziario sassarese al carcere "San Daniele" di Lanusei. Ad occupare le celle di "Sa Stoia" invece resteranno i detenuti protetti (come per esempio i collaboratori di giustizia) ai quali si aggiungeranno quelli considerati di media sicurezza attualmente ristretti a Buoncammino". "Il cambio di destinazione della Casa Circondariale di Iglesias - evidenzia la presidente di SDR - avrà negative ripercussioni sui detenuti e sui loro familiari. La maggior parte dei reclusi infatti, grazie al lavoro degli educatori e dei volontari, è inserita in progetti di formazione scolastica e in attività di recupero attraverso azioni di carattere sociale finalizzati ad azzerare la recidiva. Iniziative condivise anche dai familiari che per il trasferimento dovranno sobbarcarsi un dispendioso viaggio per poter effettuare i colloqui". "Esprimiamo inoltre la preoccupazione che lo svuotamento di Iglesias preluda allo smantellamento dell’Istituto. Non si può dimenticare che un anno fa il Ministero della Giustizia aveva annunciato la chiusura di Iglesias e di Macomer. Una decisione sospesa per il 2013 in attesa del completamento delle nuove megastrutture detentive di Oristano, Sassari e Cagliari. Non vorremmo che sia portato a compimento un programma - conclude con amarezza Caligaris - la cui efficacia e razionalità è esclusivamente improntata a risparmiare. Sarebbe opportuno invece un ripensamento anche per evitare che la concentrazione di detenuti speciali in una sezione di un Villaggio Penitenziario non si trasformi in una fabbrica di disadattati". Lecce: detenuto di 42anni muore impiccato in cella, si indaga per istigazione al suicidio www.corrieresalentino.it, 9 marzo 2014 È stato aperto un fascicolo d’indagine in cui si ipotizza il reato di istigazione al suicidio per la morte di Paolo Consoli, il detenuto originario di Napoli che si è impiccato nell’infermeria di Borgo San Nicola nella giornata di ieri. Il sostituto procuratore Paola Guglielmi, nel frattempo, ha disposto l’autopsia che verrà eseguita martedì dal medico legale Alberto Tortorella. Al momento il fascicolo è a carico di ignoti. Prima si vogliono comprendere le esatte cause del decesso per poi contestare accuse a carico di chi doveva vigilare sul detenuto. Consoli si è tolto la vita utilizzando un lenzuolo legandolo all’estremità del collo e l’altra alle sbarre. Gli agenti della polizia penitenziaria, non appena si sono accorti di quanto accaduto, hanno tentato di salvare il 42enne ma ogni tentativo si è rivelato inutile. L’uomo era domiciliato ad Ugento ed era stato arrestato nel gennaio di un anno fa per una rapina ad una casalinga di 30 anni di Ugento. Sulla tragedia è voluto intervenire il segretario provinciale dell’Organizzazione sindacale autonoma di polizia penitenziaria che ha definito la morte in carcere, l’ennesima, "una sconfitta per tutto il mondo penitenziario". Biella: detenuto di 39 anni s’impicca con dei lacci delle scarpe al rubinetto del lavandino Tm News, 9 marzo 2014 Un detenuto italiano di 39 anni, L. M., condannato per tentato omicidio con fine pena nel 2015, si è suicidato la scorsa notte nel carcere di Biella impiccandosi con dei lacci delle scarpe appesi al rubinetto. Lo rende noto il sindacato della polizia penitenziaria Osapp: "È il decimo suicidio da inizio anno, il ventisettesimo morto nelle carceri italiane nel 2014", precisa l’Osapp. "La situazione di Biella è pessima sull’organico e l’organizzazione: è stato aperto un nuovo reparto ma non c’è abbastanza personale per farlo funzionare", dice il segretario dell’Osapp Leo Beneduci, per il quale "l’assenza di personale e il fatto che comunque si voglia continuare ad aprire nuovi reparti sono tra le cause che comportano il rischio di maggiori suicidi. L’opera della penitenziaria non è infatti solo legata a scongiurare tentativi di fuga o di violenze, ma è anche preventiva su queste situazioni". "Noi imputiamo questa situazione alla politica adottata a suo tempo dall’ex Guardasigilli Cancellieri e al capo del Dap Tamburino, che continua ad ordinare l’apertura di nuove sezioni senza personale: in questo modo - prosegue Beneduci - i rischi per la sicurezza, la funzionalità e l’incolumità dei detenuti aumentano. Questo episodio non sarà l’ultimo: auspichiamo che il ministro Orlando dia un nuovo impulso al funzionamento del sistema penitenziario e che sostituisca i vertici del Dap, che hanno dimostrato di aver portato avanti una politica fallimentare". Siena: suicida un poliziotto penitenziario di 47 anni, il suo gemello si tolse vita un anno fa Ansa, 9 marzo 2014 Era originario di Orotelli, in provincia di Nuoro, ed era il fratello gemello di un imprenditore anche lui morto suicida, Daniele Piroddi, l’agente di Polizia penitenziaria di 47 anni che si è tolto la vita a Siena. L’uomo, che lavorava nel carcere di Volterra, lascia la moglie ed una figlia. La notizia della morte di Piroddi si è subito diffusa ad Orotelli, lasciando sotto shock i compaesani: il poliziotto, infatti, era il gemello di Gonario Piroddi, l’imprenditore edile che si era tolto la vita il 10 aprile 2013, meno di un anno fa, a causa della crisi economica. Il suo caso aveva destato profonda commozione in Sardegna perché l’uomo, già provato per il licenziamento di alcuni operai per via della crisi, non aveva retto ad un pesante bollettino da pagare. E all’indomani della sua morte, era nato il "Comitato spontaneo Pro Gonario". Daniele Piroddi, dopo la morte del fratello gemello a cui era legatissimo, non sarebbe mai riuscito a riprendersi. Prima del suicidio l’uomo ha lasciato una lettera alla sorella, che vive in Sardegna, per spiegare le ragioni del suo gesto. Il comunicato del Sappe "Siamo sconvolti e sgomenti, anche perché questo grave fatto avviene a meno di un mese da una analoga tragedia, a Novara", commenta, dando notizia di questo episodio, Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo di Polizia Penitenziaria (Sappe). "Una tragedia senza un perché - aggiunge Capece - anche se sembrerebbe che abbia lasciato una lettera a una sorella in Sardegna per spiegare le ragioni. Ci stringiamo con tutto l’affetto e la solidarietà possibili al dolore indescrivibile della moglie, della figlia, dei familiari, degli amici, dei colleghi". Capece fa rilevare che "una riflessione deve essere fatta sulla piaga dei suicidi tra i poliziotti: 100 casi dal 2000 ad oggi sono una enormità. Lo abbiamo detto e lo ripetiamo: l’istituzione di apposite convenzioni con Centri specializzati di psicologi del lavoro in grado di fornire un buon supporto agli operatori di Polizia - garantendo la massima privacy a coloro i quali intendono avvalersene - può essere un’occasione per aumentare l’autostima e la consapevolezza di possedere risorse e capacità spendibili in una professione davvero dura e difficile, all’interno di un ambiente particolare quale è il carcere, non disgiunti anche dai necessari interventi istituzionali intesi a privilegiare maggiormente l’aspetto umano ed il rispetto della persona nei rapporti gerarchici e funzionali che caratterizzano la Polizia penitenziaria, Non ci devono essere superficialità o disattenzioni". Napoli: detenuto in regime di semilibertà ucciso a colpi di arma da fuoco da due killer Ansa, 9 marzo 2014 Un detenuto in regime di semilibertà, Gennaro Caliendo, di 36 anni, è stato ucciso con cinque colpi di arma da fuoco da due killer in serata a Napoli. L’uomo era a bordo della sua auto, sull’Asse Mediano, nella zona del quartiere Salicelle. Caliendo aveva una condanna a 15 anni di reclusione per l’omicidio di un ragazzo di 18 anni, Rodomonte Chiacchio, accoltellato nel 1999 durante la rapina di un cellulare. Sul posto è intervenuta la Polizia. Caliendo - secondo la ricostruzione degli investigatori del Commissariato di Afragola della Polizia di Stato - era alla guida della propria Matiz. L’auto è stata raggiunto da una Fiat Punto con due persone a bordo. Caliendo ha tentato una manovra di retromarcia ma è andato a finire contro un pilastro. A questo punto - sempre secondo la prima ricostruzione degli investigatori, coordinati dal vicequestore Sergio Di Mauro - i due killer hanno sparato alcuni colpi di pistola, cinque dei quali hanno raggiunto Caliendo alla nuca, al collo e all’addome, uccidendolo. Caliendo era detenuto in regime di semilibertà da circa un anno e doveva rientrare in carcere entro le 21. Doveva scontare una condanna a 15 anni di reclusione per l’omicidio di Rodomonte Chiacchio, 18 anni, figlio di un sottufficiale della Guardia di finanza, avvenuto a Cardito (Napoli) il 7 gennaio 199 durante un tentativo di rapina. Il giovane venne colpito a un gluteo da una pugnalata che gli recise l’arteria femorale. Chiacchio, che era in procinto di partire per il servizio militare, aveva opposto resistenza a un tentativo di rapina compiuto da tre o quattro persone che avevano tentato di impossessarsi di poche decine di migliaia di lire e del suo telefonino. Caliendo era stato fermato dalla Polizia alcuni giorni dopo l’omicidio. Palermo: carcere di Pagliarelli, al via protocollo per attività extra murarie dei detenuti www.blogsicilia.it, 9 marzo 2014 Si intitola "Il Viaggio" ed è lo spettacolo teatrale andato in scena oggi al carcere Pagliarelli di Palermo, proposto dal gruppo di volontariato "Le matte del villaggio". Nel corso della manifestazione, cui hanno preso parte le 56 detenute della struttura con la partecipazione dell’assessore comunale Agnese Ciulla, sono stati affrontati i temi del femminicidio, della violenza di genere e dei diritti delle donne detenute. L’incontro è stata l’occasione per sottoscrivere, da parte dell’assessore e della direttrice Francesca Vazzana, il protocollo d’intesa approvato dalla giunta nei giorni scorsi per l’avvio di un programma di attività extra murarie per i detenuti e le detenute. Le autorità carcerarie, d’intesa con quelle giudiziarie, individueranno ora quali detenuti e detenute possano partecipare alle attività lavorative all’esterno, ai programmi in semilibertà, all’affidamento in prova al servizio sociale, ai permessi o alle licenze. Il Comune provvederà a formulare delle proposte progettuali che non comportino spese per l’amministrazione e coinvolgendo aziende partecipate, associazioni ed enti terzi e predisporrà il programma di lavoro. Indicherà, inoltre, i referenti di progetto che mensilmente si faranno carico di verificare il buon andamento dello stesso e di risolvere eventuali problematiche di carattere logistico-operativo. La convenzione avrà la durata di un anno. Commentando la firma del protocollo, l’assessore Ciulla ha sottolineato che "si tratta di un programma sperimentale che mira a rafforzare la sinergia fra amministrazioni pubbliche e fra queste e il privato, per il reinserimento sociale di tutti quei detenuti per i quali lo sbocco occupazionale e l’impegno in attività lavorative costituiscono parte integrante del percorso di riabilitazione". "La firma di questo protocollo - afferma il sindaco e presidente dell’Anci Sicilia Leoluca Orlando - è un segnale concreto di attenzione per tutta la popolazione carceraria, sia maschile che femminile. Attività come questa possono rendere migliore e più efficace nel suo complesso l’intervento del sistema statale nel processo di repressione e successiva re-inclusione di chi ha commesso reati, quindi con un vantaggio complessivo per l’intera comunità". Lecco: Garante dei diritti dei detenuti, il Comune raccoglie candidature fino al 31 marzo www.lecconotizie.com, 9 marzo 2014 Il Consiglio comunale del Comune di Lecco, con apposita delibera, ha istituito la figura del Garante dei diritti delle persone private della libertà personale, approvandone il relativo regolamento. Il Sindaco nomina il Garante scegliendolo fra persone residenti nella provincia di Lecco, di indiscusso prestigio e notoria fama nel campo delle scienze giuridiche, dei diritti umani, delle attività sociali. Il Garante dura in carica per tre anni e assume l’incarico a titolo onorifico; per lo svolgimento delle funzioni attribuite non è, pertanto, prevista alcuna indennità o rimborso spese. L’incarico di Garante è incompatibile con l’esercizio di funzioni pubbliche nei settori della giustizia e della pubblica sicurezza e della professione forense. È inoltre esclusa la nomina nei confronti di coniuge, ascendenti, discendenti, parenti e affini fino al terzo grado degli amministratori comunali e del personale che opera nella Casa Circondariale. Gli interessati alla nomina possono presentare, dal 7 al 31 marzo 2014 compreso, la propria candidatura mediante apposita domanda, corredata da dettagliato curriculum vitae, all’Ufficio Protocollo del Comune durante gli orari di apertura (lunedì, martedì, giovedì e venerdì: dalle 8.30 alle 12.30; mercoledì: dalle 8.30 alle 15.30). La domanda di presentazione della candidatura e l’avviso pubblico sono riscontrabili sul sito del Comune di Lecco (www.comune.lecco.it) alla voce "Candidature per il Garante dei detenuti". Per informazioni, contattare il Servizio Segreteria del Sindaco e Politiche di sviluppo dell’organizzazione al numero 0341 481239. Torino: detenuto per omicidio Consigliere Musy in ospedale, dopo 40 giorni sciopero fame Ansa, 9 marzo 2014 Francesco Furchì è stato ricoverato d’urgenza in ospedale. Il faccendiere, in carcere con l’accusa di avere sparato nel marzo 2012 al consigliere comunale torinese Alberto Musy, morto poi lo scorso ottobre dopo 19 mesi di coma, si è sentito male nella notte, a causa di un blocco renale ed è ora ricoverato nel reparto detenuti delle Molinette. Da quaranta giorni era in sciopero della fame, protesta attuata per rivendicare la sua innocenza, e martedì aveva annunciato lo sciopero della sete. Legale Furchì: è protesta innocente da un anno detenuto "È la protesta di un innocente che da più di un anno in un carcere e al quale è stato costruito il vestito del colpevole attraverso la iper valutazione di sospetti". Lo ha detto il difensore di Francesco Furchì, l’avvocato Giancarlo Pittelli, commentando con l’Ansa il ricovero del suo assistito per un blocco renale giunto dopo 40 giorni di sciopero della fame. Firenze: sit-in Radicali Ass. "Andrea Tamburi" davanti Sollicciano, per amnistia e indulto Ansa, 9 marzo 2014 I Radicali fiorentini dell’Associazione "Andrea Tamburi" hanno manifestato ieri mattina fuori dal carcere di Firenze Sollicciano per rilanciare la proposte di provvedimenti di amnistia e indulto. "Mancano solo 80 giorni alla data imposta dalla Cedu all’Italia per porre fine alle disumane condizioni delle carceri e all’irragionevole durata dei processi", hanno dichiarato il consigliere provinciale radicale, Massimo Lensi, ed il segretario dell’Associazione fiorentina, Maurizio Buzzegoli. I due esponenti radicali proseguono parlando delle difficoltà del Paese. "L’Italia si impegna a rispettare le direttive in economia come il Patto di Stabilità mentre non concepisce politiche adeguate per rispettare le sentenze europee per i diritti umani". Milano: carcere di Bollate, il pallone oltre le sbarre di Massimiliano Castellani Avvenire, 9 marzo 2014 Non è mai troppo scontato, quando vi dicono che un pallone dietro le sbarre è un piccolo-grande assist per quella libertà che ogni detenuto sogna di riconquistare una volta scontata la sua pena. Nella Seconda Casa di Reclusione di Milano, alias il Carcere di Bollate, una forma di libertà è giocare con una pallina da tennis, come fanno una cinquantina di detenuti/e. Schiacciare a rete come la squadra di pallavolo della sezione femminile. Chi non vuole darsi all’ippica - ci sono anche i corsi di equitazione - e ha fiato per correre, o si dà all’atletica, al rugby o può tentare di entrare nella squadra di calcio: la "Casa di Reclusione di Milano Asd". È questa formazione il vero fiore all’occhiello del movimento sportivo all’interno dell’istituto. L’allenatore è Nazzareno Prenna, 57 anni, marchigiano di Tolentino che parla con l’accento del suo "idolo e collega, Fabrizio Castori", ma ha il volto e la gestualità esilarante del comico Antonio Albanese. Calcio d’inizio di mister Prenna che si presenta così: "Permettete, sono l’unico mister di una formazione milanese che anche questo Natale ha mangiato il panettone. E sono 11 di fila. Questa squadra dovreste vederla, è una cosa stupenda". Vederla è concesso a pochi: le gare "casalinghe" si disputano rigorosamente a porte chiuse sul campetto spelacchiato del carcere. Quelle porte invece al mister si aprono tutti i giorni, dalla stagione calcistica 2002-2003. "Abbiamo cominciato in accordo con l’allora direttore Lucia Castellano e la vicedirettrice Cosima Buccoliero che è anche il nostro "Presidente" (vicepresidente è l’attuale direttore del carcere Massimo Parisi)", spiega mister Prenna, fiero di guidare l’unica squadra composta interamente da detenuti che milita in un regolare campionato della Figc. "Ora siamo tornati in Terza Categoria, ma nel 2006 abbiamo vinto un campionato di Seconda. Il nostro titolo più importante resta comunque la Coppa Disciplina. In undici anni mai un’intemperanza in campo. E sì che in squadra ho avuto anche gente condannata a pene molto lunghe, ma nessuno ha mai avuto atteggiamenti violenti in campo, né con gli avversari, né tanto meno con gli arbitri". Merito di un gruppo che si autodisciplina e che finanziariamente ha sposato l’autarchia. "Il carcere paga l’iscrizione al campionato che è già molto, poi però tutto il materiale tecnico, a cominciare dalle "maglie gialle" che indossiamo, è tutto a carico nostro. Chi ha qualcosa in più, spesso paga anche per il compagno che non può permetterselo. Le scarpette con i tacchetti chiodati sono un lusso, la maggior parte gioca con quelle con la suola di gomma e quando il campo è fradicio di pioggia si possono ammirare dei "campioni di sci d’acqua". Ma si divertono e soprattutto imparano a rispettare le regole. E questo è il nostro obiettivo principale all’inizio di ogni campionato". Ma ogni stagione la rosa cambia e si rinnova, e non sempre con dei vantaggi, tecnicamente parlando. La scrematura per la rosa che parteciperà al campionato avviene sui 300-400 detenuti visionati durante l’annuale torneo interno. Terminate le selezioni, i tesserati saranno al massimo una trentina, ma mister Prenna è da tempo alle prese con quello che considera "il problema". "Ogni stagione perdo una media di 11 calciatori. A me - dice con un tono alla "Alex Drastico" - l’indulto del 2006 mi ha rovinato. Avevamo la più forte formazione di sempre, poi in un colpo solo se ne sono andati tutti i migliori. Ho provato anche a rintracciarli girando come un pazzo per i quartieri di Milano, a qualcuno l’ho pregato di continuare a giocare come "esterno". Ma non c’è stato verso di convincerli, una volta fuori di qui, la prima cosa che fanno è dimenticare". Il mister invece non dimentica nessuno dei suoi giocatori. "Il più forte che ho avuto? Un difensore albanese, Zogu, ma farei torto a tanti altri che si sono rivelati dei buoni calciatori. Sono orgoglioso di aver cresciuto un paio di generazioni di "analfabeti calcistici" con dei risultati spesso insperati". Il risultato più importante dell’Asd Bollate però non è puntare alla promozione, ma quella che il mister chiama la "lotta per la sopravvivenza". "Dobbiamo ringraziare gli agenti per la grande mano che ci danno. Fino a quando non c’era il permesso di uscire per giocare in trasferta, abbiamo disputato dei campionati con "formazioni miste": in casa schieravo la squadra dei detenuti e fuori quella della Polizia penitenziaria. I risultati erano altalenanti, vittoria in casa e sconfitta quasi sicura fuori... Ma quell’esperienza ha creato un livello eccezionale di vivibilità e di collaborazione all’interno del carcere, con gli agenti sempre disponibili a venire incontro alle nostre esigenze". Anche adesso che i detenuti, grazie al calcio, possono compiere le loro "innocenti evasioni", le trasferte restano comunque le partite più dure da affrontare. "È una questione psicologica. Si entra nel blindato e per motivi di sicurezza arriviamo scortati un minuto prima che la partita cominci, così spesso non si riesce neppure a fare il riscaldamento. E poi la concentrazione è quella che è, mentre i nostri avversari all’intervallo tra il primo e il secondo tempo rientrano nello spogliatoio, i miei ne approfittano per andare a parlare e a salutare, da dietro la rete di recinzione, i famigliari. Quello è un momento talmente intimo e toccante per loro che non è che posso interromperlo per ricordargli del mio 4-4-2 o rimproverarli il gol preso o sbagliato, mentre magari sfiorano la guancia di un figlio". Il mister tradisce un filo d’emozione che manifesta apertamente quando ricorda Alessandro Gatti, un ragazzo della squadra morto da poco di cancro. "Tutti assieme abbiamo deciso di onorare la memoria di Alessando ritirando per sempre la sua maglia, la n. "7". Alcuni dell’Asd da quando sono entrati, sono usciti per la prima volta dal carcere per partecipare ai funerali del loro compagno di squadra". Il ricordo commuove mister Prenna, poi si schiarisce la voce e prima di sciogliere le righe per la fine dell’allenamento confessa: "Ho il patentino per allenare tra i professionisti, ma il rispetto che mi sono guadagnato da questi ragazzi che, assieme a me e al calcio, stanno cercando una seconda chance, mi fa sentire l’allenatore più felice e fortunato del mondo... Permettete, anche più di Mourinho". Salerno: 8 marzo, iniziativa per le donne in carcere organizzata dal Rotary Club di Carmen Incisivo La Città di Salerno, 9 marzo 2014 Quella di ieri è stata una giornata speciale anche per le detenute della Casa circondariale di Fuorni grazie a una iniziativa organizzata dal Rotary Club Salerno Est, dall’associazione Inner Wheel con la collaborazione del direttore dell’istituto penitenziario Alfredo Stendardo. Una mattinata in cui 45 detenute hanno potuto condividere insieme ai loro bambini ed alle volontarie delle due associazioni un momento fatto di allegria, musica e poesia e in cui hanno potuto cantare a squarciagola il loro orgoglio di essere donne, anche se in una situazione così particolare e spesso difficoltosa. Le calde voci di Michela Calzoni e Valentina Mattarozzi hanno allietato il pubblico, a loro si è poi aggiunto un detenuto, Danilo D’Alterio, che invece a tutte le donne presenti ha dedicato "Malafemmena", celebre brano della tradizione musicale partenopea. Fiori gialli realizzati all’uncinetto nei capelli e gli occhi pieni di gioia, strette ai loro pargoli e consapevoli che anche in un luogo notoriamente poco accogliente si ritrova invece una famiglia. Alle detenute della casa circondariale di Fuorni, come hanno spiegato il direttore Stendardo e il comandante della struttura Giuseppina D’Arienzo, è concessa da poco la possibilità di accedere a un programma denominato "Patto trattamentale" e con il quale si cerca di "umanizzare" una condizione non semplice da vivere. Uno dei due piani della sezione femminile è infatti completamente aperto, così le detenute per diverse ore al giorno possono recuperare un minimo di normalità all’interno del carcere. Al programma si accede tramite un periodo di osservazione e con la siglatura di un accordo con la detenuta che chiede di usufruirne di piena assunzione di responsabilità del proprio comportamento. "Questo luogo - ha spiegato Stendardo - per quanto particolare deve e vuole essere più accogliente ed aggregativo di quanto si possa immaginare. Dalle detenute abbiamo risposte convincenti e così si da anche corso al concetto di rieducazione fondamentale per il reinserimento di persone che hanno trascorso in carcere un periodo, breve o lungo, della loro vita". Nuoro: la didattica per adulti, stranieri e detenuti… con il Ctp dell’Istituto Maccioni La Nuova Sardegna, 9 marzo 2014 Tzia Chischedda Careddu, 100 anni il 16 gennaio 2015, è l’ultimo miracolo dell’attività didattica del Centro territoriale permanente dell’istituto comprensivo Maccioni. Duecento gli iscritti. Una parte sono i carcerati di Badu ‘e Carros, di Macomer e della colonia penale di Mamone, nei pressi di Onanì. L’altro fronte è costituito dall’attività per gli adulti nelle scuole di Nuoro e nelle sedi staccate di Orosei, Galtellì e Siniscola. L’insegnamento riguarda le nozioni di base per chi ha deciso di conseguire la licenza media. Gli immigrati si avvicinano al centro per le cosiddette lezioni di alfabetizzazione, che gli possano consentire un apprendimento meno complicato della lingua italiana. In questo periodo gli alunni sono soprattutto senegalesi, marocchini e cinesi, altri arrivano da Colombia, Kenya, e Argentina. L’attività è svolta da soli 9 insegnanti, che spesso si devono sobbarcare i turni del mattino e del pomeriggio, con tanti disagi. La formazione in carcere è anch’essa mirata alle nozioni basilari. Una delle aule è nella terza sezione, dove sono rinchiusi i detenuti cosiddetti comuni. In tanti casi si tratta di giovani che sfruttano l’opportunità della scuola per non vanificare completamente gli anni passati nella detenzione. Tra i banchi anche cittadini dell’Est europeo, soprattutto dell’Albania, Romania e Ucraina. Lezioni pure nell’alta sicurezza, dove scontano la pena i detenuti appartenenti alle organizzazioni mafiose. In questi anni alcuni hanno conseguito prima la licenza media e poi un diploma. Una parte è impegnata nei laboratori, a iniziare dall’ergastolano pugliese Alessandro Bozza, conosciuto per la sua attività di composizione dei libri-farfalla, che contengono racconti e fiabe, e che da sabato torneranno in mostra a Nuoro, nella sala del settimanale diocesano L’Ortobene. Il Centro territoriale ora mostra la sua nuova conquista, Tzia Chischedda che a 99 anni non si è voluta dare per vinta e insegue quella licenza elementare mancata nell’adolescenza, segnata dalla necessità di tante rinunzie. "È un bel messaggio anche per i giovani: che nella vita c’è sempre la possibilità di mettersi alla prova e migliorare la propria condizione", sottolinea ancora Pasquina Ledda, la maestra della vegliarda. Brescia: Uisp a Verziano, in programma partite pallavolo tra detenute e operatrici sportive di Manuel Venturi Brescia Oggi, 9 marzo 2014 La mimosa è entrata ancora una volta nel carcere di Verziano. La Giornata internazionale della donna ha regalato per l’ennesimo anno un pomeriggio di svago e di serenità alle detenute della casa circondariale: il merito è del comitato bresciano dell’Unione italiana sport per tutti, che da tempo ha arricchito il suo Progetto carcere (realizzato in collaborazione con l’associazione "Carcere e territorio", con il patrocinio del Comune e il sostegno della Fondazione Asm) con un’iniziativa in "rosa", dedicata a chi è costretta a vivere in una cella. "Un atto dovuto, per dare un segnale al mondo carcerario e regalare un appuntamento di festa grazie alla musica, che porta sempre allegria e serenità", hanno spiegato gli organizzatori. Il pomeriggio di festa ha preso il via poco dopo le 14.30: tutti i detenuti erano in attesa in palestra, mentre si sono susseguite le esibizioni della cantante Nadia Busi e le chitarre del Poddighe acoustic duo, molto applaudite dal pubblico formato, oltre che dai reclusi di Verziano, anche dai volontari del Uisp e da chi nel carcere lavora ogni giorno. Al termine dello spettacolo, tutte le donne presenti sono state omaggiate con rametti di mimosa e per tutti era a disposizione un buffet, organizzato sempre dall’Uisp. L’associazione ha pensato ad un’altra iniziativa per la Festa della donna, che prenderà corpo domani: dalle 10 alle 11.30 si svolgeranno partite di pallavolo tra le detenute e le operatrici sportive dell’Uisp, che per l’intero anno - il lunedì e il giovedì pomeriggio - dirigono le recluse nelle attività sportive nella palestra di Verziano. Proprio alla pallavolo è dedicato il prossimo progetto dell’Uisp, che potrebbe partire tra un paio di mesi ricalca da vicino quello messo in piedi per gli uomini: l’intenzione dell’associazione è di dare il via a un corso di arbitri per il volley, a cui dovrebbero prendere parte le detenute. Un modo per rendere ancora più protagoniste le ospiti di Verziano, come già è accaduto per i carcerati uomini: alcuni di loro arbitrano le partite di calcetto che l’Uisp organizza ogni anno dal lontano 1988 e a cui prendono parte anche 7 squadre di altrettante scuole e associazioni bresciane. Alcune detenute parteciperanno anche alla 19esima "Vivicittà", la corsa podistica che il 29 marzo coinvolgerà anche oltre 300 studenti bresciani. Napoli: "Liberiamo la speranza"… è il tema della Giornata di preghiera per i carcerati Radio Vaticana, 9 marzo 2014 "Liberiamo la speranza" è il tema della Giornata di preghiera per i carcerati che la Chiesa di Napoli celebra, in concomitanza con la prima stazione quaresimale, oggi, domenica 9 marzo. L’arcivescovo di Napoli, cardinale Crescenzio Sepe, arriverà alle ore 17.45 alla parrocchia San Carlo Borromeo al Centro direzionale, da dove partirà la processione fino alla parrocchia Santa Maria del Buon Cammino in via Foggia 52. L’arcivescovo presiederà la celebrazione eucaristica, alla quale prenderà parte anche il delegato diocesano per la pastorale carceraria, don Franco Esposito. Presente un gruppo di detenuti con le famiglie, con i quali, il cardinale Sepe s’intratterrà al termine della Messa. "Per tutti gli uomini e le donne che sono detenuti nelle carceri, specialmente per quelli che vivono in situazioni peggiori delle nostre o attendono nel braccio della morte la fine della loro esistenza. Possano godere tutti di condizioni degne di persone umane per riscattare la loro vita, e sia abolita in tutto il mondo la pena di morte, castigo indegno, ancora in vigore in alcuni Paesi": è uno dei passaggi della preghiera che nel corso della celebrazione verrà elevata al Signore. Droghe: l’Onu apre a "depenalizzazione" consumo, obiettivo è decongestionare le carceri Agi, 9 marzo 2014 L’Onu riconosce che gli obiettivi nella lotta mondiale contro la droga finora non si sono realizzati e, per la prima volta, ipotizza la "depenalizzazione" del consumo degli stupefacenti: l’importante novità arriva da un documento messo a punto per una riunione chiave della prossima settimana a Vienna. "La depenalizzazione del consumo della droga può essere una forma efficace per decongestionare le carceri, redistribuire le risorse in modo da assegnarle alle cure e facilitare la riabilitazione", si legge in un rapporto di 22 pagine dell’Ufficio delle Nazioni Unite sulle Droghe e il Crimine (Unodc). L’agenzia Onu non ha voluto fare commenti, ma varie fonti diplomatiche specializzate nella politica contro le droghe hanno convenuto che si tratta della prima volta che l’organismo fa esplicito riferimento alla depenalizzazione. La strada, sostiene Bernardini, sarebbe semplice "se non fossimo in Italia, dove ci sono le competenze scientifiche ma c’è l’ossessione della marijuana: la soluzione è coltivarla e produrla. E consentire l’auto coltivazione da parte di Cannabis Social Club di malati come quello, coraggiosissimo, di Racale, di cui sono felice di essere presidente onoraria". "La relativa proposta di legge - conclude - è già depositata alla Camera e porta la firma di Sandro Gozi, attuale sottosegretario con delega agli affari europei". La depenalizzazione del consumo personale - che già si applica in alcuni Paesi europei, in Canada e in Australia, e in alcune nazioni latinoamericane come il Brasile e il Cile - prevede che l’uso di droghe non sia un reato, stabilendo pene alternative, come multe o terapie, al carcere. In Uruguay è stata legalizzata la compravendita e la coltivazione della marijuana, con un’agenzia statale che fa da ente regolatore. La depenalizzazione non prevede in alcun modo la legalizzazione né la liberalizzazione dell’accesso alla droga che, secondo i trattati, si può usare solo a fini terapeutici e scientifici, e mai per piacere personale; per cui, il consumo continuerebbe ad esse sanzionabile (con multe o terapie obbligatorie), ma non sarebbe più un reato penale. Nel rapporto l’agenzia Onu rileva che "i trattati consigliano il ricorso ad alternative alla prigione" e sottolinea che si devono considerare i consumatori di stupefacenti come "pazienti in cura" e non come "delinquenti". Il prossimo giovedì e venerdì a Vienna, la comunità internazionale valuterà in seno alla Commissione sugli Stupefacenti dell’Onu la situazione del problema droga e se si stiano rispettando gli obiettivi definiti nel 2009 in una tabella di marcia per il decennio (nel 2014 si è già a metà del cammino). Il rapporto, firmato dal direttore esecutivo dell’Unodc, Yury Fedotov, rileva progressi "diseguali", ma sottolinea che "l’ampiezza generale della richiesta di droghe non è cambiata sostanzialmente a livello mondiale", il che contrasta con gli obiettivi fissati nel 2009. Secondo i dati Onu, sebbene il mercato della cocaina e della cannabis si sia ridotto, l’aumento degli stimolanti sintetici, più difficili da individuare, e la recente apparizione di centinaia di nuovi stupefacenti di ultima generazione contrastano con questi passa in avanti. Il consumo di droghe continua ad essere stabilmente intorno al 5% della popolazione adulta, e le vittime annuali causate dal suo consumo sono interno alle 210mila persone. Droga: Bernardini (Radicali); plauso a governo per ok a cannabis terapeutica in Abruzzo Adnkronos, 9 marzo 2014 "Avendo la fedina penale sporchissima per le mie disobbedienze civili, plaudo alla decisione del governo di rispettare quanto deciso dalla regione Abruzzo sull’uso terapeutico della marjuana". Lo scrive in una nota Rita Bernardini, segretario dei Radicali italiani. "Ora però, poiché la mia lotta prosegue, vorrei capire il motivo per il quale nel nostro paese si sia costretti ad importare dall’estero, a carissimo prezzo, i farmaci relativi. Il Bedrocan, che importiamo dall’Olanda, non è vietato in Italia. Solo che per averlo i malati devono sottoporsi alle interminabili trafile delle Asl o, se riescono ad ottenere la prescrizione da un medico di base si scopre che in farmacia, il rimedio costa 35 euro al grammo. Come può sopportare una spesa del genere un malato di sclerosi multipla che ha bisogno di 2 o 3 grammi al giorno?". Stati Uniti: il business della marijuana legale, piccoli coltivatori contro le colture intensive di Alessandro De Pascale Il Manifesto, 9 marzo 2014 Coltivatori legali di marijuana contro le multinazionali, forze dell’ordine contro i cartelli della droga e sindacati di categoria contro il sistema statale delle licenze. Negli Stati Uniti è lotta senza quartiere ed esclusione di colpi per accaparrarsi e gestire il nuovo e redditizio mercato regolamentato della cannabis. Sui fronti opposti della barricata, quelli che coltivano marijuana all’aperto in modo naturale e chi invece pratica colture intensive in luogo chiuso, tra chi fa agricoltura biologica e chi invece adopera serre idroponiche. Queste ultime sono totalmente artificiali: senza suolo, poiché il substrato è un materiale inerte, mentre il nutrimento arriva direttamente alle radici tramite una soluzione preventivamente preparata. Le piante crescono più velocemente, anche grazie alla luce artificiale garantita da enormi gruppi elettrogeni a gasolio, e di conseguenza la raccolta avviene prima. "Non vogliamo avere nulla a che fare con chi insegue solo il profitto e non coltiva le piante nel modo giusto, che siano uomini armati nelle foreste o grandi società farmaceutiche, non vogliamo avere nulla a che fare né con la mafia, né con chi coltiva per la Goldman Sachs con cento lampade al neon", denuncia Marvin Levin del Mendocino Farmers Collective, il collettivo degli agricoltori della contea di Mendocino, che coltiva marijuana bio di prima qualità: "Crediamo che la marijuana debba essere coltivata in modo biologico e alla luce del sole e non con le lampade al neon, i cui gruppi elettrogeni inquinano e fanno rumore", continua Levin. Già prima della legalizzazione a scopo terapeutico, la coltivazione di cannabis era uno dei business più redditizi della California. L’ottava economia del mondo ha infatti superato la sua grave crisi finanziaria e il maggiore tasso di disoccupazione degli ultimi settant’anni, proprio grazie alla marijuana, la più grande coltura da reddito dello Stato. Nel nord-ovest della California, attorno alla città di Potter Valley, c’è l’Emerald triangle. Stretta tra l’Oceano Pacifico e la natura selvaggia delle montagne che confinano con l’Oregon, il Triangolo di smeraldo è formato da tre contee (oltre a Mendocino, ci sono Humboldt e Trinity). Questa regione, che dista circa 200 chilometri da San Francisco, è la capitale della marijuana dell’intero emisfero occidentale. A suo favore, giocano tre fattori: clima, cultura e soprattutto topografia. Verdi colline si alternano a pendii inaccessibili, radure boscose a villaggi isolati, collegati da un labirinto di strade di montagna e lontani da occhi indiscreti. Nel Triangolo di smeraldo la coltivazione della cannabis è stata avviata dagli hippie negli anni Settanta ma nel 1996, in seguito al successo del referendum sulla cosiddetta Proposition 215, confermandosi uno degli Stati più tolleranti d’America la California legalizza la coltivazione e la vendita di marijuana per uso terapeutico: per averla basta una semplice dichiarazione del proprio medico curante. "Siamo molti preoccupati dall’interessamento delle grandi industrie del tabacco che vogliono acquistare terreni da queste parti, perché credo che il loro arrivo influirà sulla qualità del prodotto", confida Levin. In California, come del resto in altri Stati che hanno regolamentato e consentito la coltivazione di marijuana, stanno infatti sbarcando i dirigenti di Philip Morris, Rj Reynolds e British American Tabacco. Ma anche dei colossi farmaceutici, come Pfizer, Johnson & Johnson e Roche. Sono loro in un certo senso i concorrenti della grande criminalità organizzata. Quella delle grandi fattorie, nascoste nella foresta o sulla cima delle montagne, con le proprie piantagioni occultate in container interrati o lungo i sentieri che attraversano i 12,5 milioni di ettari di verde pubblico (grazie ai tagli che la crisi economica ha imposto ai Parchi), sorvegliate da guardie armate. I piccoli contadini si sentono così stretti in una micidiale morsa ai cui estremi ci sono i cartelli e le organizzazioni della malavita (a partire delle gang affiliate ai cartelli messicani Sinaloa e Arellano-Felix) che vogliono sfruttare il mercato illegale finché c’è, e le multinazionali farmaceutiche e dell’industria del tabacco, a cui la legalizzazione fa gola. Per provare a mettere un freno alla loro conquista del mercato, proprio nella contea di Mendocino, lo sceriffo Tom Allman, ha imposto nel 2010 un tetto al numero di piante che si possono coltivare: 25 per ogni singolo coltivatore che diventano 99 nel caso di collettivi o società. Cui si aggiunge un permesso che costa 1.050 dollari, altri 500 per supportare i controlli mensili alle piantagioni da parte delle autorità e 25 per ottenere la certificazione che attesti il rispetto delle norme di sicurezza pubbliche e ambientali. Ma non tutti sono d’accordo con questa misura che interviene sulla legge statale, ponendo dei limiti in quella contea rispetto a quanto avviene in quella confinante. L’Humboldt, ad esempio, ribattezzato la Silicon Valley dell’erba, conta circa 4.000 coltivatori commerciali di marijuana che generano vendite per oltre 400 milioni di dollari l’anno, superando di gran lunga quella che fino al decennio scorso era l’industria più fiorente, quella del legname, ferma a 66 milioni. Avverrà lo stesso anche negli Stati del Colorado e di Washington, i primi due degli Usa a legalizzare anche l’uso di marijuana per scopi ricreativi, che hanno superato la California nell’offrire la possibilità di trasformare la cannabis in un’industria di massa. Tanto che in questo nuovo e fiorente business sono già entrate imprese completamente estranee all’ambiente che si sono quotate in Borsa con ottimi risultati. Del resto se tuttora per la legge federale la cannabis resta illegale, il braccio di ferro tra i governi Usa (Clinton prima e Bush figlio poi), con l’arrivo di Obama è ormai un lontano ricordo. Un cambio di rotta che ha portato negli ultimi altri 21 Stati, più il District of Columbia, a seguire la stessa strada della California, tanto che l’erba è attualmente legale in poco meno della metà del territorio statunitense. Un ritorno alle origini, potremmo dire, visto che fino agli anni Venti in molti Stati americani la marijuana era legale. Poi, sotto la pressione di associazioni, gruppi conservatori e benpensanti arrivò il proibizionismo, che fino al 1933 riguardò persino l’alcol, spalancando così le porte al contrabbando e al gangsterismo. In un’intervista al New Yorker, Obama ha dichiarato che la cannabis "non è più pericolosa dell’alcol". Iran: impiccati 4 detenuti del carcere di Bandar Abbas, 400 esecuzioni eseguite in 6 mesi Aki, 9 marzo 2014 Quattro detenuti del carcere centrale di Bandar Abbas, città portuale nel sud dell’Iran, sono stati impiccati questa mattina, portando a oltre 400 il numero di esecuzioni in sei mesi. Lo riferisce Iran Press News, sito vicino all’opposizione, spiegando che Mohammad Fuladi, Abdolreza Fattahi, Moslem Amani e Abdolrahman (non si conosce il suo cognome) sono stati giustiziati perché riconosciuti colpevoli di traffico di droga dal Tribunale della Rivoluzione di Bandar Abbas, nella regione di Hormozgan. Secondo i siti attivi nell’ambito dei diritti umani, quali ‘Heranà e ‘Rahanà, negli ultimi sei mesi sono state impiccate in Iran circa quattrocento persone. Il dato ha suscitato l’allarme delle organizzazioni umanitarie locali, che puntano il dito contro il presidente moderato Hassan Rohani, accusandolo di aver non mantenere la promessa, fatta durante la campagna elettorale, di porre un freno alla violazione dei diritti umani nel paese. A partire dalla rivoluzione del 1979 e dall’istituzione della Repubblica Islamica, in Iran vige il diritto penale islamico sciita, che prevede la pena capitale per una serie di reati, tra i quali il traffico di droga. Turchia: liberati imputati per assassinio missionari, da 7 anni in carcerazione preventiva Ansa, 9 marzo 2014 Cinque giovani turchi accusati di avere assassinato nel 2007 dopo averli torturati tre missionari cristiani protestanti a Malatya sono stati scarcerati in base ad una nuova legge approvata a fine febbraio dal parlamento di Ankara, riferisce l’agenzia Dogan. La nuova normativa fissa a cinque anni il tempo massimo di carcerazione preventiva. I cinque uomini, considerati militanti islamici ultranazionalisti, sono detenuti da sette anni in attesa del processo. Rimangono sotto controllo giudiziario. Sono accusati di avere sequestrato il 18 aprile 2007 nella sede della casa editrice protestante Zirve a Malatya il tedesco Tilman Geske e i cristiani turchi Necati Aydin e Ugur Yuksel, di averli torturati e poi uccisi. In Turchia, un paese con una popolazione prevalentemente musulmana sunnita, è diffusa una forte ostilità verso il proselitismo di altre religioni. Contro la piccola comunità cristiana sono stati registrati negli ultimi anni diversi episodi di violenza. Nel febbraio 2006 a Trebisonda un prete italiano, don Andrea Santoro, è stato assassinato da un adolescente di 16 anni al grido di "Allah Akhba". Nel 2010 un altro sacerdote italiano, Mgr Luigi Padovese, vicario apostolico dell’Anatolia è stato ucciso a coltellate a Antiochia.