Roverto Cobertera: nero e innocente di Carmelo Musumeci Ristretti Orizzonti, 8 marzo 2014 Vi ricordate di Roverto Cobertera, l’uomo di colore con doppia cittadinanza domenicana e statunitense condannato all’ergastolo che tempo fa aveva iniziato uno sciopero della fame per gridare la sua innocenza? Vi ricordate che dopo due ricoveri all’ospedale, l’appello al Presidente della Camera dei deputati e della Redazione di "Ristretti Orizzonti" e l’importante novità della ritrattazione del suo accusatore, e reo confesso di quell’omicidio, aveva interrotto il digiuno? L’altro giorno Roverto mi ha confidato che non ce la fa più ad aspettare i tempi lunghi della giustizia italiana per la revisione del suo processo. E dal primo di marzo ha iniziato uno sciopero della fame a oltranza. Ho tentato con tutte le mie forze a farlo desistere da questo nuovo digiuno, ma Roverto è davvero convinto di non avere nessun’altra scelta. "Ho una giovane moglie e due bambine che mi stanno aspettando. E non posso ancora farle aspettare. Se non potranno avere me, avranno almeno nel mio paese un cadavere e una tomba su cui pregare. Non ho nessuna fiducia nel vostro sistema giudiziario. Non ho santi in paradiso, né i soldi e gli avvocati di Berlusconi. E il Dio cui io credo è nero, non è bianco. Carmelo, la giustizia italiana non mi può fare più male di quello che mi ha già fatto. Non rischio nulla, posso solo morire di fame, ma quando uno ha perso la libertà per sempre, questo è il guaio minore. Riguardo a mia moglie e alle mie figlie, la morte non può sopprimere l’amore, né impedire la riunione di anime che in terra si sono amate". Come dargli torto? La pena dell’ergastolo trasforma la luce in ombra, la vita in morte, la felicità in dolore, il bene in male, perché non ci può essere futuro senza speranza. All’ergastolano rimane solo la vita, ma questa senza futuro è meno di niente. E con questa pena addosso è come se la vita fosse piatta. Non c’è più bisogno di fare progetti per il giorno dopo e per quello dopo ancora, poiché, in un certo senso, la pena a vita è una vittoria sulla morte perché è più forte della stessa morte. Con la pena dell’ergastolo lo Stato si prende la vita di una persona come se questa fosse un oggetto e la ruba per sempre. L’ergastolano è come una clessidra, quando la sabbia è scesa, è rigirata di nuovo. Non posso fare altro che augurare a Roverto una buona lotta e dargli un pò della mia voce. La voce di un altro uomo ombra. E dirgli che morire per dimostrare la propria innocenza è la migliore delle morti. Dal diario di Roverto Cobertera Oggi il 1 marzo, un giorno qualunque: mi sono svegliato presto come sempre, ho fatto la mia preghiera, con tanta forza che mi fa male anche l’anima. Ho iniziato il mio sciopero della fame e mi sento sereno, deciso e determinato di andare avanti. Circa verso le nove e mezza, mi ha chiamato il medico, mi ha pesato e pesavo 82 kg. 02/03/2014 Come sempre mi sveglio presto, ho fatto la mia preghiera e questa volta l’ho rivolta per i miei figli. Il medico è venuto, mi ha pesato e pesavo 80 kg. 03/03/2014 Terzo giorno dello sciopero della fame. La "macchina" della Giustizia italiana mi ha tolto la speranza e la voglia di vivere. Spero che i miei figli possano perdonarmi. Prego Dio perché faccia loro capire tutto questo. Oggi mi ha chiamato il medico, mi ha pesato: Kg 78,200. Mi hanno chiamato all’Ufficio Comando ma ho rifiutato l’incontro e ho spedito un comunicato sul perché sto facendo lo sciopero. Donne e giustizia, la difficile uguaglianza di Navi Pillay (Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani) La Stampa, 8 marzo 2014 È naturale che un uomo reagisca alle critiche della propria compagna con la violenza. La richiesta di pari retribuzione per lavori di pari valore fra donne e uomini non è giustificata, poiché vi sono buone probabilità che la donna lasci il lavoro per avere dei figli. Un uomo che uccide la moglie infedele può ricevere una sentenza più indulgente. Si tratta di osservazioni pronunciate da giudici. Non cento anni fa, ma nel corso degli ultimi dieci anni. Casi che non sono stati giudicati nel merito, ma piuttosto influenzati da preconcetti profondamente radicati e limitativi dei diritti di donne e ragazze. Alle quali è stata pertanto negata giustizia, così come a molte altre, ogni giorno, nelle aule giudiziarie di tutto il mondo. Malgrado decenni di lotta per il diritto all’uguaglianza, i processi giudiziari, dovunque, sono spesso falsati da stereotipi dannosi, al punto che lo stesso sistema preposto alla tutela di diritti umani fondamentali arriva a negare alle donne il diritto alla giustizia. Gli stereotipi di genere - quelle concezioni ampiamente diffuse secondo cui uomini e donne hanno responsabilità e ruoli diversi nella società - sono onnipresenti e rappresentano una profonda fonte di pregiudizio che colpisce le vite di tutti. Il saldo radicamento della discriminazione di genere produce conseguenze incalcolabili sulla possibilità per le donne di godere a pieno dei propri diritti umani. Apparentemente innocui, gli stereotipi possono in realtà essere dannosi. Ad esempio, l’idea che "le donne siano più adatte degli uomini a prendersi cura della famiglia" rafforza il concetto che le donne dovrebbero dedicarsi alle faccende domestiche. Ciò può portare alla violazione dei loro diritti umani, laddove venga tradotto in leggi e pratiche che le privino di opportunità accademiche e professionali. La discriminazione nelle aule giudiziarie - luoghi preposti all’amministrazione equa e imparziale della legge - è di particolare gravità. Quando una legge è seriamente discriminatoria, la ricerca di giustizia ne risulta compromessa. Pensiamo ad esempio alle norme secondo le quali le donne non possono decidere di viaggiare in maniera indipendente, lavorare fuori casa, sottoporsi a certe pratiche mediche senza il permesso degli uomini di famiglia. Tuttavia è altrettanto preoccupante, e ben più diffusa, l’attitudine di giudici influenzati da nocivi preconcetti di genere nella loro interpretazione della legge e nell’adozione di decisioni. Di ciò si vede spesso traccia in casi legati a violenza di genere, famiglia, pari opportunità professionali, salute riproduttiva delle donne. E quando i giudici decidono sulla base di tali stereotipi di genere, ad esempio prendendo in esame la vita sessuale di una donna quando si tratta di deciderne diritti legali e tutela contro stupri o violenza domestica, siamo in presenza di violazioni dei diritti umani. Gli Stati dovrebbero inoltre adottare misure per eliminare erronei stereotipi di genere in tutti gli aspetti del sistema di giustizia penale, compresi attività investigative e istruttorie, procedimenti giudiziari, interrogatori, tutela delle vittime e dei testimoni, sentenze. Occorre un’azione esplicita per garantire che pubblici ufficiali, specialmente coloro che operano nel sistema giudiziario, non prendano decisioni basate su dannosi stereotipi che pregiudichino i diritti umani di donne e ragazze. Al contrario, essi dovrebbero individuare e stroncare tali attitudini negative, per favorire la creazione di un ambiente che rispetti maggiormente i diritti delle donne e costruisca una cultura di uguaglianza. Se davvero intendiamo conseguire questa uguaglianza di genere ora, nel XXI secolo, dobbiamo smantellare con maggiore energia la barriera di pregiudizi sul rapporto tra donne e uomini. Bisogna interrompere il flusso perpetuo di idee preconcette su ciò che le donne dovrebbero essere o non essere, fare o non fare, idee fondate esclusivamente sul criterio di genere. Dobbiamo invece vederle per quello che sono - esseri umani unici in tutta la loro diversità. In ciò consiste la domanda di uguaglianza, che giace al fondamento della legislazione sui diritti umani. Sarà cura mia personale e del mio ufficio dedicare grande attenzione alla necessità di fornire una direzione più energica e decisa in questo campo. Spero sinceramente che il lavoro su un tema tanto critico si avvii nel luogo che più di ogni altro simboleggia la giustizia: l’aula giudiziaria. Giustizia: l’Italia… pluricondannata per situazione delle carceri e durata dei processi di Massimo Messina www.supermoney.eu, 8 marzo 2014 La "sentenza Torreggiani" della Corte di Strasburgo è l’ennesima condanna, alla quale adesso potrebbero seguirne altre Cosa farà la classe politica italiana relativamente alla grave condizione delle carceri italiane non è ancora dato sapere. Il provvedimento svuota carceri, infatti, non può che essere considerato un pannicello caldo: amnistia e indulto uniche soluzioni ormai? Con l’attuale governo, ma anche purtroppo da prima, l’agenda politica sembra abbia altre priorità. A pagarne le conseguenze, però, saremo tutti noi, in quanto cittadini della Repubblica Italiana, se la situazione di continua tortura delle nostre carceri non cambierà radicalmente entro il maggio del 2014 e non sembra purtroppo che ci siano le premesse affinché tale mutamento avvenga. Pagheremo quasi sicuramente una multa per violazione dei diritti umani dei più di 66.000 ristretti nelle carceri italiane. Secondo la sentenza Torreggiani dell’8 gennaio 2013 della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo, lo spazio minimo da garantire ad ogni detenuto deve essere di quattro metri quadrati, pulito e sufficientemente illuminato. La Corte ha condannato l’Italia a pagare 100.000 euro di risarcimento a sette detenuti, che avevano fatto ricorso. In base ai dati del Ministero della Giustizia, se lo Stato dovesse risarcire tutti i detenuti la cifra sarebbe di quasi un miliardo di euro. Interessa all’attuale maggioranza parlamentare rientrare nella legalità ed evitare di incappare nella multa dell’Ue o, come dicono molti esponenti di partito, "sono altre le urgenze"? Due settimane fa Rita Bernardini, segretaria nazionale di Radicali Italiani, ha affermato che "È semplicemente inaccettabile - e perciò non lo accetteremo - che le questioni poste dal Presidente della Repubblica con il suo messaggio alle camere dell’8 ottobre scorso siano state date finora come "non ricevute" e di fatto inascoltate, se la risposta del Parlamento si limita, come è accaduto, a qualche "salva carcere" il cui esito sarà quello di qualche migliaio di detenuti in meno". La leader radicale ha altresì affermato che "il solenne Messaggio del Presidente della Repubblica non solo non è stato discusso, ma lo si è di fatto sbeffeggiato con l’approvazione di provvedimenti che nulla hanno a che vedere con l’obbligo di uscire immediatamente dalla flagranza criminale in cui si trova il nostro Stato". Rita Bernardini ha ricordato inoltre che l’Italia è stata condannata più volte e la sentenza Torreggiani è così l’ennesima condanna, alla quale adesso potrebbero seguirne altre ed "il 28 maggio 2014 costituisce un limite temporale che, per le reiterate condanne non adempiute da parte del nostro Paese, implicherebbe logicamente, necessariamente, il ricorso alle estreme possibilità e capacità di autodifesa della Unione Europea quali la sospensione o addirittura l’espulsione dall’Unione stessa". L’esponente radicale ha anche ricordato che nel messaggio del Presidente Napolitano alle Camere viene evidenziato che molte delle condanne che l’Italia ha subito sono relative alla "irragionevole durata dei processi", sia penali che civili. Appare ovvio che in uno Paese in cui per ottenere una sentenza i tempi sono biblici l’economia ne risenta pesantemente ed una seria riforma che sistemi con forza tale stato di cose non può non essere una priorità politica, specialmente in tempi di crisi. Giustizia: al Senato entro il 25 marzo testo unificato delle 4 proposte di amnistia e indulto 9Colonne, 8 marzo 2014 Entro il 25 marzo i due relatori Ginetti (Pd) e Falanga (Fi) dovranno presentare in Commissione Giustizia del Senato un testo unificato delle quattro proposte di amnistia e indulto. Resta però il no del Pd all’approvazione di provvedimenti di clemenza non preceduti da interventi strutturali in grado di ridurre il sovraffollamento carcerario, ribadito anche questa settimana dal capogruppo in Commissione Lumia che ha chiesto al Governo maggiori dettagli sullo stato di avanzamento del piano carceri. Se ne parlerà in occasione delle dichiarazioni programmatiche del neoministro della Giustizia Orlando, che dovrebbero svolgersi giovedì 13. Giustizia: decreto svuota carceri, piccola opportunità per detenuti e società di Giampaolo Cassitta La Nuova Sardegna, 8 marzo 2014 Le parole e i concetti hanno un suono. Raccontano quello che le immagini non riescono a codificare. Eppure, a volte, diventa difficile riuscire a scardinare ciò che le parole hanno costruito. Perché la gente ormai si è appropriata di quel termine, di quel modo di dire e lo fa diventare "luogo comune" e, in alcuni casi, diventa "verità rivelata". È il caso del decreto "svuota carceri" locuzione di questi giorni che è stata "affibbiata" ad un decreto poco amato da Lega e Cinque stelle e poco sostenuto dagli altri partiti. Intanto, quel decreto, divenuto Legge (Legge n. 10 del 2014) non svuota, nella maniera più assoluta, le carceri. Non è un indulto, un’amnistia, un regalo. È piuttosto qualcosa che parte da lontano e prova, seppure goffamente, ad "aggiustare" alcuni passaggi legislativi non proprio felici. È una legge "aperta" ad una nuova serie di soluzioni e prova a scrollarsi di dosso l’idea che tutto, in questo paese debba necessariamente essere "carcerizzato", che tutti i reati devono passare obbligatoriamente per la fermata di un penitenziario. Prova a sveltire l’espulsione dei detenuti stranieri verso i loro paese di origine, prova a concedere, per un tempo di sei anni, una maggiorazione di liberazione anticipata a detenuti meritevoli del beneficio escludendo, tassativamente, detenuti di alta sicurezza, appartenenti alla malavita organizzata, stupratori e pedofili. Per quelli non esiste nessuna possibilità di libertà. Quindi, il carcere, per chi ha commesso gravi reati non si svuota. Il decreto Legge 146/2013 prova invece, seppure con una certa timidezza, a dare la parola al detenuto con il diritto di reclamo giurisdizionale, amplia la possibilità di ottenere l’affidamento in prova al servizio sociale a quattro anni, restituendo nuove opportunità a chi, per esempio, ha già un lavoro oppure è all’interno di un progetto di inclusione sociale. Scommette sull’abbattimento della recidiva. È un discorso difficile e contorto. Un percorso complesso molto simile a quello sulla formazione: occorre scommettere sul futuro. Chi non passa per il penitenziario ha meno possibilità di rientrare all’interno del circuito delinquenziale. Vi sono studi che lo dimostrano e vi sono paesi, in Europa, che ci scommettono da anni. In Inghilterra, per esempio, la "messa alla prova" è una misura alternativa tra le più usate e apprezzate. Chi commette un reato non grave non entra in carcere ma, con una sorta di patto bilaterale tra Stato e reo, prova a dimostrare che si può scommettere sulla sua voglia di riscatto. In Italia questa proposta di legge giace dall’ultima legislatura nella commissione Giustizia alla Camera e il tragitto culturale, purtroppo, sembra essere piuttosto tortuoso. È difficile scommettere sulle persone, ed è difficile farlo con chi ha molte curve nel suo tragitto di vita. Il decreto approvato introduce, inoltre, la possibilità di poter trascorrere presso la propria abitazione la condanna, utilizzando il famoso braccialetto, dispositivo per il quale il nostro paese paga un affitto alla Telecom da molti anni. Questa espiazione della pena appare in linea con le direttive europee e restituisce dignità a persone che, magari, per la prima volta si trovano a dover affrontare il percorso disagevole del penitenziario. Manca in questo decreto il coraggio vero, innovativo, di provare ad attuare la "riparazione del danno", la possibilità di mediazione penale, la scommessa di mettersi in gioco e di farlo con un percorso serio, riflessivo, anche con la vittima del reato. Le carceri, dunque, non si svuotano. Ma vanno osservate con occhiali diversi. Dentro gli istituti penitenziari ci sono persone in grado di voler riscattare la propria vita, in grado di poter riparare ai propri errori, in grado di dimostrarlo. Vi è uno sforzo da parte di tutti per vincere questa scommessa e questo decreto più che "svuota carcere" può essere appellato come: "piccola opportunità" per i detenuti ma anche per l’intera società. Giustizia: Rita Bernardini (Radicali); ancora una nuova pagina buia per la Repubblica www.clandestinoweb.com, 8 marzo 2014 In Italia non cessa l’emergenza carceri, e la situazione non migliora minimamente. Uno scenario vecchio che non riesce a stare al passo come gli altri Paese europei, anni luce più avanti sul tema della giustizia e delle carceri. Si oppone a tutto questo Rita Bernardini, lo ha fatto in questi giorni, la sua battaglia dura ormai da anni con i Radicali e Marco Pannella. Ora è arrivato il no della Camera alle misure di clemenza. Questo da Bernardini è risultato essere "una nuova pagina buia nella storia della nostra degradata democrazia. Non a caso l’Europa ci ha bocciato di nuovo". Il segretario di Radicali Italiani, sottolinea in una intervista rilasciata a Tempi, come sia stata "Forza Italia e al suo capogruppo Renato Brunetta" ad "avere presentato una relazione alternativa, purtroppo respinta dall’aula, dal contenuto profondamente radicale e perfettamente corrispondente agli auspici del messaggio del presidente della Repubblica". Poi aggiunge: "Il commento migliore lo ha fatto ieri il Comitato dei ministri al Consiglio d’Europa, chiamato a verificare se le condanne commutate dai paesi avranno un esito: ebbene il Comitato ha detto da Strasburgo che le misure prese sinora dall’Italia sono insufficienti". Invece: "Il segretario del partito (democratica) e presidente del Consiglio Matteo Renzi ha già detto di essere contro amnistia e indulto. Adesso, dopo la risoluzione del Comitato europeo, il ministro Orlando ha ammesso che il decreto cosiddetto "svuota carceri" non basta. Ha ammesso che "abbiamo dato una valutazione positiva su alcuni interventi fatti finora, che però sono insufficienti" e che il governo sarebbe intervenuto sulla "distorsione" che si è creata nel sistema penitenziario. Ma vorrei sottolineare che l’Europa parla di "tortura", non di "distorsione". Orlando dice "interverremo", ma non si sa nemmeno come". Ora "I provvedimenti di amnistia e indulto sono calendarizzati in Commissione Giustizia, ma i lavori vanno molto a rilento. È tutto bloccato. Per quanto riguarda il messaggio di Napolitano alle camere il Senato invece non prevede alcuna discussione". Mentre Rita Bernardini promette: "Io sicuramente attendo di essere ricevuta dal ministro Orlando, che mi aveva chiesto un incontro e poi non si è più fatto sentire". Mentre con i Radicali cercherà "di sensibilizzare anche i parlamentari sull’illegalità in cui versano le carceri attraverso il Satyagraha, la nostra lotta non violenta, che conta già sull’adesione di 930 persone. Molte di queste persone sono impegnate in uno sciopero della fame, personalmente io ne conduco uno a oltranza. Altre ancora ci sostengono scrivendo direttamente ai parlamentari e chiedendo di adottare dei provvedimenti. Mancano 82 giorni alla scadenza dettata dalla sentenza europea" Giustizia: Ferranti (Pd); non sottovalutare monito Ue sulle carceri, a breve altre riforme Asca, 8 marzo 2014 Le preoccupazioni sull’emergenza carceri da parte del Consiglio d’Europa "non vanno sottovalutate ma nemmeno enfatizzate. In realtà, l’allarme sui ritardi e sul rischio che l’Italia non riesca a ridurre il sovraffollamento nei tempi dettati dalla sentenza Torreggiani si basa su dati poco aggiornati". È quanto sostiene Donatella Ferranti, presidente della commissione Giustizia alla Camera, ricordando che "alcuni interventi legislativi sono in dirittura d’arrivo ma non ancora operativi ". Spiega l’esponente del Pd: "Come ricordato due giorni fa nel dibattito sui temi toccati dal messaggio del capo dello Stato, entro il mese è possibile approvare in via definitiva due provvedimenti che avranno un certo impatto, la riforma della custodia cautelare e l’introduzione di messa alla prova e detenzione domiciliare". Ferranti richiama poi la sentenza della Consulta sulla Fini-Giovanardi, i cui "effetti sotto il profilo numerico saranno nel concreto apprezzabili solo nelle prossime settimane", così come "l’ampliamento in corso di posti in carcere" previsto dal piano edilizio: "Ad aprile, una volta a regime gli interventi messi a punto in questi mesi, al governo - conclude Ferranti - spetterà monitorare la situazione, e in quel momento avremo la vera fotografia dell’esistente". Giustizia: Orlando; sport in carcere, uno degli elementi per rispondere a Corte europea 9Colonne, 8 marzo 2014 "È una grande gioia poter incontrare i ragazzi della squadra di pattinaggio, eccellenza di un gruppo che è motivo di orgoglio per il paese e la Polizia Penitenziaria. Una gioia che abbiamo cercato subito di utilizzare, lo sport e l’amministrazione penitenziaria sono un binomio da utilizzare al meglio". Lo ha detto il ministro della Giustizia Andrea Orlando, al termine dell’incontro nella sede ministeriale di via Arenula con i pattinatori delle Fiamme Azzurre di ritorno dai Giochi Olimpici invernali di Sochi ed in partenza per i Campionati Mondiali di pattinaggio di figura in programma a Saitama, in Giappone (24/30 marzo). "Il ministero e il Paese stanno cercando di produrre un processo di umanizzazione della pena - ha aggiunto il rappresentate dell’Esecutivo. Agli elementi critici emersi dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, vorremmo che una delle risposte per i nostri istituti di pena sia l’utilizzo dello sport, uno degli ambiti che favorisce la coesione sociale nel nostro paese. Il carcere è parte del paese, non un mondo separato". "Oltre al contributo di dare lustro allo stemma delle Fiamme Azzurre - ha concluso - chiederemo loro che ce ne sia uno come testimonial, uno sforzo che vogliamo compiere all’interno dell’amministrazione penitenziaria". Una proposta accettata subito dai campioni europei della danza su ghiaccio Anna Cappellini e Luca Lanotte, dalla coppia di artistico, già bronzo agli Europei 2013, formata da Stefania Berton e Ondrej Hotarek e dalla medaglia di bronzo Carolina Kostner: "Ringrazio il ministro per l’invito - le parole della campionessa- e la Polizia Penitenziaria per averci dato la possibilità di arrivare a questi livelli". Giustizia: 834 nigeriani nelle prigioni italiane ma potrebbero presto tornare nel loro Paese Agi, 8 marzo 2014 Sarebbero 834 i detenuti nigeriani nelle prigioni italiane che potrebbero presto tornare nel loro Paese per completare la loro condanna. Secondo quanto ha appreso l’Agi da fonti vicine al governo di Abuja, sarebbero infatti iniziate le trattative tra Italia e Nigeria per uno scambio di detenuti tra i due paesi portate avanti da una delegazione di rappresentanti di governo nigeriani arrivati a Roma nei giorni scorsi. Una volta nel loro paese i prigionieri dovrebbero completare lì la loro condanna. La maggior parte dei nigeriani nelle carceri italiane sono legati al traffico di droga. Giustizia: Ucpi; processi a "numero chiuso" è un fatto gravissimo… intervenga il Csm Ansa, 8 marzo 2014 Una "conclamata violazione del principio di obbligatorietà dell’azione penale, che è fissato in Costituzione in diretto collegamento col principio di uguaglianza dei cittadini e che, pertanto, rappresenta uno dei capisaldi della democrazia". Così l’Unione Camere Penali, giudica la scelta di un numero chiuso per i processi da parte della procura di Roma. "La prima conclusione da trarre è che la Costituzione è già stata cambiata, ma da apparati burocratici e nel chiuso delle loro stanze, invece che dal Parlamento e seguendo le procedure previste dall’art. 138. Il che è gravissimo e dovrebbe incontrare la censura del Csm", affermano i penalisti, che fanno notare come la vicenda non sia nuova: da anni la magistratura "va tastando il terreno con iniziative volte a conquistare spazi di discrezionalità politica senza sopportare la relativa responsabilità. Il metodo si fonda essenzialmente su un circuito mediatico-giudiziario oramai oliatissimo, grazie al quale si riesce a creare la notizia che a sua volta fa si che l’opinione pubblica abbia la percezione dell’emergenza". Così "si riescono ad affermare prassi distorte e, in seconda battuta, finanche ad ispirare modifiche legislative". Un’operazione resa possibile, lamenta l’Ucpi, da una "politica sempre più debole" e ne è un esempio quanto avvenuto al Senato dove "dopo la frustrante esperienza dello svuotamento dello svuota carceri, adesso sono stati presentati emendamenti che mirano ad affossare la riforma della custodia cautelare appena licenziata dalla Camera". La politica "ha bisogno di uno scatto di orgoglio" proprio a partire dalla vicenda romana, sostengono ancora i penalisti; tanto più "che il tipo di giustizia che oramai da diversi anni si va delineando è sempre più quello di una giustizia per ricchi, poiché chi subisce un torto e non ha mezzi non vedrà nemmeno partire il processo penale contro l’autore del reato". Giustizia: da Commissione Dap 103 ricompense agli operatori della Polizia penitenziaria Agi, 8 marzo 2014 Ottantotto lodi per attività in servizio, 9 lodi per attività liberi dal servizio, 2 encomi per attività in servizio e 4 encomi per attività liberi dal servizio. Sono le ricompense alla Polizia penitenziaria decise dalla speciale Commissione del Dap preposta alla valutazione dei casi segnalati dalle direzioni, composta da parte pubblica e rappresentanti sindacali. "Nelle attività quotidiane all’interno delle carceri o nei servizi esterni - ricorda il Dap - gli operatori della polizia penitenziaria si rendono protagonisti di numerose azioni che salvano la vita dei detenuti da tentativi di suicidio e da atti di auto ed etero aggressività e prevengono situazioni che attentano alla sicurezza degli istituti mettendo a rischio anche la propria incolumità personale. La professionalità del nostro personale si manifesta anche in molte occasioni extra lavorative, quando, fuori dall’orario di servizio, gli appartenenti al Corpo di polizia penitenziaria intervengono in situazioni critiche nelle quali sono coinvolti liberi cittadini. Episodi, questi, che raramente trovano eco sulla stampa e attenzione da parte degli organi di informazione che pure danno, giustamente, spazio alle problematiche penitenziarie". Giustizia: per l’8 marzo Alitalia regala alle passeggere braccialetti fatti dalle detenute Italpress, 8 marzo 2014 Auguri speciali di Alitalia in occasione della festa della donna: la compagnia ha omaggiato questa mattina all’aeroporto di Fiumicino le donne ospiti della propria lounge Dolce Vita e tutte le passeggere in partenza con il volo Roma-Bari alle 9, volo 1617, con i braccialetti a doppio brand "Alitalia" e "Made in Carcere". Alle passeggere il personale Alitalia ha consegnato anche un foglio con la motivazione del dono: in Puglia, infatti, le detenute delle carceri di Lecce e di Trani hanno realizzato i braccialetti, grazie all’attività della cooperativa sociale fondata con il marchio "Made in Carcere". "Le donne rappresentano il 41% dei nostri passeggeri - sottolinea Antonella Zivillica, Responsabile Relazioni con i Media Alitalia. Oggi Alitalia festeggia le donne che volano da Roma verso la Puglia con un piccolo dono speciale perché realizzato da altre donne più svantaggiate, le detenute delle carceri di Lecce e di Trani. I braccialetti donati da Alitalia sono interamente realizzati con tessuti riciclati e materiali di scarto provenienti dalle aziende tessili italiane che collaborano con la cooperativa. Il progetto nasce dalla collaborazione tra Alitalia e la cooperativa sociale pugliese fondata dall’imprenditrice Luciana Delle Donne. La cooperativa offre alle detenute una seconda opportunità, permettendogli di svolgere attività utili al loro reinserimento nella società civile e nel mondo lavorativo. Un’iniziativa in cui crediamo fortemente e che s’inserisce nel percorso di responsabilità sociale di Alitalia. Presto i braccialetti saranno disponibili anche sul sito di Alitalia Store per chiunque desideri acquistarli". Sicilia: Uil-Pa; non bastano le sentenze a modificare condizioni strutture penitenziarie Adnkronos, 8 marzo 2014 "Non bastano le sentenze a modificare le strutture carcerarie e le condizioni di vita dei reclusi, soprattutto se i penitenziari sono stati costruiti nel secolo scorso". Questo è il messaggio che il coordinatore regionale della Uil-Pa Penitenziari Sicilia, Gioacchino Veneziano, vuole lanciare in occasione della sua visita, in programma per domani, al carcere di Trapani, insieme ai segretari provinciali, Salvatore Curatolo e Antonino Laudicina. "Siamo stati condannati dall’Europa - ricorda Veneziano - perché le condizioni di vita nelle carceri sono a limite della tortura, quindi lo Stato Italiano sta cercando di correre hai ripari, inventandosi l’apertura delle celle all’interno dei reparti per un minimo 8 ore" . La Uil-Pa Penitenziari "crede fortemente nel recupero del reo, tuttavia non occorre alimentare solo la coscienza sociale della rieducazione, bisogna invece lottare sul fronte del personale di Polizia che grazie a questa nuova impostazione operativa si troverà a gestire la sicurezza dell’istituto penitenziario in modo differente". Per il leader regionale della Uil di categoria "aprire le celle per otto ore consecutive modificherà la sicurezza e il modo di operare dei poliziotti". "Come Uil - continua - abbiamo esternato le nostre preoccupazioni sia al direttore che al comandante, giacché crediamo fortemente che le attuali condizioni di sovraffollamento del carcere trapanese, sommate alle vetuste condizioni strutturali, metterà a rischio gli equilibri di ordine e sicurezza quando si dovranno controllare centinaia di detenuti aperti, in spazi ristrettissimi". "Eppure - sottolinea Veneziano - a livello nazionale avevamo chiesto un forte intervento politico per la modifica della colpa del custode (di cui art 387 del codice penale), appositi disposizioni deresponsabilizzanti in caso di aventi critici e/o delittuosi, la miglioria dei sistemi di sicurezza, ovvero l’installazione di postazioni remote per il controllo dei detenuti, e/o cancelli di sbarramento che potessero dividere la zona detentiva con la zona di controllo". "Di tutto questo - conclude Veneziano - purtroppo l’unica cosa che a quanto pare hanno potuto fare a Trapani per salvaguardare il personale di polizia, è stato mettere due cancelletti fatti in casa. Per questo domani visiteremo di persona la struttura". La Delegazione Uil-Pa Penitenziari consegnerà lunedì 10 marzo alle ore 16.00 presso la sede provinciale della Uil di Trapani, un cd con i 40 scatti, "per informare l’opinione pubblica e la società che dentro le carceri ci sono lavoratori costretti ad operare in condizioni di disagio strutturale estremo, con pesanti rischi per l’ordine e la sicurezza pubblica". Puglia: Pastore (Gruppo Misto-Psi); donne in carcere, per le detenute la pena è doppia www.statoquotidiano.it, 8 marzo 2014 Il consigliere regionale Franco Pastore (Gruppo Misto-Psi): "Oggi, in II e III Commissione, con il Provveditore regionale per l’Amministrazione penitenziaria, Giuseppe Martone, il Garante dei detenuti, Pietro Rossi, e i tecnici dell’assessorato regionale ai servizi sociali siamo tornati a occuparci delle condizioni dei detenuti in Puglia e della necessità di adottare il modello toscano, proposto dal collega Amati e sul quale già ci siamo confrontati un po’ di tempo fa, all’indomani dell’ennesimo richiamo dell’Europa al nostro paese, per le condizioni a tratti disumane dei detenuti nelle carceri italiane". "Quanto riferito in Commissione da Martone è positivo, anche se riguarda la risoluzione di una piccolissima parte del problema, grazie all’incremento di 650 nuovi posti lavoro, tanto da portare la capienza carceraria pugliese da 2.500 a 3.150 posti, a fronte dei 3.750 detenuti. Il resto lo devono fare le leggi nazionale e quella regionale che ci apprestiamo, mi auguro molto presto, a discutere in consiglio regionale e che contempli soluzioni alternative alla pena detentiva per determinati reati e pene alternative in accordo e collaborazione con cooperative, associazioni ed enti locali. Ma oggi, alla vigilia della Giornata internazionale della donna, è alle detenute che penso, al fatto che per loro la pena è doppia. Le donne in carcere non perdono solo la propria libertà ma anche un universo affettivo importantissimo, i loro figli". "Le donne detenute spesso non hanno al fianco compagni modello e mariti irreprensibili, questo quando non siano completamente sole. I bambini vengono affidati a comunità oppure sono "detenuti" insieme alle mamme e per loro la normalità può essere anche fatta di sbarre, orari e chiavi che aprono e chiudono porte di metallo troppo grandi e troppo pesanti per quei piccoli. E poi una donna anche se in carcere non smette di essere tale, con tutto ciò che comporta. Inutile dire che per lo più si tratta di straniere, che molto spesso, una volta libere, tornano a delinquere perché fuori per loro non c’è nulla, se non la strada. Quelle donne meritano, anzi, hanno diritto a un’altra possibilità, sia loro che i loro figli". Lecce: detenuto napoletano di 44 anni muore suicida nel carcere di Borgo San Nicola Agi, 8 marzo 2014 Un detenuto di 44 anni si è tolto la vita impiccandosi nel pomeriggio di oggi nella sua cella del carcere "Borgo San Nicola" di Lecce. L’uomo, di origini campane, era in carcere dal 2013 ed avrebbe finito di scontare una pena per rapina nel 2016. Approfittando del fatto che il suo compagno di cella era impegnato in un’attività lavorativa, si è legato attorno al collo una cintura assicurandola dall’altro capo alle sbarre della cella situata all’interno del reparto infermeria. Il detenuto, con problemi psichiatrici, era reduce da un periodo trascorso in una comunità di Ugento (Le), ma, a quanto pare, non aveva mai manifestato propositi suicidari. Poco prima di impiccarsi era stato visto giocare a carte con altri detenuti. Il suicidio si è consumato nell’arco di pochi minuti e i soccorsi prestati dalla polizia penitenziaria e dal personale sanitario del carcere sono risultati vani. Due giorni fa, un altro detenuto, sempre nel carcere di Lecce, si era ferito al collo, ma il taglio era stato prontamente suturato dai sanitari. Napoli: ministero avvia ispezione nel carcere Poggioreale, dopo denunce su "cella zero" Public Policy, 8 marzo 2014 "Il ministero non dispone di informazioni in merito a casi specifici" ma ha comunque "disposto immediatamente una visita ispettiva che è ancora in corso di svolgimento". Lo ha detto il sottosegretario alla Giustizia Cosimo Maria Ferri rispondendo, nel corso del question time alla Camera, ad una interpellanza di Sel in merito a delle presunte violenze subite dai detenuti nel carcere di Poggioreale, in una cella che sarebbe chiamata "cella zero". "Il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ha precisato che negli scorsi anni non sono stati segnalati episodi simili - ha evidenziato Ferri - ed aggiungo che a Poggioreale viene autorizzato l’accesso a ben 100 volontari che ogni giorno si recano lì per volontariato, e da loro non è mai arrivata nessuna segnalazione". Di seguito il sottosegretario ha ricordato inoltre la recente approvazione del decreto Svuota carceri e sull’istituenda figura del Garante nazionale dei diritti delle persone private o limitate nella libertà personale, ha annunciato che "verrà emanato entro il corrente mese di marzo il decreto attuativo". Mentre sul disegno di legge che introduce il reato di tortura, appena approvato dal Senato, Ferri ha aggiunto che "questo ministero ed in particolare il sottoscritto continuerà a seguire con la massima attenzione il provvedimento quando passerà in seconda lettura alla Camera dei deputati". Camerino (Mc): manca personale, dopo le 20:00 niente più "ricezione" detenuti in carcere Asca, 8 marzo 2014 Manca personale per coprire il servizio infermieristico dopo le ore 20:00 e il carcere di Camerino non può garantire il servizio di ricezione dei carcerati nelle ore notturne. Lo ha scritto nero su bianco la direttrice del carcere, Eleonora Consoli, al procuratore capo del tribunale di Macerata, Giovanni Giorgio, evidenziando la situazione di sofferenza in cui si troverebbe il carcere camerte, soprattutto in vista dell’estate, quando i reati subiscono un aumento, in particolar modo lungo la zona costiera. Secondo un protocollo d’intesa firmato il 9 aprile del 2008 dall’allora direttore del carcere e l’ex procuratore capo Mario Paciaroni, la casa circondariale avrebbe dovuto ricevere, nell’orario compreso tra le 20 e le 8, solo detenute. Accolta la segnalazione, ora il procuratore Giorgio sta valutando l’opportunità di interessare il prefetto di Macerata per realizzare un incontro inter-istituzionale con l’obiettivo di individuare possibili soluzioni per garantire la piena efficienza del carcere camerte. Lodi: Fabozzi (Prap); detenuto scarcerato per errore? sono cose che possono succedere Il Giorno, 8 marzo 2014 "Sono cose che possono accadere. Verificheremo bene i fatti e accerteremo eventuali responsabilità. Venerdì scorso alla casa circondariale di Lodi era stata una giornata particolare con assenze per malattia nell’organico. E proprio in quel giorno dovevano essere scarcerate quattro persone. Per un istituto penitenziario piccolo come quello di Lodi queste situazioni possono diventare un problema. In ogni caso in questa vicenda va sottolineato il senso di responsabilità del detenuto e soprattutto del suo avvocato". Il provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria per la Regione Lombardia, Aldo Fabozzi, non si sente di condannare nessuno dopo che venerdì scorso al carcere di Lodi è stato rimesso in libertà un detenuto al posto di un altro (per la precisione un marocchino di 28 anni accusato di spaccio al posto di un connazionale di 40 anni con i baffi accusato di estorsione a un parroco e a cui erano stati concessi i domiciliari). Il giovane, una volta fuori dalla struttura, aveva chiamato il suo avvocato e dopo averle detto che era "la migliore avvocato al mondo perché era già riuscita a farlo liberare", la verità e l’errore commesso erano venuti a galla. Il 28enne alla fine si era costituito. Il provveditore regionale Fabozzi traccia anche il punto della situazione dopo la richiesta di avvicendamento della direttrice del carcere, Stefania Mussio, presentata a gennaio dagli agenti di Polizia Penitenziaria. Bergamo: non volevo uccidere quel ladro… ora spero nella grazia di Napolitano di Andrea Pasqualetto Corriere della Sera, 8 marzo 2014 Taglia, spalma, incolla. Antonio Monella attende qui il suo destino, in questo cantiere edile fra i capannoni di Arzago D’Adda. Condannato a 6 anni e 2 mesi dalla Cassazione per aver sparato nel 2006 ad un giovane albanese che gli stava rubando il Suv nel giardino di casa, l’impresario bergamasco rischia di finire in carcere da un momento all’altro: "Sono già un uomo distrutto, spero che sospendano tutto, spero in questa grazia… non volevo ucciderlo". Era una notte di settembre, Elvis Hoxha e un complice entrarono furtivamente nella sua villetta di Arzago. "Mi sono ritrovato una torcia in faccia e mi sono spaventato, c’erano mia mamma e mio figlio dentro, poi sono andato a prendere il fucile e...". Non ce la fa a dire che gli è partito quel colpo fatale dal balcone del primo piano. Sanguinante ma ancora in vita, il giovane riuscì comunque a scappare in auto con i suoi amici (rimasti sconosciuti) che lo scaricarono qualche chilometro più in là, davanti a un pub. Hoxha morirà all’ospedale poche ore dopo. "Omicidio volontario", ha stabilito la giustizia italiana che ha imposto a Monella anche il versamento di 150 mila euro come provvisionale a favore della famiglia di Hoxha, residente in Albania. Altri quarantamila l’impresario li aveva già versati al padre del giovane. "Ora sto lavorando per il resto…". Pentito? "Ho un figlio della stessa età di quel ragazzo e morirei per lui, capisco bene il dolore di quella famiglia...". Nel frattempo Monella ha registrato la casa di proprietà a un fondo patrimoniale cointestato con la moglie, sottraendola così, di fatto, all’eventuale pignoramento. "Monella non ha mai inteso sottrarre i suoi beni e vuole far fronte agli impegni risarcitori", hanno precisato ieri gli avvocati Francesco Fugazzola, Enrico Mastropietro e Andrea Pezzotta, suoi difensori. Ebbene, per tentare di evitare a Monella il carcere, un paese di 2.900 anime si sta mobilitando compatto. C’è in corso una petizione a sostegno della domanda di grazia al presidente della Repubblica, depositata dai legali e giunta sul tavolo del ministro della Giustizia il 3 marzo. La raccolta di firme vede come primo firmatario un nome sorprendente: Gabriele Riva, sindaco di Arzago. Sorprende, cioè, la veste politica: si tratta infatti del segretario provinciale del Partito democratico. Quel Pd cioè che ha sempre sostenuto con forza la legislazione in materia. Per dirla con l’avvocato di simpatie pd Carlo Federico Grosso "quando il ladro fugge non è consentito sparare. Se si spara e si uccide è omicidio volontario. Piaccia o non piaccia, è un principio di civiltà". Riva, 33 anni, piglio deciso e faccia da bravo ragazzo, peraltro non renziano ma vicino a Cuperlo, la spiega così: "Io non discuto la sentenza di condanna ma chiedo la sua commutazione per evitare di aggiungere dolore a dolore". E lancia un allarme che sembra quello del segretario provinciale della Lega: "In questo territorio c’è un problema di sicurezza. Se lo Stato non dà delle risposte possono accadere cose che sfuggono alla categoria della ragione". Con lui, sono scesi in campo altri sindaci della stessa area. Come Dimitri Bugini di Lurano: "Firmerò anch’io perché in questa giustizia c’è qualcosa che non funziona". E come Graziano Pirotta di Canonica d’Adda: "Sono contrario alla galera". Con Monella anche il personaggio più illustre di Arzago, l’ex campione di ciclismo Gianbattista Baronchelli. "Lo conosco, è un brav’uomo, firmerò anch’io - dice mentre armeggia con un tubolare nel suo negozietto di biciclette dove campeggiano le foto di papa Francesco e di papa Wojtyla. Il problema è che ci entrano da tutte le parti. Giusto stamattina mi ha chiamato il mio ex collega ciclista Foresti, per dirmi che hanno ripulito il negozio di sua moglie". Al bar Centrale è un plebiscito per Monella. "Io ho subito una spaccata - racconta il titolare Livio Bozza. Ero qui sopra, in casa, di notte. Gli ho tirato giù tutto quello che avevo, una sedia e una bilancia". Sua moglie Valentina dice sì con la testa: "A momenti buttava giù anche me". Dicono però che Monella non abbia mai contattato la famiglia, che non si sia ravveduto: "Ci spiace molto per quel ragazzo ma avrei fatto come Toni che voleva solo farli scappare". Monella ha gli occhi umidi: "Ringrazio tutti per la solidarietà". Ivrea (To): la "Compagnia teatrale dei Bravi ragazzi" e i detenuti in scena con "Isola!" di Rita Cola La Sentinella, 8 marzo 2014 Il debutto in scena era avvenuto nel novembre scorso, con "Tempo di mutamenti". E oggi, sabato 8, all’auditorium Mozart, tornerà ad esibirsi la "Compagnia teatrale dei Bravi ragazzi" composta da detenuti della Casa circondariale di Ivrea e da volontari con un nuovo spettacolo, dal titolo "Isola!". Isola, come già lo spettacolo di un anno e mezzo fa, è una storia agrodolce dove c’è molta fantasia, ma anche molte situazioni e sensazioni del vissuto carcerario. Ed è la dimostrazione concreta che i legami tra il dentro e il fuori sono indispensabili per comprendere che il carcere è parte di una realtà e le persone sono dentro un percorso e, soprattutto, che non ci sono differenze, ma sensazioni, sofferenze, difficoltà, speranze. E l’aspetto straordinario della Compagnia dei Bravi ragazzi è che il teatro, come mezzo di racconto, avviene fuori dalle mura del carcere. Non è l’unica novità, però, dello spettacolo di domani pomeriggio. Oltre ai volontari del gruppo Tino Beiletti che con discrezione, abnegazione, impegno e convinzione quotidianamente si confrontano con una realtà complessa, ci sono anche i alcuni studenti del liceo scientifico Gramsci, a conclusione di un progetto durato due anni e che ha coinvolto alcune classi dell’indirizzo psico-pedagogico. Lo spettacolo teatrale è quindi il frutto della collaborazione tra tutte le forze che operano all’interno del carcere: direzione, area trattamentale, polizia penitenziaria, magistratura di sorveglianza, volontari, studenti e la stessa associazione Liceo musicale di Ivrea e Rivarolo, che mette a disposizione un teatro vero per recitare. L’appuntamento è quindi per le 17 di domani e già da giorni la sala da trecento posti è praticamente esaurita. Armando Michelizza, Garante dei diritti dei detenuti, plaude a iniziative come questa: "È un’azione concreta per far capire che i detenuti possono interpretare anche un altro ruolo. E che, proprio per questo, non sono affatto diversi dalle altre persone. Anzi". Ovviamente, Michelizza sarà in prima fila. "E spero quanto prima -dice - di poter proporre altri ruoli per chi è detenuto, sulla base del riconoscimento di percorsi utili nel rapporto con gli altri". Immigrazione: Garante detenuti; 10 ex "bocche cucite" lasciano Cie… e presto l’Italia Ansa, 8 marzo 2014 "Sono usciti questa mattina dal Cie di Ponte Galeria gran parte dei marocchini, 10, che avevano preso parte alla protesta choc di Natale, cucendosi le bocche". Così in una nota il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni. "Ai dieci usciti questa mattina dal Centro sono stati concessi 7 giorni per lasciare il territorio italiano - si legge nel comunicato. Resta ancora ospite del Centro di Identificazione ed Espulsione di Ponte Galeria uno dei protagonisti della protesta di Natale, mentre alcuni altri immigrati che si erano cucita la bocca erano stati rimpatriati lo scorso febbraio. Le persone uscite dal Cie sono rimaste nel Centro oltre due mesi, essendo state trasferite da Lampedusa alla periferia di Roma fra la fine di novembre ed i primi di dicembre dello scorso anno. Si trattava, come ha ricordato il Garante Angiolo Marroni, non di persone con problemi di giustizia ma di cosiddetti Lampedusani, cioè di immigrati arrivati nell’isola siciliana dopo la strage in mare dello scorso autunno e da lì subito trasferiti a Ponte Galeria. Tutta gente che, nella vita, ha lavorato duramente e che poi, con il caos seguito alle guerre della primavera Araba, ha visto spazzate via le proprie certezze ed ha guardato, con la speranza figlia della disperazione, all’Europa come l’ultima via di uscita. Il Garante si è detto soddisfatto per la fine dell’odissea di queste persone, "anche se - ha detto - resta l’amarezza per il modo in cui la vicenda si è chiusa". India: caso marò, istanza contro l’uso della polizia antiterrorismo nelle indagini Corriere della Sera, 8 marzo 2014 I legali dei due fanti di marina: "La Nia non può agire senza la presenza di specifiche leggi speciali, come il Sua Act, per la repressione della pirateria". Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, i due marò detenuti in India con l’accusa di omicidio, hanno presentato alla Corte Suprema indiana un’istanza in cui si oppongono all’utilizzazione della polizia antiterrorismo Nia per le indagini sul loro caso. Lo ha appreso l’agenzia Ansa da fonti giudiziarie a New Delhi. La presentazione, ha precisato una fonte, è avvenuta giovedì. Il documento, corposo e di una cinquantina di pagine, è stato montato con il sostegno dell’equipe di legali italiani che assiste i due fucilieri di Marina da due anni. In esso sostanzialmente si sostiene che per la sua stessa natura di polizia antiterrorismo, la National Investigation Agency (Nia) non può agire senza la presenza di specifiche leggi speciali, come il Sua Act, per la repressione della pirateria. Ma nel corso dell’ultima udienza in Corte Suprema il procuratore generale indiano, G.E. Vahanvati, aveva annunciato che il governo di Delhi rinunciava all’uso di questa legge per incriminare i militari italiani, chiedendo però ai giudici di mantenere la Nia come soggetto delle indagini e responsabile della stesura dei capi d’accusa. Argomento a cui si è subito opposto con forza il legale di Latorre e Girone, Mukul Rohatgi. Di fronte all’inconciliabilità delle posizioni la Corte aveva aggiornato l’udienza senza fissare una data, in attesa che prima la difesa e poi la procura presentassero proprie memorie sostenendo giuridicamente le rispettive richieste. Intanto in un tweet il ministro degli Esteri Federica Mogherini ha confermato l’attenzione del governo sulla vicenda: "Parlato ora con il ministro degli Esteri indiano Khurshid dei nostri Marò. Lavoriamo per riportarli in Italia". Corea del Nord: "Io, guardia nei gulag di Kim, vi racconto l’inferno" di Francesco Semprini La Stampa, 8 marzo 2014 Si chiamano "Total control zone", regioni inaccessibili dove si trovano i "kwalliso" nordcoreani, i campi di lavoro di massima sicurezza da dove nessuno, negli ultimi dieci anni, è mai uscito. Se non da morto. Ahn Myeong Chul racconta a "La Stampa" che cosa accade nei gulag del regime di Pyongyang. Nessuna cinica scritta sui cancelli di ingresso, solo sbarre e recinzioni invalicabili. "Dentro l’inferno", spiega Ahn, guardia nei campi di prigionia tra il 1987 e il 1994. Il suo ultimo impiego nel kwalliso 22 a Hyeo-Ryoung, una delle Tcz appunto. "Mi occupavo della sorveglianza, dovevo fare in modo che nessuno tentasse di fuggire", ci spiega alla vigilia della sua testimonianza al recente summit di Ginevra organizzato dallo Un Human Rights Council. Nel campo 22 sono internati 50 mila prigionieri, messi dentro per due ragioni, la prima è aver parlato male del regime, la seconda essere parenti di chi ha parlato male del regime. "Tutti possono finire dentro, anziani, donne e bambini compresi - continua -, basta essere tacciati di comportamenti anti-rivoluzionari". L’economia dei campi si basa sui lavori forzati, nelle zone agricole. Ci si alza alle cinque del mattino e si lavora sino alle dieci di sera. Nelle miniere si estrae carbone a rotazione di tre turni, mentre gli altri si occupano del cibo. Si mangia tre volte al giorno "ma su base meritocratica", chi lavora di meno può anche saltare i pasti, ovvero 200 grammi di cibarie a testa. "In sette anni - dice - ho visto morire oltre duemila persone per fame, esecuzioni, torture incidenti sui lavori forzati e malattie". Le torture sono inflitte a chi tenta di scappare o a chi danneggia le strutture del gulag: "I torturati rimangono da tre a sei mesi nelle stanze del terrore, prigioni nelle prigioni dove vengono bastonati, sottoposti a "trattamento elettrico"". Poi ci sono le esecuzioni: "A finire davanti al plotone sono coloro che tentano di fuggire o chi fa morire una mucca". Non certo per motivi religiosi piuttosto perché è considerata lo strumento di produzione più importante per l’economia del Paese, farla morire, anche senza colpa, equivale a compiere un attentato ai danni dello Stato. La fucilazione avviene in pubblico per dare l’esempio: tre soldati per plotone, tre colpi ognuno, "per essere sicuri della riuscita". Nel caso una detenuta rimanga incinta invece, dipende chi è il padre: se è un altro prigioniero c’è l’esecuzione di entrambi, se è una guardia, questa viene allontanata dal campo e la donna costretta ad abortire. Ci sono anche gli esperimenti come quelli dei nazisti: "Io non ne ho visto - spiega Ahn - ma miei colleghi me lo hanno confermato, erano sconvolti". Il lavoro nei gulag gli era stato offerto visto che il padre era un funzionario del governo e quindi faceva parte dell’élite: "Un privilegio che non potevo rifiutare". Ma quando il padre ha criticato le politiche di distribuzione del cibo di Pyongyan, il regime non ha esitato a internarlo e con lui tutta la famiglia. Così Ahn si è ritrovato prigioniero nello stesso Campo 22. Da lì è scappato attraversando il fiume Duman che separa la Corea del Nord dalla Cina: "Ho guadato per ore, è stato il momento in cui pensavo di morire". E invece ce l’ha fatta e con l’aiuto di alcuni anziani di origini coreane si è rifugiato a Seul. Oggi lavora per un’organizzazione che si occupa dei sopravvissuti dei kwalliso, non ha notizie dei familiari e rivive quegli anni negli incubi delle tenebre. Spiega che Kim Jong-un, è troppo giovane e risponde allo scarso sostegno anche da parte dei militari con il terrore: "Ha trasformato tutti i campi in "total control zone", mettendo di fatto una scritta sui cancelli di ingresso: "Lasciate ogni speranza voi ch’entrate". Yemen: più di 200 i terroristi e criminali comuni evasi in tre anni dalle carceri yemenite Nova, 8 marzo 2014 Sono più di 200 i terroristi e criminali comuni evasi dalle carceri yemenite negli ultimi 3 anni. In base ad una statistica delle autorità di Sanàa, pubblicata dal quotidiano "Asharq al Awsat", la maggior parte dei detenuti riusciti a fuggire di prigione nel paese fa parte del gruppo terroristico di al Qaeda. Le loro evasioni sono state possibili infatti grazie ad una serie di attentati eseguiti contro i centri di detenzione precedentemente pianificati dal gruppo armato. Al momento nel paese ci sono ancora circa 450 detenuti accusati di reati legati al terrorismo islamico. Solo lo scorso mese sono stati più di 20 i detenuti evasi dal carcere centrale di Sanàa in un operazione sanguinosa condotta dai terroristi. Il responsabile del settore carcerario del ministero dell’Interno yemenita, Mohammed al Qaidi, ritiene che "le dinamiche adottate dai terroristi per consentire l’evasione dei loro compagni sono sempre le stesse". I terroristi di al Qaeda negli ultimi tre anni sono evasi oltre che dal carcere di Sanàa anche da quelli di Mukalla, Sayoun e Hodeida. Turchia: aboliti i tribunali speciali anti-terrorismo, prime scarcerazioni Tm News, 8 marzo 2014 La promulgazione, da parte del presidente della Repubblica Abdullah Gul, ieri sera, della nuova legge che abolisce i tribunali speciali anti-terrorismo (Oym) e riduce il periodo massimo di carcerazione preventiva da dieci e cinque anni aprirà la strada alla liberazione di almeno 150 detenuti, ha dichiarato questa mattina il ministro della Giustizia turco Bekir Bozdag riporta l’agenzia turca Dogan. In base alle nuove norme questa mattina è stato rilasciato Erhan Tuncel, accusato di essere coinvolto nell’omicidio del giornalista-turco armeno Hrant Dink nel gennaio 2007. Secondo il quotidiano Hurriyet presto potrebbero essere presto liberati anche imputati di spicco del maxi-processo contro l’organizzazione golpista "Ergenekon" come gli ex-generali Veli Kucuk, Hursit Tolon e Levent Ersoz e il segretario del ultra-nazionalista Partito dei lavoratori (Ip) Dogu Perincek. Algeria: generale denunciato al Tribunale Penale Internazionale per esecuzione detenuto Nova, 8 marzo 2014 Una denuncia formale al Tribunale Penale Internazionale contro il generale Mohammed Mediene, detto Toufik, direttore del potente Dipartimento per l’intelligence e la sicurezza (Drs) algerino, è stata presentata nei giorni scorsi dall’oppositore algerino in esilio Brahim Younessi, presidente dell’Unione dei democratici musulmani. La denuncia, che coinvolge anche altre importanti personalità algerine tra cui l’ex presidente Liamine Zeroual e il noto generale Khaled Nezzar, riguarda la morte di Foudil Younessi, che fu giustiziato in carcere il 10 marzo del 1994. Secondo l’accusa dell’attivista, Foudil Younessi, arrestato nel 1992 ai tempi della stretta delle forze armate contro il Fronte di salvezza islamico (Fis), sarebbe stato "terribilmente torturato nel carcere di Serkadji, al punto da subire danni permanenti, prima di essere tradotto nella prigione, ancora più dura, di Tazoult". La morte sarebbe sopraggiunta poco più di vent’anni fa. "Secondo lo Statuto di Roma adottato il 17 luglio 1998, il Tribunale penale internazionale ha la competenza esclusiva a giudicare per i reati commessi contro Foudil Younessi", si legge nel comunicato diffuso da Brahim Younessi.