Giustizia: il Parlamento parla di "emergenza carceri", ma poi affossa amnistia e indulto Tempi, 6 marzo 2014 In un’aula deserta, i deputati approvano il messaggio di Napolitano, ma poi lo affossano. Decisiva la posizione del Partito democratico. Saranno stati sì e no una cinquantina i deputati che ieri erano alla Camera per discutere il messaggio sull’emergenza carceri del presidente Giorgio Napolitano (datato 7 ottobre 2013). Un messaggio che, si ricorderà, faceva esplicito riferimento a strumenti come amnistia e indulto per trovare una soluzione al sovraffollamento dei nostri penitenziari, per il quale siamo a rischio infrazione (e multa salata) da parte della Corte europea per i diritti dell’uomo (abbiamo tempo fino al 28 maggio). Formalmente, il messaggio di Napolitano è stato approvato, grazie anche ai voti di Sel, ma - nei fatti - è stata chiusa la porta all’amnistia e all’indulto. La relatrice del Pd Donatella Ferranti ha infatti detto nel suo intervento che "siamo sicuramente sulla buona strada, con misure strutturali in linea anche con i più recenti studi empirici secondo i quali per ridurre il rischio di recidiva e l’effetto delle porte girevoli occorre piuttosto puntare su misure alternative alla detenzione. E però se è chiaro che il legislatore ha inteso superare l’ottica degli interventi emergenziali, occorre affiancare le misure strutturali con l’attuazione definitiva del piano carceri e recuperare l’intero sistema penitenziario gravemente depauperato in termini di risorse umane ed economiche". Fuor dal "politichese", significa una sola cosa: no a indulto e amnistia. I deputati di Sel sono stati meravigliosi. Dopo aver votato sì, hanno protestato per l’esclusione di amnistia e indulto. Provvedimenti su cui c’era invece stata l’importante apertura di Ncd e Popolari per l’Italia. Ma il Pd ha fatto muro trovando un escamotage un po’ ipocrita. Se il decreto Cancellieri e le riforme otterranno i risultati sperati - hanno spiegato, nella sostanza, i democratici - riusciremo a rispondere all’Europa e a non incorrere nella sanzione. Questa posizione pilatesca ha raccolto 325 sì, 107 no e 42 astenuti. Arrabbiati i Radicali. Per Marco Pannella si tratta di "posizioni infamanti". Secondo Rita Bernardini, la relazione della commissione "dimentica che le riforme strutturali che il Capo dello stato ha indicato valgono per il futuro mentre per il presente ci resta solo un provvedimento di clemenza che possa metterci in regola con i diritti dell’uomo e con l’Europa". La presidente di Radicali italiani, Laura Arconti, ha inviato una lettera al ministro della Giustizia Andrea Orlando, chiedendo un incontro. Giustizia: sulle carceri uno schiaffo a Napolitano, l’Italia così resta fuorilegge di Rita Bernardini (Segretario di Radicali Italiani) Il Tempo, 6 marzo 2014 Con il dibattito e soprattutto con le conclusioni riguardanti il messaggio che il Presidente della Repubblica ha indirizzato al Parlamento ben cinque mesi fa, la Camera dei deputati ha segnato due giorni fa un’altra pagina buia che si aggiunge al gigantesco libro della sempre più degradata democrazia italiana. Il Parlamento tutto ha ritenuto di sbeffeggiare il documento di Napolitano - il primo del suo mandato presidenziale e l’undicesimo da quando è nata la Repubblica - con il Senato che lo ha totalmente ignorato e con la Camera che, dopo aver rimandato più volte il dibattito, si è pronunciata due giorni fa non su di esso, ma sulla scialba e pretestuosa relazione preparata dalla commissione Giustizia sulla quale si è riversato il voto favorevole della maggioranza di un’aula stanca e disattenta. D’altra parte Napolitano doveva aspettarselo fin dal momento in cui aveva conferito l’incarico di formare il nuovo governo proprio a quel Matteo Renzi che già si era pronunciato contro amnistia e indulto e che aveva liquidato i referendum radicali dell’estate scorsa come sempre hanno fatto i comunisti ossessionati dalle decisioni popolari: "è compito del Parlamento fare le riforme". Al contrario, dobbiamo dare atto a Forza Italia e al suo capogruppo Renato Brunetta di avere invece presentato una risoluzione - purtroppo respinta dall’aula - dal contenuto profondamente radicale e perfettamente corrispondente agli auspici del messaggio del Presidente della Repubblica. La risoluzione non solo definisce i provvedimenti sin qui adottati "effimeri e intempestivi e con orizzonti limitati" ma richiede un impegno del governo pro amnistia e indulto quale risposta d’eccezione ed umanitaria al dramma della condizione carceraria e "premessa indispensabile per l’avvio e l’approvazione di riforme strutturali relative al sistema delle pene, alla loro esecuzione e più in generale all’amministrazione della giustizia". Lo stesso plauso dobbiamo e vogliamo rivolgerlo nei confronti dei compagni di Sel che con i loro interventi hanno smascherato i tanti ipocriti e falsi sostegni al messaggio presidenziale. Noi radicali, comunque, non ci fermeremo con il nostro Satyagraha: abbiamo denunciato, lottato, e contato i decenni dell’antidemocrazia italiana che diviene sempre più feroce e antipopolare. Lo abbiamo fatto con Marco Pannella in prima fila e continueremo a farlo con lui. Ora stiamo contando i giorni (molti di noi sono in sciopero della fame) che ci separano dal prossimo 28 maggio, termine ultimo fissato dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo allo Stato italiano per porre fine alla tortura praticata nei confronti dei detenuti ristretti nelle nostre carceri e all’illegalità della nostra irragionevole giustizia. Giustizia: Parlamento vuoto e sprezzante sul messaggio di Napolitano, vergogna renziana di Giuliano Ferrara Il Foglio, 6 marzo 2014 Il 5 per cento dei parlamentari presenti a inizio seduta, poi il 10 per cento col passare dei minuti (cioè una sessantina di persone in tutto), e solo alla fine l’ingresso in forze per votare: secondo la cronaca del Corriere della Sera, questo è il livello dell’attenzione dedicata due giorni fa dal Parlamento al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, e al tema della giustizia in Italia. Uno sgarbo istituzionale, senza dubbio, considerato che Napolitano, cinque mesi fa, si era spinto fino a resuscitare una pratica prevista dalla Costituzione e inutilizzata per oltre un decennio, quella del messaggio alle Camere. Quest’ultimo, secondo il Quirinale, era il modo più solenne per spingere l’Aula a occuparsi della situazione della giustizia del nostro paese, anche meglio di decine di dichiarazioni pubbliche o televisive. In quell’occasione Napolitano aveva fatto pure chiarezza su un punto decisivo: la situazione delle carceri italiane è ributtante (62 mila detenuti, 15 mila in più dei posti disponibili), ma il metro di giudizio umanitario non basta più; l’Italia, in ragione della lunghezza dei processi, è fuori legge rispetto agli standard del diritto internazionale che noi stessi recepiamo in Costituzione. Napolitano perciò aveva parlato di "obbligo" che le istituzioni avrebbero di sanare l’attuale situazione, non più soltanto di un loro "dovere". Il Parlamento, due giorni fa, ha confermato di non pensarla così: una mozione piena di buone intenzioni non si nega a nessuno, ma il senso d’urgenza impresso da Napolitano - e da sparute minoranze extraparlamentari come i Radicali - è completamente scomparso dal dibattito. I parlamentari hanno fatto a gara per prendere le distanze dalle misure di clemenza possibili e sempre più necessarie, indulto e amnistia; il segnale più inquietante è arrivato dal Pd a conduzione renziana, dalle dichiarazioni un po’ qualunquistiche della responsabile Giustizia Alessia Morani (per la quale gli atti di clemenza "sarebbero solo un alibi per una politica che non vuole scegliere"), dalla saldatura cioè di forze progressiste e soliti manettari (grillini e leghisti). Sgarbo istituzionale, dunque, e sgarbo al buon senso. A richiamarci alla realtà, forse troppo tardi, saranno gli investitori sempre più sfiduciati dalle nostre istituzioni, e poi le multe europee in arrivo da fine maggio. Allora il Parlamento dovrà scegliere per davvero. Giustizia: "Amnistia per la Repubblica"… le ragioni di un digiuno www.radicali.it, 6 marzo 2014 I Radicali foggiani dell’associazione "Mariateresa Di Lascia" hanno iniziato un digiuno a staffetta per sostenere il Satyagraha convocato dalla segretaria di Radicali italiani, Rita Bernardini, per tentare un ultimo sforzo di dialogo prima della scadenza (il prossimo 28 maggio) che la Corte europea ha dato all’Italia per risolvere la drammatica situazione delle carceri e della giustizia. Nell’alternarsi in questo sciopero ognuno dei militanti e dei semplici cittadini che a Foggia si sono uniti a questo sciopero vuole spiegare le sue ragioni. Ha dato avvio alla staffetta di digiunatori per l’amnistia Matteo Ariano, che spiega così la sua adesione: Dalla mezzanotte passata ho iniziato uno sciopero della fame di 48 ore che poi verrà proseguito a staffetta da altri compagni e compagne dell’associazione radicale "Maria Teresa Di Lascia", con l’obiettivo di accompagnare la discussione sul messaggio alle Camere del Presidente della Repubblica Napolitano, relativamente alla situazione delle carceri. Le motivazioni per essere favorevoli ad una amnistia e, quindi, ad una radicale riforma della giustizia possono essere molteplici: umanitarie, economiche, legali. Tutte hanno la loro validità ma, a mio parere, è soprattutto quella legale a rappresentare il senso dell’iniziativa radicale. Attualmente lo Stato italiano non sta rispettando l’art. 27 della Costituzione italiana (non so se sia davvero la Costituzione più bella, di certo è la più tradita), non riuscendo a garantire la funzione rieducativa della pena. La situazione delle carceri italiane è, tuttavia, la punta di un iceberg ben più vasto: non è solo il sistema carcerario attuale ad aver violato la Costituzione, ma lo è ancor prima il processo, penale o civile, che dovrebbe essere "giusto" e di "ragionevole durata" ai sensi dell’art. 111 Cost., mentre tale non è affatto. Lo Stato italiano è patentemente illegale anche agli occhi dell’Unione Europea: secondo i dati del Dipartimento delle Politiche Europee della Presidenza del Consiglio, attualmente è sottoposto a 119 (centodiciannove!) procedure di infrazione al diritto dell’Unione Europea, tra mancato recepimento di direttive e violazione del diritto dell’Ue. Un’ulteriore manifestazione dell’illegalità del nostro Stato è rappresentata dal dissesto del nostro territorio, da Nord a Sud. Il paesaggio italiano, uno dei più belli al mondo, è uno dei più stuprati, tra manufatti e discariche abusive. Il disastro idrogeologico, e le morti e i danni che esso provoca, non è sciagura naturale o maledizione del cielo, bensì la conseguenza logica (inevitabile?) del mancato rispetto di norme di legge. Ecco, dunque, cosa significa lo slogan "Amnistia per la Repubblica": l’amnistia deve essere l’inizio di un nuovo cammino, culturale, sociale e dunque politico, per l’affermazione della legalità e per la nascita - finalmente - di uno Stato di diritto in Italia, non un italico colpo di spugna sul passato, per ritornare a delinquere come e più di prima. Chi voglia unirsi a noi, può farlo scrivendoci all’indirizzo associazionedilascia@gmail.com ovvero contattandoci telefonicamente al numero 345.28.87.496". Giustizia: la tortura sarà reato, dal Senato il primo via libera di Pino Stoppon L’Unità, 6 marzo 2014 Primo via libera, dal Senato, al provvedimento che introduce il reato di tortura nell’ordinamento. Il testo passa ora all’esame della Camera. "Finalmente il Parlamento ha approvato, anche se finora solo in prima lettura, l’introduzione del reato di tortura nel nostro ordinamento. Mi piace dedicare il voto di oggi - ha detto il senatore Pd Sergio Lo Giudice - ai familiari di Federico Aldrovandi, Giuseppe Uva, Stefano Cucchi, Michele Ferrulli, Riccardo Rasman e di tutti gli altri cittadini morti mentre la loro persona era in disponibilità del potere statale. Spero che il nuovo reato aiuti a evitare casi analoghi in futuro e a sanare la ferita aperta nel paese dalle torture avvenute nel 2001 a Genova nella scuola Diaz e nella caserma di Bolzaneto". "L’articolo 1 prevede che chiunque, con violenze o minacce gravi, cagioni acute sofferenza fisiche o psichiche ad una persona privata della libertà personale, sia punito con la reclusione da tre a dieci anni" recita la nota del Senato. La legge ora dovrà passare al vaglio della Camera. "L’istigazione di pubblico ufficiale o incaricato di pubblici servizi a commettere il delitto è punita con la reclusione da 5 a 12 anni". L’articolo 2 prevede che le informazioni ottenute tramite tortura non siano utilizzabili. L’articolo 3 non ammette l’espulsione di uno straniero "che rischi di essere sottoposto a tortura", si legge ancora nella nota. "Infine - dice il senatore del Pd Felice Casson, che ha votato il provvedimento a Palazzo Madama - in caso di morte del torturato, è prevista la reclusione di trenta anni se trattasi di conseguenza non voluta dal reo, e dell’ergastolo se la morte è cagionata dal torturante". Inoltre, aggiunge il senatore del Pd, "si chiarisce che le dichiarazioni ottenute mediante tortura possono essere utilizzate solo contro le persone accusate di tale delitto al fine di provarne la responsabilità e di stabilire che le dichiarazioni stesse sono state rese in conseguenza della tortura". "Si stabilisce infine - conclude Casson - l’impossibilità di respingere, espellere o estradare una persona verso uno Stato nel quale si ritiene che rischi di essere sottoposta a tortura, si esclude l’applicabilità dell’immunità diplomatica per i cittadini stranieri condannati o processati per tortura in altro Paese o da un tribunale internazionale e viene istituito un fondo a favore delle vittime della tortura". "L’approvazione del reato di tortura da parte del Senato è sicuramente una buona notizia poiché colma finalmente una lacuna giuridica ed adegua l’ordinamento italiano a quello internazionale. Il nostro sistema penale compie in questo modo un passo avanti verso quella cultura giuridica propria degli Stati di diritto connotati con la capacità di essere garanti dei diritti fondamentali della persona" ha spiegato il ministro della Giustizia Andrea Orlando. "In tale contesto - prosegue - l’aggravante prevista per i pubblici ufficiali che abusino delle proprie funzioni rappresenta una forte coerenza con la nostra Costituzione e con le convenzioni internazionali rendendo ancor più il diritto penale un efficace sistema di tutela dell’individuo. Auspico per questo che la Camera possa ora al più presto discutere il provvedimento per la sua definitiva approvazione", conclude Orlando. Giustizia: reato di tortura… scusate il ritardo di Luigi Manconi e Federica Resta L’Unità, 6 marzo 2014 L’approvazione, da parte del Senato, del disegno di legge che introduce nel codice penale il delitto di tortura è un atto importante. Il divieto di tortura fonda uno dei principi essenziali del diritto internazionale. Non solo, ma rappresenta, per il nostro ordinamento, l’unico caso di incriminazione obbligatoria, cui il Parlamento adempie con più di sessant’anni di ritardo. Quello delle violenze, fisiche o morali, su persone sottoposte a restrizioni della libertà, è infatti l’unico caso in cui il costituente prescrive al legislatore di ricorrere alla sanzione penale per proteggere la persona da violenze, perpetrate abusando di un potere che dovrebbe esercitarsi in nome delle istituzioni democratiche. Un potere che invece tradisce proprio i principi essenziali dello Stato di diritto. Il divieto di tortura è infatti il più forte limite intrinseco al monopolio della violenza legittima da parte dello Stato: il potere punitivo e il potere di polizia sono legittimamente esercitati solo se e fintanto che non si risolvano nell’abuso della condizione di privazione della libertà in cui versa chi vi sia sottoposto. La tortura è il limite cui né la pena né l’interrogatorio possono giungere, senza risolversi in pura violenza, oltretutto infrangendo quel dovere - primario per i pubblici ufficiali - di salvaguardia della persona affidata alla custodia dell’autorità pubblica, nel momento di maggiore fragilità. Il reato di tortura, insomma, è una garanzia soprattutto contro la più grave degenerazione dell’autorità in abuso, del potere in arbitrio, del diritto in violenza. Ed è la prima e minimale forma di tutela che lo Stato deve assicurare alla persona soggetta al suo potere, per impedire quella terribile violazione della dignità che passa, in primo luogo, attraverso l’umiliazione della persona e lo strazio del corpo. Tanto più inaccettabile in un’età, come la nostra, che ha visto il progressivo sottrarsi del corpo (persino) alla pena legittima, trasformatasi - come scriveva Michel Foucault - da arte di "sensazioni insopportabili" in "economia di diritti sospesi". Il corpo e l’inviolabilità della persona tornano dunque a essere, nella tortura, materia di sopraffazione e di vendetta per un potere illimitato e violento, che espropria la persona del diritto all’intangibilità fisica e morale, già sancito con la promessa dell’Habeas Corpus: "Non metteremo le mani su di te". Carattere essenziale della tortura è quindi l’abuso del potere, che consente a chi eserciti pubbliche funzioni di violare, nella persona affidata alle sue cure, insieme con la dignità, la stessa umanità. Proprio per questa intima connessione - storica e simbolica; strutturale e funzionale - tra tortura e potere pubblico, avevamo proposto, con un disegno di legge, la previsione del delitto di tortura come reato proprio, suscettibile di realizzazione, cioè, solo da chi eserciti una pubblica funzione. In conformità, peraltro, a quanto previsto dalla maggior parte delle convenzioni internazionali e degli ordinamenti democratici, che configurano la tortura come reato suscettibile di commissione da parte di chi lo Stato democratico dovrebbe rappresentare, non tradire. La stessa genesi della tortura si inquadra infatti nel rapporto tra suddito e Stato, evolvendosi poi nella relazione tra il cittadino privato della libertà e lo Stato di diritto che anche in suo nome difende le libertà e i diritti. Il Senato ha scelto una strada diversa, e da noi non apprezzata, configurando la tortura come un reato comune, suscettibile dunque di realizzazione da parte di "chiunque", sebbene aggravato nel caso in cui l’autore sia un pubblico ufficiale. Questo consente, certo, di sottolineare il disvalore specifico dell’ipotesi in cui l’autore sia colui che è tenuto, paradossalmente, a rappresentare il diritto. Ma stempera anche, indubbiamente, il valore simbolico che avrebbe avuto la diversa configurazione di questo delitto come reato proprio. In ogni caso, e nonostante molti limiti (perché vi sia tortura le violenze e le minacce devono essere ripetute e gravi; ed è previsto, tra le pene, anche l’ergastolo, che in tanti vorremmo abolire), lo stesso fatto che di tortura si torni, finalmente, a discutere, è un dato qualificante per l’intera legislatura. Che potrà essere davvero innovativa solo se porrà i diritti e le libertà al centro della discussione pubblica. Giustizia: la tortura diventa reato, ma solo all’italiana di Eleonora Martini Il Manifesto, 6 marzo 2014 Giustizia. Sì del Senato alla fattispecie generica e non specifica per le forze dell’ordine. In ritardo di "almeno 30 anni" e non è ancora arrivata a segno. L’Italia si adegua finalmente al resto del mondo civile e introduce nell’ordinamento penale il reato di tortura ma rimane lontana dalla Convenzione Onu. Ieri infatti il Senato ha approvato - con 231 sì e 3 astenuti - il testo licenziato dalla commissione Giustizia nell’ottobre scorso che descrive il reato solo come fattispecie generica e non specifica (cioè quando compiuto da un pubblico ufficiale su una persona in stato di privazione della libertà, anche per decisione legittima). Se il testo non verrà cambiato alla Camera, dove passa ora in seconda lettura, l’Italia dimostrerà ancora una volta la difficoltà ad adeguarsi agli standard internazionali del diritto, come invece si era impegnata a fare, sia pur con grande ritardo, a metà del 2012 con la ratifica del Protocollo della Convenzione Onu sulla tortura. Niente affatto soddisfatto è il senatore Pd Luigi Manconi che ritiene il suo ddl originario "devitalizzato", perché nel testo licenziato dal Senato "la tortura non è qualificata come reato proprio ma comune, quindi imputabile a qualunque cittadino e non solo alle forze dell’ordine, come avviene in molti Paesi occidentali". Il testo di legge varato ieri prevede il carcere da 3 a 10 anni per chiunque "cagiona acute sofferenze fisiche o psichiche" ad una "persona privata della libertà" o "affidata alla sua custodia o autorità o potestà o cura o assistenza". Se a torturare è un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio nell’esercizio delle funzioni è prevista una specifica aggravante e la reclusione va da 4 a 12 anni. Se si causano lesioni personali, la pena aumenta: di un terzo se sono "gravi", della metà se "gravissime". L’ergastolo in caso di morte volontaria. Il terzo dei sette articoli che compongono la legge vieta "il respingimento, l’espulsione o l’estradizione di una persona verso uno Stato nel quale esistano seri motivi di ritenere che essa rischi di essere sottoposta a tortura". Poi, spiega il senatore del Pd Felice Casson che esulta per il "passo avanti" compiuto ieri dall’Aula di Palazzo Madama, "si chiarisce che le dichiarazioni ottenute mediante tortura possono essere utilizzate solo contro le persone accusate di tale delitto al fine di provarne la responsabilità e di stabilire che le dichiarazioni stesse sono state rese in conseguenza della tortura". Giustizia: Cirielli (Fdi); chiedo commissione inchiesta su mancato adeguamento carceri www.iammepress.it, 6 marzo 2014 Una commissione d’inchiesta parlamentare per accertare le responsabilità del mancato adeguamento negli ultimi venti anni degli istituti penitenziari, sia sotto il profilo della capienza, sia sotto il profilo del miglioramento dei percorsi individuali di risocializzazione, rieducazione e reinserimento dei detenuti; separazione e raggruppamento dei detenuti sulla base dell’ordinamento penitenziario; l’adozione di provvedimenti per favorire la riduzione dei detenuti stranieri attraverso l’espiazione della pena nei Paesi d’origine con la stipula di accordi internazionali; implementazione delle strutture esistenti e assunzione di duemila nuovi agenti di Polizia Penitenziaria, come previsto dal cosiddetto terzo pilastro del Piano Carceri. È quanto prevede la risoluzione presentata dal deputato di Fratelli d’Italia -Alleanza nazionale Edmondo Cirielli, e firmata dal capogruppo Giorgia Meloni. Assoluta contrarietà a provvedimenti di clemenza che oltre a minare il principio fondamentale della certezza della pena, mettono in discussione il patto sociale in base al quale i cittadini rinunciano a farsi giustizia da soli, affidandosi allo Stato per la riparazione dei torti subiti. "Condivido in pieno l’analisi fatta dal Capo dello Stato - ha detto Cirielli intervenendo nel dibattito. È notorio che ci sia un sistema carcerario vergognoso, intollerabile determinato dalla mancanza di politiche inadeguate". "Ma non ne condivido le conclusioni - ha osservato Cirielli- Sono venti anni che ci sono responsabilità precise e ben chiare a tutti. Invece di intervenire sulle carenze strutturali si è preferito scaricare sui cittadini e sulle vittime queste inadempienze attraverso provvedimenti svuota carceri varati da governi di centrosinistra e di centrodestra, ma anche da governi delle larghe intese". "Oggi neppure per rapina si sta in carcere. In Italia è venuto meno il fondamento dello Stato di diritto, ovvero la certezza della pena. Non si è fatto nulla affinché i detenuti stranieri espiino le condanne nei Paesi di origine, né si è fatto nulla per il reinserimento sociale dei detenuti. Sulla custodia cautelare la riforma fatta è molto deludente perché il magistrato ha ancora troppa discrezionalità. Sono stati costruiti nuovi istituti ma poi non si è fatto nulla per assumere i poliziotti". "Siamo contrari a qualsiasi ipotesi di indulto e amnistia, in totale disaccordo con le conclusioni del messaggio del presidente Napolitano". "Per tutte queste ragioni - ha concluso Cirielli - vogliamo e giustizia e dei ministri e dell’Economia di questi ultimi venti anni incapaci di cambiare queste carenze strutturali che contraddistinguono le carceri italiane". Giustizia: Processo Mediaset, da Strasburgo una nuova chance per Berlusconi di Angela Manganaro Il Sole 24 Ore, 6 marzo 2014 Potrebbe essere un’altra freccia per l’arco di Silvio Berlusconi nella sua battaglia contro la Legge Severino, che, in conseguenza della condanna definitiva a quattro anni di carcere per frode fiscale in merito al processo Mediaset, lo ha costretto a lasciare il Senato lo scorso 27 novembre. L’aiuto viene dalla decisione depositata martedì dalla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo: se la sanzione qualificata come amministrativa sul piano interno è dì una severità tale da essere equiparabile a una penale, non è possibile avviare un nuovo procedimento giurisdizionale penale dopo quello di natura amministrativa. La decisione presa a Strasburgo fa riferimento al caso Ifil-Exor: la Consob, riconosciuta la commissione di atti di manipolazione del mercato, aveva comminato sanzioni pecuniarie e interdittive (confermate in Cassazione) a carico di Franzo Grande Stevens, Gianluigi Gabetti e altri. Nel frattempo, per i medesimi fattasi è aperto anche un procedimento penale. Per violazione del principio del "ne bis in idem" (che vieta di processare due volte la stessa persona per il medesimo fatto) è stato presentato ricorso ai giudici di Strasburgo. La Corte dei diritti dell’uomo ha accolto il ricorso degli avvocati Franco Coppi e Michele Briamonte a favore di Grande Stevens, Gabetti e altri sulla questione dello swap sulle azioni Fiat del 2002. Coppi e anche l’avvocato che ha fatto ricorso alla stessa Corte a favore di Berlusconi contro la sentenza che lo condanna ai diritti Mediaset. È stato lo stesso Briamonte, a Mix24, condotto da Giovanni Minoli su Radio 24, a spiegare l’impatto della sentenza: "Io non sono nel collegio dei difensori del cavalier Berlusconi però sicuramente un’analogia c’è, nel senso che il principio sanzionato è il medesimo e devo dire che sono sicuro che i difensori del Cavaliere quando leggeranno il paragrafo 229 della sentenza avranno secondo me un buon argomento". Nel dettaglio, Briamonte fa riferimento a quel punto "dove si dice che l’Italia, come qualsiasi paese dell’Unione Europea, non può sanzionare fiscalmente un illecito e poi pretendere di sanzionarlo anche penalmente. Perché se la sanzione fiscale, al di là di essere qualificata nell’ordinamento come solo amministrativa e non penale, e una sanzione afflittiva questa elimina, consuma il potere di sanzione". Nel loro ricorso alla Corte di Strasburgo, il 7 settembre scorso, gli avvocati di Berlusconi avevano messo nel mirino la legge Severino su due fronti. Primo: la norma "è contraria al divieto di retroattività delle sanzioni penali" e per questo viola l’articolo 7 della Convenzione dei diritti dell’uomo. Secondo: la legge voluta dal governo Monti e contraria all’articolo 3, protocollo 1 della Cedu, quello che stabilisce il diritto a libere elezioni. Giustizia: Riina torna in cella dopo ricovero, il suo legale "salute incompatibile con 41bis" La Presse, 6 marzo 2014 È tornato nel carcere milanese di Opera il capomafia Totò Riina, ricoverato ieri pomeriggio dopo un malore all’ospedale San Paolo del capoluogo lombardo. Il malore accusato dal boss 83enne probabilmente era legato ai problemi cardiaci di cui soffre da tempo. Riina era stato già ricoverato in passato diverse volte all’ospedale San Paolo per alcuni controlli diagnostici. L’ex numero uno di Cosa Nostra, arrestato nel 1993, è rinchiuso dal dicembre 2003 nella casa di reclusione in regime di 41 bis e deve scontare una dozzina di ergastoli. "Non sappiamo ancora quale sia stata l’entità del problema di salute accusato da Riina", ha detto il suo legale Giovanni Anania, che ha aggiunto: "le sue condizioni sono incompatibili con il regime carcerario del 41 bis". "Domani doveva deporre all’udienza per la trattativa Stato-mafia - ha concluso Anania - ma a questo punto non sappiamo se sarà in condizioni di farlo". Legale Riina: condizioni critiche, violati i suoi diritti "La situazione di Riina resta critica. Attendiamo di verificare e analizzare le cartelle cliniche per valutare bene l’accaduto". Lo ha detto l’avvocato Luca Cianferoni, legale di Totò Riina. L’83enne capomafia ieri era stato ricoverato in ospedale, a Milano, per un’intossicazione, e poi dimesso e portato nuovamente in carcere. Per l’amministrazione penitenziaria non è in pericolo di vita. "Ho una consapevolezza quasi quotidiana - risponde sul punto il legale - delle condizioni del mio assistito e posso dire che non sono buone, anche perché è sottoposto alle udienze frequenti del processo sulla trattativa. La prossima settimana ne avrà ben quattro. Ho constatato un progressivo scadimento della sua salute. Non sta bene e le sue condizioni sono incompatibili con il regime del 14 bis (in pratica un 41 bis aggravato, ndr), una condizione detentiva oggetto adesso di un ricorso alla Corte di Strasburgo per violazione dei diritti umani". Mattiello (Pd): presento interrogazione su malore Riina Il deputato Pd della commissione Antimafia Davide Mattiello annuncia una interrogazione al ministro della Giustizia sull’episodio del malore che ha colpito il boss di Cosa Nostra Totò Riina, detenuto nel carcere di Opera. "Riina - spiega Mattiello - è stato protagonista nei giorni scorsi di una vicenda dai contorni oscuri, mittente di minacce nei confronti dei magistrati di Palermo e destinatario, a sua volta, di un’intimidazione contenuto in una lettera della fantomatica Falange Armata". "Per tutti questi motivi - conclude il deputato del Pd - chiediamo al ministro della Giustizia di confermare che il suo momentaneo e breve trasferimento in ospedale fosse indispensabile, che le strutture mediche del carcere non fossero sufficienti per i dovuti accertamenti medici e di verificare puntualmente con quali persone Riina sia entrato in contatto nel corso dell’episodio". Liguria: Sappe; gli effetti della legge svuota-carceri? quasi vanificati dai nuovi ingressi Ristretti Orizzonti, 6 marzo 2014 Cala il numero dei detenuti nelle carceri della Liguria: sono 168 in meno rispetto al 2013 nelle carceri regionali, che il 28 febbraio scorso contenevano 1.647 persone. Ma è ancora contenuto il numero di coloro che hanno potuto fruire del decreto "svuota carceri" recentemente convertito in legge dal Senato della Repubblica. "Il numero degli usciti è in parte vanificato dai nuovi ingressi: basti pensare che a Genova Marassi, il carcere più grande della Liguria dal quale sono uscite poco meno di 50 persone, l’affollamento resta consistente, 770 presenti per circa 400 posti letto: parliamo di una media ingressi giornalieri di 8/10 persone", dichiara Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto del Sindacato più rappresentativo della Polizia Penitenziaria, il Sappe. "Dovremmo aspettare ancora qualche tempo per dare un giudizio più esauriente sulla legge approvata dal Parlamento, anche perché gli uffici matricola delle carceri stanno predisponendo i carteggi per la Magistratura di Sorveglianza, e questo non è un lavoro semplice e rapidi. Ci sarà chi, con effetto retroattivo, si vedrà abbonare i giorni di liberazione anticipata e, quindi, potrebbe fruire della detenzione domiciliare per gli ultimi 18 mesi di pena. Ma, ad oggi, i numeri sono assai contenuti. A Savona, ad esempio, ci risulta che a tutt’oggi nessuno è uscito dal carcere per effetto della nuova legge". Martinelli sottolinea che "restano critiche e gravose le condizioni di lavoro dei poliziotti penitenziari, sotto organico di diverse centinaia di unità in Liguria. E anche l’ampliamento degli orari di apertura delle celle fino a 8 ore e più per una maggiore umanizzazione della pena non ha fatto venir meno gli eventi critici in carcere come aggressioni ed atti di autolesionismo. Questo perché, al superamento del concetto dello spazio di perimetrazione della cella e alla maggiore apertura per i detenuti, non si è associata la necessità che questi svolgano attività lavorativa". Il Sappe segnala infine "la Casa di Reclusione di Chiavari sarà interessata da fine marzo, e per un anno circa, da interventi di ristrutturazione del Reparto detentivo che comporteranno la chiusura provvisoria del carcere e la conseguente movimentazione di tutti i detenuti in altre sedi penitenziarie. Se ne parlerà mercoledì 12 marzo, in un incontro già programmato al Provveditorato dell’Amministrazione Penitenziaria di Genova anche per capire il futuro dei poliziotti penitenziari e degli impiegati oggi in servizio nel carcere del Tigullio". Genova: concessi arresti domiciliari alla madre detenuta in carcere con il suo neonato Ansa, 6 marzo 2014 Il gip Nicoletta Bolelli ha concesso gli arresti domiciliari alla donna di origine marocchina detenuta nel carcere di Pontedecimo insieme al suo bimbo di 5 mesi per violazione della legge sugli stupefacenti. Madre e figlio andranno nell’abitazione della nonna materna del piccolo, fuori dalla Liguria. Il caso era emerso con una denuncia del sindacato Sappe. Gli avvocati Giovanni Galeota e Antonella Carpi, difensori della donna, questa mattina hanno presentato al gip l’istanza di modifica della misure cautelare in carcere e, previo parere favorevole del pm Patrizia Petruzziello, il gip ha concesso i domiciliari. La donna era stata arrestata tre giorni fa allo sbarco da una nave proveniente dal Marocco: nella sua auto, la Guardia di finanza aveva trovato circa 8 chilogrammi di hashish. Aosta: "gioco intelligente" per 20 detenuti, per allenare ingegno e rispetto regole condivise Ansa, 6 marzo 2014 Giornata di "gioco intelligente" venerdì prossimo per una ventina di detenuti della casa circondariale di Brissogne: i volontari dell’associazione Aosta Iacta Est e dell’Avvc organizzeranno in carcere diversi tavoli di gioco, proponendo e spiegando regole e svolgimento delle attività. "Per gli adulti, dentro come fuori, questa può essere una piccola palestra dove allenare l’ingegno, la condivisione e il rispetto di regole condivise", spiega Davide Jaccod, presidente di Aosta Iacta Est. "Per le persone detenute - aggiunge - il tempo quotidiano assume spesso una dimensione distorta: noi proviamo a riempirne una parte con una forma di gioco che è anzitutto confronto". L’iniziativa, che sarà replicata il 28 marzo e l’11 aprile, "si inserisce - spiega Maurizio Bergamini, presidente dell’Avvc - nel ricco programma di iniziative culturali che la nostra associazione organizza in carcere con l’obiettivo di creare un ponte tra la casa circondariale e la società civile valdostana e di offrire stimoli e confronti alle persone che si trovano recluse". Verbania: "Essere genitori dal carcere", un progetto della cooperativa Xenia di Beatrice Archesso La Stampa, 6 marzo 2014 "Genitori oltre i cancelli", perché non si smette di essere madri e padri a causa della detenzione. È partito, nel carcere di Verbania, il progetto che mira a mantenere o ricostruire i legami tra genitori detenuti e figli. Il progetto è stato reso possibile grazie a un contributo di 15 mila euro della Compagnia di San Paolo, che coprirà il costo per un anno. La finalità è sostenere i detenuti nel percorso del reinserimento familiare, con i rapporti con le famiglie che spesso si logorano nel momento in cui comincia la detenzione. Ad affiancare chi aderirà al progetto ci sarà personale della cooperativa sociale Xenia: in prima fila Gabriela Gualtieri, educatore professionale specializzato in mediazione familiare, e lo psicologo e psicoterapeuta Vito Quarato. "Genitori oltre i cancelli" è ancora in una fase embrionale e gli specialisti stanno definendo i metodi di intervento: "Le storie sono tante e diverse tra loro. C’è chi deve "solo" riprendere i contatti e chi con i familiari non parlano da anni. I figli hanno età diverse e quindi cambiano anche le esigenze. Al momento stiamo raccogliendo le adesioni dei detenuti e vagliando quali sono i bisogni specifici per intervenire nel modo più concreto ed efficace possibile" spiega Gualtieri. Una volta ristabiliti i contatti lo scopo è aiutare i soggetti dentro e fuori dal carcere a gestire la sfera delle emozioni e insegnare a gestire la sofferenza dovuta al distacco fisico con il quale vivono gli affetti. Tutti potranno sentirsi "genitori oltre ai cancelli", poiché l’iniziativa è rivolta anche ai "sex offender", detenuti per reati a sfondo sessuale. "È un progetto sganciato dal tipo di reati e coinvolge tutti i detenuti perché l’essere genitore riguarda ognuno" aggiunge Gualtieri. La ricostruzione o il miglioramento dei rapporti tra i genitori dietro la cella e i figli in libertà si attuerà soprattutto in due modi: attraverso colloqui individuali (sempre in presenza degli operatori) e spazi di gruppo. "Il colloquio individuale permette di migliorare la qualità del legame. L’obiettivo è spostare l’attenzione dai concetti di "carcere", "fine pena" e avvocati, che spesso diventano una fissa, per focalizzarsi su dialogo e attività da fare insieme, ad esempio il disegno - spiega la specialista -. Far lavorare tra loro gruppi di detenuti invece potrebbe portare alla realizzazione di manufatti da donare ai figli" Un altro modo per ridurre la distanza tra dentro e fuori le mura. Padova: addetti a reception e giardinaggio, i detenuti lavorano alla Torre della Ricerca di Elisa Fais Il Mattino di Padova, 6 marzo 2014 I detenuti del carcere di Padova avranno la possibilità di lavorare alla Torre della Ricerca. Ad annunciarlo, la Presidente della Fondazione della Città della Speranza Stefania Fochesato, in occasione della visita del prefetto Patrizia Impresa. Ai carcerati saranno affidati diversi ruoli: dall’accoglienza alla manutenzione del giardino. Il progetto è ancora in via di definizione per quanto riguarda gli aspetti operativi. Nella giornata di ieri il prefetto Impresa ha dunque visitato i laboratori dell’Istituto per conoscere più da vicino la realtà padovana dedicata alla ricerca pediatrica. E ha commentato: "Siamo travolti dalle difficoltà, ma sono i successi come questi a far bene alla società". Presenti all’incontro anche il presidente dell’Istituto Franco Masello e Giuseppe Basso, responsabile della Clinica di oncoematologia pediatrica di Padova. La Torre della Ricerca non è nuova alle iniziative di reinserimento dei detenuti: tutti i weekend dei tre mesi antecedenti all’inaugurazione (8 giugno 2012) ha infatti accolto un gruppo di carcerati che ha collaborato al riordino e alla pulizia degli ambienti. La presidente Fochesato ha raccontato l’esperienza: "Sono persone che hanno alle spalle anche più di 15 anni di detenzione e di recupero. Ricordo un croato che durante la sua giornata libera ha portato qui la figlia per mostrare orgoglioso cosa stava facendo". I detenuti saranno regolarmente stipendiati. Ha spiegato Masello: "Avranno la possibilità di aiutare le famiglie a casa che non sempre hanno modo di mantenersi e rischiano di essere coinvolte nel giro della malavita". Il prefetto ha sottolineato: "Siamo abituati a pensare ad una solidarietà individuale, io spingo invece per una solidarietà istituzionale. I detenuti diventano partecipi di un progetto sociale". Entro il mese di giugno tutti i piani della Torre saranno riempiti. Intanto, nei giorni scorsi, la Regione Veneto ha acquistato una parte della struttura per tre milioni di euro per poi cederla in comodato d’uso alla Fondazione. I gruppi dal primo al settimo piano sono già in esercizio. L’ottavo piano invece è quasi al completo: un’ala sarà dedicata ai laboratori "Research & Innovation Srl" coordinati da Franco Zacchello, ex primario della Pediatria. Rimane ancora vuoto l’ultimo piano, il nono, entro un mese si deciderà ufficialmente chi entrerà. Si parla di una società privata estera di ricerca pediatrica. L’obbiettivo è quello di unire il pubblico con il privato, come spiega Masello: "È un meccanismo di cui tanto si parla e poco si fa". Lecce: "Giardino Radicale", al via laboratorio partecipato di design in carcere www.futuratv.it, 6 marzo 2014 Il carcere come galleria d’arte partecipata. Anche la casa circondariale di Borgo San Nicola diventa un luogo dove sperimentare l’espressività nella trasformazione dello spazio circostante. All’interno del progetto "G.A.P. la città come galleria d’arte partecipata", finanziato da Fondazione con il Sud "Progetti Speciali e Innovativi 2010", ha preso vita "Giardino Radicale", programma di design in carcere che vedrà in prima fila le Manifatture Knos di Lecce. Il progetto è coordinato da Paola Leone, regista teatrale che da anni lavora all’interno della struttura detentiva leccese, e vede coinvolti i designer Maurizio Buttazzo e Roberto Dell’Orco. Giardino radicale è un laboratorio rivolto ai detenuti, chiamati ad appropriarsi degli spazi comuni, ripensandoli, progettandoli e lavorando attivamente alla loro realizzazione. I primi locali realizzati sono la "Barberia" e una delle sale comuni del sezione R2, la prima che ha sperimentò a Lecce il nuovo ordinamento che da alcuni anni consente di tenere le celle aperte durante il giorno. Da anonima stanza bianca, la barberia è oggi una vera sala da barba con design vintage, illuminazione realizzata con oggetti riciclati e una mostra... Bergamo: Salvini (Lega); imprenditore uccise ladro… non faccia un minuto di galera Agi, 6 marzo 2014 Il segretario federale della Lega Nord Matteo Salvini è arrivato oggi ad Arzago d’Adda per portare la propria solidarietà ad Antonio Monella, l’imprenditore condannato a sei anni e due mesi per avere ucciso un ladro, e per il quale è in corso una battaglia che unisce esponenti di Lega e Pd per fargli concedere la grazia o almeno gli arresti domiciliari. "È una battaglia di buonsenso non di politica - ha detto Salvini all’uscita - si tratta di difendere un lavoratore che difendeva la sua famiglia. Mentre il Parlamento svuota le carceri e fa uscire delinquenti veri noi vogliamo fare in modo che non faccia un giorno di carcere un padre di famiglia. Non ho mai incontrato a tu per tu Napolitano ma credo che per il signor Antonio mi toccherà farlo per perorare la causa e non fargli fare nemmeno sei minuti di galera". Immigrazione: Corte Ue; la detenzione interrompe la maturazione del tempo di soggiorno di Beatrice Migliorini Italia Oggi, 6 marzo 2014 I periodi di detenzione non possono essere presi in considerazione ai fini dell’acquisizione del titolo di soggiorno permanente. Tali periodi, infatti, interrompono la continuità necessaria al fine del rilascio del titolo. A stabilirlo, la Corte di giustizia dell’Unione europea che, con al sentenza nella causa C-378/12, ha interpretato la direttiva 2004/38/Ce relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare nel territorio degli stati membri. Il caso nasce a seguito del mancato rilascio, da parte delle competenti autorità inglesi, della carta di soggiorno a un cittadino nigeriano regolarmente coniugato. A fondamento del rifiuto, il fatto che l’uomo avesse trascorso gran parte dei cinque anni necessari all’ottenimento del titolo, in stato detentivo. L’interessato però, adito l’Upper tribunal di Londra (il tribunale competente in materia di immigrazione e diritto di asilo), asseriva che, avendo la moglie (anche lei non cittadina inglese) ottenuto il titolo di soggiorno permanente, ed essendo passati più dei cinque anni necessari, anche egli aveva diritto al rilascio della carta di soggiorno essendo irrilevante, a tal fine, il periodo trascorso in detenzione. Esaminata la richiesta il tribunale ha ritenuto opportuno rivolgersi alla Corte di giustizia chiedendo se "i periodi di detenzione possano essere presi in considerazione ai fini dell’acquisizione del titolo di soggiorno permanente". A tal proposito i giudici europei hanno preliminarmente fatto presente che "i cittadini dell’Unione che hanno soggiornato legalmente in via continuativa per un periodo di cinque anni nel territorio dello stato membro ospitante acquisiscono il diritto di soggiorno permanente. Tuttavia, per poter usufruire di questo vantaggio sulla base della presenza di un altro familiare sullo stesso territorio", ha spiegato la Corte, "è necessario che il soggetto abbia effettivamente trascorso continuativamente con il familiare il periodo necessario all’ottenimento del titolo di soggiorno. Tale principio è, inoltre, tanto più valido", ha concluso la Corte, "se la richiesta del titolo di soggiorno è indipendente dalla presenza di un familiare. Ciò che incide, in questo ultimo caso, infatti, è l’integrazione effettiva del soggetto sul territorio, integrazione che non può avvenire nei casi in cui si verifichi un prolungato periodo di detenzione". Immigrazione: Cie come ultima frontiera, un documentario li racconta di Luciana Borsatti Ansa, 6 marzo 2014 Storie scomode, volti giovani ma già scavati, sbarre alte a formare le pareti di una gabbia, e qualcuno che dice ‘"questa non è accoglienza, è sofferenza". Sono gli interni dimenticati dei Cie, Centri di identificazione ed espulsione, in cui le telecamere di Alessio Genevose e Raffaella Cosentino sono entrate per girare il documentario "EU 013 l’Ultima Frontiera", proiettato oggi in un incontro pubblico alla Camera. Girato all’aeroporto di Fiumicino, al porto di Ancona e nei Cie di Roma, Bari e Trapani, il film è il primo a documentare - grazie alla collaborazione del ministero dell’Interno - la vita nei Centri, dove ogni anno circa ottomila persone restano per un periodo che arriva fino a 18 mesi, in detenzione amministrativa. Immagini inedite che mostrano i retroscena del controllo delle frontiere italiane e la vita quotidiana nei Cie, e raccontano da sole, insieme alle testimonianze dei reclusi, il vuoto dell’attesa, il nulla in cui trascorrono i mesi, l’esasperazione che sfocia in violenza o lo sconforto che degenera in depressione o in tentativi di suicidio. Oppure in clamorosi gesti di protesta, come le bocche cucite al centro romano di Ponte Galeria. "Democrazia e diritti umani sono solo parole", denuncia uno degli irregolari intervistati, "voi avete paura", "ora la guerra è tra ricchi e poveri, tra il nord e il sud". I Cie come ultima frontiera, appunto. Istituiti come Ctp (Centri di permanenza temporanea e accoglienza) con la legge Turco-Napolitano nel 1998, per ospitarvi gli irregolari per un massimo di 30 giorni, queste strutture hanno successivamente visto un allungamento dei tempi di permanenza, prima a due mesi con la Bossi-Fini e poi fino a 180 giorni, e l’accentuarsi del loro carattere detentivo. Come strumenti per arginare l’immigrazione clandestina i Cie hanno però "clamorosamente fallito", ha detto Alberto Barbieri, dell’associazione Medici per i diritti umani, perché "sulle 6 mila persone transitate nel 2013, solo il 45% sono state poi effettivamente espulse". Quanto ai diritti umani, ha osservato, "si tratta di luoghi congenitamente incapaci di tutelarli - ha aggiunto - pronti ad esplodere come polveriere", e sono anche zone di "extraterritorialità sanitaria", dove anche un parere medico dell’Asl locale può essere disatteso. A finirvi sono ex detenuti, migranti appena sbarcati o altri cui il permesso di soggiorno è scaduto, minori e richiedenti asilo. La durata della permanenza non cambierà l’esito finale della loro vicenda, ma il loro mantenimento nei Cie, secondo le stime riportate dai due autori, è di 55 milioni di euro l’anno. La stessa Corte dei conti del resto - ricordano i promotori della campagna LasciateCientrare - rilevano una mancanza di trasparenza sui costi e le modalità di assegnazione degli appalti di gestione. "Servono una commissione di inchiesta della Camera sulla gestione dei centri e un decreto urgente per ridurre a due mesi i tempi di permanenza", ha osservato il deputato del Pd Khalid Chaouki, intervenuto alla proiezione con Celeste Costantino (Sel) e Tommaso Currò (M5S). Inoltre - ha proseguito il parlamentare italo-marocchino che nei mesi scorsi si è chiuso nel centro di Lampedusa per ottenerne lo sgombero in tempi brevi - bisogna cercare misure alternative al Cie". Non solo per i richiedenti asilo, ha precisato, ma per esempio anche per chi abbia già familiari in Italia o abbia perso il permesso di soggiorno insieme al lavoro. Droghe: Rapporto Dpa; in calo il consumo di sostanze, sempre meno i morti per overdose Tm News, 6 marzo 2014 Dal 2008 a oggi, in linea con l’andamento europeo, in Italia si riscontra un calo di consumi di sostanze stupefacenti nella popolazione generale 15-64 anni, rilevato attraverso indagini campionarie nazionali (studi SPS su circa 35.000 soggetti e GPS su 20.000), ma anche attraverso la determinazione dei metaboliti delle droghe nelle acque reflue (dato rilevato in 17 città campione dallo studio effettuato dall’ Istituto Mario Negri) che ha rilevato il calo delle concentrazioni di queste sostanze. È uno dei dati del report "La valutazione nel lungo periodo dell’andamento dei consumi di sostanze stupefacenti in Italia" elaborato dal Dipartimento politiche antidroga (Dpa). D’altra parte, sottolinea di Dpa, "lo studio recente del 2013 condotto sul consumo di sostanze psicotrope tra gli studenti delle scuole secondarie di secondo grado (su un campione di 34.385 soggetti di età compresa tra 15-19 anni) evidenzia in controtendenza generale un aumento dei consumi (una o più volte negli ultimi 12 mesi) soprattutto della cannabis (19.1 nel 2012 vs 21.5% nel 2013), con lievi variazioni anche per cocaina (1,86% nel 2012 vs 2,05% nel 2013), ecstasy (0.82% nel 2012 vs 0.97% nel 2013), amfetamine (0.58% nel 2012 vs 0.75% nel 2013) e allucinogeni (1.72% nel 2012 vs 2.13% nel 2013). Presso ché stabile la prevalenza di consumatori di eroina (0.32% nel 2012 vs 0.36% nel 2013) e di alcol (76.9% nel 2012 vs 76.4% nel 2013)". Se confrontiamo la posizione italiana nel panorama europeo secondo quanto riportato dall’Osservatorio Europeo Emccda nel 2013, dice ancora il Dipartimento politiche antidroga, l’Italia risulta al 15 posto per il consumo di cannabis nella popolazione tra i 15 e 24 anni, al 16 posto per cocaina e al 24 posto per amfetamina. Inoltre sempre per valutare il posizionamento della realtà italiana messa a confronto con le altre realtà europee, basandosi però su dati di laboratorio e non su stime ipotetiche o modellistiche più o meno affidabili, riportiamo lo studio dell’Istituto Mario Negri nelle 19 città europee e in 11 nazioni (Norvegia, Belgio, Repubblica Ceca, Spagna, Finlandia, Francia, Gran Bretagna, Croazia, Olanda, Svezia), dove l’Italia è stata rappresentata da Milano (città ad alta prevalenza di uso rispetto alla media nazionale) e dove il nostro paese risulta essere al nono posto per i consumi di cocaina, al 10 posto per i consumi di cannabis, al 15 posto per anfetamine, al quinto posto per metamfetamine e all’11 posto per consumo di ecstasy. Tra il 1999 e il 2000 morivano in Italia per intossicazione acuta da droga oltre 1.000 persone all’anno: ad oggi (dato aggiornato al 2013) c’è stato un fortissimo decremento con 313 deceduti per overdose in tutto l’anno, a fronte di un trend europeo che continua ad essere elevato. Per quanto riguarda le persone tossicodipendenti in carcere, nel periodo 2012-2006 (periodo della legge Jerovolino-Vassalli) gli ingressi dei tossicodipendenti in carcere erano mediamente di 24.500 all’anno: secondo l’ultimo dato disponibile del 2012 tale numero si è ridotto a 18.285. Per la violazione del Dpr 309/90 (legge sulla droga) tra il 2001 e il 2006 si sono registrati circa 24 mila ingressi l’anno. All’ultimo dato disponibile (2012) tale cifra era calata a 21.285 soggetti, con un decremento medio di circa 3000 persone. Il numero dei tossicodipendenti usciti dal carcere usufruendo delle misure alternative e inseriti in percorsi riabilitativi e di recupero è passato da 758 nel 2002 a 1578 nel 2012, con un trend di lungo periodo sempre positivo. Stati Uniti: "Miracle Village", il paese dove vivono solo criminali sessuali www.giornalettismo.com, 6 marzo 2014 La comunità in Florida ospita quelle persone che per i loro reati non riuscirebbero mai a trovare una casa ed un lavoro. Miracle Village, così si chiama questo paesino situato nei pressi di Pahooke, in Florida, ha un nome che suona come idilliaco, ma nessuno viene in questo centro abitato per divertirsi o rilassarsi, visto che in questo posto abitano solamente persone condannati per reati di natura sessuale che non verrebbero accettati da nessun’altra comunità. Pat Powers, che risiede nella comunità e la amministra ha detto che "Ad oggi vi risiedono tra le 115 e le 120 persone". L’uomo, che oggi ha 65 anni ha passato 12 anni in carcere per aver abusato sessualmente di un bambino, riporta Die Welt. Inizialmente le piccole case bianche del villaggio erano state costruite per ospitare gli stagionali provenienti dai caraibi che lavoravano nelle vicine piantagioni di canna da zucchero. L’esperienza di Miracle Village ha inizio nel 2009 quando l’organizzazione umanitaria cristiana Matthew 25 Ministries ha deciso di dare il via ad un progetto di edilizia abitativa nel villaggio ormai fatiscente per ospitare le persone che avevano commesso crimini di natura sessuale. Powers ha detto che all’inizio il posto brulicava di ratti, ora la maggior parte delle case sono state restaurate e ora l’uomo - che va in terapia una volta a settimana - sta lavorando per rimettere a nuovo il tetto della chiesa. "Nessuno viene costretto a vivere qui", ha detto Powers, ma la maggior parte dei residenti non ha scelta, visto che in Florida chi è stato condannato per reati a sfondo sessuale non può abitare a meno di 300 metri dai parchi e dalle scuole. Inoltre, quasi nessuno è disposto a dare un lavoro o affittare una casa a persone con dei precedenti del genere, visto che dal 1997 lo stato americano pubblica in internet tutti i nomi delle persone condannate per questo tipo di reato, riportando anche l’indirizzo e la foto dei diretti interessati. Per questo motivo si stima che molte di queste persone vivano in strada. David Woods, un altro abitante della comunità racconta che quando va al supermercato a fare la spesa si sente una preda, visto che i negozi hanno la sua foto segnaletica "Una volta che sei stato messo nel registro ci rimani per tutta la vita, anche dopo la morte". Woods ha detto di aver accettato questa punizione, ma crede che per le persone più giovani questa regola debba essere rivista. Matthew Richey ad esempio ha 19 anni ed è stato condannato quando ancora era minorenne per essere andato a letto con la sua fidanzata 15 enne. Richey ritiene che sia ingiusto il fatto che lui compaia in una lista composta da 40.000 pedofili e stupratori "Non importa per quale reato siate stati condannati, verrete trattati sempre come dei pedofili e accusati delle peggiori atrocità, visto che non viene fatta nessuna distinzione", ha detto Richey. Il registro doveva avere lo scopo di dare informazioni alla comunità per proteggerla dai predatori sessuali, ma i critici sostengono che in questo modo le autorità impediscono la riabilitazione dei detenuti. "Le persone vengono punite, ma quando escono di prigione non vengono più controllate, impedendo di fatto il reinserimento nella società", spiega Sandy Roezek dell’assocazione "Reform Sex Offender Laws. Ritiene inoltre che le persone messe sul registro vengano trattate come "subumani" e che sia "scientificamente provato il fatto che la reintegrazione di questi soggetti mantiene basso il loro livello di recidività". Nordcorea: 33 persone saranno condannate a morte per aver frequentato un missionario Ansa, 6 marzo 2014 Saranno condannate a morte per aver avuto contatti personali con un missionario, il pastore battista Kim Jung-wook. Si tratta di 33 cittadini della Corea del nord, prossime vittime della follia sanguinaria del dittatore Kim Jong-Un ormai noto al mondo per il pungo di ferro con cui, ancor peggio dei suoi predecessori, governa il suo paese. Un recente documento delle Nazioni unite ha definito il regime comunista nord coreano autore di crimini contro l’umanità pari a quelli del nazismo. Il caso che riguarda questo missionario è molto poco chiaro. L’uomo, detenuto nelle carceri del paese dallo scorso ottobre, ha recentemente tenuto una dichiarazione pubblica in cui si è auto accusato di essere penetrato nella Corea del nord per convertirla al cristianesimo e abbattere l’attuale regime. Naturalmente ci sono molti dubbi su quanto ha detto: secondo un’altra versione l’uomo sarebbe stato invece rapito da agenti nordcoreani al confine con la Cina. I motivi stessi del rapimento non sarebbero chiari: forse un’azione preventiva in accordo con gli alleati cinesi, o forse il bisogno di creare un capro espiatorio per giustificare la repressione in atto. Sta di fatto che 33 persone, accusate di aver avuto contatti con il pastore, sono già state condannate alla pena di morte. In Corea del nord è detenuto dal 2012 un altro pastore, di nazionalità americana, Kenneth Bae, arrestato mentre stava portando in giro per il paese alcuni turisti, e di cui non si sa quasi più nulla se non che è sempre rinchiuso in carcere. È stato condannato a 15 anni di carcere e di lavori forzati. Kosovo: leader serbo Ivanovic, in carcere non sono al sicuro Nova, 6 marzo 2014 Il leader dell’iniziativa civica Srbija, Demokratija, Pravda (Serbia, democrazia e giustizia, Sdp) Oliver Ivanovic ha dichiarato di non sentirsi al sicuro nella struttura carceraria di Pristina in cui si trova in regime di custodia cautelare. In una lettera pubblicata dal quotidiano "Politika", il leader serbo kosovaro ha protestato contro il rifiuto, pronunciato per la terza volta dalla magistratura kosovara, di consentire il suo trasferimento nel penitenziario di Mitrovica. Ivanovic ha precisato di essere circondato da persone esclusivamente di etnia albanese, e di non utilizzare neppure il diritto all’uscita nel cortile per motivi di sicurezza. La situazione, ha spiegato ancora Ivanovic, lo ha spinto a decidere di avviare lo sciopero della fame come annunciato ufficialmente nella giornata di ieri. Il sostegno del governo serbo, ha osservato il leader dell’iniziativa civica, è di grande significato, ma "evidentemente", ha aggiunto, non è abbastanza. "Per questo - ha proseguito - devo abbracciare questo tipo di protesta e prestare attenzione alle ingiustizie che vengono attuate contro la mia persona". Il 27 febbraio è stato prolungato di due mesi il regime di custodia cautelare per Oliver Ivanovic, arrestato un mese prima dagli agenti di Eulex, la missione dell’Unione europea in Kosovo. Ivanovic è sospettato di crimini contro la popolazione di etnia albanese, commessi fra il 1999 e il 2000.