Giustizia: la strada stretta per la legalità e l'umanità nelle carceri di Danilo Paolini Avvenire, 5 marzo 2014 Il bicchiere è mezzo pieno perché, in tempi di grave discredito per le istituzioni, l’assemblea della Camera è riuscita a evitare la vergogna di non onorare con un dibattito l’accorato messaggio del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano sull’emergenza carceri. La metà vuota del bicchiere è rappresentata dall’enorme ritardo con cui ciò è avvenuto: cinque mesi. È vero, nel mezzo ci sono stati un cambio di maggioranza, una crisi di governo e il varo di un nuovo esecutivo, oltre ai tanti consueti "fuoriprogramma" (potrebbe sembrare un ossimoro, purtroppo non lo è) di questa nostra Italia senza pace. Ma, non ci stancheremo mai di scriverlo, quella del sovraffollamento e delle condizioni carcerarie non è e non può essere considerata una questione di serie B. È invece un’urgenza che investe la dignità di decine di migliaia di donne e di uomini, detenuti e operatori nei nostri istituti di pena, che non sono mai numeri di una statistica, e mette in gioco la possibilità di chiamare ancora il nostro uno Stato di diritto. Per il momento, e non da ieri, questa possibilità sembra in tutta franchezza sospesa per molti motivi, inerenti non soltanto l’esecuzione delle pene ma anche il processo penale e quello civile. Ieri la presidente della commissione Giustizia di Montecitorio Donatella Ferranti (Pd) ha assicurato, aprendo il dibattito sul messaggio di Napolitano, che "siamo sicuramente sulla buona strada" per portare il numero dei detenuti in carcere sotto il livello della capienza massima regolamentare, che è di 47.857. Il problema è che la strada, seppur "buona", è stretta e lastricata di "se". Il traguardo ideale, proprio perché stiamo parlando di persone, sarebbe ovviamente... ieri. Quello fissato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo è il 28 maggio: tra 83 giorni, se il problema non sarà risolto, i giudici di Strasburgo cominceranno ad applicare la sentenza-pilota "Torreggiani e altri Vs Italia" dell’8 gennaio 2013. Riconosceranno, cioè, il diritto a un risarcimento in denaro a tutti i reclusi (prevedibilmente tanti) che ricorreranno per "trattamento disumano o degradante". I numeri non inducono all’ottimismo, visto che venerdì scorso il numero dei detenuti si attestava a 60.828. Ancora (almeno) 13mila di troppo. Non a caso la fiducia della relatrice Ferranti è agganciata a due auspici: che le Camere approvino "entro marzo la riforma della custodia cautelare e il provvedimento sulla messa alla prova e sulla detenzione domiciliare"; che "subito dopo", ovvero in aprile, il governo dia "un quadro complessivo ed effettivo" degli interventi di politica carceraria. Tanti "se", appunto. Ma poniamo anche che tutto vada per il verso giusto. Ci troveremmo a un mese o poco più dalla scadenza europea con tutte le carte già giocate. Indulto e amnistia infatti - per eccessiva frammentazione, carenza di volontà politica e ragioni di opportunità - sembrano interventi fuori dalla portata di questo Parlamento. Né c’è da sperare nella creazione, a breve, di altri spazi di detenzione tramite la costruzione di nuovi edifici o la ristrutturazione di quelli esistenti. Insomma, per adesso le celle sono ancora troppo piene. E il bicchiere, si diceva, lo è solo per metà. Reale, per il momento, resta il rischio di doverlo riempire a fine maggio con una mistura amara: un’ulteriore perdita di credibilità internazionale del nostro Paese (e davvero non se ne avverte il bisogno) mescolata con milioni di euro da impiegare in risarcimenti (idem come sopra). Perciò chi deve fare i conti li faccia bene. Anche quei 156 deputati che ieri mattina hanno disertato dibattito e votazione. Giustizia: la Camera affossa l’amnistia e l’indulto, "liquidato" il Messaggio di Napolitano di Eleonora Martini Il Manifesto, 5 marzo 2014 Quattro ore di dibattito liquidano il messaggio al Parlamento di Giorgio Napolitano. Nella relazione approvata, la via per arrivare all’appuntamento con Strasburgo. Cinque mesi a bagnomaria, mezza giornata di svogliata cucina veloce e il problema del messaggio alle camere inviato da Giorgio Napolitano l’8 ottobre scorso è risolto. Dopo quasi tre anni di moniti e grida d’allarme sulla "prepotente urgenza" del sovraffollamento carcerario, la Camera ha liquidato ieri l’invito del capo dello Stato a ricorrere a provvedimenti di amnistia e indulto per ripristinare la condizione di legalità del sistema giudiziario, con poche righe inserite in una relazione messa a punto dalla commissione Giustizia e approvata in Aula dalla maggioranza dei deputati (325 sì, 107 contrari e 42 astenuti) in cui si dà semplicemente atto dello studio sulle conseguenze di un eventuale provvedimento di clemenza generalizzata. Bocciate invece, col parere contrario del governo espresso dal viceministro di Giustizia Enrico Costa del Ncd, le altre risoluzioni più nettamente favorevoli all’amnistia e all’indulto. Ma soprattutto, con il no esplicito della responsabile giustizia del Pd, Alessia Morani, che conferma la linea di Matteo Renzi, è ormai evidente che "una maggioranza per i provvedimenti di clemenza non c’è", come fa notare il deputato Daniele Farina di Sel. "Abbiate il coraggio di dire - scandisce in Aula Farina - che non si farà né amnistia né indulto: fate capire al presidente della Repubblica che ci avete messo una pietra sopra". Fuori, in piazza Montecitorio, a protestare contro la mala piega che ha preso il dibattito parlamentare c’è anche un piccolo gruppo di Radicali capitanati da Marco Pannella e da Rita Bernardini. "La relazione della commissione Giustizia letta dalla presidente del Pd Donatella Ferranti è di fatto un filtro - attacca la segretaria di Radicali italiani - dove si dimentica di dire che le riforme strutturali che il capo dello Stato ha indicato valgono per il futuro mentre per il presente non c’è che un provvedimento di clemenza. Nella relazione - aggiunge Bernardini - non si valutano indulto e amnistia, ci si limita a dire con statistiche precise di quelli che sono rientrati in carcere dopo l’indulto del 2006, ma omettendo di paragonarli a quelli che invece non avendo usufruito di alcun provvedimento di clemenza recidivano più del doppio". Paradossalmente invece i provvedimenti clemenziali erano invocati apertamente nella risoluzione di Forza Italia che però infilava tra le misure più urgenti l’agognata "riforma del sistema delle intercettazioni telefoniche". La bocciatura della risoluzione ha dato l’occasione per un pò di sana lotta intestina (via stampa parlamentare) tra i deputati di Renato Brunetta - che hanno rinfacciato al viceministro Costa di "rinnegare il programma elettorale con cui Alfano è stato eletto" - e i cugini del Ncd che hanno lasciato agli atti delle cronache "il banco vuoto" del capogruppo di Forza Italia al momento decisivo del voto. Messe da parte le note di colore, rimane il chiaroscuro dell’intervento di Morani: "Il Pd ritiene i provvedimenti di clemenza inefficaci. La via della clemenza è un alibi per la politica che non vuole fare scelte strutturali", ha detto in Aula la responsabile di Giustizia democratica che ha elencato le azioni da intraprendere per affrontare la questione a tutto tondo "e non solo l’emergenza carceraria", partendo da quella "situazione intollerabile del 40% dei detenuti in carcerazione preventiva". Per Morani si deve per esempio pensare a far scontare la pena nei Paesi d’origine ai cittadini stranieri; rivedere la normativa sullo spaccio; destinare risorse ai Sert, per il lavoro in carcere, per gli assistenti sociali e gli educatori, o per la polizia penitenziaria in continua carenza di organico. È, in estrema sintesi, anche la via tracciata da Ferranti nella relazione della commissione Giustizia per arrivare almeno con una parte di compiti a casa fatti all’appuntamento del 28 maggio con la Corte europea dei diritti umani. Il lavoro sarebbe in alto mare se non ci fosse stata la Corte costituzionale che ha bocciato la legge Fini-Giovanardi sulle droghe e ha permesso così un rallentamento di fatto degli ingressi in carcere, visto che uno su tre dei detenuti attuali è dentro per quelle norme incostituzionali. Un’altra serie di piccoli interventi correttivi è contenuta nel decreto Cancellieri appena varato in Parlamento e nei prossimi mesi è previsto il recupero di alcune migliaia di posti letto regolamentari indisponibili attualmente per ristrutturazioni edilizie in atto. Sarà così che si cercherà di ottenere da Strasburgo almeno un rinvio al termine ultimo per ottemperare a quanto stabilito dalla sentenza Torreggiani. La speranza, rinvigorita dai contatti finora avuti tra i Guardasigilli italiani e il presidente della Corte europea Dean Spielmann, è di poter così evitare il ricorso all’amnistia e all’indulto. Giustizia: le carceri sono sovraffollate… ma l’aula della Camera è deserta di Dimitri Buffa Il Tempo, 5 marzo 2014 La Camera dopo un dibattito "per pochi intimi" approva la mozione Intanto alla Corte europea pendono tremila ricorsi di detenuti. Il copione è quello già visto tante volte: l’aula semivuota per tutto il corso del dibattito, anche se il tema era il messaggio di Giorgio Napolitano su giustizia e carceri e risaliva al 7 ottobre scorso. Poi un pò di deputati che affluiscono giusto per votare la mozione della relatrice di maggioranza, la deputata Donatella Ferranti del Pd, presidente della commissione giustizia alla Camera ed ex magistrato. Così si liquida la pratica ingombrante e chi s’è visto, s’è visto. Tanto non saranno costoro a risolvere i problemi dell’Italia con la Corte europea dei diritti dell’uomo. Nè forse lo vorrebbero pure se potessero. In questa maniera nel primo pomeriggio l’aula della Camera ha approvato, con i voti dei deputati della maggioranza e di Sel, la mozione sulle carceri messa a punto dalla commissione Giustizia a seguito del messaggio inviato alla Camere in materia dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Alla fine i voti a favore sono stati 305, i contrari 107. Gli altri duecento e passa deputati che farebbero parte del consesso di Montecitorio non c’erano neppure al momento del voto. Quindi il progetto costituzionale del Pdl di ridurre il numero a 400 si dimostra una volta di più quello giusto. Se mai fosse stato approvato a suo tempo dagli elettori nel referendum confermativo. Per il resto il dibattito si è svolto sulla consueta falsa riga dei vasi non comunicanti: da una parte i forcaioli di destra e di sinistra, sempre pronti a usare queste situazioni per curare il proprio bacino elettorale (in ispecie Cinque stelle e Lega) dall’altra i pochi garantisti trasversali ai due schieramenti, tra i quali merita una particolare menzione Fabrizio Cicchitto del Nuovo centro destra che ha detto una cosa sacrosanta: "Come mai ci sentiamo vincolati ai dettati e ai dettami europei solo in materia economica ma quando ci danno un ultimatum sui diritti umani dei detenuti facciamo finta di niente?". Quasi tutti hanno cercato di dare la colpa a chi ha creato questa atmosfera di invivibilità carceraria e di imbarbarimento della giustizia con le tantissime leggi emergenziali e gli ormai innumerevoli pacchetti sicurezza. Di destra e di sinistra. Particolarmente evocata la legge Fini-Giovanardi, che ora che è stata dichiarata incostituzionale lascia aperti interrogativi e tanti ricorsi incidentali in Cassazione per il ricalcolo della pena di quasi diecimila persone. L’unica sorpresa nella mozione finale e soprattutto nell’intervento in aula di Danilo Leva, ex responsabile giustizia del Pd, è venuta da questa ambigua apertura a provvedimenti di clemenza. Che sembra essere avvenuta a insaputa di Matteo Renzi e forse mediante la sapiente "moral suasion" di Napolitano. Il cui discorso in realtà non è stato dibattuto in quanto tale. Ma come rielaborazione riveduta e scorretta operata proprio dalla Ferranti in Commissione giustizia. Cosa che poi aveva suscitato le ire dei radicali, a cominciare da Marco Pannella e Rita Bernardini. Senza il cui pressing la calendarizzazione del dibattito non sarebbe forse mai avvenuta. E che aveva detto in aula Leva? Riferendosi allo svuota carceri, alle riforme sulla custodia cautelare in itinere e persino ai braccialetti elettronici, aveva affermato che "..siamo sicuramente sulla buona strada e abbiamo compiuto metà del nostro cammino...". Poi una domanda retorica inattesa: "Ma tutto questo è sufficiente? Tutto questo è sufficiente ad allineare alla data del 28 maggio, tra meno di due mesi, i nostri istituti di pena agli standard europei? È sufficiente ad allineare i nostri istituti di pena alle indicazioni contenute nella sentenza Torreggiani? Siamo sinceri fino in fondo, io credo di no...". Con un simile auto assist il discorso non poteva che prendere la piega tanto perorata da Napolitano: "E, allora, perché non discutere del ricorso ad un provvedimento straordinario di clemenza?". Erano le 11 passate di ieri mattina quando con questo periodo, messo in coda al proprio intervento in aula, l’ex responsabile del Pd del settore giustizia, Danilo Leva, apriva a indulto e amnistia, proprio come richiesto nel messaggio originale di Giorgio Napolitano alle camere dello scorso 7 ottobre. Si badi bene che Leva è lo stesso che all’indomani del messaggio di Napolitano si affrettò a dichiarare alle agenzie che lui era contrarissimo a provvedimenti di clemenza. Le scuole di pensiero su questo mini colpo di scena sono due, non necessariamente incompatibili: la prima sostiene che all’epoca Leva volesse accreditarsi con Renzi che poi gli ha preferito Alessia Morani e quindi oggi è partito lo sgambetto. La seconda ha a che fare con la suddetta "opera di persuasione" quirinalizia. Innescata anche dalla scelta operata dalla Camera di discutere non esattamente il messaggio alle camere di Napolitano ma la sua rielaborazione filtrata, riveduta e scorretta, escogitata nelle scorse settimane dalla Commissione giustizia. Dulcis in fundo, nel quadro surreale di un dibattito scomodo svoltosi per ore in un’aula semivuota o quasi, Donatella Ferranti, presidente di suddetta commissione, ha compiuto anche un’indimenticabile gaffe logico-semantica. Durante la propria esposizione infatti, parlando di ciò che attenderebbe l’Italia dopo il 28 maggio, quando la Corte europea dei diritti dell’uomo potrebbe emanare sentenze esemplari raffica per ciascuno dei 3 mila ricorsi pendenti da parte di detenuti che vivono in galera come le bestie, ha detto che "in teoria ciascuno dei 20 mila carcerati in eccesso oltre i 43 mila della capienza regolamentare potrebbe fare causa in Europa". Rita Bernardini che fuori da Montecitorio stava in presidio con altri militanti radicali è sobbalzata dalle risa: "perché solo i 20 mila in eccesso e gli altri?" Già, e poi come si fa a sapere chi è in eccesso rispetto a chi? Vige forse la regola del "chi tardi arriva male alloggia"? O quella che "chi per primo si alza si veste"? Giustizia: Forza Italia e Ncd vogliono l’amnistia, il Pd è diviso, contrari i renziani di Francesco Grignetti La Stampa, 5 marzo 2014 Finalmente il Parlamento affronta il tema dolente delle carceri. A distanza di mesi dal messaggio del Presidente della Repubblica - era l’ottobre scorso quando Napolitano scrisse alle Camere che il sistema penitenziario era al collasso e che occorrevano misure, anche straordinarie, per recuperare dignità e anche evitare le sanzioni europee - i partiti hanno finalmente tirato fuori le loro idee. E per la prima volta sono venuti allo scoperto i sostenitori dell’amnistia. Una geografia a macchia di leopardo. A favore sono Forza Italia e Ncd, ma anche Sel, e singoli esponenti del Pd o centristi. Fuori dal Parlamento, i Radicali. Contro sono grillini, leghisti, FdI, e soprattutto il Pd di Renzi. Con il che, anche se i penalisti ancora ci sperano e annunciano che faranno esplicita richiesta al ministro della Giustizia, Andrea Orlando, è ormai chiaro che in Parlamento l’amnistia non ha in numeri per vedere la luce. Di qui la decisione di puntare tutto su riforme strutturali quali la messa in prova, la nuova custodia cautelare, il ricorso ai domiciliari, la liberazione anticipata speciale, l’espulsione dei detenuti stranieri quando mancano due anni alla fine della pena. Donatella Ferranti, la presidente della commissione Giustizia, Pd, da tempo sa che la crisi del sovraffollamento carcerario non si sarebbe affrontata con provvedimenti straordinari di clemenza. Eppure è ottimista. "Mi sento di dire - ha concluso il suo intervento, zeppo di numeri, per illustrare lo stato delle carceri e le prospettive del futuro prossimo - che sicuramente siamo sulla buona strada, con misure strutturali in linea anche con i più recenti studi empirici, secondo i quali, per ridurre il rischio di recidiva, occorre puntare su misure alternative alla detenzione". In effetti i numeri sono meno impressionanti di un anno fa: in carcere ci sono circa 62 mila detenuti a fronte di 48 mila posti. Sono molto aumentati i detenuti ai domiciliari. C’è poi da considerare la sentenza della Corte costituzionale che ha demolito la legge Fini-Giovanardi, con ricadute ancora non quantificabili. Secondo il ministero della Giustizia, nel giro di qualche mese i detenuti dovrebbero attestarsi sui 55-58 mila e i posti-letto crescere di qualche migliaio. Entro maggio la forbice sarebbe meno divaricata di prima e forse la corte europea non ci condannerà. Forse. A prescindere dalla questione delle sanzioni europee, però, il dibattito parlamentare per una volta s’è acceso sulla questione di fondo: amnistia sì o no? Il tema divide innanzitutto il Pd. Alessia Morani, responsabile Giustizia, di area renziana, chiude la porta: "Non perché siamo ideologicamente contrari a provvedimenti di clemenza, ma perché riteniamo questi provvedimenti inefficaci. Ad esempio, per quanto riguarda l’indulto del 2006, è stato riscontrato che la popolazione carceraria è tornata al dato di partenza prima dello scadere del terzo anno. Il ricorso ai provvedimenti di clemenza è un alibi per la politica che non vuole decidere". Danilo Leva, di area bersaniana, pur sostenendo il pacchetto, è pessimista. Pensa che non ci sia abbastanza tempo per vedere i frutti delle riforme: "Siamo sinceri fino in fondo, io credo di no. Alcune di quelle misure devono ancora vedere l’approvazione in via definitiva. Altre agiranno pro futuro. Allora perché non discutere del ricorso ad un provvedimento straordinario di clemenza? Discutiamone con serenità". Prova di mediazione da parte di Walter Verini, il capogruppo Pd in commissione Giustizia: "Sono inaccettabili e da respingere forme di pregiudizio forcaiolo nei confronti di amnistia e indulto". Giustizia: il Pd affossa indulto e amnistia. La Morani: per noi la clemenza è inefficace… di Liana Milella La Repubblica, 5 marzo 2014 Discussione "intima" per amnistia e indulto alla Camera. Napolitano ha mandato il messaggio nel lontano 7 ottobre 2013. "Tempestivamente" i deputati rispondono, ma per ore sono una quarantina. Classico emiciclo vuoto. Si riempie per il voto, 325 per la relazione della Pd Donatella Ferranti, la presidente della commissione Giustizia. Con lei stanno i Dem, gli alfaniani, i vari centristi, 107 contrari (l’M5S), 42 astenuti (Forza Italia). Non c’è il Guardasigilli Andrea Orlando, volato a Bruxelles per il primo impegno internazionale con i colleghi Ue, al banco del governo il vice ministro Enrico Costa e il sottosegretario Cosimo Ferri. Amnistia e indulto finiscono nel cassetto, pur sollecitati da Napolitano come la risposta più rapida alla catastrofe cui sta per andare incontro l’Italia per la condanna della Corte di Strasburgo sul sovraffollamento, mannaia al 28 maggio per i risarcimenti da migliaia e migliaia di euro. Il colpo di grazia glielo dà la responsabile Giustizia del Pd, la renziana Alessia Morani. Il Pd si divide, perché per una Morani contraria, c’è il predecessore, il bersaniano Danilo Leva, che è favorevole. Non potrebbero parlare lingue più diverse. Morani: "Per il Pd la clemenza è inefficace. È un alibi per la politica che non vuole fare scelte strutturali". Amnistia e indulto affondati. Ma ecco Leva: "Non può essere un tabù discutere di un provvedimento straordinario di clemenza. Facciamolo con serenità, senza derive ideologiche". Il Pd è il partito di Luigi Manconi, che al Senato ha presentato un progetto per indulto e amnistia. Ma quando parla Ferranti si capisce che la scelta del partito è tutt’altra. Parlano i numeri catastrofici dell’indulto 2006, al 31 luglio 60.710 detenuti, un mese dopo 38.326, ma tornano 55.057 a giugno 2008. Dice Ferranti: "È una questione meramente politica, che il legislatore effettua tenendo conto della gravità dei reati e dell’allarme sociale suscitato". Il Pd, chiaramente, o almeno il Pd renziano, non regge proprio "l’allarme sociale". Serve a poco che Ncd sia favorevole ("Non ci spaventano indulto e amnistia"), con un Fabrizio Cicchitto che ancora difende "le leggi ad personam fatte per Berlusconi contro le iniziative ad personam dei magistrati". La linea è "la buona strada" indicata da Ferranti, tutte le leggi e leggine svuota- carcere. Edmondo Cirielli lancia la commissione d’inchiesta shock sul mancato adeguamento delle carceri. Protestano i Radicali (Pannella, Bernardini) per l’occasione mancata. Protesta Sel. Ma a Napolitano hanno sbattuto la porta in faccia. Giustizia: né indulto né amnistia per l’emergenza carceri di Luca Liverani Avvenire, 5 marzo 2014 Alla fine, cinque mesi dopo l’appello del Quirinale, Montecitorio discute il messaggio sull’emergenza carceri di Giorgio Napolitano . E formalmente lo approva. Ma "dissinnesca" il suggerimento del capo dello Stato di "considerare", oltre alle riforme avviate, "l’esigenza di rimedi straordinari" per "intervenire nell’immediato". Cioè indulto e amnistia, come proposto da Napolitano il 7 ottobre 2013. Ma alla disponibilità di Ncd e Popolari per l’Italia fa argine il Pd: servirebbe "un’assunzione di responsabilità politica - frena la relatrice Donatella Ferranti - di cui bisogna essere ben consapevoli". Se il decreto Cancellieri e le riforme in pista arriveranno e otterranno i risultati sperati - è la linea del Pd - l’Italia riuscirà a rispettare la data del 28 maggio, termine dato dalla Corte europea per ridare dignità ai penitenziari. Se tutto va bene, dunque. Ma di interventi straordinari il partito di maggioranza relativa non vuol sentir parlare. L’aula approva la relazione della Ferranti con 325 sì (anche di Sel), 107 no e 42 astenuti. La relatrice auspica quindi che si approvi "entro marzo la riforma della custodia cautelare e il provvedimento su messa alla prova e detenzione domiciliare". E che "subito dopo", ad aprile, il governo fornisca "un quadro complessivo ed effettivo dell’applicazione dei nuovi interventi normativi". Insomma, grazie al decreto Cancellieri convertito dalle Camere "siamo sicuramente sulla buona strada", è l’analisi ottimistica della deputata, anche se "occorre affiancare le misure strutturali con l’attuazione definitiva del piano carceri". Quanto alle misure straordinarie evocate a suo tempo dal presidente Napolitano, la relatrice parla di "responsabilità politica di cui bisogna essere ben consapevoli". E che ben pochi hanno voglia di assumersi. Tra questi c’è Gian Luigi Gigli, dei Popolari per l’Italia: "Non dobbiamo avere timore di pensare, seppure come extrema ratio, a interventi straordinari come l’indulto e l’amnistia. Diversamente dal passato, potrebbero davvero risolvere il problema del sovraffollamento. L’amnistia avrebbe anche il benefico effetto di ridurre il carico processuale". Concorda il Ncd: "Strumenti straordinari come l’indulto e l’amnistia non ci spaventano, e vanno presi in considerazione", sottolinea Fabrizio Cicchitto. È lo "scatto d’orgoglio" auspicato dall’Unione delle camere penali, che registra "l’apertura di alcune forze politiche" di maggioranza e "anche di diversi esponenti" del Pd, ma anche, purtroppo, la chiusura della responsabile giustizia" del Pd. Netta la posizione di Fratelli d’Italia. "Condivido in pieno l’analisi fatta dal capo dello Stato - dice Edmondo Cirielli - su un sistema carcerario vergognoso. Ma non ne condivido le conclusioni: da venti anni invece di intervenire sulle carenze strutturali si è preferito scaricare sui cittadini e sulle vittime queste inadempienze". Durissima l’opposizione della Lega Nord: "Per la sinistra e il governo la priorità è l’indulto - è l’opinione di Nicola Molteni - per noi invece la sicurezza dei cittadini". Giustizia: i Radicali continuano a battersi per le carceri, mentre la politica litiga sulle sciocchezze di Massimo Melani www.totalita.it, 5 marzo 2014 Ormai siamo a meno di 90 giorni dall’ultimatum che - con la sentenza Torreggiani - la corte europea dei diritti dell’uomo ha dato al nostro Paese per riportare nella legalità la situazione delle carceri. Dal 28 maggio prossimo, infatti, la Corte sarà tenuta a prendere in esame le centinaia di ricorsi depositati da detenuti italiani e tornerà a condannare l’Italia, come ha già fatto numerose volte, per violazione dell’articolo 4 (Proibizione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti. Nessuno può essere sottoposto a tortura, né a pene o trattamenti inumani o degradanti) della Carta europea dei diritti dell’uomo, ovvero quello che va sotto il titolo "tortura". "Abbiamo contato gli anni, ora contiamo i giorni", con tale comunicato la segretaria di radicali italiani Rita Bernardini si rivolge a tutti i cittadini, affinché in ogni casa possa entrare lo straziante grido d’aiuto di quei carcerati che vivono in condizioni disumane, indescrivibili, insopportabili soprattutto per quei carcerati rinchiusi in cella per reati minori o assolutamente innocenti, ma in attesa di giudizio. La Bernardini ha chiesto uno sciopero della fame generale che impegni tutti i militanti del partito, le famiglie dei detenuti, le persone toccate da questo bubbone pestilenziale, a tutti i membri delle comunità penitenziarie; una lotta assolutamente nonviolenta che mobiliti le coscienze dei cittadini italiani. All’iniziativa hanno già aderito quasi 1.000 persone in tutt’Italia che si alterneranno a digiunare in staffetta, ma di questa imponente, grandiosa iniziativa tutti i media tacciono perché più interessati ai Tweet demenziali di Renzi, o alle pagina da dedicare al film vincitore dell’Oscar; di amnistia e indulto neanche una sola parola. C’è da mettere in preventivo, e da stamparcelo bene in mente, che con questa magistratura tutti sono a rischio, tutti, nessuno escluso. Da più di due anni i Radicali, portano avanti una battaglia per scrivere la parola fine a quella che definiscono una "flagranza di reato" da parte di uno Stato che né è il primo carnefice, killer sotterraneo di quasi 800 detenuti suicidi, di oltre 100 agenti di polizia penitenziaria suicidi, di centinaia di morti da accertare. E questa mattanza continua indisturbata senza che nessuno, a parte i soliti, intervenga. Solo i Radicali, da anni e anni, si stanno impegnando con tutte le loro forze nel cercare interlocutori istituzionali che destino l’attenzione del Parlamento per questa emergenza infinita, mai risolta delle patrie galere. Uno di loro è lo stesso Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che ha inviato l’unico messaggio alle camere formulato dall’inizio del suo primo mandato proprio su questo argomento, "non c’è da perdere nemmeno un giorno" ha detto, e invece il suo accorato appello è caduto nel vuoto, lasciando solo vergognosa indifferenza da parte delle istituzioni per questa continua strage di Stato. "Noi saremo tra gli 800 che finora hanno dato la loro adesione a questo sciopero - spiega il segretario dei radicali foggiani Norberto Guerriero - ma il nostro digiuno non sarà nemmeno questa volta una lotta passiva, uno strumento di remissione: non siamo soli e non sono soli quei cittadini che dietro le sbarre vengono torturati e uccisi da quello Stato che dovrebbe tenerli in custodia. Nei prossimi giorni continueremo con varie iniziative a tenere alta l’attenzione dei nostri concittadini su questa emergenza. Tra le altre cose pubblicheremo sui giornali locali le lettere dei detenuti che ci arrivano dai penitenziari di Foggia, Lucera e San Severo. Se la gente avesse la possibilità di sapere saremmo ben presto in migliaia a sostenere questa lotta. Noi nel nostro piccolo ci proviamo e chiediamo ai nostri concittadini di unirsi a noi in questo sciopero della fame, anche per un solo giorno, e di comunicarci la propria disponibilità via mail all’indirizzo: associazionedilascia@gmail.com o telefonicamente al numero 345.2887496". Noi di Totalità appoggiamo totalmente questa battaglia dei Radicali ricordando il principio di civiltà al quale siamo stati educati: " È meglio un colpevole libero che un innocente in carcere". Bernardini: la Ferranti elude messaggio Napolitano "A me pare che la relazione di Donatella Ferranti del Pd, la presidente della Commissione Giustizia alla Camera, sia completamente diversa nella impostazione dal messaggio originario di Napolitano su giustizia e carceri che risale al 7 ottobre scorso. In realtà si sta facendo un dibattito filtrato e questo lo trovo scorretto e inammissibile, dopo tutti questi mesi". Così Rita Bernardini ribadisce il proprio giudizio negativo su come Camera e Senato hanno gestito il discorso di Napolitano. "La relazione della Commissione Giustizia letta dalla presidente del Pd Donatella Ferranti è di fatto un filtro. Si limita a riprendere i temi posti da Napolitano e minimizza sull’amnistia. Dimenticando di dire che le riforme strutturali che il Capo dello stato ha indicato valgono per il futuro mentre per il presente non c’è che un provvedimento di clemenza, indulto collegato con un’amnistia, che possa metterci in regola con i diritti dell’uomo e con l’Europa", aggiunge Bernardini. "Nella relazione non si valutano indulto e amnistia, ci si limita a dire con statistiche neanche precise di quelli che sono rientrati in carcere dopo l’indulto del 2006, ma omettendo di paragonarli a quelli che invece non avendo usufruito di alcun provvedimento di clemenza recidivano più del doppio", conclude. Giustizia: Marazziti (Pi); la politica deve avere coraggio di approvare amnistia e indulto Tm News, 5 marzo 2014 "Occorre, di fronte a un sistema di interventi organico, avere il coraggio di mettere a punto e approvare una legge di indulto e amnistia che può essere risolutiva, proprio perché abbiamo messo mano alle molte deformazioni che si sono sedimentate sul sistema carcerario". Lo dichiara Mario Marazziti, deputato dei popolari per l’Italia, Presidente del Comitato per i Diritti Umani della Camera. "Amnistia e indulto - prosegue - non sono parolacce o, come vengono descritte, come un incoraggiamento all’illegalità e un colpo di spugna. Oggi possono aiutare la magistratura a ritrovare efficienza per l’annullamento di procedimenti penali non necessari e il sistema carcerario a ripartire da una fisiologia ritrovata. Occorre non farne materia di scontro ideologico o di rinnovati populismi. L’indulto del 2006, subito diventato un figlio disabile rinnegato dai molti padri che aveva fino a prima della nascita, è stato un successo. Ma i populismi e le approssimazioni ne hanno fatto un mostro. Eppure tra chi ha goduto dell’indulto i recidivi sono stati il 33 per cento, la metà di quanto scontano tutta la pena. E chi, tra quanti furono raggiunti dall’indulto, già godeva di benefici o misure alternative al carcere ha commesso reati cinque volte di meno di quanto scontano tutta la pena in carcere". "Mi appello al Movimento Cinque Stelle, che finora ha usato toni forcaioli - conclude Marazziti - perché operi una revisione profonda e non danneggi migliaia di famiglie italiane sulla base di miti e falsificazioni. A Forza Italia, perché sia disponibile a una maggioranza più larga non solo per le riforme istituzionali. Agli alleati di governo, ma soprattutto al Partito democratico, perché si abbia il coraggio di fare la differenza nella storia d’Italia mostrando coraggio: il coraggio della leadership e non il timore di dovere spiegare le cose importanti, magari difficili, agli italiani". Giustizia: Sappe; bene approvazione Mozione alla Camera…. ma ora provvedimenti concreti Ristretti Orizzonti, 5 marzo 2014 "Mi sembra un fatto positivo l’approvazione, oggi alla Camera dei Deputati, della mozione sulle carceri messa a punto dalla Commissione Giustizia a seguito del messaggio inviato alle Camere in materia dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano lo scorso 8 ottobre. Peccato non sia avvenuta con la più ampia maggioranza, e quindi non solo con i voti dei deputati della maggioranza e di Sel. Ora si dovrà con urgenza riempire di contenuti il documento approvato e mettere in campo i necessari interventi legislativi. Anche perché mancano poche settimane al prossimo 28 maggio, termine ultimo fissato dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo allo Stato italiano per porre rimedio alla grave situazione penitenziaria italiana". Lo sostiene il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, il primo e più rappresentativo della Categoria, per voce del leader Donato Capece. "Il sovraffollamento penitenziario vuol dire non solo condizioni disumane per i detenuti ma stress e disagi anche per chi in carcere lavora in prima linea, come le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria" prosegue. "Noi, come primo e più rappresentativo Sindacato dei Baschi Azzurri, sosteniamo quel che evidenziò la Commissione mista per lo studio dei problemi della magistratura di sorveglianza. Se si rimuovessero gli "sbarramenti" che impediscono l’accesso alle misure alternative al carcere e si incentivassero gli interventi per il reinserimento sociale; se si usasse sempre come "extrema ratio" la custodia cautelare (visto che quasi metà della popolazione detenuta è costituito da persone in attesa di giudizio); se si procedesse a "bonificare" l’ordinamento penitenziario dagli automatismi preclusivi e si desse maggiore margine di manovra alla magistratura di sorveglianza, le presenze stabili di detenuti all’interno delle carceri potrebbero scendere dalle 5mila alle 10mila unità nel giro di un anno. E si avrebbe un calo del flusso annuale di detenuti stimabile tra le 15mila e le 20mila unità, con un consistente aumento delle misure alternative alla detenzione in oltre 10mila casi in un anno. Cosi come risultati importanti si potrebbero ottenere garantendo ai tossicodipendenti un più facile accesso all’affidamento terapeutico, tenuto conto che le detenzioni per stupefacenti riguardano oggi oltre 26mila persone, il 40% della popolazione carceraria, e prevedendo l’espulsione per gli stranieri detenuti in Italia che devono scontare meno di tre anni di carcere". Giustizia: riprende dialogo fra avvocati e ministro, i penalisti chiederanno amnistia e indulto di Simona D Alessio e Gabriele Ventura Italia Oggi, 5 marzo 2014 Prove di dialogo tra il ministro della giustizia e l’avvocatura. Domani, infatti, il neo guardasigilli, Andrea Orlando, incontrerà i rappresentanti del Consiglio nazionale forense e dell’Organismo unitario dell’avvocatura, per ascoltare le priorità della categoria e riannodare un rapporto che con l’ex ministro, Anna Maria Cancellieri, era arrivato ai minimi termini. Intanto, ieri il Cnf ha dettato la sua linea al capo dell’Ufficio legislativo di via Arenula, Domenico Carcano, rappresentate dalla completa attuazione della riforma forense. L’incontro di ieri. Accelerare l’attuazione della legge forense è quindi la richiesta avanzata dal Consiglio nazionale forense nel corso dell’incontro che si è tenuto ieri presso il ministero della giustizia. Nell’occasione, alla quale ha partecipato il consigliere segretario del Cnf, Andrea Mascherili, si sono analizzate anche le proposte in merito alle riforme sulla giustizia, tra le quali forme idonee a favorire accordi tra le parti condotti da avvocati, limitando così il contenzioso, come quella della negoziazione assistita e delle camere arbitrali istituite presso i consigli dell’ordine. Mascherin ha sottolineato la necessità di portare a compimento in tempi rapidi la procedura per l’approvazione del nuovo decreto parametri, per archiviare definitivamente il dm 140/2012. Il consigliere segretario ha rappresentato la condivisione del Cnf con riguardo alle osservazioni e alle condizioni poste da Senato e Camera nei pareri resi la scorsa settimana sullo schema di decreto ministeriale. L’incontro di oggi. Negoziazione assistita (per evitare il contenzioso) gestita dagli avvocati, nonché interventi sui rincari del contributo unificato, i cui costi "sono lievitati in 7 anni di oltre il 55% per il primo grado e del 119,5% in appello". E, ancora, stop a "normative a pioggia" la cui applicazione, fra l’altro, tarda ad arrivare, mentre andrebbero risolti i nodi della revisione della geografia giudiziaria (Dlgs 155/2012), laddove si segnalano sedi accorpate che non sono riuscite ancora a mettere a ruolo i procedimenti trasferiti. Sono, invece, alcuni degli argomenti di cui domani, 5 marzo, il neo guardasigilli Andrea Orlando discuterà insieme a Guido Alpa e Nicola Marino, rispettivamente ai vertici del Consiglio nazionale forense (Cnf) e dell’Organismo unitario dell’avvocatura (Oua). Nel primo incontro al ministero di via Arenula dall’insediamento del governo di Matteo Renzi, i riflettori saranno puntati, dunque, su un ventaglio di proposte per migliorare il funzionamento della macchina giudiziaria e smaltire l’arretrato attraverso il contributo dei professionisti, e sulla richiesta di ritiro del disegno di legge sul processo civile collegato alla Legge di stabilità 2014, varato a metà dicembre su proposta dell’ex titolare del dicastero Annamaria Cancellieri, che non ha iniziato l’iter parlamentare; l’Oua, nel dettaglio, contesta la scelta di un giudice unico in appello per le controversie in alcune materie minori e le motivazioni della sentenza a pagamento, qualora alle parti non basti il verdetto in forma semplificata. Penalisti: chiederemo a Orlando amnistia e indulto "Nell’incontro già in programma la prossima settimana" con il neoministro della Giustizia Andrea Orlando, "l’Unione camere penali rappresenterà al ministro la necessità di una chiara scelta di politica legislativa da parte del Governo che comprenda sia l’introduzione di riforme strutturali" per le carceri e il sistema penale, "che di provvedimenti di indulto e di amnistia". Lo riferisce l’Upci in una nota. "I disegni di legge pendenti da tempo in Parlamento a proposito della riforma del sistema delle pene, della sospensione dei processi per gli imputati irreperibili, dell’introduzione della messa alla prova per gli imputati maggiorenni, devono essere approvati con rapidità e senza peggioramenti", afferma l’Ucpi in una nota diramata dopo il dibattito alla Camera sulla relazione sul messaggio del Capo dello Stato sulle carceri. "Non deve succedere - dichiara l’Ucpi in una nota - quel che è avvenuto a proposito del dl Cancellieri che nel tragitto tra la Camera e il Senato è stato svuotato di contenuto, tanto da risultare nel suo testo definitivo del tutto inefficace. L’Unione delle Camere Penali italiane, che per prima ha denunciato negli anni scorsi la condizione illegale e incivile delle carceri, lo scandalo della custodia cautelare, la necessità di riforme organiche". Nell’incontro col ministro, "i penalisti ribadiranno che i principi del giusto processo, che hanno rango costituzionale, non possono essere messi in forse, o peggio abbandonati, ma vanno difesi. Per tale motivo vanno rigettate alcune delle proposte estemporanee che sono state avanzate in questi giorni strumentalizzando il problema della ragionevole durata dei processi. Soluzioni contraddittorie come quelle che vedono nell’allungamento della prescrizione la medicina per risolvere il problema della lungaggine dei processi". Giustizia: braccialetto elettronico, si (ri)parte di Antonello Salerno Corriere delle Comunicazioni, 5 marzo 2014 Le nuove norme del "decreto svuota carceri" spingeranno fortemente l’adozione. Oggi sono 220 i braccialetti in uso, ma si punta ad arrivare a quota 2.000. Telecom Italia in campo per "formare" Procure e Forze dell’ordine sull’uso del dispositivo. Il braccialetto elettronico prova a lasciarsi alle spalle le polemiche che ne hanno accompagnato lo scarso utilizzo negli ultimi anni. Se da una parte Telecom Italia ha sempre sostenuto la totale affidabilità di infrastrutture e mezzi messi a disposizione, dall’altra il Viminale, il ministero della Giustizia e il Parlamento stanno ormai spingendo sulla necessità di introdurlo per il controllo dei detenuti in attesa di giudizio a cui sono stati comminati gli arresti domiciliari. E sono già allo studio le evoluzioni del servizio che potrebbero portare ad applicarlo all’aperto, quando vengano prescritti divieti di avvicinarsi a persone o zone, come per lo stalking. Mentre fino a poco tempo fa questo "oggetto misterioso" pagava anche una certa diffidenza di parte della magistratura, oltre che una effettiva mancanza di regole e procedure che ne stabilissero le modalità di utilizzo, oggi questi aspetti sembrano definitivamente risolti. E i numeri iniziano a parlare. Se infatti nei primi sei mesi del 2013 erano stati attivati 26 braccialetti, le cifre sono sensibilmente salite nella seconda metà dell’anno, fino quasi a triplicare, con 86 attivazioni. E i primi due mesi di quest’anno confermano l’accelerazione, con oltre 140 nuovi braccialetti attivati, che hanno portato ad un fotografia attuale più di 220 dispositivi operativi. Anche se la strada da fare è ancora lunga, perché l’accordo che lega il ministero dell’Interno a Telecom Italia è per la fornitura di 2mila braccialetti, cifra stabilita dall’allora ministro Angelino Alfano dopo uno studio ad hoc sull’applicabilità della misura. La media è destinata ad aumentare anche grazie a un emendamento nel decreto "svuota carceri", che dispone che non è più discrezione del giudice applicarlo, e che questo debba motivare la decisione di non servirsene: un cambiamento di prospettiva che sintetizza bene la nuova sensibilità nelle istituzioni. Che diffidenza e difficoltà burocratiche si stiano diradando anche tra i magistrati lo prova, tra l’altro, un documento pubblicato dal sito di Magistratura democratica, a firma di Alessandra Brassi, gip presso il tribunale di Torino, e Christine Van Borries, pm presso la Procura di Firenze. "Lo scarso appeal registrato dai dispositivi elettronici, invece largamente utilizzati e con successo in diversi paesi europei - scrivono - pare riconducibile, più che a una preconcetta diffidenza dei magistrati italiani, a un colossale quanto incomprensibile difetto di informazione: pochi di noi sono infatti a conoscenza della concreta possibilità di applicare i braccialetti elettronici pur previsti dal codice di rito". "L’esperienza maturata negli uffici nei quali si fa uso da tempo di questi dispositivi è assolutamente positiva - concludono. A Torino non si sono mai registrati falsi allarmi, né evasioni". E proprio per ovviare al fatto che fino a poco tempo fa molti magistrati non fossero a conoscenza delle procedure per utilizzare il braccialetto, Francesco Gianfrotta, presidente della sezione dei Gip del tribunale di Torino, ha messo nero su bianco tutti i passaggi, le cosiddette "modalità operative", per disporre l’utilizzo del braccialetto, mettendoli a disposizione dei colleghi in tutta Italia con tanto di modello prestampato da compilare a seconda delle necessità. Intanto Telecom Italia è impegnata in una serrata serie di incontri con tutte le procure della penisola, per illustrare il funzionamento del braccialetto elettronico e predisporre il "training" per il personale delle forze dell’ordine per le procedure di installazione e di controllo del dispositivo, che viene gestito dalle sale operative su un’infrastruttura di telecomunicazioni a larga banda messa a disposizione dall’azienda capitanata da Marco Patuano. Il sistema fornito dall’operatore provvede anche all’assistenza 24 ore su 24, 365 giorni all’anno (dal momento che potrebbero rendersi necessarie installazioni o controlli anche nei giorni festivi o di notte, a seconda delle necessità dell’autorità giudiziaria), e l’aggiornamento dei software agli standard più avanzati. Nello specifico, il braccialetto elettronico, che si applica alla caviglia, è composto anche da una centralina, che ha la forma di una radiosveglia, che va installata nell’abitazione in cui deve essere scontata la condanna. Un device che riceve il segnale dal braccialetto e lancia l’allarme per eventuali tentativi di manomissione e in caso di allontanamento del detenuto. Intervista al Gip Aprile: con il braccialetto elettronico meno costi e più efficienza Il magistrato "pioniere" in Italia con oltre 100 device all’attivo: "La mia esperienza assolutamente positiva, nessun evaso. E ora le procedure sono molto più semplici" "Sono stato il primo a ricorrere in maniera costante al braccialetto elettronico. Era ottobre del 2012 e da allora ho disposto l’applicazione di circa cento di questi strumenti". Stefano Aprile, giudice per le indagini preliminari del tribunale di Roma, è il Italia tra i "pionieri" di questa tecnologia. "Da allora - spiega - altri colleghi hanno iniziato a interessarsi, e oggi il sistema sta prendendo piede". Quali sono i vantaggi? Il braccialetto consente di mandare agli arresti domiciliari persone delle quali non ci fidiamo completamente. Di solito i soggetti pericolosi che sono soliti commettere reati non possiamo mandarli a casa, perché la legge presuppone che evadano e che commettano altri reati. Il braccialetto ci consente di essere più tranquilli, e di dire "lo mando ai domiciliari anche se so che è una è persona un po’ pericolosa, perché so che non uscirà". E devo dire che finora, secondo la mia esperienza, non è evaso nessuno, né si sono mai verificati falsi allarmi. Che impatto prevede sul sovraffollamento nelle carceri? Finora tutta una fetta di popolazione carceraria era esclusa dai domiciliari, ma con questo strumento le cose cambiano. Io l’ho applicato a tipologie di delinquenti delle quali di solito non ci si fida molto: tossicodipendenti-spacciatori, ad esempio, che spesso se mandati a casa continuerebbero a comprare e spacciare in cortile, o piccoli rapinatori da strada, che svaligiano farmacie o uffici postali, di solito anche loro tossicodipendenti. Grazie al braccialetto gestiamo questa fascia di criminalità, e vorrei sottolineare che si tratta di un tipo di reati che riguardano la maggior parte dei nostri detenuti in fase cautelare. Che risparmi consentirà il braccialetto elettronico? Quelli legati alla gestione di un detenuto: c’è chi dice che mantenere una persona in carcere costi 120 euro al giorno, anche se secondo me le spese reali sono più alte, perché bisognerebbe considerare il costo delle strutture, il personale e altro. Ma mettiamo che siano 120 euro al giorno: se fossero applicati tutti e duemila i braccialetti a disposizione per contratto in questo momento, che costano in un anno complessivamente 9 milioni di euro, ne risulterebbe che la spesa per braccialetto sarebbe di 12 euro al giorno: basta fare la sottrazione per capire quanto un detenuto ai domiciliari con il braccialetto costi meno di un detenuto in cella. In più, mettere una persona ai domiciliari senza braccialetto significa che più volte al giorno le forze dell’ordine incaricate debbano andare a controllare che rispetti le consegne, mentre con il braccialetto il controllo è costante, 24 ore su 24, e al minimo allarme si può mandare una volante. Così, anche da punto di vista complessivo di efficienza del contrasto al crimine c’è molto da guadagnare. Che tipo di cambiamento di sensibilità vede tra i suoi colleghi? Piano piano cominciano a utilizzarlo in molti. Il problema vero del fallimento del primo periodo è stato che nessuno si era mai preso la briga di spiegarci il sistema. In pochi ci siamo "intignati" a scoprire come si applica e come funziona il braccialetto. C’era una buona legge, ma non si erano mai messe a punto le procedure. Serviva una circolare chiara dei ministri competenti, fondamentalmente il Viminale, ma anche la Giustizia, che spiegasse passo per passo come applicare questa misura. Sono mancate la comunicazione e la formazione degli utenti, e ora lo stiamo facendo dal basso. Lettere: una "idea indecente" su droghe e carcere di Riccardo Carlo Gatti Ristretti Orizzonti, 5 marzo 2014 Ci hanno provato tutti a dire che la situazione, così, non va e che le carceri italiane sono sovraffollate e inumane. È il Presidente della Repubblica durante una sua recente visita a San Vittore a dire, inoltre: "La responsabilità del trattamento e della risocializzazione non può essere affidata solo all’amministrazione penitenziaria ma deve coinvolgere tutte le articolazioni sociali: scuola e famiglia, istituzioni religiose, associazioni di volontariato, mondo del lavoro". E su questo il presidente ha insistito: "Al mondo imprenditoriale e della cooperazione sociale, pur nell’attuale momento di crisi, va chiesto adeguato supporto". Ben sappiamo, oltre a ciò, che molte persone, detenute, hanno anche problemi di dipendenza patologica e potrebbero essere curate in luoghi alternativi al Carcere. Percorsi alternativi alla detenzione, in molti casi, non solo sarebbero auspicabili ma sono, di fatto, un diritto negato: la normativa che li permette esiste. Per quanto ci si possa sforzare a realizzare setting dedicati, infatti, il carcere non è un luogo di cura e nemmeno ci assomiglia. Se una persona, dopo aver compiuto reati, sconta una pena ma rimane tossicodipendente, le sue possibilità di uscire dal circuito criminale, una volta uscita dal carcere, sono molto prossime allo zero. È bene considerare il tutto con attenzione perché, indipendentemente dalle idee che ciascuno ha rispetto al significato della carcerazione, per chi ha commesso un reato, la detenzione, i processi e tutto ciò che direttamente o indirettamente fa parte dell’esecuzione della pena, rappresenta un insieme di attività molto costose. Così, al di là di ogni considerazione più elevata, eticamente ed organizzativamente, se il tutto non porta ad alcun cambiamento… sono soldi buttati. Di questi tempi, si tratta di un lusso che non ci possiamo permettere. È utile anche sapere che discorsi, che pure si sentono fare, del tipo "al posto di incarcerare i tossicodipendenti per reati minori, mettiamoli in comunità terapeutica", non sono tecnicamente percorribili per tre motivi: 1) considerando le pene da scontare, non ci sono fisicamente posti a sufficienza; 2) le comunità terapeutiche non sono "magazzini" dove scaricare la gente, nel presupposto che "tutto è meglio del carcere", ma luoghi dove realizzare un percorso che richiede un alto livello di condivisione per essere efficace; 3) se tutte le comunità fossero occupate (solo) da persone che stanno scontando una pena, gli interventi residenziali dedicati a persone che non hanno mai compiuto reati diventerebbero impossibili. Apparentemente, dunque, non sembra esistere soluzione al problema ma, a mio parere, non è così. Il Presidente della Repubblica dice: "Al mondo imprenditoriale e della cooperazione sociale, pur nell’attuale momento di crisi, va chiesto adeguato supporto". La richiesta è corretta: di fronte ad una emergenza ognuno deve fare la sua parte, ma qui non siamo solo di fronte alla necessità di dimostrare una buona volontà che già esiste ma di costruire una organizzazione ad hoc che manca. In una situazione difficile, è necessario, quindi, non solo chiedere supporto, ma anche darlo. In pratica occorre costruire un sistema riabilitativo esterno al carcere che sia in grado di produrre risultati efficaci e, nello specifico di ciò che mi occupo professionalmente, di curare contemporaneamente le dipendenze patologiche. Ma per costruire la possibilità di ampliare i centri residenziali e semiresidenziali, di preparare personale specializzato per costruire nuovi programmi terapeutico-riabilitativi, di costruire una continuità tra lavoro residenziale e lavoro territoriale e, poi, di rendere disponibili, sempre a livello di territorio possibilità reali di reinserimento sociale occorrono nuove risorse. Dove trovarle? Forse già ci sono, almeno in parte, a patto di orientarle diversamente. Sono, infatti, convinto che se fossero messe a disposizione, per ogni detenuto da inserire nei percorsi terapeutico - riabilitativi, le stesse risorse giornaliere complessive, attualmente necessarie per mantenerlo in carcere e nel circuito penale, la soluzione si troverebbe. Occorrerebbe attenzione, bisognerebbe lavorare e programmare evitando semplificazioni ed ingenuità, ma ciò che manca oggi, per riabilitare le persone, non è l’esperienza né la dedizione e nemmeno la volontà: manca una "imprenditoria sociale" che abbia risorse per dare un respiro sufficiente all’azione in questo ambito e c’è bisogno di tempo per progettare, preparare, formare ed organizzare. Rendendo più fluidi alcuni percorsi di non carcerazione ed orientando la spesa diversamente, la risorsa a disposizione di ciascun soggetto, per attuare un programma, potrebbe essere molto più alta di quanto oggi è messo a disposizione. Ho la sensazione che l’idea della alternativa alla pena fosse già viziata in origine da un "non detto" che aveva a che fare con il contenimento delle spese, senza alcun investimento. Si è ragionato, cioè, su "benefici di legge" che rendevano possibile evitare il carcere "iso-risorse", mantenendo cioè lo stesso budget per il Sistema penale, addirittura scaricandone parte dei costi sul Sistema sanitario. Se è così si è trattato di un errore di programmazione il cui risultato è sotto gli occhi di tutti. Nel momento in cui la spesa sanitaria veniva ridotta da successive manovre di "spending review", i Sert hanno ridotto il personale, e quindi la loro capacità erogativa, e le Comunità non hanno potuto aumentare la loro recettività mentre molti programmi riabilitativi "ponte" sono rimasti progetti a termine, più o meno sperimentali, finanziati con fondi sempre più incerti. Nel frattempo, sempre per ridurre le spese, ciascun Carcere si è trovato a custodire un maggior numero di detenuti. Un concetto di "efficienza contenitiva" che fa a pugni con l’articolo 27 della Costituzione che enuncia: "Le pene (…) devono tendere alla rieducazione del condannato". Risultato: in carenza di un sistema riabilitativo e terapeutico efficiente, chi delinque in relazione ad una dipendenza patologica (o con una dipendenza patologica come concausa) ha ben poche possibilità di sottrarsi dal circuito criminale, che diventa la sua reale fonte di sussistenza. L’impianto dell’alternativa alla pena viene utilizzato, anche in modo molto strumentale, per garantirsi condizioni generali migliori di quelle della detenzione (dai detenuti) e come bacino di compensazione per l’affollamento delle carceri (dal sistema penale) ma rimane carente proprio per la mission curativa propria del Servizio Sanitario, che se ne assume gli oneri. Sia l’azione penale che l’azione di cura perdono, così, efficacia costruendo di fatto una "Revolving Door" tra sistema di controllo e sistema di cura che finiscono per sovrapporsi in modo poco efficiente e, probabilmente, poco efficace. La mia "idea indecente" è molto semplice: visto il numero di detenuti che avrebbero diritto di poter accedere a misure alternative alla pena, per affrontare la tossicodipendenza, si potrebbero chiudere alcune carceri rafforzando il sistema dei Sert dal punto di vista socio - riabilitativo ed aumentando la capienza delle Comunità Terapeutiche e dei Centri Diurni, con le risorse risparmiate dalla dismissione di quelle carceri. Non dimentichiamo che, parlando di droga, ci riferiamo ad almeno un detenuto su quattro. Poniamo pure che la nostra popolazione di riferimento, su cui è effettivamente possibile realizzare programmi di cura, sia più ridotta per motivi diversi: in presenza di un circuito terapeutico - riabilitativo efficiente e ben organizzato si potrebbe dismettere un carcere ogni 5 o 6. Non si tratta di un processo semplice ed avrebbe bisogno di investimenti e di fasi sperimentali per una attuazione progressiva e la realizzazione di programmi ad hoc ma … se mai si comincia è chiaro che si continuerà a parlare di una situazione carceraria insostenibile, senza far nulla di concreto per cambiarla. Lazio: con progetto "Acse-Agaist Children Sex Offenders" formazione a operatori penitenziari Ristretti Orizzonti, 5 marzo 2014 Il progetto, finanziato dall’Unione europea, coinvolge il Garante dei detenuti del Lazio, i Ministeri della Giustizia e dell’Interno, Save the children, Cipm ed European Development Service. Sono iniziati oggi i primi incontri di formazione per il personale penitenziario del Lazio e della Lombardia interessato dal progetto Acse - Trattamento e profilo diagnostico degli autori di reati sessuali on line a danno di minori, per la prevenzione e il contrasto del fenomeno. Il progetto - grazie alla sua originalità, complessità e all’alto profilo istituzionale dei partner è stato finanziato lo scorso anno dall’Unione Europea. All’iniziativa, coordinata dal Garante dei detenuti del Lazio, partecipano anche il Ministero della Giustizia (con il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria), il Ministero dell’Interno (Dipartimento di Pubblica Sicurezza - Centro Nazionale per il Contrasto della Pedopornografia in Internet - Polizia Postale e delle Comunicazioni), il Centro italiano per la Promozione della Mediazione (Cipm), Save the Children e l’European Development Service (Eds). Fra gli obiettivi di Acse, quelli di assicurare percorsi trattamentali più efficaci per i detenuti autori di abusi sessuali anche on line a danno di minori e di tracciare il profilo criminologico e comportamentale per garantire una più efficace attività di prevenzione del fenomeno. Il progetto, che ha preso ufficialmente il via il 7 gennaio 2014, durerà 22 mesi ed interesserà le carceri di Roma (Regina Coeli e Rebibbia) e Milano (San Vittore e Bollate) con l’implementazione di presidi territoriali nelle città, che offriranno garanzia di prevenzione esterna. Secondo i dati della Polizia Postale e delle Comunicazioni solo nel 2013 in Italia, nell’ambito di indagini legate ad abusi sessuali on line a danno di minori, sono state effettuate 430 perquisizioni; 392 persone sono state denunciate e 55 arrestate. In mancanza di una prassi giudiziaria consolidata, in Italia i condannati per abuso sessuale su minori, anche online, oggi non sono indirizzati verso alcun trattamento di prevenzione della recidiva. Per prevenire quest’ultima ed evitare un’escalation che può condurre fino all’adescamento e all’abuso sessuale è fondamentale considerare sia coloro che entrano nel circuito penale che quanti non transitano nelle carceri, "La complessità del fenomeno - ha detto il Garante dei detenuti Angiolo Marroni - merita un approfondimento volto a valutare i livelli di pericolosità dei soggetti interessati. La mancanza di interventi psicologici o educativi mirati trasforma, infatti, gli autori di questi reati in una sorta di detenuti ibernati con un elevato rischio di recidiva. Il progetto Acse, in carcere e sul territorio, può rappresentare uno strumento di contrasto preventivo nei confronti degli autori di un reato per i quali vi è una oggettiva difficoltà trattamentale sia in carcere sia nelle strutture esterne". Il progetto Acse, prevede la realizzazione delle seguenti azioni sul territorio di Roma e di Milano: organizzazione di seminari formativi per magistrati, avvocati e per il personale carcerario delle carceri coinvolte (Rebibbia e Regina Coeli a Roma, Bollate e San Vittore a Milano); consolidamento di servizi di trattamento intramurari nelle carceri di Roma e Milano e di presidi territoriali extra murari; attivazione di un intervento di profiling per costruire un profilo esaustivo degli autori di questi reati, integrando le informazioni provenienti dalla fase investigativa e da quella trattamentale. Le metodologie utilizzate sono frutto dell’esperienza maturata dai partner del progetto. In particolare, per quanto riguarda il trattamento, la metodologia del Cipm è stata elaborata dalla trentennale tradizione canadese e nord-americana e prevede interventi criminologici, psicologici e socio-educativi tesi a diminuire la probabilità di recidiva. Per quanto riguarda la formazione, il modello integra i moduli formativi del Cipm e quelli elaborati da Save the Children e Polizia di Stato in due progetti sul tema dell’abuso online. Riguardo, infine, la profilazione degli autori di reato, il progetto integra le metodologie adottate dalla Polizia e dal Cipm e mutua l’esperienza di ricerca maturata da Save the Children nell’ambito del progetto Robert, co-finanziato dall’Ue. Oltre ad una più approfondita conoscenza del profilo degli autori di reati sessuali anche on line a danno di minori, il progetto intende suscitare una maggiore attenzione e sensibilità degli operatori penitenziari e della magistratura sull’opportunità di trattamento per gli autori di tali reati oltre a definire le procedure operative di comunicazione ed integrazione tra Amministrazione penitenziaria, Polizia Postale e le unità preposte al trattamento al fine di garantire l’inquadramento degli autori di reato e assicurare loro il percorso più idoneo. Puglia: la Consigliera Anna Nuzziello "il nuovo Ministro Orlando dia voce anche ai detenuti…" www.statoquotidiano.it, 5 marzo 2014 "Il nuovo Governo ha posto fine ad una serie di vicende che hanno visto protagonisti i detrattori e gli ammiratori di Matteo Renzi. Mi auguro che adesso si possa agire in maniera seria e politicamente corretta e che questo avvenga col nuovo Ministro della Giustizia Andrea Orlando. All’atto del suo insediamento al ministero di via Arenula, Orlando ha infatti inserito nel suo programma i problemi legati alle carceri. La situazione nelle carceri italiane, per chi come me fa visite ispettive e che da sempre si occupa della tutela dei diritti delle persone, evidenzia delle imprescindibili esigenze di diversa natura. I detenuti nelle case circondariali hanno assoluto bisogno di avere voce". Lo dice Anna Nuzziello, consigliere regionale pugliese, alla luce di un’ispezione avvenuta la scorsa settimana proprio al carcere del capoluogo dauno con Pietro Rossi, garante dei diritti delle persone sottoposte a limitazioni della libertà per la Regione Puglia ed il preposto Antonio Vannella, che si occupa proprio del carcere di Foggia. "I reclusi chiedono che siano rispettati i loro diritti ed accolte diverse loro esigenze anche perché è necessario tutelare un diritto sancito dalla nostra Costituzione che è quello della funzione rieducativa del carcere". Tra le tante situazioni emerse oggetto dell’incontro con la delegazione dei detenuti foggiani, vi è l’esigenza di un adeguamento strutturale delle carceri che consenta di realizzare la finalità rieducativa della pena ed il successivo reinserimento dei detenuti nella società. I detenuti chiedono un’applicazione rapida dei benefici a chi ne ha diritto, anche perché la Casa Circondariale di Foggia è sovraffollata e le condizioni sono critiche. I reclusi avrebbero bisogno di un adeguamento strutturale dell’impianto idrico e di illuminazione interna, l’ampliamento degli impianti televisivi, che adesso non permettono la visualizzazione di tutti i canali del digitale terrestre, l’istituzione durante il periodo estivo di un’area verde e soprattutto la climatizzazione nelle sale d’attesa e di colloquio con i familiari. "Sarebbe auspicabile realizzare - aggiunge Nuzziello - progetti e corsi di formazione professionale, imprescindibili quando i detenuti avranno scontato la pena e verranno reimmessi in libertà. Per fare questo, c’è assoluto bisogno di incrementare il numero degli educatori e soprattutto è necessario un impegno del Comune, degli Enti e delle Istituzioni Pubbliche ad attivarsi concretamente con accordi e protocolli d’intesa con le carceri per garantire ai detenuti l’apprendimento di arti e mestieri per la successiva integrazione nella comunità di consociati. Bisogna agire in maniera celere - aggiunge la consigliera regionale - anche perché si rischia che la Corte europea dei diritti umani, da Strasburgo possa sanzionare nuovamente il Governo italiano per le condizioni degradanti delle sue carceri. Su questa situazione e sulla condizione carceraria in Puglia - conclude Anna Nuzziello - venerdì 7 marzo alle 11.30 si terrà una seduta congiunta della II e della III Commissione Consiliare, che avrà luogo nella sala "Guaccero" di Via Capruzzi, sede del Consiglio Regionale Pugliese". Livorno: carcere delle Sughere, indagine sul nuovo padiglione detentivo mai finito Il Tirreno, 5 marzo 2014 Un affare di edilizia pubblica da 20 milioni di euro, per la realizzazione di un nuovo padiglione del carcere da 180 posti, che però per ora ha prodotto solo ritardi nell’inaugurazione per problemi di collaudo e un’inchiesta in Procura. La nuova ala delle Sughere, che doveva essere pronta da oltre un anno e che - in base alle ultime notizie - doveva essere aperta il mese scorso, è impraticabile ancora prima di essere utilizzata, in quanto piena di infiltrazioni. Gli ascensori sono allagati, gli ingranaggi arrugginiti e al terzo e ultimo piano ci sono infiltrazioni notevoli. Un’anomalia, che si inserisce in una serie di irregolarità presenti negli appalti pubblici per la ristrutturazione di cinque-sei carceri italiane, finita sulle scrivanie della Procura della Repubblica di Roma, che ha aperto un fascicolo. Si tratta di un’inchiesta nazionale sulla gestione delle carceri che per ora comprende un fascicolo "in atti relativi", cioè senza ipotesi di reato e senza indagati. I pm romani Mario Palazzi e Paolo Ielo in questi giorni stanno valutando l’incartamento per capire quali reati ipotizzare. Tra le carceri nel mirino, oltre a quella di Livorno, ci sono gli istituti detentivi di Modena, Terni, Santa Maria Capua Vetere, Catanzaro e Nuoro. Il fascicolo è stato aperto grazie a un dossier elaborato da Alfonso Sabella, già magistrato antimafia a Palermo, poi dirigente presso il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) e attuale vicecapo dell’organizzazione giudiziaria presso il ministero della Giustizia di via Arenula. Nel rapporto di Sabella si parla di sospetti, criticità ed anomalie contenute nel Piano carceri che è stato presentato lo scorso ottobre alla Camera da Angelo Sinesio, commissario straordinario per le carceri e stretto collaboratore dell’ex ministra del Governo Letta, Anna Maria Cancellieri. La domanda che il magistrato si pone e che inoltra all’autorità giudiziaria è: come vengono gestiti gli appalti? La cifra totale si aggirerebbe sui 470 milioni di euro di cui una ventina destinati alla casa circondariale livornese di via delle Macchie. Secondo l’accusa dell’ex pm, con un minor investimento di denaro si potevano ottenere più posti per i detenuti. In pratica ci sarebbe stato uno spreco di soldi pubblici. Un’ipotesi che per ora deve ancora essere ufficializzata dalla Procura che sta indagando. Inoltre, sempre per l’accusa, il Piano nasconderebbe "un’appropriazione indebita" perché presenterebbe come propri interventi invece realizzati dal Dap e dal ministero delle Infrastrutture, "gonfiando virtualmente il numero dei posti (per i detenuti ndr) che avrebbe realizzato il commissario". L’inchiesta è ancora agli esordi e le accuse da provare, quello che è sicuro è che il padiglione livornese presenta dei problemi tali da renderlo inutilizzabile. La Polizia Penitenziaria non ha ancora le chiavi perché l’edificio non è stato consegnato. Prova ne è il fatto che ieri mattina la delegazione che ha fatto visita alle Sughere formata dai garanti per i detenuti provinciale e regionale, Marco Solimano e Franco Corleone, e dai consiglieri regionali Marco Ruggeri (accompagnato da Jari De Filicaia), Marta Gazzarri e Marco Taradash, non ha potuto far visita all’edificio perché chiuso. "Ci è stato detto che il padiglione è inutilizzabile perché pieno di infiltrazioni, di ingranaggi arrugginiti e ascensori out - premette Solimano. Noi andremo fino in fondo a questa storia e faremo di tutto per raccogliere informazioni e prove per presentare, qualora sia necessario, un esposto alla nostra Procura. Se qualcuno ha mangiato soldi pubblici credo che dovrebbe essere denunciato e anche che dovrebbe diventare ospite di quella struttura, collaudandola personalmente", ironizza stizzito Solimano. Sul tema interviene anche la Uil: "Questo padiglione ha dei problemi, non è pronto ora come non lo è mai stato - dice il segretario provinciale Mauro Barile - Doveva essere aperto il mese scorso, ma a novembre in occasione di un sopralluogo degli ingegneri del Dap per il collaudo emersero questi problemi. E ora è tutto fermo: noi ci auguriamo che la magistratura possa accertare i fatti lavorando al meglio". Campobasso: Garante Lazio "chi perde la libertà non perde altri diritti fondamentali" di Valentina Di Biase www.primonumero.it, 5 marzo 2014 Nel Lazio la figura del Garante dei detenuti esiste dal 2003 e si occupa delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale da diversi punti di vista compreso il problema sovraffollamento. Lunedì 3 marzo in Molise è partito il corso per formare giovani laureati che vogliono imparare questo "mestiere". Il confronto con il veterano Marroni è solo il primo step di un percorso che formerà 19 coadiutori. Angiolo Marroni è in Italia il primo Garante dei detenuti. È stato lui l’ospite d’onore del corso di formazione per coadiutori di questa figura che la Regione Molise si appresta a istituire, così da non restare fanalino di coda. Nel Lazio un Garante lo hanno previsto dal 2003 e Marroni è un esempio virtuosissimo di quanto utile sia avere in ogni territorio una persona specializzata nella garanzia dei diritti fondamentali delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale. In attesa che il Consiglio regionale approvi la proposta di legge che sarà presentata dal presidente Frattura, dietro la spinta della consigliera di Parità Giuditta Lembo, Marroni ha voluto spiegare ai giovani partecipanti del corso su cosa si basa il provvedimento: "La legge prevede, per il garante, l’incompatibilità con cariche elettive - spiega Angiolo Marroni - una sua autonomia significativa, una struttura di servizio e supporto e dei collaboratori esterni. Si parte da un unico principio: il detenuto è una persona che ha perso la libertà, che è un bene supremo, e la sessualità (in Italia) ma non ha perso alcuni diritti fondamentali, ovvero il diritto allo studio, alla formazione professionale, alla cultura, alla tutela della propria salute, alla dignità. Ovviamente stiamo parlando dei detenuti comuni, non di quelli in 41 bis che hanno un regime carcerario talmente orribile che non ha nulla a che vedere, a mio avviso, con la Costituzione. Il garante dunque si inserisce in questo quadro come persona qualificata a tutelare questi diritti, anche se non è facile a causa del sovraffollamento e delle pessime condizioni dei penitenziari italiani. C’è da dire inoltre che il garante non ha una funzione sostitutiva delle autorità carcerarie, né giudiziarie il suo è un compito di persuasione e da questo punto di vista avere un rapporto di collaborazione con la polizia penitenziaria, e la magistratura, è utile poiché bisogna tenere presente che i disagi e i problemi dei detenuti nelle carceri spesso sono gli stessi dei poliziotti". Oltre ad avere tali responsabilità, il Garante favorisce l’incontro e lo scambio tra realtà esterna e interna al sistema di detenzione e il rispetto delle pari opportunità; inoltre, attraverso percorsi formativi, sostiene il reinserimento del detenuto nel sistema lavorativo e la possibilità di lavoro per i soggetti affidati ai servizi sociali, quelli che godono della semilibertà e dei domiciliari. "Nel ruolo del Garante - continua Angiolo Marroni - c’è una componente di partecipazione personale psicologica e umanitaria, da volontario, fondamentale. Se manca non si riesce a svolgere bene questo tipo di lavoro poiché è faticoso, difficile, doloroso. Il garante sta dalla parte degli ultimi della Terra e lì non si sta bene se non si ha uno spirito di partecipazione solidale incondizionata". In questo clima la nuova figura professionale dovrà anche tenere presente la progressiva multiculturalità della regione e, di conseguenza, dei penitenziari molisani e fare in modo di garantire un luogo appropriato alle diverse esigenze religiose dei residenti. Il percorso formativo del Csfo di 170 ore complessive, quindi, è stato realizzato per preparare i 19 destinatari, selezionati in base al titolo di studio conferito (laurea in giurisprudenza, psicologia e sociologia), alla professionalità e alle attitudini richieste e certificate da un attestato di competenza che verrà rilasciato al termine del corso. "I docenti che prepareranno i candidati - ci informa la rappresentante dell’ente Csfo Antonietta Ricca - sono tutti avvocati penalisti, medici, abbiamo optato per il dottor Patriarca in quanto già lavora nei penitenziari e psicologi competenti". Sassari: detenuto suicida in cella, a processo l’agente imputato di omicidio colposo La Nuova Sardegna, 5 marzo 2014 Si è aperto ieri mattina il processo a carico dell’agente di polizia penitenziaria Mario Usai imputato di omicidio colposo per la morte - avvenuta il 18 luglio del 2010 - di un detenuto in una cella di San Sebastiano. La vittima si era impiccata con i lacci delle scarpe, poco prima uno specialista che lo aveva visitato aveva scritto nero su bianco: "Altissimo rischio di suicidio". L’uomo, un artigiano, era stato arrestato per sospetti abusi sulla figlia. Un’accusa che non poteva accettare, un peso insopportabile. Inizialmente i familiari avevano pensato a un omicidio all’interno del braccio "promiscui" dell’ex penitenziario di via Roma. Invece secondo la procura della Repubblica il suicidio era stato "favorito" dalla "negligenza" di chi avrebbe dovuto controllare. Ecco perché sotto inchiesta era finito l’agente di polizia penitenziaria in servizio quel giorno: Mario Usai. Quest’ultimo, assistito dall’avvocato Sergio Milia, aveva ricevuto l’ordine di prestare un’attenzione particolare a quel detenuto, ma era arrivato nella sua cella quando ormai era troppo tardi. C’è da dire che quella domenica l’agente era solo in turno e non è quindi escluso che il suo ritardo sia stato determinato dalla necessità di controllare l’intero reparto promiscui. Il detenuto era un artigiano della provincia ed era stato arrestato il 14 luglio del 2010, quattro giorni prima della sua morte. Ma senza nemmeno aver avuto il tempo di capire quali fossero le prove a suo carico, era stato assalito dalla disperazione. "È un’infamia", continuava a dire, anche al giudice durante l’interrogatorio di garanzia. In carcere, il medico che lo aveva visitato aveva definito "altissimo" il rischio che potesse togliersi la vita. I familiari della vittima si sono costituiti parti civili con gli avvocati Nicola Lucchi ed Elias Vacca. Milano: Mirabelli (Pd): Alfonsa Micciché resti direttrice del carcere minorile "Beccaria" Il Velino, 5 marzo 2014 Il senatore Franco Mirabelli, capogruppo Pd in Commissione Antimafia, è intervenuto al Senato a sostegno dell’appello sottoscritto dal personale dell’Istituto Penale per i Minorenni Beccaria di Milano in cui si chiede al ministro della Giustizia che Alfonsa Micciché, direttrice dello stesso istituto per il 2013, possa restare a tempo indeterminato. "L’incarico annuale alla dottoressa Micciché è scaduto lo scorso 28 febbraio e ora l’istituto penitenziario è senza direzione", ha affermato il senatore Pd, segnalando che "da più parti, da tutto il personale, dalle organizzazioni di volontariato coinvolte nella vita del Beccaria, fino al Cappellano dell’istituto don Gino Rigoldi, è venuto in queste ore un accorato appello per chiedere che il lavoro di questi ultimi mesi non si interrompa e la dottoressa Micciché possa assumere la direzione del Beccaria a tempo indeterminato". "Nel marzo 2013 - ha ricordato Mirabelli - direttrice e comandante di polizia penitenziaria dell’Ipm Beccaria sono stati entrambi trasferiti dopo una lunga ispezione ministeriale che evidenziò pesanti difficoltà di gestione dell’istituto dovute soprattutto alle difficili relazioni tra di loro. Da allora la direzione è stata assunta da Alfonsa Micciché, già direttrice dell’istituto penale per minori di Caltanissetta. In quest’anno la situazione del Beccaria è molto migliorata rispetto al passato - come segnalano gli operatori che vi sono impiegati - sia nel funzionamento, sia nel rapporto tra i lavoratori, sia nell’apertura al territorio dell’istituto, grazie alla valorizzazione di importanti iniziative costruite e realizzate col volontariato e l’associazionismo. In quest’Aula spesso parliamo di carcere e di minori per denunciare problemi o addirittura abusi, qui si tratta invece di valorizzare un’esperienza positiva, riconoscere il merito e impegnarsi perché questo lavoro possa proseguire. Per questo - ha concluso Mirabelli -, chiedo alla Presidenza di quest’Aula di farsi tramite nei confronti del ministro della Giustizia della richiesta che, prima che da noi, proviene da chi quotidianamente lavora per fare del Beccaria una struttura sempre più capace di aiutare i ragazzi che li sono detenuti". Milano: ergastolano in ospedale da 10 anni, allo studio una sistemazione alternativa di Paolo Berizzi La Repubblica, 5 marzo 2014 L’ergastolo dorato di Francesco Cavorsi, il boss della Sacra Corona Unita che vive da dieci anni all’ospedale Niguarda (costo del ricovero: 700 euro al giorno), potrebbe avere i giorni contati. Dopo la denuncia di Repubblica, il caso finisce sul tavolo del governo. Il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, assicura che sulla vicenda verrà fatta chiarezza. "È un caso che mi ha colpito e che merita un’analisi attenta - ha fatto sapere il Guardasigilli da Bruxelles, dove era impegnato nel consiglio europeo dei ministri della Giustizia. Ho chiesto una relazione urgente all’ufficio di Gabinetto per approfondire gli aspetti giudiziari e individuare un intervento da concordare, eventualmente, con il ministero della Salute". Da viale Ribotta Beatrice Lorenzin conferma che il caso Cavorsi è allo studio del ministero. "Ho attivato una procedura per capire bene che cosa è successo, poi faremo il punto", spiega. Un’anomalia cresciuta nel tempo, e dunque imprevedibile? Il risultato di un cortocircuito amministrativo- giudiziario? L’ipotesi più probabile è che il killer sulla sedia a rotelle, a cui la magistratura ha concesso da lungo tempo la possibilità della detenzione domiciliare in ospedale, venga trasferito: o in una struttura assistita e protetta, o in un appartamento di proprietà del Comune. In un luogo comunque diverso da un ospedale; un luogo dove possa ricevere comunque assistenza medica periodica, ma con costi più contenuti per il sistema sanitario nazionale. Paraplegico dal 1988 in seguito a un agguato, arrestato nel ‘94 e condannato all’ergastolo nel 1996 per tre omicidi che ha confessato e che ha eseguito facendosi accompagnare dai suoi gregari, Cavorsi era considerato l’ambasciatore della Sacra Corona Unita a Milano (traffico di droga e armi). Per via delle sue condizioni cliniche - è paraplegico completo ed è affetto da altre patologie - da tempo il boss pugliese non è più un detenuto in carico al Dap (Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria). "Lo abbiamo dismesso - dice il vicedirettore Luigi Pagano - La competenza adesso è della magistratura, precisamente del giudice di sorveglianza". È qui il punto. Se Cavorsi vive al Niguarda dall’inizio del 2000 - senza piantone, camera doppia a uso singolo, visite di parenti e amici, libero di muoversi all’interno dell’ospedale e anche di uscire su autorizzazione - è perché la giustizia ha deciso così. Si chiama detenzione domiciliare in ospedale. Lo stabilisce il giudice. "È stata applicata la legge" dice Aldo Fabozzi, provveditore lombardo alle carceri. Già. Con un costo di 235mila euro l’anno, perché tanto costa il ricovero dell’ergastolano al Niguarda. "È un carico che ci è stato imposto dall’autorità giudiziaria - ragiona l’assessore regionale alla Salute, Mario Mantovani - Mi auguro che adesso si trovi una soluzione più adeguata e meno onerosa. In una struttura alternativa, dove il paziente usufruisca di controlli medici bisettimanali. Attendiamo anche una risposta per un alloggio da parte del Comune". La stessa richiesta è stata avanzata anche dall’azienda ospedaliera del Niguarda Cà Granda. "Abbiamo inviato nuovamente una relazione clinica aggiornata al giudice di sorveglianza - spiega il direttore sanitario Giuseppe Genduso. Gli abbiamo chiesto di rivedere la situazione". Intanto dalla sua camera al terzo piano del padiglione Dea, Francesco Cavorsi ha dichiarato: "Spero che le mie condizioni di salute migliorino e, a quel punto, di poter finire di scontare la mia pena in carcere". Lodi: "La direttrice venga rimossa", agenti di Polizia penitenziaria pronti a farsi trasferire Il Giorno, 5 marzo 2014 Le organizzazioni sindacali degli agenti di Polizia penitenziaria continuano a chiedere a gran voce la sostituzione della direttrice Stefania Mussio. E minacciano iniziative clamorose. "Siamo ancora in attesa delle risposte del provveditore regionale dopo la visita ispettiva nel carcere di Lodi delle scorse settimane - afferma Dario Lemmo del Sappe. Mercoledì scorso abbiamo inviato un sollecito nel quale abbiamo prefigurato anche la possibilità di una richiesta di distaccamento di massa ad altri sedi della Lombardia nel caso in cui non cambiassero le cose. Il malessere continua ad essere forte". "Il 5 marzo alle 10 - aggiunge Enzo Tinnirello del sindacato Ugl - avremo una riunione regionale al Prap (Provveditorato Regionale dell’Amministrazione penitenziaria). In quella sede sarà esposto il caso Lodi a tutti i rappresentanti della Lombardia". Cosenza: Movimento Diritti Civili; detenuto invalido chiede domiciliari, sta morendo in cella Ansa, 5 marzo 2014 Un uomo di origini calabresi di 45 anni, invalido e gravemente malato, detenuto in un carcere dell’Emilia Romagna, attraverso il Movimento Diritti Civili, ha rivolto un appello per chiedere di ottenere gli arresti domiciliari. Nella lettera inviata al leader di Diritti Civili, Franco Corbelli, il detenuto afferma che "la mia richiesta di intervento riveste carattere di somma urgenza essendo io in gravi condizioni di salute. Qualora si verificasse una qualsiasi cosa alla mai persona, di natura fisica o mentale, domando a lei di accertare le cause e gli eventuali responsabili". "Un uomo invalido al 100% - afferma Corbelli - affetto da gravissime patologie, oramai in fin di vita, viene tenuto ancora in carcere. Chiedo prima che si consumi l’ennesima tragedia che si concedano immediatamente gli arresti domiciliari, che venga consentito a questo detenuto di poter uscire dal carcere, di far ritorno in Calabria, nella sua casa per poter essere adeguatamente assistito e curato per quel che gli resta da vivere". Salerno: ispezione al carcere da parte della Commissione Trasparenza del Consiglio regionale Ansa, 5 marzo 2014 "Il sovraffollamento accentua le gravi carenze dei minimi livelli assistenziali sanitari. Lunghe attese per le visite specialistiche". È quanto è emerso dalla quarta tappa effettuata nel carcere salernitano di Fuorni, a Salerno, dalla Commissione Trasparenza e Controllo Atti nell’ambito dell’iniziativa di verifica dei livelli di assistenza sanitaria nelle carceri campane. Con Nicola Caputo presidente della commissione hanno preso parte alla visita i consiglieri regionali Dario Barbirotti, Gianfranco Valiante, Enrico Fabozzi e Adriana Tocco, garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale. Ad accompagnare i consiglieri regionali della commissione Trasparenza oltre al direttore dell’istituto penitenziario Alfredo Stendardo c’erano il responsabile medicina penitenziaria dell’Asl Sa Adamo Maiese, il direttore sanitario del carcere Giovanni Di Cunzolo e il responsabile Opg Antonio Pagano. "La struttura, la cui progettazione risale agli anni cinquanta ospita circa 500 detenuti di cui 60 sono donne, potrebbe ospitarne massimo 280, fino ad otto persone stipati in una cella di pochi metri quadrati", si legge in una nota nella quale si dice che a fronte di una situazione di sovraffollamento sono "solo 5 medici, un dirigente sanitario con un contratto di solo tre ore giornaliere, un responsabile Sert e sette infermieri per una popolazione carceraria che richiederebbe almeno il doppio degli operatori". Per la commissione anche la polizia penitenziaria è sottorganico. "In particolare abbiamo registrato criticità per le visite specialiste di cui i ristretti hanno più urgenza, urologia e ortopedia ma anche quelle cardiologiche, tempi lunghi anche per una visita ginecologica. Nella struttura manca un reparto di primo soccorso e un centro diagnostico terapeutico, esiste un reparto superamento Opg ma non viene aperto e reso fruibile per mancanza di risorse e personale. Come per le altre strutture carcerarie che abbiamo visitato ci sono problemi per l’approvvigionamento di alcune tipologie di farmaci", prosegue la nota. Genova: mamma con bimbo in carcere, forse già fuori domani, collocazione ai "domiciliari" Ansa, 5 marzo 2014 Sarà trovata una collocazione in una struttura più idonea, probabilmente ai "domiciliari", per la donna detenuta nel carcere di Pontedecimo (Genova) col suo bimbo di cinque mesi. Oggi il gip Nicoletta Bolelli ha convalidato l’arresto applicando la misura cautelare in carcere in attesa, però, che venga trovata una soluzione alternativa proprio per tutelare il piccolo. Esiste, infatti, una legge che consente alle mamme detenute di non stare in carcere a meno che non vi siano particolari ed eccezionali esigenze cautelari. L’udienza di convalida è avvenuta nel carcere di Marassi dove la detenuta e il suo bimbo sono stati accompagnati da guardie penitenziarie in borghese. La donna, che aveva in braccio il figlioletto, si è avvalsa della facoltà di non rispondere. La donna, incensurata, cittadina italiana ma di origine marocchina, era stata arrestata in porto, allo sbarco da una nave proveniente dal Marocco: sulla sua auto uomini della Guardia di finanza avevano trovato otto chili di hashish. Il pm aveva chiesto la misura cautelare in carcere o, in subordine, gli arresti domiciliari. I difensori della donna si sono già attivati per trovare la soluzione alternativa che quasi certamente potrà essere la detenzione domiciliare in casa della nonna del piccolo. I due legali hanno già fatto istanza e sono in attesa dei documenti attestanti la dichiarazione di ospitalità che, appena giungeranno, potranno consentire alla donna e al suo piccolo, forse già domani, di lasciare il carcere. Tempio Pausania: black-out in carcere con celle bloccate per tre ore, scoppiano le polemiche Ansa, 5 marzo 2014 È polemica a Tempio sul black-out che ha lasciato senza corrente elettrica il nuovo carcere di Nuchis. "Il black-out verificatosi nel carcere di Tempio-Nuchis la dice lunga sulla cura con cui sono stati fatti i collaudi e l’attenzione rivolta agli impianti elettronici", attacca Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione Socialismo Diritti Riforme. "La Magistratura dovrà intervenire per accertare le responsabilità - prosegue - ma i cittadini si chiedono com’è possibile investire milioni di euro e non pensare ai costanti controlli. I sistemi sofisticati devono essere costantemente monitorati perché maggiormente soggetti anche al mutare delle condizioni meteorologiche. Per circa tre ore il Penitenziario è rimasto bloccato, senza alcuna possibilità di aprire le celle. Se qualche detenuto si fosse sentito male non sarebbe stato possibile prestargli soccorso. Un fatto gravissimo e un monito anche per le altre strutture appena inaugurate o in via di conclusione". Il carcere di Nuchis è una struttura di ultima generazione, progettata e costruita secondo gli standard europei. È dotato di apparati di sicurezza sofisticati che regolano anche l’apertura e la chiusura di porte e cancelli. Per questo motivo il black-out di alcuni giorni fa avrebbe potuto creare non pochi problemi, che però sarebbe stato gestito senza grosse difficoltà solo grazie alla professionalità dei poliziotti penitenziari. Secondo quanto riportato oggi dal quotidiano l’Unione sarda un violento temporale ha provocato l’interruzione improvvisa della fornitura di energia elettrica e il gruppo di continuità dell’Istituto non è entrato in funzione, lasciando al buoi il carcere. Ora c’è chi chiede l’intervento della magistratura per capire cosa non ha funzionato nel nuovissimo carcere. Bologna: 8 marzo; Lembi, Ferri e Laganà fanno visita alle donne detenute in carcere www.bologna2000.it, 5 marzo 2014 Come ormai consuetudine in occasione della Giornata internazionale della Donna, la Presidente del Consiglio comunale Simona Lembi e la Presidente della Commissione delle Elette Maria Raffaella Ferri, accompagnate dalla Garante comunale per i diritti delle persone private della libertà, Elisabetta Laganà, oggi si sono recate alla Casa circondariale di Bologna per incontrare le donne detenute. La visita voleva testimoniare l’attenzione e l’impegno del Comune di Bologna nel sostenere il percorso di rieducazione delle detenute e nel promuovere opportunità finalizzate a migliorare la qualità della vita interna al carcere, nonché orientare il successivo reinserimento. Tante le richieste e le attese delle donne, alcune anche molto giovani, che sono intervenute. In primis, la possibilità di accedere ai percorsi d’istruzione e di formazione professionale, così come avviene nelle sezioni maschili, ma anche la possibilità di fare attività motoria e sportiva o quella di coltivare un orto. In tal senso va anche la recente iniziativa, promossa dalla Presidente Ferri con la Garante comunale, di coinvolgere Associazioni e Gruppi di volontari disponibili a costruire insieme, in modo integrato e coordinato, attività dedicate alle donne detenute. A tal proposito si sta programmando un prossimo incontro con la Direttrice del carcere, dott.ssa Clementi e con il Responsabile dell’Area Educativa, dott. Ziccone. Droghe: Fini-Giovanardi; dopo "bocciatura" della Consulta le istanze dei giudici di sorveglianza Ansa, 5 marzo 2014 La recente sentenza della Corte Costituzionale sulla Fini-Giovanardi ha effetti che sono ancora in parte da soppesare e su cui si stanno interrogando non solo i giuristi, ma anche i magistrati che operano sul campo, a cominciare da quelli di sorveglianza. La decisione della Consulta, pur legata a questioni tecniche - e in particolare all’iter di conversione del decreto legge in legge e alla discrepanza tra il primo testo e quello definitivo - ha di fatto travolto uno dei capisaldi della Fini-Giovanardi: l’azzeramento della distinzione tra droghe pesanti e droghe leggere. Ora quella distinzione rivive e con essa anche il differente impianto punitivo, con pene più basse (da 2 a 6 anni di carcere contro i precedenti 6-20) per gli illeciti legati all’uso di hashish e marijuana. Di conseguenza, chi ha riportato condanne in base alla legge dichiarata illegittima, potrà ora fare istanza per vedere ricalcolata la pena. In astratto, le misure potrebbero interessare circa 10mila persone, spiegavano le associazioni che si occupano di diritti dei detenuti all’indomani della sentenza, perché questo è il numero delle persone ristrette in carcere per reati legati alle droghe leggere. Ma in realtà questa è una stima generica, che va verificata sul campo. Da qui le richieste partite da alcuni magistrati di sorveglianza per ottenere un quadro più chiaro. Proprio ieri, per esempio, Francesco Maisto, presidente del Tribunale di Sorveglianza di Bologna, ha inviato una richiesta in tal senso al Provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria. "Al fine di contribuire alla deflazione penitenziaria degli Istituti del Distretto - si legge nella lettera - anche attivando gli strumenti processuali disponibili, chiedo l’elenco dei condannati inviando copia delle sentenze. Come è noto - spiega la richiesta - il principale e immediato problema applicativo della sentenza" della Corte Costituzionale "riguarda l’esecuzione penale in corso di sentenze relative a pene comminate in base alle norme giudicate illegittime dalla Consulta". In particolare si chiede di conoscere quanti siano "i detenuti e i beneficiari di misure alternative alla detenzione condannati" sulla base della Fini-Giovanardi per il reato di produzione, detenzione e traffico di droga, ma "per casi concernenti le droghe leggere". Un primo passo necessario per conoscere la situazione numerica, mentre resta da sciogliere un nodo giuridico, su cui gli addetti ai lavori hanno posizioni non concordi: se, cioè, anche di fronte a sentenze passate in giudicato si possa chiedere un ricalcolo della pena comminata sulla base delle norme bocciate dalla Consulta. India: ennesimo rinvio al processo di Tomaso Bruno, in carcere da quattro anni di Federica Pelosi Secolo XIX, 5 marzo 2014 La giustizia indiana non incombe soltanto sui marò: la corte di New Delhi si rivela matrigna anche nei confronti di altri due italiani, l’albenganese Tomaso Bruno e la torinese Elisabetta Boncompagni, rinchiusi da 4 anni nel carcere di Varanasi con una condanna all’ergastolo (in primo e secondo grado) per la morte dell’amico Francesco Montis, ritrovato in fin di vita nella camera d’albergo che i 3 condividevano nel corso di una vacanza nel paese. È dal 3 settembre scorso che il processo di terzo grado stenta a decollare, a causa di continui rinvii: il caso viene inserito ogni martedì nell’elenco delle udienze che si dovrebbero discutere, ma finisce poi per slittare alla volta successiva senza che la Suprema Corte riesca mai ad arrivare a occuparsene. "Oggi la scena si è ripetuta - ha raccontato Luigi Euro Bruno, papà di Tomaso, al Secolo XIX - Eravamo in fondo a una lista di cause infinita, quindi ci dobbiamo rassegnare nuovamente a un nulla di fatto. Gli avvocati dicono di essere pazienti e fiduciosi, ma non è facile. Mia moglie è a Varanasi per stare vicino a nostro figlio e a Elisabetta, che non so come riescano ad affrontare questa situazione". In effetti, i due sembrano affrontare questa agonia con un insperato ottimismo: "Spesso sono loro a dare forza a noi - ha aggiunto Bruno - Ora non possiamo che sperare che il giovane ministro Federica Mogherini abbia un occhio di riguardo verso il nostro caso e che il clima tra Italia e India non si esasperi a causa della vicenda dei marò, andando a discapito anche dei nostri ragazzi". Stati Uniti: "Reflect", progetto sulle parole che direbbe un detenuto… al giovane se stesso di Giusy Montedoro www.theblazonedpress.it, 5 marzo 2014 Se avessi l’opportunità di dare un consiglio al giovane te stesso, cosa gli diresti? Questa è la domanda fulcro del progetto fotografico di Trent Bell. Una domanda difficile, scomoda sotto certi punti di vista, che il fotografo ha posto ad alcuni detenuti di una prigione nel Maine. Il progetto "Reflect" ha avuto inizio nei primi mesi del 2013, da una personale esperienza di Bell, quando un suo amico, nonché onesto lavoratore, marito e padre di quattro figli fu incarcerato con una condanna di 36 anni. Come lui stesso afferma, non fu solo il pensiero della perdita della libertà e di parte dei diritti ad ispirare il progetto, ma l’idea di quante volte, nella sua stessa vita, le cose potevano prendere un "bad turn". Innumerevoli volte capita di sbagliare, di fare degli errori nella propria vita, ma se questi errori portassero ad una conseguenza come la prigionia? A quel punto si vorrebbe tornare indietro più che per qualsiasi altro errore, si cercherebbe di cambiare l’esito dei fatti. Ad ogni detenuto che ha partecipato al progetto è stato chiesto di scrivere una lettera al suo giovane se stesso. Ricevute tutte le lettere, sono state scattate delle foto ai detenuti sul cui sfondo sono state posizionate le loro parole. Messico: il Mercoledì delle ceneri 200 sacerdoti nelle carceri, per portare speranza Radio Radicale, 5 marzo 2014 Domani, Mercoledì delle Ceneri, inizio della Quaresima, circa 200 sacerdoti si recheranno nelle carceri dello stato di Nuevo León (Messico), per una celebrazione che includerà l’imposizione delle ceneri ai detenuti: lo segnala mons. Rogelio Cabrera López, arcivescovo di Monterrey, in una nota inviata all’agenzia Fides. Un gruppo sarà nella prigione di Topo Chico, un altro in quella di Apodaca e un altro ancora nelle carceri di Cadereyta. "Vogliamo che questo gesto aiuti tutti, per primi noi sacerdoti, a prendere coscienza del dovere di aiutare i nostri fratelli che sono in condizioni peggiori, e porti una parola di speranza e di incoraggiamento ai nostri fratelli nelle carceri" ha spiegato mons. Cabrera. Inoltre i detenuti che lo chiederanno, potranno anche confessarsi. Quest’anno l’arcivescovo presiederà l’imposizione delle ceneri nella cattedrale di Monterrey alle 7 del mattino, per poi recarsi con il primo gruppo di sacerdoti dai detenuti a Topo Chico. Infatti ha ottenuto un permesso di 2 ore (dalle 10 fino alle 12) per assistere i detenuti in questa occasione particolare. "La Quaresima è il momento giusto per lasciare ogni superficialità - sottolinea l’arcivescovo - la stessa che minaccia e distrugge la dignità umana. È un momento speciale in cui dobbiamo impegnarci non solo a fare sacrifici come privarci di qualche alimento, ma dobbiamo chiederci cosa fare per aiutare concretamente chi ha più bisogno". Il lavoro della Chiesa cattolica nelle carceri è diventato in Messico una grande sfida, nel clima di violenza in cui purtroppo continua a vivere la società: molti detenuti infatti continuano a dirigere dal carcere l’attività delle bande criminali all’esterno. La Chiesa è intervenuta con decisione quando si è trattato il problema delle carceri nel Paese. Egitto: proteste anniversario rivoluzione, rilasciati 3 attivisti Aki, 5 marzo 2014 Le autorità egiziane hanno ordinato il rilascio di tre attivisti arrestati durante le proteste del 25 gennaio scorso in occasione del terzo anniversario dall’inizio della rivoluzione del 2011 che portò alle dimissioni di Hosni Mubarak. Lo riferisce il giornale egiziano Ahram Online. Khaled El-Sayed, Mohamed El-Sayes e Nagy Kamal, già protagonisti della rivoluzione del 2011, erano stati arrestati con l’accusa di aver partecipato a una protesta non autorizzata. Secondo il ministero dell’Interno del Cairo solo il 25 gennaio sono state arrestate più di mille persone. Il mese scorso il 30enne El-Sayed aveva diffuso una lettera dal carcere denunciando torture e maltrattamenti, anche ai danni del 27enne Nagy Kamal e di altri detenuti. Il ministero dell’Interno ha respinto ogni accusa. Nelle ultime ore le autorità di Giza, alle porte del Cairo, hanno ordinato anche il rilascio di 29 giovani arrestati durante le proteste del 25 gennaio. Lunedì il giornalista e attivista Kareem El-Beheery è stato rilasciato su cauzione dopo oltre un mese di carcere.