Il carcere incontra il mondo della scuola: il racconto di due esperienze straordinarie Il Mattino di Padova, 3 marzo 2014 Il progetto che a Padova mette a confronto le scuole e il carcere si arricchisce ogni giorno di spunti di riflessione nuovi. Le due testimonianze dei detenuti che riportiamo oggi raccontano infatti due aspetti particolari di questa esperienza: il primo è la narrazione di un incontro in una scuola in cui una persona, dopo vent’anni e più di carcere, torna ad assaggiare la libertà e si porta dietro un carico di paure e di ansia che sempre accompagnano le prime uscite dal carcere, ma che rendono ancora più preziosa questa possibilità di rientrare nella società gradualmente, a piccoli passi con i permessi, invece che di colpo, a fine pena. Il secondo è il racconto di un confronto in carcere con i ragazzi dell’Istituto di istruzione specializzata per sordi Magarotto, un incontro profondo e denso di emozioni oltre ogni aspettativa. Il primo giorno di scuola Dopo circa vent’anni di detenzione, il 14 febbraio sono uscito in permesso giornaliero per partecipare al Progetto di confronto tra la Scuola e il Carcere. Io, a questi incontri avevo già partecipato prima ma solo in carcere. Quando ho avuto la possibilità di prendere parte al primo in esterno, oltre alla spietata paura che si ha quando si esce la prima volta dopo lunghissimi anni, in me incombeva anche un altro tipo di paura, quello di incontrare gli studenti "a casa loro". A casa sua uno si sente sempre più protetto, ma questo era solo un mio vago pensiero. Finalmente, dopo un po’ di paura, ansia e fantasie di ogni tipo, siamo entrati in aula, e lì ho capito che l’accoglienza era uguale a quella in carcere e questo mi ha permesso di "respirare" con più facilità. Tutto andava bene, i racconti, le risposte, le domande fatte con quel senso civico che a me non apparteneva più da anni. Ho cercato di spiegare il progetto per arrivare a raccontare un episodio che mi ha provocato una gran paura, anzi due. La prima è quella che ad un certo punto della "lezione" ho avuto bisogno di andare in bagno, ho alzato la mano ed ho chiesto di poter uscire un attimo. Nell’aula un silenzio totale. Ho sentito freddo, ho immaginato che gli altri avrebbero pensato "mo’ quello scappa dalla finestra". Timorosamente mi sono avviato. Mi stavo lavando le mani e ad un certo punto sul lavandino del bagno vedo un bell’anello. Descrivere questo momento è quasi impossibile, o meglio è facile descrivere il terrore, perché di questo si tratta. Per qualsiasi cittadino onesto sarebbe stato facile sapere cosa fare. Io lì per lì non sapevo proprio che pesci pigliare, volevo buttarlo nel water. Pensavo fosse una trappola per mettermi alla prova, ci sono rimasto male. Poi ho pensato di prenderlo e consegnarlo alle professoresse dove stavamo facendo l’incontro. Mi sono detto: ma se durante il tragitto arrivava qualcuno, mi avrebbe fermato e mi avrebbe chiesto spiegazioni? A quel punto ho accumulato tutta la mia forza e come un deficiente sono uscito dal bagno dopo dieci minuti con l’anello sulla punta delle dita e il braccio alzato come un cretino e sono corso in classe. Giunto lì, ho posato l’anello sulla scrivania e ho detto: non sono scappato e ho pure trovato un anello! un fragore di applausi, risate e ringraziamenti ha pervaso l’aula, ma credo anche la scuola. Mi sono sentito bene, mi sono sentito leggero, mi sono sentito quello che speravo di essere diventato. Ma mi sono reso conto che il diavolo è sempre dietro l’angolo! La giornata proseguiva e io pensavo spesso a quel particolare, ero fiero di me. Intanto ci stavamo avviando a una trattoria per mangiare qualcosa, quando in una stradina stretta noto una signora che dal bagagliaio della sua auto scaricava delle sedie pieghevoli e vedevo che faceva fatica. Così mi sono avvicinato per darle una mano, ho preso qualche sedia e gliel’ho portata sino all’uscio, presumo di casa sua. Quando ho visto che stava infilando la chiave nella serratura (questa è la seconda paura) sono scappato via perché ho pensato "Porca miseria, magari penserà che voglio rubarle in casa", mentre invece lei mi ha riempito di ringraziamenti. Queste sono due delle tante paure e altri problemi che si incontrano quando un detenuto esce dopo troppi anni, così all’improvviso, senza un avvicinamento graduale alla società. Ora aspetto le prossime paure, ma con la determinazione di poterle superare. Un cittadino sardo Paolo Cambedda Un giorno particolare Grazie al progetto di confronto tra scuola e carcere, che vede entrare migliaia di studenti qui dentro ogni anno, c’è stato un giorno speciale, un giorno che ricorderò per sempre. Questo progetto ha come scopo portare a conoscenza che il carcere è una parte della società e non qualcosa che riguarda solo i predestinati ad essere cattivi. Entrare in carcere può capitare a tutti, nessuno se ne può sentire escluso. Confrontarsi con gli studenti porta a rivedere il proprio vissuto cercando di capire il perché di certi comportamenti. Per esempio io ho fatto una scelta di vita e credevo che tutto fosse legato all’aspetto economico, visto che i miei reati sono contro il patrimonio, ma la realtà è molto diversa. Ci sono problemi che mi porto dietro fin da bambino, ma il punto del mio discorso non è questo. Ieri ho capito quanto sia importante la comunicazione, il suo valore è immenso. In mattinata è venuta una classe di studenti sordomuti. Il loro silenzio non lo sentivo, certo può sembrare un controsenso, la realtà è che vederli comunicare con il loro alfabeto è stato straordinario, la sensibilità che esprimevano e che mi hanno trasmesso è stata molto forte. Finalmente ho la piena consapevolezza che la comunicazione, il mettersi a confronto è possibile farlo con tutti. Penso a tutte quelle persone che sentono ma che fanno finta di non sentire, di non sentire tutte quelle urla di dolore che possono levarsi nella società, e quando dico società includo anche il carcere perché è davvero parte integrante di essa. Non avrei mai creduto di poter raccontare la mia storia a ragazzi così, è stato molto difficile perché ogni mia singola parola veniva tradotta da un professore e la paura di andare veloce o magari perdere il filo era tanta. La realtà è che si sono dimostrati ottimi ascoltatori, ragazzi normalissimi e forse più sensibili. Ho passato una vita intera ascoltando solo i miei sentimenti di vendetta e non mi fermavo mai a guardarmi attorno, non pensavo mai al prossimo, il mio ego era l’attore principale. Mi sento in dovere di ringraziare la Redazione di Ristretti Orizzonti per questa opportunità che mi sta dando, e anche se ho il fine pena lontanissimo, nel 2037, la mia crescita interiore mi dà la forza di andare avanti in posti bui come è oggi il carcere, dove in molti casi si spegne anche la speranza di un futuro diverso. Ringrazio le scuole che partecipano, e tutti gli studenti che grazie alle loro domande, a volte anche scomode, mi permettono di riflettere, di confrontarmi con me stesso e con le persone che mi circondano. Sono convinto che se le persone, che si sentono potenti perché hanno in mano il potere di decidere del destino di tanta gente, assistessero a un incontro, ne guadagnerebbero in umanità. Non confondete le mie parole, non sono in cerca di clemenza, questo progetto la prima cosa che provoca è di farti assumere la tua responsabilità per quello che sei o che hai fatto, anche se viviamo in una società che poco ha di umano, basti pensare che per affrontare i problemi delle carceri si pensa solo a costruire altri "contenitori sociali". Lorenzo Sciacca Giustizia: quell’idea che (per ora) manca, le nomine sbagliate nascondono una grande ipocrisia di Luigi Ferrarella Corriere della Sera, 3 marzo 2014 Orlando, i sottosegretari guardiani e il derby giocato da una sola parte Con La grande bellezza agli Oscar siamo applauditi, ma con "la grande ipocrisia" siamo imbattibili: tutti a impallinare il neosottosegretario alle Infrastrutture, senatore Gentile, al quale il direttore de l’Ora della Calabria aveva ricondotto le pressioni intermediate dallo stampatore del quotidiano per bloccare la pubblicazione di una notizia sul figlio indagato del senatore calabrese. Giustissimo, ma Gentile non si è nominato da solo. E, soprattutto, la storia delle pressioni sulla stampa nell’interesse del senatore che ieri ha però affermato di non averle mai chieste, non è stata una sorpresa sfortunatamente appresa dal premier dopo la nomina: era invece stata già da giorni ampiamente trattata sulle prime pagine dei giornali. Anzi, se si riascolta l’audio della telefonata pubblicato sul sito del giornale calabrese, la pressione sul direttore era motivata dallo stampatore del quotidiano proprio con la necessità di non rovinare l’immagine di Gentile nel momento in cui lo si sapeva appunto in corsa per un posto da sottosegretario. Ecco perché questa nomina, che oggettivamente ha premiato una pressione sul giornale anziché sanzionarla con il discredito reputazionale, più ancora di Gentile interpella il presidente del Consiglio, il cui frequente "ci metto io la faccia" mal si concilia ora con la goffa giustificazione da Prima Repubblica, per cui la nomina sarebbe stata frutto di una non rifiutabile indicazione del socio di maggioranza governativa Alfano, che di Gentile è il capopartito e lo sponsor. Tutto e il contrario di tutto, senza una rivisitazione critica o una condivisione argomentata, possono stare insieme solo e proprio perché la grande ipocrisia è l’unica cecità che permette di non voler vedere il vero nodo: e cioè l’assenza nel premier, almeno sinora, di una idea di giustizia che non si riduca all’aneddotica estemporanea sugli arresti da cambiare quando viene assolto un top manager che conosce o sui nuovi reati stradali da inventare quando emoziona la tragedia di un ragazzo investito; e che non si esaurisca nella promessa di intestarsi l’ultimo segmento di percorsi, come l’introduzione del reato di auto riciclaggio, in realtà ormai da tempo avviati perché dettati dall’Europa e elaborati già in dettaglio da tre apposite commissioni. È di questa assenza di una idea di giustizia che "parlano" certe nomine, alle quali peraltro il neoministro Pd Orlando pare assistere con imbarazzo. A parole, ad esempio, il correntismo togato è unanimemente bollato come un morbo della magistratura, eppure il governo Renzi conferma Cosimo Ferri sottosegretario alla Giustizia, cioè proprio il magistrato proverbialmente leader di una delle più forti correnti, all’interno della quale sta crescendo il mal di pancia appunto per la commistione tra corrente come espressione culturale e corrente come veicolo politico. Tra ciò che sulla giustizia ha operato Berlusconi e ciò che in questi 20 anni hanno opposto i suoi contraddittori, Renzi fa pari e patta con la sbrigativa espressione "basta con i derby ideologici, tanto nessuno cambierebbe idea": poi però nomina un altro sottosegretario alla Giustizia in Enrico Costa, parlamentare che legittimamente è stato tra i massimi pasdaran di una delle due fazioni asseritamente in derby, quella degli ultra berlusconiani (oggi neo alfaniani) in prima fila nelle leggi ad personam, contro una imprescindibile riforma dello scandalo di 130.000 prescrizioni l’anno, a favore di stringenti limiti alle intercettazioni, e all’attacco della giurisdizione se si esprime in processi sgraditi. Passa così quasi in secondo piano che, appena insediato e a dispetto dei propositi, nel governo una sola mano già cominci a non bastare più per contare gli indagati tra ministri e sottosegretari: si può in teoria ritenere che sia un problema, si può motivare invece che non lo sia mai, o a quali condizioni non lo sia, e sarebbero tutte posizioni legittime se argomentate e rivendicate. Ma il punto è che questo governo non si sa cosa pensi. Giustizi: l’avvocatura chiama Orlando, ritiro della delega sul processo civile e spazi ai legali di Gabriele Ventura Italia Oggi, 3 marzo 2014 L’avvocatura detta l’agenda al nuovo ministro della giustizia, Andrea Orlando. Dal coinvolgimento attivo degli avvocati nell’operazione di smaltimento dell’arretrato civile al ritiro del ddl delega sul processo civile, al numero programmato all’università, fino all’emergenza carceri, sono alcune delle priorità, raccolte da Affari Legali, che secondo la categoria il guardasigilli deve affrontare da subito. Il Consiglio nazionale forense, per esempio, offre a Orlando la piena collaborazione degli avvocati, il cui impegno per lo smaltimento dell’arretrato potrebbe portare ad azzerare il carico pendente in breve tempo. La previsione di nuovi istituti che favoriscano accordi tra le parti tramite l’operato dell’avvocato, per esempio, sono misure che secondo il Cnf rappresenterebbero un pacchetto organico a costo zero per lo stato, che l’avvocatura è in grado di offrire. Secondo l’Organismo unitario dell’avvocatura, invece, il nuovo ministro deve partire dal ritiro del ddl delega sul processo civile. In un’ottica di modernizzazione del settore giustizia, poi, è necessario imporre davvero il processo telematico in ogni settore della giustizia, e andare sul territorio a verificare "davvero" la realizzazione della nuova geografia giudiziaria. Per Cassa forense, la priorità va data all’introduzione del numero programmato per l’accesso alla facoltà di giurisprudenza. Ed è necessario anche valutare a quanto ammonta il debito dello stato nei confronti dei legali che si sono spesi per il gratuito patrocinio. I giovani avvocati dell’Aiga, invece, puntano sul processo civile telematico, e in particolare sul rispetto del termine dell’entrata a regime. Orlando deve poi rivedere la struttura del processo civile, rendendolo più snello, implementare il procedimento esecutivo affinché la sentenza non resti sulla carta, intervenire sull’arretrato e affrontare l’emergenza carceri. Secondo l’Unione delle camere penali, la prima vera priorità in punto di giustizia è abbandonare il modo demagogico con la quale la si affronta: quindi basta fare leggi sul sistema penale solo per acquietare le ansie dei cittadini, i fatti di cronaca, le false emergenze. Consiglio nazionale forense • L’impegno degli avvocati per lo smaltimento dell’arretrato civile potrebbe portare ad azzerare il carico pendente in breve tempo • Lo sviluppo sul territorio di Camere di conciliazione e arbitrali presso i consigli dell’Ordine favorirebbe la soluzione alternativa delle controversie senza passare dai tribunali • La previsione di nuovi istituti che favoriscano accordi tra le parti tramite l’operato dell’avvocato sono misure che rappresentano un pacchetto organico, a costo zero per lo Stato, che l’Avvocatura è già in grado di offrire Organismo unitario dell’avvocatura • Ritiro del ddl delega sul processo civile • Spese: basta con gli aumenti di oneri e contributi di causa a carico del cittadino, non tagliare il patrocinio a spese dello stato per i meno abbienti • Lunghezza dei processi, contenzioso e arretrato: smaltimento straordinario dell’arretrato subito, ma senza rottamazioni • Modernizzazione: imporre davvero il processo telematico in ogni settore della giustizia, quindi andare sul territorio a veri. care davvero con una commissione "terza" la realizzazione della revisione della geografia giudiziaria Cassa nazionale di assistenza e previdenza forense • Concordare l’introduzione del numero programmato per l’accesso alle facoltà di Giurisprudenza • Riuscire a capire a quanto ammonta il "debito" dello Stato nei confronti dei legali che si sono spesi per il gratuito patrocinio Associazione italiana giovani avvocati • Processo civile telematico: rispettare il termine dell’entrata a regime • Rivedere la struttura del processo civile, rendendolo più snello • Implementare il procedimento esecutivo perché la sentenza non resti sulla carta • Intervenire sull’arretrato • Affrontare l’emergenza carceri Unione camere penali italiane • Abbandonare il modo demagogico con il quale si affronta il tema giustizia • Si deve parlare di indulto e si devono licenziare in fretta le norme che sono in discussione in parlamento sulla custodia cautelare e sulla detenzione domiciliare come pena principale • Riforma del codice di procedura penale partendo dal lavoro fatto dalla commissione nominata dal precedente ministro • Riforma sulla difesa di ufficio e sulle specializzazioni forensi licenziate dal Cnf • Rivedere lo statuto della magistratura riformando il titolo IV della Costituzione Unione nazionale camere civili • Approvare subito la legge che prevede la conciliazione assistita da un avvocato • Dare tutela legislativa, con sgravi anche fiscali, alle procedure arbitrali • Affidare direttamente agli avvocati alcuni procedimenti che non richiedono in prima battuta e necessariamente l’intervento del giudice • Ideare un disegno organico di revisione del processo civile • Semplificazione e unificazione dei riti Unione nazionale giudici di pace • Continuità del servizio da realizzare attraverso il rinnovo dei mandati quadriennali • Tutela previdenziale e assistenziale • Garanzie di indipendenza e autonomia • Razionale revisione delle sedi e degli organici nel limite massimo di 2.400 unità • Aumento del personale amministrativo Avvocati giuslavoristi italiani • Abrogazione del rito Fornero per l’impugnazione dei licenziamenti in area di applicazione dell’art. 18 SL (art. 1, comma 47 e ss, legge 92/2012) • Incentivazione della conciliazione • Incentivazione delle A.D.R. (Alternative Dispute Resolution) • Rilancio, con necessarie correzioni, dell’Arbitrato Associazione nazionale avvocati italiani • Introduzione reale del processo telematico su tutto il territorio nazionale • Produttività del lavoro giudiziario con incrementi di organico e stabilizzazione anche economica e previdenziale dei giudici laici • Ripristino della legalità nel processo civile con abbandono del filtro in appello, della sentenza con motivazione a pagamento e della obbligatorietà della media conciliazione. Giustizia: l’impatto del decreto (appena convertito) che punta a svuotare i penitenziari di Antonio Ciccia Italia Oggi, 3 marzo 2014 Più braccialetti elettronici e meno piccoli spacciatori in carcere. Il decreto legge "svuota carceri" (n. 146/2013), corretto in corsa, convertito dalla legge n. 10/2014 (sulla Gazzetta Ufficiale n. 43 del 21 febbraio 2014) si propone di ridurre in maniera controllare la popolazione carceraria sia aumentando il flusso in uscita sia diminuendo gli ingressi. Vediamo alcuni punti significativi del provvedimento. Braccialetto elettronico Il decreto interviene sull’articolo 275-bis del codice di procedura penale, che disciplina i controlli sulle persone agli arresti domiciliari con mezzi elettronici o altri strumenti tecnici (cosiddetto braccialetto elettronico). Si stabilisce che il giudice deve ordinariamente prescrivere queste particolari modalità di controllo, a meno che, a seguito della valutazione del caso concreto, non ne escluda la necessità. La regola è il braccialetto, l’eccezione è la mancata disposizione del braccialetto .Con ciò si dovrebbero ridurre i flussi in ingresso per la custodia cautelare in carcere, perché, a fronte del controllo elettronico, si potrebbe ricorrere più spesso agli arresti domiciliari piuttosto che alla custodia in carcere, naturalmente, previa verifica della disponibilità di tali apparati da parte della polizia giudiziaria. Tra l’altro il ministero dell’interno ha riferito in parlamento che per l’approvvigionamento dei braccialetti sono disponibili 2,5 milioni di euro all’anno per il triennio 2013/2015. Piccolo spaccio Attraverso la riduzione delle sanzioni inflitte per reati di piccolo spaccio, disposta dal provvedimento in esame, è prevista la riduzione del numero dei detenuti presenti negli istituti penitenziari (sono circa 15 mila i detenuti per tali tipi di reato). Il decreto prevede anche l’eliminazione del divieto di reiterata concessione delle misure dell’affidamento cosiddetto terapeutico e questo in considerazione delle particolari caratteristiche di tale categorie di condannati, che continueranno ad usufruire dello specifico trattamento terapeutico al di fuori degli istituti di pena senza necessariamente procedere al ricovero presso case di cura, assistenza e accoglienza. In tale ultimo caso si provvederà nel limite dei posti resi disponibili dal Servizio sanitario nazionale. Liberazione anticipata Per un periodo di due anni, ad esclusione dei condannati per i delitti più gravi (ad esempio, mafia), la detrazione di pena concessa con la liberazione anticipata è pari a 75 giorni per ogni singolo semestre di pena scontata. Ai condannati che, a decorrere dal 1° gennaio 2010, abbiano già usufruito della liberazione anticipata, è riconosciuta per ogni singolo semestre la maggiore detrazione di 30 giorni, sempre che nel corso dell’esecuzione successivamente alla concessione del beneficio abbiano continuato a dare prova di partecipazione all’opera di rieducazione. La detrazione si applica anche ai semestri di pena in corso di espiazione alla data del 1° gennaio 2010. Le novità non si applicano ai condannati ammessi all’affidamento in prova e alla detenzione domiciliare e ai condannati che siano stati ammessi all’esecuzione della pena al domicilio o agli arresti domiciliari. Ottemperanza Il decreto assegna più poteri al giudice di sorveglianza. I provvedimenti del magistrato di sorveglianza hanno più garanzia di essere concretamente eseguiti. Se il carcere nega un diritto al detenuto, questi può sporgere reclamo e, se lo vince, non possono esserci ostruzionismi nell’esecuzione. Il provvedimento introduce, infatti, un procedimento di ottemperanza delle decisioni del magistrato di sorveglianza. In proposito il decreto 146/2013 prevede che l’interessato o il suo difensore, munito di procura speciale, possano richiedere l’ottemperanza al magistrato di sorveglianza, che ha emesso il provvedimento. Il magistrato potrà accogliere la richiesta di ottemperanza e, in questo caso, la ordina (l’ottemperanza), indicando modalità e tempi di adempimento. Immigrazione Viene ampliata la platea dei potenziali destinatari dell’espulsione per i detenuti non appartenenti all’Unione europea, rendendo più veloci le procedure connesse all’identificazione e all’espulsione dello straniero. Inoltre si vogliono evitare effetti di duplicazione degli interventi restrittivi della libertà personale nei confronti degli stranieri extracomunitari anche in considerazione del fatto che, nella stragrande maggioranza dei casi, sono in genere destinati al trattenimento nei centri di identificazione ed espulsione. In base alle nuove norme sarebbero circa 5 mila i detenuti che potrebbero essere espulsi. Garante dei detenuti Viene istituito il garante nazionale dei diritti delle persone detenute o provate della libertà personale. Il garante deve vigilare, affinché l’esecuzione della custodia dei detenuti, degli internati, dei soggetti sottoposti a custodia cautelare in carcere o ad altre forme di limitazione della libertà personale sia attuata in conformità alle norme e ai principi stabiliti dalla Costituzione, dalle convenzioni internazionali sui diritti umani. Giustizia: Laura Arconti, Presidente di Radicali Italiani, scrive al Ministro Orlando… www.radicali.it, 3 marzo 2014 La Presidente di Radicali Italiani Laura Arconti scrive al Ministro della Giustizia Andrea Orlando: Quando riceverà, come promesso, i Radicali? Egregio signor Ministro della Giustizia, come tutti gli italiani ho capito perfettamente che il governo di cui lei fa parte si ispira al metodo dell’operatività immediata, e pertanto suppongo che lei sia molto occupato: tuttavia spero che troverà qualche minuto per leggere questa mia, che viene scritta proprio sotto lo stimolo dell’urgenza più stringente. Sono la presidente di "Radicali Italiani", Movimento costituente del Partito Radicale Nonviolento Transnazionale e Transpartito. Benché i mezzi di informazione non abbiano mai reso noto tutto ciò che da anni noi Radicali proponiamo per risolvere il disfacimento del sistema Giustizia e la vergognosa ricaduta sulle carceri, non dubito che lei ne sappia qualcosa. Mi risulta infatti che lunedì 24 febbraio una delle prime cose che lei ha fatto nella veste di Ministro della Giustizia è stato di telefonare alle ore 9:36 a Rita Bernardini, segretaria nazionale del movimento che io sono stata chiamata a presiedere, proponendole un incontro operativo sul tema. Siamo abituati ad incontrare le autorità istituzionali, e di solito i nostri dirigenti vengono invitati ed accolti senza ritardo quando se ne manifesta l’opportunità; abbiamo quasi sempre, invece, registrato problemi con le figure istituzionali del Pd e delle sue precedenti incarnazioni. Spero che lei interrompa questa prassi di negato ascolto e dialogo, ora che è Ministro del governo di tutti gli italiani, e tenga conto soltanto dei suoi doveri istituzionali, perché la nostra annosa battaglia politica sul tema di Giustizia e carceri si sta concentrando dal 28 febbraio in un Satyagraha collettivo di migliaia di persone che scandiranno i novanta giorni residui da quella data all’ultimatum della Cedu con le loro iniziative di sciopero della fame, di informazione e raccolta di firme su un appello urgente, come testimonianza di verità e richiesta di azione immediata, rivolta alle Istituzioni italiane. Tutti i viventi sono soggetti ad una specie di coazione a ripetere, tutti noi siamo portati a ripetere gli stessi gesti: infatti io ho scritto più volte alle alte cariche dello Stato e mi è capitato spesso di ricevere risposta. Mi ha risposto, per esempio, la dottoressa Annamaria Cancellieri, che ha preceduto lei come Ministro guardasigilli: era venuta a parlare all’assemblea del nostro XII Congresso nel novembre 2013, e poi mi ha risposto con una lunga lettera personale. Signor Ministro, noi Radicali abbiamo il vizio inusuale della sincerità e della franchezza: mi consenta perciò di dirle in tutta sincerità che la sua nomina al posto della dottoressa Cancellieri mi ha procurato un senso di delusione e di profonda preoccupazione. Lei fa parte di un Governo il cui presidente ha già fatto sapere più volte, direttamente o per il tramite di suoi Ministri, di non essere affatto d’accordo con la visione radicale in generale ed a maggior ragione sul tema specifico della giustizia e delle carceri che a noi sta tanto a cuore. Ecco il motivo e il nocciolo della mia lettera, signor Ministro: dalle ore 9:36 di lunedì 24 febbraio sono passati - mentre le scrivo - cinque giorni. La sua telefonata alla nostra Segretaria nazionale resterà un fatto gestuale, una semplice "promessa" di incontro con i Radicali, o si tradurrà in qualcosa di più concreto? Dipende soltanto da lei, perché noi siamo - da sempre - pronti a parlare con tutti. Ma ricordi, signor Ministro della Giustizia, che il 28 maggio scadrà l’ultimatum della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo all’Italia, e mai scadenza è stata più ultimativa: non c’è appello, perché troppe volte siamo stati condannati per i tempi biblici dei nostri processi e per il trattamento disumano e degradante nelle nostre carceri. La Corte di Strasburgo con la sentenza Torreggiani ci impone di rimuovere le cause strutturali e sistemiche del sovraffollamento carcerario che viola l’art. 3 della Convenzione; la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 210 del 2013, ha stabilito che, in caso di pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo che accertano la violazione da parte di uno Stato delle norme della Convenzione, "è fatto obbligo per i poteri dello Stato, ciascuno nel rigoroso rispetto delle proprie attribuzioni, di adoperarsi affinché gli effetti normativi lesivi della Convenzione cessino". Tutto questo è stato ricordato, e con parole ben più precise ed efficaci delle mie, dal Presidente Napolitano nel suo solenne messaggio alle Camere dell’8 ottobre scorso, che il Parlamento non ha mai discusso in aula, disprezzandolo come fosse un documento uscito dalle mani dei soliti seccatori radicali. Lo so: lei sta pensando di rispondermi che non tocca a lei ma al Parlamento, etc. Lo so bene, e - se non lo sapessi - la canzone mi è già stata cantata e ripetuta da molti, anche dalla presidente della Camera Laura Boldrini che, in risposta alla mia richiesta di calendarizzare il dibattito in Aula, ha risposto che il messaggio era stato ampiamente discusso in Commissione. Signor Ministro, non è più tempo di parole e di tergiversazioni, mentre le sto scrivendo mancano 87 giorni alla scadenza del 28 maggio. Non c’è da perdere un giorno, non un’ora, non un minuto. Occorre un provvedimento di clemenza completo: non solo indulto, ma soprattutto amnistia, che cancella il reato e libera le scrivanie dei giudici e gli armadi delle cancellerie da un mucchio di carte inutili destinate comunque alla prescrizione. E con altrettanta urgenza occorrono provvedimenti coraggiosi di riforma strutturale dell’intero sistema giustizia: certo, questa seconda parte richiederà qualche tempo in più, ed è proprio per questo che soltanto un provvedimento immediato di clemenza può fornire alla CEDU la prova della concreta decisione del nostro governo e del nostro parlamento di uscire da una situazione indegna di un paese che è stato storicamente considerato la culla del Diritto. La parola a lei, signor Ministro: e se riuscirà ad oppormi un motivo ragionevole e dignitoso per respingere la proposta radicale, sono pronta a ricredermi. Ma deve essere un motivo concreto, ragionevole, dignitoso, di cui non si debba vergognarsi di fronte al mondo intero ed alla coscienza di ciascuno di noi. Resto in ansiosa attesa di una sua risposta, le auguro buon lavoro, e spero che sia davvero un "buon" lavoro. Per cominciare: a che ora di domani lei incontrerà Marco Pannella, Rita Bernardini e qualche altro Radicale? Giustizia: incatenati davanti al Viminale, i "testimoni di giustizia" chiedono aiuto allo Stato di Daiana Paoli www.articolo21.org, 3 marzo 2014 Incatenati davanti al Viminale. Ormai esasperati. Sono testimoni di giustizia. Chiedono allo Stato aiuto, tutela, sostegno. Sono 80 oggi in Italia. Si arrabbiano, giustamente, quando vengono confusi con i collaboratori di giustizia. Non sia mai! "Noi siamo incensurati. Non siamo pentiti, abbiamo fatto arrestare criminali". Lo ripetono più volte ai giornalisti che seguono la loro protesta. Ignazio Cutrò, 46 anni, siciliano di Bivona, il pizzo non si è mai arreso a pagarlo. Ma il suo no gliel’ha fatto pagare, e molto caro, la mafia. Ripetuti attentati, minacce su minacce. Li ha denunciati. Lunghe indagini, fino agli arresti. In sette sono finiti in manette. Lui testimone di giustizia, lui che ha fondato l’associazione nazionale testimoni di giustizia. Ignazio che però ora non riesce più a mantenere la famiglia. Da sempre combattivo, è ormai disperato, tanto che adesso ha deciso di mollare: venderà l’azienda e lascerà l’Italia. E questa è una sconfitta. Collettiva. Sul suo sito ha messo l’elenco di tutte le sue attrezzature, con i relativi prezzi. Vuole liberarsi di ogni cosa, partirà presto, ma quando lascerà la Sicilia - ci dice - "non avrò perso io, avranno perso le istituzioni". Incatenato alla ringhiera della fontana, al centro della piazza del Viminale, c’è anche Gianfranco Franciosi, spezzino di Bocca di Magra. "La mia storia di infiltrato inizia nel 2006", racconta, "prima un anno e mezzo da informatore, poi vero e proprio infiltrato in un giro di narcotraffico. Tutto comincia quando io, titolare di un cantiere navale, vengo contattato per una commissione importante, una serie di gommoni da competizione. In realtà serviranno per trasportare droga. Quintali di coca". A Gianfranco offrono parecchi soldi, lui finge di tentennare, intanto va in Questura, racconta tutto. "Da allora ho fatto l’agente infiltrato per sei anni, 9600 kg di droga sequestrati grazie a me". Finisce anche in carcere per sette mesi in Francia. "Le autorità italiane non avevano avvertito i francesi del nostro passaggio con il narcotrafficante a bordo, ci hanno fermato, non avevamo droga, ma c’era il narcotrafficante, hanno arrestato anche me", racconta Franciosi. Che in seguito entrerà in un programma di protezione, ma dice di essere stato costretto a uscirne, poco tempo fa. "Non potevamo andare avanti così, era un inferno, per i bambini soprattutto". "Rifarebbe tutto ciò che ha fatto?", gli chiedo. E lui dopo aver esitato per qualche istante risponde: "Di sicuro dico agli italiani che bisogna denunciare, ma io non lo rifarei. Ho rovinato la mia vita, quella di mia moglie e dei miei figli. La mia attività è a un passo dal baratro". L’alluvione in Liguria gli ha distrutto il cantiere. Lui è tornato da poco a Bocca di Magra. Lo ha rimesso a posto, pian piano. Ma è durissima lavorare, non riesce nemmeno a pagare le bollette. Dopo la puntata speciale andata in onda il 20 gennaio a "Presa diretta", su Rai Tre, il dramma quotidiano che i testimoni di giustizia sono costretti a vivere sta finalmente ottenendo altri microfoni, telecamere, taccuini. Avrebbero bisogno anche di una scorta mediatica queste persone. In piazza c’erano gli uomini della scorta: li osservavano incatenarsi, li osservavano srotolare un grande striscione: "Prima vittime delle mafie, ora torturati dallo Stato. Morti che camminano". La storia di Gianfranco Franciosi diventerà un libro, lo scriverà a quattro mani con Federico Ruffo, giornalista di "Presa diretta" che ha portato per la prima volta la sua storia in tv. Ci è voluto tempo, parecchio tempo, perché Franciosi non voleva farsi vedere. Voleva tutelarsi, tutelare la sua famiglia. Ma la disperazione è troppa. Durante la protesta in piazza del Viminale, è venuto ad incontrarli Filippo Bubbico, viceministro dell’Interno del governo Letta. I loro casi li conosce uno a uno. Ribadisce loro l’impegno del Viminale, spiega ai testimoni di giustizia e ai giornalisti che una commissione di specialisti è al lavoro per modificare il decreto che oggi non garantisce la giusta tutela ai testimoni di giustizia che scelgono di non andarsene, di restare nel luogo dove sono nati, dove hanno aperto l’attività e dove hanno denunciato i criminali. I tempi però non sono definiti, potrebbero non essere brevi. E così rischia di non vedere fine l’agonia di Ignazio e Gianni, e di tutti gli altri come loro, che non hanno avuto paura, che non hanno mai abbassato la testa. E mai si potrà e dovrà dimenticare chi è morto per aver avuto il coraggio di raccontare allo Stato quello che sapeva, quello che aveva visto. Come Lea Garofalo, moglie di un boss della ‘ndrangheta, uccisa nel 2009. Giustizia: la famiglia di Federico Aldrovandi si rivolge a Renzi via Facebook www.telestense.it, 3 marzo 2014 Dopo l’annuncio del Sap la famiglia di Federico non vuole rispondere alle provocazioni e chiede di porre fine alla vicenda rivolgendosi direttamente al primo ministro Matteo Renzi. Un post su Facebook al primo ministro Matteo Renzi per chiedere che queste provocazioni sulla morte di loro figlio finiscano per sempre. Il post sul social network l’ha scritto la famiglia di Federico Aldrovandi, il papà Lino e mamma, Patrizia Moretti. Il giorno dopo le dichiarazioni del Sindacato autonomo di polizia Sap, la famiglia di Federico non ci sta a rispondere alle provocazioni annunciate ieri e per questo manifesta l’intenzione di rivolgersi direttamente a Matteo Renzi. Il Sap ieri ha annunciato una contro-campagna mediatica per ripristinare - sostiene il Sap - attraverso gli atti processuali la loro versione dei fatti sul caso Adlrovandi e quindi dimostrare - sempre per il Sap - l’innocenza dei quattro colleghi condannati. "Credo sia umano sbagliare ma continuare a perseverare sul fatto che i quattro agenti condannati in giudicato siano innocenti è diabolico" afferma senza mezzi termini Lino Aldrovandi. "Noi non siamo contro la polizia ma questo sindacato è stato ancora più scorretto del Coisp che non ha mai parlato di innocenza dei colleghi ma ha solo manifestato per impedire la carcerazione" aggiunge ancora papà Lino che pensa al colloquio che ebbe nel 2013 con l’allora capo della polizia, Antonio Manganelli e afferma: "Queste sono azioni che infangano la sua memoria di grande uomo della Polizia di Stato". "Loro sembrano contenti di fare la guerra ma io non ci sto" afferma Patrizia Moretti che proprio per porre fine a tutto questo annuncia: "Sto pensando veramente di rivolgermi a Renzi, affinché si metta la parola fine a queste provocazioni". Napoli: domani una manifestazione dei Radicali davanti al carcere di Poggioreale www.campania24news.it, 3 marzo 2014 Poggioreale può contenere 1679 detenuti, invece ne ha 2678. Secondigliano può ospitare 826 carcerati, invece ne ospita 1348. Infine Pozzuoli può avere 89 detenuti, invece ne ha 209. Le carceri campane sono in uno stato di emergenza, e il 4 Marzo i Radicali manifesteranno davanti alla casa circondariale di Poggioreale. "Nel gennaio 2013 dalla Corte europea dei Diritti dell’Uomo, ha messo in mora l’Italia giudicando la situazione delle nostre carceri incompatibile con l’art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, chiedendo entro il prossimo 28 maggio 2014, il ripristino delle condizioni di legalità e diritto e , minacciando in caso di mancato adempimento, gravi sanzioni pecuniarie e la condanna al risarcimento del danno ai numerosissimi ricorrenti", dichiara Giuseppe Alterio , segretario dell’associazione Per La Grande Napoli e membro del Comitato Nazionale di Radicali Italiani. E aggiunge: "Nell’ottobre del 2013 il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha inviato un messaggio alle camere per richiamare il Parlamento alle sue responsabilità e determinare un immediato rientro dello stato italiano nella legalità. Il Presidente ha sottolineato che "la necessità di cambiare profondamente le condizioni delle carceri in Italia costituisce non solo un imperativo giuridico e politico, imposto sia dalla Convenzione Europea sia dalla nostra Carta Costituzionale, ma anche e soprattutto un dovere morale". Ha "indicato una molteplicità di possibili interventi legislativi e amministrativi nonché, data l’urgenza la possibilità di accompagnare tali interventi con provvedimenti di clemenza generale, che avrebbero altresì l’effetto di accelerare i tempi di amministrazione della giustizia, anch’essi attualmente incompatibili con i principi della richiamata Convenzione europea e con l’articolo 111 della nostra Costituzione. Il 4 Marzo a Montecitorio i Deputati della Repubblica saranno chiamati a discutere il messaggio del presidente della Repubblica. Nelle settimane scorse abbiamo inviato ai deputati di tutti gli schieramenti politici eletti nella circoscrizione Campania 1 una lettera contenente i dati drammatici del sovraffollamento dei penitenziari napoletani con l’invito a partecipare al dibattito parlamentare", conclude. Modena: svuota-carceri e modifica alla legge sulle droghe, dal Sant’Anna escono in 37 www.modenaqui.it, 3 marzo 2014 Sono 37 i detenuti usciti dal Sant’Anna, e meno di 200 a livello regionale, per gli effetti del decreto svuota carceri e per la bocciatura della discussa legge sulle droghe Fini-Giovanardi. Si può quindi parlare tranquillamente di falso allarme. A Bologna dal carcere della Dozza sono uscite solo 16 persone per effetto dell’incostituzionalità della legge e 23 per lo svuota carceri: un totale per ora di solo 39 persone mentre secondo la direttrice Claudia Clementi, "gli effetti più grandi si vedranno, più che con le uscite, con i mancati ingressi". Come detto, a Modena, dove si contano circa 500 detenuti, ne sono usciti 37. A Rimini, invece, i detenuti sono meno di 70 e l’impatto del decreto sarà quasi nullo. Tutti gli altri sono usciti dalle altre carceri dell’Emilia Romagna, dove si contano in tutto 3.526 detenuti. Da un lato, ad influire sulla popolazione carceraria, sono stati i provvedimenti del nuovo decreto "svuota carceri" come la liberazione anticipata speciale, l’affidamento in prova, l’espulsione dei detenuti stranieri, novità su piccolo spaccio e braccialetti elettronici. Dall’altro, l’incostituzionalità della Fini-Giovanardi che rimette in discussione le pene già inflitte per spaccio: il tutto però senza sconti automatici. Infatti ogni richiesta deve essere valutata e il Tribunale è al lavoro per vagliare poco meno di mille richieste. Udine: ecco le "Snait Bag", borse in materiale riciclato prodotte dai detenuti di Venezia Adnkronos, 3 marzo 2014 Il merchandising dell’università di Udine si arricchisce delle "Snait Bag", le borse in materiale riciclato dagli striscioni stradali, realizzate dai detenuti della Casa circondariale maschile di Santa Maria Maggiore di Venezia, che lavorano con la cooperativa sociale "Rio Terà dei Pensieri". "L’iniziativa - spiega Manuela Croatto, responsabile dell’Area relazioni esterne dell’ateneo - è nata all’interno del nostro ufficio con un triplice obiettivo: riciclare gli striscioni stradali e pubblicitari utilizzati per promuovere gli eventi dell’università e offrire un’opportunità di lavoro a chi vive un momento di difficoltà nella vita e veicolare in modo nuovo l’immagine dell’Ateneo". Il progetto è diventato realtà grazie alla collaborazione con Giulia Montecchio, 22 anni, di Lozzo di Cadore, studentessa di Scienze dei servizi giuridici pubblici e privati all’università di Udine e tirocinante dell’Area relazioni esterne dell’ateneo. Proprio grazie a quest’ultima esperienza, Montecchio svolgerà la sua tesi di laurea su "Il lavoro nelle cooperative sociali" con relatrice la professoressa Valeria Fili’, del dipartimento di Scienze giuridiche dell’ateneo friulano. "La cooperativa individuata per il progetto - spiega Montecchio - è stata istituita nel 1994 ed è formata sia da detenuti, uomini e donne, che da persone libere. Ne fanno parte la casa circondariale maschile di Santa Maria Maggiore e la Casa di reclusione e Casa circondariale della Giudecca. Gli uomini si occupano della serigrafia e del riciclaggio del pcv, mentre le donne di un orto botanico e di una linea biologica di cosmetici. La scelta, sulla base di procedure pubbliche, è caduta su questa cooperativa - spiega ancora la studentessa - dopo aver contattato varie strutture del Friuli Venezia Giulia e del Veneto, sulla base dei soggetti che si sono dimostrati interessati e della facilità di realizzazione dei prodotti". Il nome scelto deriva dall’unione di due parole: alla classica "bag" ("borsa" in inglese) è stata anteposto "snait", termine friulano usato per indicare qualcosa di dinamico e di veloce. "è un modo per rendere omaggio alla nostra lingua e alla laboriosità dei friulani - spiega Croatto - e ci è sembrata la sintesi perfetta della volontà di dare un significato a materiali che altrimenti sarebbero finiti in discarica. Quello che oggi per tutti è sintetizzato con "smart" per noi friulani è sempre stato "snait". L’iniziativa è aperta anche ad altri enti o associazioni - conclude Croatto - che volessero portare a noi i loro striscioni da riutilizzare. Le "Snait Bag", disponibili in quattro tipologie (tre borse e un porta iPad) non soltanto inaugureranno la nuova linea di prodotti di merchandising dell’ateneo ma daranno anche il nome al negozio di merchandising dell’ateneo ("Snait Store"), che si trova in via Petracco 4 a Udine, nella sede dell’Ufficio relazioni con il pubblico. Apprezzamento è stato espresso dal rettore Alberto Felice De Toni che ha visitato il nuovo negozio per complimentarsi con la studentessa e con lo staff dell’Area relazioni esterne che ha realizzato il progetto. Teramo: studenti universitari incontrano i detenuti della Casa Circondariale di Catrogno www.teramonews.com, 3 marzo 2014 Un gruppo di studenti volontari dell’Università degli Studi di Teramo, insieme ad alcuni Docenti e coordinatori, con l’assistenza e la supervisione di P. Francesco Malara, Direttore dell’Ufficio Diocesano per la Pastorale Universitaria, svolgeranno nella mattinata di Martedì 4 Marzo 2014 un incontro con i detenuti della Casa Circondariale di Teramo che verterà sul tema del perdono ed in particolare del perdono cristiano. L’attività si inserisce nello specifico del programma previsto per il corrente anno accademico da parte dell’Ufficio Diocesano per la Pastorale Universitaria, quale attività di volontariato che tende a valorizzare gli anni dell’Università per favorire la formazione integrale della persona e a credere nell’amore, nell’amicizia, nella dignità della persona umana e nei valori assoluti attraverso il dialogo sincero e rispettoso verso tutti, compresi i non credenti. L’incontro si svolgerà nel locale adibito a teatro della struttura e sarà introdotto dalla visione di un cortometraggio riguardante la presentazione del libro di Giustino Perilli, "Il perdono", edito dalla Casa Editrice Palumbi. L’autore, che sarà presente, ha raccolto una serie di interviste-testimonianze pubblicate nel libro e nel cortometraggio stesso, che provengono da persone vittime di fatti di cronaca noti all’opinione pubblica per aver perso un familiare o aver subito personalmente violenza, quali Luciano Paolucci, Carolina Porcaro, Carlo Castagna, Mercy Yulien, Margherita Coletta, Giuseppe Soffiantini, Mino e Mariella Cantamessa. È previsto anche un collegamento telefonico con alcune delle suddette persone affinché, chi lo desideri, possa rivolgere delle domande direttamente a loro. Successivamente si affronterà una riflessione condivisa tra tutti sul perdono in generale e sul perdono cristiano, valorizzando lo specifico carattere e la novità apportati da Gesù di Nazaret. È prevista inoltre una esibizione in comune tra studenti e detenuti con qualche canto liturgico improntato al perdono cristiano. Parteciperà all’incontro anche Angelo Bleve, pastore della Chiesa Evangelica presente sul territorio e molto attiva nella struttura carceraria, che insieme a P. Francesco Malara e a Giustino Perilli animerà l’incontro. In tal modo il messaggio e il valore ecumenico dell’esperienza acquista un carattere molto forte, e fornisce un segnale di vicinanza e solidarietà da parte di tutti a quelle "periferie" che spesso oggi vengono dimenticate. Ferrara: l’allarme del Sappe "bombe carta degli anarchici contro il carcere, più controlli" di Federico Malavasi Il Resto del Carlino, 3 marzo 2014 L’allarme del sindacato che ha incontrato il prefetto dopo gli attacchi anarchici. "Saluti anarchici" con bombe carta nel parcheggio della struttura e manifestazioni improvvisate, spesso senza autorizzazione. Episodi che si sono ripetuti diverse volte nel corso dell’anno e a cui detenuti e agenti di polizia penitenziaria del carcere di via Arginone hanno - loro malgrado - dovuto abituarsi. Soprattutto da quando la casa circondariale ospita quattro esponenti delle frange più dure del movimento No Tav. Fatti che, secondo i sindacalisti del Sappe, "creano ulteriori difficoltà ai nostri operatori, già numericamente ridotti al lumicino" e che necessitano di "qualche intervento in più dal punto di vista della sicurezza". È questo il motivo che ha spinto i membri del Sappe a salire le scale di palazzo Giulio d’Este, per esporre al prefetto Michele Tortora le loro preoccupazioni riguardo al ripetersi di questi inquietanti eventi. "Si tratta di episodi molto gravi - ha spiegato il segretario generale del sindacato Giovanni Durante: dei veri e propri attacchi alle istituzioni volti a dimostrare solidarietà ai ‘compagni’ reclusi all’Arginone". Conseguenze, secondo il Sappe, di scelte non troppo oculate. "Quando è stato deciso di mandare a Ferrara quei quattro pericolosi detenuti - ha proseguito Durante - noi avevamo fatto presente che qui mancavano le adeguate condizioni di sicurezza interna ed esterna. Si tratta infatti di una struttura che si affaccia su un ampia rotatoria, non molto illuminata. A questo poi si aggiunge la ormai cronica carenza di organici". Che in via Arginone si traduce con circa quaranta poliziotti in meno all’appello. "Questo carcere dovrebbe avere circa 240 agenti - puntualizza il numero uno del sindacato di polizia penitenziaria, mentre al momento ne abbiamo solo 193, oltre a una decina distaccati in altre strutture. Per garantire la sicurezza esterna, anche alla luce di questi raid, servirebbe un presidio fisso. Cosa che, in queste condizioni, non possiamo permetterci". Da qui le richieste di aiuto rivolte al prefetto. "Abbiamo chiesto maggiori controlli in termini di passaggio di polizia e carabinieri, oltre a una maggiore illuminazione della zona. Non solo. Abbiamo proposto l’attivazione di un sistema di videosorveglianza dell’area. Quello di Ferrara - conclude il sindacalista - è l’unico carcere della regione che ospita detenuti legati a gruppi terroristici di questo tipo. Pretendiamo che questo penitenziario sia messo in condizione di mantenere adeguati livelli si sicurezza". Rovigo: il nuovo Garante dei detenuti è Sebastiano Rizzioli, che succede a Livio Ferrari Rovigo Oggi, 3 marzo 2014 È Sebastiano Rizzioli il nuovo Garante dei diritti alle persone private della libertà personale sul territorio di Rovigo. Succede a Livio Ferrari che se ne occupa dalla nascita del servizio nel 2008. Il sindaco Bruno Piva ha deciso di nominare quale nuovo Garante per i diritti delle persone private nella libertà personale, il rodigino avvocato Sebastiano Rizzioli, docente all’Università di Ferrara e di Rovigo e ricercatore. Con questa nomina il sindaco ha voluto "dare la possibilità ad un’altra persona, sensibile e di spessore, competente sui temi della giustizia e dei diritti, di crescere in questo tipo di servizio, così particolare e delicato". Il sindaco ringrazia il Garante uscente Livio Ferrari, per quanto ha fatto. La figura del Garante nel Comune di Rovigo è stata istituita nel 2008 con delibera di Consiglio Comunale e i suoi compiti sono definiti dallo Statuto e dal Regolamento dell’ente. Che cosa fa il Garante? Ha il compito di tutelare i diritti fondamentali riconosciuti dalla Costituzione quali il diritto alla salute, al lavoro, all’istruzione. Egli deve inoltre vigilare sul rispetto della normativa prevista dall’Ordinamento Penitenziario, dal relativo Regolamento e da tutte le norme che possano riguardare i detenuti. Il Garante, rispetto a possibili segnalazioni che giungano alla sua attenzione attraverso telefonate, mail, lettere, si rivolge all’autorità competente per chiedere chiarimenti o spiegazioni, sollecitando gli adempimenti o le azioni necessarie per il ripristino di diritti del detenuto eventualmente violati, o parzialmente attuati. Promuove inoltre iniziative per sensibilizzare la cittadinanza sui problemi della reclusione e su quelli successivi del reinserimento nella società civile e mantiene contatti periodici con le associazioni maggiormente rappresentative nell’ambito dell’esecuzione penale per uno scambio reciproco di informazioni e proposte. Il Garante è un organo monocratico che svolge le sue funzioni in piena autonomia e indipendenza; deve però riferire al Sindaco, alla giunta, al consiglio comunale, sulla attività svolta e sulle iniziative intraprese, sui problemi insorti o irrisolti, presentando apposita relazione annuale. Varese: detenuti aggredisce compagno con la caffettiera, interviene agente e resta contuso La Prealpina, 3 marzo 2014 Litigio in cella. Un litigio che ricorda "Don Rafaé", la celebre canzone di Fabrizio De Andrè nel ritornello "Ah che bell’o cafè pure ‘n carcere ‘o sanno fà...". Nulla di poeticamente ironico, come canta il brigadiere Pasquale Cafiero, è però avvenuto alla casa circondariale dei Miogni. Quanto è avvenuto l’altro pomeriggio è un episodio grave che ha avuto per protagonista un detenuto. E una caffettiera. L’uomo, un venticinquenne di origine albanese, da gennaio "ospite" nella casa circondariale di Varese, ha infatti avuto uno scatto d’ira nei confronti del compagno di cella e ha alzato quanto aveva a portata di mano. Cioè l’apparecchio per fare il caffè, che i detenuti possono tenere in cella insieme con un piccolo fornello a gas. "L’episodio è stato davvero spiacevole e ha avuto come vittime sia un compagno di cella dell’uomo, poi denunciato alla Procura della Repubblica - confermano Marilena Gioia del sindacato Uil-Pa e Antonio Barone di Cisl-Fns, sia un nostro collega intervenuto a dividere i contendenti ed evitare che la situazione degenerasse e che ha riportato lesioni alla mano sinistra e un trauma contusivo lombare". Sette i giorni di prognosi per l’agente che è stato aggredito dal detenuto albanese, ai Miogni per alcuni furti e già detenuto in passato: l’agente è intervenuto insieme con altri agenti per calmare il carcerato in preda a un vero e proprio raptus e, nel tentativo di placarlo, non è però riuscito a evitare calci e pugni. Intanto i colleghi soccorrevano l’altro detenuto, il compagno di cella, pure di origine albanese, in cella dall’inizio dell’anno per reati sull’immigrazione e che ha riportato una ferita alla testa che è stata suturata. La proposi per lui è di sei giorni. Libri: dalle malattie alle morti in cella, un libro sui diritti negati dei detenuti Corriere della Sera, 3 marzo 2014 Brian Bottigliero e gli altri: storie di ordinaria follia. In attesa che si possano avere una giustizia e un sistema carcerario migliori. Una lettura corale alla Casa della Memoria e della Storia, una folla di persone riunite per parlare - per una volta senza pregiudizi - del mondo "degli altri", delle vite - e delle morti - di chi dimora dietro le sbarre di un carcere. È stata questa l’occasione per presentare a Roma, pochi giorni fa, il libro "Quando hanno aperto la cella. Storie di corpi offesi", di Luigi Manconi e Valentina Calderone. Un lavoro che documenta e denuncia le storie di chi è entrato in una prigione, in una caserma o in un reparto psichiatrico e ne è uscito senza vita perché "in Italia in carcere si muore: alcuni sono suicidi, altri no". La presentazione del volume - che vuole essere "una scossa di coscienza del lettore" ripercorrendo la triste storia d’Italia sul tema a partire da Pinelli - ha dato il via ad una due giorni dedicata al tema di sanità e diritti negati ai detenuti nell’ambito del programma "CarcerAzioni". Il dibattito, cui han preso parte il vicesindaco di Roma Luigi Nieri, e il Garante dei Diritti dei Detenuti del Lazio Angiolo Marroni, ha preso il via dalla vicenda - ancora insoluta - di Brian Gaetano Bottigliero, in 24enne dializzato in attesa del processo d’appello dal 2012, ora rinviato al 1° aprile. Brian Gaetano Bottigliero 24 anni, condannato a 9 di carcere per il pestaggio di Alberto Bonanni - che di anni ne ha 29 e da allora è in stato di coma - si è sempre professato innocente. Una rissa fra ragazzi nel giugno 2011 a Monti, per futili motivi di disturbo della quiete, è un episodio da branco che sciocca la Capitale, suscitando polemiche nei confronti dell’allora sindaco Gianni Alemanno rispetto alla mancanza di sicurezza delle strade cittadine. L’allora 22enne Bottigliero, condannato a 9 anni in primo grado nel 2012 insieme ad altri quattro imputati, è a tutt’oggi detenuto a Regina Coeli in attesa dell’appello. Processo già in calendario il 27 febbraio 2014, ma rinviato al 1° aprile perché uno dei giudici aveva già preso parte al primo grado contro un altro degli imputati per la stessa rissa. Ma aldilà del giudizio sul reato commesso o non commesso da Bottigliero, resta il caso di un ragazzo poco più che ventenne che in cella si è ammalato, che è in attesa di un trapianto di rene ma non lo può avere perché troppo debilitato dalle condizioni carcerarie. Ora, dopo un appello accorato dei genitori e ripetuti ricorsi, Brian ha ottenuto la detenzione presso un ospedale, ma la stessa direzione ospedaliera consiglia di mandarlo agli arresti domiciliari perché le sue condizioni di cronicità sarebbero incompatibili perfino con una detenzione in struttura ospedaliera. Su questo caso di ordinaria amministrazione della giustizia italiana pesa infatti la grave patologia renale da cui nel frattempo è risultato affetto il ragazzo, che nel gennaio 2013 viene ricoverato d’urgenza al Santo Spirito, quindi per tre mesi al Pertini nella sezione medicina protetta (la stessa che accolse Stefano Cucchi). Trascurati i sintomi di quella che inizialmente è una banale insufficienza renale, durante il lungo periodo di carcerazione la patologia diventa cronica e il ragazzo, ormai sottoposto a dialisi tre volte a settimana e in attesa di trapianto di rene, perde in circa tre anni 20 chili di peso. Eppure l’istanza di scarcerazione per incompatibilità carceraria dovuta a gravi motivi di salute è stata rigettata più volte con la motivazione del pericolo di fuga. Dopo il caso Cancellieri - Ligresti e l’appello lanciato dai genitori, a novembre scorso il senatore della Commissione Diritti umani Luigi Manconi si era recato in carcere in visita al ragazzo, chiedendone la scarcerazione. Che sarebbe nel suo diritto data l’impossibilità di fuga (oltre che debilitato, il ragazzo è di fatto dipendente dalla dialisi) nonché indispensabile per creare quelle condizioni igieniche, sanitarie e psicologiche necessarie ad operare il trapianto dei reni, sua unica speranza di vita. Una vicenda che richiama quella di un altro detenuto romano, Stefano Cucchi, tragicamente conclusasi nel 2009 e tristemente esemplare delle centinaia di casi analoghi, in cui carcerati gravemente malati sono vittime di complicazioni burocratiche nel corso del tortuoso iter per la scarcerazione, che raramente viene concessa. Nei 206 istituti penitenziari italiani, i circa 47.000 posti disponibili sono occupati da oltre 65.000 detenuti: condizioni oggettivamente drammatiche, in cui disagio psichico e malattie soprattutto infettive sono rischi concreti, eppure il Tribunale per la libertà è restio a concedere gli arresti domiciliari anche ai casi più gravi. Libri: "Ricci, limoni e caffettiere. Piccoli stratagemmi di una vita ristretta" recensione di Achille Della Ragione L’Opinione, 3 marzo 2014 Presso la biblioteca "Papillon" di Rebibbia, presenti i vertici dell’Istituto, vi è stato un piacevole scambio di idee tra i detenuti del gruppo universitario e le autrici (anch’esse recluse) di un istruttivo libro: "Ricci, limoni e caffettiere. Piccoli stratagemmi di una vita ristretta". Il volume regolarmente distribuito in libreria, è una piccola summa per sostenere al meglio la vita in una cella. Vi è un capitolo dedicato alla bellezza, uno alla salute, uno al gioco e non potevano mancare una serie di ricette per preparare con pochi ingredienti gustosi manicaretti. Infine, sono consigliati vari espedienti per sopperire ad alcune mancanze nella dotazione penitenziaria, da come depilarsi o stirare i capelli, a come approntare un prosaico quanto indispensabile bidet di fortuna, ottenuto tagliando a metà una bottiglia di Coca Cola e versandovi acqua riscaldata, stando seduti sul wc. Il carcere tende a comprimere fino all’annullamento la personalità delle ristrette attraverso la privazione di poche ma indispensabili cose. Si viene a creare così un universo di piccoli e grandi rimedi, grazie alla natura fantasiosa delle donne, per salvaguardare la salute e la forma fisica, ma anche la bellezza, che va preservata per non turbare un equilibrio interiore, indispensabile per sopravvivere. E poi le ricette, perché la vita passa anche attraverso la cucina e come rendere più gradevole una cella, attraverso il riciclo di ogni materiale. Tutto questo è esposto con genuina semplicità in questo manuale di umanità femminile, con scritti, poesie e immagini offerti al lettore esterno, ignaro delle problematiche del pianeta carcere, come chiave di lettura, non priva d’ironia e ottimismo, della penosa vita delle detenute e di alcuni semplici rimedi per sopravvivervi. Un libro che dovrebbe essere letto e meditato. Cinema: "Sbarre", un film-documentario su Sollicciano realizzato dagli allievi di Segre Ristretti Orizzonti, 3 marzo 2014 Grazie alla disponibilità del Ministero della Giustizia, del Provveditore dell’amministrazione penitenziaria della Regione Toscana e del Direttore del Nuovo Complesso Penitenziario di Firenze Sollicciano, il Centro Sperimentale di Cinematografia ha realizzato un laboratorio didattico curato da Daniele Segre con gli allievi del secondo anno dei corsi di regia, sceneggiatura, suono e montaggio, volto alla realizzazione di "Sbarre", un film documentario che ha come protagonisti le detenute, i detenuti e gli agenti della polizia penitenziaria che in primo piano, guardando nell’obiettivo della telecamera, raccontano in modo naturale la quotidianità della loro vita in carcere: dal giorno del loro arrivo alle difficoltà di convivenza in una situazione di grave sovraffollamento, alla carenza di personale di sorveglianza. Un’esperienza molto importante per la formazione artistica e professionale degli allievi, umanamente straordinaria. Il film racconta la mancanza di supporto psicologico sia per gli agenti che per i detenuti, le condizioni igieniche e sanitarie, la graduale spersonalizzazione, il lento trascorrere del tempo - chiusi per 22 ore in celle minuscole da dividere in tre - i turni stressanti degli agenti, da soli a sorvegliare sezioni di 60/70 detenuti. In "Sbarre" i detenuti parlano anche del disegno, della musica e del teatro come forme di "evasione e liberazione", della loro paura del reinserimento una volta fuori dal carcere, privi di adeguata formazione. Sbarre si propone di rappresentare e di fare uscire da quelle mura i racconti, i volti e le voci di una sofferenza, e vuole porsi come contributo a una riflessione necessaria affinché le condizioni di vita nelle carceri italiane possano raggiungere i livelli di civiltà richiesti con grande urgenza dall’Unione Europea. "Sbarre", laboratorio didattico a cura di Daniele Segre organizzato dal Centro Sperimentale di Cinematografia Italia 2014 - documentario - HD - colore - durata 52’ Prodotto da: Centro Sperimentale di Cinematografia Production, in collaborazione con Rai Cinema. Immigrazione: Cie Ponte Galeria, approvata mozione per chiusura temporanea Asca, 3 marzo 2014 Il Consiglio comunale di Roma ha approvato all’unanimità la Mozione presentata dal capogruppo di Sel Gianluca Peciola, volta ad "avviare interventi di monitoraggio e trasparenza continui e assidui presso il Cie di Ponte Galeria, affinché vengano garantite per i cittadini migranti trattenuti condizioni di dignità, di rispetto del diritto alla difesa, di condizioni di salute decenti e di impiego di risorse atte ad evitare ulteriori motivi di sofferenza ai cittadini". Il testo impegna il sindaco e la giunta "a esprimere formalmente al Governo nella sua interezza, al Ministro dell’Interno, ai Ministri competenti, il proprio giudizio fortemente critico nei confronti della struttura ospitata all’interno del territorio, evidenziandone i costi esosi, l’inutilità strutturale nell’economia dei processi migratori, ritenendolo soprattutto un luogo sospensivo dei diritti fondamentali e considerando l’inadeguatezza dello stesso edificio che lo ospita". A fronte di queste considerazione, il Consiglio ne chiede "in attesa delle verifiche e dei monitoraggi richiesti, la chiusura e l’elaborazione di altre forme di accoglienza di carattere non reclusivo". Un segnale importante, anche se, pur esprimendo un "giudizio fortemente critico nei confronti della struttura", non si schiera nettamente per la sua chiusura, se non temporanea in funzione di controlli. Una mozione dai toni più decisivi è stata approvata pochi giorni fa a Torino, dove sindaco e giunta si sono impegnati a "chiedere ufficialmente al Governo di superare nel più breve tempo possibile il Cie di corso Brunelleschi". Che posizione prenderà in merito la Regione, chiamata ad esprimersi sulla mozione presentata da Bonafoni? Iniziative di questo tipo rappresentano, come specificato da Bonafoni, "un passaggio necessario per avviare al più presto un’azione di monitoraggio e trasparenza su quanto accade all’interno del Centro". Partendo, è utile sottolinearlo, dal presupposto che i Cie sono "irriformabili", come dichiarato dalla stessa Bonafoni che, ricordando le necessità di "una reale modifica delle norme che concernono l’immigrazione", ha sottolineato che "ogni cambio di politica in tema d’immigrazione non può che passare per l’archiviazione di queste strutture". Le mozioni adottate dal Consiglio comunale di Roma e di Torino, quella presentata al Consiglio regionale, costituiscono un’utile pressione politica degli enti locali sul Governo e sul Parlamento, visto che il sistema di detenzione amministrativa fa capo al Ministero dell’Interno ed è previsto per legge. Solo un intervento normativo può portare alla definitiva cancellazione dei Cie. Guinea: lettera aperta al Ministro Mogherini sul caso di Roberto Berardi di Luigi Manconi (Senatore Pd) www.abuondiritto.it, 2 marzo 2014 Gentile signora Ministro Federica Mogherini, nell'augurarle il miglior successo per la sua nuova attività, devo richiamare la sua attenzione su un'ulteriore questione che si va ad aggiungere alle troppe già presenti nella sua agenda. In tutto il mondo, oltre 3.100 italiani si trovano detenuti nelle carceri di paesi stranieri, spesso in condizioni disumane. La sorte mi ha fatto incontrare uno di loro ed è di lui che qui le voglio parlare. Il suo nome è Roberto Berardi, è nato a Latina, ha 49 anni e tre figli. La sera del 17 febbraio scorso ho parlato al telefono con lui, recluso nel carcere di Bata, importante città della Guinea Equatoriale. Insieme a me c'erano l'ex moglie Rossella e due amici. Berardi è rinchiuso in una prigione all'interno di un campo militare dal gennaio 2013, unico europeo su circa 270 detenuti. Dal 14 dicembre è in isolamento, chiuso 24 ore su 24, in un ambiente umido, a 40°C, che rende concretissimo il rischio della malaria. La cella è di tre metri e mezzo per due ed è alta poco più di due metri. L'unico contatto con gli agenti è dato dai venti secondi necessari per introdurre nella cella un secchio d'acqua e il pasto (una volta al giorno: essenzialmente riso, pollo, tacchino e cibo in scatola). Da quando è in carcere ha perso più di quindici chili. Sono gli altri detenuti (e qualche agente) a trovare il modo di fornirgli più cibo e un telefono cellulare che usa occasionalmente. Sin dal momento dell'arresto è stato sottoposto a violenze fisiche: "scudisciate inflitte principalmente sulle natiche - racconta Berardi - per non lasciare segni" o "bloccato a terra e frustato", come è successo quando ha cercato di reagire ai colpi, tre settimane fa. La direzione del carcere ha attribuito le ferite a una caduta accidentale. Come da copione, e come vuole l'epidemiologia ottusa del giustificazionismo di tutti i carcerieri del mondo. Durante questi tredici mesi, Berardi ha ricevuto poche visite: alcuni suoi collaboratori e il console generale spagnolo a Bata, su indicazione del nostro ministero degli Esteri (dal momento che l'Italia non ha una rappresentanza diplomatica in quel paese). Gli incontri con quest'ultimo e con altri funzionari diplomatici si sono svolti sempre nell'ufficio del direttore del carcere, e sempre in presenza di personale penitenziario o di militari. Berardi, accusato di truffa e appropriazione indebita, è stato condannato il 26 luglio 2013 a due anni e quattro mesi di reclusione con l’obbligo di restituire 1,5 milioni di euro. La sua drammatica storia si intreccia con la figura di Teodorìn Nguema Obiang Mangue, figlio del presidente della Guinea Equatoriale Teodoro Obiang Nguema Mbasogo, al potere dal 1979 dopo un colpo di stato. L'imprenditore italiano lavora in Africa da vent'anni nel campo delle costruzioni. In Guinea Equatoriale nel 2011 diventa socio del figlio del dittatore; e successivamente, di fronte ad alcune anomalie contabili, chiede spiegazioni al socio Teodorìn. La reazione è immediata: l'imprenditore italiano viene fermato, messo in isolamento, processato e condannato. Dall'ultimo rapporto di Amnesty International apprendiamo che in Guinea Equatoriale si verificano uccisioni illegali per mano di soldati e arresti di difensori dei diritti umani, attivisti politici e oppositori del governo. Alcuni detenuti sono sistematicamente sottoposti a torture. Nel rapporto si parla anche di Teodorìn: a marzo scorso, "giudici inquirenti francesi hanno spiccato un mandato d’arresto internazionale nei suoi confronti, nel contesto di un’indagine per appropriazione indebita di fondi pubblici e riciclaggio di denaro. Ad agosto, la polizia francese ha confiscato la sua residenza di Parigi, sostenendo che era stata acquistata con denaro contante derivante dall’appropriazione indebita in Guinea Equatoriale". Teodorìn è sotto processo anche negli Stati Uniti. Ed è sempre lui il principale accusatore di Roberto Berardi. Quest'ultimo è da più di un anno in carcere nelle condizioni prima descritte.Per la sua sopravvivenza, dice, sono essenziali le conversazioni telefoniche con i suoi familiari, nonostante gli enormi rischi che comportano.Durante il giorno legge libri di psicologia e noir in lingua spagnola. Ogni mattina si alza alle cinque, si prepara un caffè solubile e fa ginnastica. Spiega: "come se fosse l'ultimo giorno della mia vita perché non permetterei mai a questa gente di vedermi in uno stato di abbandono". Gentile signora Ministro Federica Mogherini, come già detto, Berardi è uno degli oltre 3.100 italiani detenuti nelle carceri straniere. Il ministero degli Esteri, fino a ieri guidato da Emma Bonino, si è occupato di questa vicenda, incontrando enormi difficoltà. E non è affatto facile trovare una soluzione. Berardi è, certo, solo uno dei tanti infelici connazionali che si trovano privati della libertà a migliaia di chilometri da casa: ma intanto si può partire da lui e tentare ancora nuove strade. Subito. E' necessario muoversi prima che sia troppo tardi. India: caso marò; la decisione di non utilizzare la legge antipirateria fa ancora discutere di Antonio Angeli Il Tempo, 3 marzo 2014 Un errore strategico dell’accusa indiana nella lunga e complessa vicenda dei nostri marò bloccati nel Paese orientale sta giocando un ruolo fondamentale: scongiurato l’uso inaccettabile della legge antipirateria il procuratore di Delhi ha chiesto comunque di lasciare il caso alla polizia federale Nia. Ma utilizzare l’una senza l’altra si sta rivelando un problema che ha ulteriormente diviso il già disunito fronte politico indiano. Il pool di difensori di Latorre e Girone ha ben compreso il valore di questa carta e se la sta "giocando" con abilità. La scorsa udienza, il 24 febbraio, finalmente è giunto il parere del governo indiano, negativo, sulla possibilità di incriminare Latorre e Girone, soldati in missione di pace antipirateria, proprio con la legge speciale antipirateria. Un’enormità che l’autorevole Corte suprema ben si è guardata dal prendere autonomamente, ma per la quale ha preteso, ed ottenuto, un parere scritto dal ministero della Giustizia, fatto poi suo dall’esecutivo. Così, la scorsa settimana, dopo ventisei rinvii, si è celebrata un’udienza fondamentale davanti alla Corte che si è aperta proprio con la consegna al più alto ente giuridico indiano del parere scritto del ministero della Giustizia, secondo il quale i due soldati non possono essere giudicati con la legge speciale antiterrorismo e antipirateria. La difesa dei due militari, infatti, aveva più volte chiarito con decisione che l’utilizzo del Sua Act sarebbe equivalso a considerare l’Italia uno Stato terrorista. Raggiunto questo fondamentale obiettivo la pubblica accusa ha però richiesto che a formulare i capi d’accusa resti la National Investigative Agency, l’ente antiterrorismo fondato nel 2009. Questo ha permesso al pool di difensori di presentare le stesse obiezioni avanzate contro il Sua Act. Non solo: messa fuori gioco l’inaccettabile legge antiterrorismo il tentativo di mantenere la Nia appare comunque inaccettabile e ha permesso, alla diplomazia italiana, di mantenere alta la pressione diplomatica su Delhi. Infatti a tutt’oggi l’ambasciatore italiano non è rientrato in India e non si trova in India nemmeno l’incaricato speciale del governo, Staffan de Mistura. Un segnale, da un punto di vista diplomatico, molto forte. Sempre nella scorsa udienza, inoltre, il giudice ha chiesto alla difesa di presentare entro una settimana le motivazioni scritte del suo rifiuto di un coinvolgimento della Nia. Da quel momento l’accusa avrà una ulteriore settimana per mettere a punto la sua linea. La giustizia indiana ha così richiesto altre due settimane per decidere il "come" trattare la vicenda dei soldati italiani. La Corte suprema, infine, ha dato appuntamento a tutti al 7 marzo. Al momento la difesa dei due militari italiani non ha ancora presentato le sue motivazioni scritte, azione che farà durante la settimana in corso. Questa "memoria" giungerà alla Corte suprema entro questa settimana, ma non sono stati posti vincoli di tempo. Il che vuol dire che potrebbe essere consegnata anche mercoledì o giovedì. In questo caso l’accusa potrebbe chiedere ancora qualche giorno per definire la sua linea. La data di venerdì 7 potrebbe perciò essere interlocutoria, ma la successiva udienza alla Corte suprema, presumibilmente nella settimana tra il 10 e il 15 marzo, potrebbe segnare una svolta importante nella vicenda dei due marò, detenuti in India da ben più di due anni senza neanche un capo d’accusa. L’utilizzo della legge antipirateria o dell’ente di polizia antiterrorismo, che l’accusa si era posta come obiettivi, si sono rivelati dei tecnicismi che hanno fatto discutere il governo esponendolo a forti pressioni internazionali. Gli obiettivi italiani appaiono invece estremamente definiti e ampiamente condivisi. Sono concentrati nelle recenti dichiarazioni del ministro della Difesa. "Il nostro obiettivo prioritario è che i marò tornino in Italia - ha dichiarato la responsabile del dicastero Roberta Pinotti - Nell’ultima fase del governo Letta - ha aggiunto il ministro - si è lavorato molto sull’internazionalizzazione: noi pensiamo che debba essere continuata questa strada e posso dire che per questo governo sarà un impegno quotidiano il fatto che i nostri due militari, in missione per l’Italia e mandati dal Parlamento, tornino nel loro Paese". Venezuela: il leader dell’opposizione Lopez intervistato in carcere "il popolo è disperato" Adnkronos, 3 marzo 2014 Le proteste contro il governo di Nicolas Maduro, che hanno provocato finora 18 morti e 250 feriti, sono "l’espressione di un popolo disperato ed umiliato". È quanto afferma il leader dell’opposizione Leopoldo Lopez in un’intervista rilascia al El Nacional dal carcere dove è rinchiuso da quando, nei giorni scorsi, si è consegnato alla polizia che l’ha accusato di aver organizzato le proteste. Lopez ribadisce di non appoggiare la violenza, ma sottolinea che "non basta condannarla". "Bisogna comprendere ed interpretare il sentimento del popolo e indirizzarlo per mantenere la richiesta di speranza", afferma. Il leader dell’opposizione, che è detenuto nella prigione militare di Ramo Verde, rischia una condanna fino a 10 anni di carcere. Afghanistan: falsa lettera fa liberare 28 prigionieri talebani invece di 16, ora sono ricercati www.polisblog.it, 3 marzo 2014 A Kandahar è partita la caccia ai detenuti rilasciati per errore, due sono stati già di nuovo catturati. Aperta un’inchiesta sulla vicenda. Qualche giorno fa, dal carcere afgano di Kandahar, sono stati liberati 28 detenuti talebani. Ma alcune ore dopo si è scoperto che erano soltanto 16 i prigionieri che dovevano essere rilasciati. Il capo della sicurezza di Kandahar, Rahmatullah Atrafi, ha spiegato che è stata una lettera inviata al carcere martedì scorso a trarre in inganno le autorità. "Abbiamo scoperto l’inganno quando i detenuti erano stati già liberati. Da quel momento, due dei dodici usciti illecitamente sono stati già catturati di nuovo". Chi è stato, dunque, a far uscire dal carcere 28 combattenti talebani invece dei sedici pattuiti originariamente? È stata aperta un’indagine, non è arrivata al momento alcuna rivendicazione in merito all’inganno. Corrispondenti dall’Afghanistan sono però sicuri che dietro ci siano proprio i talebani: "Nella lettera sono stati aggiunti all’elenco 12 prigionieri, ma era falso. Un comitato, costituito da funzionari della prigione, pubblici ministeri e funzionari della sicurezza, è già al lavoro per esaminare la questione. Scopriranno chi c’è dietro l’inganno e i responsabili saranno processati e puniti". Il rilascio dei prigionieri talebani è una questione controversa in Afghanistan. Nel mese di gennaio, l’ufficio del presidente Hamid Karzai ha deciso di ridare la libertà a decine di prigionieri, precedentemente detenuti dalle forze Usa a Bagram. Washington ha espresso preoccupazione per questa vicenda: "Verrà concessa la libertà a pericolosi criminali".