Giustizia: un’agenda dei diritti umani in Europa... l’Italia e i detenuti dall’Associazione Antigone Ristretti Orizzonti, 30 marzo 2014 Nel 2010 in Italia la popolazione detenuta ha sfiorato le 70mila unità: negli anni immediatamente precedenti, ovvero tra il 2002 e il 2010, si sono infatti sovrapposte politiche a tutti i livelli che hanno determinato una crescita esponenziale delle presenze nelle carceri. Secondo le stime ufficiali, la capienza regolamentare nei 205 Istituti di pena nazionali è di circa 47mila posti. Secondo le rilevazioni empiriche dell’Osservatorio nazionale sulle condizioni di detenzione di Antigone, che tengono conto dei reparti chiusi provvisoriamente in quanto in stato di manutenzione, sarebbero circa 37mila. In questo periodo, in Italia, viene raggiunta una percentuale di affollamento che si aggira intorno al 150%, percentuale che ci pone al vertice negativo dei Paesi dell’Unione Europea, e non solo. Le condizioni di vita in carcere diventano particolarmente dure e l’Italia si espone alle critiche degli organismi sovranazionali di controllo giurisdizionale sui diritti umani. Il dibattito costituzionale e penitenziario italiano, che si era fino ad allora concentrato intorno alla funzione rieducativa della pena, inizia a rivolgersi alla prima parte dell’articolo 27 della Costituzione secondo cui la pena "non deve consistere in trattamenti contrari al senso di umanità". Le carceri italiane, strapiene di persone non di elevato rango criminale, alloggiate e mantenute in modo precario, private di uno spazio sufficiente di vita, costrette all’ozio, non curate adeguatamente, hanno prodotto le reazioni delle Corti supreme, prima all’estero e poi anche in Italia. La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, proprio in riferimento all’Italia, prima nella sentenza Sulejmanovic c. Italia del 16.7.2009 e poi nella oramai nota sentenza pilota Torreggiani e altri c. Italia dell’8.1.2013, confermata dalla Grande Camera il successivo 27.5.2013, ha sostenuto che negare lo spazio minimo vitale equivale a violare la dignità umana della persona detenuta. Violazioni che, secondo la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, rappresentano in Italia un fatto sistematico che impone una riforma strutturale del sistema penitenziario. Secondo gli ultimi dati disponibili (relativi al 2011), il sovraffollamento nelle carceri italiane era, secondo le fonti ufficiali, del 147%. Essendo tuttavia conteggiate in questo calcolo, per esplicita ammissione del Ministero della Giustizia, molte sezioni penitenziarie nei fatti inutilizzate a causa della mancanza di fondi per la loro manutenzione, il tasso reale si elevava a circa 170%. Ma non solo di sovraffollamento ha parlato la Cedu con riferimento al carcere in Italia in questi anni. L’Italia è stata condannata per la scarsa efficacia delle indagini in casi di maltrattamenti (Lavita v. Italia, 2000); per l’incompatibilità delle condizioni di salute del ricorrente con il regime detentivo (Scoppola v. Italia, 2008; Cara-Damiani v. Italia, 2012), per violazione del divieto di censura della corrispondenza con il difensore (Zara v. Italia, 2009) o per l’inadeguatezza delle cure mediche prestate ai detenuti (Cirillo v. Italia, 2013). In molti casi si tratta di fatti che, anche se denunciati e accertati di rado, rappresentano più la norma che un’eccezione. E altrettanto allarmanti sono i rapporti del Comitato europeo per la prevenzione della tortura (Cpt) relativi alle ultime visite nelle nostre carceri. Nel 2013 sono morte nelle carceri italiane 148 persone. 49 di queste si sono tolte la vita. Sono numeri assolutamente incomparabili rispetto alla popolazione libera, segno di assenza di cure e di profondo disagio che non hanno nulla a che vedere con la privazione della libertà, ma che sono invece conseguenza della violazione, spesso dell’assoluto annichilimento, dei diritti più elementari dell’essere umano. Sul diritto alla formazione professionale e al lavoro, l’art. 27 della Costituzione Italiana, al terzo comma, introduce il principio secondo il quale "Le pene… devono tendere alla rieducazione del condannato". L’ordinamento penitenziario prevede, inoltre, l’obbligo da parte dell’amministrazione di garantire ai condannati e agli internati il lavoro che, insieme alla formazione professionale, rappresentano i maggiori strumenti rieducativi. A livello internazionale negli Standard minimum rules for the treatment of prisoners e i Basic principles for the treatment of prisoners dell’Onu si sottolinea l’importanza del lavoro e della formazione nel reinserimento sociale delle persone detenute, così come nelle Regole penitenziarie europee del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa. In Italia l’ipotesi di attuare politiche prioritariamente finalizzate all’occupazione ed alla formazione professionale dei detenuti è andata progressivamente scemando nonostante questo quadro normativo che sostiene con forza questo aspetto della vita delle persone detenute. A giugno 2013, quanto i detenuti presenti erano 66.028, 13.727 erano i reclusi che lavoravano (poco più del 20% dei detenuti presenti: una delle percentuali più basse negli ultimi 20 anni) e poco meno di 3.000 erano i detenuti iscritti ai soli 251 corsi di formazioni attivati nei 205 Istituti di pena nazionali. In Italia manca il delitto di tortura nel codice penale; le politiche mirate all’occupazione e alla formazione professionale dei detenuti sono andate progressivamente scemando; l’offerta di salute nelle carceri italiane è proiettata quasi esclusivamente verso la terapia, finanche poco occupandosi della fase della diagnosi. I detenuti in custodia cautelare rappresentano il 41,2% del totale della popolazione detenuta in Italia. Nonostante le ultime riforme in materia di custodia cautelare, i dati italiani in questo ambito continuano a essere del tutto fuori scala rispetto alla media europea. La quantità di persone in custodia cautelare è la più grave anomalia del sistema penitenziario italiano, quella che più di ogni altra ci distanzia dal resto d’Europa. Un male che ci portiamo dietro da tempo e che non è possibile scrollarsi da dosso senza riforme strutturali del processo penale, che si accompagnino però anche a un cambiamento nella cultura di tutti gli operatori giuridici, affinché si torni ad attribuire alla custodia cautelare in carcere quel ruolo di extrema ratio che gli è attribuito dalle norme internazionali e dalla nostra Costituzione. Nella Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, ad eccezione dell’articolo 3 che proibisce la tortura e le pene e i trattamenti inumani e degradanti, non vi sono norme specifiche riguardanti la condizione dei detenuti. Eppure nel tempo si è consolidata una giurisprudenza ampia e approfondita in materia di diritti di detenuti. La parola chiave di questa ondata giurisprudenziale è ‘umanità’, ovvero la dignità umana kantiana, nel cui nome si sta cercando di ovviare a quelle politiche di internamento di massa che hanno prodotto prigioni nelle quali la vita è degradata e il trattamento è disumano. Come è noto, sia la nostra Costituzione che tutte le norme interne in materia di esecuzione delle pene, così come le norme ed i trattati internazionali di cui l’Italia è parte, impongono una esecuzione della pena che non comprima i diritti delle persone detenute, se non nella misura strettamente necessaria per la esecuzione della pena stessa. È altrettanto noto come in effetti le cose non stiano così. Giustizia: le Regioni chiedono di accelerare i lavori per le strutture alternative agli Opg Asca, 30 marzo 2014 "Sia il legislatore a fissare la proroga dei termini per la chiusura degli Opg (ospedali psichiatrici giudiziari, ndr), l’importante è che non si fermino ed anzi si accelerino le procedure per l’affidamento e l’espletamento dei lavori per la costruzione delle strutture alternative, le Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza, Rems con termini realistici e scadenze che possano davvero essere rispettate". A sostenerlo il 25 marzo nel corso della seconda audizione sull’argomento presso la commissione Sanità del Senato l’assessore Carlo Lusenti (Regione Emilia-Romagna), intervenuto insieme all’assessore Lucia Borsellino (Regione Siciliana) in rappresentanza della Conferenza delle Regioni. "Le Regioni sono impegnate in questa fase nella presa in carico e nei percorsi di cura personalizzati, ma - ha spiegato Lusenti - occorrono anche impegni che devono essere assunti da tutti gli attori coinvolti (Regioni, ministeri della Salute e della Giustizia, Magistratura giudicante e di sorveglianza) perché come è noto infatti, l’accesso e le dimissioni dalle future REMS restano in capo a decisioni della magistratura e a procedure avviate dal Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria". La proposta delle Regioni è quella di dar vita ad un percorso accompagnato e guidato da una "cabina di regia politica" che effettui un puntuale monitoraggio dei processi messi in atto da tutti gli attori coinvolti. Secondo le Regioni uno strumento utile per completare in tempo la costruzione o la ristrutturazione di edifici da destinare a Rems sarebbe la possibilità di deroghe alla normativa sugli appalti magari prevedendo per i Presidenti delle Regioni poteri commissariali in analogia a quanto si verifica in occasione di eventi emergenziali. Attualmente sono attivi sul territorio nazionale 6 Opg, situati rispettivamente in Lombardia (anche per Val d’Aosta e Piemonte), Emilia-Romagna (anche per Trento e Bolzano, Friuli-Venezia Giulia, Veneto, Marche), Toscana (anche per Sardegna, Liguria, Umbria), Campania (2 strutture, anche per Lazio, Abruzzo, Molise), Sicilia (anche per Puglia, Basilicata, Calabria). La legge n. 9/2012 stabilisce la chiusura dal primo aprile prossimo degli ospedali psichiatrici giudiziari e che le misure di sicurezza del ricovero in OPG e dell’assegnazione a casa di cura e custodia sono eseguite esclusivamente all’interno delle strutture sanitarie appositamente istituite (residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza, Rems). Le Regioni erano tenute a presentare al Ministero della salute un programma complessivo per la realizzazione delle Rems e per l’implementazione di percorsi riabilitativi e di alternativa agli Opg e alle stesse Rems, entro maggio 2013. Il programma è stato presentato da tutte le Regioni. Per alcune Regioni il programma è stato approvato formalmente, per altre sono stati richiesti chiarimenti e l’approvazione è giunta più tardivamente. Ad oggi risulta che 13 Regioni (Marche, Emilia-Romagna, Veneto, Piemonte, Liguria, Toscana, Umbria, Abruzzo, Molise, Puglia, Sicilia, Lombardia, Lazio) hanno presentato il programma. La chiusura degli Opg diverrà definitiva solo quando tutte le Regioni e province autonome abbiano pronta la struttura. I tempi - osservano le Regioni - vanno quindi calcolati avendo a riferimento l’ultima Regione e non la prima. Giustizia: quel messaggio ai violenti… da oggi nessuno può sperare nell’impunità di Michela Marzano La Repubblica, 30 marzo 2014 La sentenza è giusta. Anche se nulla potrà ripagarmi". È con queste parole che Lucia Annibali ha commentato la sentenza di condanna del suo ex fidanzato, che aveva pagato due sicari per aggredirla con l’acido. Vent’anni di reclusione per stalking e tentato omicidio, come era stato richiesto dal pubblico ministero. Per punire in modo esemplare un crimine esemplare. E mostrare così, speriamo una volta per tutte, che la violenza contro le donne non può restare impunita, che gli uomini violenti non possono più farla franca, che la giustizia, anche in Italia, può fare il proprio lavoro. Certo, nulla potrà mai ripagare Lucia per la sofferenza e l’umiliazione subite. Nulla potrà mai ridarle quello che ha perso per sempre. Nulla potrà cancellare quei mesi di lotte per non lasciarsi travolgere dal dolore ed andare avanti. Ma, adesso, Lucia non sarà più solo un simbolo delle violenze contro donne. Sarà anche il simbolo di una giustizia che, senza cadere nella trappola della vendetta, riconosce alle vittime della brutalità maschile il diritto di essere prese sul serio. Certo, il dramma delle violenze che tante donne subiscono quotidianamente non si risolve solo attraverso la punizione. Come accade ogni volta che si è di fronte ad un problema strutturale, per affrontare adeguatamente questa piaga contemporanea è necessario anche cominciare ad agire sulle cause, organizzando un serio piano di prevenzione. Si dovrà, prima o poi, affrontare concretamente la questione della riscrittura della grammatica delle relazioni affettive, insegnando a tutti, fin da piccoli, la necessità del rispetto dell’alterità e della dignità di ogni essere umano, indipendentemente dal sesso, dal genere o dall’orientamento sessuale. Si dovranno finanziare i centri anti-violenza e proteggere le vittime. Si dovrà trovare il modo per aiutare quegli uomini che, rendendosi conto della propria incapacità a controllare l’aggressività e la frustrazione, cercheranno il modo per evitare di passare un giorno all’atto. Ma come fare a portare avanti strategie di questo tipo se non c’è prima l’azione effettiva e simbolica della legge che interviene per punire i colpevoli? Condannare i colpevoli e applicare la legge è il primo passo per lottare contro le violenze di genere. Non tanto e non solo per riparare i torti, perché quelli, molto spesso, non possono essere riparati. Quanto per dare a tutti un segnale chiaro e preciso: ci sono cose che non si fanno, crimini che la nostra società non è disposta a tollerare, gesti che saranno duramente sanzionati. Nulla è peggio del sentimento di impunità, quel "tanto poi non succede niente" che ha fino ad ora permesso a tanti uomini violenti di continuare ad agire come prima, di non rimettersi mai in discussione, di pensare che non ci fosse nulla di male a perseguitare o picchiare una donna, a deturparla col l’acido o ad ucciderla. Troppe volte gli uomini maltrattanti ne sono usciti indenni. Troppe volte le donne vittime non sono state ascoltate. Troppe volte sono state lasciate sole, talvolta anche rese responsabili di quanto stavano subendo. Lucia Annibali porterà per sempre con sé i segni della violenza subita. Quell’acido ricevuto in pieno viso per deturparne i contorni e le forme. Quella volontà di cancellarne la specificità, costringendola all’anonimato dell’informe. Ma sarà anche, e per sempre, il simbolo della capacità che tante donne hanno di battersi e di andare avanti per riconquistare la propria soggettività. Sarà anche, grazie alla sentenza di ieri, il simbolo di una giustizia che accoglie e riconosce veramente il dolore delle vittime, punendo i carnefici in modo esemplare. Giustizia: dal 1983 insegno dietro le sbarre a Torino, ma oggi rieducare è impossibile di Marco Imarisio Corriere della Sera, 30 marzo 2014 Al suo ingresso in direzione didattica tutte le dirigenti alzarono lo sguardo. "Lei è un maschio!". Non posso negarlo, rispose lui. "Perfetto per il Ferrante Aporti" gli dissero in coro. Era il 9 settembre 1983, e Mario Tagliani credeva che il riferimento delle sue colleghe al santo laico della pedagogia fosse un complimento. Un maestro maschio era ed è ancora una rarità, "più di un Picasso autentico a casa mia". Le scelte di vita spesso diventano tali per caso. "Pensi che quel giorno, appena arrivato dalla mia Brescia, ero già stato assegnato a una elementare "normale". Accettai il cambio di destinazione. Non me ne sono mai pentito". A Torino, Ferrante Aporti è sinonimo di un palazzo basso e antico in corso Unione Sovietica. Dal 1829, prima come "Correzionale agricolo pei giovani discoli" sotto il regno di Carlo Alberto, è il carcere minorile del capoluogo piemontese, con il più grande bacino territoriale d’Italia, perché comprende anche Liguria e Valle d’Aosta. Nel 2001 divenne lo sfondo delle centinaia di ore di diretta dedicate al delitto di Novi Ligure, la detenzione dei due ragazzi autori di quell’atrocità, e poi il processo, sempre in quell’edificio austero. "C’era questo ragazzo, Omar, in isolamento. Immaginavo un bullo. Era un ragazzino dal viso d’angelo, che quando mi vide scattò in piedi rosso in volto: "Buongiorno". Quando gli proposi di portarlo a giugno senza fargli perdere l’anno mi disse: "Qualunque cosa, purché qualcuno stia con me". Ogni volta che Omar faceva qualche accenno a quel che era accaduto, mi ritraevo. Sono un maestro, non uno psicologo. "Dai, pensiamo alla scuola" gli dicevo. Un giorno lo trovai furibondo. "Hai visto i telegiornali?" mi chiese. Era indignato. Sosteneva che Erika gli stesse buttando l’intera responsabilità di quell’orrore. Disse, con candore: "In fondo io l’ho aiutata solo con la madre". Mi cadde il mondo addosso. "Solo con la madre?" gli urlai. "Come rubare la marmellata, no?". Confesso, non pensai che quella fosse una vera, seppur parziale confessione. Ero sconvolto per il vuoto che vedevo dietro quella espressione neutra. Fu la prima volta che mi sentii incapace di capire". Tagliani è un uomo semplice, uno di quelli che quando lo chiamano dottore sente ancora il dovere di precisare, "solo diplomato, prego". I suoi trent’anni di insegnamento in un carcere minorile sono finiti tutti in un liva, tornava. Sapevamo sempre dove trovarlo". Aveva una casa, una madre sempre incinta, con lividi su tutto il corpo causati da un padre che si era licenziato per avere la liquidazione e la spendeva al bar. "Avevano comunque una identità, non solo anagrafica. Si riusciva a trovare un linguaggio comune". Non lo salvò, perché non sempre c’è salvezza. L’Aids lo portò via in un pomeriggio di estate, sul letto d’ospedale dell’Amedeo di Savoia. "Morì parlando della sua terra, il ricordo di quando era bambino, cortili assolati e tramonti aperti". All’improvviso apparvero i ragazzi che vedevano l’Italia come l’America e venivano dall’Albania. Quelli come Amir. Sul giornale lo avevano definito il capo dell’Arancia meccanica. Due mesi in classe senza dire una parola. Eppure, la coppa più grande di tutte nell’ufficio di presidenza l’ha vinta lui. "Era un concorso nazionale sulle prospettive degli adolescenti "difficili". Lui scrisse la sua personale teoria. In Albania il primo premio della lotteria nazionale è un biglietto aereo per l’Australia con permesso di soggiorno. Che futuro può avere un Paese che offre speranza solo nella fuga?". Adesso è l’epoca dei ragazzi Alias, senza nome, con tanti nomi. "L’Italia per loro è al massimo uno strumento, quasi sempre un luogo di passaggio. Quel che gli interessa è fare soldi da spedire a casa. Spariscono nel nulla, anche perché oggi fuori c’è il nulla. La funzione rieducativa del nostro carcere, e le misure alternative alla detenzione, erano pensate per chi voleva davvero rimanere, inserirsi. Non funzionano più". Il carcere minorile è un mondo dove la domenica scoppia la rissa per le sigarette che alla fine della settimana sono merce rara. "Ma quando proprio ce n’è una sola, vedi venti ragazzi che fanno educatamente la coda per fare un tiro". Ma è diventato anche il posto dove quando Omar esce dall’isolamento diventa un idolo. "Con i racconti di bella vita, immaginaria o reale, incarnava il sogno dei suoi compagni stranieri di detenzione". Sono cambiati i codici di accesso, alcuni restano sconosciuti. L’unica certezza è che domani il maestro Mario tornerà in classe. Non è detto che gli alunni saranno gli stessi. Ma ne vale comunque la pena. "Questo è ancora uno dei mestieri più belli che esistano. Ti permette di guardare il mondo che cambia e passa. Solo che a differenza degli altri, io l’ho fatto da dentro le mura, chiedendomi spesso com’era la vita fuori". Giustizia: il Cavaliere teme l’umiliazione dei servizi sociali, preferirebbe i domiciliari di Ugo Magri La Stampa, 30 marzo 2014 Se i magistrati seguiranno il loro buon senso, ragiona una fonte molto prossima a Berlusconi, "non gli faranno svolgere i servizi sociali presso una comunità". Immaginiamo il circo che si scatenerebbe, la morbosità mediatica, tivù da tutto il mondo per raccontare come sconta la pena il quattro volte premier. C’è chi, dentro Forza Italia, non chiederebbe di meglio in vista: tanto clamore sarebbe benzina ideale per la propaganda in vista delle Europee. Sono gli stessi pasdaran che, estremizzando, vorrebbero vedere il loro leader dietro le sbarre, in modo da giustificare manifestazioni di piazza al grido di "Silvio libero". Il diretto interessato, però, non pare abbia questa vocazione al martirio. La sola prospettiva di scontare la condanna in un centro di recupero offende l’immagine che l’uomo ha di sé. Addirittura, Berlusconi preferirebbe il carcere a domicilio, se l’alternativa fosse qualche mansione davvero umiliante (potrebbe "pulire i cessi", ipotizzò una volta Don Mazzi). Ma gli avvocati Coppi e Ghedini sperano che non si arrivi a tanto. "I giudici prenderanno atto che Berlusconi ha 78 anni", è l’auspicio dello staff legale, "una persona di quell’età andrebbe affidata ai servizi sociali senza pretendere che svolga chissà quale lavoro...". Alcune ore a settimana di colloquio con l’assistente sociale sarebbero in quest’ottica la soluzione meno traumatica. L’udienza davanti al Tribunale di sorveglianza è fissata tra 10 giorni, la decisione arriverà entro martedì 15 aprile. Il condannato Berlusconi non pare abbia in animo di chiedere un rinvio fino al 25 maggio, data delle elezioni europee. Due le ragioni: anzitutto, perché probabilmente il rinvio non gli sarebbe concesso. E poi, perché la convenienza del Cavaliere consiste nell’affrettare i tempi. Prima inizia a scontare, e prima se ne libera. Per quanto ardita possa apparire, la scommessa è di tornare in pista già dai primi di marzo 2015. L’affidamento ai servizi sociali, per sua natura, porterebbe a estinguere le pene accessorie, compresa l’interdizione dai pubblici uffici appena fissata nella misura di due anni. Resterebbe l’incandidabilità sancita dalla legge Severino. Tuttavia nel giro stretto berlusconiano nutrono parecchia fiducia nella Cedu (Corte europea dei diritti dell’Uomo) con sede a Strasburgo: "Abbiamo serie indicazioni che l’applicazione della Severino potrebbe essere contestata". In quel caso, trascorsi 10mesi e 15 giorni dall’inizio della pena, Berlusconi tornerebbe candidabile, senza bisogno di trascinare in lista i figli o i nipoti. Lettere: rieducazione… il senso smarrito di Riccardo Piazza www.articolo21.org, 30 marzo 2014 La notizia ha avuto poca diffusione e scarsissima rilevanza, se paragonata ai grandi eventi che prepotentemente occupano l’informazione nazionale in questi giorni. Qualche timido riscontro si è avuto a livello locale, giusto un paio di righe dalle agenzie di stampa. Tuttavia sono numerosi i focolai virali che sembrano infettare ogni giorno le membra del sistema carcerario italiano. A Vicenza 15 agenti hanno ufficialmente ricevuto un avviso di garanzia, per l’avvio di una indagine a loro carico, sulla base di numerose denunce pervenute dai detenuti dell’istituto di pena veneto. Il periodo dei presunti abusi sarebbe quello tra l’estate del 2012 e l’inizio dello scorso anno. Sconcerta la penuria di analisi e di conoscenza per un fatto così grave. Quello che qui sembra essere messo radicalmente in discussione è il concetto stesso di "rieducazione". Cosa vuol dire rieducare? Dovrebbe voler dire valorizzare la persona, porgerle ausilio per un fruttifero rientro nella società attraverso un virtuoso impegno di assistenza culturale, detentiva ed umana. Di fatto, le nostre carceri sono coacervi di annichilimento mentale, posti dove la persona non solo vien privata della sua identità, ma anche della sua dignità. Abusi fisici, verbali, psicologici, di stampo razzista, sono all’ordine del giorno. Il caso di Vicenza fa miseramente eco alla non tanto distante vicenda napoletana del carcere di Poggioreale, proprio quello cantato da Fabrizio De André. Ciò che lascia sgomenti, oltre all’effettiva negligenza ed ignoranza di un obbligo costituzionale, è il mutismo dell’informazione su tali vicende. Se tirassimo le somme di una ipotetica addizione, alla perdita ed alla regressione del senso di rieducazione dovremmo anche aggiungere il silenzio imperante che brucia lentamente le vite all’interno di quelle strutture di pena. Come risultato otterremmo così l’istaurarsi, nel cuore della società, di quel senso di normalità anomala che assopisce le coscienze, addormenta il pensiero, domina la nostra volontà. Abbiamo i mezzi per cambiare, per dar voce alla giustizia, quella vera, per appurare la realtà dei fatti, per riappropriarci della nostra rieducazione. La politica non renda effettiva e sistematica, quasi avesse in mano una calcolatrice, quella tremenda operazione dagli addendi anomali e dal risultato terrificante. Lettere: dei delitti e delle cure, programmare il superamento degli Opg di Claudio Mencacci (Presidente della Società Italiana di Psichiatria) Corriere della Sera, 30 marzo 2014 Superare due esempi di "inciviltà umana e sociale", due situazioni indivisibili: una road map per passare dalla custodia alla sicurezza delle cure. La chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari (Opg) non può più essere rimandata per mancanza di strutture alternative. Occorre programmare il superamento degli Opg con progressivi provvedimenti che rendano inutile la loro funzione. Secondo la Società italiana di Psichiatria questo programma può iniziare il 1° aprile 2014 e terminare nel 2017. Il percorso di cura deve cominciare nel luogo di detenzione, proseguire nelle Residenze per l’Esecuzione delle misure di sicurezza (Rems) e poi a domicilio del paziente, con la presa in carico da parte dei servizi di salute mentale. Il superamento degli Opg, che implica l’incremento dell’assistenza psichiatrica negli istituti di detenzione, consente di intercettare precocemente la malattia, evitando le recidive e quindi i reati. Il 16% dei detenuti (10 mila) soffre di disturbi psichici severi (disturbi psicotici, di personalità, depressione, uso di stupefacenti) spesso sottostimati e sotto trattati, con un tasso di suicidi che raggiunge il 40% delle cause di decesso in carcere. Potenziare l’organizzazione dei servizi per l’intervento psichiatrico all’interno del carcere è quindi indispensabile. La psichiatria non deve sostituirsi alla polizia penitenziaria, la sua funzione deve essere unicamente terapeutica. La vera premessa per il superamento degli Opg non è chiudere o trasformare le strutture, è abolire le misure di sicurezza psichiatrica e cancellare il concetto di pericolosità sociale psichiatrica. Chiudere gli Opg e non chiudere il rubinetto che li ha alimentati in tutti questi anni significherebbe spostare il problema su altre strutture, aumentando i costi sociali ed elevando i rischi professionali. La pericolosità sociale è un concetto vecchio e inadeguato almeno quanto gli Opg. Occorre considerare che la cura del disturbo e il controllo del comportamento non sono concetti analoghi: i farmaci, le cure psicologiche o riabilitative possono talvolta ottenere il successo terapeutico, ma non necessariamente il controllo del comportamento, perché il comportamento umano è complesso e ha radici nella storia personale dell’individuo. In sintesi, sono le persone a compiere i delitti, non le malattie. Sicilia: nasce "Antigone Sicilia", associazione per i diritti e le garanzie del sistema penale Ristretti Orizzonti, 30 marzo 2014 Nasce a Palermo "Antigone Sicilia", un'associazione che da sempre, in campo nazionale, si è battuta per i diritti e le garanzie del sistema penale, il cui Direttivo è composto dagli avv. Giorgio Bisagna, Eduardo Cammilleri, Stefano Giordano, Francesco Leone e Giuseppe Lunardo - tesoriere, con Pino Apprendi Presidente. "Anche in Sicilia si vuole aprire un dibattito con coloro che in Europa vogliono andare a rappresentare gli italiani, affinchè insieme ai temi del lavoro, dello sviluppo e della legalità, si affrontino i temi che riguardano la popolazione carceraria. Più volte l'Europa ha richiamato l'Italia per sopperire al sovraffollamento delle carceri. Quindi in Europa bisogna andare con le idee chiare. Fermare l'avanzata di quei partiti politici che inneggiano alla xenofobia e al razzismo". Lo dice Pino Apprendi, Presidente di "Antigone Sicilia". Padova: detenuto morì per una diagnosi sbagliata, medico accusato di omicidio colposo Il Mattino di Padova, 30 marzo 2014 Il pubblico ministero Orietta Canova ne ha chiesto la condanna a 2 anni di reclusione, assicurando che "per la procura si tratta di una colpa medica grave". Il processo è quello che vede imputata per omicidio colposo la dottoressa Orizia D’Agnese, quarantunenne medico in servizio nel carcere Due Palazzi. La sentenza sarà emessa il 22 maggio, dopo le arringhe di parte civili e difesa. I familiari della vittima sono già stati risarciti prima dell’avvio del processo. Il procedimento riguarda la morte di Federico Rigolon, 37 anni, originario di Montecchio Maggiore (Vicenza). L’uomo stava scontando la pena nel carcere padovano quando venne colpito da un infarto scambiato per una banale gastrite. Un infarto che gli aveva procurato un dolore lancinante durato quasi ventiquattr’ore. Dalle indagini emergerebbe che il medico di guardia, Orizia D’Agnese, non aveva creduto alle lamentele del detenuto. L’uomo avrebbe potuto essere salvato secondo le conclusioni degli esperti nominati dalla procura, il professor Gaetano Thiene e il medico legale Claudio Terranova. Il 16 aprile dell’anno scorso Rigolon chiede di essere visitato nell’infermeria del Due Palazzi. La dottoressa D’Agnese diagnostica una gastrite, Rigolon torna di nuovo in infermeria il 17 aprile alle 7,45. Inutile: la diagnosi non cambia. La dottoressa si limita a prescrivere ranitidina . Poche ore più tardi, nel pomeriggio, durante il consueto controllo la polizia penitenziaria si accorge che l’uomo, steso nel letto della sua cella: è morto. Lamezia Terme: il carcere prima inaugura lo "sportello lavoro", poi chiude i battenti Redattore Sociale, 30 marzo 2014 Una vicenda che sa di beffa: giovedì l’apertura in pompa magna dello sportello, ieri il blitz con la chiusura del carcere e il trasferimento dei detenuti. Ignari i familiari. Il Sappe: "All’incoerenza si aggiunge la schizofrenia di decisioni politiche senza senso". Si sono recati alla casa circondariale convinti di poter incontrare i loro familiari reclusi, avendo già da tempo prenotato il consueto colloquio. Ma, una volta arrivati all’ingresso del carcere sono stati informati che la struttura penitenziaria è stata definitivamente chiusa con un provvedimento reso noto ieri mattina e che i detenuti sono stati trasferiti in altri penitenziari calabresi ieri pomeriggio. È l’amara sorpresa che hanno avuto, questa mattina, molti familiari dei 50 detenuti che fino a 24 ore fa erano rinchiusi nel carcere di Lamezia e che ieri pomeriggio sono stati trasferiti nelle strutture tra Catanzaro e Vibo. Intorno alle 14 di ieri, con un corposo dispiegamento di uomini e mezzi la casa circondariale è stata sgomberata con un vero e proprio blitz di cui molti parenti dei reclusi non erano stati informati e di cui, fino a stamattina, non erano ancora a conoscenza. A rendere ancora più paradossale ed assurda tutta la vicenda è il fatto che, l’altro ieri (giovedì 27 marzo) nella stessa casa circondariale lametina è stato inaugurato lo "Sportello Lavoro" attivato in seguito al protocollo d’intesa sottoscritto tra l’istituto penitenziario, l’amministrazione provinciale di Catanzaro e il Centro per l’impiego di Lamezia Terme. Obiettivo dello sportello doveva essere quello di "facilitare il reinserimento sociale e lavorativo dei detenuti". Un evento che è stato ‘sponsorizzato’ dalla solita passerella di autorità e rappresentanti istituzionali che hanno speso fiumi di parole per sottolineare la bontà dell’iniziativa e che hanno sollecitato caldamente l’attenzione dei media locali. L’apertura in pompa magna dello sportello ha subito acquistato il sapore della beffa, visto che all’indomani della cerimonia, il carcere è stato chiuso per sempre. Sulla "chiusura-blitz" della casa circondariale lametina sono intervenuti Giovanni Battista Durante, Damiano Bellucci, rispettivamente segretario generale e regionale del Sappe, i quali hanno dichiarato: "Siamo certi che dopo i detenuti anche il personale di polizia penitenziaria sarà trasferito, perché l’amministrazione ha intenzione di aprire il nuovo padiglione detentivo del carcere di Catanzaro e per farlo vuole impiegare gli uomini fino ad oggi in servizio a Lamezia. Tutto ciò senza tenere in alcuna considerazione le condizioni familiari e personali, di gente che ormai presta servizio da anni a Lamezia, dove vive con le famiglie. Tra l’altro, la stessa amministrazione penitenziaria, non molti anni addietro, aveva investito ingenti risorse per ristrutturare il carcere lametino". Durante e Bellucci hanno sottolineato: "All’incoerenza si aggiunge la schizofrenia di decisioni politiche senza senso. A Lamezia è stata giustamente scongiurata la chiusura del tribunale per poi chiudere il carcere, mentre a Rossano è stato chiuso il tribunale, nonostante ci sia il carcere e attualmente i detenuti arrestati vengono portato a Castrovillari, dove la polizia penitenziaria non riesce a gestirli. Chiudere queste strutture vuole anche dire togliere risorse economiche alla città. Ci opporremo con tutte le nostre forze alla chiusura del carcere di Lamezia, un baluardo nella lotta alla criminalità, in quanto presidio di legalità e sicurezza. Sarebbe anzi opportuno, come abbiamo più volte sostenuto, che nell’area del lametino venisse costruito un nuovo e più grande carcere". Il sindaco di Lamezia, Gianni Speranza, ha fatto notare che "a distanza di poche ore c’è un precipitare della situazione senza nessuna doverosa informazione istituzionale da parte delle autorità preposte. Nelle scorse settimane è venuto a parlare con me il provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria dottore Salvatore Acerra, al quale ho esposto con chiarezza le mie preoccupazioni. In questi anni ripetutamente il comune di Lamezia si è rivolto al governo, ai parlamentari, ai rappresentanti istituzionali della città ed ai sindacati nazionali del settore, paventando il pericolo della chiusura e proponendo siti per la costruzione di nuove strutture. Speranza ha ricordato che "anche pubblicamente l’allora ministro della Giustizia Nitto Palma disse che non bisognava essere allarmisti. Il comune di Lamezia - ha assicurato il sindaco - farà tutto quello che è nelle sue possibilità affinché la nostra città non perda ruolo ed ulteriore importanza e sarà a fianco delle iniziative che le organizzazioni degli agenti di polizia penitenziaria ed i lavoratori porteranno avanti". Rimini: serve il Garante dei diritti dei detenuti, una richiesta bipartisan al Comune www.newsrimini.it, 30 marzo 2014 L’associazione Papillon, insieme a Pd, Nuovo Centrodestra e Movimento 5 Stelle, chiede al comune di Rimini di istituire la figura del Garante dei Detenuti. Un primo atto concreto di quella che viene definita una "battaglia di civiltà" per normalizzare la situazione delle carceri. Nelle carceri italiane i detenuti sono costretti in condizioni degradanti e inumane. A dirlo è la Corte di Giustizia europea che lo scorso anno aveva intimato all’Italia di porre rimedio entro aprile 2014. La soluzione però è ancora lontana. Aumentano le morti dietro le sbarre (oltre due mila in poco più di 10 anni) e c’è l’annoso problema del sovraffollamento. Un problema che colpisce anche la struttura dei Casetti di Rimini che, con una capienza di 123 persone, ne ospita al momento circa 180. Ma si è arrivati anche a numeri più alti: basti pensare che nel dicembre 2010 le presenze effettive erano addirittura 239. Per ogni detenuto ci sono spazi ridotti, in alcuni momenti poco più di un metro quadrato e mezzo a testa. I Casetti hanno cercato di limitare i danni tenendo per alcune ore al giorno le celle aperte. Ma non basta. Serve una battaglia di civiltà, dicono dall’associazione Papillon impegnata nel sostegno dei carcerati. Un primo passo sarebbe quello di istituire ai Casetti la figura del Garante dei Detenuti, già presente in quasi tutte le strutture della Regione. "Chiediamo al comune di istituire questa figura - spiega Claudio Marcantoni, presidente Associazione Papillon -chiamata a tutelare i diritti dei carcerati". Una richiesta politicamente trasversale. Da sei mesi giace in consiglio comunale una mozione di Marcello del Nuovo Centrodestra che ora presenterà un ordine del giorno a tema. Altra questione che necessita di una risposta urgente è quella del reinserimento dei detenuti: tutto è lasciato all’impegno delle associazioni ma servirebbero programmi ad hoc. "Chi sbaglia secondo noi deve avere la possibilità di essere reinserito - dice Marcantoni - mentre spesso quando si esce dal carcere si viene emarginati. Ed è solo grazie ad associazioni e cooperative che alcuni riescono a reinserirsi nel mondo del lavoro e quindi nella società". Sanremo: Antigone; ancora emergenza sovraffollamento, otto in cella con tre mq ciascuno di Giulio Gavino La Stampa, 30 marzo 2014 Tre metri quadrati a testa. È lo spazio a disposizione dei detenuti del carcere di Sanremo che hanno la sfortuna di ritrovarsi in una cella "multipla" dove invece di essere in quattro oggi scontano la pena in otto. È uno dei dati che emerge da "Osservatorio" la campagna di screening dei penitenziari italiani promossa da "Antigone", la più autorevole associazione che si occupa dei problemi dei detenuti. La visita in Valle Armea è scattata dopo lo stillicidio di notizie legate a scioperi della fame, proteste, episodi di violenza. Nella pagella sono finiti il sovraffollamento, le criticità legate a casi di autolesionismo, una media di 2/3 procedimenti disciplinari la settimana seguiti da provvedimenti che vanno dall’ammonizione (il più frequente) all’isolamento per 15 giorni (4 casi in media l’anno). Il principale difetto? "La struttura riflette una concezione del carcere come istituzione eminentemente detentiva che sei pensa che lo spazio dedicato alle attività trattamentali è appena un quarto di quello detentivo - scrive Antigone - Attualmente esiste sovraffollamento nella sezione degli ordinari, mentre in quelle dei protetti e dei collaboratori di giustizia lo spazio è sufficiente. È un carcere molto distante dalla città, non solo per la sua ubicazione, ma per le caratteristiche socio economiche di Sanremo, città prevalentemente turistica e poco propensa alle attività di volontariato". Nell’agosto 2013, quando è stato effettuato l’accesso di "Antigone" i detenuti erano 345 contro una capienza regolamentare di 209 posti. Questa la suddivisione: 69 imputati, 218 definitivi (di cui 4 ergastolani), 44 appellanti, 14 ricorrenti. Di questi 154 italiani e 191 stranieri. "Le celle vengono mantenute chiuse e il direttore ha deciso di togliere il vino perché il suo consumo dava luogo a prevaricazioni e a episodi di aggressività. Le celle ospitano in media quattro detenuti, hanno il cucinino, con frigorifero e servizi igienici, inclusa la doccia. Tutte le celle sono dotate di televisione. Esiste uno spazio verde attrezzato per le visite dei bambini e gli incontri all’aperto con i padri detenuti ma non è utilizzato, a quanto pare per motivi di sicurezza e mancanza di personale. Esistono invece delle stanzette per i colloqui con le famiglie che sono attrezzate anche per i bambini". La polizia penitenziaria contra di 206 uomini ma quelli in servizio sono in realtà appena 174 a fronte di una pianta organico che ne vorrebbe al lavoro 250 (per i 209 detenuti della capienza regolamentare). Il cibo è stato dichiarato di quantità e qualità soddisfacente, con aggiustamenti per i detenuti musulmani, poca varietà di genere, invece, per il "sopravvitto". Viene perquisita almeno una cella al giorno. I reclami sono pochi mentre moltissime sono le "domandine" al direttore e al comandante (riguardano soprattutto la richiesta di lavorare e il procedimenti per ottenere il permesso di soggiorno da parte degli stranieri). Il penitenziario è stato inaugurato nel 1996 ed è stato considerato un carcere modello. Catanzaro: i Radicali spiegheranno ai detenuti la nuova prassi per il ricorso alla Cedu www.catanzaroinforma.it, 30 marzo 2014 "Il Partito Radicale e i Radicali non mollano la lotta per la Giustizia giusta e per le Carceri inumane e degradanti per le quali l’Italia è condannata da trent’anni dalla Cedu e dalla giustizia europea. Grazie all’On. Rita Bernardini, che ha fatto sì che la nostra richiesta venisse accettata dal ap., lunedì 31 marzo, dalle 10.30 alle 12.30, faremo una visita alla Casa Circondariale di Siano (Catanzaro) per verificarne le condizioni in cui oggi versa; a seguire e immediatamente prima della visita terremo una manifestazione di solidarietà e (speriamo) "con" i parenti dei detenuti che, esplicitamente, invitiamo ad essere presenti in tanti". Lo si legge in una nota di Giuseppe Candido del Partito Radicale Nonviolento Transnazionale e Transpartito. "La visita, non di carattere ispettivo, si colloca nell’ambito del Satyagraha nonviolento che, assieme a Rita Beranrdini, in altri "mille resistenti" stiamo oggi conducendo, dopo aver contato gli anni, per contare i giorni che mancano a quel 28 maggio, scadenza (già scaduta) del termine ultimo che la Corte europea per i diritti umani ha dato all’Italia per uscire dalla condizione di illegalità delle sue carceri, che strutturalmente violano l’articolo 3 della Convenzione con trattamenti inumani e degradanti. Ai detenuti diremo di sostenere, anche loro, l’iniziativa che già conoscono ascoltando radio carcere e spiegheremo loro come fare ad inoltrare - tramite i propri avvocati - i nuovi moduli per presentare ricorso alla Cedu, dal 28 maggio in poi possibili per tutti coloro che si trovano rinchiusi in meno di 4 metri quadrati cadauno, al netto del mobilio. Ma le condizioni inumane e degradanti molto spesso riguardano chi in carcere ci lavora: agenti, direttori, psicologi ed educatori". "Mentre l’Europa ci condanna con sentenza pilota - continua la nota - e la Royal Court inglese ci bacchetta per le condizioni inumane e degradanti, negando persino l’estradizione di due persone condannate nel nostro Paese alle Procure di Firenze e Palermo che ne avevano fatto richiesta legittima, la Nonviolenza gandhiana e capitiniana ci dice di non mollare una lotta per "il diritto alla vita e per la vita del diritto". L’urgenza è quella di far uscire il Paese da una condizione, tecnicamente, di flagranza criminale contro i diritti umani e contro lo stato di Diritto. Amnistia e indulto sono gli unici strumenti legali, costituzionali, che ci permetterebbero di uscire immediatamente da tale condizioni di illegalità e di evitare tutte le sanzioni e i risarcimenti che i cittadini dovranno pagare; e sono quei provvedimenti pure indicati dal Capo dello Stato con quel suo messaggio alle Camere. Ad effettuare la visita al carcere di Siano, saremo in tre: Giovanna Canigiula, docente di filosofia e iscritta all’associazione "Nessuno Tocchi Caino", Antonio Giglio, consigliere comunale (Sel) al Comune di Catanzaro che di recente ha inteso sostenere questo Satyagraha anche con la sua iscrizione al Partito Radicale Transnazionale Nonviolento e Transpartito, ed il sottoscritto Giuseppe Candido. Al termine della visita incorreremo stampa per spiegare loro le condizioni del carcere e l’iniziativa nonviolenta in corso". Perugia: la cultura per "evadere", consegnati libri ai detenuti del carcere di Capanne di Alessia Manti www.umbria24.it, 30 marzo 2014 La fondazione Perugiassisi 2019 con il contributo dell’associazione Intra ha donato alla biblioteca del nuovo complesso penitenziario di Perugia libri salvati dal macero Perugia, la cultura per "evadere": consegnati libri ai detenuti del carcere di Capanne. Il messaggio che si è voluto portare è che "la cultura, per la quale Perugia con i luoghi di Francesco d’Assisi e dell’Umbria, aspira ad essere Capitale europea, può essere uno strumento per potersi sentire liberi" e, in un certo senso, per partecipare al percorso che Perugia ha intrapreso con Assisi e l’Umbria verso il titolo. Nell’ambito delle iniziative di "Siamo in finale. Saremo Capitale", sabato 29 sono stati consegnati dei libri salvati dal macero alla biblioteca del Carcere di Capanne. La Fondazione Perugiassisi 2019, che si occupa della candidatura di Perugia 2019, con il contributo della Associaizone Intra (Socio sostenitore della Fondazione), che da anni si dedica al recupero di volumi non utilizzati e alla costituzione di biblioteche tematiche sul territorio regionale e nazionale, ha donato alla biblioteca del nuovo complesso penitenziario di Capanne, una selezione di libri da mettere a disposizione dei detenuti. Questa iniziativa si inserisce a pieno titolo nel progetto di candidatura 2019 che prevede diverse attività culturali tra cui il recupero di questi libri salvati - ovvero pubblicazioni mai utilizzate e/o destinate al macero - e la loro successiva donazione a strutture territoriali che ne possano fare buon uso. Presenti alla consegna, e accolti dalla direttrice del penitenziario Brenardina Di Mario, l’assessore del comune di Perugia Lorena Pesaresi, Paola Gualfetti in rappresentanza del sindaco di Assisi Claudio Ricci, Loredana De Luca direttrice della fondazione Perugiassisi 2019 e Deanna Mannaioli dell’associazione Intra. La domenica di festa popolare guarda oltre le sbarre delle celle di quello che era il carcere maschile di piazza Partigiani. L’iniziativa prevista per l’ultimo giorno del weekend dedicato a Perugia in finale per il titolo di Capitale europea della Cultura è "Un giorno in carcere". L’edificio nel centro della città, tra i progetti strutturali simbolo del dossier di Perugia 2019, sarà riaperto per l’occasione e al suo interno sono previste visite guidate teatralizzate. Sarà il Teatro di Sacco in collaborazione con Undercover Dance Company e Conservatorio di musica Francesco Morlacchi a mettere in scena, dalle 11 alle 16, lo spettacolo "Crisalide. Percorso di sviluppo post embrionale" nei suggestivi spazi dell’ex carcere di piazza Partigiani. Un itinerario della durata di 50 minuti all’interno delle stanze dell’ex struttura penitenziaria perugina. Il pubblico potrà visitare i luoghi in cui si avvicenderanno le performance recitate e musicali degli artisti. Trento: presidio anarchico dietro la chiesa di Santa Maria, per solidarietà ai detenuti Ansa, 30 marzo 2014 Un presidio anarchico si è tenuto nel pomeriggio a Trento in vista della mobilitazione nazionale dei detenuti annunciata dal 5 al 20 aprile. Un piccolo gruppo di persone si è riunito dietro la chiesa di Santa Maria, dove sono stati appesi striscioni in solidarietà ai carcerati. La mobilitazione nazionale viene annunciata "per un’amnistia generalizzata, il miglioramento della vita dei reclusi e la scarcerazione dei malati cronici, contro l’ergastolo, i regimi speciali e puniti, i reati ostativi, il sovraffollamento", come riportato su un sito di controinformazione. Enna: agente della polizia penitenziaria aggredito da un detenuto, che è stato trasferito www.vivisicilia.it, 30 marzo 2014 Attimi di forte tensione quelli vissuti nel corso della mattinata di giorno 26 marzo durante la quale si sono sfiorate conseguenze gravi, per fortuna evitate dall’intervento con alta classe e professionalità di un gruppo di Poliziotti Penitenziari piuttosto operativi. Gli stessi agenti, infatti, sono riusciti a sedare un’aggressione da parte di un detenuto andato in escandescenza. Per fortuna si è trattato di un caso isolato, assolutamente evitabile e senza una ragione e/o una giustificazione. Un detenuto di origini siciliane al rientro in cella si è scagliato addosso all’operatore con testate calci e pugni - da quel momento per diversi ed interminabili minuti è scoppiato il caos. Immediati i provvedimenti del Comandante e del Dirigente che hanno disposto la traduzione del detenuto in altro Penitenziario. Locri (Rc): teatro-carcere "Lezione frontale con i detenuti: scene dall’Avaro di Moliere" www.strill.it, 30 marzo 2014 In occasione della giornata mondiale del teatro presso la Casa Circondariale di Locri i due attori dell’associazione socio-culturale "U Catojiu", D’Aquino Francesco e Lavorata Francesco, hanno intrattenuto i detenuti con un interessante performance dal titolo: "Lezione frontale con i detenuti: scene dall’Avaro di Moliere….". Hanno inoltre presentato una idea progetto di laboratorio teatrale da realizzare all’interno di questa struttura Penitenziaria. Il teatro da sempre attraverso la finzione e magari l’ironia racconta la realtà, i vizi e le virtù, la sofferenza la gioia, ci racconta l’uomo in sé aiutandoci a capire gli altri ma anche noi stessi. Ecco perché il teatro oltre ad essere uno strumento eccezionale di diffusione della cultura è anche un importante strumento di riflessione soprattutto quando il tempo della riflessione è più ampio come nel caso dell’uomo detenuto, dunque esso è un eccellente strumento trattamentale per il recluso. Nella stessa giornata si è inteso dare la giusta importanza alla conclusione di altre due importanti attività trattamentali che sono state realizzate nei mesi scorsi un corso di inglese offerto dalla Provincia, tramite il centro di formazione di Locri, mediante la consegna degli attestati ai detenuti che hanno superato il corso; ed il torneo di calcetto mediante la consegna dei trofei ai giocatori. Il Direttore Dott.ssa Patrizia Delfino ed il Comandante del Reparto Commissario Capo Domenico Paino hanno ringraziato il Presidente della Provincia Giuseppe Raffa, la consigliera Provinciale dott.ssa Alessandra Polimeno, i Dirigenti della Provincia dott. Stefano Catalano e dott. Francesco Macheda, dott. Battaglia Fortunato, la responsabile del Centro di Formazione di Locri dott.ssa Giancotti Maria Rosaria, la prof.ssa De Leo Alba, per la disponibilità e l’attenzione sempre dimostrata verso questo istituto penitenziario e la sensibilità verso le persone detenute. Infatti la Provincia di Reggio Calabria oltre al corso di inglese ha realizzato gratuitamente in favore della popolazione detenuta altri corsi di formazione, orientamento al lavoro, un corso di computer ed ha consentito di allestire un aula scolastica cedendo in comodato d’uso banchi, sedie e lavagna. Hanno altresì ringraziato il Professor Giuseppe Loccisano perché a titolo di volontariato segue i detenuti nelle attività sportive del calcetto e della pallavolo ed il prof Speranza che tiene un corso di formazione per refrigerazione a favore della popolazione detenuta. L’amministrazione penitenziaria ben accoglie la collaborazione dei volontari, degli Enti Locali e quanti collaborano con gli operatori penitenziari nella difficile opera di rieducazione e recupero delle persone detenute. Frosinone: la squadra dei detenuti Bisonti Rugby e il gemellaggio con Volsci Rugby Sora Ansa, 30 marzo 2014 La squadra dei Bisonti Rugby di Frosinone, nata nel carcere del capoluogo ciociaro e formata da detenuti di massima sicurezza, si è gemellata con la Volsci Rugby Sora. L’iniziativa, patrocinata dal Comune di Frosinone, è stata presentata stamattina nella sala consiliare. Due squadre diventate un esempio per tanti giovani del territorio e non solo. Una crescita che ha portato all’unione tra le due compagini. "Le due società - hanno affermato i responsabili dei sodalizi - sono convinte che legarsi in gemellaggio sia il modo giusto per trasmettere ancora di più quei valori sociali ed educativi di cui il rugby è portatore". Nella sala consiliare del Comune di Frosinone sono intervenuti il sindaco Nicola Ottaviani, l’assessore allo Sport Gianpiero Fabrizi, dirigenti delle due società, la direzione della Casa Circondariale, rappresentanti dell’Asi e del Gruppo Idee. Presenti anche delegati del Coni e della Banca Popolare del Frusinate. A promuovere l’iniziativa è stato anche il Gruppo Idee, che con la Casa Circondariale di Frosinone ha portato avanti progetti di valore legati alle attività sportive negli Istituti di Pena e in virtù dei quali il Ministero della Giustizia l’anno scorso ha siglato un protocollo d’intesa con il Coni per incentivare le attività sportive in carcere. Durante l’appuntamento è stato infine presentato dalla società Bisonti Rugby Frosinone il premio "Migliore società sportiva del 2013" ottenuto dal Coni. Bergamo: condannato per reati di droga, finisce in cella 24 anni dopo i fatti Corriere della Sera, 30 marzo 2014 Ha 74 anni: nel 1990 l’arresto per episodi di spaccio. Da allora il procedimento non è mai stato prescritto e più volte è rimbalzato da un grado all’altro. Il 14 marzo la sentenza definitiva. Lui è malato di tumore e ora chiede la grazia. Il giudice del tribunale di Sorveglianza di Brescia Antonino Mazzi si è riservato una decisione, ma intanto l’ha spedito in carcere. Gli accertamenti medici erano troppo in ritardo e quindi G.V., 74 anni, ex artigiano di San Paolo d’Argon, arrestato nel 1990 per le sue ultime imprese da spacciatore di cocaina (in alcuni casi anche per "quantità non modiche" recita la sentenza) e giudicato in via definitiva dalla Cassazione solo il 14 marzo scorso, è stato portato in carcere dai carabinieri, dodici giorni dopo la sentenza. Una vicenda giudiziaria rocambolesca di appelli e annullamenti da parte della Suprema Corte, lunga 24 anni di vita, durante i quali G.V. non ha mai aperto nuovi conti con la giustizia, ha combattuto e sta combattendo con un tumore, sorretto dalla moglie, sempre al suo fianco e acciaccata anche lei. Lui, tramite il suo avvocato Marco Tropea, tra i più noti penalisti di Bergamo, ha già inoltrato l’istanza di grazia al presidente della Repubblica. "Non ha mai tentato di fuggire ed è molto malato - spiega il legale. Mi sembra che davvero non vi sia alcun pericolo per la giustizia. Inoltre, non ha mai commesso reati: se è vero che la pena ha scopi rieducativi qui cosa c’è da rieducare? Si rischia solo di infierire su una persona anziana e con seri problemi". In parallelo all’istanza al Capo dello Stato l’avvocato aveva chiesto al tribunale di Sorveglianza di differire la pena, esattamente come hanno fatto i legali di Antonio Monella, l’imprenditore di Arzago condannato per omicidio volontario il 25 febbraio e tuttora fuori dal carcere, che ha ottenuto il differimento. Anche per quel caso il giudice era Mazzi, ma stavolta è andata diversamente. Nel giro di 12 giorni, con esami e accertamenti medici che tardavano ad arrivare, la giustizia ha scelto di fare il suo corso. Sarà il Quirinale a intervenire con un atto di clemenza, se lo riterrà opportuno, anche se lo stesso tribunale di Sorveglianza potrebbe riformulare la sua scelta. E anche 24 anni d’attesa, in cui i termini di prescrizione sono saltati a causa di una lunga serie di "impedimenti", sono considerati la norma. India: il premier Renzi sul caso dei marò; tra crisi più incredibili della diplomazia italiana La Presse, 30 marzo 2014 Quella dei due marò detenuti in India è "una delle crisi più incredibili della diplomazia italiana". Lo ha detto il premier Matteo Renzi intervistato da Enrico Mentana a Bersaglio mobile su La7. "Non c’è giorno - ha aggiunto - in cui non ci preoccupiamo di risolvere la vicenda, questa incredibile vicenda". Pinotti, li vogliamo a casa "Marò a casa". "Si, lo vogliamo tutti". Questo il botta e risposta tra il ministro della Difesa Roberta Pinotti e una persona del pubblico che sta assistendo al varo della ‘Carabinierè, quarta fregata Fremm dell’accordo italo-francese realizzata allo stabilimento Fincantieri di Riva Trigoso. I due marò detenuti in India sono stati ricordati anche dal Capo di stato maggiore della Difesa ammiraglio Binelli Mantelli. Svizzera: detenuto 28enne nigeriano si suicida nel carcere ginevrino di Champ-Dollon www.cdt.ch, 30 marzo 2014 Un 28enne nigeriano si è tolto la vita nella propria cella sabato pomeriggio. Un nigeriano di 28 anni è morto oggi nella sua cella del carcere ginevrino di Champ-Dollon. Stando ai primi accertamenti si è tolto la vita impiccandosi, ha indicato la polizia cantonale. I secondini hanno trovato il corpo esanime intorno alle 16.30: i tentativi di rianimazione non hanno avuto successo. Il giovane era stato condannato a sei mesi di prigione per reati di droga e infrazione della legge sugli stranieri. L’ultimo suicidio avvenuto a Champ-Dollon risale al novembre 2012. Medio Oriente: ministro palestinese; nessun prigioniero palestinese è stato liberato oggi Ansa, 30 marzo 2014 Il ministro palestinese per i prigionieri, Issa Qaraqae, ha confermato oggi che la liberazione di un nuovo gruppo di palestinesi detenuti nelle carceri di Israele non avverrà oggi come previsto nell’ambito dei colloqui di pace. Ha aggiunto però di sperare in un loro prossimo rilascio, precisando di aver "avvisato le famiglie" che oggi nessuno tornerà a casa. Ieri un responsabile di al-Fatah, il movimento del presidente Abu Mazen (Mahmopud Abbas), aveva preannunciato che Israele non avrebbe liberato la quarta tranche di detenuti palestinesi, il cui rilascio era previsto per oggi dall’accordo negoziato l’anno scorso dal segretario di Stato Usa, John Kerry. Nelle prime tre fasi sono stati scarcerati 78 palestinesi detenuti da prima degli accordi di Oslo del 1993.