Giustizia: i dati reali sulle carceri da riferire al Parlamento europeo di Patrizio Gonnella Il Manifesto, 28 marzo 2014 Le carceri italiane sono esageratamente affollate di persone artificiosamente definite criminali. Non sono affollate di assassini, visto che il 2013 è stato l’anno con meno morti ammazzati negli ultimi vent’anni. Negli stessi giorni in cui c’è Barack Obama a Roma ci sono pure Juan Fernando Lòpez Aguilar, Franck Engel e Kinga Göncz. Sono i tre componenti, due socialisti e uno popolare, di una delegazione ufficiale del Parlamento europeo che è venuta a ispezionare le nostre carceri. Lo sguardo internazionale non si accontenta delle rassicurazioni istituzionali. Ieri la delegazione ha visitato il carcere romano di Rebibbia. Domani si recherà in quello napoletano di Poggioreale. Nel mezzo incontreranno il Guardasigilli Andrea Orlando e anche il sottoscritto, in rappresentanza di Antigone. Non so cosa mi chiederanno loro. So cosa dirò io. Le carceri italiane sono esageratamente affollate di persone artificiosamente definite criminali. Non sono affollate di assassini visto che il 2013 è stato l’anno con meno morti ammazzati negli ultimi vent’anni. Circa cinquecento, corrispondente a uno dei tassi di omicidi più bassi di tutta Europa, Scandinavia compresa. Vi sono nelle carceri italiane più detenuti per reati in violazione della legge sulle droghe che non per avere commesso delitti contro la persona. Ci vuole un cambio radicale di paradigma, ci vuole una nuova legge sulle droghe che liberi i costumi sociali e gli esseri umani dalla gabbia del proibizionismo. Il sovraffollamento, contrastato con gli ultimi provvedimenti del governo, persiste. Circa 23 mila persone non hanno ancora un posto letto regolamentare. Il gap tra detenuti presenti e capienza si è effettivamente ridotto ma non tanto da assicurare condizioni di vita dignitose nonché il rispetto dei diritti fondamentali delle persone detenute. Non è vero che c’è posto per circa 49 mila detenuti nelle 205 galere italiane. L’amministrazione penitenziaria continua a contare posti che esistono solo sulla carta e sulle statistiche. Un esempio? Il padiglione nuovo del carcere di Livorno è chiuso, così come gran parte del carcere vecchio perché inagibile. Eppure sono posti che vengono conteggiati come se fossero utilizzati. Di situazioni come Livorno ce ne sono così tante in giro per l’Italia che non può essere un errore calcolarli nelle statistiche ufficiali. È in realtà un bluff che sa di imbroglio. È vero che i detenuti sono diminuiti di 5 mila unità nell’ultimo anno. Ma anche lo spazio è diminuito, in quanto seppur qualche padiglione è stato aperto tante piccole Livorno sono in giro per l’Italia, in quanto a causa della mancanza di soldi per la manutenzione ordinaria le sezioni detentive stanno andando lentamente in rovina. La qualità della vita cambia molto da posto a posto. Ci sono istituti dove si cerca di organizzare una vita comunitaria densa di progettualità. Ci sono posti dove non fanno entrare una volontaria nota per essere una persona mite solo perché si è permessa di andare in una scuola e raccontare che aveva saputo di episodi di violenza. Ci sono direttori democratici e direttori che pensano di essere governatori, papa e re e che si rifiutano di rispettare le indicazioni ministeriali sulla apertura delle celle nelle ore diurne. C’è chi lavora per il cambiamento e chi pensa che il cambiamento sia il male. Ci sono ancora le celle lisce, celle prive di qualsiasi suppellettile e insonorizzate dove forte è il rischio della violenza, come la cella zero proprio a Poggioreale dove si recherà oggi la delegazione europea. Oggi siamo messi meglio di un anno fa ma ancora non in condizione tale da potere essere assolti dai giudici di Strasburgo. Una piccola nota a margine. Tra i componenti della delegazione, pur non nella sua versione ufficiale, vi è l’eurodeputato leghista Borghezio, ovvero colui che per appartenenza, linguaggio, cultura politica, è uno dei massimi responsabili del degrado delle carceri italiane. In un’altra stagione politica è stato anche sottosegretario alla Giustizia. L’Italia non si è fatta mancare proprio nulla. Giustizia: il nostro sciopero della fame contro le atrocità del carcere di Rita Bernardini (Segretario Radicali Italiani) Gli Altri, 28 marzo 2014 Il mio sciopero della fame lo sto portando avanti da 24 giorni, contando i giorni che ci separano dal 28 maggio prossimo. Sono insieme ad altri "mille" che, a loro volta, si sono organizzati in digiuni a staffetta fino a quella data, o dando vita a manifestazioni davanti alle carceri o tampinando con lettere e mail i rappresentanti istituzionali di governo e Parlamento responsabili del mancato adempimento di quanto previsto dalla sentenza Torreggiani dell’8 gennaio 2013. Sentenza "pilota" diretta a censurare le violazioni strutturali da parte dell’Italia dell’art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti Umani che ha come titolo Proibizione della tortura e che recita "Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti". L’obiettivo della sentenza pilota è quello di determinare i conseguenti adeguamenti dell’ordinamento interno atti a far cessare le violazioni denunciate nelle migliaia di ricorsi presentati dai detenuti alla Corte di Strasburgo. Questa azione nonviolenta di dialogo (Satyagraha), l’abbiamo iniziata alla mezzanotte del 27 febbraio quando mancavano 90 giorni al 28 maggio. Oggi ne mancano 66, di giorni. Cosa è accaduto in questi 24 giorni, è bene ricordarlo. A cinque mesi dal messaggio del presidente della Repubblica, dopo due rinvii, la Camera dei deputati decide di discuterne il 4 marzo scorso, di fatto, respingendolo al mittente. Nel suo unico messaggio al Parlamento dei suoi due mandati, Giorgio Napolitano aveva fatto pesare tutta la sua autorevolezza di massimo magistrato dello Stato e supremo garante della Costituzione. Era stato chiarissimo: infatti, dopo aver indicato una serie precisa di riforme in tema di decarcerizzazione e depenalizzazione, ammoniva i parlamentari del fatto che "tutti i citati interventi - certamente condivisibili e . di cui ritengo auspicabile la rapida definizione - appaiono parziali, in quanto inciderebbero verosimilmente prò futuro e non consentirebbero di raggiungere nei tempi dovuti il traguardo tassativamente prescritto dalla Corte europea. Ritengo perciò necessario intervenire nell’immediato con il ricorso a "rimedi straordinari". È dunque il presidente Napolitano a indicare amnistia e indulto non solo per interrompere - senza perdere un solo giorno - i trattamenti inumani e degradanti nelle nostre carceri, ma anche per accelerare i tempi della giustizia perché anche sulla giustizia "ritardata" (che è giustizia negata) abbiamo un fardello ultra trentennale di condanne europee per violazione dell’art. 6 della Convenzione Europea dei diritti umani riguardante "l’irragionevole durata dei processi". Il ruolo del neo-presidente del consiglio Matteo Renzi è stato determinante per umiliare il messaggio presidenziale. Il preludio di quello che sarebbe stato il suo atteggiamento nei confronti della débàcle della giustizia italiana e della sua appendice carceraria s’era già manifestato nella scorsa estate quando si rifiutò di firmare i referendum radicali con la solita solfa da vecchio Pei che ha sempre avuto in odio le consultazioni referendarie: le riforme le deve fare il Parlamento, aveva detto. Successivamente, il 9 dicembre, aveva conferito l’incarico di "responsabile giustizia" della svia Segreteria all’onorevole Alessia Morani che, immediatamente, si era precipitata a manifestare la sua contrarietà ad amnistia e indulto, come del resto aveva fatto pochi mesi prima lo stesso Matteo Renzi rimangiandosi il suo sostegno di qualche anno prima a Marco Palmella impegnato in uno dei suoi rischiosissimi scioperi della fame e della sete. "Sono pronto - scriveva Renzi nel 2005 rispondendo ad una lettera del radicale Massimo Lensi - nel mio piccolo, a fare la mia parte perché la sete di giustizia che anima il leader radicale trovi una fonte soddisfacente. Aderisco, allora, alla battaglia di Palmella per l’amnistia, impegno morale, civile sociale della comunità italiana". Da notare che allora, nel 2005, non c’erano state ancora né la sentenza pilota della Corte di Strasburgo, né il solenne messaggio presidenziale. Ora che Renzi non è più "nel suo piccolo" - come scriveva allora - ma nel "suo grande" ruolo di presidente del consiglio, ottenuto cacciando via Letta, pretendendo l’esclusione di Emma Bonino dal governo e occupando i media attentissimi alla sua "convulsa attività psicomotoria" (così la ha definita Rino Formica), può ben fare marcia indietro, tutto immerso nella sua campagna elettorale europea condotta a suon di promesse mirabolanti per il governo del Paese. Se non fossi convinta di vivere in uno Stato che ormai sta divorando gli ultimi brandelli di democrazia, ci sarebbe da rimanere basiti di fronte al fatto che nessuno chieda a Matteo Renzi come pensi di innestare le sue "riforme" economiche su un’infrastruttura distrutta e illegale come è quella della giustizia in Italia. D’altra parte - occorre ammetterlo - si comporta esattamente come i suoi predecessori istituzionali che pur di non affrontare il tema non si sono fatti scrupolo di divorare la Costituzione, e di calpestare la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e la Dichiarazione universale dei Diritti Umani. Il ministro della Giustizia Andrea Orlando è stato a Strasburgo i giorni scorsi per presentare alla Corte dei diritti dell’Uomo e alle autorità europee il progetto del Governo sulle illegali carceri italiane. Se non ha raccontato balle la Corte non potrà che dirgli quel che pochi giorni fa ha dichiarato il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa: "misure insufficienti"; magari non si farà scrupolo - me lo auguro - di rinfacciare all’Italia le due mancate recenti estradizioni verso il nostro Paese da parte della giustizia britannica che si è rifiutata di far rischiare a due condannati le condizioni disumane e degradanti delle nostre carceri. Nel nostro piccolo, con il nostro Satyagraha, ci ostiniamo a non voler girare la testa dall’altra parte, per non essere troppo simili (lo siamo un po’ tutti) a chi taceva senza reagire mentre viveva la quotidianità nel pieno delle atrocità naziste e comuniste. Ci ostiniamo a credere nel dialogo nonviolento nei confronti dei rappresentanti istituzionali che rischiano di riportarci, per insipienza e sottovalutazione, nel pieno delle tragedie del secolo scorso. Giustizia: intervista Mauro Palma "Italia per ora eviterà sanzioni ma è tempo di cambiare" di Nanni Riccobono Gli Altri, 28 marzo 2014 Mauro Palma, di Antigone, ha presieduto la Commissione ministeriale sul sovraffollamento degli istituti penitenziari italiani istituita dal ministro Cancellieri. Si definisce "vagamente ottimista" sulla possibilità dell’Italia di evitare le sanzioni previste da Strasburgo per la situazione delle patrie galere. Qualcosa - dice - si muove. Mentre scriviamo non si sa ancora niente di preciso su cosa abbia portato a Strasburgo lunedì scorso l’attuale ministro della giustizia Orlando. La Corte europea dei diritti umani, con la sentenza nel caso Torreggiani e altri adottata nel 2013, ha condannato lo Stato italiano per la violazione dell’art. 3 della Convenzione europea dei diritti umani. Il caso riguardava trattamenti inumani o degradanti subiti dai ricorrenti, sette persone detenute per molti mesi nelle carceri di Busto Arsizio e di Piacenza, in celle triple e con meno di quattro metri quadrati a testa a disposizione. È diventata una "sentenza pilota". Come si sta attrezzando l’Italia ad affrontare il giudizio di Strasburgo? La sentenza Torreggiani prevede che il governo interessato faccia un piano d’azione e indichi le misure che intende adottare. Questo piano è stato consegnato a fine novembre al comitato dei ministri del Consiglio d’Europa. Si basa su quattro aspetti: uno è la diminuzione della popolazione carceraria legata alla previsione di una penalità alternativa per alcuni reati e al favorire le misure alternative in generale. L’ex legge Cirielli era un tappo che bloccava le alternative alla detenzione e si è cercato di attenuarla, poi il Parlamento non è stato d’accordo e l’effetto è stato più limitato di quanto si sperava. La cosa importante è che questo primo aspetto si basa sull’idea che il carcere non è l’unico sistema sanzionatorio. È importante perché invece il nostro sistema è tutto fondato sulla detenzione. Poi c’è la modifica del modello di detenzione. È vero che l’Italia è stata condannata per la questione del sovraffollamento ma non è certo l’unico aspetto. Cosa vuol dire? Che di fronte ad uno sforamento così eclatante nei numeri dei detenuti in rapporto allo spazio detentivo la Corte si é concentrata su questo ma esistono però altri fattori per i quali il nostro Paese viola le norme europee. Per esempio quante ore stai all’interno della cella, il modello di carcere adottato e così via. Il fatto che la sentenza Torreggiani non li abbia presi in esame uno per uno non significa che non li considera, ma solo che nel nostro caso la questione sovraffollamento era così prevalente che si è concentrata su questo. Com’è il nostro modello detentivo rispetto alle norme europee? Completamente sbagliato. È totalmente reclusivo, passivizzante e chiaramente dal punto di vista della rieducazione sociale non serve a niente, non ti abitua a gestire la tua giornata, non ti abitua a metterti in gioco. La commissione che ho presieduto ha analizzato tutta una serie di misure che impostavano il mutamento del modello detentivo italiano per portarlo in linea con le regole penitenziarie europee. Il sovraffollamento carcerario è stato intanto mitigato… Si, sui numeri la situazione è migliorata. Mentre prima l’Italia aveva 67 mila detenuti per 46 mila "posti" in carcere, ora l’Italia si presenta a Strasburgo con 60 mila detenuti e 49 mila posti e con una media di liberazione, grazie alle misure di fine pena anticipata, di 350 posti al mese. Resta da capire come si affronta la questione della detenzione legata all’uso e spaccio di droghe. Ci sono due punti sui quali penso e spero che Orlando abbia espresso una scelta; il primo è: quale effetto ha avuto la sentenza della Corte costituzionale sulla legge Fini Giovanardi? Gli effetti della sentenza possono essere considerati solo futuri, e cioè dalla sentenza in poi si applica la legge Jervolino Vassalli, oppure si possono considerare anche pregressi, su chi sta scontando una pena detentiva sulla base della Fini Giovanardi. La Società della Ragione ha fatto un calcolo approssimativo e parlavano di diverse migliaia di soggetti che avrebbero potuto avere una riduzione della pena. Anche su questo Strasburgo ha bisogno di risposte. Secondo lei il governo riuscirà ad evitare le sanzioni europee? Secondo me si. Se continua con un ritmo forte nei provvedimenti ce la può fare. La sanzione automatica, quella prevista nel caso di persone detenute in spazi inferiori a tre metri quadri, ritengo che a maggio sarà superata e che non ci sarà più nessuno in quelle condizioni. Questo apre al discorso del modello di detenzione. È possibile che la Corte dia all’Italia altri sei mesi di "osservazione" che si sposta dall’automatismo dei tre metri di spazio al modello detentivo. Mi auguro però che scampare la sanzione automatica non rallenti le misure strutturali, perché questo sposterebbe semplicemente la multa da maggio a dicembre. Devo dare atto che c’è un numero di direttori o provveditori che si sta muovendo, che sta sfidando le resistenze immobiliste sul carcere. Per questo sono ottimista. Vagamente ottimista… Giustizia: le tre falsità del ministro Orlando sulla situazione delle carceri di Riccardo Arena ww.ilpost.it, 28 marzo 2014 Il ministro Andrea Orlando ha incontrato a Strasburgo il segretario generale del Consiglio d’Europa. Obiettivo dell’incontro: la scadenza fissata per il 28 maggio dalla Corte Europea perché l’Italia ponga rimedio al collasso in cui versano le carceri. Ebbene, in quell’occasione il ministro Orlando ha prospettato al segretario generale del Consiglio d’Europa una situazione basata su tre falsità. Falsità che riguardano la diminuzione dei detenuti in Italia, le riforme "strutturali" approvate e l’effettiva capienza delle patrie galere. Falsità dette forse per cercare di rimandare (o di ridurre) le salatissime sanzioni che l’Europa ci farà pagare dopo il 28 maggio, ovvero 100 milioni di euro all’anno. Una spesa enorme che non pagheranno i politici, che nulla fanno per la giustizia, ma che pagheremo noi cittadini. Ma ecco quali sono queste tre falsità. Il ministro ha affermato che rispetto al 2013 - data in cui la Corte europea ha condannato l’Italia - il numero dei detenuti si è dimezzato. Il ministro ha precisato che attualmente ci sono 10 mila detenuti in meno. Falso. Nel 2013 i detenuti erano 65.700, mentre oggi sono 60.800. E, se la matematica non è ancora un’opinione, i detenuti in meno presenti nelle carceri sono oggi solo 4 mila e 900, e non 10 mila come ha detto il ministro Orlando. Ma al di là del dato numerico, si domanda al ministro: caro ministro Orlando, oltre ai numeri e alle statistiche, secondo lei oggi i detenuti sono trattati in modo legale o in modo degradante e disumano? Il ministro Orlando ha elencato al segretario generale del Consiglio d’Europa le riforme "strutturali" che sono state fatte per arginare il sovraffollamento. Falso. Né il Parlamento né il Governo ha predisposto alcuna misura strutturale e di sistema utile per fronteggiare il degrado carcerario. Esistono solo i decreti cosiddetti "svuota-carceri" (che nulla hanno svuotato) approvati dagli ultimi tre governi. Decreti che sono asistematici, non strutturali, utili solo a ottenere un effetto tampone. Il ministro Orlando ha affermato che oggi la capienza regolamentare delle carceri è di circa 50 mila posti. Falso. La capienza regolamentare delle carceri italiane è di 47.857 posti. Ma attenzione. La capienza regolamentare indicata vale solo sulla carta: è solo virtuale e non è reale in quanto non corrisponde alla capienza effettiva. Questa è di circa 38 mila posti, perché circa diecimila dei 47 mila posti restano vuoti ed inutilizzati. Un grave spreco di risorse causato dalla mancanza del personale o da strutture penitenziarie inagibili. Altro che 50 mila posti! Insomma, cerchiamo una sintesi, che diventa quasi impossibile quando riguarda delle falsità. Quando è andato a Strasburgo, il ministro Orlando ha parlato di numeri e non di come i detenuti sono trattati. Ma i detenuti sono persone e non numeri. E allora, sorge un dubbio. Il ministro Orlando conosce le condizioni di vita dentro a un carcere? Caro ministro, se la risposta fosse negativa, le faccio un invito. Andiamo insieme nel carcere Rebibbia o in quello di Regina Coeli. Visitiamo insieme tutte le celle. E poi vediamo in quali condizioni vivono quei detenuti, e se ha ancora voglia di parlare di numeri. Giustizia: Pannella (Radicali); per le condizioni delle carceri l’Italia sia imputata all’Aia Il Giornale, 28 marzo 2014 Marco Pannella attacca sulle carceri: "La condizione criminale della partitocrazia e del regime italiani è tale - denuncia il leader radicale - che dobbiamo riuscire a far sì che se ne occupi la Corte penale internazionale". A Radio Radicale Pannella spiega: "Siamo il Paese in Europa più esposto all’infamia della disfunzione del diritto della giustizia. La realtà della democrazia italiana è tale che i suoi comportamenti criminali vanno giudicati non da Norimberga, ma dal la Corte dell’Aia". Lo storico difensore dei diritti dei detenuti conclude: "Dobbiamo far sì chic lo Stato italiano sia imputate per le sue tremende responsabilità e condannato all’Aia, pei difende i diritti umani nel mondo ei n Italia e lo stato di diritto, c uscire da uno stato che si comporta come associazione per delinquere". Intanto si avvicina le scadenza imposta dall’Europa il 28 maggio - per risolvere l’emergenza sovraffollamento "Dobbiamo farcela", dice il Guardasigilli Andrea Orlando. E torna in auge l’ipotesi amnistia. Giustizia: "Impegni per il superamento degli Opg" in Senato… ma la proroga ci sarà Italpress, 28 marzo 2014 "Il ricovero negli ospedali psichiatrici giudiziari, disciplinato per la prima volta da una legge del 1904, è ancora oggi previsto dal Codice penale come misura di sicurezza. Tuttavia, le condizioni di degrado, le carenze delle strutture, nonché le pessime condizioni di vita dei malati al loro interno - attestate anche dall’indagine parlamentare di cui fra poco vedremo una testimonianza - hanno innescato un processo di superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari". Lo ha detto il presidente del Senato Pietro Grasso al convegno "Impegni per il superamento degli Opg per non sprecare una occasione di crescita civile del Paese" in Sala Zuccari. "In particolare - aggiunge - nella Relazione sulle condizioni di vita e di cura all’interno degli Ospedali psichiatrici giudiziari, approvata nella scorsa legislatura nella seduta del 20 luglio 2011, la Commissione parlamentare di inchiesta sull’efficacia e l’efficienza del servizio sanitario nazionale ha portato alla luce degli orrori inaccettabili per un Paese civile. Il processo per il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari è stato avviato dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità con l’introduzione dell’obbligo per il giudice di verificare lo stato di salute psichica del soggetto e il perdurare dell’infermità mentale al momento del ricovero ed è, poi, proseguito con importanti modifiche normative. La chiusura delle strutture, decisa nel 2011, è a oggi fissata al 1 aprile 2014. Eppure, il traguardo è ancora lontano. Resta ancora molto da fare perchè la sicurezza e la salute delle persone coinvolte siano tutelate in maniera concreta ed effettiva. È necessario un diverso approccio alla malattia mentale, che sposti gli obiettivi dell’intervento pubblico dal controllo sociale dei malati di mente alla promozione della salute e alla prevenzione dei disturbi mentali, dagli interventi fondati sul ricovero ospedaliero a quelli incentrati sui servizi territoriali di assistenza". "Per completare l’iter - aggiunge Grasso - è necessaria una riforma legislativa, ma serve anche un approfondito confronto con Governo, Regioni, Enti Locali e mondo del volontariato. È questo il percorso più corretto per definire le misure alternative alla detenzione e i percorsi di riabilitazione e reinserimento sociale delle persone oggi ancora presenti negli Opg, stabilendo quali strutture specializzate, nell’ambito dei servizi di salute mentale, dovranno accoglierle e curarle. Non possono i pazienti continuare a pagare per le difficoltà e le lentezze delle Istituzioni. L’incontro di oggi costituisce un’importante occasione di confronto e di riflessione per evitare che la terribile condizione in cui si trovano i malati si protragga ancora nel tempo. Grazie, dunque, a tutti i miei colleghi che nella scorsa legislatura e in quella in corso hanno svolto questa preziosa attività d’inchiesta e di approfondimento; grazie a tutti voi che lavorate ogni giorno, con impegno e dedizione, per la tutela dei diritti dei malati di mente". Viceministro Sanità Costa: presto provvedimento proroga chiusura Opg "Il ministero della Giustizia è orientato a mantenere la proroga (per la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari, ndr) limitata a un anno, ma che abbia dei contenuti" e non sia solo uno spostamento in avanti. Lo ha sostenuto il vice ministro della Giustizia, Enrico Costa, intervenendo al convegno "Impegni per il superamento degli Opg", organizzato dalla commissione Igiene e sanità del Senato e tenutosi oggi pomeriggio a Roma. Data l’imminenza della scadenza della precedente proroga, che sarà il prossimo 31 marzo, il vice ministro ha affermato che "la proroga arriverà in tempi brevissimi" e lo strumento normativo sarà valutato dagli uffici legislativi del ministero, ma probabilmente sarà un decreto legge. La proroga, per Costa, si rende attualmente "necessaria per la mancanza di alternative per i pazienti internati". A ribadire la possibilità di un decreto è stato anche il sottosegretario alla Salute, Vito De Filippo, che ha tenuto a sottolineare che "sulla durata delle proroga non abbiamo ancora certezze" e l’intenzione di inserire nel provvedimento elementi di innovazione nel meccanismo di superamento degli Opg. La presidente della commissione Igiene e sanità del Senato, Emilia Grazia De Biasi, promotrice del convegno, ha annunciato che "la prossima settimana, la commissione discuterà a risoluzione sul tema" con l’obiettivo di portarla presto in aula, "forse già la prossima settimana. Il documento - ha concluso De Biasi - non tratterà solo il superamento degli Opg ma tutto il tema della salute mentale". Sindaco Roma Marino: no slittamento chiusura Opg al 2017 "Negli anni passati abbiamo ricevuto sanzioni dal Consiglio d’Europa che ha definito questi luoghi di tortura. C’è un’amara possibilità che la data di chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari Opg venga spostata dal 2014 al 2017, dimostriamo che qui al Senato siamo uomini e donne di legge". Così il sindaco di Roma Ignazio Marino è intervenuto al convegno a Palazzo Giustiniani "Impegni per il superamento degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari". Marino ha portato la sua testimonianza di presidente della commissione d’inchiesta sull’efficacia e efficienza del Sistema sanitario nazionale: "Non potrò mai dimenticare l’11 giugno del 2010 quando siamo andati a Barcellona Pozzo di Gotto. Riuscimmo ad entrare e trovammo un uomo della mia età nudo legato ai quattro angoli del letto che urinava é defecava lì da cinque giorni. Furono immagini così violente che al ritorno in volo, insieme alle altre senatrici e senatori non sapevamo cosa fare. Andai a raccontare ciò che avevo visto al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che ci incoraggiò a continuare dicendomi "Non ti crederanno se non fai vedere le immagini che hai visto"£. Dopo sono state poste sotto sequestro intere strutture come quella dell’Opg di Barcellona Pozzo di Gotto". Il primo cittadino di Roma ha rivolto il proprio appello anche al Presidente della Repubblica e del Consiglio dei ministri affinché evitino la proroga dell’apertura degli Opg. "Rivolgo un appello davvero accorato al Capo dello Stato, Giorgio Napolitano - ha affermato Marino - che ha seguito con sofferenza personale l’orrore degli Opg. E - ha proseguito - rivolgo un altro appello anche alla sensibilità innovatrice e riformista del presidente del Consiglio, Matteo Renzi, a cui vorrei dire che prolungare l’apertura degli Opg di altri quattro anni - ha concluso - sarebbe una frenata devastante a una riforma attesa dal 1978". Tamburino (Dap): negli Opg dal 2010 internati ridotti di un terzo Il numero delle persone internate negli ospedali psichiatrici giudiziari "si è ridotto di un terzo rispetto al 2010", "si è passati dalle 1.294 persone presenti nel 2010 alle 875 presenti oggi". A fare il punto sui pazienti dei cosiddetti ‘manicomi criminali’ è stato oggi Giovanni Tamburino, direttore del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del Ministero della Giustizia intervenendo nel corso del convegno "Impegni per il superamento degli Opg" ospitato dalla Sala Zuccari del Senato. Tra le persone attualmente rinchiuse nei sei ospedali psichiatrici giudiziari presenti in Italia molto spesso si trovano anche persone la cui revoca del termine di detenzione per "pericolosità sociale" è stato, nel corso degli anni, rinnovato più e più volte. È quello che si chiama "ergastolo bianco", una sorta di ergastolo di fatto determinato dal successivo rinnovo di misure di sicurezza. "La durata delle misure spesso, attualmente, non dipendente dalla pericolosità del paziente - ha commentato in proposito Tamburino - ma da uno stato di abbandono della persona rinchiusa o dalla mancanza di accoglienza al di fuori. Questa non è una ragione per far permanere una persona sotto misure di sicurezza". Cecconi (Comitato Stop Opg): scadenza il primo aprile, ma le Regioni non sono pronte "Siamo ad un bivio decisivo: il primo aprile scadrà il termine fissato dalla legge per la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari. Ma le Regioni, responsabili dell’assistenza sanitaria all’interno delle strutture, non sono ancora pronte nonostante le proroghe già concesse e gli impegni assunti. Si è costretti a negoziare un nuovo rinvio". È quanto dichiara ai microfoni di Radioarticolo1 Stefano Cecconi, responsabile delle Politiche della Salute della Cgil nazionale, tra i promotori con la Fp Cgil del Comitato Stop Opg. "È una situazione paradossale - sostiene Cecconi - che provoca una grande sofferenza ai mille internati delle sei strutture presenti sul territorio nazionale, definite dallo stesso Presidente della Repubblica Napolitano indegne per un paese civile. Per questo abbiamo rilanciato il nostro impegno e ottenuto un’interlocuzione con il Parlamento". Questo pomeriggio infatti, nell’ambito del seminario organizzato a Roma dalla Commissione Igiene e Sanità del Senato, il Comitato Stop Opg presenterà le proposte per l’effettivo superamento degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari e il rafforzamento dei servizi di salute mentale. "Alla presenza dei ministri della Salute Beatrice Lorenzin e della Giustizia Andrea Orlando, illustreremo gli interventi necessari. Per prima cosa - spiega il dirigente della Cgil - occorre creare una cabina di regia con le istituzioni, un’autorità in grado di seguire il percorso di superamento degli Opg impedendo nuove proroghe. È poi indispensabile una modifica della legge penale in tema di misure di sicurezza. Senza un intervento sostanziale sul codice Rocco, che ha dato vita ai manicomi giudiziari, resta aperto il rubinetto che li alimenta. Chi commette un reato deve essere giudicato, scontare una pena se colpevole, e se ha bisogno di cure essere assegnato ad un luogo adatto". "Infine è necessario, come previsto dalle norme e dalle sentenze della Corte Costituzionale, organizzare misure alternative e destinare, da subito, almeno metà degli internati a comunità, residenze, strutture protette che garantiscano loro le cure necessarie e che permettano il recupero". "Ci sono le risorse per questa operazione - conclude Cecconi - e portarla a termine vuol dire potenziare i servizi di salute mentale nel territorio per tutti i cittadini, non solo per gli internati. E significa soprattutto restituire al personale sanitario funzioni di cura e non di custodia, che si avrebbero qualora le Regioni insistessero nel costruire al posto degli Opg dei mini Opg regionali. È possibile fermare tutto questo e invertire la rotta nella direzione della strada segnata da Franco Basaglia con la frantumazione del muro del manicomio di Trieste". De Biasi (Senato) ai magistrati: stop invii a Opg Un appello ai magistrati affinché non inviino più persone negli ospedali psichiatrici giudiziari (Opg) e un appello al Ministero della Giustizia per abolire il concetto di "pericolosità sociale". È quello che arriva dal Presidente della Commissione Igiene e Sanità del Senato, Emilia Grazia De Biasi. "Credo si debba fare un appello al Ministero per abolire la definizione, molto antiquata, di pericolosità sociale, serve un ammodernamento", ha detto, in merito ai motivi per cui viene deciso l’internamento di coloro che commettono reati, la senatrice Pd a margine del convegno ‘Impegni per il superamento degli Opg’, in corso al Senato. "Farei anche appello - ha aggiunto - ai magistrati perché non è possibile che continuino a fare entrare persone negli ospedali psichiatrici giudiziari, la cui dismissione è stata già decisa". Magistratura e Ministero, ha proseguito, "devono fare in modo che vi sia una umanizzazione della pena", tanto per i pazienti dei ‘manicomi criminali’ che per i detenuti nelle carceri. Tutto il sistema della salute mentale, conclude De Biasi, "rientra a pieno titolo nel Sistema sanitario nazionale, perché la salute non ha a che fare solo con il benessere fisico di un individuo ma anche psichico ed emotivo. Dall’ansia alla depressione fino agli ospedali psichiatrici giudiziari, la salute mentale ha strettamente a che fare con lo stato di salute del cittadino". Giustizia: Associazione Nazionale Forense; bene Orlando su confronto con l’avvocatura Agi, 28 marzo 2014 "Apprezziamo il cambio di passo del ministro Orlando che, anche diversamente da qualche suo predecessore, dimostra di avere a cuore l’interlocuzione con l’avvocatura". Lo dichiara il segretario generale dell’Anf, Ester Perifano, che ha incontrato oggi il titolare della Giustizia. "Il ministro ha proposto - riferisce Perifano - tavoli operativi, ai quali approfondire le tematiche delle società professionali e multi professionali, le specializzazioni, la riforma universitaria l’accesso e il tirocinio della professione, la difesa d’ufficio, il patrocinio a spese dello Stato, la degiurisdizionalizzazione e il contributo dell’avvocatura alla giurisdizione". I tavoli saranno attivati al massimo entro 20 giorni e non saranno chiusi, "ma aperti al confronto con altre componenti della società. Si tratta - continua Perifano - di proposte estremamente stimolanti, a seguito delle quali l’avvocatura potrà portare dentro il ministero la propria voce e le proprie proposte. L’avvocatura è disponibile a contribuire alla soluzione di problemi che non sono certamente ad essa attribuibili, ma deve esserne riconosciuto il ruolo essenziale, sia nella giurisdizione che all’interno dei sistemi alternativi di risoluzione delle controversie, che, ove necessario e utile, in un ruolo sussidiario o sostitutivo della pubblica amministrazione". Si tratta dunque "un’agenda su cui occorrerà lavorare intensamente, ma confidiamo possano esserci, nell’interesse degli avvocati e dei cittadini, prospettive finalmente soddisfacenti, anche grazie all’apertura di credito chiestaci dal ministro e dalla sua promessa di massimo ascolto", conclude Perifano. Giustizia: la morte di Stato… presentato il rapporto sulle esecuzioni capitali nel mondo di Geraldina Colotti Il Manifesto, 28 marzo 2014 Amnesty International ha presentato ieri il rapporto annuale sulle esecuzioni capitali nel mondo. Antistorica, ma sempre presente. E anzi in aumento, seppure in un ristretto numero di paesi. Questa la sintesi dell’ultimo rapporto di Amnesty International sulla pena di morte nel mondo, presentato ieri. Per il 2013, l’Ong ha registrato quasi 100 esecuzioni in più rispetto all’anno precedente, pari al 15%. Benché non esistano dati ufficiali, Amnesty ritiene che il triste primato spetti alla Cina "dove ogni anno vengono mandate a morte migliaia di persone". A seguire, Iran (almeno 369) e Iraq (169). Senza contare la Cina, sono state registrate almeno 778 esecuzioni rispetto alle 682 del 2012. Hanno avuto luogo in 22 paesi, uno in più rispetto al 2012 perché Indonesia, Kuwait, Nigeria e Vietnam sono tornate a far uso della pena capitale. Molti paesi (quali Bielorussia, Emirati arabi uniti, Gambia e Pakistan), che hanno applicato la pena di morte durante il 2012, si sono astenuti dal praticarla durante il 2013. E, per la prima volta dal 2009, nella regione Europa-Asia centrale non si sono registrate esecuzioni: "L’aumento delle uccisioni cui abbiamo assistito in Iran e Iraq è vergognoso - ha dichiarato Salil Shetty, segretario generale di Amnesty International. Tuttavia, quegli stati che ancora si aggrappano alla pena di morte sono sul lato sbagliato della storia e di fatto sono sempre più isolati. Solo un piccolo numero di paesi ha portato a termine la vasta maggioranza di questi insensati omicidi sponsorizzati dallo stato e ciò non può oscurare i progressi complessivi già fatti in direzione dell’abolizione". Da trent’anni a questa parte, il boia è stato mandato in pensione con sempre maggiore frequenza. Da 37, il numero di paesi che hanno eseguito condanne capitali è sceso a 25 nel 2004 e a 22 l’anno scorso. I paesi che mandano a morte i condannati - registra Amnesty - spesso non se ne fanno un vanto, anzi in alcuni casi mantengono il segreto, nei confronti dell’opinione pubblica e persino delle famiglie. In alcuni paesi - Arabia Saudita, Corea del Nord, Iran e Somalia - si praticano ancora esecuzioni pubbliche. A volte, gli stati mandano a morire persone condannate per reati che in altre parti del mondo non verrebbero considerati tali, o usano "vaghe definizioni di reati politici per sbarazzarsi di reali o presunti dissidenti". Ancora una volta, gli Stati uniti d’America sono stati l’unico paese della regione a eseguire condanne a morte: 39, comunque quattro in meno del 2012. Il 41% ha avuto luogo in Texas, mentre il Maryland è diventato il 18mo stato abolizionista. Nel braccio della morte della California attendono 731 detenuti, 412 in quello della Florida, 298 in Texas, 198 in Pennsylvania e 197 in Alabama: in totale, 3.108 persone. Nel 2013, nessuna di queste ha visto commutata la propria pena, una è stata prosciolta in vita e tre hanno visto riconosciuta la propria innocenza solo dopo morte. Almeno 15 condanne alla pena capitale sono invece state comminate negli altri paesi delle Americhe in cui resta in vigore la pena di morte: due alle Bahamas, due alle Barbados, almeno sei in Guyana e almeno cinque a Trinidad e Tobago. Il dato - rileva la Ong - non rappresenta un aumento significativo rispetto al 2012, anno in cui sono state registrate almeno 12 sentenze capitali. Nessuno è stato mandato a morte a Cuba, Dominica, Giamaica, Guatemala, Grenada, Antigua e Barbuda, Belize, Saint Vincent e Grenadine e Suriname. A Cuba, Dominica, Grenada, Guatemala, Saint Lucia e Suriname nessun detenuto si trova nel braccio della morte. Alla fine del 2013, tre condannati erano in attesa di esecuzione alle Bahamas, paese sottoposto all’Esame periodico universale del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni unite il 23 gennaio. Il governo ha respinto le raccomandazioni riguardanti l’introduzione di una moratoria sulle esecuzioni, l’abolizione della pena di morte e la ratifica del Secondo protocollo opzionale al Patto internazionale sui diritti civili e politici. Cuba ha invece risposto positivamente alle raccomandazioni dell’Esame periodico: "Cuba è filosoficamente contraria alla pena di morte - ha scritto la Commissione- , e a favore della sua eliminazione qualora esistano condizioni adatte. Cuba è stata costretta, nella legittima difesa della propria sicurezza nazionale, ad adottare e applicare leggi severe contro le attività terroristiche e i crimini mirati alla distruzione dello stato cubano o della vita dei suoi concittadini, sempre attenendosi alla più stretta legalità e nel rispetto delle più ampie garanzie. Cuba comprende e rispetta gli argomenti del movimento internazionale che sostiene l’abolizione e la moratoria sulla pena di morte". Giustizia: la lezione di quei due innocenti nel braccio della morte di Paolo Di Stefano Corriere della Sera, 28 marzo 2014 Ogni tanto bisognerebbe fare un fermo immagine del mondo, per chiedersi come sia possibile che Paesi economicamente (e culturalmente) evoluti in alcuni casi non trovino pratica migliore che l’omicidio, per proteggere la comunità: non che la cosa sia meno scandalosa in Paesi socialmente o politicamente più arretrati, ma che ciò accada ancora in certi Stati nordamericani, che si presentano al cospetto universale come esempi di democrazia, rende insostenibile il paradosso. Stiamo parlando della pena di morte, che secondo gli ultimi dati di Amnesty International continua a crescere sul pianeta: 778 le esecuzioni note nel 2013 contro le 682 del 2012. Non più di due settimane fa nella Louisiana Glenn Ford, 64 anni, da 25 anni detenuto in attesa della pena capitale per aver ucciso un gioielliere nel 1983, è stato rilasciato perché nuove prove ne hanno confermata l’innocenza che lui aveva sempre proclamato. E proprio in coincidenza con la pubblicazione del rapporto di Amnesty International, ieri in Giappone, dopo 48 anni di attesa (dell’impiccagione) in isolamento nel carcere di Tokyo Kouchisho, il settantottenne Iwao Hakamada è stato scarcerato perché il processo va rivisto: era stato condannato nel 1966 per diversi omicidi, ma ora, sulla base di alcuni test del Dna, si insinuano seri dubbi sulla sua colpevolezza. Ex pugile ed ex impiegato in una fabbrica di soia, è possibile che in questi anni Iwao si sia sentito un ex essere umano. Chissà quanti uomini e donne sono stati messi sulla sedia elettrica, impiccati, avvelenati prima che venisse dimostrata la loro innocenza, ma Iwoa e Glenn non ne avranno una gran consolazione. La vita, in massima parte, è stata loro negata da una giustizia ingiusta, ma prima ancora dalla barbarie di Paesi modernissimi: "Generalmente - ha scritto Albert Camus - l’uomo è distrutto dall’attesa della pena capitale molto tempo prima di morire. Gli si infliggono due morti, e la prima è peggiore dell’altra". Bisognerebbe riuscire a fare un fermo immagine sull’innocente che attende, anche per una sola notte, di essere impiccato. Ma anche sul colpevole. Giustizia: ministero proroga regime 41 bis per Provenzano "è ancora il capo indiscusso" Ansa, 28 marzo 2014 Il ministero della Giustizia ha prorogato il regime carcerario del 41 bis per il boss mafioso Bernardo Provenzano. Nei giorni scorsi le Procure di Palermo, Caltanissetta e Firenze, avevano ritenuto inutile continuare a sottoporre il capomafia al carcere duro perchè le sue condizioni di salute sono stati da non consentirgli di comunicare con l’esterno. La decisione del ministro della Giustizia, Andrea Orlando, si uniforma al parere della Procura nazionale antimafia, che aveva smentito i colleghi siciliani e toscani, affermando che si debba evitare a tutti i costi, anche per la sicurezza dei magistrati più esposti, il rischio che "Binu" Provenzano possa comunque avere contatti con l’esterno. Il capomafia è ricoverato in ospedale a Parma, tra misure di sicurezza eccezionali. Secondo alcune perizie mediche non è in grado di intendere e di volere e di partecipare validamente ai processi in cui è imputato. Dato in fin di vita da piu’ di un anno, è in condizioni stazionarie. Ironico il commento dell’avvocato di Provenzano, Rosalba Di Gregorio, in riferimento alle condizioni di salute del boss: "Il detenuto per cui ho chiesto la revoca del 41 bis è quello per cui le Procure hanno espresso il parere. Quello per il quale hanno confermato il carcere duro è evidentemente un altro". Orlando: Provenzano ancora capo indiscusso "Risulta conclamata oggettivamente la pericolosità" di Provenzano quale "capo ancora indiscusso" di cosa nostra. È quanto si legge nella lettera - di cui l’Ansa ha potuto leggere alcuni stralci - che il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, ha inviato al capo del Dap Giovanni Tamburino in merito alla proroga del 41bis per Provenzano. "Ho firmato il decreto predisposto dal suo Dipartimento al fine della proroga del regime detentivo speciale relativo al detenuto sopra individuato", si spiega nella lettera. "Risulta conclamata oggettivamente la pericolosità del detenuto Provenzano Bernardo, quale capo ancora indiscusso dell’organizzazione criminale denominata Cosa nostra", si legge in un passaggio della lettera. Nel documento il ministro sottolinea che "tale condizione, come sottolineato dalla Direzione nazionale antimafia, rende evidente la necessità di conservazione delle misure atte al contenimento della carica di pericolosità sociale del detenuto correlata al rischio di diramazione di direttive criminose all’esterno del circuito penitenziario". Permane quindi il rischio di un passaggio di informazioni e questo impedisce di alleggerire il regime carcerario. "Ciò anche in ragione - si spiega in un altro passaggio del documento - del motivato parere della Direzione nazionale antimafia circa la non evidenza di uno stato di totale scadimento delle attuali capacità di attenzione, comprensione ed orientamento spazio-temporale della persona". I figli di Provenzano: sia resa pubblica l’immagine del "detenuto speciale" "Su quali ragioni si fonda un trattamento differenziato solo per nostro padre? Anzi, in verità solo per noi che siamo gli unici a subire, incolpevoli, questo regime "speciale". È come se dicessero che siamo noi sospettati di portare messaggi fuori o da fuori". Lo dicono, all’Ansa, Francesco Paolo e Angelo Provenzano, figli del capomafia di Corleone, dopo la decisione del ministro della Giustizia di prorogare il 41 bis per il boss nonostante il parere contrario espresso da tre Procure. "Perizie mediche e relazioni del reparto ospedaliero di Parma riconoscono l’incapacità di nostro padre - spiegano - Alla luce di tali atti le Procure hanno espresso parere negativo alla proroga del 41 bis. Il ministro, invece l’ha prorogato. Ci chiediamo: esiste altra perizia medica che smentisce e dichiara false le precedenti? Pensiamo di no". "Chiediamo, a questo punto, - aggiungono - che sia resa pubblica l’immagine attuale di questo "detenuto speciale" con gli occhi al soffitto, chiuso in una stanza blindata con tre guardie del Gom e un sondino al naso per nutrirsi". "Esistono le registrazioni audio-video - spiegano - degli pseudo colloqui mensili con noi. Solo davanti a tale fotografia si può capire quale "pericoloso" soggetto si tiene al 41 bis". Lettere: serve un'amnistia per le pene detentive fino a otto anni di Giulio Petrilli Ristretti Orizzonti, 28 marzo 2014 Il 28 maggio l'Italia dovrà pagare milioni di euro ai detenuti e detenute costretti a vivere in condizioni disumane. La Corte Europea dei diritti umani è stata chiara in tal senso, entro quella data o si ridurrà drasticamente il sovraffollamento o arriveranno le sanzioni e i risarcimenti. Per ottemperare a questa disposizione Europea l'unica via praticabile è un'amnistia generale che riguardi pene almeno fino a otto anni. Tutte le altre sono elucubrazioni senza senso, che non risolvono e non affrontano il problema. Purtroppo in questi giorni si leggono proposte di tutti i tipi, senza un minimo di filo logico rispetto al problema. Il sistema carcerario italiano è fatto al 90% di sovraffollamento totale e al dieci per cento di isolamento totale. La normalità detentiva non esiste, il rispetto minimo di alcuni diritti è una chimera. Anche l' isolamento totale andrebbe sanzionato perché è scientificamente provato che porta a una destabilizzazione psicologica e spero che prima o poi la Corte Europea si pronunci anche su questo. Lettere: gli effetti della Legge 62… che avrebbe dovuto liberare i bimbi dal carcere di Carla Forcolin (Presidente della Gabbianella e gli altri animali Onlus) L’Unità, 28 marzo 2014 Kevin, 5 anni, giunge in visita alla mamma, reclusa nell’Icam di "xy" con la sorellina di due anni. Ci viene accompagnato dal nonno, ma non torna a casa con lui. Il bambino ha piantato un capriccio, vuole stare con la mamma, come la sorellina minore, è geloso. E la mamma decide di tenere anche lui con sé. Sa che in carcere nessuno si opporrà. Con la Legge 62, che istituisce gli Istituti a custodia attenuata per madri, i bambini possono stare con la mamma fino a sei anni e basta che lei voglia tenerlo con sé che lui le rimarrà accanto. Così il piccolo finisce per fare la vita del recluso. Era un monellino che girava tutto attorno al campo Rom con i suoi fratelli, cugini, amichetti. Lo accudiva la nonna, le decisioni su di lui le prendeva il nonno. Alla scuola materna non andava, come non ci andrà ora: la mamma o meglio il nonno non vuole. Forse perché la scuola materna "rammolisce" troppo questi bimbi, perché si sovrappone all’influenza della famiglia, del clan, quando i bambini sono piccoli. Così ora Kevin vive tutto il giorno in poche stanze e si annoia a morte. La sorellina frequenta l’asilo nido. La mamma si stancava ad averla intorno tutto il giorno e lei era tanto felice di uscire. Inoltre a tutti all’Icam appariva bello che la piccina andasse all’asilo. Lui invece non ci va e quando la sorellina rientra ha come unica soddisfazione quella di giocare con lei e di farle un po’ di dispettucci fraterni. Ora è lì anche lui a "presidiare la mamma". Simile soddisfazione gli costa la libertà, ma la mamma è il suo più grande amore. E poi, quando avrebbe tanta voglia di uscire, di giocare con i suoi amichetti, nessuno è disposto a riaccompagnarlo al campo Rom. Le ondate di desiderio di essere libero passano e si alternano alla paura di lasciare la mamma e di lasciarla tutta a sua sorella. Così Kevin vive recluso. Fa compagnia a mamma e trascorre così la sua prima preziosissima infanzia. Nessuno si pone il problema di questo bambino recluso, che non solo non può imparare le cose che si imparano a scuola, ma nemmeno quelle che si imparano per strada. Kevin può stare in un bellissimo Icam (che però di fatto è una prigione) solo perché una nuova legge gliel’ha permesso. Una legge che è nata per non separare i bambini dalle mamme detenute. Chi ha scritto questa legge non ha pensato che queste cose avrebbero potuto succedere, ha solo sperato di "liberare" tutti i bambini. La legge dice che nessun bambino sotto i sei anni dovrebbe stare con la mamma in prigione, piuttosto le mamme con prole fino ai sei anni devono rimanere agli arresti domiciliari e se non hanno un domicilio in una casa-famiglia. A meno che (e qui cominciano i guai!) a meno che il giudice non ritenga che quella mamma sia pericolosa se non reclusa. Fino a pochi mesi fa le mamme in simili condizioni tenevano con sé solo i bambini piccoli, sotto i tre anni, ora possono tenere anche quelli più grandicelli. E così, per un malinteso pietismo, nel nostro Paese succede che, mentre un adulto va in prigione dopo un processo regolare, se condannato, un bambino di cinque anni va in prigione se lo desidera la mamma o la sua famiglia o se lui stesso esprime il desiderio di stare accanto a mamma, costi quel che costi! Tutti sappiamo che la madre o un suo sostituto è necessaria nella prima infanzia, funge da base sicura per imparare ad affrontare il mondo ed è palestra primaria di relazione per il bambino. Tutti sappiamo che la madre o un suo sostituto sono necessari a crescere in un progressivo processo di distacco e di acquisizione di autonomia. Ma se questo distacco non può esserci, che succede? La crescita viene di fatto minata. Una cosa è impedire gli incontri tra mamme carcerate e figli, che dovrebbero potersi incontrare spesso, e un’altra quella di impedire la libertà di crescere autonomamente ai bambini, abituandoli al clima di un istituto di pena fin dalla prima infanzia. La riforma costituita dalla legge 62 fa rimpiangere lo stato delle cose precedenti e va ripresa velocemente in mano da parte del legislatore. Sicilia: intervista ex Garante dei detenuti Fleres "nelle carceri diritto alla salute negato" di Chiara Borzì Quotidiano di Sicilia, 28 marzo 2014 Fleres (ex garante diritti detenuti nell’Isola): "Più di 100 persone muoiono ogni anno per le cattive condizioni fisiche". Nella nostra regione il 30% dei reclusi è tossicodipendente e il 10% ha problemi psichici. È da considerarsi una pena occulta, condizione scarsamente riscontrabile se non attraverso una forte volontà di accostamento al problema. Il diritto della salute è leso all’interno delle carceri italiane e, senza esclusione, in quelle siciliane. Ciò accade oggi in assenza di un’azione che vada oltre la denuncia. I tempi di adeguamento delle istituzioni sono biblici e frenati dalle scarse risorse disponibili. è grazie all’ultimo studio condotto dalla Simpe (società italiana di medicina penitenziaria) che emerge nuovamente il problema del diritto alla salute nelle carceri. Diritto così scarsamente tutelato da far oggi registrare un 60-80 per cento di popolazione carceraria affetta da qualche malattia. Qual è la condizione siciliana? Il QdS ha posto questa domanda all’ex garante dei detenuti siciliani Salvo Fleres, distintosi quando in carica per un’azione apprezzata dagli stessi detenuti isolani. L’incontro organizzato a Roma dalla Simpe (Società italiana di medicina penitenziaria) ha fatto emergere l’ennesima violazione di diritto nei confronti dei detenuti. Ad essere violato è ora il diritto alla salute. A riguardo qual è la situazioni nelle carceri siciliane? "Anche nelle carceri siciliane la situazione sanitaria non è delle migliori. Ma, a differenza di quanto accade nelle altre Regioni d’Italia, in Sicilia la sanità penitenziaria è ancora in carico al Ministero della Giustizia poiché, il Decreto ministeriale del 2008, relativo proprio al passaggio della sanità penitenziaria al Ssn, non è ancora stato recepito. In realtà, al di là dei dati emersi nel corso del convegno organizzato dal Simspe, la sanità all’interno delle strutture penitenziarie è sempre stata molto carente, alle volte addirittura assente. È chiaro che il sovraffollamento agevola gli eventuali contagi ma è anche vero che l’assenza di un’adeguata assistenza medica peggiora le patologie di cui molti detenuti sono affetti, per non parlare poi dei ritardi nell’effettuazione dei ricoveri ospedalieri per esami clinici o per interventi chirurgici. Ma quel che è peggio è che, alle volte, non è possibile effettuare i ricoveri perché il personale di Polizia penitenziaria, personale anch’esso carente, è impegnato in altre attività, dunque, il detenuto deve attendere. Infine, un altro problema è legato ai numerosi trasferimenti che nel corso della detenzione interessano i singoli reclusi. Infatti, non sempre la cartella clinica segue tempestivamente il soggetto trasferito, questo comporta la mancata somministrazione di terapie o di eventuali controlli peggiorandone notevolmente il quadro clinico". Quali sono i rischi che il detenuto corre in Sicilia? "Come dicevo prima, un rischio molto serio è quello legato alla mancata tempestività nell’effettuazione dei controlli o l’insorgere di complicazioni rispetto a situazioni sanitarie già esistenti. In generale, più di cento detenuti l’anno perdono la vita nelle carceri italiane, oltre, purtroppo, alle morti per suicidio. Tutto questo accade al di là di quanto stabilito all’art. 1 del decreto legislativo 230/99 relativo al riordino della sanità penitenziaria, che stabilisce la parità di trattamento tra i detenuti ed i cittadini in stato di libertà. La realtà è che nel tempo le risorse finanziarie destinate alla salute dei detenuti sono andate sempre più assottigliandosi e, conseguentemente, non possono essere garantiti standard di assistenza sufficienti". Quali sono le malattie che più possono essere contratte nelle carceri siciliane? "Da questo punto di vista la Sicilia non si differenzia dalle altre Regioni. I tossicodipendenti rappresentano circa il 30% della popolazione detenuta, mentre, circa il 10% ha problemi di natura psichiatrica. Vi sono poi diverse malattie infettive, le più comuni sono l’epatite C e l’HIV. Per fortuna, sono rari i casi di Tbc". Sondare il campo in merito, fornendo stime e percentuali, non è facile. Si teme che i dati nazionali siano approssimativi. Lo stesso può dirsi per la Sicilia? "I dati sono approssimativi perché l’Amministrazione Penitenziaria non è molto propensa a fornire le stime, più volte e in diverse circostanze richieste. Ma vi è anche un’ulteriore problematica che non consente di poter fornire dati certi ed è legata al fatto che molti reclusi sono affetti da più patologie rendendo difficile la predisposizione dei dati". Ci sono speranze per un miglioramento futuro del quadro regionale attuale? Se sì, quali azioni possono rivelarsi determinanti nell’immediato? "Sono diverse le azioni che possono migliorare il quadro attuale e si ricollegano con il più ampio ragionamento riguardante il riordino dell’intero ‘pianeta carceri’. Innanzitutto, occorre diminuire la popolazione penitenziaria attraverso un maggior ricorso alla pene alternative ed auspicando un minor utilizzo della carcerazione preventiva; bisognerebbe dotare gli ospedali, almeno quelli nei comuni in cui hanno sede le strutture penitenziarie, di un apposito reparto destinato ai reclusi; è auspicabile un incremento della dotazione finanziaria per consentire agli istituti penitenziari di poter disporre per un maggior numero di ore di medici specialistici e per garantire un approvvigionamento costante e vario di medicinali; bisognerebbe evitare che soggetti molto malati continuino a scontare la pena in carcere anche quando la loro pericolosità è praticamente inesistente. Queste sono alcune tra le tante azioni che potrebbero essere poste in essere e che certamente migliorerebbero di gran lunga la situazione sanitaria all’interno delle carceri". Milano: si impiccò a San Vittore… "i medici non fecero nulla per impedire quel suicidio" di Mario Consani Il Giorno, 28 marzo 2014 "Non fecero nulla per impedire quel suicidio in cella. Psichiatra e psicologa di San Vittore vanno condannate per omicidio colposo". Il pm Silvia Perrucci chiede un anno e quattro mesi di pena. "Non fecero nulla per impedire quel suicidio in cella. Psichiatra e psicologa di San Vittore vanno condannate per omicidio colposo". Un anno e quattro mesi di pena ha chiesto ieri il pm Silvia Perrucci al termine della sua requisitoria per M.M. e R.D.S., le due professioniste che nell’estate del 2009 erano in servizio nel carcere di piazza Filangieri. Secondo l’accusa, non si sarebbero rese conto che Luca Campanale, 28 anni, in cella per uno scippo, era un soggetto ad alto rischio. E così avrebbero colposamente omesso i controlli dovuti, lasciando il giovane al suo destino di morte. Il suicidio del ragazzo risale al 12 agosto di cinque anni fa. Luca era stato appena trasferito a San Vittore dal penitenziario di Pavia, e la sua cartella clinica segnalava un "ben evidente quadro psicotico persecutorio" con nove atti di autolesionismo o tentativi di suicidio in quattro mesi. Avrebbe dovuto dunque essere mantenuto nel reparto ad alto rischio con sorveglianza a vista, ma forse a causa del sovraffollamento venne inviato quasi subito in un reparto a rischio medio. Fra l’altro, stando dietro le sbarre il suo stato di salute mentale peggiorava visibilmente, mentre la psichiatra di San Vittore decideva di alleggerire la cura farmacologica prescritta a Pavia. Da mesi chi lo assisteva aveva sollevato la questione con la direzione sanitaria della struttura. Ma nemmeno l’istanza urgente depositata in giugno dal suo legale alla corte d’appello, con la quale si chiedeva "l’immediato ricovero presso idonea struttura sanitaria", aveva avuto ascolto. Altri 19 giorni e Luca venne trovato impiccato nel bagno della sua cella, attaccato con le lenzuola alle sbarre della finestrella. Non era solo nella stanza, il ragazzo. Con lui tre compagni, tutti però con problemi psichici di vario tipo. Nonostante la storia che aveva alle spalle e tutta la documentazione prodotta dal suo avvocato, secondo l’accusa psichiatra e psicologa non presero sul serio il rischio che il giovane si togliesse la vita. "Pretenzioso ed immaturo", lo descrisse il medico nella sua nota del 4 agosto. Otto giorni dopo, Campanale si era ucciso. "L’ultima volta che lo vidi - raccontò suo padre Michele al nostro giornale - fu poche ore prima che si uccidesse. "Stasera vengo a casa, papà", poi abbracciò me e mia moglie che non capivamo. Alle tre e mezzo di notte ci telefonò il cappellano del carcere: "Luca non è più tra noi"". Il ragazzo non avrebbe dovuto trovarsi in galera, ma in una clinica. "È stata una morte annunciata", ha sempre detto Campanale. "Da quando ebbe un grave incidente stradale, a 17 anni, Luca non è stato più lo stesso. Subì una lesione cranica, rimase in coma e poi sulla sedia a rotelle, i medici ci dissero che non sarebbe tornato come prima. Da allora, e per 12 anni, io e sua madre ci trovammo a cozzare contro la legge Basaglia, che pretende sia il malato a scegliere di farsi curare". La psichiatra e la psicologa di San Vittore, ieri per bocca dei loro avvocati difensori, hanno ripetuto di aver fatto tutto il possibile con quello strano detenuto. "In certi casi - ha detto uno dei legali - il rischio di suicidio si può contenere ma non neutralizzare". È stata, in pillole, anche la tesi difensiva del ministero della Giustizia, citato in causa come responsabile civile. Ferrara: il Garante; c’è meno sovraffollamento, ma preoccupa la carenza di organico www.telestense.it, 28 marzo 2014 Venti euro per ogni giorno di detenzione in celle con meno di tre metri quadrati di spazio vitale o uno sconto di pena fino a un massimo del 20%. Sono questi i due punti principali del piano messo a punto dal Governo per correre ai ripari dopo la condanna comminata all’Italia dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per il sovraffollamento delle carceri. Il Ministro della Giustizia, Andrea Orlando, è volato martedì a Strasburgo per convincere i giudici della Cedu che il Paese rispetterà la scadenza del 28 maggio.Il risarcimento, che eviterebbe all’Italia di sborsare cifre ben più consistenti, nell’ordine dei 100milioni di euro, riguarderà tutti coloro che, entro sei mesi dalla fine dell’emergenza sovraffollamento, che il governo conta di risolvere entro maggio, avranno presentato ricorso a Strasburgo. Attualmente sono 60.400 i detenuti nelle carceri italiane, capienti fino a un massimo di 48.600 persone. Erano 69mila nel 2010. Nel frattempo sono intervenuti due provvedimenti "svuota-carceri", approvati dai governi Monti e Letta e che ancora oggi garantiscono una diminuzione di oltre 300 unità al mese, e presto saranno disponibili altri 1.500 posti. Ad oggi i ricorsi presentati a Strasburgo dai detenuti sono stati circa 3.000, nessuno, pare sia ancora partito da qualcuno ristretto nel carcere di Ferrara dove la situazione, sottolinea il garante dei diritti dei detenuti Marighelli, è decisamente migliorata. Oggi all’Arginone solo in 5-6 celle dell’intero istituto sono presenti 3 detenuti, in tutte le altre ve ne sono 2. Non solo, da alcuni mesi, anche a Ferrara è stata recepita e messa in pratica la circolare regionale che prevede che le celle siano sempre aperte e i detenuti possano muoversi liberamente. Ora la preoccupazione per il carcere ferrarese non è tanto per gli spazi, visto anche il progetto dell’ampliamento, ma per la gestione. Già a Ferrara si registra una carenza di organico di almeno il 20% e non ci sono notizie certe su nuovi arrivi una volta realizzato il progetto di ampliamento. Lecce: Capone (Pd) interroga il ministro sulle problematiche della polizia penitenziaria www.leccesette.it, 28 marzo 2014 Il parlamentare Pd ha deciso di chiedere al Guardasigilli notizie in merito alla protesta di lunedì scorso degli agenti di Polizia Penitenziaria del Carcere di Borgo San Nicola dinanzi ai cancelli della Casa circondariale. "Condizioni di difficoltà e invivibilità in cui sono costretti gli organici, con dotazioni di uomini palesemente insufficienti, mezzi di trasporto obsoleti, straordinari non ancora remunerati dal 2008". Parte da questa considerazione degli agenti della polizia penitenziaria, l’interrogazione del parlamentare Pd, Salvatore Capone al ministro Andrea Orlando che chiede "quali iniziative saranno intraprese dinanzi a un quadro così articolato per venire incontro alle esigenze dei corpi di Polizia Penitenziaria e, nello specifico, rafforzare il Corpo di Polizia Penitenziaria di Borgo San Nicola a Lecce; quali iniziative il Ministero voglia intraprendere dinanzi alla richiesta espressa dagli organismi di rappresentanza dell’Istituzione di un Dipartimento di Polizia Penitenziaria o, in subordine, del passaggio al Ministero degli Interni; quali iniziative il Ministro abbia già intrapreso o voglia intraprendere rispetto all’attuazione di quanto deciso dalla Consulta in merito alla Fini-Giovanardi, ultimo punto, anche in previsione del fatto che andrebbe ad incidere in maniera non marginale sul numero della popolazione carceraria e del sovraffollamento delle carceri". Nell’interrogazione, il parlamentare democratico sottolinea sia le difficoltà e i disagi emersi a Lecce, che quanto negli ultimi mesi denunciato a livello nazionale dal Segretario confederale Cgil e dal Segretario della Fp Cgil a proposito dell’emergenza suicidi proprio tra la Polizia penitenziaria, e al sottodimensionamento degli organici. Che, secondo le organizzazioni di rappresentanza, sull’intero territorio nazionale è di circa 7mila unità in meno. Dato presente anche nella Relazione della II Commissione Permanente (relatore Ferranti) sulle tematiche oggetto del Messaggio del Presidente della Repubblica trasmesso alle Camera il 7 ottobre 2013, dove si legge: "A fronte di un organico tabellare fissato a 45.121 unità, risultano attualmente presenti 39.021 unità, mentre nel settembre 2013 sono state autorizzate - limitatamente alle previste riduzioni dovute al turn over - le assunzioni di 334 vice ispettori e di 221 agenti di polizia penitenziaria". "La Camera -conclude Salvatore Capone- il mese scorso ha approvato il Decreto Carceri, "nell’urgenza di tutelare i diritti fondamentali delle persone detenute e di ridurre in modo controllato la popolazione carceraria. Nel frattempo le condizioni di vita in Carcere presentano notevolissime criticità. Condizioni della popolazione carceraria ma anche degli operatori penitenziari. Quanto denunciato a Lecce vale per l’intero Paese. E ha bisogno di risposte immediate. Recentemente proprio il Ministro Orlando ha affermato che per rispondere all’emergenza carceri sono necessari interventi puntuali, non ulteriori mega-piani, che spesso finiscono nel dimenticatoio. Io mi auguro, e sono certo, che proprio in modo puntuale possano arrivare risposte anche a quanto chiesto dagli Agenti penitenziari. Per una qualità differente, migliore, e più umana, nella vita nelle Carceri". Verona: il teatro arriva nel carcere di Molitori… e i detenuti preparano il loro spettacolo Corriere di Verona, 28 marzo 2014 "Abbiamo visto due detenuti provare una scena della "Tempesta" di Shakespeare in cella, prima e dopo la lezione. Abbiamo visto talenti puri. E abbiamo visto persone capaci di scherzare su loro stesse, durante un balletto, come se la virilità con cui ci si fa rispettare in carcere fosse una posa tranquillamente accantonabile". Scene da un carcere, quello di Montorio, dove si fa e si farà teatro, n professor Renato Perina sta curando un laboratorio di 6 mesi ch’è già a metà dell’opera - 4 ore a settimana, 17 detenuti e 4 detenute - mentre l’attore e regista veronese Alessandro Anderloni ne curerà a breve un altro da cui si punta a trarre uno spettacolo interamente autoprodotto: "Entrerò qui a Montorio in punta di piedi, cercherò di conoscere le storie dei detenuti e a partire da quelle storie proveremo insieme a inventare un nostro spettacolo - spiega Anderloni. È uno spettacolo in cui vogliamo coinvolgere anche il laboratorio di falegnameria e sartoria per scenografie e costumi. E magari rappresentarlo all’esterno, tra un anno, perché sarebbe bello che la città si accorgesse di quanto c’è qui dentro". Due iniziative - una già avviata, l’altra per il futuro - di cui si è parlato per la prima volta ieri a Montorio, in occasione della prima Giornata nazionale del teatro in carcere, insieme alla direttrice della Casa circondariale, Mariagrazia Bregoli, e a Margherita Forestali, garante dei diritti dei detenuti (presenti anche Fondazione San Zeno e Unasp Adi). Spiega Bregoli: "Il laboratorio sta registrando successo e nessun detenuto ha fin qui rinunciato, anzi, n teatro in carcere aiuta i detenuti a conoscere se stessi, gli altri e a rileggere le proprie scelte di vita". Trani: i ragazzi dell’Itc "Tannoia" visitano il carcere e ascoltano i racconti dei detenuti www.coratolive.it, 28 marzo 2014 L’educazione alla legalità si rivela particolarmente efficace quando è in grado di suscitare forti emozioni, molto più del puro diritto insegnato nelle lezioni frontali. Quella vissuta dagli alunni delle quinte classi dell’Itc Tannoia di Corato è stata una giornata di totale arricchimento. "Mi sono venute le lacrime agli occhi quando un giovane detenuto ha voluto parlarci della sua esperienza causata da un momento di difficoltà e di particolare debolezza. Lo ha fatto anche per metterci in guardia dal percorrere strade pericolose", ha commentato una studentessa. I ragazzi, autorizzati dal dirigente scolastico Giovanni De Nicolo e accompagnati dalle docenti di diritto, hanno espletato le formalità di ingresso e partecipato ad un incontro nella sala conferenze, in cui si è discusso essenzialmente dell’uso di sostanze stupefacenti e dei reati ad esso connessi. Sono poi stati accompagnati nella sala accoglienza dove vengono prese le impronte digitali ed effettuate le foto segnaletiche, passando per le cucine per assaporare i gustosi taralli preparati da alcuni detenuti insieme al personale del carcere. Le scolaresche hanno visitato i luoghi in cui i detenuti incontrano le famiglie e gli avvocati, ovviamente nel rispetto della privacy. La giornata si è conclusa nel reparto cinofilo per la simulazione del ritrovamento di un piccolo quantitativo di droga da parte di Pepe, un cane addestrato. "Notevole è stata la disponibilità dello staff dirigenziale del carcere sin dai primissimi contatti telefonici. Ringraziamo vivamente il direttore Bruna Piarulli anche per il seguito che, come è auspicabile, l’incontro avrà all’interno della scuola", hanno dichiarato le docenti. Reggio Calabria: Csv e Csi insieme contro la violenza e la "mafiosità" nello sport www.strill.it, 28 marzo 2014 Il Centro Servizi al Volontariato e il Centro Sportivo Italiano insieme per dire no alla violenza nel mondo dello sport. È stato firmato stamane il protocollo d’intesa tra le due importati realtà associative del reggino che consente ai giovani atleti protagonisti di comportamenti scorretti in campo di scontare le proprie squalifiche sportive attraverso attività di volontariato in realtà di disagio. Le due organizzazioni si schierano apertamente dunque, insieme, contro la "mafiosità in campo", contro gli atteggiamenti di violenza fisica e psicologica, che allontanano lo sport dai valori positivi che dovrebbe rappresentare. "In tutte le terre di frontiera - commenta il Presidente del Csi Paolo Cicciù - che sia Casal di Principe o lo Zen a Palermo, il calcio, lo sport in genere, è stato da sempre strumento di emancipazione dalle maglie della criminalità organizzata. Attività sportiva che si coniuga spesso anche con azioni di servizio, alle mense, nelle tendopoli, ovunque ce ne fosse bisogno. Oggi, senza se e senza ma, sono tanti i campi da gioco della nostra provincia, da "bonificare" rispetto ad una mentalità mafiosa che imperversa tra il silenzio dei tanti. Sappiamo che questa nostra azione - prosegue Cicciù - che partirà in concreto da settembre, ma già da oggi si sperimenta nei campionati CSI, sarà in qualche modo ostacolata, ma noi facciamo un appello responsabile a tutti: federazioni ed enti di promozione sportiva uniamoci, soprattutto, a difesa dei settori giovanili. Imprimiamo la nostra firma non solo su un protocollo di intesa aperto a chiunque altro si voglia, e speriamo siano tanti, unire a noi, ma segniamo un "cambio di passo", uno "scatto in avanti" per il bene della nostra società. Se è vero che lo Sport può essere il motore del cambiamento, - chiosa Cicciù - il baricentro del welfare, allora crediamoci, non tappiamoci gli occhi dinnanzi a dei numeri spaventosi ed in continuo aumento". Soddisfatto del protocollo sottoscritto anche il Presidente del Csv "Dei Due Mari" Mario Nasone. "Il tempo è adesso - dichiara Mario Nasone - di fronte a questa tremenda escalation di violenza non si può e non si deve restare inermi. Bisogna denunciare ed agire: questo protocollo di intesa intede essere premonitore rispetto ad una nuova generazione di dirigenti sportivi, che prima di tutto siano educatori. Troppe volte si sentono e si vedono scene assurde, dove i genitori perdono la bussola e finiscono per essere i peggiori esempi per i propri figli e, pure per loro, questo protocollo di intesa prevede una formazione annuale all’impegno, al servizio, all’esempio. I nostri giovani hanno bisogno di punti di riferimento: come Csv siamo garanti che questo protocollo di intesa di innesca in un percorso ab origine; chiunque voglia prenderne parte - conclude Nasone - è il benvenuto e sicuramente sarà da stimolo per migliorare ed intervenire in modo più significativo sul nostro tessuto sociale ". Un’iniziativa che è già stata accolta con entusiasmo dalle Diocesi di Reggio Calabria - Bova ed Oppido Mamertina - Palmi; un plauso è giunto anche dalla Provincia di Reggio Calabria ed accanto a Csi e Csv si è schierato anche Mimmo Praticò ed il Coni Calabria. "Quello della violenza nello sport - commenta Praticò - è un argomento certamente scottante che troviamo nella sua massima asperità proprio al sud, in Calabria ed in Sicilia. Il discorso della mafiosità come atteggiamento, della violenza fisica e psicologica, che riscontriamo soprattutto tra gli addetti ai lavori, è una piaga molto grave per il mondo dello sport. È molto bella questa proposta di vivere una squalifica tra chi è povero, chi è disagiato, chi è vive nella dipendenza, perchè può far capire l’importanza della correttezza in campo e fuori. Purtroppo gli episodi di violenza sono tanti e bisogna trovare degli strumenti per arginarli. Questo protocollo può essere un buon punto di partenza". Un protocollo di intesa, che dopo le firme del Csi Reggio Calabria e del Csv "Dei Due Mari" finirà sul tavolo del Prefetto della Città di Reggio Calabria. E non solo: un cammino di condivisione sarà avviato con Libera, nella persona di don Luigi Ciotti, ma anche con la Presidenza Nazionale del Csi, che in via preliminare attraverso il presidente Massimo Achini si è detto entusiasta del progetto ed è pronto ad estenderlo a tutti i campionati del Centro Sportivo Italiano. Estensione che vedrà il pieno coinvolgimento del Csv e che ha come obiettivo quello di sensibilizzare direttamente anche il presidente del Coni Malagò. Napoli: violenza sulle donne, i "carnefici" fotografati al momento dell’arresto di Ida Palisi Redattore Sociale, 28 marzo 2014 Si chiama "I Miserabili" il progetto che sarà presentato a Napoli il 29 marzo. Dieci immagini forti per portare avanti una campagna di sensibilizzazione che per la prima volta vede come protagonisti gli uomini. È un concept fotografico che mette al centro gli uomini, dopo che hanno commesso la violenza. Si chiama "I Miserabili" e sarà presentato al museo Madre di Napoli sabato 29 marzo (dalle 10 alle 19, ingresso libero) con l’idea di girare poi per i musei di arte moderna d’Italia e i centri antiviolenza, per portare avanti una campagna di sensibilizzazione che per la prima volta, vede come protagonisti gli uomini. Il concept fotografico, ideato e diretto dalla giornalista Désirée Klain e curato con la collega Giuliana Ippolito, comprende dieci immagini forti, che colgono i "carnefici" nel momento dell’arresto. Si tratta di una selezione di scatti curata dal fotoreporter napoletano Stefano Renna, tratti da vicende di cronaca nera. "Per prevenire la violenza - spiega Désirée Klain - credo sia importante produrre un’identificazione negativa e far capire all’uomo, al potenziale carnefice, ciò che gli potrebbe succedere dopo". Il racconto per immagini avrà come sottofondo una musica dura, "che - dice ancora la Klain - deve contribuire a trasmettere il pensiero che la violenza, e le sue conseguenze, siano insopportabili". Lo scorso anno sono state 128 in Italia le donne uccise, una ogni due giorni e mezzo, mentre oltre 100mila sono i bambini che hanno subito maltrattamenti. Il concept fotografico è anche il risultato di un accurato lavoro di ricerca reso possibile grazie all’apporto di fotoreporter, cronisti di giudiziaria, psicologi, avvocati. "Vogliamo proporre, provocatoriamente, un’identificazione negativa - spiegano le curatrici - attraverso queste immagini viene infatti in superficie la sconfitta proiettata in uno specchio deformante, dove il protagonista del delitto è svestito da ogni possibile mitizzazione o forma di giustificazione, e raccontato invece nelle conseguenze negative insite in ogni gesto di violenza". Oltre al concept fotografico, ci saranno anche due opere d’arte che coinvolgeranno il visitatore invitandolo a riflettere sulla orribile realtà della violenza: una sorta di diario interattivo firmato dall’artista Barbara Bonfilio e uno "sfogatoio" concepito da Giuliana Ippolito e realizzato dall’artista spagnola Gema Ruperez. È un box dove tutti i visitatori potranno portare, per liberarsene, un oggetto-simbolo dei soprusi subiti. "Le persone conservano oggetti ed emozioni - spiega Ippolito - l’invito a liberarsene vogliamo che rappresenti un primo passo per un cambio di rotta: un’istallazione della memoria collettiva. Le donne a differenza degli uomini conservano oggetti ed emozioni. L’invito a tutte le donne a liberarsi di questo carico attraverso la performance artistica rappresenta un retrocedere rispetto a odi e violenze, una rappresentazione fisica di una memoria collettiva". In occasione della presentazione al pubblico, l’attrice Gioia Spaziani (alle 17.30) leggerà un racconto inedito di Maurizio de Giovanni, dal titolo "Non ho fatto niente": parla di un femminicidio raccontato dal punto di vista di chi lo commette. "Bisogna mantenere alta l’attenzione su questi temi - spiega l’assessore alla Cultura della Regione Campania, Caterina Miraglia, che interverrà all’iniziativa contro il femminicidio del Madre - una legge, per quanto scritta bene e giusta, non basta: è necessario, anche attraverso manifestazioni culturali, diffondere tra le donne la consapevolezza di avere a disposizione gli strumenti giusti per difendersi. Il vero rispetto va inculcato anche attraverso l’educazione dei figli, è lì che inizia il percorso per far comprendere i valori sani". Viterbo: detenuto aggredì pm antimafia in carcere, condannato a due anni e mezzo Il Messaggero, 28 marzo 2014 È stato condannato a due anni e mezzo per l’aggressione - dell’ottobre 2012 - al pm antimafia Giovanni Musarò. Si tratta del boss della ‘ndrangheta Domenico Gallico. Il processo in videoconferenza col carcere di Tolmezzo dove è attualmente recluso Gallico, si è chiuso stamattina presso l’aula allestita ad hoc nell’area 41 bis del supercarcere di Mammagialla. Il pm Renzo Petroselli aveva chiesto 4 anni e tre mesi. Il giudice Rita Cialoni ha però assolto il boss dalle accuse di violenza a pubblico ufficiale e resistenza e lesioni agli agenti penitenziari, che si erano costituiti parte civile. Da qui la condanna a due anni e mezzo per il solo reato di lesioni gravi con premeditazione: il naso rotto al magistrato con un pugno sferrato in piena faccia, appena Musarò è entrato nella saletta degli interrogatori. Roma: Bonafoni (Pl); il teatro dentro le celle, per aiutare le detenute… ad uscirne fuori Il Velino, 28 marzo 2014 "Aderisco e sostengo la Giornata mondiale del teatro in carcere, promossa dall’Unesco e dall’amministrazione penitenziaria, che oggi nell’istituto di Rebibbia femminile si concretizzerà in una serie di performance di artiste: danzatrici di flamenco, attrici e cantanti che coadiuvate dalle operatrici delle associazioni, interagiranno con le donne di Rebibbia attraverso l’arte e lo spettacolo". Lo afferma in una nota Marta Bonafoni, vice capogruppo "Per il Lazio" in consiglio regioaneld el Lazio che oggi ha visitato Rebibbia femminile in occasione della Giornata mondiale del Teatro in carcere promossa dall’Unesco. "Quella di oggi - ha proseguito - vuole essere una giornata di spettacolo, ma soprattutto di confronto nell’ambito del processo di sensibilizzazione e reinserimento sociale delle categorie fragili necessario per realizzare insieme alle detenute un percorso che le porti "fuori le mura della cella". Un’occasione in più per accendere i riflettori sulle reali condizioni di vita degli uomini e delle donne rinchiuse nelle carceri del Lazio. Dall’inizio del mio mandato ne ho visitate tre e pur riscontrando la presenza di operatori carcerari collaborativi e disponibili, lo scenario di vita che ho constatato è stato davvero deprimente. Spazi angusti, strutture fatiscenti,celle stipate al di sopra di ogni possibilità umana. Un contesto di totale degrado che sicuramente influisce sull’alto numero di suicidi e atti di autolesionismo compiuti dai detenuti. Ben vengano quindi iniziative come quelle di oggi - conclude Bonafoni - che riescono a coniugare impegno simbolico e atti concreti, nella consapevolezza comune che il sistema carcerario ha bisogno di interventi massicci strutturali e economici per renderlo luogo di concreto reinserimento e non limbo infernale destinato a vite da dimenticare". Libri: Psicologi "dietro" le sbarre. Appunti di psicologia penitenziaria Ristretti Orizzonti, 28 marzo 2014 Nell’ambito delle attività della Società Italiana di Psicologia Penitenziaria (SIPP) e in occasione del primo decennio di attività è stata creata la collana "Quaderni di psicologia penitenziaria" e pubblicato da poco tempo il primo volume: Bruni A. (a cura di), Psicologi "dietro" le sbarre. Appunti di psicologia penitenziaria, Edizioni Simple, Macerata, 2013, pp. 174. Il volume raccoglie una parte dei materiali prodotti in questi anni dalla SIPP (convegni, seminari, gruppi di lavoro) e avvia la collana "Quaderni di psicologia penitenziaria". Nel volume sono presenti contributi che descrivono il lavoro "dietro le sbarre" degli psicologi e alcuni interventi specifici come emerge chiaramente dai titoli degli scritti: Il trattamento cognitivo comportamentale degli autori di incesto - Psicologi, esecuzione della pena, programmi ed efficienza del trattamento penitenziario in Spagna - Caratteristiche individuali comportamento antisociale: un progetto per lo studio di aspetti psicologici - Carcere e psicoterapia - Dalla necessità del carcere verso una prospettiva riparativa e comunitaria - Prospettive e criticità della formazione e dell’identità professionale degli psicologi penitenziari - Riabilitazione o prevenzione? - Un ammalato nell’affettività. Stalker ed intervento psicologico - Diagnosi e relazione psicologica. Oltre il pre-giudizio - Una "nuova" applicazione della psicologia - Tra giustizia e salute: da una psicologia di confine a una psicologia invisibile - Il servizio nuovi giunti: finalità, strumenti, strategie - La salute psicologica in carcere - L’importanza della continuità di un servizio di psicologia - L’intervento psicologico tra sicurezza, salute e pericolosità - La chiusura degli Opg e la salute mentale: cosa cambia nella popolazione, cosa cambia nei servizi - Intervento psicologico nella messa alla prova di minori denunciati per violenza sessuale. In appendice il documento "Elementi etici e deontologici per lo psicologo penitenziario. Considerazioni e contributi per l’operatività professionale". La presentazione del volume è stata realizzata da Giuseppe Luigi Palma, presidente del Consiglio Nazionale Ordine Psicologi; seguono i contributi di: Jos Frenken, Candido Sànchez, Saulo Sirigatti, Marina Valcarenghi, Daniela Pajardi, Patrizia Patrizi, Rita Bassetto, Silvana Serragiotto, Paola Giannelli, Fulvio Frati, Fabiola Gioggi, Marco Bonfiglioli, Alessandro Bruni, Maria Caruso, Emanuela Azzani, Rosanna Finelli, Alfredo De Risio, Marianna Venosa, Marco Ceppi. Come ricorda Palma nella presentazione "Questa interessante pubblicazione promossa dalla Società Italiana di Psicologia Penitenziaria, con la quale il Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi collabora da anni come unico referente, contribuisce a promuovere lo sviluppo della professione dello psicologo (...) in un ambito complesso e delicato come l’esecuzione della pena negli istituti e attraverso le misure alternative e rilancia il contributo che la psicologia può offrire al rispetto del doppio dettato costituzionale che riguarda il carcere: quello del diritto alla salute e quello della riabilitazione psico-sociale". India: Tajani sul caso marò; detenuti ingiustamente, questione da risolvere quanto prima Adnkronos, 28 marzo 2014 "Io credo che i nostri due marò siano detenuti ingiustamente e la questione dev’essere risolta quanto prima". Lo ha detto, rispondendo alle domande dei giornalisti a Catania, il vice presidente della Commissione europea Antonio Tajani. "L’Europa è pienamente impegnata per risolvere il problema - ha aggiunto- e dovrà continuarlo a fare perchè credo che la voce dell’Europa, che dovrebbe essere sempre sollecitata da parte dell’Italia, può dare un contributo importante perchè rafforza la posizione di uno Stato membro". "L’Europa ha svolto un ruolo decisivo nella vicenda - ha evidenziato - e in tal senso le parole di Barroso e del vicepresidente Ashton, con il mio sostegno, hanno chiuso il capitolo ipotesi pena di morte. Già questo è stato un risultato importante ottenuto dall’Europa". "Qualche giorno fa - ha concluso Tajani - ho parlato anche con il capo di gabinetto del segretario generale dell’Onu insistendo sulla questione e l’ho fatto come vice presidente della Commissione europea e non solo come italiano". Imbrattato striscione in comune vicino a Roma Ignoti, la scorsa notte, hanno imbrattato con la vernice il manifesto dei due militari italiani detenuti in India, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, appeso all’ingresso della sede del Comune di Marino, centro alle porte di Roma. Dura condanna dell’Amministrazione comunale al gesto. Il manifesto sporcato verrà rimosso e sostituito, poi tornerà al suo posto. Sull’episodio indaga la polizia. "Condanniamo il gesto di qualche povero vigliacco - è il commento congiunto del vice sindaco di Marino Fabrizio De Santis e del presidente del Consiglio comunale Stefano Cecchi - un atto odioso che non trova alcuna giustificazione comprensibile, né può essere liquidato come semplice stupidità. Oltraggiare i marò è un’offesa non solo a loro ma a tutti gli italiani. Per questo esprimiamo l’auspicio che questi incivili danneggiamenti non si verifichino mai più. L’obiettivo è chiedere che i marò vengano liberati e giudicati in Italia. Auspichiamo che avvenga questo e non vediamo l’ora che la vicenda si concluda positivamente, perché stiamo vivendo questa situazione con molta apprensione e difficoltà". Stati Uniti: Senatori Pd-Sel-M5S scrivono a Obama chiedendo clemenza per 3 cubani Agi, 28 marzo 2014 "Gentile presidente, ci permettiamo di disturbarla per un’importante vicenda che interroga le nostre coscienze e che attiene al rispetto dei diritti umani". Comincia così la lettera indirizzata a Barack Obama firmata dalla senatrice del Pd Daniela Valentini e sottoscritta anche da un gruppo di parlamentari di Partito democratico, Sel e M5s, tra cui il presidente della commissione Diritti umani Luigi Manconi, e i senatori Amati, Albano, Battista, Broglia, Caleo, De Biasi, Granaiola, Lucherini, Manconi, Mineo, Pezzopane, Pegorer, Sposetti, Stefano, Tocci e Tronti. "Certamente lei sarà informato - si legge nella lettera - che da quindici anni sono nelle carceri americane tre cittadini cubani: Ramòn Labañino, Gerardo Hernandez e Antonio Guerrero. Le questioni per le quali essi sono in carcere risultano controverse, ma a noi preoccupano le loro precarie condizioni di salute. In particolare Ramon Labanino è sulla sedie a rotelle e non riceve cure. Gli danno da mangiare a tutte le ore diverse del giorno per fargli perdere la cognizione del tempo e può ricevere visite solo due volte all’anno". "Presidente, ci rivogliamo a lei perché conoscendo la sua sensibilità speriamo che lei voglia concedere un atto di clemenza, se non di giustizia, ai tre prigionieri cubani. A breve qui in Italia arriverà Mariela Castro, figlie del presidente cubano Raul, per un’audizione in commissione Diritti umani proprio sullo stato di salute dei tre detenuti", scrivono i parlamentari. "Nei prossimi mesi andremo in America per incontrare i democratici americani. La vicenda dei cubani attiene al rispetto dei diritti umani, senza il quale viene meno un sacrosanto principio di civiltà. Speriamo che il presidente Obama - concludono i senatori - ci dia un segnale in tal senso e che i tre cittadini cubani possano tornare al più presto dalle loro famiglie". Stati Uniti: esecuzione in Texas per afroamericano di 29 anni, la quarta da inizio anno Tm News, 28 marzo 2014 Quarta esecuzione in Texas dall’inizio del 2014: un uomo afro-americano di 29 anni, Anthony Doyle, è stato ucciso con un’iniezione letale nel carcere di Huntsville. Era stato condannato a morte nel gennaio 2003 perché giudicato colpevole dell’assassinio, compiuto quando aveva 18 anni, di una donna di 39 anni, che aveva tentato di rapinare. Crimea: 3.000 detenuti, per Russia impossibile trattarli da condannati con leggi ucraine Ansa, 28 marzo 2014 Onori e oneri: prendendosi la Crimea, la Russia si deve accollare anche il destino dei suoi detenuti, oltre 3.000 carcerati che ora si trovano in una situazione kafkiana. Condannati in base a leggi ucraine, si sono ritrovati improvvisamente in un altro Paese dove non hanno commesso reati: ma Kiev non li vuole, né intende sostenere le spese per il loro mantenimento, soprattutto ora in tempi di austerity, e Mosca non sa che fare in questo vuoto giuridico senza precedenti. Il ministero della giustizia russo e il servizio penitenziario, riferisce il quotidiano Novi Izvestia, stanno insistendo per il loro trasferimento in Ucraina, ma Kiev proprio non ci sente. Cosi’ i 3.250 detenuti di Crimea, rinchiusi in due carceri a Kerch e in uno a Sinferopoli, sono diventati i "detenuti di nessuno". Tra loro oltre 600 sono stati condannati per gravi reati. Il consiglio per i diritti umani del Cremlino ha in programma una visita in Crimea per risolvere la situazione. Impossibile processarli una seconda volta. Tra le ipotesi, la scarcerazione anticipata per coloro a cui manca poco da espiare e l’amnistia per i responsabili di reati economici non gravi. Ma con i carcerati più pericolosi, condannati per omicidio o rapina, che fare? Forse, ipotizza il giornale, dovranno essere scomodate la corte suprema e la corte costituzionale russe. Pakistan: condannato a morte per blasfemia, scatenò la rabbia contro cristiani di Lahore Ansa, 28 marzo 2014 In una semplice discussione con un amico musulmano avrebbe "insultato il Profeta Maometto", un insulto che un anno fa scatenò la violenza della folla contro una baraccopoli di cristiani e che oggi al cristiano che lo avrebbe pronunciato è costato una condanna a morte per "blasfemia", pronunciata dall’Alta corte di Lahore, la seconda città del Pakistan. Il Pakistan, Paese di 180 milioni di abitanti il 97% dei quali musulmani con una piccola minoranza cristiana del 2% circa, ha una controversa legge sulla blasfemia che condanna indistintamente, con pene che arrivano a quella capitale, le offese a qualunque religione riconosciuta. Una legge, difesa strenuamente dai fondamentalisti, dal clero e da molti islamici, e che punisce anche una semplice offesa verbale, una semplice opinione espressa in una qualsiasi conversazione. Una legge accusata dai detrattori di essere strumento in mano a chiunque per ricattare qualcun altro o per farsi valere in una disputa. Il protagonista della vicenda, Sawan Masih, abitante della baraccopoli cristiana di Joseph Colony di Lahore, si è difeso in tribunale sostenendo proprio questo: l’amico islamico con cui ha avuto il litigio l’avrebbe messo nei guai per prevalere in una disputa su questioni personali e materiali. Vero o non vero, l’insulto blasfemo nel marzo del 2013 scatenò la furia di circa 3.000 musulmani, che attaccarono Joseph Kolony, dove bruciarono un centinaio di abitazioni, per lo più poverissime baracche. E che ha evidenziato una diffusa suscettibilità religiosa, che il mese scorso - ultimo episodio in ordine di tempo - ha scatenato l’assalto a un tempio induista dove una copia del Corano sarebbe stata oltraggiata, secondo una voce incontrollata che si è rapidamente diffusa. Oggi la sentenza: "Il giudice ha annunciato la sentenza di morte per Sawan Masih. Ma presenteremo appello", ha dichiarato l’avvocato che ha difeso l’uomo, Naeem Shakir. Il verdetto è stato annunciato all’interno del carcere dove Masih è detenuto. Un recente rapporto del governo statunitense afferma che il Pakistan usa la propria legislazione anti-blasfemia più che in qualsiasi altro Paese del mondo. Il risultato è di 14 persone nel braccio della morte - anche se vige ancora dal 2008 una moratoria sulle impiccagioni - e altre 19 condannate all’ergastolo. Israele: ministro Bennett; il rilascio dei prigionieri palestinesi deve essere rinegoziato Nova, 28 marzo 2014 Il rilascio della quarta tranche di prigionieri palestinesi, sulla base degli accordi dello scorso luglio, dovrà essere rinegoziata. Lo ha dichiarato questa mattina in un’intervista a "Radio Israele" Naftali Bennett, ministro dell’Economia israeliano e leader del partito di destra Habayit Hayehudi. "Il rilascio dei prigionieri - ha chiarito Bennett - ha come presupposto la buona fede dei palestinesi nei negoziati di pace ma finora nulla è mai stato offerto in cambio". "L’aver dichiarato che non potranno mai riconoscere Israele come "stato ebraico" - ha aggiunto il ministro dell’Economia - dimostra ancora una volta che non vi è alcuna possibilità di poter giungere ad un accordo". Se gli Stati Uniti desiderano "salvare i negoziati di pace tra israeliani e palestinesi dovrebbero mediare la liberazione della spia Jonathan Pollard, condannato all’ergastolo per aver condotto in territorio statunitense attività di spionaggio per conto di Israele, in cambio della liberazione del leader palestinese Marwan Bargouti, leader palestinese condannato a cinque ergastoli per il suo presunto ruolo in diversi attentati in Israele", ha aggiunto Bennett. Il presidente dell’Autorità nazionale palestinese (Anp), Mahmoud Abbas, aveva già chiesto agli Stati Uniti di mediare per la liberazione di Barghouti nel corso della sua visita a Washington lo scorso 17 marzo. Il leader dell’Anp aveva chiesto anche che Israele liberi il quarto e ultimo gruppo di prigionieri palestinesi ancora nelle sue carceri nella data del 29 marzo. Si tratta del quarto gruppo di 26 prigionieri che Israele si è impegnato a rilasciare in base agli tra Israele e Autorità nazionale palestinese, che prevedono la liberazione di un totale di 104 detenuti palestinesi dalle carceri israeliane entro aprile prossimo. Di questi, 78 prigionieri palestinesi sono stati già rilasciati in tre gruppi nei mesi scorsi. Qatar: uomo condannato a morte per omicidio insegnante inglese Aki, 28 marzo 2014 Un tribunale di Doha ha condannato a morte un uomo qatariota riconosciuto colpevole dell’omicidio lo scorso anno dell’insegnante inglese Lauren Patterson, 24enne al momento di essere uccisa. Lo riferisce una fonte della magistratura qatariota spiegando che il tribunale ha condannato a tre anni di carcere il complice Mohammed Hasan Abdulaziz che avrebbe aiutato l’assassino Badr Khamis Abdullah Hashim a "bruciare il corpo di Lauren Patterson e nascondere le prove" del delitto. I due uomini sono stati arrestati lo scorso ottobre dopo che resti carbonizzati della vittima sono stati trovati vicino a Doha. Patterson, che insegnava in una scuola elementare di Doha, è stata vista l’ultima volta mentre usciva da un night club di un hotel di lusso con due uomini. Svizzera: il carcere di Lugano non riceverà detenuti dagli affollati istituti di Ginevra www.ticinonews.ch, 28 marzo 2014 Norman Gobbi smentisce quanto asserito dal consigliere di Stato ginevrino Pierre Maudet. Alla Stampa non arriveranno detenuti da Ginevra. "Un’ala inutilizzata del penitenziario della Stampa a Lugano è già in fase di ristrutturazione per accogliere detenuti provenienti dalle sovraffollate carceri di Ginevra". È quanto avrebbe detto stamattina il consigliere di Stato ginevrino Pierre Maudet. Le sue dichiarazioni, riprese dalle agenzie di stampa, hanno subito creato un certo allarmismo nel nostro Cantone. Ma come, si chiede il cittadino comune, le nostri carceri sono già piene e vogliamo importare altri detenuti? "Assolutamente no!" dichiara il consigliere di Stato ticinese Norman Gobbi, smentendo il suo omologo ginevrino. "Probabilmente le frasi di Maudet sono state mal interpretate. L’ho già chiamato per spiegargli che avrei dovuto correggere quanto attribuitogli dalla stampa." Il direttore delle Istituzioni spiega che effettivamente quell’ala inutilizzata è stata rimessa a nuovo, con lavori iniziati nel 2012 e conclusi negli scorsi giorni. All’epoca in cui venne decisa la ristrutturazione si pensava di destinare questi nuovi posti ai criminali stranieri in attesa di espulsione, una categoria che stava assumendo dimensioni sempre più preoccupanti. Ora questa emergenza è in parte rientrata. Ma ciò non significa che ci siano spazi in abbondanza, anzi. Gobbi precisa come al momento vi siano solo due posti liberi al penitenziario cantonale, con un’occupazione che sfiora il 100%. Per cui una volta che questa nuova ala sarà ultimata, i nuovi spazi ricavati verranno utilizzati per i detenuti ticinesi. Il concetto è chiaro e il direttore delle Istituzioni lo ribadisce: "È escluso che alla Stampa arrivino detenuti da altri Cantoni".