Giustizia: emergenza carceri, Consiglio d’Europa soddisfatto per l’impegno del governo di Donatella Stasio Il Sole 24 Ore, 26 marzo 2014 Forte dell’apprezzamento già incassato il 5 e 6 novembre scorso dall’ex guardasigilli Annamaria Cancellieri per le misure approvate e annunciate contro il sovraffollamento carcerario, ieri il ministro della Giustizia Andrea Orlando ha portato a casa la "soddisfazione del Consiglio d’Europa per l’impegno del governo" nonché l’incoraggiamento ad andare avanti. Ben vengano "continui contatti" con le autorità europee in vista della scadenza del 28 maggio. Il segretario generale del Consiglio d’Europa, Thorbjorn Jagland, si è anche detto disponibile a "dare consigli" all’Italia per evitare il rischio di un vero e proprio salasso, ovvero risarcimenti tra i 50 e i 100 milioni di euro l’anno ai detenuti vittime di una detenzione inumana e degradante. La fama negativa dell’Italia sul fronte delle patrie galere è tale che l’Inghilterra ha bloccato l’estradizione di un condannato, mettendoci nella lista degli "Stati canaglia" per la condizione delle carceri. La Cancellieri, a novembre, annunciò anche "un rimedio compensativo per quanti hanno sofferto la violazione già verificatasi", e ciò per evitare la paralisi della Corte, già sommersa da migliaia di ricorsi (circa 3.000). Si pensava a un decreto legge per introdurre, come "compensazione straordinaria" del danno subito, uno sconto di pena commisurato al periodo di detenzione "illegale", oppure a un procedimento interno per quantificare il risarcimento del danno. I ricorsi si sarebbero trasferiti da Strasburgo all’Italia, con la speranza che altri non se ne aggiungessero grazie alle misure strutturali nel frattempo approvate. La situazione politica, però, sconsigliò quell’intervento. Orlando esclude che se ne sia parlato nei colloqui con Jagland e con il presidente della Corte Dean Spielman, dominati dai risultati concreti ottenuti finora: a novembre 2013 i detenuti erano 64.564 (69mila nel 2010, prima condanna dell’Italia) mentre oggi sono scesi a 60.800. La custodia cautelare è scesa di 10 punti e i posti regolamentari sono saliti a 48.400. "La forbice tra detenuti e posti disponibili si è dimezzata, passando da 20mila a 10mila grazie al minor numero di presenze, e con le misure all’esame del Parlamento il gap si può ulteriormente ridurre" ha detto Orlando, riferendosi alla custodia cautelare e al recepimento della sentenza della Consulta sulle droghe, che "possono produrre un ulteriore saldo positivo". Senza contare il "rimpatrio dei detenuti stranieri nel rispetto delle convenzioni internazionali" e "l’individuazione di forme di pena alternative per alcune categorie di detenuti". In questo quadro, l’indulto (che la Cancellieri non ha mai smesso di considerare necessario) per Orlando sarebbe inutile, se non "un fallimento". I problema del sovraffollamento non può risolversi con i risarcimenti pecuniari poiché il rispetto della dignità non è monetizzabile. Ma è un problema reale che non può essere eluso, tanto più alla vigilia del semestre europeo. "Nessuna rimozione" assicura Orlando, che però vuole affrontarlo "a valle degli interventi strutturali in atto". Perciò tra un mese tornerà a Strasburgo e farà il punto. Giustizia: Orlando; una trattativa molto difficile... ma ce la dobbiamo fare di Eleonora Martini Il Manifesto, 26 marzo 2014 "Trattativa molto difficile" per il Guardasigilli Andrea Orlando che ieri ha incontrato i vertici del Consiglio d’Europa e della Corte europea dei diritti umani per discutere i provvedimenti da adottare per contrastare il sovraffollamento carcerario. "L’Italia rischia di pagare tra i 50 e i 100 milioni di euro l’anno di risarcimenti ai detenuti". Ma Orlando esclude l’amnistia: "Sarebbe un fallimento". Nemmeno Maga Magò riuscirebbe a risolvere i problemi carcerari italiani entro maggio, ma forse per quella data saremo riusciti a dare un segnale di inversione di tendenza". Sono passati cinque mesi da quando la precedente ministra di Giustizia, Anna Maria Cancellieri, pronunciava queste parole riconoscendo come sbagliati ì dati del Dap sulla popolazione carceraria. "I posti letto regolamentari nei 206 istituti di pena italiani sono circa 37 mila e non 47.615", spiegava la Guardasigilli individuando nella "vetustà delle strutture" la causa della "discrepanza tra i dati ufficiali e quelli reali". Era l’ottobre 2013 e allora, con 63.758 detenuti, il tasso di sovraffollamento aveva raggiunto il 175% e non dunque il 136% come ufficialmente comunicato dall’amministrazione penitenziaria. Ieri però il titolare del dicastero di Giustizia, Andrea Orlando, a Strasburgo, dove è andato per discutere le riforme "strutturali" del sistema penitenziario che il Consiglio d’Europa ha chiesto all’Italia entro il 27 maggio, ha annunciato che per quella data "la forbice tra numero detenuti e posti disponibili sarà almeno dimezzata, passando da 20 mila a 10 mila" rispetto al gennaio 2013, quando i carcerati erano 67 mila e, con la sentenza Torreggiani, la Corte europea dei diritti umani condannò praticamente l’Italia a risarcire ogni detenuto che non disponga in cella di uno spazio vitale minimo di 4 metti quadri. "E con le misure all’esame del Parlamento - ha aggiunto Orlando - il gap si può ulteriormente ridurre". "Sono dati reali", assicurano fonti ministeriali al manifesto, mentre da più parti - a cominciare da Rita Bernardini, segretaria dei Radicali italiani - si chiede al Guardasigilli di non riesumare i dati ufficiali del Dap. D’altronde la missione europea del Guardasigilli è molto delicata perché, come egli stesso ha detto prima di lasciare Strasburgo dove dovrà tornare tra un mese - e dove ieri ha incontrato il segretario generale del Consiglio d’Europa Thorbjom Jagland, il presidente della Cedu Dean Spielmann e il commissario per i diritti umani Nils Muiznieks - se non si affronta ili modo strutturale il problema carceri, anche da un punto di vista di qualità della vita detentiva, e quello della durata dei processi, le "ricadute sul nostro sistema e anche sul nostro bilancio rischiano di essere drammatiche: l’Italia rischia di dover risarcire tra i 50 e i 100 milioni di euro l’anno". Per questo lo staff ministeriale sta lavorando senza sosta al problema del sovraffollamento, e su vari fronti: sul piano normativo, con particolari aspettative sulla liberazione anticipata contenuta nel decreto Cancellieri che "da dicembre ha liberato 400/500 detenuti al mese" (secondo i dati di Antigone), e che presto andrà a regime; sul piano amministrativo, "dove - ha spiegato ieri Orlando - in queste settimane abbiamo prodotto una forte accelerazione nella ripresa dei rapporti con altri Paesi per il rimpatrio di detenuti provenienti dall’estero, e in proposito a inizio di aprile sigleremo un accordo con il Marocco, uno dei paesi che ha una significativa popolazione carceraria in Italia"; e infine rafforzando gli accordi con gli enti locali "sulle pene alternative e le forme di detenzione in comunità per i detenuti tossicodipendenti". Ma la cosa, a cui tiene di più Orlando è ridurre la portata delle indiscrezioni di stampa spiegando che da parte governativa "non c’è nessuna volontà di risolvere un problema complesso come quello del sovraffollamento con risarcimenti pecuniari: non intendiamo proporre baratti tra condizioni disumane di detenzione e denaro". E se è vero che le condizioni di vita detentive non dipendono soltanto dai metri quadri a disposizione nelle celle (che dovrebbero essere adibite al solo riposo), il problema dei posti disponibili è comunque urgente. Secondo il ministero, nell’ultimo anno sono stati riportati alla disponibilità almeno 7-8 mila posti e, spiegano a Via Arenula, se il piano di lavori di ristrutturazione non subirà intoppi, entro maggio si potrebbe arrivare a circa 48/50 mila letti. Quindi, considerando che si potrebbe scendere di molto ancora sotto la soglia degli attuali 60.800 detenuti, il gap da colmare - che oggi, secondo questi calcoli, sarebbe di circa 16 mila unità - si ridurrebbe ancora ulteriormente. Ecco perché per Orlando ricorrere ad amnistia e indulto sarebbe "un fallimento". "Sono per non escludere niente perché stiamo facendo una trattativa molto difficile", ha precisato il Guardasigilli, ma "a oggi mi sento di dire che non saranno necessari provvedimenti eccezionali". Orlando: scadenza Strasburgo? Ce la dobbiamo fare "Ce la dobbiamo fare, non farcela vorrebbe dire che non riusciamo ad affrontare un elemento che è tratto di civiltà o di inciviltà di un Paese". Così il guardasigilli Andrea Orlando, intervistato a Radio1, ribadisce il suo impegno per rispettare la scadenza che l’Europa ha dato all’Italia - fissata per il 28 maggio prossimo - per porre rimedio alla emergenza del sovraffollamento carcerario. Il ministro della Giustizia ha sottolineato che "dobbiamo farcela anche per l’immagine del nostro Paese, alla vigilia del semestre europeo: una condanna sarebbe un tratto poco edificante". Orlando ha ribadito che il problema delle carceri è stato "il mio impegno principale da quando ho assunto l’incarico, come lo è stato per il mio predecessore". Quanto alle notizie apparse sulla stampa di progetti riguardanti sconti di pena o indennizzi per i detenuti, il ministro ha ribadito che "il tema della monetizzazione non è il modo con cui affrontare la questione: vogliamo risolvere il problema strutturale". Quindi, uno dei punti su cui si lavora è la costruzione di nuovi penitenziari, o della ristrutturazione di edifici già esistenti: "Il tempo, però, per fare questo è medio-lungo, noi dobbiamo dare risposte in tempi rapidi". Una "strada maestra", secondo Orlando è fare ricorso maggiore alle misure alternative: "Ci deve essere una crescita - ha detto il guardasigilli - bisogna utilizzare di più anche le convenzioni per il lavoro fuori dal carcere. Non basta uno spazio superiore ai 3 metri quadrati per un detenuto, servono anche attività all’interno delle carceri, processi di reinserimento, qualità della sanità in carcere. Un carcere che funziona - ha concluso il ministro - produce meno recidiva". Giustizia: Orlando; rischiamo 100 mln l’anno risarcimenti. No indulto, sarebbe fallimento Agi, 26 marzo 2014 L’Italia rischia di dover risarcire "tra i 50 e i 100 milioni di euro l’anno" ai detenuti soggetti a condizioni irrispettose della loro dignità, in caso di mancata soluzione al problema del sovraffollamento delle carceri. Lo ha detto oggi il ministro per la giustizia, Andrea Orlando, dopo una serie di incontri con le autorità del Consiglio d’Europa e della Corte europea dei diritti dell’uomo a Strasburgo. L’Italia deve adeguarsi ad una sentenza della Corte di Strasburgo entro il 27 maggio. Per questo il ministro ha discusso oggi una serie di misure strutturali per far fronte al problema delle carceri, "pena una serie di ricadute sul nostro sistema e anche sul nostro bilancio che rischiano di essere drammatiche," ha sottolineato Orlando. Il ministro ha tuttavia sottolineato che l’Italia sta discutendo con la Corte forme alternative per rimediare alle situazioni illegali, anche attraverso trattamenti differenziati per i detenuti soggetti a condizioni illegittime, e quindi nella condizione di presentare ricorsi, o con ricorsi pendenti. In particolare, Orlando ha precisato che "la via pecuniaria non può essere considerata quella principale perché riteniamo che nella gran parte dei casi il tipo di risarcimento che lo Stato deve dare, debba essere quanto più possibile finalizzato a un modo diverso di eseguire la pena residuale." In questa prospettiva il ministro ha escluso che l’Italia stia conducendo una trattativa per rimediare alle situazioni di illegalità in cambio di pagamenti, una sorta di "baratto" nelle parole del ministro, che è apparso su alcuni articoli di stampa ma che il ministro nega "in modo categorico". Privilegio a rimedi strutturali "Mi sento quindi di smentire ricostruzioni secondo le quali il cuore della nostra proposta sarebbe costituito da risarcimenti pecuniari ai detenuti per due diverse ragioni: perché intendiamo privilegiare rimedi strutturali e perché una decisione in proposito sarà assunta a valle delle informazioni che riceveremo e delle valutazioni che ci saranno espresse in ordine alla qualità e alla quantità del contenzioso presente alla Corte di Strasburgo: a tale proposito proporremmo a breve un ulteriore passaggio per affrontare specificamente questo tema". Lo ha spiegato il ministro della Giustizia Andrea Orlando a Strasburgo. "Non sto rimuovendo il problema dei risarcimenti - ha detto Orlando - ma vogliamo che si apprezzi e si dia una valutazione sugli interventi strutturali che stiamo facendo e vogliamo che si enuclei l’aspetto dei risarcimenti e lo si affronti a valle di quello degli interventi strutturali. Siamo consapevoli del fatto che non affrontare questo tema significa esporsi sicuramente a forme di condanna di risarcimento da parte della Corte, ma contemporaneamente credo si debbano approfondire anche le modalità con le quali deve avvenire questo risarcimento, che non necessariamente deve essere in forma pecuniaria". "Oggi - ha detto Orlando - illustreremo l’insieme dei provvedimenti assunti e quelli in itinere che consentiranno al sistema penitenziario italiano di affrontare in modo strutturale il problema del sovraffollamento. Si tratta di provvedimenti che agiscono su vari fronti: sul piano normativo, dove ci sono leggi che iniziano a produrre già alcuni effetti di cui forniremo i dati, e leggi in itinere che possono ulteriormente migliorare queste cifre; sul piano amministrativo, dove in queste settimane abbiamo prodotto una forte accelerazione nella ripresa dei rapporti con altri Paesi per il rimpatrio di detenuti provenienti dall’estero, e in proposito a inizio di aprile sigleremo un accordo con il Marocco, uno dei paesi che ha una significativa popolazione carceraria in Italia; e poi provvedimenti per un rafforzare gli accordi con gli enti locali sulle pene alternative e forme di detenzione in comunità dei detenuti tossicodipendenti". "Sulla base di queste misure strutturali - ha concluso Orlando - cercheremo di capire nel dettaglio quali sono le indicazioni che vengono da Strasburgo per quanto attiene alla parte rimediale del problema alla luce del cospicuo contenzioso che si è generato in questa sede". Dimezzati numeri sovraffollamento In Italia ci sono al momento circa 10.000 detenuti in sovraffollamento, secondo le stime fornite dal ministro della giustizia Andrea Orlando, che ha parlato di dimezzamento delle cifre di circa 20.000 detenuti in sovraffollamento registrati dalla sentenza della Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo, che nel gennaio 2013 ha condannato l’Italia per violazione dei diritti dei detenuti. "Avevamo una forbice di quasi 20.000, che attualmente è dimezzata. Con i provvedimenti che il Parlamento ha già all’esame, il gap si può ulteriormente ridurre," ha detto il ministro durante una conferenza stampa a Strasburgo con il segretario generale del Consiglio d’Europa, Thorbjorn Jagland. I provvedimenti a cui il ministro ha fatto riferimento sono "la riforma della custodia cautelare" e "il recepimento della sentenza della Corte costituzionale sulla questione delle droghe". "Entrambi possono produrre un ulteriore saldo positivo", ha detto ancora Orlando. Il 27 maggio scadono i termini per l’applicazione da parte dell’Italia della sentenza della Corte dei diritti dell’uomo per la violazione dei diritti dei detenuti, che potrebbe generare risarcimenti di vari milioni di euro. Il ministro ha inoltre aggiunto che, accanto alle misure attualmente al vaglio del Parlamento per ridurre il sovraffollamento carcerario, ci sono anche altre misure di carattere amministrativo allo studio del governo, e in particolare "il rimpatrio dei detenuti stranieri" nel rispetto delle convenzioni internazionali, e "l’individuazione di forme di pena alternative per alcune categorie di detenuti". Alla domanda se il governo possa eventualmente ricorrere ad amnistia o indulto per far fronte all’emergenza, Orlando ha risposto: "A oggi mi sento di dire che non saranno necessari provvedimenti eccezionali. Mi sento di dire che da qui a maggio ci sono le condizioni per affrontare (la questione) in via ordinaria e determinare un equilibrio nel sistema oltre maggio, se tutte le cose che stiamo facendo vanno a buon fine," ha detto il ministro, aggiungendo che sarebbe "un fallimento" se si dovesse ricorrere a misure eccezionali. Indulto sarebbe fallimento "A oggi mi sento di dire che non saranno necessari provvedimenti eccezionali" quali amnistia e indulto: sarebbero "un fallimento". Ma "sono per non escludere niente perché stiamo facendo una trattativa molto difficile per verificare se i trend di questo periodo proseguiranno e ci porteranno a una soluzione condivisa". Così il ministro della giustizia Orlando dopo l’incontro con i vertici della Corte europea dei diritti umani. Giustizia: Jagland (Consiglio d’Europa); spero che l’Italia sia in regola entro il 27 maggio Agi, 26 marzo 2014 "Spero che il termine possa essere rispettato". Così il segretario generale del Consiglio d’Europa, Thorbjorn Jagland, ha risposto a chi chiedeva se ritiene che l’Italia possa applicare correttamente la sentenza della Corte dei diritti dell’uomo sul sovraffollamento delle carceri e la violazione dei diritti dei detenuti entro il termine del 27 maggio, fissato dalla Corte stessa. Jagland ha parlato ai giornalisti in una conferenza stampa congiunta con il ministro della Giustizia Andrea Orlando, col quale ha discusso oggi in un incontro bilaterale a Strasburgo dei problemi della giustizia italiana, incluso il sovraffollamento delle carceri e la lunghezza dei processi. Jagland ha descritto l’incontro come "molto positivo" e ha sottolineato che per risolvere le questioni pendenti è stato deciso "un nuovo metodo di cooperazione tra Consiglio d’Europa e Governo italiano" che prevede "contatti continui" tra le due istituzioni, e la possibilità "di dare consigli" da parte del Consiglio d’Europa. Giustizia: Bernardini (Ri); basta fandonie, fuori i dati veri sui posti disponibili in carcere! www.radicali.it, 26 marzo 2014 La Segretaria Nazionale di Radicali italiani, giunta oggi al 26° giorno di sciopero della fame, ha rilasciato la seguente dichiarazione: "Non sappiamo quali dati stia fornendo il Ministro della Giustizia Andrea Orlando a Strasburgo e a Bruxelles. Dispone sicuramente di quelli riguardanti i posti effettivamente agibili nei 206 istituti penitenziari italiani che non sono 49.000, come riportato sul sito del Ministero della Giustizia, ma molte migliaia di meno perché ai 49.000 occorre sottrarre le sezioni inagibili, quelle in ristrutturazione, e quelle non utilizzate per carenza di personale. La Ministra Cancellieri, con la sua onestà intellettuale, lo aveva del resto detto con chiarezza convenendo con quanto denunciato da noi radicali e dall’Associazione Antigone. Al Dap il quadro lo hanno chiarissimo, istituto per istituto. È ora che anche i cittadini italiani conoscano le cifre "vere" che - ce lo auguriamo - il Ministro Orlando riferirà anche in Europa. Il le chiedo ufficialmente. Mi auguro anche che il Ministro della Giustizia ritiri definitivamente l’ipotesi circolata dei ridicoli "risarcimenti pecuniari" di 10 o 20 euro: una sorta di "prezzo della tortura" che lo Stato sarebbe disposto a pagare per i trattamenti inumani e degradanti che subiscono i nostri detenuti. Così come - è questo il nostro auspicio di radicali - il Governo dovrebbe finirla con il concentrarsi sui 3 metri quadri che dovrebbero essere a disposizione del detenuto, perché la Corte Europea ha detto con chiarezza che anche in caso di superficie superiore, occorre considerare altri parametri, quali la possibilità di utilizzare i servizi igienici privatamente, l’areazione disponibile, l’accesso alla luce naturale e all’aria aperta, la qualità del riscaldamento e il rispetto delle esigenze sanitarie. Inoltre, ricordo che la Corte di Cassazione con sentenza n. 5728/2014 ha stabilito che nel calcolo dei metri quadrati di cui un detenuto deve legalmente disporre va detratto l’ingombro del mobilio: tavoli, sgabelli, armadietti, letti. Infine, sorprende la sottovalutazione del Governo riguardo l’irragionevole durata dei processi civili e penali per la quale da trent’anni l’Italia subisce condanne dalla Corte Edu. Se solo si considera la parte penale - che registra oltre 5 milioni di procedimenti pendenti - l’aumento è costante (nel 2013 +1,8%) e i processi sopravvenuti sono solo parzialmente compensati dalle prescrizioni che in modo letteralmente illegale ormai vengono decise a tavolino dalle procure. Con il Satyagraha di circa mille "resistenti", con la nostra nonviolenza vogliamo stare dalla parte di quanto affermato nel suo Messaggio alle Camere dal Supremo Garante della Costituzione, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Il mio sciopero della fame giunge oggi al 26° giorno mentre al 28 maggio mancano solo 64 giorni: mi sento meglio (veramente) ad essere così, assieme ai miei compagni, più vicina agli ultimi piuttosto che dalla parte di uno Stato che fa dell’illegalità strutturale il suo modo di operare costante. Salatto (Ppe): Orlando si vergogni, vuole comprare dignità umana "Immaginare, come fa il Guardasigilli Orlando, di evitare le sanzioni europee per le condizioni nelle quali versano le carceri italiane offrendo una manciata di euro ai detenuti che vivono in una condizione non umana, è semplicemente vergognoso". Lo dichiara in una nota l’eurodeputato del Ppe Potito Salatto, vicepresidente della delegazione Popolari per l’Europa al Parlamento europeo. "Questa idea di voler comprare la dignità umana offesa - aggiunge Salatto - è fuori da ogni principio moderno di civiltà. Mi auguro che tale proposta venga ritenuta irricevibile da parte dell’Ue e che il Governo italiano si adoperi invece per ridurre il sovraffollamento con iniziative legislative adeguate". Mazziotti (Sc): no amnistia senza dati chiari "Importante la notizia data dal ministro Orlando della riduzione da ventimila a diecimila dei detenuti fuori legge rispetto alla capienza delle nostre carceri. È un dato che potrebbe ulteriormente migliorare per effetto delle misure attualmente all’esame del Parlamento e della sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato incostituzionale la Fini-Giovanardi. Su questi effetti il Governo si è impegnato a presentare dati precisi al Parlamento entro aprile". Lo afferma in una nota Andrea Mazziotti, responsabile giustizia di Scelta Civica. "Fino alla presentazione di dati definitivi, non si può e non si deve parlare di amnistia, tanto meno per reati che provocano allarme sociale. Si corre il rischio di adottare misure di clemenza più ampie del necessario e di mettere fuori criminali inutilmente - aggiunge. Questo non significa, prosegue Mazziotti, che io sia pregiudizialmente contrario all’amnistia o all’indulto. Se ne può parlare, ma solo nella misura strettamente necessaria per rispettare le norme internazionali e solo con riguardo a reati particolarmente lievi. Proprio per questo, è importante che i dati che il Ministro porterà al Parlamento includano anche delle simulazioni sugli effetti di eventuali provvedimenti di clemenza, graduati a seconda dei reati e delle pene coperti. Solo così sarà possibile adottare una decisione informata". M5S: la marcia forzata dello svuota carceri "Lo svuota carceri è diventato una campagna stampa, uno spot pubblicitario. Il ministro Orlando campeggia sui giornali con lo spauracchio di rimborsi milionari da dare ai carcerati. L’unica soluzione che propone è l’indulto mascherato!". Così i deputati del M5S della Commissione Giustizia. "In questi giorni, assistiamo ad un susseguirsi di articoli sulla stampa che, agitando lo spauracchio dei rimborsi ai detenuti, vede il Ministro Orlando proseguire nella marcia forzata dell’indulto mascherato, questa volta con la scusante di evitare esborsi onerosi per lo Stato Italiano". I portavoce alla Camera della Commissione Giustizia del M5S hanno proposto da molto tempo le soluzioni concrete, praticabili e a costo zero per affrontare il problema del sovraffollamento delle carceri italiane. Invece il Governo, pur di aprire le porte della detenzione indiscriminatamente a tutti, fa leva sul fattore economico che ci impone l’Europa. "Il ministro Orlando ha cominciato la sua campagna di primavera per ottenere quanto richiesto dal presidente Napolitano. Ogni scusa è buona: ora tocca ai possibili danni economici dovuti a scelte politiche che loro stessi hanno attuato e appoggiato nel corso di vent’anni". Iacolino (Fi): riforma delle carceri è indispensabile La commissione per le Libertà civili, la giustizia e gli affari interni (Libe) del Parlamento europeo accende i riflettori sul "sistema giustizia" in Italia. Da domani a venerdì è stata programmata una missione nei penitenziari di Roma (Rebibbia) e Napoli (Poggioreale), oltre ad una serie d’incontri con rappresentanti istituzionali e associazioni che operano nel settore. "Il sovraffollamento nelle carceri - spiega l’eurodeputato di Forza Italia Salvatore Iacolino, vicepresidente della commissione Libe, che farà parte della delegazione - sarà solo uno dei tanti aspetti che verranno valutati dalla delegazione impegnata in Italia. Le sanzioni inflitte dalla Corte di Giustizia europea, che ha ripetutamente condannato il nostro Paese, impongono al governo Renzi scelte chiare e tempestive. Il numero dei detenuti in attesa di sentenza di primo grado è troppo elevato: circa il 44%. Non si può privare un individuo della libertà e, al tempo stesso, non garantirgli il diritto ad un processo che venga celebrato in tempi brevi. Nei confronti del detenuto che invece è stato condannato, il sistema penitenziario si deve impegnare nella rieducazione, fornendo strumenti utili per il reinserimento nella società una volta uscito dal carcere". "In Italia - conclude Iacolino - non è più rinviabile una riforma della giustizia, sia penale che civile, che possa eliminare storture e iniquità. Dal canto suo, Forza Italia porterà avanti al Parlamento europeo un pacchetto di norme sulla giustizia in grado di incidere positivamente sulla crescita. L’economia infatti si alimenta di fiducia e il mercato globale impone il rafforzamento della governance economica nel nostro Paese, basti pensare alla necessità di velocizzare la giustizia civile, anche per attrarre nuovi investitori internazionali". Giustizia: così il ministro Orlando cerca di raggirare l’Ue con numeri e idee strampalate di Massimo Melani www.totalita.it, 26 marzo 2014 Alcuni giornali hanno trattato l’argomento carceri, con riferimento l’ingegnoso piano studiato dal ministro della Giustizia Andrea Orlando, col fine di esorcizzare le salatissime sanzioni europee che da anni pendono sulle nostre teste per chi, come il nostro Paese, considera i detenuti vera e propria spazzatura da eliminare e li tratta in maniera atroce, a livello di tortura, scontrandosi pertanto con le delibere comunitarie riguardo al trattamento umanitario dei carcerati. Ormai in Italia, lo abbiamo detto varie volte, siamo arrivati a identificare la legge con la galera, non ci sono mezzi termini; se rubi una macchinina al supermercato del valore di 2€, e magari è stato tuo figlio di tre anni, rischi di essere rinchiuso in gattabuia; se ammazzi e sei un serial killer, dopo qualche anno di buona condotta ti danno il permesso premio per uscire, così ne approfitti ed evadi. Reati minimi uguale a reati enormi… e l’alternativa è una e una sola: dividersi una cella di 16,20 mq con altri 5 detenuti… se ti va bene! La giustizia italica è stata trasformata in una delle peggiori al mondo, e così è facile dare una spiegazione al sovraffollamento delle carceri, dove esseri umani vengono "abituati" a una vita disumana, paragonabile agli schiavi catturati dai romani durante il Sacro Romano Impero. L’Europa tutta per questo nostro folle e criminale comportamento è da anni che ci controlla e non riesce a capire perché ancora non abbiamo posto fine a questo massacro. Il carcerato non è sporcizia assoluta e come tutti anch’egli ha diritto alla compassione; magari escludendo tra questi gli assassini, gli stupratori, i serial killer... Non è consentito torturarlo, non è permesso che arrivi al suicidio, o muoia di tumore in galera perché un giudice qualunque gli nega le cure dovute e rilascia permessi a un duplice omicida. L’Europa con noi, a parte le carceri, non è mai troppo benevola, ma in questo specifico caso ha tutte le ragioni possibili dalla sua. Nessun Paese dell’UE si accanisce così barbaramente con i galeotti, e sta a noi dimostrare una volta per tutti che non siamo dei torturatori senza pietà, ma sappiamo essere anche umani e civili. Il Ministro Orlando, ha escogitato una strategia, per uscire da questo pantano, che definirei da tipico italiota. Per risolvere il problema della galere, ha pensato bene di "donare" uno sconto di pena del 20 per cento a tutte quelle persone che stanno subendo un’umiliazione vergognosa, vivendo in una cella forse insufficiente anche per un piccolo animale… Ma non finiscono qui i gesti di estrema maturità intellettiva e slancio misericordioso dell’Orlando Generoso, perché ha ideato di versare 10 o 20 € al giorno, quale risarcimento, ai detenuti brutalizzati quotidianamente. Con tali espedienti, a dir poco insensati, Orlando spera di passarla liscia. Voglio vedere le facce che faranno i dirigenti di Strasburgo davanti a simili idiozie. Cavolo, sono costretto a soggiornare in uno dei Grandi Hotel Carceri d’Italia, in 2,5 mq, magari innocente, e trovi come soluzione darmi 10 o 20 € al dì? Ciò dimostra totale disinteresse per questo annoso problema che ci annovera tra gli ultimi posti, a livello internazionale, in quanto a regolamentazione carceraria. Tanto sappiamo già come andrà a finire: dopo le strampalate proposte dell’Orlando annebbiato, i dirigenti Ue si guarderanno e rideranno a crepapelle e, questa volta, a ragion veduta. Giustizia: malati gravi lasciati morire in carcere. Alle famiglie: "è tutto sotto controllo" di Antonio Crispino Corriere della Sera, 26 marzo 2014 Avevano tumori, leucemie, distrofie muscolari, ulcere sanguinanti, anoressia... Morti in attesa di una cura o di poter fare ulteriori accertamenti. Mesi trascorsi chiedendosi l’origine di quei malori o sperando di iniziare la chemioterapia per fermare l’avanzata di un tumore. Giorni passati nell’impossibilità di fare qualcosa sapendo che quotidianamente la malattia ti consuma. Una vita legata al "sì" dei medici del carcere o del magistrato di sorveglianza che in alcuni casi non arriverà mai. O arriverà, beffardo, a morte ormai sopraggiunta. Ai parenti sempre una sola risposta: "È tutto sotto controllo, il paziente è curato e monitorato. Niente di preoccupante". Le persone che intervistiamo non si conoscono tra loro ma impressiona la nenia che, da nord a sud, si sentono ripetere indistintamente: "È attentamente monitorato, le condizioni sono stabili". A un certo punto sembra di avere di fronte il centralino automatico di un’azienda telefonica. Aldo Tavola Alla moglie di Aldo Tavola lo ripetono finanche dopo la morte del marito. Ricevuta la notizia del decesso, la donna chiama in carcere e chiede del congiunto. "Signora sta bene, ci stanno pensando i medici, è tutto sotto controllo". Il marito era morto già da qualche ora. Secondo la Procura della Repubblica, invece, i medici stavano pensando ad altro: a falsificare gli esami gastroscopici che appena il giorno prima del decesso avevano evidenziato una grave ulcera sanguinante. Il Gup del tribunale di Cosenza rinvia a giudizio per omicidio colposo sei medici appartenenti al servizio sanitario penitenziario e all’azienda ospedaliera di Cosenza. "Omettevano di disporre i necessari esami diagnostici... ma ancor più grave, non valutavano la patologia riscontrata". Queste, le motivazioni. È più esplicito l’avvocato difensore dei Tavola, Marco Bianco: "Quando il consulente della Procura acquisisce la documentazione medica presso l’ospedale trova degli esami cambiati. Qualcuno è entrato nel sistema informatico e ha cercato di falsificare i dati clinici per giustificare quel "...non c’è nessuna patologia di rilievo". Alfredo Liotta Alfredo Liotta muore di fame e di sete, letteralmente. Nelle foto dell’autopsia non si riesce a distinguere dove sia lo stomaco. Si vedono le costole incollate alla pelle e poi il vuoto. Ha le parti intime avvolte in una busta di cellophane. Lì dentro faceva i suoi bisogni. Non riusciva a mangiare e a bere. La storia è simile alle altre. La Corte di Assise di Appello di Catania nomina uno psichiatra per capire se effettivamente sta male. I parenti avevano segnalato un dimagrimento di quaranta chili. Nella relazione inviata al magistrato, il dottore scrive: "Il comportamento e l’atteggiamento del soggetto apparivano nel complesso artefatti e quasi teatrali". Verrà considerato un simulatore con l’obiettivo di uscire dal carcere e per questo mai trasferito in un ospedale. Muore un mese dopo la perizia. Aveva una grave sindrome anoressica. A dicembre 2013 dieci persone (tra direttore del carcere, medici, assistenti carcerari, educatori e lo psicologo autore della perizia) sono stati iscritti nel registro degli indagati. "È già un grande risultato se si pensa che tutto stava procedendo rapidamente verso l’oblio" commenta l’avvocato Simona Filippi dell’Associazione Antigone che segue il caso. Antonino Vadalà Al figlio di Antonino Vadalà, anch’egli detenuto, viene negato il permesso di vedere il padre. "Non è in pericolo di vita, non ci sono i presupposti per concedere questo permesso" risponde la Giustizia. Vadalà muore dopo pochi giorni. Gli ultimi due mesi di vita li passa a sperare che qualcuno gli consenta di fare radioterapia. Ad Agosto del 2013, in seguito a un malore in carcere, gli viene diagnosticato un tumore vicino al cervelletto. I parenti chiedono il trasferimento in una struttura ospedaliera idonea a curare questo tipo di carcinoma. Il magistrato rigetta l’istanza e dispone il rientro nel carcere di Melfi. Secondo il togato può essere curato in un altro istituto. Solo con il peggiorare delle condizioni di salute il magistrato si rende conto che la struttura indicata è inadeguata. Dispone il trasferimento nel carcere di Secondigliano. Qualche giorno dopo, da Secondigliano passa all’ospedale Cardarelli di Napoli, poi in rianimazione, poi all’ospedale Pellegrini, poi di nuovo in rianimazione. Poi muore. Senza fare un solo giorno di radioterapia. Il magistrato di sorveglianza si deciderà a concedergli il rinvio provvisorio della pena solo tredici giorni prima di morire. Domenico Striano "Questo accade perché il giudice oltre ad applicare la legge pensa alle conseguenze sociali della sua decisione - denuncia Bruno Botti dell’Unione Camere Penali. Lei si immagina cosa succederebbe se il detenuto a cui ha concesso la sospensione o una pena alternativa commettesse un altro reato? Questo giudice verrebbe crocifisso dall’opinione pubblica". Come dire: se muore un detenuto non se ne accorge nessuno, l’opinione pubblica è più importante. Sarà stata paura di trasferire in ospedale un presunto affiliato al clan Fabbrocino, fatto sta che a Domenico Striano vengono rigettate tutte le istanze di scarcerazione. Tranne una. Dieci giorni prima di morire, quando ormai era in edema polmonare, gastrite sanguinante, epatite cronica, diabete mellito e dopo aver subito un trapiantato di fegato. Il suo peso era triplicato. "Aveva le mani come un pallone, i liquidi fuoriuscivano dalla pelle" ricorda la sorella Elena, la quale gli aveva donato il suo rene. L’ultima perizia che lo ritiene "compatibile con il regime carcerario" è datata 7 giugno. Morirà il 16 luglio dello stesso anno. Antonino Mazzeo "Rilevato che il detenuto è stato trasferito presso un istituto penitenziario dotato di centro diagnostico-clinico adeguato alle indicazioni terapeutiche prescritte... si rigetta l’istanza". Nonostante il rigetto dell’istanza per sostituire la custodia cautelare in carcere con altra misura meno afflittiva, i difensori di Antonino Mazzeo, detenuto a Siracusa, sono contenti. Erano mesi che chiedevano, in alternativa, il trasferimento del loro assistito in un centro attrezzato per curare la distrofia muscolare fascio-scapolo-omerale di cui è affetto. Tre giorni dopo la comunicazione del giudice scoprono che Antonino Mazzeo dal carcere di Siracusa non si è mai mosso e che non è stato trasferito in nessun centro diagnostico. Cosa che avverrà solo una settimana più tardi, dopo che i legali faranno notare questo falso clamoroso. Tuttavia non viene condotto in un centro clinico, bensì a Secondigliano, carcere che da subito si dichiara incompetente per la patologia di Mazzeo. A distanza di quattro mesi dal provvedimento con cui si permetteva al detenuto di curarsi, ad oggi non ha potuto eseguire la terapia prescritta. "Nel frattempo - ricostruisce l’avvocato Sebastiano Campanella - le sue condizioni si sono aggravate di molto. Ha un evidente sproporzione della muscolatura: un braccio più grande dell’altro, una gamba più grande dell’altra. Non riesce più a camminare autonomamente ma si muove su una sedia a rotelle, spinto da un compagno di cella. Mi chiedo cosa sarebbe successo se a una persona non detenuta si fosse impedito di curarsi facendo degenerare la malattia sino a questo punto". Giustizia: detenuti da morire... si uccidono a centinaia e ci provano a migliaia di Tania Careddu www.altrenotizie.org, 26 marzo 2014 Ogni due detenuti che muoiono, uno passa inosservato. Di alcuni si ha certa contezza. "Nel 2013 abbiamo contato, nelle carceri italiane, 6.902 atti di autolesionismo, 4.451 dei quali posti in essere da stranieri, e ben 1.067 tentati suicidi. Cinquecento quarantadue sono stati gli stranieri che hanno provato a togliersi la vita in cella e che sono stati salvati dalla Polizia Penitenziaria. Più stranieri che italiani si sono resi protagonisti di episodi di ferimenti - quattrocento novantacinque sui complessivi novecento ventuno - e di colluttazione. Sulle morti in carcere, invece, il dato si inverte: più italiani. Dei quarantadue suicidi accertati nelle celle lo scorso anno, ventidue erano italiani e venti stranieri e, anche sui decessi per cause naturali, centoundici complessivamente, gli italiani erano la maggioranza, ottantasette. Trasversale, invece, la composizione del numero complessivo di detenuti che hanno dato vita, nel 2013, a ben settecento sessantotto manifestazioni contro il sovraffollamento carcerario a favore di indulto e amnistia: hanno aderito a queste proteste, complessivamente, 85.066 ristretti". Questi i dati forniti dal Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria (ma per Ristretti Orizzonti, il notiziario dal carcere, i suicidi sono quarantanove) che confermano che la frequenza dei suicidi tra i detenuti è venti volte superiore a quella che si osserva fra i "liberi cittadini". Sì perché, numeri a parte, i carcerati sono tutti soggetti a rischio se posti in una situazione a rischio. Con l’intensificarsi del sovraffollamento, con la diminuzione delle opportunità di lavoro interno, delle risorse economiche per il trattamento dei detenuti e del personale penitenziario che se ne occupa, la detenzione diviene appunto un rischio. Nel dettaglio: la popolazione detenuta, dal sessanta a oggi, è raddoppiata, mentre la capienza delle galere è aumentata solo di diecimila posti; le celle sono ancora dimensionate - otto metri quadrati per quattro con bagno annesso - in base al Regolamento di Igiene Edilizia delle Strutture ad Uso Collettivo del 1947 e ospitano anche fino a tre inquilini; il lavoro nelle carceri, obbligatorio, è raro; la Riforma della Medicina Penitenziaria, iniziata nel 1999, è ancora in corso e, nel frattempo, bassi investimenti da parte delle Aziende Sanitarie Locali hanno peggiorato i livelli di assistenza per i detenuti malati. Condizioni disumane che esseri umani, già vulnerabili, percepiscono di meritare perché non più portatori di alcun diritto, di alcuna identità. Con l’horror vacui, tradotto dagli operatori del settore come mancanza di prospettive, che accomuna i suicidi appena arrestati e quelli che stavano per terminare la pena. Il tutto spiegato puntualmente ad Altre Notizie dalla coordinatrice nazionale dell’Associazione Antigone, Susanna Marietti: "Nello scorso 2013, nelle carceri italiane, si sono contati 6.902 atti di autolesionismo e ben 1.067 tentati suicidi, quarantadue dei quali riusciti. Sono numeri sproporzionati rispetto a qualsiasi paragone esterno. Il segno, certamente, di un’utenza carceraria già selezionata in ingresso e andata a pescare in quella fascia di marginalità sociale che più di tutte frequenta la disperazione e la mancanza di prospettive. Ma anche il segno di un’incapacità del sistema di intercettare le singole storie di vita. Dietro ogni suicidio c’è una scelta personale ma c’è anche il fallimento di un’istituzione che non sa leggere la disperazione individuale delle persone detenute". Intanto, dopo appena tre mesi del 2014, i suicidi nelle celle sono già undici. E niente lascia intravvedere un panorama ancor più drammatico per i prossimi mesi. Amnistia, depenalizzazione dei reati minori, abrogazione della Bossi-Fini e della Fini-Giovanardi, che oltre ad essere incostituzionali e condannate dalla giurisprudenza europea, sono le cause principali dal punto di vista numerico del sovraffollamento, restano ancora cammini impercorribili. La politica, del resto, ha cose più importanti di cui occuparsi. O no? Giustizia: Regioni; accelerare iter per superamento degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari Dire, 26 marzo 2014 "Sia il legislatore a fissare la proroga dei termini per la chiusura degli Opg, l’importante è che non si fermino ed anzi si accelerino le procedure per l’affidamento l’espletamento dei lavori per la costruzione delle strutture alternative, le Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza, Rems con termini realistici e scadenze che possano davvero essere rispettate". Lo sottolineano le Regioni. In audizione in commissione Igiene e sanità del Senato l’assessore Carlo Lusenti (Regione Emilia-Romagna) con l’assessore, Lucia Borsellino (Regione Siciliana) in rappresentanza della conferenza delle Regioni, ha detto che le Regioni "sono impegnate nella presa in carico e nei percorsi di cura personalizzati, ma - spiega Lusenti - occorrono anche impegni che devono essere assunti da tutti gli attori coinvolti (Regioni, Ministeri della Salute e della Giustizia, Magistratura giudicante e di sorveglianza)perché come è noto infatti, l’accesso e le dimissioni dalle future Rems restano in capo a decisioni della Magistratura e a procedure avviate dal Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria". La proposta delle Regioni (il documento è pubblicato sul sito) è di dar vita ad un percorso accompagnato e guidato da una "cabina di regia politica" che effettui un puntuale monitoraggio dei processi messi in atto da tutti gli attori coinvolti. "Per completare in tempo la costruzione o la ristrutturazione di edifici da destinare a Rems - ha concluso Lusenti - uno strumento particolarmente utile, secondo le Regioni, sarebbe rappresentato dalla possibilità di deroghe alla normativa sugli appalti magari prevedendo per i Presidenti delle Regioni poteri commissariali in analogia a quanto si verifica in occasione di eventi emergenziali (es. terremoto)". Attualmente sono attivi sul territorio nazionale 6 Opg, situati in Lombardia (anche per Val d’Aosta e Piemonte), Emilia-Romagna (anche per Trento e Bolzano, Friuli-Venezia Giulia, Veneto, Marche), Toscana (anche per Sardegna, Liguria, Umbria), Campania (2 strutture, anche per Lazio, Abruzzo, Molise), Sicilia (anche per Puglia, Basilicata, Calabria). Giustizia: il Dap avvia la spending review, con dismissione o vendita delle auto inutilizzate www.giustizia.it, 26 marzo 2014 Il Dap rende noto che, in linea con l’azione governativa di revisione della spesa pubblica, ha avviato un’attenta verifica del parco macchine in dotazione agli uffici centrali e periferici dell’Amministrazione, al fine di procedere, entro breve tempo, alla dismissione o alienazione dei mezzi non più funzionali alle esigenze attuali, funzionali e operative. La politica del contenimento della spesa, in relazione al parco auto, è stata portata avanti dal Dap negli ultimi due anni, non acquistando più neppure un’autovettura e dismettendo un congruo numero di autoveicoli. L’Amministrazione, in tal modo, ha realizzato rilevanti risparmi di spesa. Allo stato il Dap ha già iniziato le procedure per la cessione delle prime quattro autovetture e se ne prevede la vendita di altre trenta circa. Giustizia: reato di "omicidio stradale", nel ddl sono previste pene fino a 21 anni di carcere Adnkronos, 26 marzo 2014 Fino a 16 anni di carcere per chi causa incidenti stradali che provochino la morte di una o più persone, guidando in stato di ebrezza o sotto l’effetto di droghe. È quanto prevede il ddl presentato dal Pd a Palazzo Madama, che si va ad aggiungere alle numerose proposte di legge presentate da quasi tutte le forze politiche sia al Senato che alla Camera per l’introduzione nel codice penale del reato di omicidio stradale. Stessa pena, che può arrivare fino a 21 anni se le vittime sono più d’una, si applica, secondo la proposta dei senatori Pd, a chi causa un incidente mortale lanciando l’auto ad una velocità superiore al doppio della velocità consentita e a chi fugge dopo l’impatto, senza prestare soccorso a chi è rimasto coinvolto nell’incidente. Il provvedimento, per il quale il Pd chiederà una calendarizzazione in tempi brevi, è stato presentato dal senatore Claudio Moscardelli, primo firmatario, dalla senatrice Rosa Maria Di Giorgi, dal presidente dei deputati Pd Luigi Zanda e dal presidente dell’Associazione vittime incidenti stradali e sul lavoro, Domenico Musicco. Alla conferenza stampa è intervenuto anche il sottosegretario alla Giustizia Cosimo Maria Ferri, che non ha escluso un provvedimento del governo in materia, forse anche un decreto. Il giusto inasprimento delle sanzioni rispetto a quelle in vigore - ha spiegato Di Giorgi - è un buon deterrente, ma non basta. È indispensabile puntare molto sulla prevenzione, sull’educazione al rispetto delle regole, partendo dalla scuola e dalle esperienze delle associazioni dei familiari delle vittime che hanno saputo tramutare il loro immenso dolore in qualcosa di utile per la comunità. Siamo certi del sostegno del governo, perché il premier Renzi è sempre stato in prima linea in questa battaglia, già da quando era sindaco di Firenze". "Una battaglia di civiltà - ha detto Musicco - perché le vittime, 4mila ogni anno, sono inaccettabili per un Paese che vuole essere civile. Auspichiamo una rapida approvazione di questo ddl in Parlamento e siamo certi del sostegno del governo". "Fino ad ora - ha sottolineato Moscardelli - in casi di incidenti stradali in cui sono morte delle persone, la giurisprudenza ha applicato il minimo della pena prevista per omicidio colposo. Con l’istituzione della figura autonoma dell’omicidio stradale si compie un salto di qualità, di fronte a comportamenti non più tollerabili: la guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti; la velocità doppia rispetto a quella consentita, la fuga dopo l’incidente. Ed è giusto, per queste persone, prevedere anche "l’ergastolo" della patente, la revoca a vita del permesso di guida". Sottosegretario Ferri: non escluso provvedimento governo su omicidio Non è escluso un provvedimento del governo, forse anche un decreto, per l’introduzione del reato di omicidio stradale. Lo ha detto il sottosegretario alla Giustizia Cosimo Ferri, intervenuto a Palazzo Madama alla presentazione del ddl presentato dal Pd, primo firmatario il senatore Claudio Moscardelli, per introdurre nel codice penale il reato di omicidio stradale, con il carcere fino a 16 anni, che possono diventare 21 nel caso di morte di più persone. "Il governo è molto attento a questa tematica. Auspichiamo - ha spiegato Ferri - un iter parlamentare rapido delle proposte presentate in materia, ma non si può escludere un provvedimento autonomo dell’esecutivo, forse anche un decreto come è stato ipotizzato da più parti. L’ultima parola, naturalmente, spetta al premier e al ministro della Giustizia, ma l’impegno del governo su questo fronte, come si evince chiaramente dalle parole del presidente del Consiglio, è certo". Quanto alla proposta targata Pd presentata oggi al Senato, Ferri sottolinea come sia importante "un effetto deterrente chiaro e netto", come quello che potrebbe derivare da un inasprimento della sanzione detentiva previsto non solo dalla proposta del Pd, ma anche da quelle avanzate da quasi tutte le forze politiche sia a Palazzo Madama che a Montecitorio. "Ma è altrettanto importante -ha concluso Ferri- puntare molto sulla prevenzione, sull’educazione al rispetto delle regole, a cominciare dalla scuola". Giustizia: caso Uva; "imputazioni deboli"... e il procuratore capo toglie l’inchiesta ai pm di Luigi Ferrarella Corriere della Sera, 26 marzo 2014 Il caso Uva squassa ancora la magistratura. L’11 marzo era già sembrato un colpo di scena che il giudice Giuseppe Battarino, nel respingere la richiesta di archiviazione di due carabinieri e sei agenti di polizia proposta dai pm Agostino Abate e Sara Arduini, li avesse obbligati invece a chiedere il processo ai rappresentanti delle forze dell’ordine per la morte nel giugno 2008 del 43enne Giuseppe Uva in ospedale dopo una parte della notte trascorsa nella caserma dei carabinieri. E il 20 marzo i pm, come in questi casi impone la legge, avevano ovviamente ottemperato all’obbligo, formalizzando l’incriminazione di carabinieri e poliziotti richiesta dal gip Battarino per le ipotesi di reato di omicidio preterintenzionale, arresto illegale, abuso d’autorità e abbandono di minore. Solo che - si scopre adesso - ad avviso del loro procuratore capo facente funzioni Felice Isnardi (inviato 20 giorni fa dalla Procura generale di Milano a reggere la scoperta Procura di Varese), i due pm l’avrebbero sì fatto, ma in un modo tale da costruire imputazioni deboli per illogicità e contraddittorietà, con il risultato di rischiare di minare in partenza un processo nel quale non credono e al quale solo il gip li ha obbligati. Per questo - con una decisione clamorosa perché arriva dopo sei precedenti "no" della Procura generale milanese ad altrettante richieste avocazioni, e ancor più perché viene adottata proprio ora che l’imputazione coatta sembrava aver per adesso chiuso la fase più travagliata dell’inchiesta - il procuratore reggente Isnardi ha tolto il fascicolo ai pm Abate e Arduini, e se lo è autoassegnato per la prosecuzione dell’udienza. Nel provvedimento datato 21 marzo, il procuratore reggente di Varese esprime infatti la convinzione che il capo d’imputazione formulato dai pm Abate e Arduini "non abbia rispettato le prescrizioni imposte dall’ordinanza del gip" e che "manifesti profili di illogicità e contraddittorietà rispetto al titolo dei reati ipotizzati". Per Isnardi non è solo un problema di forma: la debolezza delle modalità di imputazione farebbe diventare "elevata" la "probabilità che il giudice della futura udienza preliminare solleciti il pm" a integrare l’accusa e, "in mancanza, possa disporre la restituzione degli atti, con l’ovvia conseguenza della regressione del procedimento". Per scongiurare questa eventualità, che allungherebbe ancora i tempi, il procuratore reggente inviato a Varese dalla Procura Generale milanese decide di revocare ai pm Abate e Arduini l’assegnazione del fascicolo, e di individuare in se stesso "il diverso pm" designato "per l’esercizio sia dell’attività di udienza, sia di tutte quelle altre attività che potranno eventualmente rendersi necessarie". Nell’assenza di commenti da parte dei diretti interessati, si può solo attendere il termine previsto dalla legge per eventuali controdeduzioni che i due pm potrebbero inviare al Csm nel caso in cui volessero contestare i presupposti del provvedimento che ha tolto loro l’inchiesta. Nel frattempo il legale degli indagati, Luca Marsico, chiede alla Cassazione di annullare l’ordinanza del gip Battarino perché questi vi avrebbe aggiunto un reato (l’omicidio preterintenzionale) non prospettato quando aveva ordinato ai pm un supplemento di indagini. Il gup dell’udienza preliminare dovrà decidere se disporre o no quel processo a carico di carabinieri e poliziotti invocato dai familiari di Uva: con gli avvocati Fabio Anselmo e Fabio Ambrosetti, i parenti da sempre sostengono che Uva, fermato ubriaco per strada insieme a un amico, avrebbe subito violenze in caserma prima di essere ricoverato in ospedale con trattamento sanitario obbligatorio. Giustizia: giovedì prima Giornata nazionale del Teatro in carcere, 43 eventi in 13 Regioni Adnkronos, 26 marzo 2014 Le attività teatrali come elemento fondamentale per la crescita del percorso di risocializzazione delle persone detenute: partendo da questa convinzione il Coordinamento nazionale teatro in carcere, organismo costituito da oltre quaranta esperienze diffuse su tutto il territorio nazionale, e il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, tramite l’Istituto superiore di studi penitenziari, a sottoscrivere, il 18 settembre 2013, il protocollo d’intesa per una maggiore promozione del teatro in carcere. L’obiettivo, spiega una nota del Dap, è di realizzare in ogni regione una Scuola di formazione professionale di arti e mestieri collegati al teatro, al cinema, all’arte e alla cultura in generale. Primo atto di tale intesa è l’istituzione, il 27 marzo, della prima Giornata nazionale del teatro in carcere, in occasione della 52esima Giornata mondiale del teatro (World Theatre Day) indetta dall’Istituto internazionale del teatro presso la sede Unesco di Parigi, organismo che ha accolto calorosamente l’idea di promuovere l’evento in partnership con i sottoscrittori del protocollo italiano valorizzandolo ulteriormente attraverso il proprio Network internazionale. Alla giornata hanno aderito 30 esperienze teatrali attive in altrettanti istituti penitenziari di 13 Regioni, e altri stanno ancora aderendo. Sono 43 per ora gli eventi programmati, ciascuno con la propria autonomia e la propria forza, sia all’interno che all’esterno delle carceri italiane. Uno scambio tra dentro e fuori che evidenzia l’importanza di costruire ponti tra il carcere e il proprio territorio, utilizzando proprio l’arte del teatro. Il cartellone toccherà le città di Pesaro, Urbino, Roma, Pistoia, Livorno, Firenze, Venezia, Padova, Milano, Saluzzo, Torino, Genova, Reggio Emilia, Spoleto, Napoli, Ascoli, Massa, Pisa, Cassino, Turi, Rossano, Viterbo, Prato, Velletri, Sulmona. Le manifestazioni saranno seguite con attenzione anche dalla sede italiana dell’Istituto internazionale del teatro e dell’Associazione nazionale dei critici di teatro oltre che dalla rivista europea "Catarsi-Teatri delle diversità" che ha animato la nascita del Coordinamento tra le esperienze. Il teatro è presente in oltre cento carceri italiane: non c’è altra nazione al mondo con un’esperienza così diffusa e qualificata sia dal punto di vista artistico che educativo. Cuneo: l’autopsia riscontra lividi sul corpo del detenuto in regime 41bis morto per infarto di Emiliana Cirillo Il Mattino, 26 marzo 2014 Sono ancora incerte le circostanze in cui è avvenuto il decesso di Francesco Amoruso, il presunto killer del clan Gionta trovato morto lo scorso mese nella sua cella nel carcere Cerialdo di Cuneo, dove era detenuto in regime di 41bis. Una morte su cui la famiglia del quarantaduenne chiede venga fatta luce. L’uomo era stato soccorso e portato all’ospedale Santa Croce e Carle. "Lì i medici ne hanno dichiarato il decesso - afferma l’avvocato della famiglia Loris Giostra - ma ancora non sappiamo se all’arrivo presso la struttura sanitaria, Amoruso fosse già morto, o meno". Arresto cardiaco, la causa ufficiale della morte, sulla quale però il sostituto procuratore Antonio Brughini ha aperto un fascicolo d’inchiesta. Sul corpo dell’uomo, in particolare sulla schiena e alla base del capo, sarebbero stati trovati alcuni lividi, emersi con più evidenza nelle ore successive il decesso. Circostanze che hanno trovato conferma anche nel corso dell’autopsia effettuata dal medico legale, il dottor Mario Abrate e a cui ha partecipato anche il perito indicato dalla famiglia, il dottor Federico Quaranta. Ematomi che proiettano altre ombre sul decesso e che potrebbero ricondurre a un pestaggio o a un litigio tra detenuti stessi. La moglie di Francesco Amoruso e i suoi familiari non credono alla versione del malore e sono intenzionati ad andare fino in fondo. "Oggi avrò modo ci consultare tutti gli atti. Cartelle cliniche incluse - afferma il legale della famiglia - ma non mi risulta che Amoruso soffrisse di particolari patologie". A stabilire con precisione la causa della morte potranno essere solo le analisi effettuate nel corso dell’autopsia. Sessanta i giorni a disposizione del patologo per consegnare alla Procura la propria relazione. Nel frattempo, il magistrato ha già firmato il nulla osta e oggi stesso la salma del 42enne tornerà a Torre Annunziata dove, con ogni probabilità, domani, si terrà il rito funebre. Francesco Amoruso, alias "‘a vecchiarella", era un uomo di punta dei valentini, gruppo coinvolto in una feroce faida a partire dall’eliminazione di Natale Scarpa nell’agosto del 2006. Da quell’esecuzione è nata, di fatto, una delle faide di camorra più sanguinarie di Torre Annunziata. Secondo le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Aniello Nasto, sarebbe stato Amoruso a premere il grilletto della 9x21 caricata con proiettili Luger (quasi una firma per i Gionta) con cui fu ammazzato il 73enne ras del clan avversario Gallo-Cavaliere. Amoruso, in cella per una condanna a dieci anni scaturita nell’ambito del processo Alta Marea, secondo i pentiti sarebbe stato anche uno dei componenti del gruppo di fuoco che nel 2007 eseguì il duplice omicidio di Antonio De Angelis e Francesco Paolo Genovese, entrambi esponenti dei Gallo. Accuse però mai definitivamente provate. Vicenza: 15 agenti di Polizia penitenziaria indagati per presunte violenze sui detenuti di Benedetta Centin Corriere del Veneto, 26 marzo 2014 Vicenza, 15 agenti indagati per gli abusi in carcere. Uno dei detenuti sarebbe stato picchiato mentre aveva una crisi epilettica. Si sarebbero scagliati su alcuni detenuti con calci e pugni, fino a farli stramazzare a terra; avrebbero infierito su un carcerato in preda a una crisi epilettica, picchiandolo in cella e trascinandolo poi lungo tutto il corridoio, scalciando ancora contro di lui; avrebbero rivolto ingiurie di stampo razzista contro un immigrato recluso, coprendolo di sputi, minacciandolo, lasciandolo al freddo in cella, anche perché avrebbe denunciato un pestaggio durante la visita dell’onorevole Rita Bernardini. Sono dei macigni le accuse che pesano su quindici agenti della polizia penitenziaria in servizio al carcere di Vicenza, a cui nelle scorse ore sono stati notificati gli avvisi di garanzia. Sono tutti indagati per abuso di autorità. A far scattare l’inchiesta del pm Alessandro Severi, la denuncia di cinque reclusi, due italiani e tre africani. I fatti contestati si sarebbero verificati tra luglio 2012 e gennaio 2013. Nei prossimi giorni le guardie carcerarie avranno la possibilità di chiarire le loro posizioni facendosi interrogare. Sono agenti semplici ma anche sovrintendenti, con vari ruoli e gradi. Si tratta di Angelo Castelli, Lino Alessio, Francesco Siragusa, Giuseppe Lo Zito, sindacalista della Cgil assieme a Salvatore Carrozzo, Carmela Tarice, Rosario Cuffaro, Giovanni Salafia, Nicolò Bonomo, Renzo Valvo, Fausto Atzori, Pasquale Paladini, Giovanni Soligo, Mario Volturo, Maurizio Balducci. Sono accusati a vario titolo di avere abusato della divisa che portano, di avere alzato le mani, insultato e maltrattato i cinque detenuti. "Non commento - è la dichiarazione, lapidaria, del direttore del San Pio X, Fabrizio Cacciabue - non entro nel merito". Il primo episodio denunciato sarebbe avvenuto i primi di luglio di due anni fa. Vittima un africano che ha denunciato di essere stato preso a calci e pugni solo perché si era opposto ad entrare nella cella senza i suoi effetti personali, dato che era appena stato trasferito da San Vittore. Altro episodio, sempre di luglio, avrebbe come vittima un italiano: avrebbe tirato un calcio sotto la scrivania e ingiuriato gli agenti, che lo avrebbero messo a tacere con un pugno alla testa e poi con calci in tutto il resto del corpo, capo compreso. Altro pestaggio, in estate, ai danni di un altro magrebino: arrivato nella sua sezione, sarebbe stato accolto in modo violento, con calci all’addome. Ad agosto un altro caso, che era già filtrato all’esterno, seppure sommariamente. Ad essere preso di mira, secondo l’accusa, un italiano. All’apice di una crisi compulsiva, per una malattia diagnosticata, sarebbe stato picchiato dentro la cella, quindi afferrato per i piedi e trascinato all’esterno, lungo il corridoio, per metri, e al contempo colpito con dei calci ai fianchi. Fatti, questi, che un detenuto africano, testimone, ha poi denunciato all’onorevole Rita Bernardini in visita al carcere. Questo avrebbe scatenato l’ira dei secondini, che per vendetta lo avrebbero insultato, sbeffeggiato e preso a sputi. Anche con frasi come: "Vediamo se l’onorevole verrà da Roma a salvarti, perché io sono siciliano e sono più delinquente di te". L’ira dei 15 agenti indagati "Sono accuse infondate e non veritiere: lo dimostreremo" La procura ha archiviato altri procedimenti simili di recente. Non nascondono la loro rabbia parlando di "carriere infangate" da "accuse prive di logica" e "calunniose" mosse da "persone prive di credibilità". Ma i 15 poliziotti della penitenziaria indagati dalla procura per abuso di autorità nei confronti di almeno 5 detenuti si mettono "nelle mani della magistratura" certi che "farà chiarezza" e ridarà loro "la dignità che sentono perduta". Non ci stanno a passare per violenti torturatori di poveri detenuti inermi i 15 agenti che il pubblico ministero Alessandro Severi ha iscritto sul registro degli indagati. Sostengono di aver sempre lavorato con scrupolo e trattato con il rispetto dovuto ogni detenuto all’interno del San Pio X, come dimostrano le loro carriere e la stima di cui godono presso i superiori. "Perché?", si chiedono. I 15 poliziotti, assistiti dagli avv. Paolo Mele senior, Paolo Mele junior e Sonia Negro saranno interrogati a partire dalla giornata di oggi, direttamente sul posto di lavoro, in carcere. I colleghi: "accuse fuori dal mondo, il pm farà chiarezza" "Gli avvisi di garanzia hanno scosso non solo i diretti interessati, ma tutto l´ambiente, che come è noto non è facile. L´auspicio è che venga fatta chiarezza. Abbiamo tutti massima fiducia nella magistratura". I colleghi e i rappresentanti sindacali della polizia penitenziaria vicentina si sono stretti attorno ai 15 colleghi: "Sono tutte persone stimate, che non hanno mai avuto problemi. Non possiamo entrare nel merito delle accuse, ma metteremo la mano sul fuoco per ciascuno". I poliziotti ricordano la paurosa carenza di organico in cui lavorano all´interno di un carcere sovraffollato, e sottolineano con orgoglio che una serie di misure adottate lo hanno reso molto più vivibile rispetto ad altre strutture. "Grazie alla nuova organizzazione interna, la percentuale di assenze dal lavoro di noi agenti vicentini è prossima allo zero, mentre la media nazionale è del 30 per cento. Qui al San Pio X si sta bene. Certo, tutto è migliorabile, però siamo soddisfatti. Lo hanno sottolineato anche gli avvocati della Camera penale, che sono venuti in visita la scorsa settimana e che hanno trovato una situazione accettabile. Non dimentichiamoci che questo è un carcere, e che la maggioranza dei detenuti è composta da immigrati". Al momento, gli indagati preferiscono non commentare: lo faranno probabilmente dopo gli interrogatori. Quello che è certo è che gli avvisi di garanzia sono arrivati come una doccia fredda per tutti loro. "La procura farà chiarezza e al termine delle indagini emergerà la nostra correttezza. Sono accuse assurde. Siamo persone per bene", hanno ribadito. Trani: agente morì di meningite, Gip chiede nuove indagini sulla prevenzione nel carcere Giornale di Trani, 26 marzo 2014 Il caso giudiziario si chiude, ma non la volontà della famiglia di uno sfortunato agente di Polizia penitenziaria che si faccia il più possibile chiarezza su cosa abbia determinato la morte del loro caro. È questo il senso del documento che ha diffuso l’avvocato Michele Sodrio, difensore della famiglia Bassi, costituitasi nel procedimento giudiziario teso ad accertare eventuali responsabilità in merito alla morte dell’agente di polizia penitenziaria Giovanni Bassi di Trani, avvenuta esattamente un anno fa, il 23 marzo 2013, mentre lo stesso era in servizio presso la casa circondariale di Foggia. Il decesso avvenne presso la Rianimazione dell’ospedale di Trani ed il titolare dell’inchiesta che ne scaturì, il sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Trani, Raffaella De Luca, volle verificare eventuali responsabilità colpose a carico di medici. La Procura nominò due consulenti medico-legali, la famiglia un consulente di parte: tutti e tre concordarono nell’affermare che Giovanni Bassi era morto per una "sepsi meningococcica fulminante con sindrome di Waterhouse-Friderichsen", e che quindi non vi erano responsabilità in capo ai medici. La Procura richiese quindi l’archiviazione per i dottori, "e noi, come persone offese - fa sapere Sodrio, non ci siamo opposti a questa richiesta di archiviazione, ma abbiamo chiesto comunque la prosecuzione delle indagini perché siamo convinti che le responsabilità della morte del signor Bassi vadano individuate all’interno del carcere di Foggia". A sostegno di tale convincimento, il legale richiama le disposizioni del Gip, Francesco Zecchillo, che ordinava alla Procura "una nuova consulenza medico-legale - scrive Sodrio - volta ad accertare se la meningite fu contratta da Giovanni Bassi (come siamo convinti) all’interno della Casa circondariale di Foggia, se tra il 19 e 20 marzo 2013 (periodo in cui il signor Bassi contrasse il terribile virus) fossero state adottate all’interno di quel carcere le precauzioni previste dalla legge per evitare il contagio di questo genere, nonché individuare chi fossero i dirigenti responsabili". Il legale fa sapere che "solo dopo che si ebbe notizia della morte del povero Bassi, i responsabili del carcere di Foggia si attivarono in fretta e furia per vaccinare poliziotti e detenuti, precauzioni che dovevano essere adottate prima della morte del signor Bassi, e non dopo. Chiediamo e chiederemo fino alla fine che sia fatta giustizia - conclude Sodrio, perché la morte di Giovanni Bassi siamo certi sia la conseguenza di lassismo e superficialità". Sassari: Sdr; protocollo tra Università di Sassari e Prap apre un’importante prospettiva Ristretti Orizoznti, 26 marzo 2014 "Un’iniziativa importante che apre prospettive interessanti per rafforzare il ruolo rieducativo della pena nelle strutture detentive. Un’occasione per promuovere l’integrazione tra comunità scientifica e mondo penitenziario nell’ottica del recupero sociale di chi ha sbagliato e della sua valorizzazione umana". Lo sostiene Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione "Socialismo Diritti Riforme", con riferimento al protocollo d’intesa che domani (mercoledì 26 marzo) sarà sottoscritto dal Magnifico Rettore dell’Ateneo sassarese Attilio Mastino e il Provveditore Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria Gianfranco De Gesu. "L’iniziativa, in programma nell’Aula Magna del Polo Bionaturalistico, permetterà - sottolinea Caligaris - di sviluppare progetti didattici, attività di orientamento e tutorato per quanti sono reclusi negli Istituti di Sassari-Bancali, Alghero, Tempio Pausania-Nuchis e Nuoro offrendo opportunità di apprendimento di livello accademico a coloro che intendono investire il tempo per arricchire le proprie risorse intellettuali". "Molti cittadini privati della libertà, specialmente giovani che devono scontare una lunga permanenza dietro le sbarre chiedono sempre più spesso di poter accedere agli studi. Alcuni perseguono l’obiettivo dedicandosi da soli ad approfondire la conoscenza altri invece talvolta interrompono non solo per problemi di sovraffollamento ma anche perché manca un servizio di tutoraggio istituzionalizzato. L’apertura dei nuovi Istituti, con maggiori possibilità di spazi, può offrire a tanti una nuova occasione di riscatto culturale a cui l’Università di Sassari e il Prap sapranno dare positive risposte. L’auspicio - conclude la presidente di Sdr - è che anche l’Ateneo cagliaritano promuova un’analoga lodevole iniziativa". Firenze: dissequestrati i reparti "Pesa" e "Ambrogiana" dell’Opg di Montelupo Ristretti Orizzonti, 26 marzo 2014 I reparti "Pesa" e "Ambrogiana" sono stati restituiti alla disponibilità dell’amministrazione penitenziaria. Adesso necessarie opere di bonifica per ripristino condizioni igienico sanitarie. Determinante l’intervento del Garante regionale delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale, per il dissequestro dei locali dell’Ospedale psichiatrico di Montelupo. È stato eseguito il provvedimento di dissequestro emesso dalla Presidenza del Senato della Repubblica per i reparti "Pesa" e "Ambrogiana" dell’ospedale psichiatrico di Montelupo. I locali al piano terra della III e della II sezione sono stati restituiti alla completa disponibilità dell’amministrazione penitenziaria. Ringraziamenti sono giunti dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del Ministero della Giustizia, al Garante regionale delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale. "Ringrazio il garante - è scritto nella lettera indirizzata anche all’ospedale psichiatrico di Montelupo - per il prezioso intervento che si è rivelato determinante ai fini della risoluzione della problematica". Il Garante si è detto soddisfatto di questo primo risultato ed ha evidenziato la necessità di eseguire le opere di bonifica necessarie per il ripristino delle condizioni igienico-sanitarie e di rimodulare gli spazi disponibili. Il Garante, il 14 gennaio scorso, durante la sua visita all’Opg, nell’ambito di un tour nelle varie realtà penitenziarie della Toscana, aveva fatto presente la necessità di riattivazione delle celle al pian terreno della sezione III, sequestrate dalla commissione Marino e opportunamente ristrutturate. Adesso, per il Garante, rimane all’ordine del giorno la chiusura dell’Opg con il processo di rientro degli internati non toscani verso le regioni di appartenenza. Torino: flash mob Fdi-An contro rimborsi ai detenuti per sovraffollamento delle carceri Adnkronos, 26 marzo 2014 Flash mob di Fdi-An oggi davanti al carcere Le Vallette di Torino. L’iniziativa, spiega Roberto ravello, portavoce provinciale del partito e promotore della manifestazione "è la nostra risposta alle grottesche ipotesi del Governo che, chinando la testa all’ intervento sanzionatorio dell’Europa sulla questione del sovraffollamento delle nostre carceri, intenderebbe addirittura prevedere un rimborso di 20 euro al giorno e uno sconto di pena fino al 20% della stessa nel caso di detenzione in celle troppo strette. Siamo di fronte a provvedimenti che, se mai dovessero vedere la luce, calpesterebbero senza alcuna decenza una realtà fatta di stipendi e pensioni all’osso, disoccupazione, precariato e povertà". "Grazie agli svuota carceri di Monti e Letta - ricorda Agostino Ghiglia, portavoce regionale di Fdi-An - i detenuti in Italia sono scesi a 60mila, erano 70mila nel 2010, il numero di misure alternative al carcere è più che raddoppiato, passando da 12mila nel 2009 alle 30mila odierne, è crollato l’uso della custodia cautelare in carcere, passata dal 46% al 36%, e la criminalità non è diminuita. Chi pensa di cancellare il problema del sovraffollamento con la solita ricetta fatta di amnistie e indulti e chi pensa a risarcire i criminali schiaffeggiando gli italiani onesti ci troverà sulle barricate. L’unica soluzione rimane quella di costruire nuove carceri, innalzando l’attuale capienza di 10mila unità". Cuneo: i prodotti delle carceri esposti a "Fa’ la cosa giusta 2014" di Fieramilanocity www.grandain.com, 26 marzo 2014 Dopo il successo dell’edizione 2013, chiusa con 72mila presenze, dal 28 al 30 marzo 2014, torna Fa’ la cosa giusta!, la Fiera nazionale del consumo critico e degli stili di vita sostenibili organizzata da Terre di mezzo Eventi e Insieme nelle Terre di mezzo onlus, che si terrà a Milano nella consueta location di Fieramilanocity. Un evento affermato a livello nazionale, che si rivolge contemporaneamente al grande pubblico, ai gruppi d’acquisto e agli addetti ai lavori in ambito green. Due cooperative carcerarie cuneesi saranno fra le protagoniste della nuova sezione Sprigioniamoci - Economia Carceraria, si tratta di Ferro e Fuoco Jail Design di Savigliano e Sapori Reclusi di Fossano. La prima rappresenta la sintesi di due filiere formative promosse dalla Fondazione Casa di Carità all’interno e all’esterno degli Istituti di pena di Fossano e Saluzzo: realizza oggetti di arredo per interni e per esterno in ferro e legno, dalle linee decise e dal design accattivante. I mobili presenti a Fa la cosa giusta! sono stati realizzati impiegando legno di pallet recuperato. La seconda è un’associazione culturale che si rivolge a soggetti interessati da forme di esclusione sociale per dare voce a chi normalmente non ne ha. Sapori Reclusi usa il cibo come chiave per entrare laddove si trovano barriere fisiche o mentali, per favorire l’incontro tra cittadini che sono parte della stessa società. Fà la cosa giusta! è il luogo in cui i cittadini trovano progetti innovativi e creativi e le aziende all’avanguardia in tema di sostenibilità ambientale e sociale presentano al pubblico i loro prodotti e servizi. L’evento in cui le associazioni, i gruppi informali di consumatori, si scambiano buone pratiche per la costruzione di un’economia solidale, mentre le istituzioni e gli enti locali si confrontano sulle best practice per un cambiamento virtuoso del nostro stile di vita. Lo spazio in cui le scuole imparano, sperimentano e si mettono alla prova su economia, mercato, sogni e giustizia. Un’intera area "Green Makers" sarà dedicata all’innovazione dal basso e agli "artigiani digitali": un luogo d’incontro per designer, inventori e auto produttori, in cui professionisti e semplici appassionati potranno scambiarsi idee, condividere progetti e testare nuove possibili applicazioni. Saranno inoltre presenti realtà ad alto contenuto tecnologico che utilizzano software open source per progetti di autoproduzione e a basso impatto ambientale. Mentre gli amanti della tradizione culinaria popolare potranno assaporarla nuovamente all’interno della "Locanda di Fa la cosa giusta!", attraverso mostre, lezioni di cucina, degustazioni, laboratori e incontri, partendo da quegli ingredienti semplici ed economici, ma molto gustosi, che erano presenti quotidianamente sulle tavole dei nostri nonni. L’edizione 2014 si articolerà in dodici sezioni tematiche. Che spazieranno dall’alimentazione biologica alla moda etica, passando per il mondo dell’infanzia, la mobilità sostenibile e la cosmetica naturale. Potenza: incidente a furgone di Polizia penitenziaria, dimessi quattro agenti rimasti feriti Ansa, 26 marzo 2014 Quattro dei cinque agenti della Polizia penitenziaria e il detenuto rimasti feriti ieri in un incidente stradale, a Rionero in Vulture (Potenza), sono stati dimessi dall’ospedale di Melfi (Potenza), dove è tuttora ricoverato un altro agente. I sei erano a bordo di un furgone che stava riportando nel carcere di Sulmona (L’Aquila) un detenuto che era stato trasferito a Potenza per un’udienza in tribunale. Sulla via del ritorno, sulla Potenza-Melfi - che è rimasta bloccata per alcune ore - il furgone è rimasto coinvolto in un incidente, avvenuto per cause imprecisate: quattro agenti hanno riportato ferite lievi e sono stati dimessi, il quinto un trauma cranico e la frattura di alcune costole; il detenuto, anch’egli dimesso, è per il momento nel carcere di Melfi. Nell’evidenziare "i problemi che affrontano ogni giorno" gli agenti impegnati nel trasferimento dei detenuti, il segretario generale del Sappe, Donato Capace, ha detto che "anche per questo sentir parlare di tagli per le forze di polizia, e per la polizia penitenziaria in particolare, è davvero incomprensibile e irrazionale". Genova: Sappe; ritrovato telefono cellulare, nascosto nelle docce del carcere di Marassi Adnkronos, 26 marzo 2014 Trovato un telefono cellulare nascosto nel carcere genovese di Marassi. "Questa notte - riferisce Michele Lorenzo, segretario regionale della Liguria del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe - verso le quattro, l’agente di polizia penitenziaria in servizio nella VI Sezione detentiva del carcere di Genova Marassi ha trovato, nella sala comune delle docce, un telefono cellulare abilmente occultato". Secondo il Sappe, "sulla questione relativa all’utilizzo abusivo di telefoni cellulari e di altra strumentazione tecnologica che può permettere comunicazioni non consentite è ormai indifferibile adottare tutti quegli interventi che mettano in grado la polizia penitenziaria di contrastare la rapida innovazione tecnologica e la continua miniaturizzazione degli apparecchi, che risultano sempre meno rilevabili con i normali strumenti di controllo, anche prevedendo la schermatura del penitenziario per renderli inutilizzabili. Ma un ragionamento va fatto anche sulla necessità di rivedere l’organizzazione dei livelli minimi e massimi di sicurezza a Marassi". Ferrara: questa mattina in municipio un seminario dal titolo "Il carcere dimezzato" www.ferrara24ore.it, 26 marzo 2014 "Il carcere di Ferrara aumenta i posti con la costruzione di un contenitore di cemento. Servirà per ammassare corpi o per aumentare gli spazi di vita?". È questo l’interrogativo su cui intende puntare i riflettori il seminario dal titolo "Il carcere dimezzato" in programma nella mattinata di oggi, mercoledì 26 marzo, nella sala dell’Arengo della residenza municipale. Organizzato dalla Società della Ragione onlus e dal Garante per i diritti dei detenuti di Ferrara, con il patrocinio di Comune e Provincia, l’incontro intende aprire una discussione fra amministrazione penitenziaria, amministratori locali, operatori, associazioni, avvocati e cittadini sul progetto di realizzazione di un nuovo padiglione all’interno del perimetro del carcere cittadino. "Il nuovo padiglione - ha spiegato il responsabile locale della Società della Ragione Onlus Leonardo Fiorentini - potrà ospitare circa duecento carcerati, arrivando quasi a raddoppiare la capienza attuale, mantenendo però inalterati gli spazi per i servizi comuni e per le attività finalizzate al recupero e al reinserimento dei detenuti nella società, diminuendo quindi la qualità della vita all’interno della struttura e soprattutto l’offerta di opportunità di integrazione lavorativa e sociale dei reclusi". "Si tratta di un progetto - ha precisato l’assessore all’Urbanistica Roberta Fusari - deciso in maniera unilaterale dal Governo centrale senza alcuna condivisione con l’amministrazione locale. La Giunta, informata nei mesi scorsi dell’intervento in programma, si è espressa negativamente, con un proprio atto di orientamento, circa le modalità di adozione della decisione, chiedendo garanzia che gli spazi destinati alle funzioni di rieducazione siano assicurati a tutti i detenuti, a tutela anche della comunità locale all’interno della quale parte di quei detenuti si reintegrerà dopo la scarcerazione". "I carcerati che concludono il proprio periodo di detenzione - ha sottolineato il presidente del Consiglio comunale Francesco Colaicovo - devono avere la possibilità di essere reinseriti nella società, ma questo risulta impossibile se impediamo loro di maturare e progredire attraverso un percorso formativo ed educativo adeguato". "Al seminario - ha ricordato il Garante dei diritti dei detenuti di Ferrara Marcello Marighelli - sarà presente come interlocutore il prefetto Angelo Sinesio, commissario straordinario del Governo per le infrastrutture carcerarie, con il quale le istituzioni locali vorrebbero discutere su come rimodulare il progetto per il carcere di Ferrara, che oggi ospita 350 detenuti contro una capienza regolamentare di 240, in modo da poter rispondere alle esigenze di umanizzazione della pena più volte richiamate in questi mesi dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, dal Presidente della Repubblica e dai governi oltre che dalla stessa amministrazione penitenziaria. L’incontro di mercoledì ci offrirà l’occasione per visionare il progetto di ampliamento, per la cui realizzazione tuttavia i tempi non sono ancora noti". Libri: "Zanna Blu", di Carmelo Musumeci, recensione di Annamaria Cotrozzi* Ristretti Orizzonti, 26 marzo 2014 Impreziosito dalla presentazione di Margherita Hack, il libro della avventure del lupo Zanna Blu è un avvincente racconto-metafora non facilmente riconducibile a un unico e preciso genere letterario, e altrettanto non facilmente definibile in riferimento alla tipologia di lettori a cui può essere rivolto. Certamente le singole storie (inanellate a formare un piccolo romanzo mediante una tecnica raffinata che, proprio nella chiusa di ognuna, colloca il finale provvisorio che sarà ripreso, con le stesse parole, all’inizio della successiva) hanno i tratti distintivi delle fiabe per bambini. Che si tratti di fiabe è suggerito intanto dal loro sfondo paesaggistico, in quanto portano a volo il lettore in un luogo fatato, incantato e incantevole nel suo fascino siderale, anche se, al contempo, pervaso di raggelante solitudine, di coraggio misto a paura, teatro di continui pericoli e sempre nuovi cimenti, dominato da una luna immensa, che rischiara il buio di spazi infiniti. Ecco, la luna: lontana ma partecipe (l’adiuvante principale, secondo le categorie proppiane, che a buon diritto possono essere applicate a queste fiabe di ambientazione nordica), amica che talora nasconde il volto dietro le nubi per non vedere e non soffrire, ma che altre volte provvidenzialmente soccorre, e sempre si fa tramite dei messaggi d’amore che il lupo protagonista e gli altri lupi le affidano, nei momenti più drammatici, mandando lunghi ululati verso il suo volto di luce. "Tutte le volte che ci sarà la luna piena e avrai bisogno di me, potrai chiamarmi e io risponderò": sono le parole di Lupo Mannaro morente, ed è significativo che sia proprio un licantropo, la creatura spaventosa che nell’immaginario collettivo è la meno adatta a rivestire un ruolo da buono, a salvare ed adottare Zanna Blu da piccolo, a dargli la protezione e il calore della famiglia che non ha. Ed ecco, nella magia del racconto fantastico, l’ammonimento a non lasciarsi ingannare dalla prima apparenza delle cose, e a non subire il condizionamento dell’ingiusto pregiudizio ("Spesso, infatti, gli uomini e i lupi hanno bisogno del cattivo di turno per sfogare la loro rabbia e la loro frustrazione: tanto, un povero Lupo Mannaro lo trovano sempre per riversargli addosso le loro paure"). Fiabe, dunque, però anche favole: in senso tecnico, in quanto vi agiscono animali, che, pur con i debiti rovesciamenti (sto pensando al giustamente ironico "in bocca all’uomo"), incarnano comportamenti, vizi e virtù degli uomini, e in quanto ogni volta sono portatrici, come nella favola di tradizione esopica, di insegnamenti morali, talora veicolati in modo implicito, talora posti a esplicito commento della storia narrata. Non si pensi, però, che nella narrazione delle avventure di Zanna Blu la "morale della favola", che senza dubbio è sempre leggibile, riconoscibile almeno in filigrana, sbilanci il racconto spostando troppo il focus sul piano etico e diminuendo, di conseguenza, la magia del fiabesco: al contrario, il cosiddetto "messaggio" riesce a farsi cogliere con semplicità, senza allentare né il ritmo narrativo né il continuo effetto di suspense. Siamo e restiamo nel regno meraviglioso della fantasia, dove tutto può accadere, e dove, per dirla pascolianamente, il fanciullino che è in noi può gioire dell’onnipotenza della volontà unita all’amore, attendersi e ottenere il prodigio salvifico, assistere ogni volta, come nei sogni più belli, alla trasformazione (a cui lo scrittore finisce con l’abituarci) dei cattivi in buoni (in quei buoni che da sempre, nell’intimo del loro cuore, avevano desiderato essere). I due piani, quello del fiabesco puro e quello dell’apologo, della riflessione morale messa in campo per via di immagini, si intersecano talvolta in modo naturale, senza forzature: per esempio in alcuni interventi-chiave del narratore, introdotti in forma di rapido commento (il più icastico: "non esistono persone o lupi cattivi, esistono solo azioni buone o cattive"). Il lettore, adulto o bambino che sia, impara presto ad abbandonarsi alla dimensione fantastica del racconto, e da quel momento sa che tutto può accadere, perché appunto siamo nel mondo onnipotente della fantasia, dove il prodigio rientra, per convenzione, nelle regole del gioco. È così che finiamo con l’aspettarci che Zanna Blu, il lupo buono mille volte ferito e moribondo, ritrovi ancora una volta, anche quella volta in più, le forze non per una stentata sopravvivenza, ma per una nuova corsa, anzi per un volo verso la meta di sempre, attraverso le gelate terre del nord, la Siberia, la Groenlandia, il mare ghiacciato o in tempesta, in una geografia ridisegnata come accade, appunto, in sogno, dove anche le distanze sconfinate possono essere percorribili e superabili, nonostante tutto. La salvezza di Zanna Blu, nei momenti di massimo rischio, quando l’antagonista di turno (che poi diverrà adiuvante per la successiva avventura) pare avere la meglio sul povero lupo sfinito, è raggiunta coi famosi salti mortali (perciò, di fatto, salti "vitali"), sempre variati, sempre oltre il limite raggiunto col precedente: quando pensiamo di aver assistito al salto più difficile, più sorprendente, più acrobatico possibile (il doppio salto mortale, quello all’indietro, il quintuplo...), la fantasia dello scrittore ne inventa un altro (e a quel punto un po’ ci contavamo, ammettiamolo). A proposito di questa meravigliosa specialità di Zanna Blu, va ricordata una piacevole sorpresa regalataci da Carmelo: è la figlia femmina di Zanna Blu, la coraggiosa Coda Bianca, ad aver imparato di nascosto a fare i salti mortali, imitatrice ed erede del padre in questi "impossibili" slanci fisici verso l’alto, verso la salvezza e la libertà. Il racconto, nel suo procedere, esce dai confini del genere "fiaba" o "favola" e lascia sempre maggiore spazio a un complesso e originale gioco meta letterario, con l’intervento sempre più frequente dell’autore. Il genere letterario di riferimento diventa in realtà, a poco a poco, incrocio, o meglio ancora commistione, fusione di generi, in un amalgama che è anche un interessante e innovativo esperimento di scrittura: il piano del racconto fantastico viene ad appoggiarsi sul piano della realtà autobiografica di Carmelo Musumeci, al punto che significante e significato combaciano nell’attribuzione, ad alcuni lupi, di nomi di persone che hanno segnato passaggi importanti della vita dell’autore: un esempio per tutti, Lupo Don Oreste. Attraverso il racconto, divenuto ormai corale, delle avventure del lupo Zanna Blu e degli altri lupi (solitari o in branchi), il veicolo letterario scelto dallo scrittore assume sempre più le caratteristiche, o almeno le connotazioni, del diario, della testimonianza: è il suo modo di consegnare a tutti noi lettori in generale, ma probabilmente ai suoi cari in modo specifico, la narrazione sofferta del suo percorso esistenziale e delle sue speranze. Tuttavia, si badi bene, gli evidenti richiami al reale non tolgono nulla al fascino del racconto d’invenzione, nel quale sono via via intessuti. Lo scrittore Carmelo entra, sì, autobiograficamente nel racconto, ma in che modo? Dapprima come autore la cui penna può salvare o lasciare morire Zanna Blu, in seguito come personaggio il cui agire appartiene ormai al flusso narrativo della vicenda fantastica, e con essa si confonde. La favola di animali dai tratti psicologici "antropomorfi" diventa in tal modo favola "mista", di animali e uomini pronti a incontrarsi nel gran finale (che, ovviamente, non rivelerò). Da sottolineare, sul piano narratologico, la complessità e varietà dei modi con cui Carmelo si lega al proprio racconto, entrando "fisicamente" nel libro: ora proiettandosi in Zanna Blu stesso, ora persino mettendosi in un rapporto di surreale competizione con lui, fino a divenirne, addirittura, rivale e antagonista. Rinunciando al ruolo tradizionale dello scrittore di racconti di invenzione, che è quello di narratore onnisciente, Carmelo mostra di non sapere, o di non aver deciso (che è la stessa cosa) come le cose andranno a finire, e riconosce quindi a se stesso la facoltà di cambiare idea, vale a dire di cambiare il racconto in corso d’opera: con questo espediente lo scrittore riesce a spiazzare del tutto il lettore, scoraggiandolo, fra l’altro, da ogni tentativo di interpretazione psicanalitica troppo scontata, da manuale. Anche sul piano stilistico lo scrittore sceglie di non attenersi a un registro univoco, e così l’andamento narrativo tipico della fiaba, con i suoi dialoghi seri e drammatici, con le descrizioni solenni, è tuttavia punteggiato ora qua ora là di qualche battuta scherzosa, e non mancano, per quanto riguarda le scelte di lessico, incursioni veloci nel linguaggio colloquiale anche un pò brusco, ma di sicuro effetto vivacizzante. Di questo libro restano impresse nella mente e nel cuore del lettore anche le bellissime dediche - ricche di pathos, ma prive di retorica - poste sotto il titolo dei singoli capitoli: didascalie di un mondo di affetti in cui nessuno viene dimenticato, e che anche noi lettori a poco a poco impariamo a conoscere. Anche in forza di queste presenze reali, evocate dallo scrittore a illuminare il senso profondo di ogni tappa del racconto, quando tutto sembra perduto noi sappiamo che non è così: la sua penna saprà ancora tracciare le parole che riapriranno il varco alla speranza. *Ricercatrice Università di Pisa, Dipartimento di Filologia, Letteratura e Linguistica Cinema: "Lo stato della follia", un documentario sugli Opg… lager di Stato di Gabriella Gallozzi L’Unità, 26 marzo 2014 C’eravamo arrivati. Finalmente una legge del 2012 ne stabiliva la chiusura entro il 31 marzo 2013. Ma dopo una prima proroga al 1° aprile 2014, il termine è stato posticipato ancora al 1° aprile 2017. Non sono bastate le sanzioni in sede europea, le denunce, le accuse: gli Ospedali psichiatrici giudiziari, meglio noti come manicomi criminali, sono ancora una realtà. Così come ci racconta "Lo stato della follia" il potente documentario di Francesco Cordio che alla stesura di quella legge ha contribuito. E che adesso torna in sala per dare una nuova spallata all’indifferenza generale che avvolge questi lager di stato. Buchi neri della democrazia, dove ancora oggi sono rinchiusi poco meno di mille dannati. I "matti da legare" senza diritti, i "violenti" reietti, quelli condannati a pene che, senza sapere il perché, si rinnovano di cinque anni in cinque anni. Fino a dieci, quindici, vent’anni di detenzione. Come quell’uomo robusto, con la voce concitata che, davanti alla telecamera di Francesco Cordio, racconta della sua mano, atteggiata come si fa da bambini a mo’ di pistola che gli è costata l’arresto per rapina. Come quell’altro che bussa dietro al vetro della sua cella mostrando un dente cavato di fresco. Che invoca giustizia, attenzione, che si dispera davanti ai membri della Commissione parlamentare d’inchiesta guidata da Ignazio Marino nel 2010, da cui questo film ha preso le mosse e da cui tutto è partito. Un blitz in piena regola che ha decretato per sempre la vergogna di questi luoghi di follia, dove la follia, appunto, non è quella dei detenuti ma quella di uno stato che azzera ogni diritto civile e principio di legalità, in barba assoluta alla legge Basaglia. Sono sei attualmente i manicomi criminali in Italia. Montelupo Fiorentino che contiene più di 200 persone, mentre la sua capienza massima è di 188. Aversa, in provincia di Caserta, che ne contiene più di 200 sulle 150 previste. Napoli più di 150 su 150. Reggio Emilia più di 200 su una capienza di 190. Barcellona Pozzo di Gotto, Messina, più di 200 su 194 posti. E Castiglione delle Stiviere, Mantova, l’unico ad avere anche un reparto femminile che contiene circa 200 persone, delle quali meno di 100 sono donne. Finirci dentro è un attimo. Uscirne è un incubo infinito. Come racconta Luigi Rigoni, attore condannato per stalking che mette il suo volto e la sua voce in questo viaggio allucinato nel buio pesto dell’assenza di diritti. Lo stesso che ha conosciuto Bobo, decenni dietro alle sbarre dell’Opg di Aversa ed oggi volto cardine di tanto teatro di Pippo Delbono. L’odore dell’urina, le lenzuola luride, le mura marce arrivano attraverso le immagini come pugni in faccia. Mentre le grida, i racconti, i ricordi consumati degli internati si fanno monumenti all’umanità negata, all’identità calpestata. "Lo stato della follia" sarà a Roma, stasera al Nuovo Cinema Aquila, e il 29 al Teatro Villa Pamphilj, Scuderie Villino Corsini. Per proseguire in tour per l’Italia. Non perdetelo. Televisione: stasera Diario Civile presenta docu-film "Delinquenti", in onda su Rai Storia Asca, 26 marzo 2014 Nuovo appuntamento con Diario Civile, il programma di Rai Educational sui temi della giustizia, dei diritti, della legalità, in onda mercoledì 26 marzo alle 21.15, e in replica il venerdì alle 22.45, su Rai Storia, ch. 54 del Digitale Terrestre e ch. 23 Tivù Sat. Un appuntamento settimanale con la partecipazione del Procuratore Nazionale Antimafia Franco Roberti. Diario Civile entra nel carcere palermitano dell’Ucciardone dove per anni sono stati rinchiusi i più pericolosi uomini di mafia, a fianco del quale fu appositamente costruita l’aula bunker per il Maxi processo a Cosa Nostra del 1986. Il film documentario "Delinquenti", regia di Tamara von Steiner, è realizzato con la tecnica della microcamere e fissa in maniera autentica la visione intima di singoli detenuti alle prese con i riti e i tabù del microcosmo carcerario più famoso d’Italia. Ne emerge un documento prezioso sull’idea stessa della pena, del reinserimento sociale e sul lavoro che sacerdoti, guardie carcerarie e volontari compiono quotidianamente con i carcerati, oggi soprattutto condannati per altri reati rispetto ai boss mafiosi sottoposti, nella quasi totalità, al regime del 41 bis e che scontano la pena in altri istituti penitenziari. "Ricordo benissimo la prima volta che sono entrato in un carcere per interrogare un detenuto - racconta il Procuratore Nazionale Antimafia Franco Roberti introducendo la puntata - ricordo i sentimenti che mi accompagnavano, ricordo l’interesse forte di vedere la vita all’interno di una prigione e di capire lo stato d’animo, il più diverso, con il quale i detenuti affrontano la propria pena. C’è infatti - dice ancora Roberti - chi rifiuta le ragioni per le quali è finito in carcere, quasi negando a sé stesso di aver commesso un reato; chi è pentito e ha intrapreso un reale percorso di recupero, aiutato dal personale carcerario e dai religiosi che lavorano nell’amministrazione penitenziaria o chi semplicemente è in attesa di giudizio, e aspetta il processo per conoscere le proprie sorti". La questione delle carceri resta a tutt’oggi un problema drammatico e di cultura civile. Secondo i dati del Dap, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, in Italia ci sono 205 carceri e quasi 60 mila detenuti, contro una capienza di 45 mila persone. "Eppure non tutti sanno - sottolinea il Procuratore Nazionale Antimafia - che l’Italia rispetto al resto dell’Europa ha una media più bassa del rapporto popolazione civile - detenuti; la questione è costruire nuove carceri per assicurare una situazione di vita dei detenuti più degna di un paese civile". Immigrazione: il ministro Alfano studia il taglio dei tempi di permanenza nei Cie di Claudia Fusani L’Unità, 26 marzo 2014 Ridurre i tempi di permanenza nei Cie da 18 mesi ad un massimo di 4-6 mesi. È una bozza di disegno di legge che l’ufficio legale del ministero dell’Interno ha già scritto. Per pietà. Per giustizia. Ma anche, forse soprattutto, per questione di soldi. I Cie (Centri identificazione ed espulsione) dove gli stranieri clandestini stazionano oggi fino a 18 mesi in condizioni spesso disumane e simili a un lager, costano allo Stato ogni anno la bellezza di 55 milioni. Tra il 2005 e il 2012 la spesa complessiva è stata di circa un miliardo e 600 milioni. Ma i Cie sono la cronaca di un fallimento oltre che di uno spreco: su 169.126 persone transitate nei centri tra il 1998 e il 2012, sono state soltanto 78.081 (ovvero il 46,2% del totale) quelle effettivamente rimpatriate. Tagli e spending review hanno già portato la spesa pro capite per i trattenuti a soli 30 euro al giorno più Iva, motivo per cui le condizioni dei Cie sono sempre più disumane. E poiché non è più possibile tagliare sulle persone, adesso diventa primario tagliare i tempi di permanenza nei Cie. Del disegno di legge si è parlato ieri pomeriggio nell’incontro tra il ministro dell’Interno Angelino Alfano e i sindacati di polizia su come e dove andare a prendere i 2 miliardi e 700 milioni che la revisione di spesa di Carlo Cottarelli pretende entro il 2016. Anche la missione del Guardasigilli Andrea Orlando a Strasburgo va letta in chiave di rispetto della dignità della persone e tutela della spesa pubblica. Oltre ai Cie, anche le nostre carceri sono luoghi più di tortura che di rieducazione. L’Europa ci ha già condannato a 100 mila euro. Il rischio adesso è di pagare cento milioni se le migliaia di detenuti reclusi in questi anni in condizioni giudicate "lesive della dignità umana" a causa del sovraffollamento, faranno ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu). Il ministro Orlando ha fatto il punto ieri con il segretario generale Thorbjorn Jagland e poi con il presidente della Corte europea dei diritti umani, Dean Spielmann. E ha definito "infondate" le notizie circolate in questi giorni per cui via Arenula avrebbe allo studio l’ ipotesi di risarcire (con 10/20 euro al giorno) o di dare sconti di pena (il 20 per cento della pena residua) ai detenuti che hanno fatto ricorso alla Cedu. "Il nostro obiettivo - ha detto Orlando - è risolvere in maniera strutturale il problema. Non certo fare "baratti" con ipotesi astruse di sconti e mance. Orlando, tra l’altro, è arrivato a Strasburgo con una buona fotografia del pianeta carcere. Tra nuove leggi, un diverso uso della custodia cautelare e un maggior ricorso agli arresti domiciliari e alle misure alternative, "la forbice tra posti letti e detenuti è dimezzata". Sono stati anche più di settantamila i detenuti nelle nostre carceri. Oggi sono poco più di sessantamila a fronte di 48 mila posti letto che entro maggio - quando scadrà inesorabilmente il tempo che l’Europa ci ha concesso prima di farci pagare altre multe - diventeranno 53 mila. Se questa situazione risulterà stabilizzata, l’Italia sarà tornata nella norma grazie a riforme strutturali. E non certo per volatili e poco serie mance e sconti. India: De Mistura su caso marò; tre opzioni, ma noi vogliamo arbitrato internazionale Public Policy, 26 marzo 2014 "Il 28 di questo mese la Corte suprema indiana potrebbe avere tre opzioni, tra queste il rinvio, e ne abbiamo visti tanti in questa vicenda. A noi non dispiacerebbe, perché ci aiuterebbe a mantenere una massa critica su questa vicenda. Se invece si mantiene la Nia (polizia antiterrorismo; Ndr), peggio per loro. Terza opzione: tolgono la Nia ma lasciano il capo della polizia che ha fatto il capo d’accusa e chiedono l’inizio del processo utilizzando la persona ma non la struttura". Lo dice l’inviato speciale del governo, Staffan de Mistura, durante un’audizione nelle commissioni riunite Esteri e Difesa di Camera e Senato, in merito alla questione dei due marò detenuti in India. "In qualunque dei tre casi - spiega - la posizione italiana, grazie al cambio di marcia, è di non andare al processo, dove non andremo e non presenteremo i due marò. Noi insistiamo per l’arbitrato internazionale". A gennaio giustizia indiana tentò un colpo di mano "Sono tornato da una settimana intensa in India, basato sul mandato che voi stessi ci avete dato. A gennaio all’improvviso da parte della giustizia indiana ci fu un tentativo di colpo di mano, quando uscì fuori che volevano applicare la legge antiterrorismo. Da parte nostra sdegno e forte mobilitazione: questo ci diede e ci dà il sostegno e la massa critica per mobilitare la solidarietà europea, la Nato e l’Onu". Lo dice l’inviato speciale del governo, Staffan de Mistura, durante un’audizione nelle commissioni riunite Esteri e Difesa di Camera e Senato, in merito alla questione dei due marò detenuti in India. "La Corte suprema indiana ha fatto allora marcia indietro su tutto tranne sull’uso della Nia - aggiunge - rinviando la decisione sulla polizia antiterrorismo al 28 di questo mese". Non entro nei dettagli per non dare vantaggi a controparti Non posso entrare nei dettagli perché faccio di tutto per evitare che le controparti, che studiano le nostre mosse, abbiano degli elementi eccessivi per fare le loro contromosse. Vi faccio un esempio: la strada è l’internazionalizzazione? La prima cosa che ha fatto il governo una volta recepito che la via di un processo veloce era chiusa, è stato lavorare a latere in tutti i consessi internazionali per alzare la consapevolezza del fatto che questo è un problema internazionale". Lo dice l’inviato speciale del governo, Staffan de Mistura, durante un’audizione nelle commissioni riunite Esteri e Difesa di Camera e Senato, in merito alla questione dei due marò detenuti in India. Stati Uniti: 74enne libera dopo 32 anni trascorsi in carcere per un crimine non commesso Ansa, 26 marzo 2014 Una donna americana di 74 anni, in carcere per 32 anni per un crimine che non ha mai commesso, è stata finalmente rilasciata grazie alla perseveranza di un pugno di studenti di diritto. Lo hanno reso noto ieri sera fonti giudiziarie. Mary Virginia Jones era stata condannato nel 1981 per omicidio, sequestro di persona e furto. Il giudice William Ryan della Corte superiore di Los Angeles ha però annullato le sue condanne e ne ha ordinato il rilascio. La settantaquattrenne, soprannominata ‘madre Mary’ dai suoi amici e familiari, era stata considerata complice nell’omicidio di uno spacciatore, perpetrato dal suo allora compagno Mose Willis. Ma secondo gli studenti di legge presso la University of Southern California (Usc), che hanno difeso il caso della Jones in tribunale, Willis aveva puntato una pistola alla testa della moglie per costringerla a condurre la vittima in un vicolo, dove lui gli ha sparato. "È surreale, è il giorno che aspetto da una vita", ha dichiarato la donna dopo l’annuncio della sentenza da parte del giudice. Gran Bretagna: niente libri ai carcerati, il divieto che indigna gli scrittori di Enrico Franceschini La Repubblica, 26 marzo 2014 Da novembre parenti e amici non possono più inviare ai detenuti effetti personali. Romanzieri e intellettuali protestano con una petizione che imbarazza il governo. Nell’intento di soddisfare il populismo da tabloid, il governo britannico ha trovato un nuovo sistema per rendere più dura la vita a chi sta in carcere: proibire ai detenuti di ricevere libri. Familiari e amici non possono più spedirli ai loro congiunti o conoscenti dietro le sbarre. Il divieto è entrato in vigore lo scorso novembre, ma è diventato di dominio pubblico solo recentemente, dopo la denuncia di un blog sui diritti umani. La reazione è stata immediata: una petizione online lanciata da Philip Pullman, Mark Haddon e altri scrittori e intellettuali inglesi ha raccolto migliaia di firme in appena 24 ore e ieri la polemica ha costretto le autorità a cercare di giustificare il provvedimento. Il ministro della Giustizia Chris Grayling, ideatore dell’iniziativa, nega che siano stati messi al bando i libri in prigione: "Tutti i carcerati possono tenere fino a un massimo di dodici libri nella propria cella", afferma. Ma poi spiega in che modo possono procurarseli: o prendendoli in prestito nella biblioteca del carcere, o ottenendo un certificato di buona condotta in virtù del quale il divieto non ha più valore, e allora hanno di nuovo la possibilità di acquistarli o di farseli inviare da qualcuno. "Vogliamo dare degli incentivi ai condannati affinché si comportino meglio, vogliamo spingerli a impegnarsi per guadagnare privilegi", osserva Grayling, che ha vietato non soltanto l’invio di libri ma pure di ogni altro effetto personale. Il problema è che le biblioteche nelle carceri non esistono, sono mal fornite o sono comunque visitate dai carcerati al massimo una volta ogni due-tre settimane, tanto più ora che i tagli alla spesa pubblica hanno fatto diminuire il numero delle guardie carcerarie e spesso non c’è nessuno che possa accompagnare il prigioniero dalla sua cella alla biblioteca. Per gli scrittori che protestano contro le nuove misure, tuttavia, la questione non è solo pratica ma soprattutto morale. "È uno degli atti più maligni, disgustosi, vendicativi di un governo barbaro come il nostro" dice Pullman, autore del romanzo La bussola d’oro e della serie Queste oscure materie, augurandosi che Downing Street ritiri il divieto, licenzi il ministro responsabile e "gli tolga di mano la frusta". La scrittrice Susan Hill afferma che "una società si giudica dal modo in cui tratta i suoi prigionieri, vietare i libri in carcere è una mossa da stato totalitario". Mary Beard, docente di storia e letteratura a Cambridge, osserva che "i libri educano e riabilitano, vietarli in prigione è una follia". Jo Glanville, direttore dell’Associazione Scrittori d’Inghilterra, nota che il lavoro svolto in carcere dalla sua organizzazione rivela quanto i libri siano importanti per i prigionieri. E altri ricordano che perfino nel campo di prigionia di Guantánamo, dove l’America tiene rinchiusi senza processo i sospetti di terrorismo, i prigionieri possono ricevere libri (sebbene con assurde censure). Ma in Inghilterra, patria dei diritti civili, no. Mark Haddon: assurdo e crudele, leggere aiuta tutti a migliorarsi Credevo di stare leggendo qualcosa accaduto in un altro secolo, quando mi hanno mostrato il divieto ai carcerati di ricevere libri". Mark Haddon, il romanziere inglese autore del best seller "Il curioso incidente di un cane a mezzanotte", è uno dei promotori della petizione che chiede al ministero della Giustizia britannico di cancellare le nuove misure restrittive imposte ai detenuti. Quale è stata la sua prima reazione? "Ho pensato che perfino ai prigionieri di Guantánamo è consentito ricevere libri in regalo. È un provvedimento assurdo, crudele e controproducente, perché proprio la lettura di libri può avere un ruolo chiave nella riabilitazione dei detenuti in carcere". Perché allora questa decisione? "Per compiacere un’opinione pubblica forcaiola, senza pensare a cosa è più utile per la società, che i detenuti di oggi saranno i nostri vicini di casa domani". A cosa serve un libro? "A rendere una persona migliore. E poiché il carcere non è solo punitivo ma dovrebbe anche redimere, ci aspettiamo che i detenuti ne escano come persone migliori di quando ci sono entrati. Ma privandoli dei libri neghiamo loro l’accesso al mezzo che può aiutarli a migliorare". Israele: l’Anp potrebbe rivolgersi all’Onu, se non rispettati termini rilascio prigionieri Nova, 26 marzo 2014 L’Autorità nazionale palestinese (Anp) potrebbe rivolgersi alle Nazioni Unite se Israele non rispetterà i termini, in scadenza tra cinque giorni, per il rilascio della quarta e ultima tranche di prigionieri palestinesi sulla base degli accordi dello scorso luglio. Lo hanno riferito fonti politiche palestinesi al quotidiano israeliano "Haaretz". "La scadenza per la liberazione della quarta tranche di detenuti è una data chiave, che potrà svelare le reali intenzioni di Israele. Ogni ritardo o tentativo di eludere i propri doveri da parte di Israele significherà un’evidente violazione degli accordi, e l’Autorità palestinese prenderà adeguati provvedimenti", ha dichiarato Mohammed Ashtiya, membro del comitato centrale di Fatah. Israele ha già provveduto al rilascio di tre quarti dei 104 prigionieri palestinesi la cui liberazione era stata stabilita nel luglio scorso alla ripresa dei colloqui tra israelo-palestinesi con la mediazione del segretario di Stato Usa, John Kerry. All’epoca, si era deciso che il rilascio di ciascun gruppo di detenuti sarebbe stato contingente a nuovi progressi sul tavolo dei negoziati. Secondo quanto appreso da "Haaretz", una squadra al lavoro agli ordini di John Kerry si sarebbe recata a Ramallah negli scorsi due giorni per incontrare i negoziatori palestinesi prima della partenza del presidente dell’Anp, Mahmoud Abbas, per il vertice della Lega araba in Kuwait, iniziato quest’oggi. Ministro ultradestra: senza Israele Abu Mazen cade subito Abu Mazen "deve cessare di lanciare minacce perché senza Israele non resisterebbe un minuto e mezzo". Lo ha affermato alla radio militare il ministro dell’economia Naftali Bennett (leader del partito ultranazionalista Focolare ebraico). Il presidente palestinese - ha insistito Bennett, ribadendo il "no" dei falchi del governo Netanyahu alla liberazione di un ulteriore scaglione di detenuti palestinesi promessa dallo stesso esecutivo israeliano alla ripresa dei colloqui di pace promossi sotto egida Usa - si regge "grazie alle baionette dell’esercito israeliano e degli aiuti Usa". "La pratica in base alla quale noi liberiamo terroristi per negoziare con lui - ha tagliato corto - è terminata". Giordania: Croce Rossa; al via conferenza regionale sull’assistenza sanitaria in carcere Nova, 26 marzo 2014 Ha preso il via oggi ad Amman, in Giordania, la seconda conferenza regionale sull’assistenza sanitaria in carcere, organizzato dal Comitato internazionale della Croce Rossa (Cicr). Nel corso della conferenza i partecipanti discuteranno temi legati alla sicurezza, all’assistenza sanitaria, agli standard internazionali in materia di assistenza sanitaria nei luoghi di detenzione, all’etica medica e al ruolo dei medici in stato di detenzione. "I detenuti hanno bisogno di assistenza sanitaria come qualsiasi altra persona e hanno il diritto di ricevere qualsiasi trattamento di cui hanno bisogno", ha dichiarato Raed Aburabi, coordinatore delle attività del Cicr in materia di assistenza sanitaria per i detenuti, intervenendo alla conferenza. "Tuttavia non può essere garantito un trattamento adeguato senza la cooperazione tra i ministeri della Sanità, della Giustizia e dell’Interno", ha aggiunto Aburabi, secondo quanto si legge in un comunicato. Alla conferenza prendono parte i rappresentanti delle autorità carcerarie e gli operatori sanitari provenienti da 12 paesi del Medio Oriente e del Nord Africa in cui opera il personale del Cicr.