Andare oltre l’isolamento totale: due ergastolani "interrogati" dagli studenti Il Mattino di Padova, 24 marzo 2014 I detenuti condannati per reati commessi nell’ambito della criminalità organizzata vivono nelle sezioni di Alta Sicurezza, spesso con condanne all’ergastolo, isolati dagli altri detenuti, e raramente incontrano persone che vengono da fuori. Stando sempre tra di loro, è difficile che affrontino il tema della responsabilità. Ma se è vero, come dice Agnese Moro, figlia dello statista ucciso dalle Brigate Rosse, che noi "non dobbiamo buttare via nessuno", e che la nostra Costituzione non esclude nessuno dai percorsi di rieducazione, allora diventa importante creare anche per i detenuti dell’Alta Sicurezza delle possibilità di confronto e di umanizzazione della pena. A Padova succede, e alcuni di loro incontrano gli studenti in un progetto di prevenzione ed educazione alla legalità. E, come spiegano le testimonianze di due di loro, forse le domande degli studenti li inchiodano alla loro responsabilità più di anni di carcere, passati lontano da qualsiasi confronto civile. Le domande degli studenti mi stanno aiutando a "conoscere me stesso" Sono in carcere da ventitré anni. Sono condannato alla "Pena di Morte Viva", così gli ergastolani chiamano la loro condanna a vita senza nessuna possibilità di liberazione. Ho una compagna e due figli che se non cambiano le attuali leggi avranno di me solo il mio cadavere. Sono entrato in carcere con la quinta elementare e ho iniziato a studiare da autodidatta. Prima ho preso la licenza media, poi mi sono diplomato, in seguito mi sono laureato in Scienze giuridiche e dopo qualche anno in Giurisprudenza. In questo periodo sono iscritto all’Università di Padova alla Facoltà di "Filosofia" e in un anno ho già sostenuto otto esami. Intuivo però che mi mancava qualcosa e che rischiavo di diventare un’enciclopedia che camminava, perché sapere tante cose spesso non serve a nulla, in particolar modo quando sai che morirai in carcere. Sinceramente, dopo ventitré anni di carcere passati studiando sui libri e parlando solo con i muri della mia cella stavo disimparando a vivere, perché una persona può scoprire da sola che il fuoco brucia e che l’acqua bagna, ma per scoprire i propri errori e per sapere cosa è giusto e cosa è sbagliato non ha altra soluzione che confrontarsi con le persone. Mi mancava l’umanità, perché è difficile arrivare a capire i propri errori senza mettersi a discutere con gli altri. E credo che scontare il carcere in solitudine, senza un serio percorso che ti obbliga a riflettere a discutere del male che hai fatto, faccia diventare più cattivi gli esseri umani. Sentivo che mi mancava la discussione, il dibattito, il dialogo libero con altre persone. Un giorno vengo trasferito nel carcere di Padova e mi accorgo che in questo istituto fanno una cosa che nessuno aveva mai pensato prima. Vengo a sapere che ci sono detenuti che raccontano le loro storie di vita e discutono con gli studenti rispondendo alle loro domande. Grazie alla tenacia della responsabile della Redazione di "Ristretti Orizzonti" per la prima volta un ergastolano ostativo detenuto in "Massima Sicurezza" riesce a frequentare il progetto "Scuola - Carcere". E incredibilmente le domande di questi ragazzi da circa un anno mi stanno aiutando a "conoscere me stesso" più di tanti inutili anni di carcere passati a studiare in solitudine da autodidatta nella mia cella. Ai giovani più che dei miei reati racconto della mia infanzia, l’adolescenza di un bambino criminale. E poi rispondo alle loro domande, le parole degli studenti mi costringono a riflettere e spesso i loro silenzi e i loro sguardi mi colpiscono il cuore più delle loro domande. In questo progetto, le scuole entrano in carcere, ho trovato un motivo per continuare a scontare la pena e i ragazzi mi stanno aiutando a pensare di meno alla morte come soluzione per finire subito la mia pena. Carmelo Musumeci L’importanza di un confronto per chi si era disabituato al dialogo Dal 1998 mi trovo in detenzione per reati che prevedono la pena dell’ergastolo, quello ostativo che significa "fine pena mai" e che nei documenti dell’amministrazione penitenziaria viene indicato con una data: 9999. Pochi conoscono questa realtà e molti sono convinti, grazie a una informazione distorta, che si esce dal carcere dopo pochi anni di detenzione. Non è proprio così, io poi ho potuto confrontare le grandi differenze tra la pena che sto scontando in Italia e quella che è stata la mia prima carcerazione nelle carceri del Belgio, dove vivevo con la mia famiglia per scelta di vita, volendo allontanarmi da un contesto difficile nella mia regione d’origine, la Sicilia, Il Belgio è un piccolo Stato che garantisce una esecuzione penale dignitosa e civile, non allontana il detenuto dai familiari, i contatti visivi e telefonici sono molto ampi e questo ti consente di sentirti presente nelle scelte della tua famiglia, quel rapporto che invece manca in Italia, dove i miei figli nei primi anni di galera li potevo vedere per poche ore e dietro ad un vetro, una barriera che ha determinato l’allontanamento di due di loro, una figlia l’ho rivista quando era già diventata mamma. Anche i contatti telefonici in Italia erano stati ridimensionati in maniera incredibile, prima in Belgio, dove sono arrivato nel 2003, facevo tre telefonate al giorno. Qui invece sono stato inserito in un reparto di 41bis, un regime duro dove non puoi telefonare alla famiglia che risiede all’estero, poi sono stato declassificato nel 2010 e inserito in una sezione di Alta Sicurezza, che è un regime leggermente meno duro del 41bis. In Italia non puoi avere contatti con altri detenuti delle sezioni "comuni", ecco allora che rimani rinchiuso in una cella e al massimo nella sezione di Alta Sicurezza, e hai pochissime possibilità di confronto con l’esterno. A questo si aggiungono i problemi del sovraffollamento, fra i quali il fatto che non c’è stato un incremento di operatori che dovrebbero seguire il tuo percorso di risocializzazione. Un percorso che noi vorremmo fare, ma che comunque non servirà alla società perché, salvo che non cambino le leggi, nessuno degli ergastolani ostativi vedrà aprirsi quel cancello che immette nella società esterna. Cosa comporta questo sistema di detenzione? Tu rimani solo ed esclusivamente a contatto con quelle persone che hanno il tuo stesso tipo di pena per reati di associazioni mafiose e simili. Quale dialogo ci può essere, quali riflessioni puoi fare, quale confronto puoi avere se non ti sono concessi momenti di incontro con la società e non puoi capire che cosa succede nel mondo, se non attraverso le informazioni distorte che arrivano da fuori? La mia è stata, sino al 2010, una detenzione da persona isolata, poi ho avuto la possibilità di maggior movimento, ma sempre all’interno della sezione di Alta Sicurezza. Sono tuttora in quella sezione ma, fortunatamente, dal novembre 2013, la direzione del carcere "Due palazzi" mi ha autorizzato a frequentare la redazione di Ristretti Orizzonti. Mi è cambiato il mondo ed il modo di vivere questa detenzione a vita, ho incontrato altri detenuti, sono cambiato non solo negli atteggiamenti, ma anche nel riacquisire quel linguaggio che avevo perso vivendo sempre in mezzo a persone che parlavano prevalentemente di reati. Nella redazione c’è un grandissimo confronto, non solo con gli altri detenuti, ma anche con una pluralità di persone della società esterna, attraverso convegni, seminari, riunioni, incontri con operatori, magistrati, politici. L’attività principale, più utile e di grande soddisfazione è però il Progetto di confronto tra le Scuole e il Carcere. Una ventata di gioventù, migliaia di studenti ai quali ci proponiamo con le nostre storie che vogliono trasmettere non il racconto dei reati, ma i passaggi attraverso i quali siamo arrivati a superare i limiti della legalità: e così facciamo prevenzione, aiutando i ragazzi a riflettere sulle conseguenze di ogni azione, e sull’importanza di allenarsi a "pensarci prima". Questo ci porta a riflettere anche sul nostro passato e su quello che non vorremmo mai accadesse ai nostri figli. Questo mio impegno di partecipazione diretta a questo progetto con le scuole è faticoso, non è facile raccontare il peggio che è capitato nel corso della propria esistenza. Io ne ho fatto anche uno strumento di collegamento con i miei familiari che tuttora risiedono in Belgio, a loro faccio conoscere tante cose di questo mio nuovo percorso. Così mi sento una persona diversa, con delle giornate impegnate in qualcosa di utile, anche se per ora io e tanti altri nelle mie condizioni abbiamo un documento con quella data crudele alla voce "fine pena": 9999. Biagio Campailla Giustizia: flop "piano carceri", da Modena a Nuoro infiltrazioni e lavori in corso di David Evangelisti Il Fatto Quotidiano, 24 marzo 2014 Infissi pericolanti, strutture arrugginite, interruzioni di lavoro: l'ampliamento di 6 dei 16 penitenziari coinvolti nel progetto del Dap fa acqua. I garanti dei detenuti: "Ritardi inspiegabili". Se c’è stato uno spreco di soldi pubblici e una cattiva gestione degli appalti legati al Piano carceri dovrà essere la magistratura a dirlo. Quello che è certo è che i nuovi padiglioni di 6 carceri (su 16 coinvolte) presentano già evidenti criticità strutturali. Infiltrazioni, infissi pericolanti, strutture arrugginite per non parlare di interruzioni dei lavori in seguito a contenziosi: tutto ciò mentre ancora si cercano risposte da dare all’emergenza sovraffollamento, alla dignità dei detenuti e al lavoro delle guardie penitenziarie sempre più costrette a lavorare in condizioni difficili. Il Parlamento è stato chiamato a intervenire anche per un messaggio alle Camere del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano (con annesse polemiche su eventuali atti di clemenza come amnistia e indulto). A parlare di criticità e anomalie nel Piano carceri da 468 milioni di euro è stato il magistrato Alfonso Sabella, in passato ai vertici del Dipartimento amministrazione penitenziaria e ora al ministero nella veste di vicecapo del Dipartimento dell’organizzazione giudiziaria. Nel mirino anche le gare d’appalto e i "ribassi palesemente fuori mercato". Dall’Ufficio del commissario straordinario del governo per le infrastrutture carcerarie si parla però di "incomprensibile asserzione" che non troverebbe riscontro "né negli atti di gara né nelle verifiche delle offerte anomale". Il dossier dell’ex pm antimafia è comunque sul tavolo della Procura di Roma che ha deciso di aprire un fascicolo, al momento senza ipotesi di reato o indicazioni di indagati. Secondo Sabella il Piano nasconderebbe inoltre "un’appropriazione indebita" perché spaccerebbe propri gli interventi in realtà effettuati dal Dap e dal ministero delle infrastrutture. Il dossier tira in ballo gli interventi sui nuovi padiglioni di Catanzaro, Modena, Terni, Livorno, Santa Maria Capua Vetere e Nuoro (il Piano carceri prevede "lavori di completamento di nuovi padiglioni" in 16 penitenziari). A Santa Maria Capua Vetere tuttavia non sembrano esserci problemi: "Il padiglione è stato inaugurato nei mesi scorsi - afferma Adriana Tocco, garante dei detenuti della Campania - non l’ho ancora visitato ma al momento non ho avuto notizie di criticità strutturali". Il nuovo padiglione del carcere di Modena, inaugurato a inizio 2013, ha invece subito presentato criticità: "Disfunzioni incomprensibili per una struttura nuova" ha sottolineato Desi Bruno, Garante per i diritti dei detenuti dell’Emilia Romagna. Il malfunzionamento dell’impianto idraulico non ha ad esempio fornito per diverso tempo l’acqua calda. Anche il sindacato Sinappe nei mesi scorsi ha sottolineato più volte le criticità della struttura: dito puntato soprattutto contro la fatiscenza degli infissi, i cardini delle inferriate e il sistema d’apertura dei cancelli. La situazione attuale? "Le problematiche sono parzialmente risolte" afferma Bruno. L’associazione Antigone ha infine evidenziato come la struttura presenti già "segni della cattiva qualità dei materiali impegnati per la sua costruzione". Le cose non vanno affatto meglio nella casa circondariale di Nuoro. "I lavori, iniziati circa 3 anni fa, si sono interrotti nel settembre 2013 per un contenzioso tra il Dap e l’impresa esecutrice" spiega Gianfranco Oppo, Garante dei detenuti del Comune sardo. A quanto si capisce il contenzioso dovrebbe aggirarsi tra i 3 e i 5 milioni di euro. La struttura fino a ora realizzata "è una sorta di guscio vuoto in cui mancano infissi e impianti". La sensazione è che per il completamento dell’opera "si vada alle calende greche". Eppure ce ne sarebbe un gran bisogno di questo padiglione: "Nelle celle attuali si trovano contemporaneamente anche cinque ergastolani". A Livorno i lavori per il nuovo padiglione da 180 posti sono iniziati circa otto anni fa: la struttura non è ancora pronta per entrare in funzione. Marco Solimano, Garante per i diritti dei detenuti di Livorno, parla di "infiltrazioni, ingranaggi già arrugginiti e ascensori fuori uso". Poi aggiunge: "Sono sbigottito, il padiglione sarebbe dovuto entrare in funzione già due anni fa e ancora non si sa quando sarà operativo". Per quanto riguarda Catanzaro il sindacato Uil-Pa era venuto a conoscenza di "ripetuti allagamenti anche presso il nuovo padiglione non ancora in funzione". Spreco di soldi pubblici? A rispondere sarà la magistratura. Giustizia: piano carceri, soldi ai detenuti in caso di sovraffollamento di Liana Milella La Repubblica, 24 marzo 2014 Per evitare multe della corte di Strasburgo. Dieci euro al giorno e condanne ridotte del 20%. Ecco il piano carceri del governo, soldi ai detenuti e sconti di pena per rimborsare il sovraffollamento. Dieci euro al giorno e condanna ridotta del 20%. Un piano carceri nuovo di zecca. Quasi certamente per decreto legge. Con l’obiettivo di evitare che l’Italia debba pagare, dal prossimo maggio, multe milionarie ai detenuti che scontano la pena in condizioni disumane. Risarcimenti - già resi obbligatori dalla Corte dei diritti umani di Strasburgo - e sconti di pena: sono questi due i puntelli su cui si articola la manovra carceraria del Guardasigilli Andrea Orlando. Non è passato invano il suo primo mese in via Arenula. Nessuna intervista, ma "ogni giorno una riunione sulle carceri", come rivelano i suoi più stretti collaboratori. Oggi si vedrà il primo risultato concreto. Orlando vola proprio a Strasburgo e lì presenterà il suo progetto. Che Repubblica racconta. Con una premessa. A una cosa Orlando tiene, che non sia considerato un nuovo piano svuota-carceri e che non sia visto come un modo per "ripagare" con denaro una detenzione vissuta in meno di tre metri quadri di spazio vitale. Al ministero spiegano che "non sarà così, perché la compensazione economica è comunque prevista da Strasburgo e perché lo sconto di pena non solo è contenuto, ma sarà misurato dai giudici e riguarderà solo casi di soggetti che non hanno commesso reati gravi". Sono tre i punti chiave del pacchetto. Con un’osservazione preliminare fatta dai tecnici di Via Arenula: l’Italia, quanto alle carceri, ha fatto dei passi in avanti. A marzo i detenuti sono scesi poco sopra i 60mila rispetto agli storici 70mila. Le misure anti sovraffollamento che si sono susseguite con i governi Monti e Letta, ministri Severino e Cancellieri, hanno prodotto in media un calo di 350 detenuti al mese. Per il 28 maggio, quando la famosa sentenza Torreggiani che condanna l’Italia a pagare gli indennizzi diventerà operativa, la deficitaria capienza di 43mila posti arriverà a 49mila, grazie agli ultimi 1.500 posti che saranno consegnati. Tuttavia, chi ha subito una violenza dovuta a spazi ristretti deve essere risarcito. Strasburgo lo impone. Sta qui il primo punto. Orlando chiederà alla Corte Ue di trasferire in Italia i ricorsi giacenti di altrettanti detenuti, circa 3mila di cui almeno 2mila ammissibili. A occuparsene sarà o un giudice civile o molto più probabilmente il magistrato di sorveglianza, la figura giuridica che segue la vita di chi sta in cella. Al ministero della Giustizia sono convinti che questo passo - sgravare Strasburgo dal "peso" dei ricorsi - rappresenta un importante mossa di responsabilità politica di cui l’Italia non può fare a meno. A questo punto eccoci al piano concreto, come risarcire i detenuti che comunque hanno subito una carcerazione che ha leso "la loro dignità umana", secondo l’espressione usata da Corte dei diritti umani. Il "piano rimediale", come lo chiamano in via Arenula, prevede due strade, a seconda che il detenuto abbia già finito di scontare la pena e si rivolga alla giustizia quando è già fuori di cella, oppure che sia ancora in carcere con un residuo di pena da esaurire. In entrambi in casi, la richiesta di compensazione non potrà essere presentata dopo sei mesi da quando il fatto, lo stato di carcerazione disumana in questo caso, sia avvenuto. Due casi, due differenti soluzioni. La prima. Per chi è già fuori dal carcere, Orlando pensa a un indennizzo la cui cifra potrà variare tra i 10 e i 20 euro. Già prevedendo una possibile polemica, al ministero ricordano che la Corte Ue già stabilisce un rimedio compensativo e lascia agli Stati la facoltà di fissare la misura e gli strumenti in base al diritto interno. La seconda soluzione riguarda chi sta ancora dentro. L’ipotesi è di concedere al detenuto uno sconto di pena che però non potrà essere superiore al 20% rispetto al periodo ancora da scontare. In pratica, ogni giorno trascorso in cella in condizioni disumane e comunque non accettabili, in uno spazio inferiore addirittura ai 3 metri quadri, darà al carcerato un bonus per la pena successiva. Ogni giorno varrà di più di un giorno normale, ma mai in una misura superiore al 20 per cento. Lo staff di Orlando non smette di insistere sul fatto che questo rimedio non varrà mai per chi è detenuto al 41bis e nei circuiti di massima sicurezza e per chi ha commesso reati gravi e gravissimi. Politicamente, la sfida di Orlando è molto importante per il governo Renzi, soprattutto in vista del semestre di presidenza italiana della Ue. È una scommessa che lo stesso Orlando non può perdere. Per questo il Guardasigilli vuole portare a Strasburgo i nuovi dati sul pianeta carcere dai quali risulta in modo evidente che c’è stata un’obiettiva inversione di tendenza. Giustizia: una legge o un decreto per risarcire i detenuti ed evitare la condanna europea di Giovanni Bianconi Corriere della Sera, 24 marzo 2014 Un disegno di legge da approvare in tempi brevi, o un decreto che entri subito in vigore, per risarcire i detenuti che hanno subito il sovraffollamento nelle carceri italiane, che la Corte europea dei diritti umani (Cedu) ha sanzionato come "inumano e degradante". È la promessa che il ministro della Giustizia Andrea Orlando farà oggi e domani ai vertici del Consiglio d’Europa e della stessa Corte, nella sua missione a Strasburgo, per tentare di evitare le nuove condanne già annunciate un anno fa dai giudici che sorvegliano il rispetto delle norme comunitarie; uno sfregio che il governo vuole evitare a tutti i costi, anche perché arriverebbe alla vigilia del semestre a guida italiana del Consiglio Ue. E non sarebbe un buon viatico. L’emergenza - denunciata più volte anche dal capo dello Stato, Giorgio Napolitano, con un messaggio alle Camere rimasto pressoché inascoltato - resta tale. Però l’Italia sta lavorando per risolverla. I dati del soprannumero sono in calo rispetto al momento in cui, un anno fa, arrivò l’ultimatum della Cedu dopo la "sentenza pilota" che ha condannato l’Italia a risarcire con 100 mila euro complessivi sette detenuti che per dodici mesi erano stati rinchiusi in spazi troppo ristretti: se entro il maggio 2014 il governo di Roma non avesse trovato soluzioni, la Corte avrebbe preso in esame tutti gli altri ricorsi (ce ne sono oltre tremila pendenti, e ogni giorno se ne aggiungono di nuovi) con sanzioni che calcoli approssimativi stimano intorno ai 40 milioni di euro. All’epoca di quel verdetto-avvertimento i reclusi erano poco più di 66.000, venerdì scorso eravamo a 60.419. Sempre troppi rispetto alla capienza regolamentare di 47.857 posti. Anche i detenuti in custodia cautelare in attesa del processo di primo grado sono scesi, da oltre 14.000 a 10.864. Però la situazione non garantisce che non ci siano più persone che scontano la pena in meno di tre metri quadrati per ciascuno. E soprattutto non incide sulle violazione passate, che in un modo o nell’altro vanno risarcite. Ecco perché nei suoi incontri di oggi e domani con il presidente del Consiglio d’Europa, con il presidente della Cedu e con l’Alto commissario per i diritti umani, il ministro Orlando spenderà la carta di un provvedimento legislativo che - come accade per chi subisce una "ingiusta detenzione" attraverso la cosiddetta legge Pinto - garantisca degli indennizzi in Italia, senza la necessità di rivolgersi alla Corte europea. In questo i danneggiati potrebbero presentare le proprie istanze alle istituzioni italiane, e la Cedu lascerebbe cadere le migliaia di reclami che a Strasburgo attendono di essere esaminati. Se la Corte dovesse considerare adeguata questa "soluzione interna", l’Italia potrebbe ottenere di pagare cifre meno consistenti, anche meno della metà rispetto alle stime europee. Per chi è già uscito di galera, infatti, non c’è altro rimedio che il risarcimento economico, mentre per chi è ancora dentro si proverà con una decurtazione della pena, in modo da farlo uscire prima. Il problema di Orlando è convincere gli interlocutori che questo passo l’Italia lo farà in fretta, quindi un con disegno di legge da approvare entro qualche mese, del quale lui stesso si faccia garante: oppure con un decreto-legge, come aveva immaginato l’ex Guardasigilli Annamaria Cancellieri che però non riuscì a far passare la sua proposta. Orlando conta di avere migliore fortuna, anche perché la scadenza si avvicina e la brutta figura internazionale ricadrebbe sulle spalle del governo Renzi. Ma conta anche di far capire ai vertici europei che in questi mesi l’Italia non è stata con le mani in mano. Solo che a Strasburgo non ne hanno tenuto conto; oppure non sono stati sufficientemente informati, se il 6 marzo scorso è arrivato un ulteriore monito a prendere le contromisure necessarie a evitare la condanna. Il decreto divenuto legge il 19 febbraio (che prevede un "taglio" di 75 giorni per ogni sei mesi trascorsi in cella) non è considerato sufficiente, ma nel frattempo l’Italia ha provato a migliorare le condizioni di vivibilità nei penitenziari. Anche attraverso le convenzioni con le Regioni per i detenuti che possono accedere alle comunità di recupero, sui cui pure Orlando insisterà. Sperando di persuadere gli esponenti e i giudici europei che il terzo ministro della Giustizia italiano nell’ultimo anno - dopo l’avvocato Paola Severino e l’ex prefetto Cancellieri - è un politico di professione in grado di rispettare gli impegni che prende. Pena una condanna che peserebbe molto sul piano dell’immagine, oltre che su quello economico. Giustizia: Orlando a Strasburgo per evitare infrazioni e dover pagare 3mila risarcimenti di Stefania Divertito Metronews, 24 marzo 2014 2,5miliardi di euro, a tanto ammonta il "budget" statale per gestire il sistema carcerario italiano. 10mila detenuti non accedono alla rieducazione: i circa 700 al 41 bis, e gli altri all’alta a sicurezza. Tremila. È il numero-incubo per il sistema giustizia italiano. Il numero che il ministro Orlando cercherà di cancellare dalle pendenze del nostro Paese e che potrebbe costare caro, molto caro, alle nostre casse e alla nostra credibilità. Tremila sono infatti i risarcimenti legati ad altrettante cause che Strasburgo ha per ora congelato e che riguardano la cattiva situazione carceraria. Se entro il 28 maggio la situazione non dovesse essere affrontata con decisione e i numeri non dovessero cambiare, scatterebbe l’infrazione. Il ministro Andrea Orlando dovrà convincere l’Europa che l’Italia sta già facendo qualcosa e lo farà da oggi alla Corte dei diritti dell’Uomo dove non presenterà un maxi piano ("Di quelli ce ne sono già troppi", ha detto) ma una serie di misure precise. Due settimane fa è arrivato l’ultimo avvertimento dal Consiglio d’Europa e in gioco c’è anche la nostra immagine durante la guida del semestre europeo. Il pacchetto è top secret ma dal ministero qualcosa traspare. Intanto i numeri sono già incoraggianti: nel gennaio 2013, quando la Corte condannò l’Italia per il sovraffollamento, i detenuti erano circa 65.700. Oggi sono 60.800. Un "merito" del decreto svuota carceri dell’ex governo Letta. Ma da qui a maggio dovrebbe produrre qualche risultato anche la sentenza della Corte Costituzionale che ha annullato alcuni degli effetti della Fini-Giovanardi, che ha reintrodotto la distinzione tra droghe leggere e droghe pesanti, riabbassando le pene per i reati legati alle prime. I numeri qui sono ancora incerti, però ci si aspetta che le porte si riaprano per almeno altri duemila detenuti. L’altro fronte è aumentare la capienza delle carceri grazie all’apertura di nuovi padiglioni. L’aspettativa è che si arrivi a 50 mila posti. La bozza del piano punta anche sulla possibile cessione di alcune strutture obsolete, per fare cassa e liberare poi risorse per la conversione di alcune strutture in comunità dove allocare detenuti tossicodipendenti in comunità con un regime di pene alternative. Ma per questo servirà un confronto che già si preannuncia in salita con le Regioni. L’8 gennaio 2013 la Corte europea dei diritti europei ci aveva giudicati responsabili del sovraffollamento carcerario e dava il termine di un anno per porvi rimedio. Poi il governo ha ottenuto un allungamento del termine, che scadrà comunque il 27 maggio. Ed è l’ultima occasione anche per arginare i 3000 ricorsi bloccati un anno fa che puntano a ottenere un risarcimento proprio per la violazione delle "condizioni di umanità". Il Dap nella relazione che sta mettendo a punto per Orlando dimostrerebbe che le condizioni di permanenza sono migliorate proprio nelle situazioni più critiche: dove i detenuti si trovavano in spazi inferiori ai tre metri quadri. I posti letto sono 37 mila e devono bastare per 64 mila persone. C’è chi dorme sui materassi per terra e nei letti a castello a tre piani. Solo tremila persone riescono a essere inserite nei programmi per imparare qualcosa, un mestiere, un hobby, una qualsiasi cosa possa servire "dopo". Nel mondo che c’è fuori. Antigone è l’associazione che da sempre denuncia gli orrori del nostro sistema carcerario. Nel 57% dei casi gli ex detenuti ritornano, da recidivi. "Il carcere - denuncia l’associazione - è una macchina che alimenta se stessa, crea la propria domanda, indifferente al proprio fallimento". L’Italia, nei dati forniti dal monitoraggio che Antigone svolge ogni anno autorizzata dal Dap, si conferma agli ultimi posti in Europa per civiltà nelle carceri: il nostro tasso di affollamento è del 134,4%, distante dalla media Ue del 99,5%. Un dato tra l’altro al ribasso, poiché tiene conto della capienza regolamentare di 47.649, mentre è riconosciuto che i posti effettivi sono circa 37mila. La percentuale "schizza" a oltre il 173%. "Negli istituti - ci dice il presidente di Antigone, Patrizio Gonnella - il 35% dei detenuti viene da altri paesi, 2 su 5 per aver violato la legge sulle droghe, il 6,4 per fatti veramente irrilevanti". Giustizia: Orlando va a Strasburgo, ma i giudici della Cedu vogliono vedere dei fatti di Silvia Barocci Il Messaggero, 24 marzo 2014 In gioco ci sono tremila cause che Strasburgo ha congelato fino alla mezzanotte del 27 maggio prossimo per un totale di decine di milioni di euro di risarcimento. Ma la posta più alta è senz’altro l’immagine dell’Italia, che rischia di assumere la guida del semestre europeo con il fardello di una condanna della Corte dei diritti dell’uomo per "trattamento inumano e degradante" riservato ai detenuti. Il ministro della Giustizia Andrea Orlando ne è perfettamente consapevole. Ed è per questo che oggi e domani sarà a Strasburgo. Per dimostrare, dati alla mano, che un’inversione di rotta già c’è stata nelle sovraffollate carceri italiane: i detenuti, che nel 2010 avevano toccato il picco di 69mila, oggi sono scesi a 60.400. Ma soprattutto - ed è questa la vera novità - per annunciare un provvedimento con due "misure compensative" in favore di chi è stato detenuto in celle con uno spazio vitale inferiore ai tre metri quadrati. Le soluzioni sono: 1) risarcimenti pecuniari (tra i 10-20 euro al giorno per il periodo di accertata detenzione in una cella sovraffollata) in favore di coloro che non sono più in carcere ma che hanno già presentato ricorso a Strasburgo o che lo faranno entro un termine di sei mesi dalla cessata violazione; 2) sconti di pena per chi si trova ancora ristretto (in questo caso 24 ore in uno spazio inferiore ai tre metri quadrati sarebbero calcolate come una pena maggiormente afflittiva, pari a 1,2 giorni, e dunque lo sconto sarebbe non superiore al 20% del periodo residuo da scontare). Rientro in Italia Strasburgo guarda con molta preoccupazione la valanga di reclami che arrivano dall’Italia. Il provvedimento di Orlando - ancora non è chiaro se sarà un decreto o un disegno di legge - consentirebbe di far rientrare in Italia i circa 3mila ricorsi pendenti e di risolvere quelli che saranno presentati fintanto che non sarà cessata l’emergenza. Alcuni nodi del testo restano da sciogliere, ad esempio se le domande debbano essere presentate per via amministrativa o al magistrato civile oppure al tribunale di sorveglianza. L’asso che Orlando si appresta a calare a Strasburgo resta però un annuncio. E i giudici della Cedu vogliono vedere i fatti. A queste richieste, il Guardasigilli è pronto a rispondere con numeri precisi e aggiornati. Il primo: da quando è stato approvato l’ultimo "svuota-carceri" del governo Letta, i detenuti stanno diminuendo al ritmo di 300-350 al mese. Tenendo conto che ad oggi sono 60.400, per maggio l’Italia conta di scendere sotto quota 60mila. Sempre per quella data, si calcola che non ci saranno più detenuti in spazi inferiori ai tre metri quadri a testa: in situazione di criticità sono attualmente in 2.373 ma solo movimentando 621 detenuti il problema sarà risolto. Inoltre, entro maggio saranno disponibili 1.500 nuovi posti che dovrebbero far salire la capienza regolamentare a circa 50mila unità. Le nuove misure Ovviamente non è solo questione di numeri. Strasburgo valuterà altre misure: quante ore i detenuti sono fuori dalle celle (otto ore nel 60% dei casi, ma il numero aumenterà). E ancora: Orlando l’altro giorno ha siglato un protocollo d’intesa col garante dell’infanzia per tutelare i 100mila bambini che fanno visita a genitori in carcere. Se il Guardasigilli avrà convinto Strasburgo lo si saprà il 28 maggio. Per quella data i giudici potrebbero anche concedere altri sei mesi di "bonus", per consentire all’Italia di completare un quadro di riforme che al momento non prevedono né amnistia né indulto. Torreggiani, l’ex recluso che ha convinto l’Europa Di lui i giuristi parlano, in gergo, come del "caso pilota". Ma Mino Torreggiani, classe 1948, è un tenace ex detenuto che da solo, senza avvocato, si è presentato a Strasburgo e ha ottenuto un risarcimento di circa 33mila euro per aver scontato la sua pena in una cella nel carcere di Busto Arsizio dove lo spazio era poco meno di due metri quadrati a testa. Quella condanna inflitta allo Stato italiano dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, che l’otto gennaio del 2013 ha deciso il ricorso Torreggiani e quelli di altri sei detenuti di Busto e di Piacenza, fa da apripista a tutti gli altri tremila reclami italiani che Strasburgo ha "congelato" fino al prossimo 28 settembre. La banda del tir In carcere Torreggiani c’era entrato nel novembre del 1993. Faceva parte della banda dei tir ed era finito nella rete dell’operazione Golden Truck. Poi, a fine 2006, il trasferimento nel carcere di Busto Arsizio. Lì è cominciato il suo calvario, in un luogo dove le condizioni igieniche lasciavano (a dir poco) a desiderare e farsi una doccia era un’impresa. La sua cella era di nove metri quadrati ("compreso il mobilio", ricordano i giudici di Strasburgo) ma l’aveva dovuta condividere con altri due detenuti. Risultato: il suo spazio vitale, e quello dei compagni di cella, era di meno di due metri quadrati a testa. Contro uno standard minimo fissato da Strasburgo in tre metri quadrati. Gli altri casi La "sentenza pilota Torreggiani", come viene oggi definita, ha riguardato anche altri sei detenuti di cui quattro stranieri (due marocchini, un albanese e un ivoriano). Complessivamente, l’Italia ha dovuto rimborsare centomila euro per danni morali. Se entro la fine di maggio non avremo convinto la Corte di Strasburgo sul cambiamento di rotta, il rischio è che al nostro Paese vengano inflitte condanne salatissime. Giustizia: ministro Orlando; a Strasburgo no ipotesi sconti di pena e compensi ai detenuti Agi, 24 marzo 2014 La proposta sul piano carceri che il ministro della Giustizia Andrea Orlando presenterà a Strasburgo non contiene "dettagli e ipotesi su sconti di pena ed eventuali risarcimenti" così come anticipato dai media. La puntualizzazione arriva dal dicastero di via Arenula, che in una nota spiega: "In merito ad anticipazioni comparse su alcuni organi di informazione relative al pacchetto organico di proposte sulle carceri che il ministro Orlando presenterà nella sua visita di oggi e domani a Strasburgo, l’ufficio stampa precisa che tali anticipazioni riportano dettagli e ipotesi su sconti di pena ed eventuali risarcimenti che non saranno oggetto della proposta che sarà presentata" poiché" aspetti ancora in fase di studio e che dovranno essere ulteriormente approfonditi anche alla luce dei colloqui di Strasburgo". Giustizia: estradato in Italia? no, carceri stracolme di Patrizio Gonnella Italia Oggi, 24 marzo 2014 Le condizioni carcerarie italiane rendono difficili le esigenze di cooperazione in materia di giustizia con gli altri Paesi. Lo scorso 11 marzo è stata negata l’estradizione in Italia per il cittadino somalo Hayle Abdi Badre. La Corte reale di giustizia di Londra ha rigettato la richiesta proveniente dalla Procura di Firenze. Non sarebbero state fornite sufficienti rassicurazioni dal Ministero della giustizia intorno ai rischi di sottoposizione a trattamenti inumani e degradanti nelle nostre carceri. Infatti persiste una situazione di affollamento che ci pone ai vertici della classifica europea. D’altronde, solo sei giorni prima, il Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa aveva ritenuto insufficienti le misure prese dal Governo italiano per soddisfare le richieste presenti nella sentenza pilota Torreggiani. Quest’ultima ci obbliga entro fi ne maggio 2014 ad assumere provvedimenti che garantiscano ai detenuti nelle nostre carceri una reclusione non violativa della dignità umana. Lunedì scorso un altro giudice londinese, sulla base del precedente della Corte reale di giustizia, ha negato l’estradizione in Italia di un altro detenuto, Domenico Rancadore, condannato negli anni novanta a sette anni di carcere per associazione a delinque di stampo mafioso. Rancadore viveva da molti anni nel Regno Unito fi no a quando è stato fermato e incarcerato dopo che sono sopraggiunti due mandati di arresto europeo. La Corte di Westminster, pur avendo una posizione favorevole alla procedura di estradizione, ha ritenuto di non poter prendere una decisione diversa dal precedente giurisprudenziale della più alta Corte. Il sistema di common law attribuisce infatti grande peso alla case-law. Si tratta di sentenze che pesano nei rapporti tra gli Stati e che dovrebbero indurre le nostre autorità a non rallentare i processi di riforma. Inoltre nei prossimi mesi il sistema penitenziario italiano andrà anche sotto la lente di osservazione del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite. L’Italia sarà giudicata da quegli stati che compongono l’organismo di monitoraggio dell’Onu. Giustizia: la legge è uguale per tutti… per tutti, meno che per i militari americani di Alessio Schiesari Il Fatto Quotidiano, 24 marzo 2014 Vicenza, fuga dai giudici italiani. I militari Usa che commettono reati comuni si fanno giudicare in patria. così rischiano di farla franca imputati di stupri e aggressioni. La giustizia è uguale per tutti. Per tutti meno che per i militari americani: sbagliano in Italia, ma vengono giudicati altrove. È successo novantuno volte negli ultimi quindici mesi. Gli unici ad accorgersene sono quelli che hanno subito i loro reati: vittime di serie B che non possono nemmeno assistere al processo da cui dovrebbero ottenere giustizia. Succede ovunque c’è una base Usa. A Vicenza, dove ce ne sono due, succede più che altrove. La notte del 9 novembre al Disco Club Cà di Dennis è in programma una festa: musica reggae, champagne e porchetta per tutti. Durante la notte un’adolescente esce. Un ragazzo conosciuto dentro la discoteca la spinge in un angolo buio, le tappa la bocca per impedirle di urlare e la violenta. Quando un passante si avvicina, il ragazzo scappa a piedi. Lei è una 17enne sudamericana che vive in provincia di Vicenza. Lui - secondo l’identificazione dei carabinieri - sarebbe Jerelle Lamarcus Gray, un militare della nuova caserma statunitense Del Din, più conosciuta col nome di Dal Molin. La ragazza racconta tutto ai carabinieri e la procura apre un fascicolo, ma quel processo rischia di non essere mai celebrato, almeno in Italia. L’ufficio legale dell’Usaraf - la divisione dell’esercito statunitense a Vicenza - ha scritto al ministero della Giustizia per sollecitare "la rinuncia al diritto di priorità alla giurisdizione penale". Tradotto dal burocratese, l’esercito chiede che il processo si celebri negli Usa. Grazie all’articolo 7 della Convenzione di Londra, infatti, i militari Nato possono essere giudicati nel Paese di appartenenza invece che in quello dove commettono il reato. È una storia già sentita: i quattro responsabili della strage del Cermis - quando un aereo militare tranciò una funivia causando la morte di venti persone - vennero processati negli Usa. Furono tutti assolti. Gray però non stava pilotando un aereo militare né stava svolgendo un’esercitazione. Era un militare in libera uscita che aveva deciso di trascorrere una serata in discoteca. Gli archivi del Giornale di Vicenza sono pieni di casi in cui l’Italia abdica al dovere di perseguire i colpevoli. Il 15 marzo, il ministero rinuncia a processare un militare di Camp Ederle che aveva simulato un incidente stradale. Il 28 febbraio, dopo otto anni di rinvii, viene archiviato un fascicolo a carico di due militari accusati di avere improvvisato una gara automobilistica per le strade della città. Ad agosto tocca a quattro soldati che, qualche mese prima, avevano investito tre pedoni ed erano scappati senza soccorrerli. In base agli accordi Nato, se gli Usa vogliono che un militare venga processato a casa, devono richiedere l’autorizzazione al ministero di Giustizia italiano. Negli ultimi 15 mesi è successo ben 113 volte e l’Italia ha già detto 91 sì. Novantuno reati commessi in Italia che i tribunali italiani non giudicheranno mai. La convenzione non prescrive su che basi il governo debba prendere una decisione. "Il criterio è la convenienza politica", spiega il procuratore capo di Vicenza, Antonio Cappelleri. La gravità del reato e gli indizi di colpevolezza non contano nulla. L’ufficio cooperazione internazionale del ministero ammette che "le richieste vengono accolte quasi sempre perché la convenzione Nato chiede di valutarle con benevolenza". Sarà, ma l’Italia è uno dei Paesi che interpreta gli accordi in modo più lasco. A complicare le cose c’è la situazione dei tribunali. A Vicenza ogni procuratore ha circa 2mila fascicoli arretrati. Per questo nessuno considera un dramma che qualche processo venga archiviato. Nessuno a parte le vittime. L’attesa che il ministero si pronunci sulla richiesta dell’esercito sulla violenza alla diciassettenne è vissuta con angoscia. "Se il processo si celebrerà negli Usa, i genitori non avranno la possibilità di partecipare. Non parlano inglese e gli avvocati negli Usa non sono economici", spiega Anna Silvia Zanini, la legale della ragazza. Inoltre, l’indagine dovrebbe ripartire da capo perché "le autorità Usa non chiedono i fascicoli delle indagini", spiega Cappelleri. Il precedente del Cermis, fa sorgere molti dubbi sulla regolarità di questi processi. Ma al ministero non sembra interessare: manca perfino una statistica sulle condanne emesse. Le basi straniere a Vicenza sono due: la Ederle - formalmente assegnata alla Nato - e il Dal Molin, considerata territorio Usa a tutti gli effetti. In entrambe, non solo è proibito entrare, ma persino guardare dentro. Sono delimitate da una fitta recinzione verde ornata da filo spinato e intervallata dai cartelli gialli "zona militare". Gli attivisti contrari alla base periodicamente squarciano le recinzioni, ma i militari sono rapidissimi a rimpiazzarle. Il complesso misura 60 ettari, una volta e mezzo il Vaticano. All’interno si trovano 31 edifici tra cui alloggi, bar, ospedali e piscine. Con oltre 12 mila statunitensi su 113 mila abitanti, Vicenza è di gran lunga la città più "americana" d’Italia ma, girando per il centro, quasi non si vede. A parte qualche incontro sporadico in gelateria o in pizzeria, la comunità Usa sembra invisibile. L’eccezione è il sabato sera, quando i ragazzi delle due basi - quasi sempre poco più che ventenni - si comportano come tutti i militari del mondo: affollano i bar con lap dance in cerca di compagnia o escono a bere. Uno dei loro punti di ritrovo è il Crazy Bull di Torri di Quartesolo, appena fuori Vicenza: luci al neon, scritte in inglese, arredamento pacchiano, assomiglia a tanti altri locali disseminati nelle zone industriali del Veneto. Al Crazy Bull però vanno quasi solo americani. "Risse ce ne sono sempre state, ma dopo l’Afghanistan e l’Iraq la situazione è peggiorata. I ragazzi tornano distrutti, non capiscono più niente", racconta Mimmo, il gestore. Forse perché la 173esima brigata di fanteria aviotrasportata, il battaglione ospitato al Dal Molin, quando va in guerra combatte sul serio. Era in prima linea a Falluja, in Iraq. In Afghanistan i marine partiti da Vicenza sono stati ripresi mentre davano fuoco ai cadaveri dei miliziani per stanare i talebani dai rifugi. Non c’è da stupirsi se molti, al ritorno, si portano dietro gravi problemi psichiatrici. Il comando della base lo sa e ha provato a prendere delle contromisure: ha istituito un numero di emergenza contro gli stupri, ha proibito il consumo di alcol nella zona militare e, prima di rimandare i soldati negli Usa, impone a ciascuno un mese di terapia. Non sempre però è sufficiente. Il 22 febbraio 2004, la polizia di Vicenza trova una ragazza nigeriana che vaga in stato di choc. È completamente nuda, sanguina e ai polsi ha delle manette. Gli agenti provano ad aprirle, ma la chiave non funziona. Sono manette diverse, il modello è quello in dotazione all’esercito Usa. A ridurla così è stato James Michael Brown, un parà appena tornato da una missione in Iraq (circostanza che verrà riconosciuta dal tribunale come attenuante). Ha concordato con la ragazza una prestazione sessuale, l’ha fatta salire in auto e, dopo averla ammanettata, l’ha violentata e seviziata per ore. Per Brown gli Usa non hanno mai chiesto la rinuncia alla giurisdizione. Per questo, lui sì, viene processato in un’aula italiana, seduto davanti alla scritta "la legge è uguale per tutti". Trascorre un anno in carcere, ma i termini per la carcerazione preventiva scadono. L’esercito per un po’ lo tiene in custodia in Germania, poi lo rimette in libertà. Quando arriva la condanna definitiva a cinque anni e due mesi, Brown è già tornato in Oregon. Deve ancora terminare di scontare la sua pena ma, a distanza di quasi dieci anni, l’Italia non risulta aver chiesto l’estradizione. Giustizia: intervista a Fabrizio Corona "così il carcere mi ha salvato la vita" di Giuseppe Guastella Corriere della Sera, 24 marzo 2014 Provato, non rassegnato. Meno spavaldo, ma sempre proiettato su stesso, perché, ammette, "il dna non lo puoi cambiare". In bilico tra rabbia ed espiazione, dopo quattordici mesi di reclusione l’ex re dei paparazzi Fabrizio Corona fa i conti con se stesso e nella sua prima intervista dal carcere di Opera risponde per iscritto ad alcune domande. Condannato a un totale obiettivamente spropositato di quattordici anni e due mesi, con i suoi avvocati Gianluca Maris e Ivano Chiesa ha ottenuto la "continuazione" tra le due sentenze di Vallettopoli (diciassette mesi a Milano, cinque anni a Torino) e con essa una sostanziosa riduzione del cumulo che, in attesa della definizione di altre vicende e detratto quanto già scontato, è sceso a sei anni e undici mesi. Come sta vivendo il carcere? "Il carcere mi ha salvalo la vita. Mi ha fatto tornare con i piedi per terra. È riuscito a fermare un treno in corsa perenne da anni che ultimamente aveva perso sogni, equilibri e alzato troppo l’asticella del limite. Mi ha fatto scoprire il senso della realtà, insegnato a star bene con me stesso e messo nelle condizioni di proseguire nel migliore dei modi lungo la strada della vita quando tornerò libero". Corona non più oltre i limiti? "Sono sempre lo stesso, il dna non lo puoi cambiare. Però sono migliorato, in tante cose. Sono più vero, più lucido e più uomo perché ho visto gente soffrire e morire, ho visto il tormento, la paura, lo sconforto, la vera solitudine e l’abbandono, ho capito cosa sono la cattiveria e la vera violenza. Tutto questo mi ha reso più forte". Pensa ancora di essere vittima di alcuni magistrati? "Nei miei confronti non c’è mai stata parità di giudizio: o scandalosamente innocente o dannatamente colpevole. È sempre stata solo una questione di simpatia o preconcetto, pregiudizio. Qui mi sono reso conto ancora di più dell’ipocrisia della giustizia italiana, che non è egualitaria. Assassini colpevoli condannati a 12 anni e solo presunti condannati all’ergastolo, anni di pena dati come fossero noccioline in carceri dove il concetto di rieducazione non esiste, dove le condizioni di vita, di igiene, di convivenza sono disumane e vergognose". Ora ha ottenuto una notevole riduzione della pena. "Quando ho presentato l’istanza di messa in continuazione poteva capitarmi un giudice a cui stavo simpatico o uno che mi odiava. Dovevo solo sperare di trovare un giudice che avesse il coraggio di guardare gli atti, studiarli e fare giustizia senza timore di ferire i benpensanti e i finti moralisti. Un giudice capace di prendersi delle responsabilità, onesto, vero, giusto. L’ho trovato. Questo giro, finalmente, mi è andata bene. Ricordo lunedì 10 febbraio. Scendevo le scale per andare in sala avvocati come un robot. Quando si è aperta la porta ho guardato gli avvocati negli occhi. Mi hanno fatto un grande sorriso e ho ripreso a respirare". Qual è stato il suo errore peggiore? "Rifiutare un patteggiamento ad otto mesi per Vallettopoli, un’indagine assurda, ma nessuno ha avuto mai il coraggio di ammetterlo, a causa della quale ho preso tre condanne, compresi i 3 anni e 10 mesi per bancarotta, dopo aver risarcito il danno. Da incensurato fui arrestato e portato a Potenza, feci un mese di carcere duro con quel Pepe Iannicelli, boss delle ‘ndrine bruciato vivo due mesi fa con la fidanzata e quell’angelo di suo nipote di soli 3 anni. È normale che dopo 4 mesi di detenzione preventiva sono uscito arrabbiato". E ne ha fatte di tutti i colori. "Ce l’avevo con il mondo intero, mi sono perso e ho commesso un sacco di errori". Cosa fa? "Faccio moltissimo. Quando ero a Busto Arsizio ho inventato un portale innovativo per i detenuti, ho raccolto circa 70 mila euro per loro, ho scritto un libro, ho lavorato come porta vitto e sono riuscito dal carcere a mandare avanti la mia azienda senza farla fallire e mi sono mantenuto in forma allenandomi per almeno un’ora al giorno. Ho sempre tenuto vivo il cervello e ho ripulito l’anima". Con la libertà, cosa le manca? "Mi manca tantissimo mio figlio e mi mancano da morire le emozioni quotidiane che la vita ti dà. Qui, in parte, è come essere morti". La prima cosa che farà al primo permesso? "Vado a scuola a prendere mio figlio. È un anno che mi immagino questa scena, e so che solo quando lo vedrò uscire mi renderò conto di quante cose ho buttato nella mia vita, quante cose ho veramente perso". Lucca: Casa di accoglienza "San Francesco", una targa in ricordo di Don Beppe di Brunella Menchini www.loschermo.it, 24 marzo 2014 "Ha lasciato un nuovo metodo di ascolto e di approccio nei confronti sia dei detenuti sia degli operatori. Io personalmente lo rammento come fosse ancora vivo e mi rammarico di non averlo mai abbracciato" a parlare è Francesco Ruello direttore del carcere di San Giorgio: nelle sue parole il ricordo di Don Giuseppe Giordano parroco di San Pietro a Vico dal 1984, per quattro anni cappellano del carcere, morto il 21 febbraio 2013. Avrebbe compiuto 71 anni il prossimo 24 marzo, don Beppe, parroco per vocazione, da sempre vicino agli "ultimi della vita" per indole personale, e domani verrà ricordato alla casa di accoglienza San Francesco recentemente insediata in via del Ponte proprio a San Pietro a Vico. L’appuntamento è per le 18: nell’occasione sarà dedicata a Don Beppe la sala degli incontri con l’apposizione di una targa. Una scelta non a caso, visto che il parroco non mancava mai di sottolineare l’importanza del fattore ‘umano’ nella vita di un detenuto, lui, che cedeva gran parte del proprio ‘stipendio’ ai reclusi soli e senza famiglia ‘per evitare che si prostituiscano per del sapone, dentifricio, o un pacchetto di sigarette: è una questione di dignità dell’essere umano" diceva. E il mondo del carcere lo conosceva bene Don Beppe: "Sono figlio del primario del manicomio e so cosa vuol dire il mondo ristretto dei richiusi. Tutti i mondi chiusi, per ragioni psichiatriche o giudiziarie, hanno le loro caratteristiche e bisogna imparare a tenerle sempre presenti" ci aveva raccontato in un’intervista rilasciata dopo mille reticenze. Una chiacchierata nella penombra di una stanza ‘piena di cosè, durante la quale aveva sottolineato l’importanza del lavoro per un detenuto, la necessità di scandire il tempo, di occupare le mani. Poi la solitudine in celle sovraffollate e l’assurdo business delle nuove costruzioni paventate mille volte a Lucca ma mai veramente volute: "Un carcere nuovo è una bella cosa soprattutto per chi lo fa e per chi lo commissiona" aveva detto. Non c’erano cristiani o musulmani per don Beppe che era ben voluto da tutti e che a tutti lasciava un segno indelebile della sua persona: allo stesso modo l’incontro di domani, cui farà seguito un piccolo rinfresco, sarà aperto a tutta la comunità. Saranno presenti l’arcivescovo Italo Castellani, il Gruppo Volontari Carcere, il direttore del carcere Francesco Ruello ed il nuovo cappellano don Simone. Viterbo: detenuto tenta di impiccarsi in cella, salvato dai poliziotti penitenziari www.tusciaweb.eu, 24 marzo 2014 È stato salvato in extremis il detenuto straniero che sabato sera ha provato a impiccarsi al carcere Mammagialla. Si tratta di un algerino di 36 anni. Ignoti i motivi del suo gesto. Verso le 20,30, ha costruito un cappio con una corda annodata alle sbarre della finestra, se lo è stretto intorno al collo e si è lasciato andare. Un agente lo ha trovato durante il giro delle ispezioni. Immediati i soccorsi. Il poliziotto ha subito chiamato in suo aiuto i colleghi e i sanitari. Un pronto intervento decisivo per salvare la vita al detenuto, trasferito, subito dopo, all’ospedale Belcolle. Vivo per fortuna e, soprattutto, per la prontezza di medici e poliziotti. "Anche in condizioni di totale disagio continuiamo a salvare vite umane", afferma Danilo Primi, dell’Ugl polizia penitenziaria. Mercoledì il sindacato ha proclamato l’astensione dalla fruizione del servizio mensa. "Alla base di tale decisione - spiega lo stesso Primi in una nota - vi è la presa d’atto che l’amministrazione, in tutte le sue articolazioni e principalmente quella locale non hanno inteso avviare delle iniziative utili a far riemergere il contingente di polizia penitenziaria di Viterbo dalla situazione critica in cui attualmente è relegato". Il problema è lo stesso da anni: carenza di personale. A fronte di una capienza di 700 detenuti, gli agenti a Mammagialla sono circa 350. Genova: Osapp; poliziotta aggredita da una detenuta… rinnovare subito i vertici del Dap www.genova24.it, 24 marzo 2014 Ancora allarme nelle carceri genovesi. Questa volta capita nella casa circondariale di Pontedecimo dove una detenuta ha aggredito una poliziotta penitenziaria, cercando di sottrarle le chiavi della sezione, al primo piano del carcere. La reazione della poliziotta e l’intervento di altre colleghe hanno permesso di bloccare la detenuta. Il fatto - avvenuto tre giorni fa - è stato reso noto oggi dal sindacato autonomo della polizia penitenziaria Osapp, il cui segretario generale, Leo Beneduci, nello stigmatizzare l’episodio, lamenta "la mancata sostituzione da parte delle strutture centrali ministeriali del provveditore regionale della Liguria, dopo che quello precedentemente in carica è andato in pensione". Si tratta - ha detto il segretario generale dell’Osapp, che ha sollecitato di nuovo "un rinnovo completo dei vertici del Dap" - di una "figura fondamentale in grado di dare risposte e supporti adeguati alla polizia penitenziaria, che, in un breve lasso di tempo, ha perso oltre 900 addetti sul territorio nazionale". Trani: due detenuti approfittano delle ore di "socialità" per aggredirne un altro www.radiobombo.com, 24 marzo 2014 Hanno approfittato di uno dei momenti di socialità durante i quali i detenuti lasciano le celle per cercare di portare a termine un progetto delittuoso nei confronti di un altro detenuto. I protagonisti della vicenda sono due detenuti ristretti nel penitenziario di Trani, F.L.S., 33 anni di Andria, condannato con fine pena nel gennaio 2017 e P.D.E., 31 anni, di Andria condannato anch’egli con fine pena nel marzo 2017. Durante un momento di socialità, si sono introdotti all’interno di una stanza comuna della sezione "Italia" ed avvicinatisi al televisore presente in stanza ne aumentavano il volume per non far udire all’agente di servizio eventuali grida. Hanno avuto modo così di aggredire con un oggetto C.Q., 25enne anch’esso di Andria e condannato con fine pena nel 2017. La vittima ha riportato lesioni guaribili in un mese, gli Agenti di Polizia Penitenziaria sono prontamente intervenuti evitando ulteriori conseguenze ed hanno accompagnato l’aggredito presso il nosocomio di Andria. Scattate le indagini, gli investigatori della Polizia Penitenziaria sono risaliti ai due aggressori, arrestandoli e mettendoli a disposizione dell’Autorità Giudiziaria. Sono ancora in corso le indagini per scoprire gli altri complici che hanno concorso, con gli arrestati, all’azione criminosa. Verona: Progetto Grundtvig in carcere, promossa la scuola "lavoro oltre la formazione" di Ilaria Moro L’Arena, 24 marzo 2014 Venti delegati provenienti da Paesi europei e altre regioni italiane in sopralluogo a Montorio. Delegati europei provenienti da sei Paesi entrano nel carcere di Montorio. Non si tratta dell’epilogo giudiziario di un complotto internazionale, ma della tappa italiana del progetto europeo "Grundtvig - Mentoring teachers in prison education", che si è tenuta proprio nella casa circondariale di Verona, su adesione di Luciana Marconcini, dirigente scolastica dell’Istituto comprensivo 15 di Borgo Venezia, in cui rientra anche la casa circondariale. E grazie alla disponibilità della direttrice del carcere Mariagrazia Bregoli. Una ventina circa di delegati, provenienti da Belgio, Ungheria, Estonia, Turchia e Grecia, oltre che da altre regioni d’Italia, hanno visitato il settore scolastico e il settore lavorativo della prigione, guidati da Marconcini, Bregoli e dagli insegnanti che quotidianamente lavorano con i detenuti. La casa circondariale di Montorio conta circa 200 studenti divisi in otto corsi di alfabetizzazione e tre corsi di scuola media. Le classi sono divise in tre categorie; oltre all’ovvia distinzione maschile e femminile, c’è quella dei detenuti isolati e protetti. Ai corsi, si aggiungono altre attività come il laboratorio di Microcosmo, il giornale del carcere. Obiettivo del progetto, e della riunione veronese, quello di individuare i punti di forza e le criticità proprie di ciascun sistema educativo, scolastico e formativo in carcere. Trovare insomma buone prassi da condividere e cercare soluzioni comuni alle problematiche, in vista di un modello non unico ma simile cui tendere a livello europeo; con un focus particolare sulle metodologie di tuto-raggio degli insegnanti in carcere. Le difficoltà, per chi è chiamato a trasmettere il significato di lettere e numeri, grammatica, geometria e letteratura ai chi vive dietro le sbarre, sono molte. "Serve una preparazione specifica, oltre che un periodo di assestamento. Il rapporto con i detenuti è il momento più semplice: serve invece tempo per capire come funziona la vita nel carcere, le corrette procedure e la burocrazia sono parte integrante del mestiere. Inoltre, si ha di fronte un gruppo classe in continua riformulazione", spiega Paola Tacchella, insegnante esperta. Una delle carenze, nel nostro Paese, è l’assenza di un periodo di formazione specifico per questo tipo di didattica. "Siamo tutor dei nuovi colleghi ma manca un percorso definito: è uno degli obiettivi cui tendere", analizza Marconcini. Il punto di forza della realtà carceraria veronese individua to dalla delegazione è, invece, quello di avere in spazi vicini e comunicanti tra loro l’area della formazione scolastica e quella della formazione al lavoro. "Sono due aspetti importanti, tutti e due proiettati a riconsegnare al detenuto una propria dimensione di indipendenza una volta chiusa la parentesi detentiva", commenta Gert Hurkmans, coordinatore del progetto. "Questa tappa è un’occasione per noi preziosa per mostrare all’Europa le buone prassi che coinvolgono la realtà penitenziaria Una realtà che certo ha criticità e aspetti molto difficili e delicati come quello del sovraffollamento. Ma che presenta anche sinergie e voglia di miglioramento e cambiamento. Puntando molto sul recupero sociale-lavorativo dei detenuti e al loro reinserimento", commenta Marconcini. "L’offerta formativa che offriamo è ampia e articolata. E importantissima: una persona alfabetizzata è per noi un prigioniero più gestibile, con cui si riesce ad interagire meglio", aggiunge Bregoli". Sassari: Giornate Fai, diecimila persone in fila per visitare il carcere di San Sebastiano La Nuova Sardegna, 24 marzo 2014 Tra curiosità ed emozione, la città si è messa pazientemente in coda in via Roma. E alla chiusura mille sono rimasti fuori. Una folla impressionante. Intere famiglie in coda per ore, anche sotto la pioggia, per visitare il carcere di San Sebastiano aperto per due giorni dal Fondo Ambiente Italiano nell’ambito delle "Giornate Fai di Primavera". Questa non è solo la cronaca del grande successo di una manifestazione culturale. Nel fine settimana, in via Roma c’è stato anche un irripetibile evento sociale: una città intera si è riversata all’interno dell’edificio ottocentesco che fino a otto mesi fa ospitava duecento detenuti. Alle 19, dopo avere chiuso i cancelli della ex casa circondariale, con oltre mille delusi per essere rimasti fuori, il Fai ha reso noti i numeri che hanno stupito gli stessi organizzatori. Sono stati diecimila i visitatori in due giorni. È il terzo sito più visitato in Italia dopo gli studi Rai di Milano e i palazzi Palmieri e Martinelli a Monopoli,. in Puglia. Per quarantotto ore i sassaresi e molti visitatori arrivati dai centri della provincia si sono confrontati con la realtà dura, e fino a sabato solo immaginata, della espiazione della pena vissuta in un edificio strutturalmente inconciliabile con il rispetto della dignità umana. L’impatto emotivo è stato forte e in tanti, appena usciti, hanno espresso i propri sentimenti nei social network. Con questa importante edizione delle giornate Fai di Primavera Maria Grazia Piras lascia il suo incarico di presidente regionale del Fondo Ambiente Italiano, diventato incompatibile con la recente nomina ad assessore regionale all’Industria. "L’enorme successo concretizzato in Sardegna dalle Giornate Fai di Primavera - ha detto Maria Grazia Piras - è un risultato importante per i tanti delegati e le centinaia di volontari che hanno lavorato con grande impegno per far conoscere ai cittadini i tesori storici, archeologici e ambientali di cui la Sardegna è ricchissima". "Sono molto soddisfatta della maestosa affluenza registrata in tutti i siti e del risultato raggiunto a Sassari in occasione dell’apertura delle carceri di San Sebastiano visitate da migliaia di persone a conferma del profondo interesse dei sassaresi per la storia della propria città - aggiunto la presidente. Far conoscere ai sassaresi questo edificio e la sua storia, anche nei suoi aspetti più dolorosi, è stato utile per dar voce al dibattito già in corso su come recuperare le ex carceri ottocentesche". Tra gli eventi collegati alle "Giornate Fai di Primavera di Sassari" c’è la rappresentazione della commedia" Il gatto prigioniero", di Cosimo Filigheddu, messa in scena dalla Compagnia Teatro Sassari in scena giovedì 27 marzo alle 21 al Teatro Comunale Andrea Parodi di Porto Torres. Caserta: festa per i detenuti dell’Opg di Aversa, promossa dalla Comunità di Sant’Egidio www.campanianotizie.com, 24 marzo 2014 Festa per gli internati dell’ ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa organizzata per il quinto anno consecutivo dalla comunità di Sant’Egidio per regalare momenti di festa e di solidarietà ai detenuti più poveri e soli. Oltre 30 i volontari provenienti non solo da Napoli, ma anche da Roma e Pescara. Canzoni napoletane ma non solo, intervallate da poesie recitate dagli internati che si sono esibiti anche cantando o suonando la chitarra. Molto applaudite le interpretazioni di "Margherita" di Riccardo Cocciante e "La distanza di un amore" di Alex Baroni. Agli internati sono state regalate felpe, sapone, biancheria intima e dentifrici, distribuiti anche a chi non ha partecipato alla festa dai volontari che hanno fatto una visita in tutti i reparti della struttura. Un ricco buffet ha completato la festa alla quale hanno presenziato il vescovo di Aversa monsignor Angelo Spinillo, Mario Marazziti, presidente della commissione diritti umani della camera, il direttore dell’Opg Elisabetta Palmieri e il commissario Mosca, comandante dell’istituto di pena. La chiusura degli Opg, prevista dal decreto del 1 aprile 2008 procede a rilento. Basti pensare che anni fa erano 320 gli ospiti della struttura, a fronte dei 143 di oggi. Le cause dei ritardi sono molteplici: molti internati provengono direttamente dal circuito penitenziario, per cui le carceri invece di rieducare producono malattia mentale. Inoltre si registra un forte disagio psichiatrico nella società a cui dovrebbe corrispondere un potenziamento dei Dsm (dipartimenti salute mentale) che tanto spesso non danno risposte efficienti e non sono in collegamento con le carceri. Al termine il direttore del carcere ha voluto ringraziare la comunità di Sant’Egidio per l’amicizia e la familiarità che di anno in anno in anno si va consolidando con gli amici dell’Opg. Venezia: per Giornata Mondiale del Teatro iniziative nel carcere femminile della Giudecca La Nuova Venezia, 24 marzo 2014 Per la prima volta il ruolo del teatro in carcere assume uno spessore mondiale. Venezia ne sarà portavoce in occasione della 52 esima Giornata Mondiale del Teatro alla quale quest’anno si aggiunge la prima edizione della Giornata Mondiale del Teatro in Carcere, promossa dall’ITI Unesco. Al centro della celebrazione un convegno aperto al pubblico sul tema, in programma alla Fondazione Cini giovedì 27, con ospiti di rilievo come Fabio Cavalli, co-sceneggiatore del film dei fratelli Taviani "Cesare deve Morire". Le carceri veneziane sono da anni protagoniste dei progetti più innovativi che riguardano il ruolo del teatro all’interno di un istituto di pena. Il convegno verrà introdotto infatti dal regista Michalis Traitsis dell’associazione Balamos Teatro, promotore del progetto teatrale "Passi sospesi" al femminile in Giudecca e al maschile a Santa Maria Maggiore. Prima dell’incontro, lunedì e mercoledì il carcere sarà aperto per due appuntamenti dentro le mura con Cavalli e Luigi Cuciniello, direttore organizzativo della Biennale, settore Danza Musica e Teatro. Il 27 la giornata sarà dedicata al rapporto tra teatro e carcere, incluso lo scottante tema dei finanziamenti. Lo stesso carcere di Venezia sta infatti attendendo da mesi di sapere se il bando regionale ha riservato la somma per proseguire il progetto che da anni sta portando avanti il regista insieme alle detenute. A parlarne saranno i docenti Gerrado Guccini, Paolo Puppa, Caterina Barone e la critica Valeria Ottolenghi. Tra i relatori sono previsti interventi si Fabio Mangolini, uno dei più grandi esperti di Commedia dell’arte e Daniele Seragnoli dell’Università di Ferrara. Per l’occasione sarà presentata alla Fondazione Cini una mostra fotografica di Andrea Casari e il documentario di Marco Valentini sulle carceri veneziane. Egitto: condannati a morte 549 sostenitori di Morsi, ma solo 153 si trovano già in carcere Tm News, 24 marzo 2014 Un tribunale egiziano ha condannato a morte in primo grado 529 sostenitori del presidente islamico deposto, Mohamed Morsi, per le violenze della scorsa estate. Lo hanno indicato fonti giudiziarie. Solo 153 dei condannati sono già in carcere mentre tutti gli altri sono latitanti. Dopo la destituzione di Morsi da parte dell’esercito il 3 luglio scorso, 1.400 sostenitori e/o membri dei Fratelli Musulmani sono stati uccisi dalla violenta repressione delle forze di sicurezza e migliaia di altri sono stati arrestati.