Giustizia: proposta di legge sulle misure alternative, il carcere fino a 3 anni sarà in casa di Giovanni Negri Il Sole 24 Ore, 21 marzo 2014 Via libera in Commissione Giustizia alla Camera alla proposta di legge sulle misure alternative al carcere, tra cui messa alla prova e arresti domiciliari. Il testo approderà in Aula lunedì prossimo. "Puntiamo a chiudere in pochi giorni - spiega Donatella Ferranti, presidente della commissione Giustizia - approvandolo senza modifiche in via definitiva. È un provvedimento strutturale che potrà incidere sull’emergenza carceraria e sui tempi del processo visto che incentiva l’applicazione di misure alternative e di recupero sociale e promuove a pena principale la reclusione domiciliare. È un significativo passo avanti - aggiunge - verso la costruzione di un nuovo sistema delle pene". Il disegno di legge, che affida una delega sul punto al Governo, depenalizza una nutrita serie di contravvenzioni (tra cui l’immigrazione clandestina); introduce la detenzione presso l’abitazione come pena principale per i reati puniti al massimo con 3 anni e come pena facoltativa (alternativa cioè alla reclusione) per quelli tra i 3 e i 5 anni; estende poi agli adulti nei delitti puniti fino a 4 anni l’istituto della probation, ossia la sospensione del processo con messa alla prova. Se l’esito del programma di recupero, che prevede anche il lavoro di pubblica utilità, é positivo, il reato si estingue. Più spazio anche per i lavori di pubblica utilità, riservati di norma, ai reati sanzionati con pene fino a 5 anni e mai inferiori quanto a durata a 10 giorni. Sulla base delle delega poi, dovrà essere esclusala punibilità di condotte sanzionate con la sola pena pecuniaria o con pene detentive non superiori nel massimo a 5 anni quando emerge una particolare tenuità dell’offesa e il reato è stato commesso da delinquente non abituale; il tutto senza pregiudizio per la possibilità di proporre azione per il risarcimento dei danni in sede civile. Delega specifica, poi, sul fronte della depenalizzazione che prevede trasformazione in illecito amministrativo dei reati per i quali è prevista la sola misura della multa o dell’ammenda. Con l’eccezione di materie come l’edilizia, la sicurezza pubblica, la proprietà industriale. Tra i reati che saranno oggetto di depenalizzazione ci sono gli atti osceni e le pubblicazioni oscene, il disturbo del riposo delle persone, le rappresentazioni teatrali o cinematografiche abusive. Ma sarà oggetto dell’intervento di eliminazione del profilo penale anche il reato di omesso versamento delle ritenute nel limite di 10mila euro. Spazio poi alla sospensione dei termini di prescrizione in caso di imputato che resta contumace. La commissione Giustizia, nel corso della seduta, ha approvato anche il testo che riformula il delitto previsto dall’articolo 416 ter del Codice penale sul voto di scambio. "Siamo nella giusta direzione - dice Ferranti - per poter avere una fattispecie idonea a punire severamente lo scambio elettorale tra politica e mafia non solo se vi é erogazione di denaro ma anche in caso di trasferimento di qualunque altra utilità. È urgente e essenziale rinforzare il sistema anticorruzione per combattere al meglio l’eventualità di infiltrazioni criminali nelle istituzioni e colpire la capacità di condizionamento di eletti collusi con le organizzazioni mafiose". Giustizia: emergenza carceri; Orlando a Strasburgo con il "piano di azione" del governo Avvenire, 21 marzo 2014 Trasferta a Strasburgo lunedì e martedì prossimi per il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, che dovrà presentare alla Corte dei diritti dell’Uomo e alle autorità europee un progetto credibile e convincente sull’emergenza carceri. In gioco ci sono i risarcimenti legati alle tremila cause che Strasburgo ha congelato: il tempo scade il 28 maggio. Se per quella data non ci saranno rimedi adeguati, l’orologio della giustizia si rimetterà in moto e il conto per l’Italia sarà salato. Ma in gioco c’è anche l’immagine e la credibilità del Paese, che sta per assumere la guida del semestre europeo e che solo due settimane fa ha ricevuto un ulteriore avvertimento dal Consiglio d’Europa per la cattiva situazione carceraria. Orlando ha già precisato che non si presenterà a Strasburgo con un "maxi-piano: di piani ce n’è già stati molti, ora serve una serie di misure puntuali e concrete", ha detto. Il primo dato generale che il ministro potrà far valere è quello sul numero dei detenuti: nel gennaio 2013, quando la Corte condannò l’Italia per il sovraffollamento, erano poco più di 65.700; oggi sono 60.800, cinquemila in meno. Un effetto, in parte, del decreto svuota-carceri varato dal precedente governo. Risultati sono attesi anche della sentenza della Corte Costituzionale sulla legge Fini-Giovanardi, che ha reintrodotto la distinzione tra droghe leggere e pesanti, riabbassando le pene per i reati legati alle prime. Il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria sta conducendo un monitoraggio sugli effetti di questa novità e, più in generale, sulla popolazione carceraria. La previsione è che per maggio si scenda a quota 59 mila detenuti e nel contempo salga a 50 mila posti la capienza nelle carceri grazie all’apertura di nuovi padiglioni e nuove strutture. L’accelerazione del piano carceri è infatti uno dei punti chiave della strategia Orlando, che fa leva anche sulla possibile cessione di alcune strutture obsolete per liberare risorse e sulla riconversione di altre in comunità per tossicodipendenti con un regime di pene alternative; un processo da promuovere agevolando convenzioni con le Regioni. Ma Orlando vuole anche portare a Strasburgo una relazione, che il Dap sta mettendo a punto, che spieghi, tabelle alla mano, come la condizione per cui in alcune carceri i detenuti hanno nelle celle spazi inferiori ai tre metri quadri, è superata o in via di superamento: proprio per questo motivo, infatti, scattò la condanna per trattamenti inumano e degradante. Patriarca (Pd): bene iniziativa Orlando, puntare su reinserimento "Positiva l’iniziativa del ministro Orlando sulle carceri a Strasburgo. Puntiamo su un incremento delle misure alternative e soprattutto su progetti che incentivino il reinserimento" . Lo afferma il deputato del PD Edoardo Patriarca, componente della Commissione Affari Sociali. "Dobbiamo dare una risposta alla Ue, ma soprattutto dobbiamo rendere più vivibili le nostre carceri perché i provvedimenti adottati finora sono stati importanti ma non bastano. Troppe leggi, dalla Fini-Giovanardi alla Bossi-Fini, hanno prodotte solo danni e hanno ingolfato le nostre prigioni - continua Patriarca. E il volontariato è fondamentale in questo processo, di questo si parlerà anche al Festival del Volontariato a Lucca dal 10 al 13 aprile 2014". Giustizia: arriva Carta tutela figli dei detenuti; firma tra Ministro, Garante e Associazioni Ansa, 21 marzo 2014 Un protocollo a tutela dei centomila minori che ogni giorno entrano delle carceri italiane dove è detenuto un genitore. L’intesa sarà siglata oggi pomeriggio, 21 marzo, alle ore 16, al ministero della Giustizia presso la Sala Livatino: il ministro della giustizia Andrea Orlando, il Garante per l’infanzia e l’adolescenza Vincenzo Spadafora e la Presidente dell’Associazione Bambinisenzasbarre Onlus Lia Sacerdote firmeranno "La Carta dei figli dei genitori detenuti". Parteciperà il senatore Luigi Manconi, Presidente della Commissione straordinaria per la tutela e promozione dei diritti umani. Per la prima volta in Europa ed in Italia viene firmato un Protocollo d’Intesa tra il Ministero della Giustizia, l’Autorità Garante dell’Infanzia e dell’Adolescenza e l’Associazione Bambinisenzasbarre Onlus, a tutela dei diritti dei bambini e degli adolescenti che ogni giorno entrano nelle carceri italiane. La Carta dei figli dei genitori detenuti riconosce formalmente il diritto di questi minorenni alla continuità del proprio legame affettivo con il genitore detenuto e, al contempo, ribadisce il diritto alla genitorialità. Giustizia: vittime di mafia… non basta ricordare di Luigi Ciotti Il Manifesto, 21 marzo 2014 Il 21 di marzo, ormai da 19 anni, non è più soltanto il primo giorno di Primavera. Oggi, come ogni anno, in tutta Italia si ricordano tutte le vittime innocenti delle mafie. Sono circa 900. Un lungo elenco per ricordare tutti, ma proprio tutti quei cittadini e cittadine che hanno perso la vita per la nostra libertà, la nostra democrazia. Lo facciamo insieme, nella Giornata nazionale della memoria e dell’impegno promossa da Libera e Avviso pubblico, perché vogliamo che in questo giorno di risveglio della natura anche il nostro contesto sociale si ri-svegli e ri-parta la primavera della speranza, della verità e della giustizia. Quest’anno i nomi e i cognomi delle vittime innocenti di mafia verranno scanditi durante la veglia con oltre 700 familiari che si svolgerà nella chiesa di San Gregorio a Roma insieme a Francesco. Un dono, la presenza del Papa, che li aiuterà a trasformare ancora di più il loro dolore, silenzioso, riservato, più vivo di prima nonostante il trascorrere del tempo, in impegno forte, quotidiano per la verità e la giustizia. Quell’impegno che è richiesto a ciascuno di noi se non vogliamo che la memoria diventi retorica, celebrazione. Perché non basta ricordare. Le vittime delle mafie non hanno vissuto per essere ricordate. Hanno vissuto per la giustizia sociale, quindi per tutti noi. E abbiamo solo due modi credibili per ricordarle: impegnarci a realizzare i loro ideali e non lasciare mai solo i loro familiari. È il patto che rinnoveremo oggi, nella chiesa di San Gregorio e in tulle le piazze d’Italia in cui faremo vivere questo primo giorno di primavera come Giornata della memoria e dell’impegno. Ed è con questa consapevolezza che cammineremo insieme ai familiari domani a Latina. Saremo in tanti, da tutta Italia, ad abbracciare i familiari e , insieme a loro, le tantissime persone, realtà, associazioni che a Latina si battono per assicurare ai territori n cui vivono un presente e un futuro di onestà, trasparenza, benessere collettivo. Lo fanno ogni giorno contro la progressiva, silenziosa, incessante infiltrazione delle organizzazioni mafiose nel tessuto economico e imprenditoriale, attraverso il riciclaggio e il reimpiego delle ricchezze accumulate illegalmente. Saremo a Latina, insomma, perché anche questa terra, il litorale laziale, la stessa Capitale sono insidiate dalle mafie come gran parte del Paese. In questa drammatica crisi economica, sociale e culturale che sta attraversando l’Italia, le mafie stanno diventando sempre più forti, perché si alimentano di povertà, di disperazione, d’ignoranza. E generano povertà, disperazione, smarrimento di valori etici e di riferimenti culturali. Deve essere sottolineato con forza il nesso sempre più stretto tra povertà economica e ricchezza delle imprese mafiose. E allo stesso tempo va denunciata l’impossibilità di uscire dalla crisi senza un impegno più efficace contro il crimine organizzato, la corruzione, l’ecomafia. Perché il nostro Paese rischia di morire d’illegalità, di "mafiosità strisciante", di relazioni umane sempre è più segnate dall’avidità, dalla furbizia, dai privilegi del potere. Oggi, primo giorno di primavera, e domani a Latina pronunceremo i nomi e i cognomi delle vittime innocenti delle mafie anche per ricordarci che per vincere il crimine organizzato e la corruzione non bastano più la legalità, il rispetto delle regole. Occorre, di fronte al male, non voltarsi dall’altra parte o restare con le mani in mano. Le ingiustizie si sono alleate con le nostre omissioni, rischiano di avvelenare le radici della nostra memoria e di compromettere i possibili frutti dell’impegno. È il tempo delle scelte nette per essere dalla parte di chi cerca e di chi aiuta a trovare verità. Dalla parte del mondo dei Giusti, di chi non si lascia piegare dalle difficoltà, di chi è libero e leale. Oggi, primo giorno di primavera, e in tutti i 365 giorni dell’anno. Giustizia: gli orrori di Bolzaneto e il paradosso del "dottor mimetica" di Lorenzo Guadagnucci (Comitato Verità e Giustizia per Genova) Il Manifesto, 21 marzo 2014 Il licenziamento del dottor Giacomo Toccafondi è una notizia rivelatrice. Di primo acchito sorprende e fa pensare a uno stato severo ma giusto: un dipendente viene allontanato bruscamente, senza preavviso, per ragioni d’ordine etico e professionale ben documentate nelle sentenze dei tribunali sugli orrori di Bolzaneto. Ma a pensarci meglio questa decisione della Asl 3 della Liguria è piuttosto l’ultimo atto, per certi versi paradossale, di una catena di omissioni, viltà e atti di protervia che ruota attorno al rifiuto, da parte dello stato, di schierarsi risolutamente dalla parte dei cittadini che a Genova nel 2001 furono umiliati oltre ogni misura. Il dottor Toccafondi viene licenziato, salvo accoglimento del ricorso che potrà presentare, a molti, troppi anni dai fatti (quasi 13) e a pochi mesi, ecco l’aspetto paradossale, dal collocamento in pensione. L’effetto pratico è minimo, l’effetto simbolico ed esemplare a dir poco depotenziato dal tempo trascorso e dalla natura estemporanea della decisione. Toccafondi è il primo dei dipendenti dello stato responsabili degli abusi compiuti durante il G8 di Genova a subire un serio provvedimento disciplinare. Tutti gli altri - cioè gli imputati e poi condannati nei processi Diaz e Bolzaneto - e lo stesso Toccafondi sono stati finora protetti da un "sistema" che si ispira a logiche pilatesche e corporative degne di regimi pre-democratici. La Asl 3 ha firmato il licenziamento del "dottor mimetica" di Bolzaneto, ma il ministero - quando la sanità penitenziaria era ancora di sua competenza, cioè fino al 2008 - aveva rifiutato anche di sospenderlo dal servizio (insieme con gli altri sanitari sotto inchiesta), nonostante il rinvio a giudizio e a fronte dei terrificanti racconti consegnati da vari testimoni alle aule di giustizia. E tuttora - incredibilmente - l’Ordine dei medici è silente su Toccafondi e gli altri medici nonostante le numerose sollecitazioni ricevute in questi anni sia dalle vittime degli abusi sia da numerosi iscritti all’Ordine, scossi e scandalizzati per quanto avvenuto nell’infermeria della caserma di Bolzaneto. Gli stessi condannati nel processo Diaz sono stati allontanati dal servizio solo per la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici, inflitta dalla Cassazione nel luglio 2012, ma fin lì le loro carriere sono state protette e ancora oggi lo stato italiano non dà notizie certe sui provvedimenti disciplinari chiesti dalla Corte europea per i diritti umani. Il licenziamento di Toccafondi, insomma, getta un fascio di luce sopra un marciume che nemmeno le sentenze Diaz e Bolzaneto sono riuscite ad intaccare. Nei giorni scorsi è stato approvato al Senato un testo di legge che definisce la tortura come reato generico, mentre l’Onu aveva chiesto di qualificarla come crimine specifico del pubblico ufficiale. La legge è stata accolta dai più come il meglio che si potesse ottenere di questi tempi. Ma forse è vero il contrario: proprio di questi tempi l’Italia non può permettersi di restare al di sotto degli standard minimi internazionali. Giustizia: la storia di Pino Uva e gli uomini in divisa di Carlo Verdelli La Repubblica, 21 marzo 2014 Sei anni fa, il 14 giugno 2008, la morte dopo l’arresto. Ora vanno a processo due carabinieri e sei poliziotti. La sorella: "L’hanno massacrato" Sui pantaloni, all’altezza del cavallo, hanno trovato una chiazza di sangue lunga 16 centimetri e larga 10, più altre 77 macchie ematiche a spruzzo che arrivano fino alle scarpe. Emorragia da emorroidi, sostengono in procura. Morte da tortura, per Fabio Anselmo, l’avvocato scelto dalla famiglia. La differenza che passa tra le due ipotesi è quella tra il dolore e l’orrore, tra un lutto accidentale e una "lezione a un ubriaco" finita male. Da quasi sei anni, il "caso Uva" sta in bilico su questa linea di confine. Sono stati processati tre medici, poi prosciolti. Adesso stanno per finire davanti a un giudice 2 carabinieri e 6 poliziotti, fino a ieri sospettati solo per lesioni lievissime. A loro carico, ipotesi di reato che vanno dall’omicidio preterintenzionale (volevo fargli del male ma non fino al punto di), all’arresto illegale, al pestaggio ("indebita e violenta manomissione del corpo altrui"), al colpevole ritardo nell’affidarlo alle cure di un ospedale. Quasi tutto a rischio prescrizione, visto il tempo passato dai fatti. Quasi. Sulla lapide di Giuseppe Uva detto Pino nel cimitero di Caravate, una ventina di chilometri da Varese e 500 metri in linea d’aria dalla Gemonio di Umberto Bossi, c’è un Cristo in croce, una foto dove sorride felice con un pezzo di panettone in mano, e una gru a sbalzo color bronzo. Il gruista era il suo ultimo lavoro, ma ci andava a strappi, mollava e ritornava. Uno spirito libero, che dormiva a casa di un amico, di qualcuna delle sorelle, della donna del momento, qualche volta in albergo perché gli piaceva molto l’idea. Come gli piaceva bere, ballare, far casino, tenersi i capelli lunghi raccolti in una coda o sciolti e mossi, a seconda dell’umore. Dopo la fine del matrimonio con Maria che se n’era andata col suo miglior amico, un commercialista, e questo l’aveva schiantato fino a spingerlo a fare il vagabondo per un anno e più, era tornato con l’aria di chi ha deciso di viversela un po’ alla giornata. Il sospetto più atroce è che se Giuseppe Uva fosse stato un bancario o un insegnante, tutto quello che stiamo per raccontare forse non sarebbe successo, o non sarebbe successo così. E soprattutto i parenti che gli sono sopravvissuti non starebbero ancora aspettando di sapere cosa ha ucciso un uomo sano e forte di 43 anni e chi l’ha ridotto nelle condizioni pietose in cui è stato trovato in una stanzetta al piano meno due dell’ospedale di Circolo di Varese, non l’altro ieri ma un mattino del giugno 2008, al termine di un venerdì notte da paura. Per descrivere quella notte e l’alba successiva, basterebbe la cronaca. Il problema è che non ce n’è una sola. Ce ne sono due, opposte. Quella ufficiale, nel senso che è stata assunta come vera dal pubblico ministero Agostino Abate che gestisce il caso dal principio, comincia come l’altra con una bravata. È venerdì 13 giugno di un’epoca che sembra lontanissima. Da poco più di un mese si è insediato il quarto governo Berlusconi. Ministro dell’Interno è Roberto Maroni, leghista, orgoglio di Varese come del resto Mario Monti. Giusto a Varese, Pino Uva è a casa dal suo amico Alberto Bigioggero, detto "il principe", diplomato in massoterapia, di professione variabile, da manovale a comparsa o figurante (picco di carriera: è quello con la camicia hawaiana in "Che bella giornata" di Checco Zalone). Vedono una partita della nazionale in tv, poi vanno per locali a tirar tardi. L’ultimo, Le Scuderie di via Cavallotti, chiude alle 3. I due, piuttosto ubriachi, non trovano di meglio che spostare transenne in mezzo alla strada e deviare il traffico. Passa una Gazzella dei carabinieri, invitano la coppia a smettere. Ma Uva reagisce male, in parole e opere. Urla insulti ("toglietevi la divisa e poi vediamo")", i vicini si affacciano protestando, lui comincia a dare calci e pugni ai loro portoni. A quel punto, "onde evitare che la vicenda degenerasse", i carabinieri chiamano in aiuto una Volante della polizia, ne arrivano due per sbaglio, poi se ne aggiungerà anche una terza (uno spiegamento di forze un po’ eccessivo per due balordi, visto che la città rimane a lungo sguarnita del presidio esterno di vigilanza, ma così è). Caricano Pino e il Principe sulle auto e li portano nella caserma di via Saffi per il verbale, ore 3.50 (va sottolineato che questo orario, e gli altri successivi, sono quelli della versione ufficiale). Ma qui le cose degenerano per davvero. Uva dà di matto, il lunedì successivo ha l’esame per riottenere la patente, teme che un verbale per alcolismo ne comprometta l’esito, perde quel poco di controllo di sé che aveva, rovescia una scrivania, poi "dalla sedia dove sedeva si dà una spinta all’indietro con i piedi, cadendo unitamente alla stessa per terra battendo il capo dapprima contro il muro e quindi volontariamente sul pavimento con il chiaro intento di lesionarsi". Fortuna che un agente pietoso infila la scarpa tra la testa di Uva e il pavimento per attutire un po’ i colpi. Anche se in otto, gli uomini in divisa non riescono a contenere il suo forte stato di agitazione e convocano la guardia medica nella persona del dottor Augustin Desiré Noubissie che prova a fargli un’iniezione di calmante. Uva la rifiuta in malo modo, come rifiuta l’aiuto di un altro medico chiamato a rinforzo, Andrea Obert. Si decide di chiamare l’ambulanza del 118, che carica Pino non senza fatica (uscendo dà, darebbe diciamo così, un’ultima testata alla porta a vetri) e alle 5.48 lo deposita al pronto soccorso dell’ospedale dove, malgrado venga catalogato in "codice verde", cioè non urgente, tre medici lo imbottiscono di farmaci (Talofen, Farganesse, Tavor, En) e lo trasferiscono in psichiatria, dove cadrà in un sonno profondissimo e poi, dalle 10.30, eterno. Nel frattempo gli vengono tolti gli slip intrisi di sangue, che spariscono dalla scena per sempre. Causa del decesso, secondo il pm Abate: "La combinazione, continuata per ore, di sedativi con l’alto tasso alcolico riscontrato nell’organismo". Da qui, l’accusa, rivelatasi a processo non fondata, contro i medici. Il sostituto procuratore Agostino Abate da Salerno è in magistratura da 31 anni e a Varese dal 1984. Ha alle spalle importanti inchieste, da Tangentopoli alla ‘ndrangheta. Ha vinto una causa milionaria con Umberto Bossi, irritato perché Abate aveva messo sotto accusa tre sindaci di Varese per corruzione: minacciò di "raddrizzargli la schiena". Essendo il magistrato poliomielitico, una provocazione infame. Una carriera dunque onoratissima, che però sulla conduzione del caso Uva sta incontrando qualche asperità. Vero che ha resistito a 6 istanze di avocazione (l’ultima presentata dal senatore Luigi Manconi, presidente della Commissione per la tutela dei diritti umani, e liquidata ieri dalla procura di Milano con un laconico "non luogo a provvedere"). Vero anche, però, che si è guadagnato un atto disciplinare di "incolpazione" dalla Procura generale della Cassazione, una segnalazione fortemente critica al Csm dall’ex ministro della Giustizia Cancellieri e soprattutto, l’11 marzo scorso, 16 pagine piuttosto violente nella quali il gip di Varese, Giuseppe Battarino, respinge la richiesta di archiviazione del caso Uva avanzata da Abate, cambia di fatto il fuoco della scena, spostandolo dall’ospedale alla caserma di via Saffi, rileva e denuncia le moltissime incongruenze giudiziarie contenute nel fascicolo 5509 sul decesso di Giuseppe Uva, riscrive gli orari della notte dell’orrore e del dolore, dispone l’imputazione coatta degli otto rappresentanti delle forze dell’ordine e manda tutti davanti al giudice per l’udienza preliminare, anticamera di un nuovo processo. È di fatto la seconda versione di quel venerdì 13. Anzi, di quel sabato 14, tra le 3 e le 10.30 di mattina. C’è una querela presentata il giorno dopo alla Procura di Varese, in cui Alberto Bigioggero, l’amico che ha condiviso quelle ore con Giuseppe Uva, racconta una storia completamente diversa dalla cronaca ufficiale, in cui l’unica cosa che coincide sono le transenne spostate per fare una pirlata. I carabinieri che arrivano sul posto sono già molto arrabbiati. Pare anche ci sia stata una rissa recente con qualcuno di loro, in borghese, fuori da una discoteca. E che Uva, poche sere prima, abbia legato con una catena il cancello d’entrata della stazione di Caravate. Brutta aria. Uno dei carabinieri indica Pino e bestemmiando gli dice: "Proprio te stavo cercando. Adesso te la faccio pagare". Pino si allontana, quello lo raggiunge, "lo scaraventa sul pavé", lo carica sulla Gazzella in manette e comincia a menarlo. La scena si sposta nella caserma. Uva viene fatto entrare in una stanza dove c’è un via vai di carabinieri e poliziotti. Alberto resta fuori e lo sente gridare disperato, per tanto tempo gli sembra. "Ahi, basta, ahi, ahia". E poi rumori sordi di colpi. Allora chiama lui il 118: venite, stanno massacrando un uomo. L’operatore dell’ambulanza chiede conferma in caserma prima di muoversi. Gli rispondono che sono due ubriachi, di non preoccuparsi. Siamo intorno alle 4. Per il giudice Battarino, Uva è stato trattenuto "per un’ora e mezza in un presidio di polizia senza necessità operative". Per Abate, "21 minuti d’orologio", di cui solo 7 nella stanza da cui Bigioggero ha sentito le urla. Quando, dopo le 5, l’ambulanza arriva finalmente in caserma, l’amico Alberto viene portato a casa dal padre. Il giorno dopo denuncia quanto visto e sentito, ma passeranno più di 5 anni prima che il pm Abate lo convochi per ascoltarlo. Succede il 26 novembre 2013 ed è un interrogatorio di quasi 4 ore, considerato dal gip "degradante, atto a umiliare il cittadino e avvilirlo, in contrasto con la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo". Nonostante Abate non manchi di ricordargli che ha un invalidità del 100 per cento per problemi psichici e che quindi le sue parole hanno un peso relativo, anzi sono inattendibili, quel che Bigioggero cerca di dire è che in caserma hanno fatto del male a Giuseppe Uva, molto male, "perché forse, non saprei con precisione, vede dottore.. lui mi aveva confessato tempo prima di aver avuto una relazione con una donna che stava con uno dei carabinieri ". Il pm gli intima di smetterla, che non lo lascerà infangare l’onorabilità dell’Arma, che Uva non è stato toccato se non per contenerne la furia autolesionista. La stessa linea, comprensibilmente, dell’avvocato di tutti i nuovi imputati, Luca Marsico, che è anche consigliere regionale lombardo nella giunta Maroni: "Ma certo che sono ancora tutti in servizio, e non cambierà niente neanche col rinvio a giudizio. Sono mortificati da quel che gli è caduto addosso. Vede, nella mia famiglia siamo carabinieri da tre generazioni, mio padre era comandante di stazione e io sono cresciuto in una caserma. Ho già presentato ricorso in Cassazione perché so che quegli 8 uomini tutte le sere possono tornare a casa e guardare i loro figli negli occhi con la coscienza più che a posto. Sono solo vittime di una campagna mediatica". Il riferimento, implicito, è a Fabio Anselmo, legale della famiglia Uva come già lo è stato per altri casi molto simili (Federico Aldrovandi, Stefano Cucchi, Michele Ferrulli). "Giuseppe è morto per lo stress fortissimo subito in via Saffi unito a un prolasso della valvola mitrale, di cui già soffriva. Il corpo è lì a dimostrare quel che ha patito, compresa l’ipotesi più orrenda: la Tac sul cadavere ha evidenziato aree gassose che sarebbero effetto di una lesione traumatica intestinale e del retto. C’è un particolare nella relazione dei carabinieri che colpisce. Scrivono di modeste escoriazioni alle gambe. Domanda: come facevano a vederle se Uva in caserma aveva addosso i jeans. Forse qualcuno glieli ha tolti? E per fare cosa? E comunque, per il nostro perito, il signor Uva di emorroidi non ne aveva". La casa di Lucia Uva, a Caravate, la riconosci perché fuori è parcheggiata una 500 bianca coperta di scritte. "Sappiamo chi è stato". "Via la toga", all’indirizzo di Abate. "Via la divisa", rivolto agli 8 neo imputati. La signora ha 53 anni, ha la dignità dei poveri che si sono battuti per esserlo di meno, è la seconda più grande di 5 fratelli. "Giuseppe era il penultimo, gli ho fatto da madre". Da quando ha visto il corpo martoriato del suo Pino all’obitorio, ne è diventata anche la voce. Un morto che parla e combatte attraverso di lei e le sorelle. "Ho vestito diversi defunti: un amico, mio zio, altra gente. So come sono i segni. Quelli che c’erano sul corpo di mio fratello mi hanno sconvolta". E mette sul tavolo, sparpagliandole, tutte le foto che ha fatto al cadavere. "Vede qui, il naso, gonfio e spaccato. E questo buco nero sulla guancia, più un altro sulla spalla: gli hanno spento una sigaretta sulla pelle. L’ho trovato col pannolone, le mutande le avevano buttate perché erano conce. Gliel’ho tolto, l’ho girato. I testicoli... Erano color vinaccia, come se li avessero pestati. E poi la bocca dell’ano: ce l’aveva fuori, capisce. E non c’era merda. C’era ancora sangue. Ma io l’ho detto alla Cancellieri: ministro, mio fratello è stato violentato con un bastone, o qualcosa del genere ". Piange senza piangere. Perché, signora, secondo lei? "Non lo so, forse per qualcosa del passato, forse per qualcosa che conosceva. Pino stava con Giulia, un’albanese che lo serviva e lo riveriva. Non lo so, dottore, perché me lo hanno ridotto così. Non lo so perché massacrano le persone come quelle che il professore ha messo nel libro". Il professore è Luigi Manconi; il libro, scritto con Valentina Calderone per Il Saggiatore, si intitola "Quando hanno aperto la cella", una ventina di storie di corpi offesi, tra cui Giuseppe Uva. "C’è un filo che le lega tutte: il comportamento gravemente illegale delle forze dell’ordine. Spesso un pretesto futile basta a scatenare l’abuso di potere, la tentazione di prepotenza. Contro tutto questo, non è facile combattere. Lucia Uva e i suoi si sono mossi con una disperata povertà di mezzi, in un ambiente al minimo indifferente, qualche volta ostile, spesso omertoso. Adesso sappiamo che a causare la morte di Giuseppe non sono stati i farmaci. Bene, è un primo passo. Lentissimo, ma lo è. Andiamo avanti con calma, perché il clima peggiorerà". È già partita una raccolta di fondi a favore dei poliziotti coinvolti, pubblicata dal quotidiano "La Prealpina" e promossa dal sindacato Cosip, per sostenere i colleghi nelle spese processuali e fare fronte "al tornado mediatico che ha condizionato la vicenda. Ora non manca occasione di accusare le forze dell’ordine per abusi e violenze, come se vestissimo la divisa per malmenare i cittadini e non per difenderli". Lucia Uva legge e abbassa gli occhi. Poi, come se riflettesse tra sé e sé: "Uno di quei poliziotti che hanno preso Pino mi ha detto sottovoce: signora, io ho due figli e una moglie. A suo fratello non l’ho toccato". Giustizia: droghe libere, una battaglia di civiltà di Roberto Saviano L’Espresso, 21 marzo 2014 Ovunque nel mondo crescono i paesi che scelgono di liberalizzare il commercio e depenalizzare l’uso di stupefacenti. Così si combatte meglio la criminalità. E si svuotano le carceri. Ma il governo italiano va nella direzione opposta. Jordi Évole è un giornalista spagnolo, conduttore di uno dei programmi di inchiesta più seguiti in Spagna. La trasmissione che conduce si chiama "Salvados" e in un paese che sta vivendo una profonda crisi economica, diventa una sorta di bussola per orientarsi nel quotidiano. Domenica 16 marzo l’hashtag di "Salvados" era #drogaspa perché il tema della trasmissione è stato il narcotraffico e il ruolo che la Spagna ha come porta di accesso per le droghe provenienti dal Sudamerica in Europa. Con Jordi Évole, qualche giorno prima, avevamo registrato un’intervista su questo argomento. Una sorta di corsa a ostacoli perché non è facile spiegare a un paese che non è il tuo, l’entità di un fenomeno che lo riguarda. Come puoi dire che la Spagna è la porta del narcotraffico e che le banche spagnole siano tenute a galla dai capitali criminali? Come è possibile che su questi temi tu ne sappia più di noi che qui ci viviamo? Temevo che le mie parole avrebbero generato le stesse reazioni indignate di quella parte di Italia che fatica a credere che le mafie siano ormai di casa ovunque. Ma non è andata così. Ho seguito la trasmissione in streaming e attraverso Twitter, e le reazioni sono state incredibili. Intanto la cosa che più di tutte mi ha stupito è che il mio nomee entrato nei trend topic spagnoli e questo significa una sola cosa: l’argomento di cui parlavamo ha riempito un vuoto, ha dato risposte, ha spiegato a chi ha avuto la pazienza di seguire fino in fondo la trasmissione, come sia possibile che in Spagna ci sia un tesoro che si percepisce, che addirittura si vede e si tocca, ma di cui nessuno può beneficiare, se non i broker di coca, cioè chi è parte integrante di questo meccanismo. A tutto questo esiste un’unica risposta possibile: legalizzazione. Ma il peccato originale che sconta qualunque discussione su questo tema è che, nel tentativo di superare le difficilissime questioni morali che pone, si prova sempre a darle un taglio utilitaristico che apre necessariamente altre questioni irrisolte. Mi spiego meglio: la legalizzazione delle droghe, ma anche - come ha recentemente proposto per la prima volta l’Onu - la depenalizzazione del loro consumo, avrebbero come ricaduta immediata una diminuzione dell’affollamento delle carceri, che in Italia è una piaga di dimensioni apocalittiche. Ma qui si apre un’altra discussione sulla quale le generalizzazioni o peggio le semplificazioni hanno purtroppo sempre la meglio. "Chi si trova in carcere è lì perché ha sbagliato", "le carceri non sono alberghi a quattro stelle" e non vi tedio oltre. Il punto fondamentale però è un altro. Chi fa uso di droghe non è un criminale, ma una persona che vive un disagio: va curata con misure diverse dalla detenzione. Inoltre, studiando i dati delle politiche proibizioniste attuate fino a questo momento, si è chiaramente dimostrata la loro inutilità o peggio ancora, il loro rovinoso fallimento. Infatti la tendenza mondiale è senza dubbio alcuno quella della depenalizzazione e della legalizzazione. Sta avvenendo ovunque, dal Canada all’Australia, dal Brasile al Cile. Fino ad arrivare all’Uruguay che in questo momento costituisce l’avanguardia. Questa è la tendenza mondiale mentre in Italia il ministro della Salute Beatrice Lorenzi n reintroduce per decreto - lamentando "un vuoto normativo" che è incapace di riempire altrimenti - le tabelle sugli stupefacenti previste dalla Fini-Giovanardi spazzate via solo qualche settimana fa della sentenza della Corte Costituzionale. Io credo che sia legittimo domandarci di chi sia rappresentativo questo ministro, quali interessi curi, dal momento che evidentemente non cura quelli di noi cittadini. E soprattutto mi auguro che la sua imposizione nell’attuale governo sia rivista in occasione delle prossime elezioni europee, quando il suo partito di riferimento, presumibilmente, conoscerà un ridimensionamento. Non possiamo permettere che l’Italia vada nella direzione opposta a quella del resto del mondo. Non possiamo permetterci di voltare le spalle a decenni di snidi, alla storia, al progresso, alla modernità, ai diritti civili e umani. Sì, perché questa è proprio una questione di civiltà. Giustizia: l’Aidaa disponibile a ospitare Berlusconi, in caso affidamento ai Servizi Sociali Tm News, 21 marzo 2014 A venti giorni dall’udienza del Tribunale di Sorveglianza di Milano con la quale si dovrà stabilire se affidare ai servizi sociali l’ex cavaliere Silvio Berlusconi o confinarlo agli arresti domiciliari, l’Associazione Italiana Difesa Animali ed Ambiente per mezzo del suo presidente Lorenzo Croce ha confermato al tribunale di sorveglianza di Milano ed allo stesso ex cavaliere la disponibilità ad ospitare Berlusconi per il suo svolgimento della pena alternativa alla detenzione. Aidaa ha confermato al tribunale di Sorveglianza le tre opzioni messe a disposizione dal mese di agosto del 2013: la possibilità di accudire i micetti nel rifugio di Brindisi diretto dalla pro-presidente di Aidaa Antonella Brunetti o in alternativa il servizio da svolgere presso la scuderia dell’Unicorno di Corciano in provincia di Perugia alle dipendenze della vice presidente Catia Brozzi o il servizio di dog sitter per cani degli anziani da svolgere a Milano o Roma. Aidaa ha inoltre ribadito la disponibilità a fornire tutti i servizi di alloggio ed igienici, oltre alla garanzia dei pasti quotidiani a proprio carico cosi come previsto dalla legge sull’affidamento dei detenuti ai servizi sociali. Lettere: aprile, mese di protesta nelle carceri dal Coordinamento dei detenuti - Primavera carceraria www.contropiano.org, 21 marzo 2014 Dal giorno 5 al giorno 20 aprile del 2014 come "Coordinamento dei detenuti" abbiamo indetto una nuova mobilitazione all’interno di tutte le carceri italiane. L’obbiettivo che ci siamo posti è quello di dare coscienza a tutti i reclusi che solo attraverso la lotta possiamo ottenere quelle migliori condizioni di vita che noi tutti chiediamo e che ogni rivendicazione deve necessariamente essere accompagnata da una azione collettiva di noi tutti. L’inevitabile isolamento di queste mura rende difficile un’organizzazione estesa e ampia, ma noi non ci tiriamo indietro e con coraggio ci apprestiamo a far sentire la nostra voce sia all’interno che all’esterno di queste strutture. Siamo consapevoli di non poter riuscire da soli nell’intento di mobilitare tutte le carceri, ma sappiamo allo stesso tempo che fuori possiamo contare sul sostegno di migliaia di solidal* che condividono l’idea che il carcere non sia la soluzione ma il problema di una società piena di contraddizioni. Con questa nota chiediamo a tutti voi di dare la giusta visibilità alla nostra iniziativa del prossimo aprile diffondendo il più possibile il comunicato, che trovate allegato, sulla rete e sui mezzi di informazione invitando i vs contatti a fare lo stesso; ci appelliamo inoltre a tutte le organizzazioni anti carcerarie, ai movimenti politici e non, agli antagonisti, ai famigliari dei detenuti e agli ex-carcerati affinché vengano organizzare all’esterno dei penitenziari italiani presidi informativi e di solidarietà nei giorni precedenti e durante la mobilitazione di aprile. Molise: Osservatorio sulla medicina penitenziaria, ok a maggiori tutele per detenuti di Michele Petraroia www.mytermoli.com, 21 marzo 2014 In riunione questa mattina l’Osservatorio Regionale Sanitario sulla Medicina Penitenziaria per esaminare i rilievi del Tribunale di Sorveglianza circa il diritto alla tutela della salute dei detenuti nei tre Istituti di Isernia, Campobasso e Larino. All’incontro, coordinato dall’Assessore alle Politiche Sociali, Michele Petraroia, hanno partecipato i dirigenti del Provveditorato del Ministero di Grazia e Giustizia di Abruzzo e Molise, la Direttrice dell’Asrem, i Direttori dei Distretti Sanitari territoriali, il responsabile dell’Unità Operativa della Medicina Penitenziaria dell’Asrem, i Direttori delle tre Case di Reclusione ed i responsabili dell’Assessorato. Dopo aver esaminato le sollecitazioni del Tribunale di Sorveglianza, l’Osservatorio ha preso atto che, già a partire dal prossimo mese, sarà operativo un Progetto aggiuntivo di tutela e salvaguardia della salute dei detenuti approntato dalla Regione e dall’Asrem che migliorerà la qualità dei servizi sanitari offerti e innalzerà gli standard di risposte garantite all’interno degli Istituti Penitenziari del Molise. Successivamente, sono state accolte le proposte dell’Assessore, Michele Petraroia, tese a verificare le condizioni strutturali dei livelli essenziali di assistenza dei reclusi attraverso schede di riepilogo sui costi sostenuti, sul personale impegnato e sui fabbisogni complessivi dei detenuti. Attraverso questa ricognizione sistemica sarà possibile riscontrare le richieste delle persone recluse all’interno di regole capestro che inducono la Corte dei Conti a sanzionare ogni provvedimento che sfora la spesa sanitaria assegnata. Bisognerà ricercare soluzioni complesse ma indispensabili per non incorrere nella doppia violazione dei diritti dei detenuti e del contenimento della spesa pubblica con connesso danno erariale addebitato ai dirigenti e agli amministratori preposti. L’Osservatorio ha condiviso questa impostazione e tornerà a riunirsi per esaminare le ulteriori proposte che saranno approntate dall’Asrem e dal Ministero della Giustizia, esprimendo soddisfazione per l’avvio del Progetto adottato che in tutti i casi offrirà ai detenuti del Molise le risposte ai bisogni più impellenti di salute e sicurezza sanitaria. Ferrara: incontro per discutere del piano del Governo sul nuovo padiglione del carcere www.estense.com, 21 marzo 2014 La situazione carceraria torna prepotentemente di attualità, a Ferrara, a causa della costruzione del nuovo padiglione che andrà quasi a raddoppiare la capienza della casa circondariale estense. Una nuova area che andrà ad aggiungere circa 200 posti in un carcere della capienza massima di circa 250 posti e che al momento ospita 350 detenuti: "Un numero che ritorna ad essere vicino alla capienza ufficiale - racconta il garante dei diritti dei detenuti di Ferrara, Marcello Marighelli - ma è anche a causa del terremoto, e quindi a causa di numerosi trasferimenti, che il nostro carcere è riuscito a tornare ad un livello accettabile, considerando la contemporanea situazione di crisi". Un padiglione previsto dall’ultimo Piano carceri dopo la condanna della corte europea dei diritti dell’uomo che denunciava la grave situazione e la pessima gestione del sistema carcerario italiano. "Dopo questa sentenza, il nostro obiettivo è cercare di mantenere ancora più alta la nostra attenzione verso i detenuti - dice il presidente del consiglio comunale, Francesco Colaiacovo - sia da un lato etico, di rispetto della persona, sia verso i dettati costituzionali ovvero per quanto riguarda la funzione riabilitativa della pena. Il carcere non è una realtà a se stante ma è un’istituzione ben presente nella società grazie alla stretta collaborazione con settori come quello scolastico ed ospedaliero". Una funzione riabilitativa carceraria che deve servire a dare una nuova opportunità nella società ai detenuti fornendogli maggiori competenze e conoscenze per facilitarne il reinserimento. Se non fosse che, come tende a precisare il garante Marighelli, "il Piano carceri prevede la costruzione di nuovi padiglioni con elevate capacità di contenimento basandosi sul razionamento degli spazi riservati alle celle e sul raggruppamento degli spazi riservati alla socialità e alla riabilitazione del detenuto". In sintesi, un nuovo spazio per aggiungere celle per i detenuti, non preoccupandosi del lato umano e riabilitativo che dovrebbe avere la casa circondariale. Sarà questo il tema al centro dell’incontro intitolato "Il carcere dimezzato" che si terrà mercoledì 26 marzo, dalle ore 9.15 alle 13.30, nella sala dell’Arengo presso piazza Municipale 2. Un dibattito per capire se questo nuovo padiglione servirà solamente ad aumentare gli spazi di detenzione o aumenterà anche gli spazi vitali, riabilitativi, della struttura. Una mattina di discussione alla quale parteciperà anche Angelo Sinesio, commissario straordinario del Governo per le infrastrutture carcerarie, che spiegherà più chiaramente in che cosa consisterà questa espansione. Perchè nemmeno l’amministrazione comunale ha ben capito, come dichiara l’assessore all’urbanistica Roberta Fusari: "Non è possibile che lo Stato agisca su strutture del genere in modo unilaterale ovvero in maniera non condivisa dall’amministrazione comunale. Il Piano carceri prevede una discussione tra lo stesso Governo e l’amministrazione, cosa che in questo caso non è avvenuta. Tutto ciò che sappiamo lo dobbiamo ad una conferenza stampa tenutasi a Roma, alla quale un nostro dirigente ha presenziato e preso atto della vicenda". Sarà quindi tutto in mano al commissario straordinario Sinesio che, secondo gli organizzatori dell’incontro, divulgherà maggiori dettagli dell’espansione. Un appuntamento al quale parteciperanno anche l’assessore Sapigni, il sindaco Tagliani, il provveditore per le carceri dell’Emilia Romagna Pietro Buffa e il già componente della commissione Cancellieri Franco Corleone. "Con questa discussione vogliamo spingere per valorizzare maggiormente l’umanizzazione della struttura carceraria, ribaltando la decisione di ridurre gli spazi dedicati alla riabilitazione - conclude Marighelli. Dobbiamo anche essere consapevoli che, a seconda della dimensione del carcere, scattano altri parametri: per esempio, una casa circondariale con capacità di ospitare più di 500 detenuti deve avere un proprio centro clinico. Non vogliamo che l’aumento dei posti equivalga semplicemente ad una maggiore capacità contenitiva che, probabilmente nel giro di poco tempo, farà precipitare la situazione nello stesso caos in cui le istituzioni carcerarie già si trovano. Si necessita soprattutto di un intervento da un punto di vista giuridico che introduca più modalità alternative di detenzione". Caserta: Letizia (Radicali); carceri sovraffollate, situazione non più sostenibile Gazzetta di Caserta, 21 marzo 2014 "La situazione attuale del territorio del casertano e in generale di tutto il Mezzogiorno è la costatazione che il Sud d’Italia è avviato ad un logoramento senza fine", così interviene l’attivista per i diritti civili e libertario, componente dell’associazione radicale di Caserta, Domenico Letizia che continua: "La situazione ambientale della quale nelle ultime settimane siamo al centro dell’informazione televisiva è soltanto uno degli aspetti delle diffuse illegalità presenti nel territorio casertano". Quella in corso da decenni nel meridione d’Italia, e particolarmente nel territorio casertano, è una sistematica violazione dello stato di diritto e, come ricorda Marco Pan nella, dove vi è strage di diritto vi è strage di popolo. Nel contesto casertano tutte le prospettive democratiche e istituzionali risultano gravemente intaccate da profonda illegalità diffusa e mancanza di rispetto delle elementari norme di civile convivenza. La questione ambientale si sta rivelando una lenta pena di morte per i nostri tenitori e per il commercio di tali tenitori; la situazione dei detenuti, con carceri come quello di Santa Maria Capua Vetere, in condizioni di sovraffollamento; la questione giustizia in generale con processi della durata di una decina d’anni; la mancanza totale di un adeguamento dei Comuni del casertano alle norme sull’abbattimento delle barriere architettoniche per i diversamente abili, il non rispetto delle nonne riguardanti la creazione di spazi verdi e di aggregazione nelle città, soggette solo alla speculazione edilizia, se a ciò aggiungiamo la eliminale gestione dei rifiuti e la totale inefficacia delle amministrazioni comunali, quasi sempre vittime e protagoniste di scandali legali alle illegalità e alla mano della camorra organizzata, non possiamo che costatare la totale violazione del diritto umanitario internazionale nelle nostre comunità. Non va dimenticato che anche durante le elezioni comunali, come accaduto a Maddaloni, spesso si viene a conoscenza di un clima elettorale, legato non solo alle continue illegalità come nella gestione della cartellonistica abusiva, annodato a logiche clientelari, di minaccia, che vanno ad intaccare la rappresentazione democraticamente riconosciuta della libertà di voto. È accaduto che vi erano individui davanti ai seggi elettorali che controllavano chi si recasse a votare e sono aumentati di considerevole intensità i casi di elettori che nelle cabine elettorali vengono sorpresi con cellulari o fotocamere in atto a fotografare le schede elettorali e la loro scelta elettorale. Tale situazione deve far riflettere sulla gravità dei diritti civili nelle nostre comunità, chiedendo l’intervento anche di commissari ed osservatori da parte degli organismi internazionali legali all’Unione Europea. A questo punto non si può non ragionare anche in tale direzione pensando che sia davvero giunto il momento della creazione di un "Osservatorio sui diritti civili ed umanitari per il Mezzogiorno" patrocinato dall’Unione Europea e dall’Onu. Pordenone: nuovo carcere in 2 anni; 300 posti, 150 agenti, viabilità compresa nel progetto di Andrea Sartori Messaggero Veneto, 21 marzo 2014 Il nuovo carcere di San Vito non sarà pronto prima di due anni, escludendo gli eventuali, molto probabili ricorsi. E non si torna indietro: eventuali cambi della guardia al governo non influiranno più su una procedura che ormai è soltanto amministrativa. È quanto confermato ieri dal commissario straordinario del governo per le infrastrutture carcerarie, prefetto Angelo Sinesio, a margine del convegno "Un nuovo carcere o un carcere nuovo?". Lunedì s’è chiuso il bando per la progettazione definitiva ed esecutiva e la successiva costruzione del carcere. "Le offerte presentate - riferisce Sinesio - sono state dieci". Le aziende che le hanno presentate sarebbero tutte italiane. Un numero di offerte forse di poco superiore alla media, rispetto a procedure passate per la realizzazione di carceri in Italia e al valore dell’appalto in ballo (stimata, Iva esclusa, in 25 milioni 568 mila 100 euro). Ma non ci sono statistiche precise che consentano un confronto corretto: "Per questo carcere c’è stata una gara europea - spiega Sinesio, mentre prima della struttura commissariale le procedure erano riservate, degli affidamenti". Quali sono i tempi per arrivare al cantiere nell’ex caserma Dall’Armi? Alcuni mesi fa si prospettava la metà del 2014. Occorrerà attendere qualche mese in più, all’incirca il prossimo ottobre. E ciò "in assenza di ricorsi, invece molto probabili", ha osservato il commissario. Ricorsi che non si temono, ma sono "praticamente fisiologici" a questo tipo di gare. Non sono previsti altri intoppi, ad esempio politici: "La procedura è ormai solo amministrativa - aggiunge Sinesio, ed è avviata. Già sono state spese risorse per progettazione preliminare e vari adempimenti: tornare indietro è impensabile". Lunedì prossimo è prevista la prima seduta pubblica della commissione giudicatrice, che servirà alla formalizzazione della stessa e a decidere la prima seduta per esaminare le offerte. Si tenga conto che ognuna di queste ultime corrisponde a "un metro cubo di documenti": l’aggiudicazione dell’appalto avverrà in 90 giorni. Poi, 15 giorni per gli ultimi documenti, altri 30 per la firma del contratto e altrettanti per ultimare il progetto, quindi la sua validazione. L’inizio dei lavori, salvo ricorsi, è così previsto il prossimo autunno. Tempo massimo del cantiere, 625 giorni, ma la durata dei lavori potrebbe essere rivista al ribasso nell’offerta vincitrice. "Nella progettazione preliminare - ricorda Sinesio - si è tenuto conto di un carcere di concezione moderna, che punti, oltre alla detenzione, al recupero dei detenuti, nonché al non consumo di suolo. È il primo carcere che viene realizzato recuperando un bene dello Stato dismesso". Trecento posti, 150 agenti, viabilità compresa nel progetto "Le opere esterne al carcere, quali la sistemazione della strada, le piste ciclabili attorno al perimetro e la rotatoria, sono già comprese nel progetto: tutto ciò ha fatto parte delle condizioni che il sindaco Antonio Di Bisceglie ha posto preliminarmente alle cessioni dell’area dell’ex caserma Dall’Armi". Lo ha precisato il commissario Sinesio dopo che, anche nell’amministrazione comunale di San Vito, erano sorti dubbi in proposito. Ieri Sinesio ha fatto visita alla Dall’Armi, futura sede del penitenziario da 300 posti. "Il sito - ha rimarcato - si presta bene al recupero: non si spenderanno soldi per altri terreni, non i sarà ulteriore cementificazione e l’80 per cento di ciò che è presente all’interno verrà mantenuto". È previsto il recupero dei due edifici principali e la realizzazione ex novo dello stabile con le celle (nella concezione di utilizzarle solo per dormire o poco più) e ambienti comuni atti a favorire il recupero dei detenuti. Gli agenti di polizia penitenziaria saranno, a turni, circa 150: la metà sarà presente contemporaneamente nel carcere. "Si creeranno delle opportunità tra penitenziario e territorio - ha ribadito Sinesio. Ad esempio, i detenuti potrebbero eseguire all’interno lavorazioni parziali, producendo semilavorati che potrebbero ultimare le aziende del territorio: ad esempio, divise per la polizia penitenziaria. Un carcere che dovrà dare una soluzione alla delinquenza e non favorirla: è stato calcolato che un detenuto non trattato con soluzioni riabilitative ha una percentuale di recidiva dell’83 per cento. Il modello da seguire è quello del carcere di Bollate, dove la recidiva è dell’8 per cento". Pavia: Cooperativa "Il Convoglio", pane e focacce degli ex detenuti in via Teodolinda La Provincia Pavese, 21 marzo 2014 Pane, pizza, focacce, biscotti appena sfornati e, per la Pasqua, anche le colombe dolci. La Cooperativa sociale "Il Convoglio" apre un punto vendita in centro, in via Teodolinda a due passi dal Duomo. Una rivendita dei prodotti che escono dal forno di via Fossarmato, nel quale lavorano gli ex detenuti. Domani alle 16 l’inaugurazione, con il presidente della cooperativa Sergio Contrini. "Il Convoglio con questa ulteriore presenza in città desidera anche confermare il suo impegno a favore delle persone ricomprese nel circuito penale per una missione non impossibile di reinserimento positivo nella società - spiega Contrini. Il negozio di via Teodolinda rappresenta l’ulteriore tappa di questo impegno, nato nel 2000 e che ha prodotto molteplici occasioni di produzione attraverso il lavoro sia all’interno nel carcere di Pavia sia nella struttura di Fossarmato". Nel forno, che è anche un punto di riferimento per gli abitanti di Fossarmato e per i paesi limitrofi, lavorano gli ex detenuti, che hanno terminato di scontare la loro pena nel carcere di Torre del Gallo e che grazie a un progetto educativo approvato dal Ministero e dalla direzione della casa circondariale già avevano avuto la possibilità di fare apprendistato durante la fase di detenzione. Nel forno di Torre del Gallo i detenuti imparano a fare pane, pizza e biscotti. Una linea specifica di biscotti viene prodotta in particolare per i bambini ricoverati nel reparto di Chirurgia pediatrica del San Matteo. Quando escono, a pena ormai scontata, alcuni tornano alle loro case. Ma non tutti ne hanno ancora una. Serve loro una rete di appoggio. E un lavoro. Per chi ha fatto il panettiere in carcere, continuare a lavorare a Fossarmato diventa una grande opportunità. "Il lavoro rappresenta l’elemento centrale perché la persona possa completamente riprendersi a testa alta la dignità che spesso non viene più riconosciuta per via degli errori commessi - spiega ancora il presidente Sergio Contrini. Accanto al lavoro è indispensabile una sistemazione abitativa, anche se non definitiva, ma che consenta di riprendere una serenità spesso perduta". In questa direzione - la ricerca di una casa e di un lavoro - si muove il Convoglio che si avvale anche della collaborazione di Diocesi, con il vescovo Giudici, fondazione Banca del Monte e fondazione Comunitaria della Provincia. Piacenza: alle Novate detenuti in isolamento devastano e allagano il reparto Il Piacenza. 21 marzo 2014 Non cenna a placarsi l'ondata di violenza all'interno del carcere delle Novate, dopo la maxi rissa tra due bande rivali di nordafricani e il ferimento di tre agenti da parte di uno spacciatore, i detenuti in isolamento hanno devastato e allagato un intero reparto. Nei giorni scorsi rissa tra bande poi tre agenti finiti ospedale perché rimasti feriti mentre accompagnavano uno dei coinvolti nella rissa in isolamento. "Nel carcere di Piacenza la situazione oggi era ancora molto tesa, tutti i detenuti del Reparto isolamento hanno sistematicamente divelto tutto quello che potevano rompere, lavabi, bagni, lavandini, bidet, hanno addirittura rotto tubi dell'acqua; il reparto stamattina si presentava allagato e con tutti i pezzi sparsi per il corridoio, sembrava che fosse caduta una bomba sul quel reparto". Lo afferma in una nota il segretario regionale del sindacato di Polizia penitenziaria Ugl, Gennaro Narducci, il quale precisa che "i poliziotti comunque sono intervenuti a ristabilire l'ordine e la disciplina". Il penitenziario delle Novate, alla periferia sud della città, è stato al centro negli ultimi giorni di ripetuti episodi di violenza, dapprima una maxi-rissa tra "bande" di detenuti con alcuni reclusi finiti al pronto soccorso, poi mercoledì il "raid" di un detenuto che dopo aver minacciato atti di autolesionismo ha dato in escandescenze mandando all'ospedale tre agenti della Polizia penitenziaria. Ed infine i disordini di ieri segnalati dall'Ugl. "Il personale di polizia penitenziaria non è più disposto a sopportare queste modalità operative della popolazione detenuta - afferma Narducci - i vertici del carcere piacentino abbiano il coraggio di prendere atto di una situazione esplosiva, visto che ormai questo penitenziario è considerato luogo dove scaricare tutto quello che altri istituti penitenziari ritengono di dover isolare". Napoli: oggi al Castello baronale Acerra, convegno su carceri e malasanità di Rossella Russo www.campania24news.it, 21 marzo 2014 "Discariche sociali, carcere e malasanità". Questo il titolo del convegno in programma oggi al Castello baronale di Acerra. L’evento è organizzato dal Cad Sociale di Napoli, con le associazioni "Per la grande Napoli" e "Nessuno tocchi Eva". Interverranno il sindaco Raffaele Lettieri, il presidente nazionale del Cad Gerardo Salsano e il presidente provinciale Francesco Muzio. Tra gli ospiti sono attesi: il senatore Vincenzo D’Anna, vicepresidente del gruppo Gal e membro della Commissione Igiene e Sanità di Palazzo Madama; il professore Samuele Ciambriello; Don Franco Esposito; Francesca Beneduce, presidente della commissione Pari Opportunità Regione Campania; Luigi Mazzotta, componente della giunta esecutiva radicali di Roma; i consiglieri del Comune di Acerra Antonio Laudando e Antonio Crimaldi. Inoltre, alle ore 23 su Tv Luna (canale 14 del Digitale Terrestre), andrà in onda la seconda puntata del programma condotta da Rosa Criscuolo e Fabrizio Ferrante dedicato al tema delle carceri. In studio, per parlare di malasanità e Opg (ospedale psichiatrico giudiziario): Giuseppe Nardini, Michele Capano e Mario Barone. Un contributo esterno sarà fornito dalla garante dei detenuti dott.ssa Adriana Tocco. Venezia: manifestazione con petardi e bengala davanti al carcere "liberi tutti..." Ansa, 21 marzo 2014 Rumorosa manifestazione contro il sovraffollamento delle carceri mercoledì sera davanti alla Casa circondariale di Santa Maria Maggiore. Una trentina di giovani, infatti, "armati" di bengala e petardi, si sono dati appuntamento a piazzale Roma per poi fare tappa dopo pochi minuti davanti alla prigione lagunare. Una volta radunati di fronte a quello che era il loro obiettivo, hanno urlato slogan come "Liberi tutti" per una mezz’oretta. Facendo un gran baccano. Del resto il loro obiettivo con ogni probabilità era proprio di farsi sentire al di là delle mura carcerarie, per rendere "tangibile" ai detenuti la propria presa di posizione. Dopo la veloce manifestazione, gli attivisti si sono dispersi tra le calli e piazzale Roma. Dopo il gran rumore, è quindi calato di nuovo il silenzio. Bologna: la Garante Desi Bruno; presenze ai minimi storici presso l’Ipm del Pratello Ristretti Orizzonti, 21 marzo 2014 La Garante regionale delle persone sottoposte a misure limitative della libertà personale, ha incontrato la Direzione e il comandante della Polizia penitenziaria dell’Istituto penale minorile di via del Pratello. In seguito a questo colloquio, Desi Bruno rilascia questa dichiarazione: "La presenza dei detenuti minorenni è positivamente ai minimi storici in quanto alla data dell’incontro con la Direzione, il 19 marzo scorso, dodici erano i ragazzi ristretti presso l’Istituto penale minorile. Il numero basso delle presenze, che si auspica rimanga, è l’effetto di molteplici fattori: dal trasferimento di detenuti maggiorenni ad altri Istituti, al collocamento in comunità, anche per effetto della sentenza della Corte Costituzionale in materia di stupefacenti. Presso l’Istituto proseguono tutte le attività scolastiche, formative e di occupazione del tempo libero come a più riprese rilevato". Catanzaro: dall’Associazione "Universo Minori" tanti libri per i giovani detenuti dell’Ipm ww.catanzaroinforma.it, 21 marzo 2014 Tra le tante iniziative svolte dall’Associazione " Universo Minori", la presidente Rita Tulelli ed il vicepresidente Vittorio Miceli, hanno donato nei giorni del 13 e del 20 marzo, al direttore delle Carceri Minorili di Catanzaro dottor Francesco Pellegrino molti libri, di vario genere per i giovani detenuti. Presente all’incontro anche il dottor Nunzio Lacquaniti e la studentessa Mariachiara Chiodo, laureanda in Giurisprudenza, da sempre attenti alle tematiche sociali. L’Associazione ci tiene ad affermare che i ragazzi vengono arrestati perché hanno commesso azioni criminali e punibili dalla legge, ma ascoltandoli è facile capire che hanno alle spalle situazioni difficili, di abbandono, di violenza fisica e psicologica, di sfruttamento e soprattutto provengono da ambienti in cui regna la microcriminalità. Nelle carceri minorili i ragazzi reclusi studiano, per questo la nostra volontà di donare libri, che spaziano dalla storia, alla geografia, alla Bibbia per ragazzi, ai romanzi, alla letteratura, ai pensieri di Fabio Volo autore che i giovani apprezzano in particolar modo. "Siamo dell’opinione che entrare in un libro vuol dire intraprendere un viaggio nella memoria proiettata al futuro - si legge nella nota dell’associazione, dove la realtà diviene meno vivida e concreta, ma più soffusa e particolareggiata, tanto da stimolare l’attenzione del lettore e permettergli di uscire dai suoi luoghi comuni e conosciuti e di liberarsi verso altri pensieri. Ci auguriamo che una volta scontata la pena i ragazzi vengano reintegrati nel tessuto sociale e che abbiano dei valori in cui credere". Immigrazione: Osservatorio Puglia; nei Cie e Cara oltre 8.900 "ospiti" negli ultimi 7 anni Ansa, 21 marzo 2014 L’Osservatorio sulla detenzione amministrativa degli immigrati e l’accoglienza dei richiedenti asilo in Puglia ha diffuso oggi un’anticipazione del rapporto sulle condizioni nei Centri d’identificazione ed espulsione (Cie) e l’analisti delle prassi di accoglienza nei Cara e nelle strutture di protezione del sistema Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati). A presentarli in conferenza stampa l’assessore alla Cittadinanza sociale, Guglielmo Minervini, e il coordinatore della ricerca Luigi Pannarale. I Cie di Bari-Palese e Brindisi-Restinco (chiuso per lavori da maggio 2012) - è stato spiegato - hanno ospitato oltre 8.900 stranieri negli ultimi sette anni, con una media di oltre 1.200 ingressi per anno e un tempo di permanenza medio che oscilla tra i 60 e i 100 giorni. La percentuale di immigrati irregolari effettivamente rimpatriati è rimasta in genere molto bassa, con un picco del 51% nel 2008 e una media del 37% nel periodo, a dimostrazione - è stato detto - "dell’inutilità dell’afflizione che subiscono gli stranieri all’interno di tali strutture". Dal 2008 operano in Puglia 3 Centri di accoglienza richiedenti asilo (Cara), ma alle strutture di Foggia, Bari e Brindisi si aggiunge il Centro di primo soccorso ed accoglienza (Cpsa) di Otranto, che apre solo in casi eccezionali per prestare il primo soccorso ai migranti sbarcati nei pressi delle coste salentine. I tre Cara hanno accolto dal 2008 oltre 30.000 richiedenti asilo e - è stato evidenziato - hanno prevalentemente svolto negli ultimi cinque anni la funzione di centro di destinazione per i migranti sbarcati in altre regioni d’Italia, in particolare Sicilia e Calabria. Nel solo 2011 la struttura barese, ad esempio, ha ospitato oltre 8.500 richiedenti asilo, in gran parte provenienti dalla Sicilia. Quanto alle 22 strutture di seconda accoglienza del Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati (Sprar) nel 2013 si è assistito a un notevole aumento dei posti finanziati, con i posti che sono passati da 291 a 477 (+64%), grazie ai due ampliamenti straordinari (dicembre 2012 e maggio 2013), finanziati stanziati rispettivamente per affrontare la chiusura dell’Emergenza Nord Africa e il sovraffollamento di alcuni Cara. La ricerca è stata condotta dai Dipartimenti di Giurisprudenza e Scienze Politiche dell’Università di Bari con un contributo finanziario della fondazione Caripuglia e con il contributo dell’Ufficio del Garante. L’anticipazione è disponibile su osservatoriomigranti.org. Assessore Minervini: politica respingimento è fallimentare "Dalla ricerca emerge il fallimento delle politica fondata sul respingimento e sull’idea che l’immigrazione costituisca solo un problema di ordine pubblico e sicurezza, da affrontare con strutture detentive". Lo ha detto l’assessore alla Cittadinanza sociale della Regione Puglia, Guglielmo Minervini, presentando oggi a Bari l’anticipazione del rapporto sulle condizioni nei Centri d’identificazione ed espulsione (Cie) e l’analisti delle prassi di accoglienza nei Cara e nelle strutture di protezione del sistema Sprar. "È incivile - ha aggiunto - mantenere questo sistema e costa anche molto farlo. Occorre cambiare la politica orientarla ai principi di accoglienza, trattare i migranti come persone e non come criminali è il primo passo per rimetterci nella prospettiva giusta. In Puglia lo stiamo facendo, convinti che i migranti siano una risorsa per il nostro territorio". "Abbiamo evidenziato la situazione attuale della detenzione degli immigrati - ha aggiunto il coordinatore della ricerca Luigi Pannarale - nelle strutture. Abbiamo soluzioni diverse del problema con ricadute diverse sui soggetti coinvolti e sulla popolazione. Non solo possiamo dire che le strutture più soft funzionano meglio, possiamo soprattutto affermare che i problemi dei migranti e dell’ospitalità vanno risolti con criteri non emergenziali ma d’integrazione e confronto". Nel corso della conferenza stampa, cui tra gli altri ha partecipato il garante dei detenuti, Piero Rossi, è emerso anche che in Puglia c’è il 30% dei posti presenti in tutta Italia nei Cara. Strutture - è stato spiegato - "inefficaci, costose e inutili rispetto alle politiche di accoglienza diffuse sul territorio come il sistema Sprar, gestito dall’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani (Anci), in seguito ad una convenzione stipulata con il Ministero dell’Interno". Brasile: altre 10 condanne per massacro nel carcere Carandiru, dove ci furono 111 morti Ansa, 21 marzo 2014 Altri dieci poliziotti sono stati condannati, a un totale di 968 anni di reclusione, per aver preso parte al massacro nel carcere brasiliano di Carandiru, nel 1992, quando una rissa fra bande rivali si trasformò in una rivolta sedata con la violenza, che provocò 111 morti fra i detenuti. La sentenza è stata emessa la notte scorsa a San Paolo da una giuria popolare. I condannati - tutti ex membri del Gruppo di azioni tattiche speciali (Gate) della polizia militare - potranno ricorrere in libertà. Il processo è stato diviso in quattro parti per consentire alla giuria di analizzare i fatti per ordine di ingresso degli agenti nei vari padiglioni del penitenziario in cui sono avvenute le uccisioni. La rivolta del due ottobre 1992 iniziò in seguito a una lite tra due detenuti e si diffuse rapidamente all’interno di quella che era all’epoca una delle più grandi prigioni del Sud America (ospitava ben 10 mila detenuti). I poliziotti sostengono di avere agito per legittima difesa. Stati Uniti: eseguita condanna a morte per ex rapper afroamericano di 33 anni Asca, 21 marzo 2014 Terza esecuzione dell’anno in Texas, l’undicesima in tutti gli Stati Uniti dall’inizio del 2014. Dopo 14 anni passati nel braccio della morte, il 33enne Ray Jasper, ex cantante rap condannato per l’uccisione del proprietario di uno studio di registrazione, è stato giustiziato nel carcere di Huntsville. Il rapper afroamericano aveva 19 anni quando insieme a due complici organizzò una rapina nel novembre del 1998 a uno studio di registrazione presso il quale lavorava, nel corso della quale il proprietario della sala, David Alejandro, era stato accoltellato a morte. Jasper aveva ammesso di aver ucciso l’uomo per evitare che lo riconoscesse. Stati Uniti: Washington tratta con Uruguay su trasferimento dei prigionieri Guantanámo di Luca Pistone www.atlasweb.it, 21 marzo 2014 Washington sta discutendo con l’Uruguay la necessità di trasferire ad altri paesi i detenuti del carcere di Guantánamo, così da poter chiudere definitivamente il centro di detenzione situato in territorio cubano. Il presidente Barack Obama, che nel 2009 ha promesso di chiudere la prigione, ha ripetutamente chiesto a più nazioni di ricevere i detenuti ritenuti una minaccia per gli Stati Uniti perché accusati di terrorismo. "Il governo degli Stati Uniti sta tenendo colloqui di altissimo livello con il governo dell’Uruguay su svariate questioni globali. Una di queste riguarda la chiusura di Guantánamo, una delle priorità dell’amministrazione Obama per le sue implicazioni umanitarie", recita una nota emessa ieri dall’ambasciata Usa a Montevideo. "Ci stiamo consultando con diversi paesi della regione sulla chiusura di questo centro di detenzione. Data la leadership del presidente José Mujica nella regione, abbiamo consultato il suo governo", segue il comunicato. Secondo il settimanale uruguaiano Búsqueda, Mujica avrebbe accettato di ricevere cinque detenuti per un periodo di due anni dopo aver inviato dei delegati a visitare il carcere e aver discusso della faccenda con il suo omologo cubano Raúl Castro. La notizia è confermata dallo stesso Mujica in conferenza stampa. "Sì, i detenuti di Guantánamo che lo vorranno potranno venire in Uruguay. Verranno come rifugiati, e potranno portare le loro famiglie", ha detto il presidente al programma televisivo Subrayado di Canal 10. La prigione di Guantánamo, che ospita 155 detenuti, è stata ampiamente criticata a livello internazionale per le continue violazioni dei diritti umani a causa delle condizioni di reclusione. Tunisia: i detenuti di Jendouba protestano per non aver beneficiato dell’amnistia Nova, 21 marzo 2014 Un certo numero di prigionieri dal carcere di Bulla Regia, nel governatorato tunisino di Jendouba, hanno protestato per non aver beneficiato dell’amnistia legislativa. Alcuni prigionieri si sono anche feriti con delle lame di rasoio in varie parti del loro corpo. I detenuti hanno ricevuto immediate cure mediche ed è stata avviata un’inchiesta per verificare l’origine delle lame. Siria: timori per sorte volontaria Mezzaluna rossa arrestata da membri servizi sicurezza Tm News, 21 marzo 2014 Non si hanno più notizie di una volontaria della Mezzaluna rossa siriana arrestata dal regime di Assad. Amnesty International ricorda che Maryam Haïd era stata arrestata il 13 gennaio da membri delle Foseze di sicurezza siriane e poi detenuta nei locali di quella unità a Damasco. Da allora non è filtrata più alcuna notizia sulla sua sorte. L’arresto della donna potrebbe essere legato al fatto che il cugino, con il quale abitava a Damasco, e altri membri della sue famiglia, militavano nell’opposizione. L’ultima volta che Haid è stata vista dalla sua famiglia è il 5 marzo, quando è apparsa su una rete televisiva filogovernativa presentata come una "terrorista". Decine di migliaia di persone sono detenute nelle prigioni governative siriane, spesso sottoposte a maltrattamenti e torture. Di molti detenuti non si hanno più notizie. Afghanistan: rilasciati altri 55 detenuti carcere di Bagram, mancano prove colpevolezza Aki, 21 marzo 2014 La autorità afghane hanno rilasciato altri 55 detenuti del carcere di Bagram giudicati "non colpevoli" dalla Commissione incaricata lo scorso anno dal presidente Hamid Karzai di esaminare i casi di alcuni prigionieri. "Negli ultimi quattro mesi abbiamo esaminato 104 casi. Non c’erano prove né documenti a sufficienza per dimostrare la colpevolezza di questi 55 detenuti, quindi li abbiamo rilasciati", ha detto il capo della commissione, Abdul Shakoor Dadras, citato dall’agenzia di stampa Dpa. "Altri 45 casi sono stati sottoposti all’esame della procura generale, perché si tratta di questioni più complesse", ha aggiunto Dadras. Il mese scorso le autorità afghane hanno rilasciato 65 detenuti del carcere di Bagram che erano stati segnalati come "pericolosi" dagli Stati Uniti. Secondo Dadras i casi dei 55 prigionieri rilasciati oggi sono "completamente diversi" da quelli dei 65 liberati a febbraio. La commissione deve ancora esaminare altri 50 casi e si prevede che concluderà tra un mese il suo lavoro. I militari Usa hanno ceduto lo scorso anno agli afghani il controllo del carcere di massima sicurezza di Bagram, circa 60 chilometri a nord di Kabul, ora indicato come Centro di detenzione di Parwan. Da allora centinaia di detenuti sono stati liberati, mentre nella prigione restano rinchiuse - secondo la Dpa - circa tremila persone, per lo più con l’accusa di legami con i gruppi dell’insorgenza. Mali: ex leader giunta militare inizia sciopero della fame in carcere Aki, 21 marzo 2014 Ha iniziato uno sciopero della fame in carcere il generale Amadou Aya Sanogo, l’ex capo della giunta militare che prese il potere in Mali con un colpo di Stato nel marzo del 2012 contro il regime del presidente dimissionario Amadou Toumani Tourè. Sanogo, riporta il sito d’informazione ‘World Bulletin’, ha iniziato lo sciopero per protestare contro le sue condizioni di detenzione. Il generale era stato arrestato lo scorso novembre con l’accusa di complicità nella scomparsa, durante il colpo di Stato del 2012, di decine di paramilitari fedeli a Tourè. Successivamente le autorità maliane scoprirono 30 corpi in una fosse comune a Kati, nei pressi di una sede della giunta golpista. Sanogo di recente è stato trasferito nel carcere della città di Selingue, città situata 150 chilometri a sud di Bamako, non distante dal confine con la Guinea.