Giustizia: sulle carceri e sull’eutanasia Napolitano richiama al valore della dignità umana di Mario Lavia Europa, 20 marzo 2014 Il Capo dello Stato ha invitato il Parlamento ad affrontare il tema del fine-vita: una istanza che si connette a quella delle carceri. C’è un valore fondamentale che troppo spesso la politica ignora e che la presidenza di Giorgio Napolitano cerca di far vivere nella concretezza della legislazione italiana: questo valore è la dignità umana. Il presidente della repubblica ha infilato una serie di tematiche che hanno come comune denominatore proprio questo valore. L’esigenza di rendere il sistema carcerario più umano o quella di provvedere con una moderna legislazione ad affrontare la questione del fine-vita rimandano chiaramente all’obiettivo di dotare il nostro sistema giuridico di un maggiore grado di umanità. Fra i partiti, è merito dei Radicali se il tema è entrato nell’agenda: c’è da sperare che non restino soli. La cosa che sulle prime sorprende è che un uomo politicamente prudente e ben allenato ai tempi lunghi della mediazione politica, su questo terreno invece va spedito. Senza timori di eventuali dissensi politici. Senza paura di farsi avanguardia cosciente. Persino senza tema di "sfidare" il Parlamento. Quando si dovrà aggiornare il complesso itinerario politico di Napolitano sarà bene considerare anche questo inedito lato battagliero e "controcorrente" del suo prisma intellettuale. Nel quale confluiscono altissime istanze morali e insieme umana immedesimazione nelle tragedie che tutti noi, o nostri amici, colleghi, familiari ben conosciamo. Per questo, dinanzi alle tragedie di malati che altro non chiedono se non di salutare la vita in modo degno, nessuno può più voltare la testa dall’altra parte. Giorgio Napolitano richiama il parlamento a discuterne liberamente e a muoversi (sperando che non faccia melina come è avvenuto nel caso del problema del sovraffollamento delle carceri: una giornatina di bla-bla a Montecitorio sul messaggio alle Camere del capo della stato, una cosa abbastanza deprimente). Ora che sono passati trent’anni dalla prima legge sull’eutanasia del socialista Loris Fortuna, il momento per fare qualcosa è arrivato. Napolitano ha detto quel che doveva dire. Interpretando l’ansia di molti italiani e soprattutto il senso di un tempo dove la dignità non è certo la stella che più brilla, nel cielo della politica. Giustizia: in nome del popolo ignorato… le 27 proposte di legge che giacciono dimenticate di Eleonora Martini Il Manifesto, 20 marzo 2014 Le ultime in ordine di tempo, sono le tre leggi per la giustizia e i diritti - tortura, carceri, droghe - depositate quattro mesi fa alla Camera da un cartello di associazioni di settore. Poco prima era arrivata la proposta dai Radicali che, con 15 mila firme in più rispetto alle 50 mila necessarie, chiede la legalizzazione dell’eutanasia. Giace invece in attesa dal 15 marzo 2013 la proposta di 200 mila cittadini che, aderendo all’iniziativa "L’Italia sono anch’io", chiedono di cambiare le norme sulla cittadinanza. Ma, in fondo, l’elenco delle leggi di iniziativa popolare ancora in attesa di essere calendarizzate in Parlamento entro il termine di decadenza di due legislature, non è poi nemmeno così lungo: 27. Perché dal primo governo Berlusconi in poi non solo "l’iniziativa legislativa popolare ha finito per diventate velleitaria" ma anche le "stesse proposte parlamentari sono state marginalizzate" da un progressivo slittamento del potere legislativo, sempre più nelle mani del governo e sempre più demandato alla decretazione d’urgenza (con annessa fiducia), come ha spiegato il professor Giovanni Piccirilli, della Luiss, intervenendo ieri al convegno organizzato dall’Associazione radicale Luca Coscioni dal titolo "Art.71: il popolo esercita l’iniziativa delle leggi. Proposte per un Parlamento che rispetti la Costituzione, il popolo e sé stesso". E così, delle 272 leggi di iniziativa popolare depositate dall’inizio della storia repubblicana, solo 24 sono state poi approvate: quella che istituì i parchi nazionali, per esempio, o il Mattarellum, che metteva in atto il responso referendario del 1993. In nome del popolo ignorato, si potrebbe dire. Ecco allora che diventa centrale la riforma del Regolamento parlamentare che alla Camera è arrivata ad un primo importante step con il testo messo a punto faticosamente, dopo sei mesi di lavoro, dal comitato ristretto della Giunta per il Regolamento e con una serie di emendamenti già presentati (nel buco nero del Senato invece, come ormai accade sempre più spesso, è finita anche la bozza Quagliariello-Zanda, sepolta dalla scorsa legislatura). Oggi pomeriggio alle 16,30 è previsto un incontro con la presidente dei deputati, Laura Boldrini, "per decidere l’iter che si dovrà adottare" in aprile, quando entrerà nel calendario dei lavori di Montecitorio, come ha raccontato ieri il relatore di una parte del provvedimento, Gianni Melilla. Il deputato di Sel ha trasformato in due emendamenti alcune delle richieste espresse dalle associazioni e dai comitati insieme ai Radicali. Prima tra tutte, l’obbligo di audire i promotori delle leggi di iniziativa popolare e, nel caso che il comitato ristretto bocci l’ammissibilità della proposta di legge, anche l’obbligo di pubblicare le motivazioni scritte e di rinviare comunque all’Aula la decisione finale. Insomma, più trasparenza e maggiore attenzione alle iniziative normative delle minoranze. Ma proprio su questo ultimo punto nel dibattito di ieri sono emerse posizioni apparentemente inconciliabili, riguardo alla riforma del Regolamento. Da una parte il M5S che denuncia il tentativo di istituzionalizzare la cosiddetta "ghigliottina", di limitare il dibattito in Aula e il numero di emendamenti e degli Odg presentabili da ciascun gruppo parlamentare, "con il rischio - ha spiegato il deputato grillino Danilo Toninelli - che le opposizioni siano costrette per farsi ascoltare ad adottare comportamenti non regolamentari". Dall’altra parte Scelta civica, per esempio, che invece vorrebbe contenere "l’ipergarantismo nei confronti dell’ostruzionismo delle opposizioni", come ha raccontato ieri l’onorevole Mario Catania. C’è poi il nodo delle 50 mila firme necessarie ad esercitare l’iniziativa popolare, come stabilito dall’articolo 71 della Costituzione: un numero tutto sommato esiguo che, spiega il professor Piccirilli, non permette di distinguere le proposte "deboli" da "altre supportate da maggior consenso popolare". In attesa della riforma del Regolamento, però, l’Associazione Luca Coscioni fa appello ai parlamentari affinché deliberino "con la massima urgenza un programma di lavori straordinario per mettere in discussione entro il 2014 le leggi popolari giacenti". Attenzione, però, fa notare Piccirilli, referendum e iniziativa legislativa popolare "non sono strumenti di democrazia diretta ma istituti inseriti nel sistema della democrazia rappresentativa". Quel sistema oggi distorto dall’uso smodato dei decreti legge governativi con la complicità dallo stesso Parlamento, come hanno sottolineato la Consulta, bocciando la legge Fini-Giovanardi, e il presidente Napolitano rinviando al mittente il primo decreto "Salva-Roma". Non c’è da stupirsi dunque se ormai, come fa notare la segretaria dei Radicali italiani Rita Bernardini ricordando per esempio la legge 40 sulla fecondazione artificiale, anche la magistratura esercita di fatto una funzione legislativa assumendo "un potere forse eccessivo". Non è colpa del controllore, però, se a volte gli addetti ai lavori perdono la bussola del dettato costituzionale. E dimenticano il significato di sovranità popolare. Giustizia: Londra condanna le nostre carceri, rischio blocco per estradizioni ed espulsioni di Vladimiro Zagrebelsky La Stampa, 20 marzo 2014 Anni orsono la Corte europea dei diritti umani, la Corte di Strasburgo, condannò l’Italia perché il sistema delle condanne pronunciate nei processi in contumacia era incompatibile con l’equità del processo. Il codice di procedura penale italiano, in effetti, consentiva di svolgere processi senza che l’accusato fosse efficacemente avvertito del processo stesso e della data dell’udienza. Cosicché egli non vi poteva partecipare o validamente rinunciare. Con sorprendente rapidità il governo di allora introdusse una modifica al codice con un decreto legge, nella cui premessa si leggeva che era necessario e urgente adeguare il sistema alla sentenza della Corte europea. Era una piccola modifica, sufficiente però a correggere il più vistoso difetto. La sorpresa per l’intervento del governo dipendeva dalla frequente indifferenza italiana rispetto agli obblighi assunti nei confronti delle regole europee. Mai prima di allora un decreto legge era stato emanato in circostanze simili. Perché allora il governo si determinò a farlo? Dopo la sentenza della Corte europea, Germania e Spagna avevano preso a rifiutare di estradare in Italia i condannati in contumacia di cui l’Italia chiedeva la consegna. Rifiutavano, quei paesi e gli altri che certo li avrebbero imitati, per non rendersi complici di violazioni dell’equo processo. Con la Convenzione europea dei diritti umani, tutti gli Stati europei sono tra loro vincolati a garantire i diritti fondamentali. Non si trattava allora del semplice, anche se dovuto, ossequio a una decisione giudiziaria, ma piuttosto della necessità di bloccarne le conseguenze, che iniziavano a manifestarsi nell’intero sistema europeo. Perché, pur con qualche difetto, un sistema europeo di protezione dei diritti fondamentali esiste e opera efficacemente. Lo schema si riproduce ora per la situazione delle carceri italiane. La Corte europea ha rilevato che in Italia il sovraffollamento sottopone un gran numero di detenuti a un trattamento inumano e degradante e ha imposto all’Italia di adeguare agli standard europei il numero dei detenuti rispetto alla capienza delle carceri; i giudici degli altri Stati europei constatano che estradando condannati in Italia questi rischiano un regime di detenzione incompatibile con il divieto di trattamenti inumani e, per non rendersi compartecipi della violazione, respingono la richiesta italiana. È ciò che è avvenuto ora da parte di giudici inglesi, che hanno rifiutato di trasferire in Italia un condannato alla reclusione per reati di mafia. L’eventualità che ciò diventi prassi diffusa da parte di tutti i giudici europei e che quindi l’Italia non riesca più ad ottenere l’estradizione di condannati è ora più che prevedibile. Non solo, ma si è in attesa di una sentenza della Corte europea che dovrà dire se le condizioni in cui l’Italia tiene gli stranieri destinati all’espulsione siano compatibili con il divieto di trattamenti inumani. Se la sentenza fosse negativa per l’Italia, come la Corte ha già deciso per la Grecia, gli stranieri in attesa della decisione sulla loro domanda di asilo non sarebbero più trasferiti in Italia e il quadro si completerebbe. Non per il debito pubblico o per lo spread, ma per l’inumanità dei suoi luoghi di detenzione l’Italia verrebbe cacciata dalla classe. Altro che dietro la lavagna, per richiamare una figura usata dal nostro presidente del Consiglio! Tra due mesi e mezzo scade il termine indicato dalla Corte europea perché l’Italia adegui lo stato delle sue carceri. Qualche riforma legislativa e diversi aggiustamenti nella gestione carceraria hanno ridotto il numero dei detenuti e attenuato il problema, che però resta irrisolto. Il Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa, che sorveglia l’esecuzione delle sentenze della Corte europea, ha recentemente dichiarato che le misure prese sono insufficienti. Ulteriori condanne, pesanti anche sul piano economico oltre che morale, sono dietro l’angolo. Ma governo e Parlamento sembrano pensare di aver fatto quello che era necessario. Non sarebbero necessari provvedimenti eccezionali, come l’indulto che anticiperebbe la liberazione dei detenuti che hanno scontato quasi interamente la loro pena o che sono stati condannati a pene brevi. Il messaggio che in tale senso il presidente della Repubblica ha inviato al Parlamento, ha trovato tardiva e distratta attenzione. Sono in vista le elezioni europee e prima o poi anche quelle politiche nazionali. Tanto basta per non voler irritare quell’elettorato di cui si cerca il voto. È un peccato. L’Italia non è solo uno dei paesi fondatori dell’Europa unita. L’Italia è anche stata il paese di Beccaria e dell’umanità delle pene. Giustizia: Orlando; a breve misure concrete sulle carceri, per dare risposte a Strasburgo Adnkronos, 20 marzo 2014 Sull’emergenza carceri "daremo nei prossimi giorni segnali significativi e renderemo esplicite le linee guida" e "le risposte dell’Italia all’insieme di eccezioni che sono state fatte dalla Corte di Strasburgo". Lo ha detto, a margine di un convegno della Coldiretti, il ministro della Giustizia Andrea Orlando. "Non faremo però un mega-piano ma una serie di interventi puntuali", ha precisato il Guardasigilli. Quanto alla sentenza della Corte di Strasburgo che lo scorso anno ha condannato l’Italia per il sovraffollamento carcerario dandole tempo fino al prossimo 25 maggio per adottare delle misure, il ministro ha spiegato che: "Stiamo lavorando anche su questo fronte. Ieri - c’è stata una riunione fiume con le strutture direttamente coinvolte: ma preferisco parlarne più dettagliatamente quando sarà pronta una piattaforma di interlocuzione con Strasburgo, che deve essere la risposta dell’Italia". "La situazione delle carceri - ha aggiunto Orlando - è migliorata ma resta critica. Non serve un mega-piano - ha ribadito il ministro. Di piani ne sono stati fatti molti, ora servono misure concrete che devono dare risposte puntuali alle domande poste da Strasburgo". Rispetto alla possibilità di cedere o riconvertire alcune strutture carcerarie, il titolare del dicastero di via Arenula ha spiegato che ci si sta "attivando per attuare convenzioni con le Regioni con l’ipotesi di usare strutture fatiscenti o non più funzionali in modo diverso, o ricavando dei proventi o utilizzando le stesse strutture in forme diverse, per esempio per usi di comunità per i tossicodipendenti". Razionalizzare spesa e indirizzarla "Stiamo facendo una ricognizione complessiva della nostra spesa, che in parte deve andare nella direzione di un contenimento e in parte verso una razionalizzazione della spesa, a favore di una capacità della ripresa degli investimenti in alcuni ambiti, come per esempio l’edilizia carceraria". Andrea Orlando, ministro della Giustizia, lo dice a margine della presentazione dell’osservatorio Coldiretti sulla criminalità in agricoltura, commentando le misure per il contenimento della spesa nel suo dicastero e dei possibili indirizzi da individuare. Quello che si deve fare, ipotizza, è agire sulla spesa riducendola "a favore di una capacità di ripresa degli investimenti in alcuni ambiti", insomma, precisa Orlando parlando con i cronisti, verso progetti come quello del rinnovo dell’edilizia carceraria. Aree di azione "dove a fronte della cessione di alcuni immobili fatiscenti o non più funzionali - segnala il Guardasigilli - pensiamo di liberare risorse per consentire investimenti in nuove strutture che consentano l’esecuzione delle pene alternative al carcere", ad esempio quelle relative ai tossicodipendenti da gestire altrove per il loro bene e per ridurre l’affollamento delle carceri. Giustizia: Orlando vuole vendere le carceri vecchie e, con i proventi, costruirne di nuove di Simona D’Alessio Italia Oggi, 20 marzo 2014 Carceri ("fatiscenti e non più funzionali") vendesi. E, con i proventi, via libera ad investimenti per realizzare delle strutture moderne. È l’idea che è stata lanciata ieri dal ministro della giustizia, Andrea Orlando, parlando, a margine di un convegno della Coldiretti, a Roma, dello stato attuale delle prigioni, nel nostro paese. Obiettivo principale, specifica, è il contenimento delle spese in favore di una "ripresa degli investimenti in alcuni ambiti, come quello dell’edilizia carceraria"; grazie alla cessione delle sedi che sono oramai in disuso, pertanto, "pensiamo di liberare risorse" con cui consentire il potenziamento, ad esempio, delle comunità per il recupero dei tossicodipendenti, attraverso la stipula di convenzioni con le regioni per un valido utilizzo di edifici che, una volta, erano stati adibiti a penitenziari. Già "nei prossimi giorni", continua il guardasigilli, il governo fornirà "segnali significativi" per affrontare il problema del sovraffollamento carcerario, con lo sguardo rivolto al rischio (concreto) che Bruxelles decida di aprire, nelle prossime settimane, la procedura d’infrazione contro l’Italia, se entro il 28 maggio (come è stato stabilito da una sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, che ci ha dato un anno di tempo per provvedere) non saranno trovate soluzioni adeguate per alleviare la condizione dei detenuti; le nostre recenti misure legislative sono state, infatti, ritenute "insufficienti" dal comitato dei ministri del Consiglio d’Europa, "preoccupato" nella consapevolezza che in cella, in base alle rilevazioni più recenti fornite dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap), ci sono 60 mila 828 persone, mentre gli spazi realmente disponibili nei 205 istituti della penisola sono destinati ad accogliere 47 mila 857 reclusi. Una situazione, dichiara, che seppur "migliorata", rimane "critica", per la quale non occorrono piani imponenti ("ne sono stati fatti molti" in passato, tiene a sottolineare il titolare del dicastero di via Arenula), bensì delle "misure concrete". Giustizia: Orlando firma un Decreto su sicurezza e salute in carceri e strutture giudiziarie Italpress, 20 marzo 2014 Il ministro della Giustizia Andrea Orlando ha firmato il decreto ministeriale che regola le disposizioni in materia di sicurezza e salute dei luoghi di lavoro nell’ambito delle strutture di competenza amministrativa del ministero della Giustizia. "L’intervento normativo a tutela dei lavoratori rientra nel quadro delle iniziative volte al miglioramento delle condizioni del sistema penitenziario e si inserisce nel quadro del sistema di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro (Testo Unico 81/2008) e ne integra le disposizioni per adattarle alle peculiarità delle attività svolte nelle strutture giudiziarie e penitenziarie connotate da particolari esigenze di riservatezza e sicurezza - spiega il dicastero in una nota. In particolare, sono individuate le misure strutturali e organizzative dirette a garantire la sicurezza nell’ambito dell’attività giudiziaria e penitenziaria con modalità compatibili con la normativa di sicurezza e salute applicabile agli altri luoghi di lavoro". Il regolamento prevede anche un servizio di vigilanza ispettiva sulla applicazione della normativa in materia di sicurezza e salute nei luoghi e nelle strutture di lavoro in cui hanno sede gli uffici del Ministero della Giustizia. Il Guardasigilli ha richiesto il concerto dei ministri del Lavoro, della Salute e della Pubblica Amministrazione. Giustizia: in Commissione al Senato ddl che incentiva le imprese ad assumere carcerati Public Policy, 20 marzo 2014 Creare opportunità lavorative per i detenuti e introdurre incentivi alle imprese e le cooperative sociali pubbliche e private che creano occasioni di lavoro sia all’interno che all’esterno del carcere. Sono gli obiettivi di un ddl, prima firmataria Rita Ghedini (Pd), assegnato alle Commissioni Giustizia e Lavoro di Palazzo Madama. Il testo modifica alcune disposizioni previste dalla legge 26 luglio 1975, n. 354, con norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà, e dalla legge 22 giugno 2000, n. 193, la cosiddetta legge Smuraglia, contenente norme per favorire l’attività lavorativa dei detenuti. Incentivi a imprese per lavoro fuori dal carcere Si allarga la platea dei soggetti che possono beneficiare di sgravi fiscali in caso di assunzione di lavoratori detenuti. Entrano nella lista le aziende, pubbliche o private, che organizzano attività all’esterno del carcere, impiegando persone detenute o internate, e soggetti ammessi alle misure alternative alla detenzione o al lavoro esterno. Ad oggi gli incentivi sono destinati solo alle imprese che impiegano i detenuti per attività all’interno delle mura carcerarie. Il lavoro dentro le mura Incentivi sono previsti anche alle imprese che consolidano le proprie attività e inseriscono il maggior numero di lavoratori detenuti. Nello specifico, si prevede l’erogazione di contributi per progetti specifici di formazione e inserimento lavorativo svolti da cooperative sociali o loro consorzi, o da imprese primarie e non profit, per attività intramurarie. Credito di imposta più alto Si alza da 700 a 1.000 il credito d’imposta concesso alle imprese che assumono lavoratori detenuti, internati, beneficiari di misure alternative alla detenzione o ammessi al lavoro all’esterno. La concessione è anche estesa ai 12 mesi successivi alla scarcerazione nel caso il detenuto abbia usufruito di misure alternative o del lavoro esterno, o ai 24 mesi successivi nel caso non ne abbia usufruito. Il credito di imposta può essere concesso anche a imprese che affidano a cooperative sociali o ad altre aziende pubbliche o private l’esecuzione di attività produttive o di servizi che costituiscono occasione di inserimento lavorativo per detenuti, sia all’interno che all’esterno del carcere. Il credito è utilizzabile in progetti di innovazione tecnologica, di formazione professionale e di sicurezza. Il registro per il fondo cassa ammende Sarà costituito presso il ministero della Giustizia un registro dove saranno iscritte le cooperative sociali che assumono lavoratori detenuti e che svolgono attività di formazione, supporto, assistenza e monitoraggio degli inserimenti lavorativi effettuati. Le cooperative iscritte saranno privilegiate nell’assegnazione dei fondi della Cassa delle ammende, per progetti volti a incrementare le assunzioni di lavoratori detenuti, anche attraverso la ristrutturazione e l’ampliamento degli istituti penitenziari e l’acquisto di attrezzature Le modifiche alle norme attuali È prevista l’estensione della riduzione delle aliquote complessive della contribuzione per l’assicurazione obbligatoria previdenziale ed assistenziale dovute dalle cooperative sociali relativamente alla retribuzione corrisposta alle persone svantaggiate anche ai casi in cui le persone svantaggiate siano persone detenute o internate negli istituti penitenziari, ex degenti di ospedali psichiatrici giudiziari e persone condannate e internate ammesse al lavoro all’esterno. Si prevede inoltre che gli sgravi contributivi siano applicati per un ulteriore periodo di dodici mesi successivo alla cessazione dello stato di detenzione se il detenuto ha beneficiato nel corso della pena delle misure alternative alla detenzione o del lavoro all’esterno o per un periodo di ventiquattro mesi qualora il detenuto non ne abbia beneficiato. Modifiche anche alla riforma Fornero Si prevede che il contributo dovuto dalle imprese in caso di interruzione del rapporto di lavoro, a partire dal 2013 e pari al 41% del massimale mensile di ASpI per ogni 12 mesi di anzianità aziendale negli ultimi tre anni, non è dovuto per le interruzioni dei rapporti di lavoro instaurati dalle cooperative sociali con persone detenute o internate negli istituti penitenziari, i condannati e gli internati ammessi alle misure alternative alla detenzione e al lavoro all’esterno. Le spese La copertura finanziaria, fino a concorrenza del limite di spesa di 4 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2015, è assicurata dalle risorse del fondo unico di amministrazione per il miglioramento dell’efficacia e dell’efficienza dei servizi istituzionali del ministero della Giustizia. Giustizia: Rita Bernardini e Irene Testa in sciopero della fame per situazione delle carceri www.clandestinoweb.com, 20 marzo 2014 Rita Bernardini, il Presidente di Radicali Italiani, scrive su Twitter: "meno 70 giorni per stop tortura in carcere più 20 giorni #scioperofame". Continua, dunque, la protesta non violenta insieme a Irene Testa. "Da parte nostra, con Marco Pannella, leader storico della battaglia per la giustizia giusta in Italia, comunichiamo che oggi è il quarto giorno del nostro Satyagraha che abbiamo lanciato attraverso un mio appello che porta anche la firma della segretaria dell’associazione "Il Detenuto Ignoto" Irene Testa", aveva scritto in una nota prima di iniziare la battaglia. E aveva aggiunto: "Un appello che vuole scandire l’iniziativa nonviolenta, che vede già coinvolte 792 persone fra le quali molti parenti dei detenuti, segnando il tempo che ci separa dal prossimo 28 maggio, termine ultimo fissato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo allo Stato italiano per porre fine alla tortura praticata nei confronti dei detenuti ristretti nelle nostre carceri". Giustizia: agguato Taranto; investigatori al lavoro su ipotesi regolamento conti per droga Agi, 20 marzo 2014 Anche oggi sarà una serrata giornata di lavoro per gli inquirenti impegnati a identificare gli autori e a individuare il movente della strage di lunedì sera a Palagiano, in provincia di Taranto, dove hanno perso la vita, ammazzati da una raffica di 13 colpi di pistola, Cosimo Orlando, 43enne, detenuto in semilibertà la sua compagnia, Maria Carla Fornari, di 30 anni, e il figlio terzogenito di quest’ultima, Domenico Petruzzelli, di 4 anni, nato da una precedente unione della donna e che era in braccio alla madre. Una strage che ha destato anche a livello nazionale una vasta eco di sdegno ma anche l’adozione delle prime, immediate contromisure come l’invio immediato, da parte del ministro dell’Interno, Alfano, di un nucleo di 60 uomini tra poliziotti e carabinieri. Gli inquirenti dicono di avere un’idea sulla quale stanno lavorando in modo approfondito e quest’idea porta all’uomo ucciso e al fatto che nonostante il regime di semilibertà si era comunque reinserito nel mondo della mala e soprattutto nel traffico della droga. Le rivalità nello smercio delle sostanze stupefacenti, quindi, come elemento che l’altra sera ha spinto il commando ad affiancare sulla statale 106, proprio all’altezza dell’abitato di Palagiano, la Matiz di colore rosso su cui viaggiavano cinque persone in tutto: i tre ammazzati e, sui sedili posteriori, altri due bambini, fratellini di Domenico, entrambi rimasti illesi. L’attivismo di Orlando - che la mattina usciva dal carcere di Taranto per andare a lavorare in un’azienda agricola facendovi rientro in serata - potrebbe aver dato fastidio a qualcuno dei clan dominanti nella zona occidentale della provincia tarantina, ma anche a persone a lui vicine, evidentemente contrariate dello spazio che l’uomo stava prendendo. La zona occidentale d’altra parte è uno snodo delicato sul fronte della criminalità. Come evidenziano le relazioni investigative e dell’autorità giudiziaria, c’è la lotta, per il predominio nei traffici illeciti, dei clan Coronese da un lato e Caporosso-Putignano dall’altro. E proprio tra Palagiano e Mottola, nel maggio 2011, fu ucciso in un agguato, insieme ad un suo amico e sodale, anche Domenico Petruzzelli, padre del bambino ammazzato l’altra sera nonchè precedente compagno della Fornari. Proprio la donna aveva testimoniato, costituendosi parte civile, contro i killer del marito, facendoli condannare all’ergastolo, ma quest’elemento, insieme al fatto che la donna fosse ora la compagna di un altro pregiudicato, non verrebbe ritenuto dai Carabinieri - che stanno conducendo le indagini col coordinamento della Procura - come elemento centrale nelle dinamiche dell’agguato. Che ruotano invece attorno al ruolo di Orlando. Anche se - viene osservato da chi non esclude del tutto un eventuale ruolo della donna - se il bersaglio era solo Orlando, perchè allora non tendergli l’agguato quando era solo, quando si recava al lavoro? Insomma, in momenti diversi rispetto a quando era con la sua "nuova" famiglia. Interrogativi, dubbi. Passati sotto la lente del raccordo e dell’analisi investigativa tra Carabinieri di Taranto, Procura di Taranto e Procura distrettuale antimafia di Lecce, subito investita del caso. Che hanno già ascoltato parecchie persone, possibili sospettati, nonché effettuato delle perquisizioni. Domani, intanto, è atteso a Taranto il ministro dell’Interno, Alfano, che insieme al vice ministro Bubbico, già annunciato parteciperà ad una riunione del comitato per l’ordine pubblico, mentre dovrebbe svolgersi nelle prossime ore l’autopsia del medico legale sulle tre vittime, anche se qualche elemento è già emerso: un proiettile calibro 9 avrebbe trapassato la carotide del piccolo Domenico. Oggi le autopsie, domani vertice con Alfano Si terranno oggi pomeriggio, nell’obitorio dell’ospedale di Taranto Moscati, le autopsie delle tre persone - un uomo, una donna e un bambino di quasi tre anni - uccise lunedì sera a Palagiano in un agguato di mafia sulla statale 106. Il medico legale, Marcello Chironi, incaricato dal sostituto procuratore Remo Epifani, effettuerà gli esami finalizzati a stabilire con quanti colpi sono stati uccisi i tre, in quali parti vitali del corpo sono stati raggiunti dai proiettili, quali sono state le traiettorie di tiro. Le autopsie si concluderanno in serata, dopodiché, se il quadro sarà già abbastanza chiaro e non ci sarà bisogno di ulteriori, specifici accertamenti, l’autorità giudiziaria disporrà la restituzione delle salme alla famiglia per lo svolgimento dei funerali che potrebbero essere celebrati anche domani anche se allo stato non c’è alcuna data. Sul fronte delle indagini, invece, Carabinieri e Procura, in attesa del vertice di domani in Prefettura col ministro dell’Interno, Angelino Alfano - che presiederà il comitato nazionale per l’ordine pubblico, stanno mettendo a fuoco i diversi elementi sinora raccolti. Tra le ipotesi al vaglio, quella che potrebbero essere stati in due a sparare contro la Matiz Rossa dove a bordo, lunedì sera, viaggiavano Cosimo Orlando, 43 anni, la compagnia, Maria Carla Fornari, 30 anni, il figlio terzogenito di quest’ultima, Domenico Petruzzelli, nato da una precedente unione della donna, e due fratellini più grandi di quest’ultimo, rimasti illesi alla pioggia di fuoco - sono stati sparati 13 colpi calibro nove - perché erano sui sedili posteriori. L’auto dove era Orlando, detenuto in semilibertà che stava rientrando in carcere, è stata affiancata sul tratto della statale 106 dir all’altezza di Palagiano in direzione Taranto, e una volta a contatto con la Matiz i killer hanno fatto fuoco. La donna e il bambino sono morti subito - fra l’altro il piccolo è stato colpito alla carotide. I soccorritori trovarono Orlando in condizioni gravissime ma ancora vivo, tant’è che hanno cercato di rianimarlo e stabilizzarlo sul posto, però le lesioni subite non hanno permesso all’uomo di sopravvivere. Nessun dubbio, invece, sul fatto che fosse l’uomo il bersaglio dei killer. All’inizio si è vagliata anche la possibilità che la "spedizione" assassina riguardasse Carla Maria Fornari, perché in precedenza compagna del pregiudicato Domenico Petruzzelli, padre dei suoi tre figli, ucciso a sua volta in un altro agguato di mafia tra Palagiano e Mottola a maggio del 2011 insieme ad un suo amico (ci sono state tre condanne all’ergastolo per questo). La donna, al processo, si era anche costituita parte civile testimoniando contro chi era accusato di aver ammazzato il suo compagno. Lo sviluppo delle indagini ha però escluso il ruolo della donna e ora tutto verte, sul piano dell’approfondimento, su Orlando, sul fatto che l’uomo, da detenuto semilibero, avendo già scontato parte di una condanna per un doppio omicidio effettuato anni addietro, stava rientrando nel mondo della mala e riacquisendo lo spazio che aveva in precedenza. È in particolare la droga l’area in cui Cosimo Orlando stava cercando di riposizionarsi. Questo avrebbe determinato un conflitto con altri esponenti, con altri interessi, che i rivali hanno così deciso di colpire e di punire con l’agguato mortale. Ieri sera, intanto, a Palagiano veglia di preghiera per le tre vittime dell’agguato promossa dai parroci. "Chiediamo agli autori di un gesto così spietato di pentirei davanti a Dio di quello che hanno fatto e di accettare le conseguenze del loro gesto" hanno detto i sacerdoti alla veglia di preghiera, presenti alcune centinaia di persone. E lunedì a Palagiano, per un’altra iniziativa antimafia, arriva don Luigi Ciotti, fondatore dell’associazione Libera, che ha fatto della lotta alle mafie il suo tratto distintivo. Giustizia: il 23 settembre inizia a Roma processo d’Appello per la morte di Stefano Cucchi Ansa, 20 marzo 2014 In primo grado quattro medici del Pertini erano stati condannati per omicidio colposo. Assolti, invece, infermieri e agenti di polizia penitenziaria. Contro questi ultimi la famiglia Cucchi si costituirà parte civile in secondo grado. Il processo d’appello per la morte di Stefano Cucchi inizierà il prossimo 23 settembre. Presso la Corte d’Assise d’Appello verrà valutata la posizione degli imputati già giudicati in primo grado. Si tratta di Aldo Fierro, primario del Pertini, dei medici Stefania Corbi, Flaminia Bruno, Luigi De Marchis Preite (condannati per omicidio colposo) e di Rosita Caponetti (falso ideologico). A loro si aggiungono gli infermieri Giuseppe Flauto, Elvira Martelli e Domenico Pepe, e gli agenti di polizia penitenziaria Nicola Minichini, Corrado Santantonio e Antonio Domenici, tutti assolti in primo grado. La famiglia di Cucchi non si costituirà parte civile verso medici e infermieri in quanto già si è accordata con l’ospedale per il risarcimento di 340mila euro. Confermata, invece, la costituzione contro gli agenti di polizia penitenziaria. Giustizia: violenze dal G8 di Genova, licenziato il medico "seviziatore di Bolzaneto" di Carlo Di Foggia Il Fatto Quotidiano, 20 marzo 2014 L’Asl di Genova caccia Giacomo Toccafondi, condannato in primo grado a un anno e due mesi ma salvato dalla prescrizione. Le vittime dei pestaggi lo avevano descritto come il "seviziatore di Bolzaneto". Nei giorni infuocati del G8, Giacomo Toccafondi non indossava un camice, ma la tuta mimetica. Responsabile dell’infermeria presso la "caserma degli orrori" dove, secondo i giudici della Cassazione, "era stato accantonato lo Stato di diritto". Violenze, privazioni e insulti irripetibili che avevano fatto il giro del mondo grazie al film Diaz, non lavate questo sangue. Due giorni fa, il medico in mimetica, 60 anni appena compiuti, è stato licenziato dalla Asl 3, con decorrenza immediata e senza preavviso. Ieri mattina non ha potuto presentarsi all’ospedale Gallino di Pontedecimo, dove lavora come chirurgo. Il tutto a 12 anni e 8 mesi di distanza da quei fatti. Ora potrà presentare ricorso d’urgenza contro il licenziamento. In questi anni era stato premiato dalla Asl per il raggiungimento degli obiettivi. Ora rischia la radiazione dall’Ordine dei medici. Secondo i giudici, Toccafondi "agì con particolare crudeltà". Ma su quelle violenze non si è mai potuto raggiungere la prova. Processato con l’accusa di omissione di referto, violenza privata, lesioni, abuso d’ufficio, venne condannato in primo grado a un anno e due mesi solo per il primo reato e per due ingiurie. L’accusa aveva chiesto 3 anni e mezzo, ma il suo ruolo di seviziatore venne molto ridimensionato dai giudici. Le parti civili gridarono allo scandalo per l’assenza del reato di tortura. Inammissibile, per la Cassazione, il ricorso della procura genovese che aveva posto la questione di legittimità costituzionale sul mancato adeguamento dell’Italia ai principi della Convenzione europea. In appello e poi in Cassazione, Toccafondi era stato salvato dalla prescrizione, ma condannato a risarcire le vittime. Secondo i magistrati, contro i manifestanti portati in caserma erano state perpetrate "violenze per dare sfogo all’impulso criminale". "Soprusi" e "vessazioni inqualificabili", aveva detto il procuratore generale di Cassazione Giuseppe Volpe. Tutto agli atti. Anche la canzone Facetta nera fatta ascoltare agli "ospiti", il piercing strappato a un ragazzo coi rasta, i calci e i pugni sulle reni, come raccontato da Marco Poggi, "l’infame", che da allora non ha più lavorato come infermiere penitenziario. La parola fine è arrivata nel giugno scorso: risarcimenti ridotti nei confronti delle vittime; quattro assoluzioni e sette condanne, tra cui quella all’assistente capo della polizia Luigi Pigozzi (3 anni e 2 mesi), che divaricò le dita delle mano di un detenuto fino a strappare la carne. Dopo la condanna di primo grado, Pigozzi fu assegnato a "compiti delicati". Nell’ottobre scorso è stato condannato in via definitiva a 12 anni e mezzo per quattro stupri compiuti nel 2005 nella Questura di Genova. Per quei fatti, il Viminale è stato condannato dalla Cassazione a risarcire una delle vittime: "Non doveva essere messo di nuovo a contatto con i fermati". Giustizia: da Di Battista (M5s) interrogazione sulla morte in carcere di Niki Aprile Gatti di Samanta Di Persio www.abruzzo24ore.tv, 20 marzo 2014 Nuova interrogazione parlamentare sulla morte dell’informatico di Avezzano Niki Aprile Gatti. Il deputato Alessandro Di Battista (M5s) dopo aver parlato con Ornella Gemini, madre del ragazzo, ha chiesto un intervento del Ministro della Giustizia Andrea Orlando. Niki fu arrestato nell’ambito dell’inchiesta Premium (tariffazione maggiorata degli 899, connessioni internet illegali e riciclaggio di denaro) insieme ad altre 17 persone. Le attività illecite contestate ruotano intorno ad una serie di flussi di denaro tra San Marino e Londra, che potrebbero essere collegate allo scandalo Telecom Sparkle-Fastweb, considerando che l’asse San Marino-Londra emerge in occasione di altre truffe telefoniche italo-europee. Il ragazzo era incensurato e da subito si è dimostrato collaborativo: è stato l’unico a collaborare con la magistratura, tutti gli altri si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. L’Onorevole Di Battista vuole chiarezza sul perché da Rimini Niki viene tradotto nel carcere di massima sicurezza di Sollicciano, se ci sono state negligenze da parte del personale penitenziario deputato a vigilare e garantire l’incolumità delle persone detenute e a che punto si trovi l’inchiesta Premium, nello specifico se ci sono stati rinvii a giudizio oppure un’archiviazione. Una delle persone imputante in questa vicenda è Piero Mancini, un imprenditore, che allora era presidente della società Flynet (concessionaria di servizi telefonici) ed oggi è l’aggiudicatario dell’appalto per la ricostruzione del teatro comunale di L’Aquila. In passato sono state presentate ben tre interrogazioni parlamentari ed è stato consegnato all’ex Ministro della Giustizia Alfano il libro dov’è contenuta tutta la vicenda "La pena di morte italiana", ma fino ad oggi non si è espresso mai nessuno. Non resta che augurarsi che questa sia la volta buona per fare chiarezza sulla morte di un giovane di 26 anni. Toscana: Marini (Fds-Verdi); ipotesi proposta di legge per promozione lavoro in carcere di Luca Martinelli www.parlamento.toscana.it, 20 marzo 2014 "Per la promozione del lavoro in carcere valuteremo, come singoli consiglieri, l’ipotesi di una proposta di legge". Lo ha dichiarato Paolo Marini (Fds-Verdi), presidente della Commissione Emergenza occupazionale del Consiglio regionale, al termine dell’incontro con Vincenzo Ramalli, amministratore unico di Manifattura Toscane Riunite Impresa Sociale, che ha l’obiettivo di attivare, nelle carceri toscane, produzioni di pelletteria e accessoristica per il sistema tessile e moda regionale. "L’esperienza", ha spiegato Ramalli, "è promossa da Confindustria Toscana e ha l’obiettivo di frenare la deriva del ribasso dei costi di produzione, per ottenere i quali le aziende o delocalizzano all’estero o affidano parti della produzione a comunità che agiscono fuori dalle regole di mercato". Essendo defiscalizzato, il lavoro carcerario, secondo Confindustria, "consentirebbe di salvaguardare l’occupazione nelle aziende madri promuovendo al tempo stesso occupazione in carcere, attuando così anche il principio del recupero sociale dei carcerati". Per attuare tutto questo, però, ha sottolineato Ramalli, "in Toscana manca una normativa di riferimento come, invece, esiste in Lombardia. Chiedo quindi al Consiglio regionale di valutare la possibilità di dare vita a una normativa apposita". Il consigliere regionale Marco Spinelli (Pd) ha giudicato "positiva l’idea di fondo presentata", mentre la consigliera Marina Staccioli (FdI) si è detta contraria "perché adottando una legge in tal senso si rischia di frenare l’assunzione di giovani disoccupati". Catana: Salvi (Pm); con ingressi ridotti del 70% eliminato sovraffollamento Piazza Lanza Adnkronos, 20 marzo 2014 "Io sono orgoglioso del lavoro che abbiamo fatto qui a Catania sulle carceri perché penso che in qualche maniera dia indicazioni su ciò che si potrebbe fare. Abbiamo completamente eliminato il sovraffollamento del carcere di Piazza Lanza. Il Dap ha chiuso il famigerato Nicito, il reparto di isolamento indegno di un paese civile e posso anticipare che nelle prossime settimane verrà aperto il nuovo reparto, degno dell’Italia e dell’Europa". Lo ha detto il procuratore capo di Catania, Giovanni Salvi, durante una intervista rilasciata a Radio Radicale che andrà in onda questa sera durante lo Speciale Giustizia. "Abbiamo eliminato il sovraffollamento - ha aggiunto- impedendo la possibilità che vi siano detenzioni brevi. Nel novembre del 2011 nel carcere di Piazza Lanza c’erano 1.003 detenuti che in un anno erano stati detenuti per meno di cinque giorni. Nel 2013 sono 340". "Complessivamente - ha osservato il procuratore Salvi - abbiamo abbattuto gli ingressi di bassa sicurezza di circa la metà. Da 2.360 detenuti circa ad oltre 1.200. Abbiamo, quindi, pressoché dimezzato gli ingressi in carcere per la bassa sicurezza e nello stesso tempo abbiamo aumentato gli ingressi della alta e media sicurezza, ovvero di coloro che effettivamente in carcere è bene che ci vadano". "Questo, innanzitutto - ha concluso - è il segnale di un lavoro che si può fare. Questa combinazione di iniziative insieme al Dap ha consentito condizioni migliori e più spazi diminuendo il numero dei detenuti". Gorizia: Radicali in visita al carcere; buone condizioni dei detenuti, in sofferenza gli agenti Il Piccolo, 20 marzo 2014 Si sposta dalla struttura all’organizzazione interna, l’attenzione e la preoccupazione a proposito del carcere di Gorizia. È il dato più importante emerso ieri al termine del sopralluogo effettuato nella casa circondariale di via Barzellini, a Gorizia, da una delegazione dei radicali di Trasparenza è partecipazione, formata dal segretario goriziano Michele Migliori, dal tesoriere Lorenzo Cenni e da Marzia Pauluzzi e Ugo Raza. Una visita piuttosto lunga e approfondita (il gruppo è rimasto nel carcere per oltre un’ora e mezzo), preceduta da un colloquio con il comandante della polizia penitenziaria Alessandro Bracaglia. I radicali hanno trovato una struttura in condizioni sensibilmente migliori, almeno nella sezione ad oggi agibile e utilizzata, rispetto al recente passato, per merito dei lavori di ristrutturazione ancora in corso, mentre resta preoccupante la situazione relativa all’organico di agenti che devono assicurare la gestione e la sicurezza nel carcere, che in vista della prossima riapertura del braccio attualmente interessato dal cantiere appare assolutamente insufficiente. "È questa al momento la criticità principale, a nostro parere - dice Michele Migliori -. L’organico della polizia penitenziaria per Gorizia è formato da 42 agenti, che a fatica riescono a gestire l’attuale numero di carcerati, pari a 21 unità. Ma quando aprirà anche il braccio del carcere attualmente interessato dai lavori, pare tra settembre ed ottobre, e la capienza salirà a 70 ospiti in totale, la situazione rischia di diventare insostenibile. Se l’organico non verrà riformato e innalzato notevolmente, le condizioni del carcere goriziano saranno di fatto illegali". In passato l’organico della polizia carceraria a Gorizia era di 54 unità, abbassato poi in virtù della riduzione (per i lavori) della capienza della casa circondariale. Ad oggi, nelle sei celle a disposizione (due da due posi, e quattro da quattro posti) sono ospitati 21 detenuti, uno in più rispetto alla capienza della struttura. Di questi, tutti uomini, 15 sono stranieri, e sei hanno un’occupazione all’interno del carcere. "Non abbiamo riscontrato violazioni dei diritti dei carcerati, e le condizioni sono generalmente migliori rispetto a quelle di molti altri istituti più grandi, anche nella nostra regione - dice Migliori. I problemi arrivano semmai quando, a fronte dell’arresto di nuovi detenuti, si creano situazioni di sovraffollamento, comunque non drammatiche rispetto ad altre situazioni. Insomma, dal punto di vista della struttura abbiamo trovato una situazione più positiva rispetto al passato. Le stanze sono state imbiancate e pulite, sono più vivibili. Oltre alla possibilità di lavorare, i detenuti poi hanno a disposizioni corsi di alfabetizzazione o di arte, c’è un’infermeria piuttosto attrezzata e persino uno studio odontoiatrico". Vicenza: "Lo scatto dentro, perché la verità venga fuori", reportage fotografico Uil-Pa Agenparl, 20 marzo 2014 Prosegue senza soste l’iniziativa "Lo scatto dentro, perché la verità venga fuori" della Segreteria Nazionale della Uil-Pa Penitenziari che in un anno a già interessato oltre 30 istituti penitenziari in tutta Italia. Dopo aver toccato, e fotografato, le carceri di moltissime città, quali, per citarne solo alcune, Trento, Firenze, Cagliari, Palermo, Venezia, Avellino, Bologna, Milano, Paliano, Pavia, Monza, Lanciano, Lecce, Bolzano, Ascoli Piceno, Catanzaro e Reggio Calabria, sabato prossimo sarà la volta della Casa Circondariale di Vicenza. A riferirlo è Gennarino De Fazio, Segretario Nazionale della Uil-Pa Penitenziari, che spiega: "sabato, insieme a Leonardo Angiulli e Mauro Cirelli, Segretario e componente della Segreteria Regionale per il triveneto, ispezioneremo i luoghi di lavoro del carcere vicentino e ne documenteremo lo stato attraverso un servizio fotografico. L’iniziativa è nata a livello nazionale al fine di rendere uno spaccato oggettivo, scevro da qualsiasi interpretazione personale, delle realtà penitenziarie che hanno condotto la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo a condannare e mettere in mora il nostro Paese per trattamenti inumani e degradanti". "L’ultimatum dettato dalla Cedu - chiosa ancora De Fazio - scadrà il 27 maggio prossimo ed a questo punto temiamo che difficilmente l’Italia riuscirà a rientrare per tempo nei canoni sanciti dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Di conseguenza, soprattutto a causa della colpevole miopia della politica, potremmo essere costretti a pagare multe per milioni di euro che graverebbero sulle tasche dei cittadini e chissà cosa dovrà mettere all’asta questa volta il Governo Renzi per potervi fare fronte. Ciononostante non intendiamo arretrare ed, anzi, riteniamo di dover progredire nella nostra opera di alimentazione delle coscienze rispetto al dramma penitenziario che riguarda i detenuti ed i lavoratori del settore, ma che ancora di più interessa il sistema giustizia ed i valori civili e costituzionali del Paese". "Quello di Vicenza è un piccolo carcere - prosegue, Leonardo Angiulli, leader regionale del sindacato - tuttavia non mancano punte di gravissimo sovraffollamento detentivo e carenze strutturali e, per giunta, si connota per il livello a dir poco scadente delle relazioni sindacali che di certo non agevola il lavoro degli appartenenti alla Polizia penitenziaria. Peraltro nell’ambito del piano straordinario per l’edilizia penitenziaria sono da poco cominciati i lavori per l’edificazione di un nuovo padiglione detentivo che entro 14 mesi porterà la capacità ricettiva del complesso a circa 400 posti. È essenziale, pertanto, creare le condizioni affinché nell’apertura della nuova ala si parta con il piede giusto". "In esito alla visita - conclude il Segretario Nazionale Gennarino De Fazio - diffonderemo i nostri consueti 40 scatti fotografici e terremo una conferenza stampa per descrivere la situazione riscontrata, cosicché i vicentini conosceranno lo stato della prigione della loro città". La conferenza stampa della Uil-Pa Penitenziari si terrà sabato 22 marzo 2014 alle ore 12.00 presso la sala stampa della Camera Sindacale Territoriale di Vicenza in Via S. Quasimodo 47. Durante la medesima verranno distribuiti i Dvd contenenti le immagini fotografiche, che saranno in seguito rese disponibili anche sul sito internet www.polpenuil.it nella sezione "Lo scatto dentro". Le immagini potranno essere pubblicate attesa l’autorizzazione preventivamente richiesta ed ottenuta dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. Torino: dalla Compagnia San Paolo 100mila euro nel 2014 per esigenze detenuti Ansa, 20 marzo 2014 L’Ufficio Pio della Compagnia di San Paolo e la direzione del carcere di Torino hanno rinnovato la convenzione che regola l’accesso a diversi servizi da parte dei detenuti. Per il 2014, l’Ufficio Pio garantirà un contributo di 100mila euro che saranno destinati a coprire le esigenze primarie dei carcerati: dall’igiene personale alla pulizia delle celle, dalla cura e alimentazione dei bambini alle esigenze sanitarie non coperte dal Servizio sanitario nazionale. Nel 2013, ad esempio, il 43% della spesa relativa alla convenzione con l’Ufficio Pio è stata impiegata per cure odontoiatriche, il 39% per spese di struttura e di sostegno alle persone. "Viviamo un momento delicato soprattutto per le questioni economiche - rileva Rosalia Marino, direttrice del carcere torinese. Soprattutto a Torino, dove la popolazione carceraria è elevata, queste esigenze sono sempre molto alte. Ã il settimo anno che l’Ufficio Pio ci assicura questo contributo considerevole e, in un periodo in cui le risorse si riducono notevolmente, il fatto di aver contributi dal territorio ci aiuta a rendere più dignitosa la pena. Il nostro obiettivo è fare in modo che al termine rieducazione venga dato un significato: vuol dire far scontare la pena in condizioni dignitose e far sì che la vita all’interno del carcere non sia oltremodo afflittiva ma sia utile per il reinserimento. Attualmente sono 1.494 i detenuti del carcere di Torino: "l’obiettivo è di proseguire nella riduzione del numero e non superare quota 1.400. Anche perché la capienza sarebbe di circa 900 persone", sottolinea Marino. "Siamo l’unica fondazione bancaria in Italia e Europa così attenta al tema del carcere - afferma Maria Pia Brunato, presidente dell’Ufficio Pio. Oltre alla convenzione, corrispondiamo ogni anno 40mila euro per le piccole spese dei detenuti che non hanno risorse proprie, doniamo vestiti per un valore di circa 60mila euro e, attraverso la Compagnia, finanziamo una trentina di progetti del valore complessivo di 800mila euro per le carceri di tutto il Piemonte, come ad esempio il polo universitario". Piacenza: è ancora emergenza carcere; maxi-rissa tra detenuti, tre agenti aggrediti e feriti di Gian Marco Aimi Il Fatto Quotidiano, 20 marzo 2014 La struttura penitenziaria di Novate, già nota alle cronache per il record di gesti di autolesionismo e tentato suicidio, nelle ultime ore è stata luogo di azioni di violenza. I carcerati, soprattutto di origine straniera, si sono scontrati durante le ore di "celle aperte" come previsto dalla nuova normativa. Una maxirissa tra detenuti stranieri e gli agenti in tenuta antisommossa. Poi un carcerato che si ribella al controllo di tre agenti e un nuovo scontro tra le mura della struttura penitenziaria di Piacenza. Il carcere di Novate è una polveriera e le ultime ore sono un bollettino di guerra per una situazione di piena emergenza. I dati parlavano chiaro e ben presto si sono tramutati in cruda realtà. Il triste primato della struttura per quanto riguarda gesti di autolesionismo e tentati suicidi, che ha visto Novate maglia nera in Regione, ora sta iniziando a conoscere anche l’esplodere della violenza tra detenuti, in particolare di origine straniera e proprio durante le ore di "celle aperte", come previsto dalla nuova normativa entrata in vigore nei giorni scorsi. È di martedì 18 marzo la maxi-rissa che è stata registrata all’interno dei padiglioni della casa circondariale piacentina, dove due bande, tra le quali sembrava correre forte tensione già da tempo, che si sono affrontate. Ne è scaturita una zuffa estremamente complicata da sedare per gli agenti della penitenziaria, alla quale hanno preso parte decine di persone. I protagonisti avrebbero approfittato proprio dell’arco della giornata in cui le celle vengono aperte per permettere ai detenuti di muoversi liberamente per entrare in collisione. Così la polizia penitenziaria è stata costretta a munirsi delle dotazioni antisommossa, tra cui caschi, scudi e manganelli per sedare gli scontri. Non è stato semplice ma alla fine i facinorosi sono stati bloccati e condotti all’interno delle celle di isolamento allo scopo di dividere le bande rivali. Decine i feriti al termine degli scontri, tra le persone costrette a ricorrere alle cure dell’infermeria anche numerosi agenti di polizia, seppur in modo non grave. Oggi, invece, mercoledì 19 marzo, altro episodio di violenza, a testimoniare il clima esplosivo all’interno del carcere piacentino, ormai considerato dagli addetti ai lavori una vera e propria "polveriera". In mattinata, intorno alle 11, un detenuto ha dato in escandescenze e tre agenti sono stati costretti a intervenire per calmarlo. Alla vista delle divise l’uomo ha cominciato a sferrare calci e pugni ai poliziotti e non è stato facile riportare alla calma l’individuo. Anche in questo caso, nella colluttazione, gli agenti sono rimasti feriti: due hanno riportato ecchimosi ed escoriazioni con una prognosi di 8 giorni, uno altro poliziotto ha subìto alcune lesioni al collo e ne avrà per 15 giorni. "La situazione nel carcere di Piacenza è diventata davvero insostenibile - ha commentato Gennaro Narducci del sindacato Sappe - e c’è preoccupazione costante per l’incolumità fisica degli agenti. Chiediamo l’intervento urgente dell’amministrazione: ci diano delle risposte su come operare perché noi ci sentiamo totalmente abbandonati dalle istituzioni". Come detto, però, i numeri parlavano chiaro già da tempo, con 235 gesti di autolesionismo e 36 casi di tentato suicidio nell’ultimo anno. Era questo il primato, decisamente poco confortante, espresso dal carcere delle Novate di Piacenza. A fornire numeri e dati dell’Emilia Romagna sono stati Giovanni Battista Durante e Francesco Campobasso, rispettivamente segretario generale aggiunto e segretario regionale del Sindacato autonomo di Polizia Penitenziaria, il Sappe. Sono invece 811 i gesti di autolesionismo e 126 i casi di tentato suicidio verificatisi nelle carceri dell’Emilia Romagna nel corso del 2013. Sull’impegno degli agenti della penitenziaria, invece, sempre i numeri parlano per loro, nonostante le carenze d’organico: 126 vite salvate in carcere nell’ultimo anno. Nonostante questo, in Regione infatti, ricorda il sindacato, mancano circa 600 unità delle circa 7.000 che mancano complessivamente a livello nazionale. Nonostante ciò la recente legge di stabilità non ha previsto alcuna assunzione straordinaria per la polizia penitenziaria, al contrario di quanto è stato correttamente fatto per le altre forze di polizia: 1.000 carabinieri, 1.000 poliziotti e 600 finanzieri. Bologna: dal carcere della Dozza alla fabbrica, quando il reinserimento funziona di Lorenza Pleuteri La Repubblica, 20 marzo 2014 Partono le prime assunzioni per gli ex detenuti formati alla Dozza. Un successo il progetto di reinserimento nelle aziende metalmeccaniche Quattro detenuti metalmeccanici, rimessi in libertà, sono stati assunti in aziende collegate, a tempo indeterminato. Per altri due la prospettiva del posto di lavoro fisso, anche fuori, si sta avvicinando. Altri ancora sono in lista di attesa. È una sfida vinta, quella lanciata nell’estate 2012 da tre illuminati capitani d’industria bolognesi e raccolta dall’amministrazione penitenziaria, dal sindacato e dal volontariato, da istituzioni e fondazioni, da ex dipendenti e pensionati. Gli ideatori e promotori del progetto - la Gd di Isabella Seragnoli, l’Ima di Alberto Vacchi e il gruppo Marchesini - ci hanno messo soldi, risorse, entusiasmo, energie. La Cassa delle ammende ha stanziato 100 mila euro. In carcere ci hanno creduto. E l’atto di coraggio è stato premiato, a dispetto di ostacoli, difficoltà, congiuntura sfavorevole, la prospettiva di bilanci iniziali in rosso. L’officina creata all’interno della casa circondariale di via del Gomito - la Srl sociale Fid, acronimo di Fare Impresa in Dozza - gira a pieno ritmo e produce valore aggiunto, traducendo in concreto i principi costituzionali della rieducazione e del reinserimento. Dà impiego e reddito a 11 detenuti, sei stranieri e cinque italiani, assunti con il contrattato nazionale di categoria e stipendiati con 830 euro al mese per 30 ore settimanali. Assembla e sforna componenti meccanici per apparecchiature per il settore packaging, apprezzati dai committenti per la qualità. Prepara la nuove leve. E garantisce occupazione anche all’esterno, come era negli accordi, al momento della scarcerazione. Tre detenuti operai sono passati dall’officina ricavata nell’ex palestra della sezione Penale ai reparti di aziende legate ai tre colossi schierati nell’iniziativa. Un quarto, temporaneamente collocato in comunità, sta per essere reclutato. Per un quinto, ancora in istituto, sono state avviate le pratiche burocratiche. E c’è un sesto recluso, notato e selezionato durante i corsi di formazione tenuti dalla Fondazione Aldini Valeriani, inserito, fuori, senza nemmeno transitare dallo stabilimento Fid. Per lui e due colleghi il percorso esterno è diventato possibile anche grazie al supporto dei volontari dell’Avoc. Ai tre metalmeccanici usciti dalla Dozza sono stati messi a disposizione piccoli alloggi ad affitto zero, andando loro incontro pure per la spesa e per il pagamento di bollette e utenze. E uno dei ragazzi, nordafricano, ha fatto un passo in più. Si è iscritto all’università, cercando di conciliare lavoro e studio. Parla uno dei 12 tutor: "Le persone possono cambiare, per questo trasmetto la mia passione" Aldo Gori, in pensione dopo 37 anni di esperienza alla Ima, è uno dei dodici tutor che seguono nella fase della formazione e della produzione i detenuti metalmeccanici della Dozza, affiancati anche da un "facilitatore", Valerio Monteventi. Che cosa insegna? E che cosa impara? "È una esperienza che umanamente dà molto, a noi tutor e ai detenuti della fabbrica. Io cerco di trasmettere a questi ragazzi e a questi uomini le competenze e le abilità tecniche, la passione per ciò che fanno, la cura da metterci. Però non ci sono solo l’aspetto professionale e quello economico, di reddito. Si va oltre. Il lavoro è un valore, consente di riscattarsi, in carcere forse ancora più che fuori. I detenuti dell’officina mi ascoltano, si impegnano. Hanno un atteggiamento attento, positivo. Li rimbrotto, ogni tanto, come succederebbe pure in una azienda esterna. Non se la prendono, non rispondono male. Hanno grande rispetto per me e per i miei colleghi". E lei, che cosa ci sta guadagnando? "Vedo da un punto di vista diverso le persone che stanno in carcere, tutte con storie di vita particolari, le provenienze più disparate. Come società civile, non possiamo non dare loro una opportunità. Un essere umano può sbagliare. Ma può anche riflettere, cambiare. E capire che se ha una chance come questa, non la deve perdere o sprecare". Si costruisce il futuro, in un contesto difficile. Sedici persone stanno seguendo i corsi di formazione, sono arrivate le prime assunzioni esterne... "Era previsto nel progetto. E mi rende ancora più orgoglioso". Volterra (Pi): Armando Punzo e la Compagnia della Fortezza… alla conquista di Roma Il Tirreno, 20 marzo 2014 Armando Punzo e la Compagnia della Fortezza di Volterra alla conquista di Roma. Dopo le innumerevoli presentazioni in lungo e in largo per tutta la penisola, il libro del regista dei detenuti attori "È ai vinti che il suo amore. I primi venticinque anni di autoreclusione con la Compagnia della Fortezza di Volterra", pubblicato dalla casa editrice Edizioni Clichy per celebrare le venticinque candeline di attività della nota compagnia, verrà presentato al Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo oggi alle 17.30. Si tratta di un importante momento che premia ancora una volta il valore del libro in sé e di tutta l’esperienza della Compagnia della Fortezza, che nel libro è magistralmente raccontata attraverso una avvincente selezione di splendide foto scattate in tutti questi anni, scritti e appunti di lavoro di Armando Punzo, una raccolta di tutti gli spettacoli e progetti promossi nel corso del tempo, la pregevole ricostruzione dei momenti che più di altri hanno rappresentato pietre miliari nella storia di questa compagnia unica al mondo. La presentazione avverrà nella monumentale sala della crociera della Biblioteca di Archeologia e Storia dell’Arte. Ben nutrito e prestigioso il parterre dei relatori: oltre ad Armando Punzo, regista della Compagnia della Fortezza, e ad Aniello Arena, uno dei suoi attori di punta, saranno presenti anche Anna Bandettini (La Repubblica), Ilaria Bonaccorsi (settimanale Left), Ninni Cutaia (direttore Teatro di Roma), Laura Palmieri (Rai Radio3) e la poetessa e scrittrice Lidia Riviello. Massimo Marino, docente universitario e critico teatrale (Corriere della Sera), modererà gli interventi della serata. L’ingresso è libero ed aperto a tutti. "È una nuova tappa di cui andiamo orgoglioso e che conferma quanto la nostra esperienza nata a Volterra abbia respiro nazionale e oltre", dicono dalla Compagnia della Fortezza. Firenze: l’arte contemporanea trova casa alle vecchie carceri di Giulio Schoen www.notizie.tiscali.it, 20 marzo 2014 All’interno dell’ex carcere delle Murate in via dell’Agnolo a Firenze, apre "Progetti Arte Contemporanea", un nuovo spazio aperto al pubblico che propone mostre, incontri, performance e workshop centrati sulle tematiche ed i linguaggi artistici del contemporaneo. Il P.A.C. è il luogo privilegiato e di riferimento per gli interventi di arte pubblica sulla città. Una delle novità del P.A.C. è lo Spazio Riviste, situato nella sala delle colonne del piano terra e dedicata a riviste specializzate in arte, architettura, fotografia e design dove si possono consultare gratuitamente gli ultimi numeri in uscita di alcune delle più importanti pubblicazioni nazionali ed internazionali. Oltre alle riviste cartacee è possibile usufruire di una serie di materiali digitali tramite alcuni tablet a disposizione per gli utenti. Attraverso questa sezione del sito sarà possibile controllare in tempo reale le riviste a disposizione del pubblico. Saranno visibili al pubblico dal 21 marzo, giorno dell’inaugurazione dello spazio, le due mostre oggi in anteprima per la conferenza stampa di lancio: L’installazione permanente Nuclei (vitali), opera dell’artista Valeria Muledda in collaborazione con Tempo Reale. L’opera "site specific" è stata progettata, studiata e realizzata per le celle del "carcere duro" de Le Murate, ovvero le celle di maggior sicurezza dell’ex-istituto penitenziario fiorentino. L’opera di Valeria Muledda vuole valorizzare questo luogo di memoria e di storia attraverso una più attenta analisi del significato della "cella" quale luogo ma anche quale "cellula" vivente. "Firenze vs The World", che nasce nell’ambito degli eventi del maggio fiorentino a cura di Valentina Gensini ed è stato proposta per la prima volta in occasione della Notte Bianca di Firenze del 2011, come proiezione sulla facciata della chiesa di Santo Spirito. Si è sviluppato poi in una mostra in 700 spazi pubblicitari, sparsi per la città toscana, nella più grande mostra fotografica en plain air mai realizzata in Italia al posto delle solite affissioni. Oggi è diventata un’installazione permanente al primo piano de Le Murate Progetti Arte Contemporanea, riproducendo a parete alcune immagini prodotte per l’omonimo progetto di arte pubblica. Immigrazione: rimpatriati i responsabili dei roghi nel Cie di Corso Brunelleschi a Torino di Claudio Laugeri e Massimo Numa La Stampa, 20 marzo 2014 Tre roghi in due giorni. Per evitare il rimpatrio. La protesta a orologeria nel Centro per l’identificazione e l’espulsione ha portato danni per 20 mila euro all’"ospedaletto" e a due prefabbricati (zone rossa e viola) nella struttura in Corso Brunelleschi. La polizia ha arrestato sette immigrati (un tunisino e sei nigeriani), tutti scarcerati dal tribunale. Per i sei centrafricani, il giudice Ilaria Guariello ha addirittura decretato che non ci fossero i presupposti per l’arresto, avvenuto alcune ore dopo l’incendio. Ma quattro sono stati, comunque, rimpatriati. Tutto è avvenuto nel fine settimana. Il primo incendio divampa sabato pomeriggio in quello che viene chiamato "ospedaletto". Ad appiccarlo è un giovane di origine tunisine. Un gesto di protesta, che ha un’eco quasi immediata in un presidio anarchico davanti alla sede della Croce Rossa, in via Bologna. La polizia arresta subito il giovane, individuato poco dopo il rogo. Arresto convalidato, ma l’immigrato viene scarcerato perché non c’è l’esigenza di tenerlo in cella. E da ieri, è di nuovo al Cie. Il giorno dopo, tocca alle zone rossa e viola. Il primo incendio divampa alle 13,15. Le videocamere di sorveglianza immortalano un gruppo di immigrati nigeriani che ammassa materassi e oggetti di vario genere al centro del prefabbricato. Un solo componente del gruppo non partecipa. È facile identificarlo, indossa un paio di pantaloni rossi. La loro protesta è legata alla partenza (fissata per ieri mattina) di un charter per la Nigeria, con decine di clandestini da rimpatriare. Credono che il rogo possa fermare questa procedura. Gli incendiari vengono tutti individuati dagli investigatori dell’Ufficio Immigrazione, coordinati dalla dirigente Rosanna Lavezzaro. Ma serve tempo per le conferme, i poliziotti visionano i filmati delle videocamere di sorveglianza. consentono più di sostenere la flagranza dell’arresto. Tesi accolta dal giudice. Morale: tutti scarcerati. Ma l’Ufficio Immigrazione li aspetta al varco: quattro (gli altri due hanno chiesto asilo politico) vengono scortati al charter che li porterà in Nigeria assieme ad altri 20, come programmato. Sullo stesso volo troveranno altri 6 compatrioti provenienti dal resto d’Italia e dall’Europa. A rendere possibile la "partenza lampo" è stato il "riconoscimento" fatto in carcere dalla delegazione nigeriana, arrivata a Torino per parlare con gli ospiti del Cie. È la prima volta che avviene, con tanto di "lasciapassare" per il rimpatrio dopo aver accertato con un colloquio che fossero cittadini nigeriani. Così, il Cie arriva a quota 45 posti occupati su 210 disponibili. Droghe: il Decreto Lorenzin è inutile, dunque illegittimo... il Colle bocci il colpo di mano di Stefano Anastasia Il Manifesto, 20 marzo 2014 Approvato "salvo intese", il decreto Lorenzin su farmaci e droghe è ancora ignoto nel momento in cui scriviamo e probabilmente non sarà ancora in Gazzetta nel momento in cui questo articolo sarà pubblicato. Forse, quindi, facciamo ancora in tempo a chiedere al presidente della Repubblica un esame attento delle sue disposizioni, prima della controfirma. I fatti sono noti: sotto scacco per la dichiarazione di illegittimità costituzionale della Fini-Giovanardi, i suoi partigiani hanno tentato una mossa revanchista, facendo proporre alla ministra Lorenzin un decreto-legge che riesumava la legge decaduta. Ovviamente non c’era alcun motivo di necessità e urgenza perché la Fini-Giovanardi tornasse in vita: la declaratoria di incostituzionalità ha riportato in vigore la precedente legge Iervolino-Vassalli (non certo una licenziosa legge anti-proibizionista) e dunque l’obbligo internazionale di contrasto al traffico degli stupefacenti non è decaduto. Ci sono altri problemi applicativi, di adeguamento di norme successive e di sentenze passate in giudicato, che avrebbero giustificato l’adozione di un decreto-legge, ma l’ipotesi revanchista - essendo di segno avverso e intendendo cancellare d’emblée il giudicato costituzionale - non se ne è preoccupato. Ne è nato quindi un conflitto interministeriale, di orientamento politico, ma anche istituzionale: a che titolo il Ministero della salute ripropone norme penali di chiarissima competenza del Ministero della giustizia? Tanto più in una contingenza in cui la normativa in questione è la fonte di uno dei temi più preoccupanti per la credibilità internazionale dell’Italia, il sovraffollamento penitenziario. Se l’azzardo non è stato di iniziativa della ministra, ci sarebbe di che chiedere la testa dell’infedele funzionario che aveva confezionato quel progetto. Ma tant’è: in Consiglio dei ministri, i revanchisti sono stati bloccati. E così la ministra si è presentata in sala stampa annunciando un decreto, nella parte delle droghe, motivato dalla necessità di aggiornare le tabelle ministeriali di classificazioni delle sostanze. Ma è legittimo un decreto-legge per aggiornare delle tabelle? L’articolo 13 del testo unico sugli stupefacenti, nella rinnovata formulazione dovuta alla legge Iervolino-Vassalli, attribuisce al Ministro della salute, di concerto con il Ministro della giustizia, l’ordinario aggiornamento delle tabelle attraverso un semplice decreto ministeriale. Perché impegnare il Governo, il Capo dello Stato e il Parlamento in una revisione legislativa per una cosa che si può fare in via amministrativa? Sarebbe un mistero, se non fosse che la riproposizione delle tabelle della Fini-Giovanardi (da cui discendeva l’uguale trattamento sanzionatorio di cannabis e droghe pesanti) è stata l’ultimo tentativo dei revanchisti prima della resa. Il Consiglio dei ministri, quindi, avrà concesso l’onore delle armi alla ministra Lorenzin, consentendole di annunciare l’approvazione di un decreto almeno parzialmente inutile, e dunque illegittimo. Per questo il capo dello Stato, non vincolato a valutazione di ordine politico interne agli equilibri della maggioranza, bene farebbe a chiedere al Governo l’espunzione dal decreto di quelle illegittime previsioni. In questo modo potremmo evitare anche il braccio di ferro già preannunciato sul ripristino delle norme penali della Fini-Giovanardi nel corso dell’esame parlamentare del decreto. Una manovra con un esito nuovamente illegittimo, ma i diavoli - si sa - si distinguono nel perseverare. Delle prospettive di una nuova politica sulle droghe, all’altezza del dibattito internazionale e delle sperimentazioni in corso in molti Paesi, discuteremo invece sabato prossimo, a Firenze, nelle assemblee parallele di Forum Droghe e de La Società della Ragione. India: Bertot (Fi); per risoluzione caso marò proposta una Corte internazionale ad hoc Ansa, 20 marzo 2014 "Ho proposto di allestire una Corte internazionale in Italia con giudici italiani e indiani per il processo ai due marò". È l’iniziativa dell’eurodeputato di Forza Italia, Fabrizio Bertot, che ha incontrato l’ambasciatore indiano a Bruxelles, Majeev Singh Puri, secondo quanto riferisce un comunicato. Un pool di esperti sta valutando la possibilità: ne fa parte anche l’avvocato Nino Marazzita secondo il quale, prosegue la nota, "si può valutare oltre ad un processo italiano, anche una sede ‘neutralè ma composta da giudici italiani e indiani". "Ho offerto ufficialmente una via d’uscita a questa situazione di impasse che si trascina da troppo tempo - spiega Bertot. Dopo aver compiuto le necessarie verifiche presso un pool di esperti di diritto internazionale, ho chiesto a Puri di inoltrare al governo di New Delhi la proposta di organizzare una Corte internazionale in Italia, composta da giudici italiani ed indiani, e imbastire il processo prima delle elezioni europee ed indiane. Ho avuto conferme sul fatto che sia una strada percorribile e credo che in questo modo si potrebbe sbloccare la vicenda che è da troppi mesi in una situazione di completo stallo". Allo stesso tempo, conclude il comunicato, Bertot ha inoltrato formale richiesta di visto per potersi recare in India a Pasqua e incontrare così i due militari italiani detenuti da oltre due anni in attesa di giudizio e le autorità competenti. Massolo (Dis): governo agisce in modo corretto "Tutte le istituzioni si impegnano a fondo e credo che il governo stia impostando la questione nel modo più corretto dal punto di vista delle procedure internazionali, ossia internazionalizzandola e cercando una soluzione che ci consenta di averli presto a casa". Lo ha detto l’ambasciatore Giampiero Massolo, direttore generale del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (Dis), a proposito dei due marò italiani detenuti in India. Massolo è intervenuto oggi a Firenze ad un convegno organizzato dall’Università, nel corso del quale i vertici dell’intelligence italiana si sono confrontati con gli studenti sull’importanza dell’interesse nazionale. "Io spero che la soluzione - ha concluso Massolo rivolgendo un pensiero ai due marò - possa essere trovata presto". Venezuela: comunità italiana preoccupata, alcuni connazionali sono ancora in carcere Adnkronos, 20 marzo 2014 La comunità italiana in Venezuela sta vivendo la situazione nel Paese latinoamericano "con tanta preoccupazione e tanta difficoltà". Lo ha raccontato all’Adnkronos Pietro Caschetta, presidente del Centro Italiano Venezolano, precisando che ci sono anche connazionali "che vogliono tornare in Italia". Ma il problema, ha spiegato, è che "per un italiano è impossibile comprare biglietti aerei per l’Europa da qui, si devono acquistare da un altro Paese. Le compagnie europee che coprono la rotta in Europa hanno bloccato la vendita dal Paese". A seguito delle proteste delle ultime settimane, costate la vita a 29 persone, Caschetta ha ricordato che "le autorità diplomatiche italiane in Venezuela hanno consigliato di non circolare di notte, evitare lunghi viaggi in macchina, non frequentare posti di manifestazioni. Ci sono molti figli di italiani che hanno partecipato alle manifestazioni e alcuni di loro sono stati portati in galera e poi liberati. Ma ce ne sono ancora due o tre in carcere a Caracas". Il presidente del Centro Italiano Venezolano, ha comunque sottolineato che "in questi ultimi due giorni si sta vivendo più in tranquillità in quanto a manifestazioni". Anche il presidente della Federazione delle Associazioni Civili Italo-Venezuelane (Faiv), Mariano Palazzo, ha confermato che "sicuramente dal 12 febbraio c’è stata un’escalation di violenza", ma "adesso sembrerebbe che la situazione stia tornando alla calma, anche se fazioni più convinte dell’opposizione dicono che rimarranno in strada". La comunità italiana, vive la situazione attuale "in maniera confusa, c’è molta polarizzazione nel Paese, ognuno sente di avere ragione". "Non mi sorprenderebbe - ha spiegato Palazzo, che vive in una delle zone "più calde" delle ultime proteste: Maracay, a circa 120 chilometri a ovest di Caracas - che qualche italiano sia rientrato in Italia. Senz’altro la collettività italiana ha avuto paura della convulsione sociale. Certamente adesso sta rientrando la calma, sembrerebbe che il governo abbia preso in mano la situazione". Iran: amnistia per Sakineh, liberata dopo 8 annui la donna condannata alla lapidazione Adnkronos, 20 marzo 2014 "Sakineh Ashtiani è stata amnistiata e rimessa in libertà". È quanto sostiene l’avvocato italiano Bruno Malattia, che da anni segue il caso della donna iraniana che nel 2006 è stata condannata alla lapidazione per adulterio e per il suo presunto coinvolgimento nell’uccisione del marito. "Il provvedimento di clemenza - scrive in un comunicato l’avvocato di Pordenone, che ha patrocinato le ragioni di Sakineh al Parlamento europeo insieme al Comitato internazionale contro la pena di morte e la lapidazione - è stato adottato ieri in coincidenza con l’anno nuovo secondo il calendario iraniano. L’annuncio è stato dato da Mahamad Javad Larijiani, Segretario Generale del Consiglio Superiore iraniano per i diritti umani, e diffuso dalla stampa governativa del paese". Manca ancora una conferma alla notizia da parte dei familiari della donna, per la quale nel 2010 era stata organizzata una campagna di mobilitazione internazionale alla quale aveva preso parte anche l’agenzia Aki-Adnkronos International. "Anche se le autorità e la stampa iraniane hanno cercato di attribuire la decisione all’equità e alla magnanimità del sistema giudiziario di quel paese - dice l’avvocato Malattia - il felice epilogo della vicenda che ha coinvolto Sakineh è dovuto alla campagna internazionale contro l’ingiusta condanna alla lapidazione pronunciata dal Tribunale islamico". La vicenda di Sakineh Ashtiani è iniziata nel 2006 con il suo arresto per adulterio. Messa in prigione a Tabriz e condannata a 99 frustate, poco dopo la donna fu accusata di avere una relazione con l’assassino del marito e nuovamente processata per adulterio e per complicità nell’omicidio. Una sentenza della Corte Suprema nel 2007 la condannò alla lapidazione, ma la sua esecuzione fu rinviata in seguito alla presentazione di un ricorso. La vicenda balzò all’attenzione dell’opinione pubblica mondiale all’inizio della primavera 2010, quando una grande mobilitazione internazionale, a cui contribuì la campagna lanciata da Aki-Adnkronos International, spinse le autorità di Teheran a parlare di sospensione della sentenza. Ma a luglio 2010 l’allora ministro degli Esteri, Manouchehr Mottaki, intervenne per precisare che la sentenza non era sospesa ma, semplicemente, la procedura giudiziaria non era ancora conclusa. L’11 agosto di quell’anno, Sakineh fu intervistata in diretta, dal braccio della morte della prigione di Tabriz, sulla tv di Stato e ammise di essere colpevole sia di adulterio che di complicità nell’omicidio del marito. Una confessione che, a detta degli attivisti e dei familiari della donna, fu estorta con la forza, ma che produsse un effetto boomerang, accendendo ancor di più i riflettori sul caso. Dagli Stati Uniti partì un appello di premi Nobel e star di Hollywood, dalla Francia quello dell’allora premiere dame Carla Bruni (per questo definita "prostituta" dalla stampa iraniana ultraconservatrice), dall’Italia quello di media come Aki, a cui si associano politici, intellettuali e big dello sport, tra cui Francesco Totti. All’inizio di settembre 2010, in un’intervista ad Aki, il figlio di Sakineh, Sajjad Ghaderzadeh, annunciò che la madre era stata sottoposta a ulteriori 99 frustate sulla base della falsa accusa di corruzione e indecenza per aver fornito al ‘Times’ di Londra una sua foto senza velo. Una foto che in realtà ritraeva un’altra donna ed era stata erroneamente attribuita a Sakineh. Sajjad chiese inoltre l’intervento del governo italiano e del Vaticano per fermare la mano del boia. Intanto, soprattutto in Italia e Francia, le piazze si riempivano di manifestanti pro-Sakineh e di gigantografie della donna, esposte anche sui municipi di Roma. Il Parlamento europeo, grazie all’attivismo di molti deputati, tra cui la vice presidente Roberta Angelilli, votò una risoluzione di condanna nei confronti di Teheran e chiese di salvare la vita della donna. Teheran cominciò a sentirsi alle strette e il ministero degli Esteri, tramite il suo portavoce Ramin Mehmanparast, accusò Italia e Francia di essersi attivate sulla base di informazioni false. Ma poi, l’8 settembre, fu lo stesso Mehmanparast ad annunciare che la lapidazione di Sakineh era stata sospesa. Ma l’attenzione sul caso non calò, con l’avvocato della donna, Javid Houtan Kian, che annunciò che non esisteva un provvedimento formale di sospensione, che il suo ricorso alla Corte Suprema era stato bloccato e che molti atti relativi al caso erano scomparsi. Il 19 settembre 2010, in modo inatteso, fu l’allora presidente Mahmoud Ahmadinejad a gettare acqua sul fuoco, assicurando in un’intervista alla Abc che la notizia della condanna alla lapidazione era falsa e che Sakineh aveva "comunque diritto a quattro gradi di giudizio". Un elemento caratterizzante della vicenda è stato proprio il fitto susseguirsi di conferme e smentite, come dimostra quanto avvenuto il 28 settembre 2010, quando il procuratore iraniano Gholam-Hossein Mohseni-Ejei affermò che la donna non sarebbe stata giustiziata per lapidazione ma per impiccagione in quanto colpevole di omicidio. Solo poche ore dopo le frasi del procuratore furono smentite dal ministero degli Esteri di Teheran, secondo il quale non c’era una sentenza definitiva sul caso. La vicenda portò l’11 ottobre all’arresto del figlio della donna, del suo ex avvocato e di due giornalisti tedeschi che li stavano intervistando nello studio del legale. Il figlio della donna fu rilasciato due giorni dopo su cauzione. I due giornalisti della Bild am Sonntag furono rilasciati a febbraio 2011, grazie anche ai ripetuti appelli della Germania. A dicembre 2011 Malek Ajdar Sharifi, il capo della magistratura dell’Azerbaijan Orientale, provincia dell’Iran settentrionale, riferendosi al caso Sakineh affermò che "gli esperti islamici stanno riesaminando la sentenza per valutare la possibilità di giustiziare per impiccagione una donna condannata alla lapidazione". Le dichiarazioni di Sharifi sollevarono le critiche di molti attivisti e pochi giorni dopo arrivò la smentita: "Il suo caso segue il suo corso normale in conformità alla legge", affermò il magistrato. Da allora sulla vicenda è calato il silenzio, fino all’atteso annuncio dell’amnistia e della liberazione di Sakineh. Stati Uniti: cella surriscaldata, muore detenuto con problemi mentali La Presse, 20 marzo 2014 Un senzatetto con problemi mentali è morto il mese scorso in una cella del carcere di Rikers Island a New York "praticamente come cotto al forno" nella stanza, che si è surriscaldata superando i 40 gradi. È quanto riferiscono ad Associated Press quattro funzionari di New York, spiegando che pare che l’uomo non abbia aperto la piccola finestra di areazione e, in violazione del protocollo vigente per il dipartimento delle carceri, il detenuto non è stato controllato per ore. La vittima si chiamava Jerome Murdough e aveva 56 anni. Assumeva farmaci antipsicotici e antiepilettici. Nella prigione di Rikers Island si trovava in un’unità sotto osservazione per detenuti con problemi mentali, dopo essere stato incriminato per sconfinamento. Medioriente: Anp; Israele liberi detenuti o ci appelleremo all’Onu per status Palestina La Presse, 20 marzo 2014 L’Autorità nazionale palestinese si rivolgerà alle Nazioni unite riprendendo la campagna per il proprio riconoscimento internazionale, se Israele annullerà il pianificato rilascio di prigionieri palestinesi. Lo ha annunciato Nabil Shaath, capo negoziatore per Israele dell’Anp affermando che, se il rilascio sarà annullato, l’Autorità si rivolgerà "immediatamente" all’Onu. "Ci siamo impegnati a non fare appelli all’Onu per il riconoscimento, Israele a liberare i detenuti. Quello era l’accordo. Se loro lo infrangeranno, lo faremo anche noi", ha detto Shaath. L’accordo per il rilascio di un totale di 104 prigionieri in quattro tappe venne raggiunto nei colloqui mediati dagli Usa lo scorso luglio. Il programma prevede che l’ultimo gruppo venga liberato entro il 29 marzo. Shaath ha dichiarato che Israele non è obbligato a liberare i prigionieri, ma ha aggiunto che dalla decisione di Tel Aviv in merito dipenderanno i progressi dei negoziati di pace. Israele sta cercando di ottenere dai palestinesi l’impegno a estendere i colloqui oltre l’attuale scadenza, fissata ad aprile. Siria: "Esercito libero" assume controllo carcere di Gharaz, nella provincia di Daraa Aki, 20 marzo 2014 L’Esercito siriano libero (Esl), che da tre anni lotta contro il regime del presidente Bashar al-Assad, ha preso il controllo del carcere centrale di Gharaz, nella provincia di Daraa, nella Siria meridionale. Lo ha reso noto il gruppo di attivisti ‘Sham News Network’ sulla sua pagina su Facebook, dove si legge che i ribelli hanno assaltato il carcere e neutralizzato la forza d’ordine che ne gestiva la sicurezza. Al momento l’Esl è impegnato nell’evacuazione e nella messa in sicurezza di tutti i detenuti rinchiusi nel carcere. Mali: accordo del governo con i ribelli, presto libero ultimo gruppo separatisti Tuareg Aki, 20 marzo 2014 L’ultima tranche di prigionieri di guerra del Movimento nazionale per la liberazione dell’Azawad (Mnla), il gruppo ribelle tuareg attivo nel nord del Mali che a gennaio del 2012 aveva dato il via alle ostilità contro il governo di Bamako per l’indipendenza della regione, sarà presto liberata dal carcere centrale della capitale nel quadro dell’attuazione dell’accordo di Ouagadougou del 18 giugno 2013. È quanto ha annunciato il quotidiano locale "L’Independant", secondo cui l’esecutivo "ha già inviato una lettera in tal senso ai magistrati responsabili del dossier". Il 18 giugno scorso le autorità maliane e i ribelli separatisti tuareg hanno firmato un accordo di pace nella capitale burkinabè che prevede il ritorno delle truppe regolari e degli amministratori civili a Kidal, capoluogo dell’Azawad, ossia il nord del Mali, e la progressiva liberazione dei prigionieri dell’Mnla, dopo oltre un anno di guerra che aveva portato alla destabilizzazione della regione, spianando la strada alla proliferazione di varie sigle islamiste e spingendo la Francia a intervenire per fermarne l’avanzata con l’operazione "Serval". La maggior parte di questi detenuti è accusata di crimini contro i civili nel nord. Il ministero della Giustizia ha fatto pervenire al procuratore generale della Corte d’appello di Bamako la lista degli ultimi 20 prigionieri che beneficeranno dell’accordo di Ouagadougou, ha precisato "L’Independant", che ricorda come il procuratore generale della Corte d’appello di Bamako, Taniel Tessougè, "era stato categorico in merito a queste concessioni ai criminali dell’Mnla", dichiarando che "fino a che sarebbe stato procuratore generale, nessun prigioniero sarebbe stato liberato". In tal senso, "questa ennesima liberazione di prigionieri di guerra e altri criminali urterà certamente la suscettibilità di molti". Stati Uniti: cani dietro le sbarre… cure e cibo in cambio di affetto ai detenuti di Piera Matteucci La Repubblica, 20 marzo 2014 Il programma, lanciato negli Usa nel 1981, sta prendendo sempre più piede. Gli amici a quattro zampe arrivano da canili sovraffollati o dalla strada e vengono curati dai carcerati. Ma i servizi di toletta e pensione sono aperti anche agli animali padronali a prezzi competitivi. Ricevono cibo, coccole e affetto. In cambio offrono compagnia e allegria a chi trascorre le proprie giornate all’interno del carcere. Le prigioni americane si scoprono sempre più amiche dei cani in un progetto che, lanciato nel 1981, aiuta animali e detenuti. Ma non solo. L’iniziativa rende la vita più facile anche a chi vive fuori dal carcere, che può approfittare di prezzi concorrenziali per alcuni servizi di base, come toletta e pensione. Un programma che negli ultimi tempi, stando al Wall Street Journal, è stato adottato da un numero crescente di prigioni. L’idea di base è far incontrare cani sfortunati, sottratti a canili sovraffollati o abbandonati con carcerati con storie difficili alle spalle. Alcuni cani riescono ad approdare nelle carceri che hanno aderito al programma, e lì vivono una vita più serena, offrendo sollievo anche ai detenuti, soprattutto donne, che si occupano di loro, accudendoli e addestrandoli. Unica condizione per i carcerati, per entrare nel programma, è quella di non aver commesso alcuna infrazione durante il periodo trascorso dietro le sbarre. Per loro, il vantaggio non è solo quello di trovare ‘nuovi amicì: infatti, una volta nel progetto, il loro ‘stipendiò aumenta: i membri del programma guadagnano infatti 1,41 dollari l’ora, un compenso di tutto rispetto, considerato che i lavori in cucina e di pulizia fruttano un terzo di questa cifra. E i benefici dei cani nelle strutture carcerarie sono evidenti: così come negli ospedali, molti cani sono una terapia. "Mi ha insegnato come controllarmi. Ho imparato a essere più giusta" afferma Alvinita Stuart, carcerata a Gig Harbor, a Washington, per omicidio e con una condanna che finirà nel 2016. A Gig Harbor anche ai cani viene offerta una seconda chance. È il caso di Pax, un esuberante Golden Retriever, precedentemente cacciato da un carcere del Wisconsin dove era stato definito incorreggibile. Pax a Gig Harbor ha trovato la sua "anima gemella", una condannata per omicidio che lo ha rimesso sulla giusta strada e gli ha consentito di divenire un cane di sostegno per i disabili. Il carcere di Gig Harbor si è spinto anche oltre, offrendo servizi anche a chi è fuori dal carcere: per la cifra competitiva di 25-80 dollari offre servizi spa per i cani, come bagno, unghie e taglio. Ma anche programmi di addestramento, talmente richiesti che c’è una lista d’attesa di due anni. Ma anche le carceri italiane non disdegnano la presenza degli amici a quattro zampe per alleviare la pena dei detenuti. La scorsa estate un uomo, Ludovico Valentini, rinchiuso a Castrogno, in provincia di Teramo, ha chiesto al direttore della struttura di poter incontrare il suo Attila. Permesso accordato. A Caterina, una femmina di American Staffordshire, un anno e mezzo fa, è andato, invece, il primato di essere stato il primo cane a varcare i cancelli del carcere Dozza, a Bologna, per rivedere il suo amato padrone. Tunisia: concessa libertà condizionale a 1.852 detenuti, in occasione giorno indipendenza Nova, 20 marzo 2014 Il portavoce ufficiale della direzione generale dei servizi penitenziari tunisini, Ridha Zaghdoud, ha indicato che il ministro della Giustizia, Hafedh Ben Salah, ha concesso la libertà condizionale a 1.852 prigionieri in occasione del giorno dell’indipendenza che si festeggia oggi, 20 marzo.