Giustizia: "Abbiamo contato gli anni… ora contiamo i giorni", un appello per le carceri di Rita Bernardini e Irene Testa (Radicali Italiani) Ristretti Orizzonti, 1 marzo 2014 "È un problema da non trascurare nemmeno un giorno in più" [Giorgio Napolitano, 17 dicembre 2013] Gli obiettivi e gli interlocutori del nostro Satyagraha Alla mezzanotte di giovedì 27 febbraio mancheranno 90 giorni a quel 28 maggio fissato per l’Italia dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo come termine ultimo per porre fine alla tortura praticata nei confronti dei detenuti ristretti nelle nostre carceri. Sia chiaro, non ci sarà appello perché il tempo è già scaduto da anni per le reiterate condanne non adempiute da parte del nostro Paese. Non rispettare il termine implicherebbe logicamente, necessariamente, il ricorso alle estreme possibilità e capacità di autodifesa dell’Unione Europea, quali la sospensione o addirittura l’espulsione dall’Unione stessa. È semplicemente inaccettabile - e perciò da radicali non possiamo accettarlo - che le questioni poste dal Presidente della Repubblica con il suo messaggio alle camere dell’8 ottobre scorso siano state finora inascoltate, oscenamente schernite. Sono fuori strada un Parlamento e un Governo che pensino di cavarsela con qualche "salva carcere" il cui esito sarà quello di qualche migliaio di detenuti in meno. Il Presidente Napolitano lo ha detto: non c’è da perdere nemmeno un giorno. E, invece, sono stati persi anni, mesi, giorni, vite umane straziate a migliaia, mentre lì - praticamente nella porta a fianco - si ascoltavano le urla provocate da un dolore insopportabile nei corpi e nelle anime. Una sofferenza inflitta per mano dello Stato che fa strame di leggi il cui rispetto è obbligato, leggi riguardanti i Diritti Umani fondamentali, scritte nella Costituzione italiana, nella Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, nella Dichiarazione universale dei Diritti Umani. L’obiettivo del Satyagraha è lineare e semplice: chiediamo che le nostre istituzioni mettano in atto tutti quei provvedimenti legislativi volti ad eseguire quanto richiesto dalla Corte di Strasburgo con la sentenza Torreggiani e cioè a rimuovere le cause strutturali e sistemiche del sovraffollamento carcerario che generano i trattamenti disumani e degradanti nelle nostre carceri (violazione dell’art. 3 della Convenzione - Tortura). Gli interlocutori del nostro Satyagraha sono il Governo nella persona del Presidente del Consiglio Matteo Renzi, il Ministro della Giustizia Andrea Orlando, il Parlamento nelle persone del Presidente del Senato Pietro Grasso e della Presidente della Camera Laura Boldrini. Il nostro dialogo nonviolento non vuole costringere alcuno dei nostri interlocutori istituzionali a fare ciò di cui non è convinto. Il Satyagraha vuol dire fermezza nella verità ed esclude qualsiasi forma di violenza o di ricatto. Marco Pannella con i suoi lunghi scioperi della fame e della sete ha sempre detto che per il nonviolento la sconfitta più grande è se qualcuno muore e ha sempre sconsigliato lo sciopero della sete in carcere perché i detenuti non hanno la possibilità di sottoporsi a quei controlli medici che sono necessari e possibili solo a chi è fuori e in contatto con strutture sanitarie competenti. Le decine di migliaia di detenuti e di loro familiari che in questi anni si sono associati al Satyagraha radicale questo lo hanno capito. Non c’è alcun ricatto nella nostra azione, vogliamo solo dialogare con le istituzioni chiedendo ai nostri interlocutori di rispettare la loro stessa legalità, in primo luogo, la Costituzione sulla quale hanno giurato. Nel suo messaggio al Parlamento dell’8 ottobre 2013 - il primo e unico dei suoi due mandati - il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha voluto richiamare la sentenza della Corte Costituzionale (n. 210 del 2013) con la quale essa ha stabilito che, in caso di pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo che accertano la violazione da parte di uno Stato delle norme della Convenzione, "è fatto obbligo per i poteri dello Stato, ciascuno nel rigoroso rispetto delle proprie attribuzioni, di adoperarsi affinché gli effetti normativi lesivi della Convenzione cessino". Ed è lo stesso Presidente della Repubblica che, dopo aver elencato tutta una serie di provvedimenti in tema di decarcerizzazione e depenalizzazione, ad ammonire nel suo messaggio che "tutti i citati interventi - certamente condivisibili e di cui ritengo auspicabile la rapida definizione - appaiono parziali, in quanto inciderebbero verosimilmente pro futuro e non consentirebbero di raggiungere nei tempi dovuti il traguardo tassativamente prescritto dalla Corte europea. Ritengo perciò necessario intervenire nell’immediato con il ricorso a "rimedi straordinari"." È dunque il Presidente Napolitano a indicare Amnistia e Indulto non solo per interrompere - senza perdere un solo giorno - i trattamenti inumani e degradanti nelle nostre carceri, ma anche per accelerare i tempi della Giustizia perché anche sulla giustizia "ritardata" (che è giustizia negata) abbiamo un fardello ultratrentennale di condanne europee per violazione dell’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti Umani riguardante "l’irragionevole durata dei processi". Noi vivremo i giorni che ci separano dal 28 maggio, in Satyagraha, dialogando con le istituzioni e controllando giorno dopo giorno quali azioni concrete verranno messe in atto per porre fine alla flagranza criminale in cui da anni vive il nostro Stato. Stato di illegalità che, oltre al suo portato di violenza e di morte, umilia e discredita le nostre istituzioni in Europa e nel mondo. Giustizia: Amnesty International invia a Renzi una "agenda" in 10 punti per i diritti umani Italia Tm News, 1 marzo 2014 Antonio Marchesi e Gianni Rufini, rispettivamente presidente e direttore generale di Amnesty International Italia, hanno inviato al presidente del Consiglio Matteo Renzi l’Agenda in 10 punti per i diritti umani in Italia, "un contributo al dibattito politico italiano - spesso, purtroppo, ideologico e astratto - su una serie di questioni che riguardano, in modo molto concreto, le vite di milioni di persone". Lo ha reso noto la stessa organizzazione per i diritti umani in un comunicato diffuso oggi. Questi i 10 punti dell’Agenda inviata da Amnesty: 1. garantire la trasparenza delle forze di polizia e introdurre il reato di tortura; 2. fermare il femminicidio e la violenza contro le donne; 3. proteggere i rifugiati, fermare lo sfruttamento e la criminalizzazione dei migranti e sospendere gli accordi con la Libia sul controllo dell’immigrazione; 4. assicurare condizioni dignitose e rispettose dei diritti umani nelle carceri 5. combattere l’omofobia e la transfobia e garantire tutti i diritti umani alle persone Lgbti (lesbiche, gay, bisessuali, transgender e intersessuate); 6. fermare la discriminazione, gli sgomberi forzati e la segregazione etnica dei rom; 7. creare un’istituzione nazionale indipendente per la protezione dei diritti umani; 8. imporre alle multinazionali italiane il rispetto dei diritti umani; 9. lottare contro la pena di morte nel mondo e promuovere i diritti umani nei rapporti con gli altri stati; 10. garantire il controllo sul commercio delle armi favorendo l’adozione di un trattato internazionale. L’Agenda era stata originariamente sottoposta, in occasione delle ultime elezioni politiche, ai leader delle coalizioni in lizza e a tutti i candidati. Era stata sottoscritta, integralmente o quasi, da moltissimi candidati, che avevano accettato di prendere un impegno formale, scritto e pubblico, con Amnesty International e soprattutto con i propri elettori: 117 candidati firmatari sono ora parlamentari della Repubblica. "A un anno di distanza" - si legge nella lettera inviata da Amnesty International Italia al presidente del Consiglio Renzi - "possiamo dire che l’Agenda ha contribuito a portare per la prima volta questioni importanti relative ai diritti umani al centro dell’azione del parlamento e del governo. Nella prima parte di questa legislatura, di diritti umani si è discusso di più e meglio che in passato, in sintonia con quelle parti della società italiana che da tempo sollecitano una maggiore attenzione a uno o più temi dell’Agenda". Infatti, per quanto riguarda specificamente l’attività parlamentare, sulla maggior parte dei 10 punti sono stati presentati disegni di legge e su diversi di essi è iniziata la discussione. Di omofobia, ma anche di femminicidio, si è discusso, forse per la prima volta, in chiave di diritti umani. Alcuni provvedimenti, poi, sono già andati in porto, anche se è bene avvertire che ad essere già percorsi sono solo i primi tratti di una strada più lunga. Ad esempio, la ratifica della Convenzione di Istanbul sulla violenza contro le donne, in quanto assunzione di un impegno sul piano internazionale, costituisce un punto di partenza: servono, come previsto dalla Convenzione, misure concrete di sostegno alle vittime della violenza, adeguatamente finanziate, e azioni di prevenzione efficaci. "La repressione, sui cui sono incentrati gli sforzi di attuazione della Convenzione compiuti fino a questo momento, da sola non risolverà un problema che nel nostro paese ha assunto proporzioni drammatiche" - precisa l’organizzazione per i diritti umani. "A un atteggiamento complessivamente positivo delle forze politiche sui diritti umani ha fatto, tuttavia, da contraltare il riproporsi di vizi antichi, frutto di un conservatorismo tendenzialmente trasversale in quanto determinato, almeno in apparenza, da affiliazioni diverse dall’appartenenza all’uno o all’altro schieramento politico" - sottolineano Marchesi e Rufini. Per quanto riguarda, ad esempio, l’introduzione di un reato specifico di tortura nel nostro ordinamento giuridico, da diverse legislature viene regolarmente presentato qualche emendamento che stravolge la definizione internazionale e che, una volta approvato, ha l’effetto di rendere impossibile il proseguimento della discussione fino alla fine della legislatura. Amnesty International Italia segnala infine al presidente del Consiglio Renzi "la perdurante presenza di alcuni veri e propri tabù, come quello che riguarda i rapporti con la Libia": rapporti che, se risultano assenti o quasi dai dibattiti del parlamento, sono stati invece ampiamente presenti nell’agenda del precedente governo, senza che si tenesse adeguatamente in conto la situazione dei diritti umani in quel paese. La lettera di Amnesty International Italia si conclude ricordando il costante riferimento del presidente del Consiglio Renzi alla necessità della discontinuità, della novità e della velocità: "In tema di diritti umani, quella necessità è ravvisata da tempo da Amnesty International: occorre un segnale di forte discontinuità rispetto al ruolo marginale assegnato finora dalle istituzioni del nostro paese alla difesa dei diritti umani, occorrono nuove leggi e nuove prassi in favore dei diritti umani e ciò deve essere fatto con urgenza, per non accumulare altri ritardi". Giustizia: Orlando scontento per nomine viceministro Costa e sottosegretario Ferri, entrambi Ncd di Sara Menafra Il Messaggero, 1 marzo 2014 I casi che fanno discutere sono almeno quattro, per motivi diversi. E ieri, nel corso del primo consiglio dei ministri, il Guardasigilli Andrea Orlando ha fatto notare che al suo dicastero sarebbe stata meglio una scelta che non destasse "sospetti". Nell’elenco dei sottosegretari che il nuovo premier ha scelto nella sua squadra, ci sono alcuni nomi che specie il Pd ha mal digerito. I primi due sono entrambi al ministero di via Arenula ed entrambi figli d’arte. Accanto al ministro Andrea Orlando, già responsabile giustizia del Pd e poi al dicastero dell’Ambiente, arriva come vice ministro Enrico Costa, oggi nel Nuovo Centro Destra. Nella scorsa legislatura e fino a qualche tempo fa era considerato un "falco" delle battaglie sulla giustizia del centrodestra, anche se poi ha preferito seguire il Angelino Alfano nella scissione. Sempre alla giustizia è rimasto Cosimo Maria Ferri, magistrato di destra anche se non berlusconiano, leader assoluto di Magistratura indipendente con la cui lista è stato il più votato della scorsa consiliatura al Csm. Sfiorato dall’inchiesta Calciopoli e in alcune intercettazioni sulla P3, formalmente un "tecnico" piace al ministro dell’Interno che l’ha mantenuto al suo posto nonostante i giri di valzer. A non essere convinto, però, è Orlando che ieri, durante il primo consiglio dei ministri, ha fatto notare come la scelta di due nomi nell’area del centrodestra potrebbe "destare perplessità e sospetti" sulle eventuali riforme che dovessero arrivare. Proprio ieri, tra l’altro, il Guardasigilli ha risposto all’appello di Roberto Saviano sulla necessità di sequestrare i beni dei boss: "Ci sono lavori già avviati alla Presidenza del Consiglio proprio su questo". E domani, come prima uscita pubblica, Orlando ha scelto, un convegno dell’associazione antimafia Libera. Al ministero delle Infrastrutture, sempre per volere del Ned, è arrivato Antonio Gentile, coordinatore del partito in Calabria ma finito al centro delle cronache pochi giorni fa per aver cercato di impedire la pubblicazione del quotidiano L’Ora della Calabria, "colpevole" di riportare in prima pagina la notizia di una inchiesta penale a carico di suo figlio. Giustizia: quello che il Dap non dice a proposito di "sorveglianza dinamica" e apertura delle celle www.poliziapenitenziaria.it, 1 marzo 2014 Lo slogan del 2013 è sicuramente: "Sorveglianza dinamica!"... espediente studiato dal presidente Tamburino, con la collaborazione dei suoi strettissimi collaboratori, inserito nella lista di quelle cose che dovrebbero risolvere l’emergenza carceri. Ma Tamburino & Co. non dicono, o forse non sanno, quale sarà il vero impatto di questa "sorveglianza dinamica" nella gestione delle carceri italiane. Quello che non dicono è che potrà essere adottata in poche, pochissime, sezioni penitenziarie tanto che l’impatto sul miglioramento delle condizioni detentive sarà davvero minimo, quasi impalpabile. Altro aspetto che forse non riescono ad immaginare i vari Tamburino & Co., è che se è vero che la sorveglianza dinamica (per loro stessa ammissione) funzionerà al meglio solo con l’adozione di adeguati strumenti tecnologici nelle carceri, come cancelli automatizzati, sale regia efficienti, telecamere etc., è altrettanto vero che il Dap negli anni non è riuscito a mantenere in funzione i tanto acclamati strumenti anti-scavalcamento delle mura di cinta, per mancanza di soldi, capacità di pianificazione, strumenti di controllo e gestione dei beni e dei servizi dell’amministrazione penitenziaria. Figuriamoci quanto dureranno i cancelli automatizzati… che, oltretutto, hanno già dato prova di malfunzionamento in diversi istituti penitenziari in cui sono stati istallati. Non dicono nemmeno che la sorveglianza dinamica sui detenuti, da sola, non serve a nulla. In realtà, la vera emergenza nelle carceri non è il sovraffollamento, ma la mancanza di attività lavorative e scolastiche che sono condizione indispensabile per una minima probabilità di reinserimento nella società dei detenuti. Senza lavoro e senza istruzione non c’è reinserimento. Tamburino & Co., invece, fanno gli gnorri, propagandando la sorveglianza dinamica come una delle soluzioni al problema dell’emergenza carceri (l’altra è l’apertura delle celle per periodi più lunghi). L’apertura delle celle per almeno otto ore al giorno introduce un altro (non del tutto secondario) problema. Per chiunque abbia un minimo di comprensione delle "dinamiche sociali dei gruppi", è chiaro come la luce del sole che un gruppo di persone lasciate "bivaccare" per ore in un corridoio, con risorse limitate, si organizzerà spontaneamente imponendo la legge del più forte, del più influente, del più prepotente. In pratica l’apertura delle celle avrà come unico effetto l’amplificazione di quel fenomeno sociale, molto conosciuto in carcere, chiamato "università del crimine" in cui, detenuti entrati per reati banali, apprendono e conoscono dai detenuti più "esperti", come diventare criminali di rango superiore. Altro che alleviare le condizioni disumane dei detenuti ... si manifesterà questo fenomeno che sarà tanto più amplificato con la contestuale adozione della sorveglianza dinamica che altro non è se non un tentativo di minimizzare l’enorme carenza di personale di Polizia Penitenziaria. Tamburino & Co. in pratica cercano di tranquillizzare l’opinione pubblica pubblicizzando l’apertura delle celle dei detenuti, mentre la sorveglianza dinamica è solo un tentativo di nascondere sotto lo zerbino la carenza di personale. E tutto ciò con l’accordo e il plauso di alcuni sindacati di Polizia Penitenziaria. Giustizia: Sappe; quereliamo chi ha accusato Polizia penitenziaria di avere ucciso Federico Perna Ansa, 1 marzo 2014 Querele e costituzione di parte civile contro tutti coloro che hanno accusato i poliziotti penitenziari della morte di Federico Perna, avvenuta nel carcere di Napoli Poggioreale. Le annuncia Donato Capece, segretario generale del Sappe, Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria. "Gli esiti dell’autopsia sul corpo del povero giovane escluderebbero violenze sul suo corpo ed individuerebbero in un malore la causa della morte. La Polizia Penitenziaria è stata però oggetto di una incredibile violenza mediatica, con trasmissioni tv e dichiarazioni pubbliche nelle quali i Baschi Azzurri sono stati messi alla gogna senza alcuna prova. Per questo, per tutelare l’onorabilità del Corpo di Polizia Penitenziaria e tutti i nostri poliziotti, abbiamo dato mandato al nostro Studio legale di querelare tutti coloro che hanno usato espressioni ingiuriose nei nostri confronti, che hanno diffuso del carcere e dei Baschi Azzurri un’immagine distorta, attraverso un’informazione parziale, non oggettiva e condizionata da pregiudizi. Non abbiamo, lo avevano detto subito, nulla da nascondere e le indiscrezioni sull’esito dell’autopsia al povero giovane lo confermano oggi.". Lettere: carceri… legalità è certezza della pena di Pietro Balugani Avvenire, 1 marzo 2014 Gentile direttore, leggo da tempo "Avvenire" e ho avuto modo di constatare come su queste pagine la linea del "perdonismo" sia stata portata avanti con grande costanza sia dentro le carceri che fuori. Niente di male, ovviamente, e in sintonia con lo spirito del mondo cattolico, che il giornale rappresenta. Vorrei però chiedervi se perseguite il bene della collettività, considerato che siamo fra i Paesi più corrotti e ormai è diffusa l’idea che la giustizia non funzioni e non ci sia certezza della pena. La lunga teoria di condoni e indulti ha abbassato moltissimo la morale del Paese. Per risolvere il problema delle carceri occorre fare funzionare la giustizia e non ricorrere a provvedimenti di perdono individuali o collettivi che siano. Risponde Marco Tarquinio Lei legge da tempo "Avvenire", gentile signor Balugani, e però considera contrassegnata da "perdonismo" (ma, forse, se ho capito bene come la pensa, avrebbe dovuto scrivere "condonismo") la linea che portiamo avanti da anni sulle nostre pagine e alla quale si possono fare ovviamente molte critiche, ma della quale non si può proprio dire che non sia chiara. In tutti i campi siamo contro la logica dei condoni, proprio perché con il vero perdono essa nulla c’entra. Torno perciò a sottolineare volentieri che la nostra linea è imperniata su due capisaldi. Prima di tutto, il rispetto pieno della "legalità", e questo significa "certezza della pena" e sua "appropriatezza" (in un contesto teso a coniugare sicurezza pubblica e recupero della persona che ha commesso il reato), ma anche rigoroso rispetto dei diritti umani e costituzionali di coloro che finiscono in cella. In secondo luogo, è netta la preferenza per "soluzioni strutturali" e non per ricorrenti atti di clemenza, che pure possono essere contemplati in particolari frangenti e, diciamo così, nel giusto "clima morale". "Soluzioni strutturali" vuol dire scelte e azioni capaci di affrontare adeguatamente il cronico e vergognoso problema del superaffollamento delle nostre carceri e della parziale e faticosa realizzazione di opere preziose (anche in termini di drastica riduzione del tasso di ripetizione dei comportamenti delittuosi) per l’avviamento dei detenuti al lavoro e al reinserimento sociale. È una visione coerente con lo sguardo cristiano che, ripeto, non confonde mai condono e perdono. Per questo abbiamo applaudito in modo convinto la lucidità e il vigore con cui, lo scorso ottobre, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha posto preoccupazioni analoghe al centro del primo e unico Messaggio che ha sinora inviato al Parlamento. Il capo dello Stato, del resto, negli anni del suo primo mandato, si era già distinto per la costante attenzione al tema della condizione di vita (e di lavoro) negli Istituti di pena. E se almeno lui fosse stato ascoltato, avremmo evitato la sanzione - e un ultimatum, con scadenza a fine maggio - che la Corte europea dei diritti dell’uomo ci ha riservato per il trattamento disumano e persino, nei fatti, di "tortura" al quale in Italia arriviamo a sottoporre i carcerati. L’idea di un possibile provvedimento straordinario di clemenza, non escluso dal Quirinale ed evocato in queste ultime settimane anche dal primo presidente della Corte di Cassazione, è tornata ad affacciarsi anche perché la lentezza nella risposta del nostro Parlamento rischia di portare lo Stato italiano a dover far fronte assai presto a pesanti risarcimenti (si parla di alcune centinaia di milioni di euro) da versare ai maltrattati "ospiti" delle patrie galere. Detto questo, constato che il clima politico non è favorevole ad atti di clemenza straordinari (il "fronte del no" va dal neopremier Matteo Renzi a Beppe Grillo) anche se calibrati per evitare di ricomprendervi reati odiosi che sono anche (ma non soltanto) quelli legati alla corruzione. E tutti possono rendersi conto che manca la speciale cornice "morale" che - come al tempo del Grande Giubileo del 2000 e degli appassionati appelli del grande Giovanni Paolo II - può dare senso a un simile atto-evento. Ma il 4 marzo la Camera dei deputati - messa alle strette, dopo tre rinvii, dalla sua stessa presidente Laura Bodrini - finalmente dibatterà il messaggio presidenziale. Speriamo che con onestà e realismo si valuti la situazione in tutte le sue implicazioni. Senza troppe demagogie e senza vuote ritualità. In troppe carceri italiane si sperimenta l’ingiustizia. Un paradosso terribile, che deve finire, nel nome della legge scritta nei codici e del diritto che è scritto nei cuori e che ogni legge positiva precede. Oristano: Socialismo Diritti Riforme; a Massama protestano anche 107 detenuti comuni Ristretti Orizzonti, 1 marzo 2014 "Chiedono di poter utilizzare la biblioteca, di frequentare la palestra, di poter svolgere qualche partita di calcio nelle ore pomeridiane, lamentano l’assenza di attività socio-culturali e soprattutto l’impossibilità di lavare adeguatamente i panni in una lavanderia attrezzata. Non solo. Nel carcere di Massama-Oristano mancano figure professionali importanti come lo psicologo e il dentista". Le richieste sono state sottoscritte in una lettera inviata all’associazione "Socialismo Diritti Riforme" e alla Direzione della Casa circondariale da 107 detenuti comuni che protestano pacificamente anche per la mancata adozione della "sorveglianza dinamica" prevista dall’ultimo decreto Cancellieri. "La realtà di Massama - afferma Maria Grazia Caligaris, presidente di Sdr - è attualmente una delle più complesse. La presenza di circa 260 detenuti, 160 dei quali in regime di Alta Sicurezza, prevalentemente ergastolani, sta costringendo la Direzione a ridurre gli spazi di convivenza collocando nella stessa cella anche tre detenuti, nonostante le celle siano state previste al massimo per due persone. Ciò provoca le periodiche rumorose proteste. Difficile inoltre pensare al recupero sociale con tre soli educatori. Articolato su più piani e padiglioni, l’Istituto ha un numero inadeguato di Agenti di Polizia Penitenziaria. Sono infatti poco più di settanta unità per ogni turno con evidenti lacune per garantire un reale equilibrio tra trattamento e sicurezza". "Non è la prima volta che i detenuti comuni scrivono all’associazione per rappresentare le gravi difficoltà nella vita dentro il nuovo carcere oristanese. Dispiace rilevare che, a distanza di un anno e tre mesi dall’inaugurazione, la nuova struttura, costata 40 milioni di euro, non è ancora in grado di rispondere pienamente alle necessità di chi vi lavora e di chi vi sconta la pena. Dapprima è stato necessario smantellare buona parte della pavimentazione in diversi corpi del complesso per provvedere alla mancata impermeabilizzazione, ora - conclude la presidente di SdR - si moltiplicano le lamentele. è forse opportuno che il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria d’intesa con la Direzione provveda ad adottare le misure necessarie per completare le dotazioni ed eliminare i disservizi con opportuni stanziamenti". Verona: arrivano i detenuti psichiatrici, l’idea spaventa Nogara di Riccardo Mirandola L’Arena, 1 marzo 2014 C’è chi vi intravede un’opportunità e chi invece teme per la sicurezza. Il sindaco di Castiglione: "Da noi c’è da anni e non crea problemi". La nuova struttura che dovrà accogliere 40 pazienti veneti provenienti da ospedali psichiatrici giudiziari sparsi in tutta Italia fa discutere non poco in paese, diviso tra favorevoli e contrari. A volere fortemente l’accordo con la Regione è la maggioranza del sindaco Luciano Mirandola mentre tutte le minoranze sono schierate contro il progetto ritenendo che gli ospiti psichiatrici possano costituire un pericolo per la popolazione. "Sono fermamente contraria", spiega Cristina Lodi, parrucchiera, "a questo progetto. In paese molti sono preoccupati per l’arrivo di carcerati psichiatrici e anch’io non voglio che a Nogara arrivino queste persone sia per motivi di sicurezza che di immagine del paese". Un secco no arriva anche da Claudio Meda, pensionato: "Capisco che questa struttura porterà posti di lavoro, ma non ritengo però che Nogara sia in grado di accogliere detenuti psichiatrici perché mancano infrastrutture necessarie. E poi il nostro paese ha già tanti altri problemi senza andare ad aggiungerne di nuovi". Sul fronte dei favorevoli invece si punta ai posti di lavoro che arriveranno e al rilancio dello "Stellini". "Tutto ciò che viene fatto per l’ex ospedale", commenta Laura Rigoni, pensionata, "mi trova d’accordo. Mi chiedo però se l’Ulss 21 e la Regione manterranno le loro promesse viste le tante bugie che ci hanno raccontato. Di certo, queste strutture servono e non credo rappresentino un pericolo per la popolazione". Mentre a Nogara ci sono perplessità sul progetto di riconversione, a Castiglione delle Stiviere (Mantova) si convive da un secolo con una struttura per malati di mente in regime di detenzione (Opg). "Nel mio paese", spiega Alessandro Novellini, sindaco di Castiglione, "non si sono mai registrate problematiche di qualsiasi genere legate ai pazienti dell’Opg e la popolazione. La nostra struttura è presente da 100 anni e dal dopoguerra è diventata un ospedale psichiatrico giudiziario". "Il paese", aggiunge, "ha sempre visto tutto ciò come una risorsa, un valore aggiunto soprattutto perché ad oggi sono circa 200 le persone che lavorano all’interno dell’ospedale senza contare tutto l’indotto. I degenti sono invece 280 tra uomini e donne. In pratica si tratta della prima azienda di Castiglione per numero di occupati". Novellini vuole quindi gettare acqua sul fuoco delle polemiche levatesi sul progetto di riqualificazione dell’ex ospedale Stellini. Anzi, incita il paese a capire l’importanza dell’opportunità che viene offerta dalla Regione. "Noi a Castiglione", aggiunge Novellini, "non vorremmo mai perdere il nostro Opg perché porta lavoro e benessere. Basti ricordare che tra i pazienti e la popolazione vengono organizzate spesso iniziative di carattere sociale per favorire il loro reinserimento. Mi riferisco a partite di calcio, di pallavolo, serate di poesia, corsi di pittura e altro ancora. E, onestamente, nessuno vede un detenuto psichiatrico come un pericolo". "La nostra", conclude, "è una struttura moderna che, pur avendo pazienti di una certa gravità, non ha celle di detenzione e guardie carcerarie. La gestione, infatti, viene fatta solo dal personale infermieristico e medico che si prodiga per dare il più possibile un’assistenza adeguata ai 280 ricoverati. È comunque legittimo che chi non conosce queste realtà sia intimorito ma credo che le istituzioni debbano far capire alla popolazione di Nogara che questi detenuti psichiatrici non costituiscono un pericolo per la società". Parole che spezzano una lancia in favore del progetto approvato in consiglio con l’imprimatur dell’assessore regionale alla Sanità Luca Coletto, nonostante le fortissime resistenze dei consiglieri di opposizione Simone Falco, Emanuele Montemezzi, Mirco Moreschi e Oliviero Olivieri, che promettono battaglia contro la Giunta nel tentativo di bloccare il nuovo edificio ricorrendo anche ad un referendum. La guerra per il momento sta montando sul web con dure prese si posizione soprattutto da parte di grillini, leghisti ed esponenti del Pd. Foggia: progetto "Campi liberi", detenuti in attività presso Masseria Giardino www.statoquotidiano.it, 1 marzo 2014 Il Comune di Foggia intende realizzare in sinergia con l’Istituto Penitenziario di Foggia il progetto "Campi liberi". Esso si configura come un cammino innovativo e uno sforzo importante di " incontro" per quanto concerne il tema dell’inclusione sociale e dell’inserimento lavorativo delle persone sottoposte a misure restrittive e delle problematiche ad esso collegate. La situazione carceraria costituisce uno dei più scottanti problemi del Paese, sia per quanto riguarda le strutture detentive, che la condizione dei detenuti. L’insieme delle questioni richiede politiche di intervento finalizzate a creare condizioni di maggiore sicurezza, fondate sui principi dell’inclusione sociale, del rispetto, della convivenza civile, tolleranza e solidarietà, anziché su processi esclusivamente e prevalentemente repressivi. In questo quadro di grande disagio sociale, tuttavia, le istituzioni, a vari livelli, sono chiamate a ricoprire un ruolo fondamentale, adoperandosi - in virtù di tutti gli strumenti previsti dalla legislazione penitenziaria vigente - ad un graduale percorso di reinserimento delle persone detenute nei luoghi di pena. A tal fine è stato firmato un protocollo d’intesa tra Anci e Ministero di Grazia e Giustizia, nel quale il Ministero e l’Associazione dei Comuni si impegnano a collaborare per la promozione di un Programma per lo svolgimento di attività lavorative extra murarie da parte dei soggetti in stato di detenzione in favore delle comunità locali. La Giunta comunale con propria deliberazione n. 125 del 30 dicembre 2013 ha approvato una convenzione con l’Amministrazione dell’Istituto penitenziario foggiano per lo svolgimento di un progetto di agricoltura sociale denominato "Campi liberi" che prevede la collaborazione dell’Assessorato alla Sicurezza e dell’azienda Ataf per la disponibilità del mezzo di trasporto Esso consiste nell’affidamento ad un gruppo di detenuti della casa circondariale di Foggia, (in un primo momento in numero di sei) di mezzo ettaro di terreno appartenente all’Azienda Agricola Masseria Giardino di proprietà del Comune di Foggia, sita in località Incoronata. Grazie all’intervento dell’Ataf i detenuti verranno condotti quotidianamente sul fondo agricolo, in orario antimeridiano, dove si dedicheranno alla coltivazione di prodotti ortofrutticoli e alla cura dell’oliveto. Il tutto sotto la guida del personale tecnico che gestisce i lavori nell’azienda agricola comunale. Il progetto mira quindi al reinserimento dei detenuti nel mondo del lavoro, in questo caso quello agricolo, in un territorio, come quello di Capitanata, a forte vocazione agricola. Il lavoro nel settore primario, per le sue caratteristiche di flessibilità, multifunzionalità, completamento del ciclo e soprattutto per il rapporto che implica con la materia viva, vegetale ed animale, si è rilevato particolarmente inclusivo per soggetti socialmente deboli e/o emarginati. Scopo del progetto è verificare le potenzialità dell’attività agroalimentare per persone soggette alla restrizione della libertà, anche al fine di verificare le possibili prospettive professionali utilizzabili a fine pena. Parma: emergenza carceri, i Radicali annunciano lo sciopero della fame www.parmatoday.it, 1 marzo 2014 Indulto e amnistia 2014 contro il sovraffollamento nelle carceri e per la tutela dei diritti dei detenuti: nuovo sciopero della fame di massa promosso da dirigenti e militanti dei Radicali italiani. Ad annunciare la nuova iniziativa Satyagraha è stata la leader dei Radicali italiani Rita Bernardini. "Inizieremo il nuovo Satyagraha - ha detto Rita Bernardini - alla mezzanotte del 27 febbraio 2014, cioè quando mancheranno novanta giorni al 28 maggio fissato dalla Corte di Strasburgo - ha sottolineato la segretaria dei Radicali italiani - come ultimo termine per porre fine alla tortura nei confronti dei detenuti nelle carceri italiane. Non rispettare questo termine implicherebbe necessariamente il ricorso alle estreme possibilità di autodifesa dell'Unione Europea come la sospensione o addirittura l'espulsione dall'Ue". Sono già più trecento le adesioni finora arrivate al nuovo sciopero della fame per indulto e amnistia e una petizione popolare sarà inviata con tutte le firme raccolte al ministro della Giustizia Andrea Orlando. E' inaccettabile che le questioni sollevate dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano con il suo primo e unico messaggio alle Camere inviato lo scorso 8 ottobre siano state finora inascoltate e schernite oscenamente. Il Presidente Napolitano lo ha detto: non c'è da perdere nemmeno un giorno. Ma invece sono stati persi anni, mesi, giorni, vite umane straziate a migliaia. I Radicali di Parma aderiscono all’iniziativa nonviolenta di sciopero della fame, l'obiettivo del Satyagraha è chiedere alle nostre istituzioni di mettere in atto provvedimenti legislativi volti ad eseguire quanto viene chiesto dalla Corte Europea Dei Diritti Umani, cioè di eliminare le cause strutturali del sovraffollamento nelle carceri che generano trattamenti disumani e degradanti. Il nostro dialogo nonviolento non vuole costringere alcuno dei nostri interlocutori istituzionali a fare ciò di cui non è convinto. Il Satyagraha vuol dire fermezza nella verità ed esclude qualsiasi forma di violenza o di ricatto. Non c’è alcun ricatto nella nostra azione, vogliamo solo dialogare con le istituzioni chiedendo ai nostri interlocutori di rispettare la loro stessa legalità, in primo luogo, la Costituzione sulla quale hanno giurato. Noi vivremo i giorni che ci separano dal 28 maggio, in Satyagraha, dialogando con le istituzioni e controllando giorno dopo giorno quali azioni concrete verranno messe in atto per porre fine alla flagranza criminale in cui da anni vive il nostro Stato. Stato di illegalità che, oltre al suo portato di violenza e di morte, umilia e discredita le nostre istituzioni in Europa e nel mondo". Milano: rubato il furgone usato dai detenuti di Bollate per vendere la frutta al mercato Redattore Sociale, 1 marzo 2014 I carabinieri lo hanno ritrovato a Trezzano sul Naviglio: è stato preso per fare una rapina. Danni per mille euro, distrutte le bilance e il registratore di cassa, ma i detenuti non si arrendono e domani tornano al lavoro. Il furgone di frutta e verdura dei detenuti del carcere di Bollate è stato rubato. Il caso potrebbe dar luogo a facili ironie, ma in realtà ha rischiato di far chiudere un progetto che ha permesso finora a 8 detenuti di poter lavorare. La "Bancarella di frutta e cultura" ha iniziato la sua attività meno di un anno fa, nel luglio del 2013, grazie alla cooperativa Trasgressione.net. Per cinque giorni alla settimana i detenuti di Bollate vendono frutta, verdura e alcune pubblicazioni della cooperativa nei mercati della città. Nella notte di domenica 23 febbraio i ladri hanno rubato il furgone, parcheggiato nel piazzale di fronte al carcere. Lunedì i carabinieri lo hanno ritrovato a Trezzano sul Naviglio: è stato usato per fare una rapina in un’azienda di Nerviano. "Il problema è che non solo hanno causato danni al mezzo, ma hanno anche distrutto le tre bilance e il registratore di cassa", racconta Sofia Lorefice, una delle socie della cooperativa che segue il progetto. Un danno di oltre mille euro, una cifra importante per una piccola attività come questa. Domani, nonostante tutto, i detenuti però torneranno con la loro bancarella, al grande mercato di via Papiniano. "Ci siamo fatti imprestare le bilance e faremo le ricevute a mano -aggiunge Sofia, che lancia un appello-. Ci auguriamo che la gente ci sostenga venendo a comprare i nostri prodotti. Così potremo ricomprare l’attrezzatura e questa bella esperienza non morirà". La bancarella si trova nei mercati di via Moretto da Brescia (lunedì), via Benedetto Marcello (martedì), via F.lli Antona Traversi (giovedì), via Canaletto (venerdì) e via Papiniano (sabato). Firenze: Uil-Pa; a Sollicciano ci sono piccioni e infiltrazioni acqua, ambiente di lavoro insalubre Ansa, 1 marzo 2014 "Insalubrità" e "forte rischio sanitario in tutta la struttura" per "infiltrazioni di acqua" e "presenza di piccioni nei reparti". Secondo il vicecoordinatore regionale della Uil-Pa penitenziari Toscana, Eleuterio Grieco, sarebbe la situazione del carcere fiorentino di Sollicciano. Grieco parla di "fatiscenza della caserma agenti, mancato adeguamento degli impianti antincendio ed elettrici, mancanza di sistemi di comunicazione del personale nelle sezioni, locali della mensa di servizio fatiscenti. Sono tutte problematiche denunciate dalla Uil-Pa Penitenziari attraverso i rilievi fotografici il 3 luglio 2013 - conclude Grieco. Da quella denuncia, nessuna risposta, nessun miglioramento da parte dall’amministrazione penitenziaria né, tanto meno, si sono avviate azioni giudiziarie". Ferrara: Sindacati di Polizia penitenziaria incontrano il Prefetto "più sicurezza per il carcere…" www.telestense.it, 1 marzo 2014 Più sicurezza per il carcere di Ferrara. La chiedono le organizzazione sindacali di Polizia penitenziaria che questa mattina sono state ricevute dal prefetto. Negli ultimi tre mesi sei sono state le manifestazioni non autorizzate dei gruppi No Tav nei pressi della Casa circondariale di Ferrara per solidarizzare con detenuti ristretti nel carcere cittadino. Manifestazioni accompagnate in alcune occasioni da lanci di bombe carta, che per fortuna non hanno provocato feriti ma destato molta preoccupazione. Episodi questi che hanno portato le organizzazioni sindacali di polizia penitenziaria a chiedere, in un incontro con il Prefetto e il Questore, più sicurezza per l’Arginone. Più illuminazione sulla via Arginone e sistemi di videosorveglianza per aumentare il monitoraggio della zona ed eventualmente individuare i responsabili di eventuali azioni nei confronti della casa circondariale. È questa la principale richiesta avanzata oggi al Prefetto e al Questore che già si è reso disponibile ad aumentare il presidio dell’area attorno al carcere da parte delle Volanti. Un incontro positivo, hanno detto i rappresentanti dei sindacati che oggi sono stati ricevuti in Prefettura, dal quale ora si attende la stesura di un piano tecnico operativo volto a fronteggiare e scongiurare eventuali future manifestazioni violente. Sassari: Osapp; detenuto tunisino tenta il suicidio, la Polizia penitenziaria lo salva La Nuova Sardegna, 1 marzo 2014 Domenico Nicotra, segretario generale aggiunto Osapp: "Più attenzione dal nuovo ministro della Giustizia". "Ancora una volta è stato il pronto intervento della Polizia Penitenziaria che ha evitato l’ennesimo suicidio nelle patrie galere. Ieri alle ore 14.00 presso l’Istituto Penitenziario di Sassari un detenuto di nazionalità tunisina, ha tentato l’impiccagione e solo grazie all’immediato e risolutivo intervento della polizia penitenziaria si è evitata la morte". A renderlo noto è il Segretario Generale Aggiunto dell’Osapp - Domenico Nicotra - che aggiunge che episodi simili sono ormai all’ordine del giorno negli Istituti penitenziari italiani. "Il detenuto, continua Nicotra, adesso si trova sorvegliato a vista h24 nella nuova struttura di Bancali da quelli che ormai possiamo definire gli "angeli custodi" perché è stata, è e sarà sempre la Polizia Penitenziaria a evitare epiloghi tragici nelle carceri". "È auspicabile, conclude il sindacalista dell’Osapp, che il nuovo Ministro della Giustizia ponga la necessaria attenzione verso il Corpo di Polizia Penitenziaria perché diversamente con la carenza di uomini e risorse finanziarie attuali diventerà sempre più difficile assicurare la sicurezza nelle patrie galere". Agrigento: Osapp; un detenuto extracomunitario aggredisce poliziotto penitenziario Italpress, 1 marzo 2014 Nel carcere di Agrigento un detenuto extracomunitario, già noto alle Direzione del carcere per il suo precario stato psichico, ha aggredito un poliziotto penitenziario per motivi ancora sconosciuti. Lo rende noto il segretario generale aggiunto dell’Osapp, Domenico Nicotra. L’episodio è avvenuto ieri, nei locali dell’infermeria del carcere agrigentino ed il poliziotto ha dovuto fare ricorso alle cure presso il vicino ospedale per escoriazioni e contusioni anche al volto. "Il detenuto - dice Nicotra - adesso si trova in una stanza detentiva priva di qualsivoglia suppellettile e ciò per evitare anche il reiterarsi di simili comportamenti". "È auspicabile - aggiunge il sindacalista dell’Osapp - che il nuovo Ministro della Giustizia ponga la necessaria attenzione verso il Corpo di Polizia Penitenziaria perché diversamente con la carenza di uomini che globalmente penalizza l’intera Sicilia diventerà sempre più facile assistere e registrare simili ed incresciosi episodi". Biella: denunciati una donna e suo figlio, entrati a colloquio in carcere con sostanza stupefacente La Stampa, 1 marzo 2014 Vanno a trovare il loro congiunto, da poco trasferito nel carcere di Biella, portandosi appresso un discreto quantitativo di stupefacente. A scoprire e a denunciare una donna residente nell’Eporediese e uno dei due figli sono stati gli agenti della polizia penitenziaria, che da tempo tenevano i tre sotto stretto controllo. L’altro giorno è scattata l’operazione, condotta dal comandante Mirko Trinchero, a cui hanno partecipato le unità cinofile provenienti dal distaccamento di Asti. La donna e i figli sono stati bloccati dopo che uno dei cani ha fiutato lo stupefacente, e tutti e tre sono stati portati nella caserma del penitenziario. Contemporaneamente, il magistrato firmava il decreto di perquisizione per l’auto e l’abitazione. In casa è stato trovato in necessario per il confezionamento delle dosi e la riproduzione di una pistola semiautomatica, a cui era stato tolto il tappo rosso. Ascoli Piceno: detenuti-attori in scena con "La metamorfosi", tratta dal racconto di Franz Kafka Agi, 1 marzo 2014 Il collettivo dei detenuti della Casa circondariale di Ascoli Piceno metterà in scena "La metamorfosi", tratta dal racconto del grande scrittore boemo Franz Kafka. Lo rende noto il Comune ascolano. La lettura scenica per quattro voci, con accompagnamento musicale, verrà ospitata il 6 marzo presso la chiesa di S. Simone e Giuda. Nello stesso luogo si terranno anche altri incontri e dibattiti, a partire dal 15 marzo, che avranno come protagonisti i detenuti del penitenziario piceno. Per iniziativa della direzione della Casa circondariale locale, in collaborazione con le istituzioni, sono state promosse negli ultimi mesi numerose iniziative editoriali ed artistiche, tra cui il Premio Letterario Teseo, che ha portato alla pubblicazione del libro di racconti dal titolo "I vangeli del carcere". La giuria del premio è presieduta dal regista cinematografico Giuseppe Piccioni (ascolano di origine), autore di molti film apprezzati sia dal pubblico che dalla critica, tra i quali "Luce dei miei occhi" del 2001, che vinse la Coppa Volti al Festival di Venezia. Brescia: apre oggi la mostra "Assenze", esposizione delle sculture realizzate da alcuni detenuti Brescia Oggi, 1 marzo 2014 Prima di essere detenuti si è persone. Partecipare della bellezza è diritto di ogni uomo. Con questa certezza Aab, associazione artisti bresciani, l’Accademia Santa Giulia e la Casa di Reclusione di Verziano, patrocinati dal Comune di Brescia, hanno creato la mostra "Assenze", esposizione che proporrà alla cittadinanza le sculture realizzate da alcuni detenuti dell’istituto carcerario. Allestita presso la sala dei Santi Filippo e Giacomo di via Battaglie 61, la mostra verrà inaugurata sabato 1 marzo alle ore 19. Al suo interno saranno presenti quindici sculture, in marmo ed in terracotta, che raccontano senza parole le emozioni e le storie di altrettante persone che hanno perso la libertà. "Portare la bellezza all’interno delle mura del penitenziario è un modo per dare un senso alla detenzione - afferma Francesca Paola Lucrezi, direttrice di Verziano. Per alcuni individui l’arte rappresenta l’unico strumento per comunicare". Saranno presenti all’inaugurazione, in via eccezionale, sei detenuti autori di alcune sculture che nell’occasione doneranno al prefetto di Brescia Livia Narcisa Brassesco un crocifisso creato da loro stessi: "Durante una visita all’istituto il prefetto rimase colpita da questo lavoro, allora ancora in fase di realizzazione - racconta Lucrezi. I detenuti hanno così deciso di donarglielo una volta ultimato". Da nove anni l’Accademia Santa Giulia collabora con la Casa di reclusione tanto che ogni martedì il professor Agostino Ghilardi, coadiuvato da alcuni studenti, tiene all’interno del carcere un corso di scultura. Proprio da questo progetto è nata l’idea della mostra che, nel titolo "Assenze", racchiude l’essenza della reclusione. Privati di uno spazio all’interno della società, privati di una presenza, i detenuti hanno riacquistato il posto che spetta loro percorrendo una via diversa, quella della bellezza. "L’arte dà un’identità vera, presenta la vita senza falsità - sostiene Katia D’Angelo, collaboratrice di Agostino Ghilardi. La voce prende forma nelle sculture". "Nella vita di un detenuto ci sono bisogni che vanno aldilà delle necessità quotidiane" afferma Giuseppe Ungari, presidente del Consiglio Comunale. Il risvolto sociale del progetto va oltre, entrando nell’ottica del recupero del detenuto, coerentemente con i dettami costituzionali, presentandosi come "modello da esportare e da ripetere", secondo le parole di Dino Santina, presidente di Aab. "Questa iniziativa non è solo sfoggio di retorica - aggiunge Francesca Paola Lucrezi. Come direttrice di Verziano sono rimasta positivamente colpita dai risultati concreti riscontrati in alcuni detenuti". La mostra rimarrà aperta fino a domenica 16 marzo, dalle 16 alle 19, chiudendo unicamente i lunedì. Chi vorrà potrà partecipare dell’esperienza di uomini e donne che hanno perso la loro presenza fisica nel mondo ma, all’assenza, hanno risposto con la bellezza, con la vita. Torino: nel carcere minorile torneo di calcetto in memoria di Souleymane, ucciso a 16 anni Redattore Sociale, 1 marzo 2014 Parte alle 14, al Ferrante Aporti di Torino il "Memorial Adama Souleymane": due squadre provenienti dall’esterno si incontreranno con una formazione di detenuti ed educatori. Adama Souleymane, senegalese, è morto a dicembre, dopo la scarcerazione. Lo sport agonistico fa il suo ingresso nel carcere minorile di Torino. Prenderà il via alle 14 il "Memorial Adama Souleymane", torneo di calcetto a tre squadre, indetto in ricordo del diciassettenne senegalese ucciso a dicembre, subito dopo la scarcerazione dal "Ferrante Aporti", durante un diverbio con un tossicodipendente. "Adama era un ragazzo molto semplice, solare - ricorda Doris Hayes, mediatrice e istruttrice sportiva del Ferrante Aporti - e ci aveva conquistati un po’ tutti. Gli bastava avere un pallone tra i piedi per essere felice. Per questo, abbiamo pensato che un torneo fosse il modo migliore per onorarne la memoria". Souleymane era arrivato a Torino nel 2011, con la speranza di trovare un lavoro da operaio. Quasi subito, invece, si era ritrovato tra le fila della malavita nordafricana, che lo aveva arruolato per vendere droga tra i vicoli dello spaccio al dettaglio. Nel 2012, dopo una serie di denunce e segnalazioni, la condanna e l’ingresso in carcere; proprio al Ferrante, insieme a compagni ed educatori, aveva riscoperto la passione per il calcio. Era stato scarcerato da appena due settimane quando la coltellata di un cliente se lo è portato via per sempre: fino ad allora nessuno, a Louga, in Senegal, sapeva che fosse finito in carcere; ai genitori aveva sempre detto di star lavorando come operaio, sia prima che durante la detenzione. Al torneo di oggi parteciperanno una squadra femminile, l’Ampalex di Leinì (To), una maschile, da Torino, e una mista, composta da detenuti, educatori ed educatrici del Ferrante Aporti. La giornata si apre alle 11 con un momento "di riflessione e condivisione - spiega Hayes - che terminerà con la proiezione di un video realizzato dai ragazzi del laboratorio di informatica". Alle 14, dopo pranzo, le tre squadre inizieranno a sfidarsi: la vincitrice verrà festeggiata alle 17.30, dopo un piccolo rinfresco. Per iniziative educative e di inserimento lavorativo, il Ferrante Aporti è una delle carceri minorili più avanzate in Italia: all’interno, oltre alle attività sportive e di alfabetizzazione informatica, si tengono corsi di teatro e c’è un laboratorio in piena regola per la produzione della cioccolata. I ragazzi vivono inoltre a stretto contatto con un folto gruppo di educatori, che li seguono lungo tutta la giornata. Immigrazione: l’insostenibile inutilità dei Cie… un sistema che fa acqua da tutte le parti di Stefano Pasta Famiglia Cristiana, 1 marzo 2014 Dei 13 Cie attivi fino a poco tempo fa ne rimangono in funzione solo 5: violano i più elementari diritti umani e costano uno sproposito. A partire da marzo chiuderà anche il Cie di Trapani, per circa 8 mesi. Lavori di ristrutturazione per migliorare le condizioni di sicurezza, ha detto il prefetto della città Leopoldo Falco. Si spenderanno 664.000 euro "per strutturare la sicurezza del Cie", che tradotto vuol dire anche "alzare i muri". Al momento, il Cie ospita 187 persone e non può essere - con le parole del prefetto - "un luogo di guerriglia quotidiana". Così Falco ha commentato la spesa: "Sono cifre imbarazzanti, se dall’inizio il Cie fosse stato fatto come doveva essere fatto, non staremmo qui a spendere altri soldi". A metà gennaio, in un altro dei Cie "sopravvissuti", a Bari, è intervenuto il Tribunale per ordinare al Ministero dell’Interno e alla Prefettura di eseguire, entro il termine perentorio di tre mesi, i lavori necessari per garantire le condizioni minime di rispetto dei diritti umani. Il provvedimento è arrivato dopo un ricorso dell’associazione Class Action e dopo che un perito nominato dal Tribunale aveva depositato una dura relazione di venti pagine. Si sta peggio che in carcere, secondo il giudice: "Non è azzardato concludere - ha scritto nella sentenza - che, se lo stato degli stranieri trattenuti nei Cie in vista della loro espulsione fosse stato assoggettato alla disciplina dell’ordinamento penitenziario vigente, la loro condizione sarebbe stata migliore o comunque più "garantita", quanto meno sul piano formale". Nel Cie di Bari, infatti, si vive in condizioni inaccettabili: niente tende, niente aerazione, bagni praticamente impresentabili, nessuna attenzione alle attività sociali. In compenso, ricorso massiccio a psicofarmaci. Insomma, "trasmoda nell’illegalità". Con la fine del 2013, nel resto d’Italia, altri Cie hanno chiuso i battenti. Definitivamente a Modena, dopo 11 anni di attività, mentre solo temporaneamente e per (costosi) lavori di ristrutturazione a Milano e Gradisca d’Isonzo. Nel capoluogo lombardo, il Cie di via Corelli, ex Cpt, costruito nel 1998 quando il periodo massimo di permanenza era ancora di 30 giorni e non gli attuali 18 mesi, ha chiuso il 31 dicembre dopo anni di rivolte, scioperi della fame, incendi e fughe. Non si sa quando, ma riaprirà, dicono dalla Prefettura. Con un nuovo gestore però: la Croce Rossa, che ha gestito il centro nell’ultimo periodo, ha ora rinunciato, anche per ragioni economiche (l’ultimo bando prevedeva un compenso giornaliero troppo basso). Continua invece a gestire il Cie di Torino, dove alcuni consiglieri comunali del Pd e Sel hanno appena presentato una mozione per chiederne la chiusura: "Qui - dicono - un trattenuto su tre usa ansiolitici e antidepressivi e il costo sostenuto per l’ampliamento di tre anni fa è stato di 14 milioni di euro, ossia 78mila euro a posto letto". Nel frattempo, a fine dicembre, il premier Letta aveva annunciato l’intenzione del Governo di "mettersi al lavoro per una revisione dei Cie, che rappresenta una risposta obbligatoria". Peccato che contemporaneamente il Viminale, oltre a tappare buchi (e innalzare muri) nei Cie che sopravvivono, portasse avanti dispendiosi progetti per nuovi centri. I Ministeri dell’Interno e delle Infrastrutture, insieme alla Prefettura di Potenza, hanno dato il via al bando per riaprire il Cie di Palazzo San Gervasio, in provincia di Potenza. Le buste si sono aperte il 12 novembre scorso, per un importo complessivo di 2 milioni e settecentomila euro. Istruttiva la storia di questa "gabbia" in terra lucana, soprannominata "la voliera degli immigrati" e "pollaio". Venne istituita dal ministro Maroni per far fronte all’Emergenza Nord Africa insieme a quello di Santa Maria Capua Vetere (provincia di Caserta) e alla tendopoli di Kinisia. Si trattava allora, nell’aprile 2011, di due Ciet (la "t" stava per temporanei), dove vennero reclusi centinaia di persone provenienti dalle coste tunisine. Con il Governo Moniti, a inizio 2012, persero la "t", diventando Cie ordinari (18 milioni il costo della sola ristrutturazione). Il Cie di Palazzo San Gervasio venne poi chiuso dopo alcune denunce che ne dimostrarono l’inadeguatezza e il mancato rispetto dei diritti umani. Ora invece si spendono nuovi milioni per riaprirlo. E il suo "gemello" di Santa Maria Capua Vetere? Stessa sorte: chiuso perché posto sotto sequestro dalla magistratura dopo varie rivolte, anche su questo c’è ora un progetto per la riapertura con un costo di vari milioni di euro. Un cappellano tra inferriate e lucchetti Intervista a don Emanuele Giannone, direttore della Caritas della Diocesi di Porta Santa Ruffina e cappellano del Cie Ponte Galeria, il più grande d’Italia Don Emanuele Giannone, direttore della Caritas della diocesi di Porto Santa Rufina, è il cappellano del Cie di Ponte Galeria, il più grande d’Italia. Tra inferriate e lucchetti, le alte sbarre della sezione maschile culminano in pannelli di plexiglas per evitare che i reclusi si arrampichino e tentino la fuga. Nella sezione femminile, si incontrano ragazze nate in Italia che non hanno ottenuto la cittadinanza, donne vittime di tratta e prostituzione, badanti mai regolarizzate. Ponte Galeria è stata al centro dell’attenzione per la "rivolta delle bocche cucite", poco prima di Natale e nuovamente a fine gennaio. La prima si è conclusa proprio con una missiva consegnata a don Emanuele, un appello a Papa Francesco. Qual è la situazione oggi? "In questi giorni, il cosiddetto "gruppo di Lampedusa" - giovani marocchini trasferiti qui dall’isola dopo il video del Tg2 - ha le commissioni per la domanda di asilo politico. Racconteranno le loro storie di sofferenza, ma è molto difficile un esito positivo. Loro stessi fanno fatica a capire questi passaggi burocratici e non hanno ben chiaro i documenti che firmano: è difficile addirittura per noi che leggiamo e parliamo bene l’italiano. In ogni caso, un loro rimpatrio vorrebbe dire affrontare gli strozzini con cui si sono indebitati per venire in Italia, tornare a lavorare in Libia da cui sono fuggiti, dire alle proprie mogli e figli che il loro viaggio è fallito. Penso in particolare a un ragazzo marocchino che ha domani la commissione, 21 anni, sposato con un bambino. È partito con il barcone dalla Libia, insieme ad altre tre "carrette del mare": una di queste è affondata e lui e i suoi compagni hanno dovuto rifiutare di prendere a bordo i naufraghi perché altrimenti sarebbero colati a picco pure loro. Questo giovane, dell’Italia che ha raggiunto per lavorare e avere una vita dignitosa, ha visto solo Lampedusa, Ponte Galeria e il tragitto in pulmino da un centro all’altro". Da dicembre la situazione è cambiata? "No, la situazione è uguale; anche in questi giorni continuano gli arrivi, specie dal carcere. Questo è uno dei paradossi del Cie: qui vengono reclusi per mesi persone che hanno già scontato la loro pena solo perché durante il periodo del carcere non sono stati identificati. È un’aggiunta di pena ingiusta. Ora speriamo che il Decreto carceri appena approvato ponga rimedio a questa situazione. Inoltre, è evidente che non è intelligente far stare nello stesso posto ex carcerati, normali cittadini che hanno perso il permesso di soggiorno e profughi appena sbarcati". Da dove nascono le proteste? "Ciascuna ha la sua storia e la sua causa scatenante, ma tutte nascono dalla condizione di queste vite spezzate. Il Cie è un luogo che crea esasperazione: le persone stanno lì, non sanno per quanto tempo e perché ci devono stare, senza poter far nulla tutto il giorno, in attesa di essere separati dai propri affetti con un rimpatrio in un Paese in cui in alcuni casi sono solo nati. Proviamo a immaginare cosa staranno facendo ora i ragazzi a Ponte Galeria: stesi su un materasso di spugna, con una coperta addosso, senza fare nulla. Qualcun altro starà cercando un po’ di attenzione dagli operatori: magari per poter andare dal medico, oppure per avere una sigaretta. Anche noi quando entriamo non possiamo fare nulla: la prefettura ci impedisce di portare anche solo una penna, perché troppo pericolosa. Nel carcere, si riesce a fare di più. Nel Cie, invece, nonostante la buona volontà di alcuni operatori, la persona è annientata nella propria dignità. Sono svuotati del loro essere uomini, di esprimere le possibilità che l’uomo ha, di avere relazioni, di poter immaginarsi e adoperarsi per costruire il proprio futuro. Durante la protesta di dicembre, quando volevano addirittura cucirsi le palpebre, alcuni giovani marocchini mi hanno detto: per noi la tortura è iniziata il giorno in cui siamo entrati qui dentro". Qual è la testimonianza cristiana dietro le sbarre del Cie? "Nonostante la maggior parte dei detenuti sia musulmano, sanno che la Chiesa è dedita ad ogni uomo e non fa differenza tra cristiani e persone di altre religioni nel dare una mano e difenderne i diritti. Tra le celebrazioni che facciamo a Ponte Galeria, la più intensa è sicuramente la Via Crucis: sostare davanti alla Croce, in modo impotente (non puoi far scendere Cristo), vuol dire stare nel Cie, che è un vero e proprio Calvario. Tutti hanno pensato al fallimento del Messia, così come i migranti che hanno perso tutto rinchiusi nel Cie e sono senza speranza. Stare ai piedi della Croce è la testimonianza cristiana e personalmente devo dire che in tutte le celebrazioni sono aiutato a pregare, come sacerdote, dal desiderio ardente che si respira da queste vite spezzate". Romeo e Giulietta: dalla fuga all’espulsione Come si chiamano i Romeo e Giulietta dei nostri tempi? Alia e Ali, hanno 34 e 29 anni e sono due sposi tunisini. Dove si trovano? Reclusi nel Cie (Centro di identificazione e espulsione) di Ponte Galeria a Roma, quello della protesta delle bocche cucite, tra sbarre alte sette metri, lucchetti, porte blindate, guardie armate e luce sempre accesa "per ragioni di sicurezza", anche quando si vorrebbe riposare. Perché? Sono colpevoli di essersi innamorati e di aver voluto salvarsi scappando via mare dalla violenza della famiglia salafita di lei. Non potevano fare altrimenti: dalla Tunisia non è possibile ottenere un visto per l’Europa, serve sfidare la sorte e le onde del Mediterraneo. In Tunisia, la famiglia di Alia si opponeva al matrimonio con Ali, perché l’aveva promessa in sposa a un estremista salafita molto più vecchio, che lei non ha mai conosciuto. Per questo i fratelli l’hanno torturata: sul braccio ha una ferita profonda, ma quella del cuore fa ancora più male. Rischiano di essere imbarcati su un aereo contro la loro volontà, come accadde ad Alma Shalabayeva e a sua figlia Alua. Anche in questo caso, pur avendo chiesto la protezione internazionale, hanno ricevuto un rifiuto. Quando ha saputo del rigetto della domanda di protezione e della contemporanea espulsione di due tunisini che protestavano con le bocche cucite, Alia ha temuto di essere rimpatriata a Tunisi e, due giorni prima di Natale, ha tentato il suicidio, impiccandosi nel bagno della sezione femminile con le lenzuola del letto. Ora, dopo il gesto estremo, marito e moglie possono incontrarsi per brevi momenti, stringersi la mano. Ma sempre controllati e spiati a vista, perché nel Cie non esiste privacy per i detenuti (anzi, il Ministero li chiama "ospiti"). La loro storia è stata fatta conoscere dalla giornalista Raffaella Cosentino e dalla campagna LasciateCIEntrare, mentre alcuni deputati Pd e Sel (Luigi Manconi, Ileana Piazzoni e Nazzareno Pilozzi) hanno scritto al presidente della Repubblica Napolitano, segnalando il caso e chiedendo un suo intervento sui Cie. "Questa storia non è l’eccezione, nei Cie si finisce a prescindere dalle vicende personali" spiega Oria Gargano, presidente di BeFree, ong che opera per aiutare le donne rinchiuse a Ponte Galeria. Ma quella di Romeo e Giulietta di Ponte Galeria è una storia che va oltre il Cie, che ha un prima e un preoccupante dopo, un dentro e un fuori la gabbia. Insomma, i numeri del Viminale (7.944 nel 2012) tornano ad essere uomini e donne in carne. Tra i compagni di detenzione di Ali, ci sono padri di famiglia che hanno perso il lavoro e non possono rinnovare il permesso, giovani da poco entrati in Italia alla ricerca di un futuro migliore, altri cresciuti invece in Italia che parlano con accento romano. C’è il "traduttore" del video Lassaad e il ragazzo a cui manca la fidanzata, che al Prenestino l’ha visto dal balcone, con le uova in mano, mentre i poliziotti lo arrestavano perché senza permesso di soggiorno. Nella sezione femminile, tra le compagne detenute di Alia, ci sono donne nigeriane vittime di abusi e prostitute cinesi che saranno probabilmente abbandonate nuovamente sulla strada (la Cina non collabora ai rimpatri), madri che le grate hanno strappato dai figli e dai mariti. C’è una signora ucraina di una certa età, arrivata in Italia per pagare le medicine alle figlia malata, arrestata una sera alla mensa dei poveri e portata a notte fonda a Ponte Galeria. La vecchietta a cui da anni faceva da badante in nero diceva che avrebbe voluto regolarizzarla, ma… Droghe: dopo la sentenza della Consulta procure nel caos, serve un decreto di Eleonora Martini Il Manifesto, 1 marzo 2014 "C’è spaesamento totale negli uffici giudiziari italiani" dopo la sentenza della Consulta che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della legge Fini-Giovanardi. Perché oltre ad aver sollevato almeno due indirizzi interpretativi, c’è un’oggettiva "difficoltà di applicazione", e la previsione di una mole immensa di lavoro che in qualunque caso si riverserà sui tribunali chiamati al ricalcolo delle pene secondo la vecchia normativa Jervolino-Vassalli che attualmente rivive, emendata dal referendum dei Radicali del 1993, e - per complicare le cose - in applicazione pure delle norme contenute nel decreto Cancellieri appena convertito in legge. Ecco dunque l’urgente necessità di un provvedimento - mai come in questo caso sarebbe necessario un decreto legge - per ridefinire omogeneamente lo sconto di pena da applicare seguendo il principio, così come sottolineato dalla stessa Corte costituzionale, del "favor rei". A chiederlo, denunciando la preoccupazione delle procure di tutta Italia, sono stati magistrati, giuristi, operatori e garanti dei detenuti che ieri hanno partecipato, a Genova, a uno dei quattro laboratori aperti in varie sedi della città nella prima delle due giornate del convegno organizzato dalla Comunità di San Benedetto al Porto per parlare di droghe, "Sulle orme di Don Gallo". Quasi un remake dell’ultima vera Conferenza nazionale sulle droghe che il capoluogo ligure ospitò ormai 14 anni fa. Con centinaia di persone di ogni età e provenienti da tutta Italia - operatori, consumatori, gruppi di autoaiuto, studiosi ed esperti di ogni disciplina applicata alla questione delle sostanze, amministratori locali, parlamentari e perfino esponenti politici - che hanno affollato per una giornata intera le sale del Palazzo Ducale e della Regione Liguria dove si è discusso del sistema dei servizi, della gestione degli spazi urbani, della normativa e del sistema sanzionatorio vigente in Italia e nel quadro internazionale. E per la prima volta anche del consumo con lo sguardo in soggettiva. "Ripartire da Genova", appunto, e dai "drogati", parola che provocatoriamente si ripete nel programma del convegno, che si conclude oggi con l’assemblea plenaria per evidenziare, come diceva don Gallo, la deumanizzazione della persona tossicodipendente utile al proibizionismo. Nel laboratorio dedicato alla progettazione e all’uso di nuovi spazi urbani nell’attuale contesto di consumo e di mercato delle sostanze, coordinato da Grazia Zuffa, operatori di Ser.T. e comunità, amministratori e consumatori si sono confrontati sulle mille difficoltà dovute anche a "una politica che negli ultimi anni si è concentrata su interventi ad effetto" e a un "modello di welfare ritagliato sulla dipendenza come era concepita negli anni 90". Oggi, con i consumi e gli stili di vita diversificati, sarebbe "più moderno" mettere in campo "interventi sociali generalizzati piuttosto che concentrarsi su servizi specialistici per le dipendenze". Anche se, sottolineano tutti, i tagli incondizionati delle risorse hanno ridotto questi ultimi quasi a forme di volontariato. "Le relazioni sociali ed economiche influenzano oggi più che mai il consumo di droghe", e anche il mercato. Come fa notare l’economista Marco Rossi, al tavolo "I drogati e la legge", "lo spaccio non è più solo monopolio delle mafie" ma è ormai diventato un’attività economica integrativa per sopravvivere alla crisi. È questo il laboratorio più partecipato: con la coordinazione di Franco Corleone, magistrati e giuristi analizzano gli effetti della sentenza della Consulta. E ad ascoltarli ci sono decine di consumatori, alcuni anche alle prese con gli effetti penali della Fini-Giovanardi che ha cambiato ben 25 norme del testo unico sulle droghe 309/90 innalzando le pene (da 6 a 20 anni) per 22 condotte diverse (nella Jervolino- Vassalli erano 17) e facendo convergere in due sole tabelle identificative ben 170 sostanze (molte delle quali non catalogate dalle 4 tabelle inserite nella preesistente legge). Ma la selva di norme emendate dal referendum del 1993 e rettificate da varie sentenze della Cassazione, a cui si aggiungono le recenti depenalizzazioni dei "fatti di lieve entità" introdotte dal decreto cosiddetto "svuota carceri" proprio mentre arrivava la sentenza della Consulta, creano preoccupazione negli uffici giudiziari. Troppa discrezionalità per i giudici ordinari e troppo alto il rischio che gli incidenti di esecuzione qualora fossero richiesti dai singoli condannati possano produrre mostruosità - come spiega il magistrato Franco Maisto - a tutto discapito del "favor rei" raccomandato dalla Consulta. Ecco perciò la necessità di un provvedimento che ristabilisca l’equità della legge e agevoli il lavoro dei tribunali. Ma che sia ora di voltare pagina rispetto ad un approccio politico rivelatosi "inconfutabilmente fallimentare" - cominciando dalla "cancellazione totale della legge Fini-Giovanardi" - è opinione condivisa anche dal sindaco di Genova, Marco Doria, e dal vicepresidente della Regione Liguria, Claudio Montaldo, intervenuti in apertura dei lavori. Doria, che ha appena varato un regolamento comunale per combattere il gioco d’azzardo e la proliferazione delle sale riflette: "Come amministratore introduco proibizioni ma vedo la debolezza del proibizionismo e allora penso che dobbiamo solo guidare le persone verso scelte consapevoli tornando ad essere padroni di se stessi". "Autodeterminazione, la chiamava Don Gallo, per sé e per la società", ricorda Fabio Scaltritti della Comunità di san Benedetto al Porto. Droghe: giuristi, operatori e consumatori alla due giorni organizzata dalla Comunità di don Gallo di Stefano Anastasia Il Manifesto, 1 marzo 2014 Sulle orme di Don Gallo, la sala del Maggior Consiglio di Palazzo Ducale, nella sua Genova, è piena. Operatori e consumatori, magistrati e rappresentanti delle associazioni, amministratori locali e qualche parlamentare, tutti a discutere di una nuova politica sulle droghe dopo la sentenza della Corte costituzionale che ha messo la parola fine alla brutta storia della legge Fini-Giovanardi. A chi si chieda, di fronte a scialbi confronti parlamentari, dove si discutano le politiche per il futuro di questo Paese si potrebbe rispondere: qui, per esempio. A Genova quattordici anni dopo l’ultima Conferenza nazionale sulle droghe degna di essere ricordata, quando don Gallo capitanava da San Benedetto una compagine scomposta di gruppi e associazioni che chiedeva al centro-sinistra del tempo di osare di più. Quattordici anni dopo siamo ancora qui e ripartiamo da Genova. No, non siamo esattamente nel punto di partenza. La Fini-Giovanardi per fortuna è alle nostre spalle. E d’altro canto ha lasciato sul selciato la sua scia di pene e sofferenza. Siamo tornati alla normativa precedente, al testo unico sugli stupefacenti voluto da Rosa Russo Iervolino e da Giuliano Vassalli (per conto di Bettino Craxi), così come fu emendato delle cose più truci dal referendum popolare del 1993. Da qui si riparte. Si discute, a Genova, di come aprire l’Italia alle nuove sperimentazioni che si affacciano nel mondo, dal Portogallo alla Spagna, dall’Uruguay agli Stati Uniti. Intanto, però, c’è da curare le ferite prodotte dalla legge abrogata. Chi ha ancora un giudizio pendente per fatti di droghe leggere potrà essere giudicato con pene sensibilmente più lievi. Chi ha scontato per intero la sua pena, invece, non avrà risarcimenti per l’ingiustizia subita. Incerto è il destino di chi la pena ce l’ha ancora in corso: come potrà scontare una pena giudicata illegittima dalla Corte costituzionale? Una lacuna normativa e le sue possibili, divergenti soluzioni impone al nuovo Governo guidato da Matteo Renzi la responsabilità di una scelta: un decreto-legge che dica ai giudici cosa fare di quelle migliaia di condannati che stanno subendo una pena giudicata illegittima dalla Consulta. E nello stesso decreto si dovrà pure risolvere la doppia irragionevolezza di una previsione penale per fatti di lieve entità che non distingue tra droghe leggere e quelle pesanti e che punisce, quasi allo stesso modo, la detenzione di piccoli e di ingenti quantitativi di droghe leggere. Ma la vicenda della Fini-Giovanardi e, nei mesi e negli anni scorsi, quella della giurisprudenza europea sulle condizioni di detenzione ci insegnano che non si può mollare la presa. L’appello al Governo non può essere spuntato. Come dopo la sentenza Suleijmanovic, associazioni, garanti e legali hanno investito di centinaia di ricorsi la Corte europea dei diritti umani e hanno riaperto il dibattito pubblico sulle condizioni di detenzione in Italia; come dall’impegno de La Società della Ragione e delle camere penali si è arrivati alla pronuncia della Consulta e a un nuovo dibattito sulle droghe; così, oggi, da Genova viene l’indicazione di garantire a tutti, ma proprio a tutti i condannati in carcere per detenzione di droghe leggere la possibilità accedere al giudice dell’esecuzione perché ne ridetermini la pena. Rimosse queste assurdità, si potrà discutere di una nuova politica sulle droghe più giusta e più umana, che distingua nettamente le politiche sociali e sanitarie di cura e prevenzione dell’abuso dalle norme penali di contrasto alle organizzazioni criminali. Il Manifesto di Genova è quasi pronto. Droghe: la formula di Flick, servono nuove leggi…. di Wanda Valli La Repubblica, 1 marzo 2014 È un giurista di fama, è stato presidente della Corte Costituzionale e, prima ancora, ministro della Giustizia. Ma Giovanni Maria Flick, protagonista al convegno del Ducale su droghe e consumatori, voluto dalla Comunità di San Benedetto, oggi sarà non soltanto colui che davanti alla Suprema Corte ha sostenuto, con successo, le ragioni della decadenza della legge Fini-Giovanardi, ma anche il protagonista di un amarcord genovese. Incomincia quando lui, studente discolo, viene spedito in collegio al Don Bosco e qui incontra don Gallo, con cui poi resterà in contatto. Anche di idee. Così il professor Flick ora ribadisce che è giusto separare la vita "giuridica" e penale di droghe leggere e pesanti, ridimensiona le paure di chi teme un’uscita in massa di tossicodipendenti dalle carceri, racconta qual è stato l’altro grande valore che lui e don Gallo hanno condiviso: l’amore per la Costituzione. Professor Flick, la Corte Costituzionale ha accolto la tesi della Cassazione e ha separato la "vita giuridica" di droghe leggere e pesanti. È lei è stato il protagonista. La strada scelta è stata sollevare un giudizio di forma, ma, nella sostanza, da giurista e da politico, crede che la separazione sia opportuna? "Non è un vizio di forma, è una questione di metodo che riguarda il come si fanno leggi, compreso, per fare un esempio, il decreto Salva- Roma o il Mille Proroghe. Mi spiegherò così: sul binario della direttissima, cioè la conversione in legge di un decreto, può viaggiare solo il Freccia Rossa, (il decreto legge e le modifiche o le aggiunte omogenee con esso), non si possono attaccare vagoni che non c’entrano nulla con il contenuto del decreto da convertire, quei vagoni devono viaggiare sul binario ordinario della legislatura". Veniamo al merito: droghe pesanti e droghe leggere prima erano trattate allo stesso modo. Giusto? "No, a mio avviso è irragionevole e ingiustificato, perché le conseguenze, a seconda dell’uso delle une o delle altre, sono molto diverse. Mi sembra che la ragione per cui siano state trattate alla stessa maniera sia la cosiddetta "china scivolosa" vale a dire l’idea che chi comincia con l’uso di droghe leggere, poi passi a quelle pesanti. Idea sbagliata confermata dalle statistiche". Nelle carceri il 30 per cento di detenuti, circa 24.000 persone, è condannato per regioni legate alla droga, di questi almeno 10.000, dicono, potrebbero uscire con l’abolizione della Fini-Giovanardi. È un dato che può spaventare l’opinione pubblica? "Non credo sia così, comunque, vale anche il principio contrario: la pena identica può spingere a passare dalle droghe leggere a quelle pesanti. Il carcere oggi è una discarica sociale sovraffollata di "diversi", dove troviamo un terzo di tossicodipendenti e un terzo di immigrati. Non mi risulta ci sia una stima effettiva di quanti usciranno, mi lascia perplessa l’enfasi di chi annuncia e quella di chi teme un’uscita in massa di gente legata al mondo delle tossicodipendenze. Così si strumentalizzerebbe la sentenza della Corte Costituzionale". Uno dei suoi primi libri, è sulle sostanze stupefacenti, le ragioni di questa scelta? "Dobbiamo partire dal 1972, quando ho scritto un volume sul plagio, il delitto di chi annulla la personalità altrui, forzandolo in una totale soggezione. Era un delitto che la Corte Costituzionale dichiarò incostituzionale perché il suo contenuto era troppo generico. Si parlò di plagio, per esempio, nel caso di Maurizio Arena, attore, e della principessa Titti di Savoia, soggiogata da lui. Scrissi quel volume per dimostrare che se la norma era troppo ampia, il principio era giusto. Non siamo totalmente liberi ma possiamo scegliere tra i molti condizionamenti che abbiamo. Abbiamo il diritto a vivere condizionati dalla realtà sociale, proprio perché liberi di scegliere se e da chi farci condizionare, ma abbiamo anche il dovere di non rifugiarci nell’evasione dalla realtà, dalle sue regole e dai suoi input, però è un dovere che non può essere sanzionato penalmente. Quindi, nel campo giuridico, sì alla repressione anche pesante del traffico di stupefacenti, no alla sanzione penale per chi consuma droga o per chi è un piccolo spacciatore e utente". Professor Flick, quando ha conosciuto don Gallo? "Erano gli anni Cinquanta, abitavo a Genova ero studente di terza media, i gesuiti mi avevano rimandato in latino, matematica e ginnastica. I miei mi spedirono in collegio dai salesiani di don Bosco. E lì c’era Andrea Gallo; restai subito ammirato della sua vitalità. Poi ci siamo re - incontrati da grandi". Di che cosa discutevate? "Ci siamo trovati d’accordo, per esempio, proprio sul tema delle carceri sovraffollate e sul valore fondamentale della Costituzione. Mi sembra giusto essere a Genova, al convegno che lui ha voluto, per testimoniare l’importanza di una Costituzione, "sana e robusta" qual é la nostra, soprattutto, quando si occupa di soggetti deboli. Sono qui per sottolineare che per me, come già per don Gallo, la Costituzione è il vangelo della società civile, così come il Vangelo è la costituzione della società cristiana". Belgio: giudici e giornalisti "cavie" in carcere per testare struttura www.ilmondo.it, 1 marzo 2014 Passeranno 48 ore dietro le sbarre a Beveren che entrerà in servizio a metà marzo. Pur non avendo commesso alcun crimine, passeranno il fine settimana dietro le sbarre: un centinaio di volontari hanno accettato di fare da cavie del nuovo carcere belga di Beveren, che entrerà in servizio a metà marzo. Per 48 ore i volontari, fra cui guardie carcerarie, avvocati, giudici e giornalisti, oltre al direttore dei servizi penitenziari belgi Hans Meurisse, vivranno la routine quotidiana dei detenuti: notte in cella, ora d’aria, perquisizioni, corvée cucina e pulizia. Come spiega il quotidiano belga De Standard, l’esperienza permetterà di sperimentare la nuova infrastruttura, in particolare il corretto funzionamento dei sistemi di sorveglianza ma anche del "Prison Cloud", una piattaforma digitale che permetterà ai detenuti di seguire dei corsi on-line. Svizzera: concorso per l’assunzione del nuovo Direttore delle Strutture carcerarie del Ticino www.tio.ch, 1 marzo 2014 La Sezione delle risorse umane ha pubblicato oggi il bando di concorso per l’assunzione del nuovo Direttore delle Strutture carcerarie cantonali. Il funzionario dirigente sarà chiamato in primo luogo a condurre e dirigere le Strutture carcerarie cantonali, organizzare e coordinare la gestione delle risorse umane e assicurare la gestione della popolazione carceraria. Inoltre, dovrà proporre e adottare i necessari provvedimenti in materia di sicurezza e assicurare la gestione amministrativa, finanziaria e la formazione di agenti di custodia. Dovrà pure prendere parte alle riunioni organizzate del Concordato latino, alle attività del Centro di formazione svizzero di formazione per il personale dei penitenziari così come ad altri gruppi di lavoro o commissioni. Infine dovrà eseguire altri mandati particolari assegnati dal Consiglio di Stato o dal Dipartimento delle istituzioni. Tra i requisiti si richiede il conseguimento di un titolo di studio universitario, la maturità o un titolo equivalente. Dal punto di vista professionale il futuro Direttore dovrà avere attitudini dirigenziali, al contatto con le altre persone, facilità nel negoziare, doti di autorevolezza e una pluriennale esperienza in ambito manageriale. Non devono, oltre a ciò, mancare spiccate competenze sociali e personali. Inoltre si richiede la capacità di resistenza a situazioni cariche di stress, motivazione e orientamento all’efficienza. Per completare il profilo richiesto, il candidato ideale, oltre che a possedere la nazionalità svizzera, deve avere una buona padronanza delle lingue ufficiali. Tutti gli interessati dovranno presentare la propria candidatura entro venerdì 15 marzo 2014. Gran Bretagna: Howard League Penal Reform; detenute costrette a fare sesso in cambio di favori www.giornalettismo.com, 1 marzo 2014 Un rapporto della britannica Howard League for Penal Reform ha sottolineato l’aumento di casi nei quali le detenute sono costrette a fornire prestazioni sessuali allo staff in cambio di sigarette, alcool o altri favori. La commissione incaricata del rapporto è composta di accademici, ex direttori delle carceri ed esperti sanitari, il rapporto è il primo mirato alla ricognizione delle pratiche sessuali all’interno del carcere. Una porzione significativa della popolazione carceraria britannica ha rapporti sessuali dietro le sbarre, ma è difficile afferrare la dimensione del fenomeno, se non attraverso l’aneddotica e qualche raro sondaggio. Si tratta di pratiche che ovviamente si consumano in un’atmosfera di discreta e comprensibile riservatezza sia quando coinvolgono il personale carcerario che quando vedono protagonisti solo i detenuti e c’è poco o nessun interesse a raccontarle al mondo esterno, nelle prigioni maschili ancora di più che in quelle femminili. Il rapporto evidenzia comunque che le donne in carcere sono più esposte all’abuso degli uomini e che più spesso sono abbandonate dal compagno o dalla famiglia, l’80% dei visitatori in carcere è donna, vale per gli uomini come per le donne, un dato che da solo mostra la dimensione del problema. L’isolamento indebolisce la detenute e l’espone ancora di più all’abuso, o alla ricerca di un appoggio all’interno dell’unico mondo che è concesso loro frequentare, per non parlare delle molte prigioniere che già in precedenza hanno subito abusi o hanno problemi mentali. E in carcere l’abuso può arrivare dalle guardie come dai compagni di detenzione che approfittano della loro maggiore forza per sottomettere i più deboli. Ma ci sono anche le relazioni consensuali, perché la promiscuità forzata costringe le persone a stare vicine a raccontarsi le proprie vite e le proprie aspirazioni e i sentimenti fioriscono anche tra le mura delle galere. Quello che preoccupa gli estensori del rapporto è ovviamente la condizione di vulnerabilità di quante e quanti poi finiscono per subiti abusi o prostituirsi per le sigarette, ma nelle conclusioni si riconosce che c’è poco da fare al di là dell’insistere sulla preparazione del personale carcerario. Anche in Gran Bretagna le regole del mondo esterno faticano a penetrare dietro le porte dell’universo carcerario. Cipro: giornalista obiettore di coscienza in carcere, rifiuta di partecipare a esercitazioni militari Ansa, 1 marzo 2014 Murat Kanatli, un giornalista turco-cipriota, è stato condannato e incarcerato come obiettore di coscienza in quanto si rifiuta di partecipare alle esercitazioni militari annuali obbligatorie nella parte settentrionale di Cipro, da 40 anni sotto occupazione delle forze armate di Ankara. Lo riferisce oggi la stampa greco-cipriota ricordando che Kanatli è membro dell’Ufficio europeo per l’obiezione di coscienza (Ebco) e dichiarò per la prima volta di essere obiettore di coscienza per motivi ideologici nel 2009. Da allora si è sempre rifiutato di partecipare alle esercitazioni annuali condotte congiuntamente nella parte Nord dell’isola dalle forze turche e da quelle turco-cipriote. Kanatli era comparso per la prima volta in tribunale nel giugno del 2011 per rispondere del suo rifiuto, ma il suo caso era passato all’esame della Corte Costituzionale turco-cipriota che aveva più volte rinviato il processo. Il comitato direttivo dell’Unione dei Giornalisti di Cipro a Nicosia ha condannato l’arresto di Kanatli ed ha chiesto il suo immediato rilascio. Romania: corruzione in istituzioni e discriminazione Rom, fra principali violazioni diritti umani Nova, 1 marzo 2014 Maltrattamenti dei detenuti, corruzione a livello governativo e discriminazione contro l’etnia rom: sono i principali problemi della Romania riscontrati nel rapporto sui diritti umani pubblicati dal dipartimento di Stato Usa. Nel dicembre del 2012 si sono svolte le ultime elezioni parlamentari che gli osservatori hanno giudicato positivamente, vista la mancanza di irregolarità. Il rapporto riscontra, però, alcune violazioni dei diritti umani da parte delle forze di sicurezza e della gendarmeria che avrebbe compiuto dei reiterati atti di maltrattamento e vessazione nei confronti dei detenuti e di cittadini Rom, provocando la morte di una persona. La corruzione a livello governativo e istituzionale resta un problema diffuso che ha colpito tutti i settori della società. Si riscontra, inoltre, una pesante discriminazione nei confronti dell’etnia Rom che influenza il loro accesso a un’istruzione adeguata, all’assistenza sanitaria e alle opportunità lavorative. Moldova: il dipartimento di stato degli Usa critica alto livello corruzione nel sistema giudiziario Nova, 1 marzo 2014 La corruzione nel sistema giudiziario è il problema principale nell’ambito dei diritti umani per la Moldova: è quanto emerge dal rapporto sui diritti umani pubblicato dal dipartimento di Stato Usa. Le istituzioni giudiziarie di Chisinau hanno resistito all’attuazione delle misure anticorruzione delineate nel processo di riforme del settore della giustizia. Stando al rapporto, si registrano gravi casi di corruzione anche nei settori dell’ispettorato fiscale e doganale. Gli istituti sanitari, in particolare le case psichiatriche e di assistenza sociale, versano in condizioni scadenti e si registra un aumento delle denunce di maltrattamento, compreso l’utilizzo obbligato di farmaci, abusi e aborti forzati. Si segnala un aumento degli abusi e delle vessazioni anche nelle carceri, sovraffollate, mentre la libertà dei media resta a rischio a causa dei monopoli. Fyrom: rapporto Usa sui diritti umani, governo macedone non rispetta lo stato di diritto Nova, 1 marzo 2014 Le più grandi criticità e problemi per quanto riguarda i diritti umani nell’ex Repubblica jugoslava di Macedonia (Fyrom) riguardano il fallimento del governo nel rispettare pienamente lo stato di diritto, comprese le attività pubbliche e di partito, interferendo nella magistratura e nei media: è quanto emerge dal rapporto sui diritti umani del Dipartimento di Stato Usa. "Errori sono commessi nel perseguimento degli oppositori politici, oltre a significativi livelli di corruzione del governo e l’impunità della polizia. Inoltre si registrano ingerenza politica, inefficienza, favoritismi verso persone ben piazzate, procedimenti giudiziari lunghi e la corruzione del sistema giudiziario", si legge nel comunicato. Preoccupazioni secondo il rapporto arrivano anche dai "maltrattamenti fisici di detenuti e prigionieri da parte di polizia e guardie carcerarie, le condizioni precarie e il sovraffollamento in alcune carceri del paese e negli istituti psichiatrici. Altri problemi di diritti umani segnalati nel corso dell’anno nella Fyrom si segnalano nel ritardo d’accesso all’assistenza legale da parte dei detenuti e degli imputati, le restrizioni sulla capacità dei Rom di lasciare il paese, la violenza domestica contro le donne e i bambini, la discriminazione contro i disabili e le tensioni tra le comunità di etnia albanese e macedone. Il rapporto evidenzia anche numerose discriminazioni nei confronti dei Rom e di altre minoranze etniche, discriminazione antisindacale, il lavoro minorile, compreso l’accattonaggio forzato e l’applicazione inadeguata del diritto del lavoro. Il governo ha preso alcune misure per punire i funzionari di polizia colpevoli di aver utilizzato forza in modo eccessivo, ma l’impunità continua a essere un problema. L’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (Osce) ha dichiarato che le elezioni parlamentari macedoni del 2011 erano state competitive, trasparenti e ben amministrate. Bahrain: scontri tra polizia e manifestanti a funerale sciita morto in carcere Aki, 1 marzo 2014 Violenti scontri si sono registrati vicino a Manama, in Bahrain, tra polizia e manifestanti riuniti al funerale di un giovane sciita morto mentre era detenuto in carcere. Secondo le autorità la vittima è deceduta mercoledì per cause naturali dopo che era stato ricoverato per una malattia cronica, mentre la famiglia denuncia che il giovane ha subito torture. Secondo la ricostruzione di testimoni, i partecipanti al funerale hanno lanciato pietre contro la polizia, che ha risposto usando gas lacrimogeni e bombe assordanti. Il ministero degli Interni ha invece scritto su Twitter che sono state lanciate bombe molotov contro le forze di sicurezza, evitando di aggiungere altri dettagli.