Giustizia: la grande palude governa il paese di Piero Bevilacqua Il Manifesto, 9 maggio 2014 Le tangenti sul grande affare dell’Expò e le relazioni politiche per proteggere un latitante colpiscono ma certo non meravigliano. Sono solo la conferma di quello che ogni anno la Corte dei Conti denuncia sulla grande corruzione che divora le risorse del paese, e di quello che l’intreccio tra politica e criminalità organizzata testimonia. E siamo sicuri che l’episodio dell’Olimpico di Roma del 3 maggio, di cui sono piene le cronache, è solo uno squallido lacerto debordato dal mondo del calcio? La scena di Genny ‘a Carogna, il capo-curva napoletano che tiene in scacco una manifestazione sportiva a cui partecipano decine di migliaia di spettatori, presenziata da alcune fra le maggiori cariche dello Stato, seguita in tv da milioni di spettatori, è stata resa possibile solo dalla violenza plebea e dallo sterminato squallore che caratterizza da anni l’ambiente calcistico italiano? O non è piuttosto la manifestazione drammatica, l’ultimo gradino di degradazione cui è giunta la decomposizione dello spirito pubblico nazionale? Perché Genny ‘a Carogna, non è un episodio, un lazzo folklorico uscito dai bassifondi della vita napoletana. È un pezzo della nostra storia, reso legittimo dal filo rosso che marchia da decenni il nostro passato e soprattutto preparato dagli sfregi subiti dalla legalità repubblicana negli ultimi anni. Ma come si fa - lo fanno televisioni e i giornali - a dare tanto spazio a questo episodio e ai soliti strombazzati provvedimenti governativi e non dire nulla, o quasi, di ciò che quell’episodio rappresenta, quale elemento di continuità allarmante viene a rappresentare nel processo degenerativo della vita civile italiana? Forse che la capacità di ricatto di un tifoso nei confronti dell’intero Stato è disgiungibile, ad esempio, dalla gara che tanti giornalisti italiani (prevalentemente di sinistra) hanno ingaggiato per intervistare Berlusconi nei loro programmi televisivi? I semplici di mente obietteranno: che cosa c’entra? Ma Berlusconi ha subito una condanna definitiva per un reato grave contro la Pubblica amministrazione che egli doveva rappresentare e tutelare. Non è dunque un pregiudicato, che ha colpe nei confronti della collettività, e per questo, quanto meno, non deve essere reso protagonista della scena pubblica nazionale? Berlusconi non ha solo subito questa condanna. Com’è noto - e ci si dimentica volentieri - si è macchiato di svariati delitti infamanti, alcuni accertati, altri prescritti, altri oggetto di processi in corso - dalla corruzione dei giudici allo sfruttamento della prostituzione, dall’"acquisto" di parlamentari alla concussione. Ora, non tutto è stato penalmente sanzionato o è rilevante. Ma il pedigree politico di Berlusconi è indubbiamente quello di un capo-curva, per così dire, della vita politica nazionale. In qualunque paese civile d’Europa e del mondo egli sarebbe oggi in carcere e comunque tenuto lontano dalla vita pubblica. Da noi succede l’impensabile: viene addirittura ricevuto dal presidente della Repubblica, il 3 aprile scorso, per la seconda volta dopo la condanna. La maggiore carica dello stato riceve un pregiudicato che ha inferto ferite gravissime al senso della legalità del nostro paese, a partire dal conflitto di interessi. Ma qualche superstite persona onesta è in grado ancora di domandarsi quale effetto produce un simile evento nell’immaginario civile degli italiani ? Berlusconi è un condannato o è stato graziato? O addirittura è innocente e il colpevole potrebbe essere Napolitano? Da che parte è il torto da che parte è la ragione? Chi ha frodato il fisco per centinaia di milioni? La magistratura italiana commina davvero sanzioni a chi delinque, o chiude un occhio se il delinquente è un potente? E allora di che stupirsi se i poliziotti applaudono i loro colleghi assassini, come hanno fatto a Rimini, visto che essi sono rientrati in servizio dopo aver pestato a morte un ragazzo inerme? Di che stupirsi se Giuseppe Scopelliti, ex presidente della regione Calabria, condannato a 6 anni in prima istanza, viene candidato dal suo partito, membro del governo, alle elezioni europee? Nel nostro paese i servizi segreti di uno staterello dittatoriale possono sequestrare una persona (la Shalabayeva) e il ministro responsabile (Alfano), restare al suo posto. È ancora ministro dell’Interno del governo che "combatte la palude". È questa la melma a cui è stato ridotto lo spirito pubblico del nostro paese. È questo il cancro che si sta mangiando la nostra amata Italia, la causa vera e profonda del nostro declino: l’inosservanza universale delle regole della vita comune, la legge del più forte come principio di regolazione sostanziale del rapporto fra le classi e fra le persone. Qualcuno sa dire con quale autorevolezza un ceto politico che ha sconvolto l’etica civile e la decenza politica del nostro paese può chiamare i cittadini a concorrere a uno sforzo collettivo di cambiamento e addirittura di salvezza? E non è vero che Renzi sta cambiando verso, come va reclamizzando tra gli schiamazzi della sua petulante corte governativa e parlamentare. Le sue scelte e la sua stessa parabola portano l’illegalità diffusa della società italiana e dei partiti dentro le istituzioni. Senza essere stato eletto è a capo del governo e pretende di riformare la Costituzione con un parlamento privato di legittimità da parte della Corte costituzionale. Come ha ricordato con argomenti inoppugnabili Alessandro Pace. (Repubblica, 26/3/2014) L’arbitrio e lo sconvolgimento delle regole, vale a dire la morale di base della criminalità organizzata - che non a caso da noi, unici al mondo, dura e prospera dalla metà del XIX secolo - si espande anche nelle istituzioni, plasma la vita dei partiti, si fa strada dentro lo stato. Giustizia: Gherardo Colombo "corruzione dilagante… la via giudiziaria non serve" intervista a cura di Carlo Lania Il Manifesto, 9 maggio 2014 Corruzione Expo. Intervista all’ex pubblico ministero del pool di Mani pulite. "La corruzione in Italia è così diffusa che è praticamente impossibile cercare di porvi rimedio per via giudiziaria". È una constatazione amara quella che Gherardo Colombo si trova a dover fare in un pomeriggio in cui il tempo sembra aver fatto un balzo all’indietro fino al 1992, anno in cui Tangentopoli ebbe inizio e lui, insieme al pool di Milano diede avvio a Mani pulite. 22 anni che sembrano passati invano. "Se oggi la situazione è analoga a quella di allora, mi sembra chiaro che la funzione di prevenzione che dovrebbero avere le indagini e i processi non sia stata svolta" commenta Colombo che, smessa la toga da magistrato, oggi è nel Cda della Rai. Dottor Colombo ecco di nuovo i nomi di Primo Greganti e Gianstefano Frigerio. Allora è proprio vero che a volte tornano? Lasciamo che si concludano le indagini e i processi, perché esiste sempre la presunzione di innocenza. Dopo di che, però, possiamo fare un riflessione che prescinde dalle persone e chiederci se quella di oggi è una situazione analoga a quella di allora o se ci sono delle diversità. E lei che risposta si dà? Posso dirle con certezza che allora esisteva un sistema della corruzione e che oggi non mi sembra che le cose siano cambiate poi così tanto. Il sistema è sopravvissuto, anche se forse è una cosa diversa: forse c’è meno finanziamento illecito ai partiti e una destinazione dei proventi della corruzione più verso se stessi, anche se magari con delle eccezioni. Se però riflettiamo sulla quantità di questo fenomeno e sulla sua diffusione, credo che in questo paese la corruzione oggi sia diffusa ancora molto, molto e poi ancora molto. Abbiamo una serie di indizi per poterlo dire, come le analisi della Corte dei conti e gli approfondimenti di Transparency international che ogni anno elabora l’indice della corruzione percepita. E poi abbiamo una serie di emergenze segnalate dai media. Stando alle notizie, una cosa che sembra essere cambiata è la consistenza delle tangenti. Dal 5-10% dei tempi di Tangentopoli all’attuale 0,8%. È anche questa una conseguenza della crisi o cosa? Allora le tangenti erano molto più articolate. Ricordo quelle pagate per la costruzione della metropolitana: il movimento terra valeva il 3%, mentre invece attività che richiedevano maggiori competenze arrivavano fino al 13%. Sullo 0,8% di oggi probabilmente incide il fatto che girano meno soldi. Perché in tutti questi anni l’azione di risanamento non è riuscita? È un problema di leggi insufficienti? No, secondo me è un problema di cultura. Se si trattasse soltanto di leggi, quelle che puniscono la corruzione ci sono. Non sono perfette, ci mancano una sacco di cose ma ci sono. Credo invece che sia proprio un problema di cultura, di modo di pensare. La corruzione in Italia è così diffusa che è praticamente impossibile cercare di porvi rimedio per via giudiziaria, occorre intervenire attraverso stimoli educativi. Leggi più severe non servono. Vede le leggi c’è il precetto, che dice cosa è vietato, distingue quello che è lecito da quello che è illecito. Ora questa parte certamente è utilissima, però non serve a mio parere perché comporta generalmente solo il carcere, che invece di aiutare a marginalizzare la devianza alla fine la facilita. Se noi usiamo la sanzione per rendere vero il precetto, va a finire che ci mordiamo la coda. Quindi è tutto inutile? Non è tutto inutile, l’intervento penale è insufficiente. Dovrebbe tendere davvero, come dice la Costituzione alla rieducazione del condannato usando strumenti che siano in coerenza con il senso di umanità. Viste le indagini di questi ultimi 22 anni, Mani pulite è stata inutile? Se oggi la situazione è analoga a quella di allora, se la funzione delle indagini e dei processi è quella tra l’altro di operare come prevenzione generale, beh mi sembra che questa operazione di prevenzione non sia stata svolta. Guardi, io sono entrato in Mani pulite nell’aprile del 1992, nel luglio in un’intervista all’Espresso buttai lì l’idea che chi avesse ricostruito i fatti, restituito quello che aveva incassato illegittimamente e si fosse allontanato per qualche anno dalla vita pubblica non sarebbe andato in prigione. Si capiva già che attraverso lo strumento penale non si sarebbe riusciti a concludere niente. Giustizia: dalla casa con vista Colosseo alla cella di Regina Coeli, per Scajola triste epilogo di Silvio Messinetti Il Manifesto, 9 maggio 2014 Mani ripulite. Da poco assolto per la vicenda della casa "a sua insaputa" al Colosseo, l’ex ministro e fondatore di Forza Italia arrestato dalla Dia: ha favorito la latitanza dell’armatore calabrese Amedeo Matacena condannato per mafia. Dalla casa di via degli Annibaldi, nel rione Monti con vista Colosseo, alla cella di massima sicurezza di Regina Coeli, rione Trastevere con vista Gianicolo, ci sono solo poche miglia. Ma la carriera politica di Claudio Scajola, ex ministro degli Interni e dello Sviluppo economico, tra i fondatori di Forza Italia, viaggia plasticamente lungo questo tragitto. Da poco miracolato da una sentenza della Cassazione, che lo aveva assolto con formula piena per la nota vicenda della casa romana, l’ex ministro è ora detenuto nel vecchio carcere romano con l’accusa di favoreggiamento. Avrebbe aiutato l’ex parlamentare ed armatore, Amedeo Matacena, a sottrarsi alla cattura per l’esecuzione pena, dopo la condanna in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa. L’inchiesta della Dda di Reggio Calabria che ha portato all’arresto nasce da un filone dell’operazione Breakfast che scoperchiò il pentolone di fondi neri della Lega Nord, gestiti dal controverso faccendiere calabrese Bruno Mafrici. È proprio grazie agli accertamenti tecnici disposti in quella sede che sarebbero emersi i rapporti fra l’ex ministro e la moglie di Matacena, Chiara Rizzo, che a Scajola avrebbe chiesto aiuto per far fuggire in Libano il marito braccato dalla sentenza passata in giudicato. Per questo, insieme a Scajola, Matacena e Rizzo, colpiti da provvedimento restrittivo, sono state arrestate la suocera di Matacena, Raffaella De Carolis e altre tre persone, Martino Politi, Antonio Chillemi e la segretaria di Scajola, Roberta Sacco. Per gli inquirenti, attraverso la loro interposizione, avrebbero aiutato Matacena a occultare la reale titolarità e disponibilità dei suoi beni, nonché favorito la latitanza all’estero di quest’ultimo. "Amedeo Matacena godeva e gode tuttora di una rete di complicità ad alti livelli grazie alla quale è riuscito a sottrarsi all’arresto", ha detto il procuratore capo di Reggio Cafiero de Raho. Un mosaico con tante pedine, una trama internazionale intessuta da faccendieri, armatori, politici e broker. Una vera e propria organizzazione segreta collegata alla ‘ndrangheta "da rapporto di interazione biunivoca al fine di estendere le potenzialità operative del sodalizio di tipo mafioso in campo nazionale ed internazionale" scrivono i magistrati. L’ipotesi di reato - stando al capo A dell’ordinanza - è sintetizzabile in associazione a delinquere e concorso esterno in associazione mafiosa, ma non si limita agli otto soggetti colpiti da custodia cautelare. Assieme a loro c’è anche Vincenzo Speziali jr, nipote dell’ex senatore omonimo del Pdl e intimo amico di Scajola, a capo per anni dell’aeroporto internazionale di Lamezia Terme, ma soprattutto in rapporti stretti con l’ex presidente libanese Amin Gemayel (dal 1982 al 1988 e di nuovo in corsa per le presidenziali del suo Paese) di cui ha sposato una nipote. Una struttura parallela, dunque, clandestina e pienamente operativa, legata alla ‘ndrangheta da un rapporto ombelicale, in grado di sviluppare relazioni di alto livello. È per questo motivo che, stando all’ipotesi accusatoria ancora oggetto di indagine, l’ex ministro e gli altri indagati "ponevano in essere, consentivano o, comunque, agevolavano condotte delittuose diversificate, dirette ad interferire su funzioni sovrane quali la potestà di concedere l’estradizione e finalizzate a proteggere la perdurante latitanza di Matacena". E lui, l’armatore, doveva restare pienamente in campo per volere, necessità e decisione dell’intera organizzazione, "interessata a mantenere inalterata la piena operatività del Matacena e la sua galassia imprenditoriale, costituita da molteplici società ed aziende, utilizzata per schermare la vera natura delle relazioni politiche, istituzionali ed imprenditoriali garantite a livello regionale, nazionale ed internazionale". Un progetto articolato, figlio di una "struttura criminale (connotata da segretezza) a carattere permanente". Un progetto dall’obiettivo chiaro: proteggere economicamente uno dei più potenti e influenti concorrenti esterni della ‘ndrangheta reggina, visto il rilevantissimo ruolo politico ed imprenditoriale di Matacena. "E per questa via, agevolare il complesso sistema criminale, politico ed economico, riferibile alla ‘ndrangheta reggina". "Non so per quali motivi sia stato arrestato, me ne spiaccio e ne sono addolorato", è stato il freddo commento di Silvio Berlusconi sull’arresto del suo ex fedelissimo aggiungendo che Scajola non è stato candidato in lista per le europee, ndr) non perché si avesse sentore di un arresto ma perché "avevamo commissionato un sondaggio su di lui che ci diceva che avremmo perso globalmente voti se lo avessimo candidato". Giustizia: per ogni libro letto tre giorni di carcere in meno, l’idea arriva dal Brasile di Gianpaolo Iacobini Il Giornale, 9 maggio 2014 La Giunta calabrese di Scopelliti (Ncd) propone di condonare tre giorni di carcere per ogni volume letto. Il suggerimento che accorcia la permanenza dietro le sbarre a ogni volume sfogliato arriva dalla Calabria. A metterlo nero su bianco, con tanto di proposta di legge, la giunta regionale fino a pochi giorni fa presieduta da Peppe Scopelliti, dimessosi dalla presidenza (ma ancor oggi coordinatore nazionale dei circoli del Nuovo centrodestra e candidato alle Europee) dopo essere stato condannato in primo grado dai giudici reggini a 6 anni di reclusione per aver concorso a truccare tra il 2008 ed il 2010 i bilanci del Comune di Reggio Calabria, quando ne era sindaco. Non pensavano certo a lui (forse) i suoi ex assessori quando, l’altro giorno hanno presentato l’iniziativa destinata ad innalzare il livello di istruzione nelle carceri italiane e a consentire il ritorno a piede libero di più d’un galeotto. Il compito di spiegare il senso, i contenuti e le finalità dell’operazione l’ha sbrigato l’assessore regionale calabrese (ovviamente alla Cultura) Mario Caligiuri. Testualmente: "La lettura è uno straordinario antidoto al disagio. Favorisce la consapevolezza e il riscatto sociale e personale. In base al provvedimento adottato si prevede che i detenuti condannati a pena detentiva superiore a 6 mesi che leggeranno un libro potranno avere 3 giorni di sconto di pena. Le verifiche verranno effettuate dall’educatore carcerario. Si potrà arrivare al massimo a 48 giorni di sconto di pena all’anno". Nei fatti, un mini indulto: su 12 mesi comminati dall’autorità giudiziaria, 3 vengono già decurtati per effetto dei benefici previsti dalla legislazione vigente e dall’ordinamento penitenziario. Un altro mese e mezzo potrebbe ora essere tagliato se diventasse legge la proposta che l’esecutivo calabrese, adesso guidato dalla vicepresidente (lei pure alfaniana) Antonella Stasi, ha già inviato al Parlamento perché la faccia propria. Difficile possa incontrare ostacoli: il Pd è d’accordo. Il primo a sostenere la bontà dell’equazione pena-libro, del resto, era stato un parlamentare democrat, la deputata Daniela Sbrollini, tra i più stretti collaboratori del ministro (alla Cultura) Dario Franceschini. Era il luglio del 2013: "La pena detentiva - ragionava la parlamentare democratica - deve guardare al futuro, traducendosi in rieducazione e in efficace reintegrazione civile. Per ogni libro letto segue l’obbligo di relazione e comprensione del testo. La lettura amplia la mente, è utile per conoscere il mondo e imparare la lingua, penso ai detenuti stranieri. Si tratta di sconti di pena lievi, qualche giorno per ogni libro letto, con un tetto massimo di letture annuali". Idea originale? Non proprio: "Sto lavorando a un progetto di legge - precisava la Sbrollini - che riprende una campagna governativa brasiliana con la quale la presidente Rousseff ha introdotto uno sconto di pena per i detenuti che seguono un programma di lettura". Insomma, l’Italia come il Brasile, che nelle classifiche mondiali del crimine è tra le prime venti nazioni per tassi di violenza criminale, con più di 10 omicidi ogni 100.000 abitanti (15 volte più che da noi). Giustizia: fino al 18 maggio sms solidali per i figli dei detenuti, sono 100mila in Italia 9Colonne, 9 maggio 2014 Centomila bambini ogni giorno entrano nelle 213 carceri italiane per incontrare il proprio papà o la propria mamma detenuti. La "Carta dei figli dei genitori detenuti" - firmata dal ministro della Giustizia Andrea Orlando, dall’Autorità Nazionale Garante dell’Infanzia e dell’Adolescenza Vincenzo Spadafora e dalla presidente di Bambinisenzasbarre Lia Sacerdote - dallo scorso 21 marzo, per la prima volta in Italia e in Europa, riconosce loro in modo formale il diritto alla continuità del legame affettivo con il proprio genitore in regime di detenzione e, al contempo, garantisce il diritto alla genitorialità dei genitori detenuti. Ma ancora molti Istituti penitenziari in Italia, in una condizione di sovraffollamento e di grave precarietà, non accolgono adeguatamente questi bambini e non vi è un tempo sufficiente per il colloquio col genitore tale da garantire il mantenimento del legame affettivo. La "Carta" è un documento che impegna il sistema penitenziario ed è una risposta alla condanna della Corte europea dei Diritti Umani di Strasburgo sulla Sentenza Torreggiani, in scadenza il prossimo 28 maggio. "Non un mio crimine, ma una mia condanna" è il titolo della campagna di raccolta fondi di Bambinisenzasbarre, che sostiene - fino al 18 maggio con l’invio al 45507 di un sms da 2 Euro da cellulare e 2 o 5 Euro da telefono fisso - il consolidamento e l’estensione negli Istituti penitenziari del "Modello d’accoglienza Spazio Giallo", il luogo di Bambinisenzasbarre predisposto nelle sala d’attesa delle carceri dedicato alle famiglie ed ai bambini che si preparano all’incontro con il genitore detenuto insieme alle psicologhe, psicopedagogiste e arte-terapeute e di strutturare il servizio nazionale di Telefono Giallo per rispondere alle famiglie di persone in una situazione di detenzione, agli operatori e, al contempo, per dare risposte concrete alle esigenze e alle difficoltà dei bambini. Giustizia: caso Aldrovandi; Segretario Sap Emilia-Romagna ridà medaglia a Napolitano Ansa, 9 maggio 2014 Il segretario del sindacato di Polizia Sap dell’Emilia-Romagna e di Ferrara, ispettore capo Luca Caprini, ha rimesso nelle mani di Giorgio Napolitano la medaglia di bronzo al valore civile seguita a un encomio per aver salvato nel 1994 una donna dal suicidio nel fossato del Castello Estense e il titolo di Cavaliere della Repubblica. "Sono tra quelli che hanno applaudito a Rimini i tre colleghi condannati per reato colpo in seguito alla tristissima vicenda della morte di Federico Aldrovandi". Dopo le polemiche seguite all’ovazione, chiede al Presidente di "valutare se io sia ancora degno di appuntare queste onorificenze sul mio petto". In una lettera pubblicata oggi dal Tempo e da Libero, Caprini scrive di una "campagna mediatica di certa parte politica e di gruppi d’opinione che non hanno sicuramente a cuore la pacifica convivenza" e poi spiega l’applauso, "nato al termine di una presentazione che il mio Sindacato si appresta a intraprendere per fornire maggiori garanzie ai cittadini e poliziotti". Si parlava di "verità e giustizia" e quando è stato dato conto della presenza di tre dei quattro agenti condannati per la morte di Aldrovandi "alcuni delegati gli hanno indirizzato un applauso di vicinanza umana (circa 30 secondi) a causa del pianto in cui sono scoppiati gli stessi. Tutti eravamo a conoscenza del fatto che i tre colleghi sono stati incarcerati, caso unico negli ultimi decenni, per un reato colposo avvenuto durante il servizio e un’operazione della quale nessuno ha mai contestato la legittimità. Lo stimolo che mi ha portato a indirizzare una parte del mio applauso ai tre colleghi è, forse, il medesimo che porta Lei a recarsi nelle carceri, non certo per avallare i crimini commessi o giustificarli e neppure per mancare di rispetto al dolore delle vittime dei loro crimini e alle loro famiglie". Piuttosto un atto di "carità umana e misericordia nei confronti di chi soffre e patisce, fosse anche colpevolmente. Ai miei colleghi non è stata concessa nessuna delle garanzie che vengono offerte ai peggiori delinquenti.... hanno subito e subiscono una campagna mediatica che li ha disumanizzati, vengono chiamati assassini in ogni occasione, nonostante che i tre gradi di giudizio abbiano parlato sempre di eccesso colposo". Caprini scrive che anche a lui spesso è capitato di fare interventi del genere: "Fortunatamente le cose mi sono andate bene. Altrimenti sarei stato messo alla berlina come il peggiore degli esseri umani". Lettera aperta di un ergastolano a Cristiana Capotondi di Carmelo Musumeci, dal carcere di Padova Ristretti Orizzonti, 9 maggio 2014 La certezza della pena è un conforto per chi è un buon cittadino, ma l’ergastolo è solo la certezza della fine (Serena Franchin). Nel sito www.carmelomusumeci.com è in atto una raccolta "Firma contro l’ergastolo" che non smette di raccogliere adesioni fra cittadini comuni, politici, intellettuali, giornalisti, religiosi, uomini e donne del mondo dello spettacolo. Sono oltre 30.000 le persone che hanno già aderito. In questi giorni ha firmato anche l’attrice Cristiana Capotondi. E il mio cuore le vuole dire grazie per avere avuto il coraggio di "schierarsi" affinché anche i morti viventi come me, condannati a essere cattivi e colpevoli per sempre, abbiano una speranza un giorno di ritornare a fare parte dell’umanità. Cristiana, sono un morto che respira, sotterrato da sbarre e cemento, che da circa ventitré anni cerca di sopravvivere, ma rimanere vivo non è come vivere. E purtroppo non è neppure come morire. Ti confido che l’altra notte ho sognato casa. Nonostante ventitré anni consecutivi di carcere sogno ancora di tornare a casa. Non riesco ancora ad accettare che non ci tornerò più. E che la mia casa sarà per sempre la tomba di una cella. Cristiana, non posso fare altro che vedere trascorrere la mia vita in questo modo, senza di me. Non posso fare altro che vivere la vita degli altri, della mia compagna, dei miei figli e dei miei nipotini e di chi fuori mi vuole bene, perché la mia vita da molti anni non esiste più. E continuerà a non esistere per il resto dei miei giorni. Vorrei tanto tornare a casa ma ormai questo più che una speranza è solo un desiderio. Cristiana, tempo fa ho visto il film "Il segreto dei suoi occhi". Il film mi ha colpito. Uno dei messaggi che il film ha voluto dare è che l’ergastolo è peggio della pena di morte. Il marito della vittima dice: "Io sono contro la pena di morte perché il colpevole soffre solo un attimo. Io voglio che sia condannato all’ergastolo così soffrirà tutta la vita". Io credo che purtroppo molti italiani la pensino in questo modo. Cristiana, io dico spesso ai miei compagni che oggi gli ergastolani ostativi ai benefici penitenziari hanno molte meno possibilità di finire la loro esistenza vicino ai loro cari di quante ne avevano gli internati nei campi di concentramento nazista. Mentre loro avevano la speranza che con la sconfitta della Germania i vincitori li liberassero, o che i nazisti li ammazzassero, noi non abbiamo nessuna speranza, perché nessuno verrà a liberare noi. E purtroppo neppure a ucciderci. Buona vita. Un sorriso fra le sbarre. Sardegna: Socialismo Diritti Riforme; un solo Direttore che regge tre Istituti Penitenziari Ristretti Orizzonti, 9 maggio 2014 "In Sardegna un Direttore regge tre Istituti Penitenziari. Ancora una volta si ripete una condizione inaccettabile per la situazione delle carceri nell’isola". Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione "Socialismo Diritti Riforme", avendo appreso che il direttore di Buoncammino Gianfranco Pala oltre alla Casa Circondariale di Cagliari e quella di Mamone (Nuoro), svolge temporaneamente il ruolo di dirigente anche del nuovo Villaggio Penitenziario di Sassari (Bancali). "È assurdo che il Ministero della Giustizia e il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria continuino a ignorare - sottolinea Caligaris - le gravi conseguenze per i cittadini privati della libertà dell’assegnazione di più Istituti ad una sola persona. Non si vuole comprendere che il rapporto tra la Dirigenza e i ristretti è fondamentale per l’equilibrio dell’intero sistema peraltro particolarmente delicato in questo specifico momento caratterizzato da notevoli cambiamenti connessi con il completamento dei nuovi Istituti". "Il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria dovrebbe seriamente promuovere - rileva la presidente di SDR - l’indizione di un concorso per Direttori. L’ultimo infatti si è perso nella memoria collettiva essendo ormai trascorsi circa tre lustri. È impensabile che il Direttore di Buoncammino debba fare la spola Cagliari-Sassari-Mamone, sobbarcandosi ogni volta oltre 400 chilometri. Analogamente accadrà agli altri suoi colleghi quando il responsabile di Cagliari e Mamone avrà necessità di fruire di qualche giorno di riposo". "Il quadro risulta ancora più complicato in considerazione non solo delle distanze ma delle peculiarità di ogni singolo detenuto a cui si riferisce costantemente il Dap con le circolari. Evitare la moltiplicazione degli incarichi significa - conclude Caligaris - avere a cuore la rieducazione e il reinserimento sociale dei detenuti e rispettare il lavoro di chi con senso di responsabilità è impegnato a rendere accettabile e dignitosa la vita dentro gli Istituti Penitenziari". Friuli Venezia Giulia: è bagarre in Giunta regionale su Garante dei detenuti e "ius soli" di Gianpaolo Sarti Il Piccolo, 9 maggio 2014 Il più furibondo è il forzista Bruno Marini che, al grido di "vergogna vergogna", chiama a raccolta l’intera coalizione di centrodestra per convincerla, riuscendoci, a uscire dall’aula. "Pagliacci", sbotta l’ex presidente Renzo Tondo guadagnando l’uscita. Roberto Dipiazza, a cui qualche anno fa era riuscito portare in piazza Unità tre presidenti di tre Paesi un tempo divisi dalla Storia, è scuro in volto. "Pensavo di aver chiuso con il Novecento… e invece questo qua che fa?", sibila l’ex sindaco. "Questo qua" sarebbe, anzi è, il capogruppo di Sel Giulio Lauri. Che, in quindici minuti tirati, riesce a passare in rassegna i più recenti fatti di cronaca fino ad arrivare ai drammi della città (ma non le foibe). Un rewind che l’aula, al di là del dono della sintesi, non ha apprezzato visto che in quel momento il Consiglio stava discutendo una legge del Pd per il ripristino dei Garanti dei minori, dei detenuti e di chi è oggetto di discriminazioni. Forse l’aggancio, con un pò di buona volontà, sta nell’ultimo punto. Vallo a spiegare al battaglione di consiglieri di centrodestra che, in piena campagna elettorale, aspettano solo il là per scatenarsi. Ma, stando alle accuse dell’opposizione, "campagna elettorale" l’avrebbe fatta proprio Lauri con il suo discorso. L’imbarazzo era visibile pure sul volto dei consiglieri del Pd, oltre che del presidente Franco Iacop che, spazientito, con il solito ticchettio al microfono sollecitava il capogruppo di Sel a chiudere. Ma cos’ha detto di tanto scandaloso Lauri da suscitare l’abbandono in massa del centrodestra? Si dibatteva di Garanti e di diritto della persona, appunto, mentre il consigliere di sinistra c’ha messo dentro un po’ tutto: il caso Alina, la giovane ucraina suicida al Commissariato di Opicina nel 2012, la dittatura fascista "che ben prima dell’orrore nazista ebbe i propri prodromi nazionalisti in queste terre", le leggi razziali e la Risiera di San Sabba. "E le foibe?", sbraita Marini. Lauri in tutto questo ci vede "un filo nero dell’abuso di potere" che sfocia nella violenza. Ecco il salto sul G8 di Genova, la morte di Cucchi e quella di Aldrovandi per chiudere con Basaglia e i Cie. "Quel filo nero - riprende il consigliere di Sel - è stato di impedimento per un pieno sviluppo di una cultura del diritto di cittadinanza e questo deficit culturale viene pagato per primi dai soggetti più fragili". Il centrodestra non ha digerito il bignami ed è uscito in blocco. La pioggia di reazioni investe non solo la performance del consigliere, ma anche la legge stessa. La norma istituisce il "Garante regionale dei diritti della persona" a tutela di minori, detenuti e a tutte quelle persone si ritengono oggetto di discriminazione per etnia, religione e orientamento sessuale. L’organismo sarà costituito da un collegio di 3 componenti. "Fuori c’è un paese reale - obietta il capogruppo Fi Riccardo Riccardi - mentre qua dentro il centrosinistra descrive una realtà virtuale. C’è un’Italia che arranca e la gente si aspetta ben altro che dei Garanti stipendiati dalla politica". "È molto triste - incalza Tondo - vedere che, mentre la gente vive sulla propria pelle la crisi, questa maggioranza spreca tempo e risorse per riesumare figure del tutto superflue, per altro abolite dalla precedente giunta". Per i democratici è Chiara Da Giau a intervenire a difesa del provvedimento: "Un passo avanti, ma dispiace per la modalità con la quale è avvenuto". In giornata il Consiglio aveva approvato anche una mozione di Franco Codega (Pd) per sollecitare il Parlamento a introdurre lo "ius soli". Mozione passata con i voti favorevoli di centrosinistra e M5S, i pareri contrari di Lega e Autonomia responsabile mentre gli azzurri sono usciti dall’aula. Duro il commento del Carroccio: "Così - polemizza il deputato Massimiliano Fedriga - si garantisce la cittadinanza a chiunque nasca sul suolo italiano, istigando l’incremento dei viaggi della speranza". Palermo: ergastolano evaso; continua caccia all’uomo, per carcere non era a rischio fuga Ansa, 9 maggio 2014 Continua la caccia all’albanese di 36 anni che ieri alle 14.30 durante l’ora d’aria con un lenzuolo è riuscito a fuggire dal carcere dei Pagliarelli. Nonostante lo spiegamento di forze di polizia e carabinieri dell’ergastolano non c’è più traccia. Valentin Frokkaj era stato condannato per avere ucciso nel 2007 a coltellate un connazionale, Elton Llhao. L’omicidio era avvenuto a Brescia. A febbraio del 2013 Frokkaj era stato rinchiuso nel carcere di Parma. Un carcere di massima sicurezza che ospita i boss della mafia palermitana. Quella volta riuscì a segare le sbarre della cella e si calò anche allora con delle lenzuola. La sua fuga finì sette mesi dopo in un paesino dell’hinterland milanese. Da qui il trasferimento a Palermo, avvenuto in agosto. I Pagliarelli sono considerati una delle carceri più sicure in Italia. Invece Frokkaj ieri è riuscito a farsi beffa delle guardie. L’inchiesta sulla fuga è affidata al pubblico ministero Caterina Malagoli. Secondo una prima ricostruzione l’ergastolano si è arrampicato sul tetto della zona di passeggio. Si è lanciato da un’altezza di tre metri e mezzo. Ha superato un primo cancello. Poi il muro di cinta alto sette metri. Alla fine la cancellata gialla. Qui si è ferito e ha lasciato il lenzuolo. Per carcere non era a rischio fuga Per il consiglio di disciplina del carcere, che nei mesi scorsi ha analizzato la sua condotta e il fascicolo personale, non c’era alcun rischio che Valentin Frokkaj, l’albanese evaso ieri dall’istituto di pena Pagliarelli di Palermo, scappasse. Un giudizio, poi smentito clamorosamente dai fatti, che ha determinato la revoca della sorveglianza particolare imposta al detenuto. A Frokkaj, in cella per scontare una condanna all’ergastolo per l’omicidio, era rimasta solo la misura dell’isolamento diurno che, comunque, imponeva che durante l’ora d’aria, che il carcerato trascorreva da solo, fosse sorvegliato a vista. Così però non è stato perché il secondino, al momento dell’evasione, si era allontanato. L’agente verrà sentito dai carabinieri delegati all’indagine dal pm di turno, Caterina Malagoli. Il secondino rischia l’accusa di procurata evasione. Ancora il fascicolo sarebbe però iscritto solo a carico di Frokkay che è indagato per evasione. Osapp: grave rischio sicurezza anche a Catania "L’incresciosa evasione di un detenuto pericolosissimo dalla casa circondariale di Palermo imporrebbe ai vertici dell’amministrazione penitenziaria un’attenta riflessione anche sull’organico del carcere di Catania Bicocca". Lo dice il segretario generale aggiunto dell’Osapp Domenico Nicotra, che ribadisce: "Prima ancora che possa accadere l’irreparabile il Dap provveda con urgenza ad incrementare i poliziotti penitenziari che da molto tempo nel carcere catanese assicura a stento e con grossi sacrifici personali e per i loro familiari tutti i servizi di sicurezza". Palermo: il Pagliarelli sotto accusa… il carcere modello è diventato un castello di carta di Romina Marceca La Repubblica, 9 maggio 2014 Sospette complicità dentro e fuori il carcere. Una rete di protezione costruita in nove mesi di detenzione al carcere Pagliarelli. È su questa strada che le indagini di procura, polizia e carabinieri si stanno concentrando da due giorni per riuscire a ricostruire la fuga dal carcere Pagliarelli di Valentin Frokkaj, il trentaseienne albanese condannato all’ergastolo per omicidio. È la stessa strada che a breve, con molta probabilità, imboccherà anche l’indagine amministrativa del dipartimento di amministrazione penitenziaria. A richiedere il nulla osta alla procura è stato il direttore del Dap della Sicilia, Maurizio Veneziano. "Massima trasparenza - assicura il provveditore alle carceri - nella ricerca della verità. Quello che si è verificato è un fatto gravissimo. Vogliamo comprendere come un criminale di questo spessore possa essere in giro. È un problema di sicurezza pubblica. Chi ha sbagliato dovrà pagare". Intanto continua la caccia all’uomo da parte di tutte le forze dell’ordine. Le volanti della polizia hanno la foto sorridente dell’evaso sul cruscotto così come le "gazzelle" dei carabinieri e le auto della finanza. Un uomo è stato bloccato alla Favorita dopo un inseguimento. Sembrava Frokkaj, ma poi gli accertamenti lo hanno scagionato. Troppi particolari portano sulla pista di una talpa all’interno del Pagliarelli e a una rete di favoreggiatori che avrebbero reso possibile la fuga del detenuto che addosso non aveva denaro e documenti. Frokkaj, conosciuto come un habitué delle evasioni - una tentata e due andate a buon fine negli ultimi cinque anni - era in isolamento diurno e notturno. Non aveva alcun contatto con gli altri detenuti. Era stato sottoposto all’inasprimento del regime carcerario (il cosiddetto articolo 14 bis), misura successivamente revocata perché "non ci sarebbe stato più il pericolo di fuga". Dall’agosto del 2013, quando era stato trasferito a Palermo dopo l’evasione dal carcere di Parma, non aveva avuto alcun incontro con parenti o conoscenti nella sala colloqui, come emerge dai primi accertamenti. Una sentinella lo seguiva nell’ora d’aria, ma mercoledì quel poliziotto penitenziario, proprio durante la passeggiata di Frokkaj, ha accusato un malore e si è assentato senza chiedere la sostituzione di un collega. I Sindacati della Polizia penitenziaria accusano le troppe carenze di personale accumulate negli ultimi anni. "A fronte dei 1.200 detenuti - dice l’Osapp - mancano circa 150 agenti". A questo si aggiunge l’apertura di un nuovo padiglione nel penitenziario con 400 posti "senza aumento di personale" dicono dal Sappe. Ma è mai possibile, comunque, che nessuno abbia visto scappare quell’uomo alto un metro e 80? Frokkaj ha scavalcato due muri e un cancello prima di arrivare in viale Regione siciliana. E inoltre, per evadere ha utilizzato una fune assemblata con quattro lenzuola e un gancio costruito a mano. Nessun detenuto, però, nella sua cella può avere più di due lenzuola. "Quelle sporche - spiega il direttore del Dap - vengono consegnate quando si ritirano quelle pulite". Mercoledì Veneziano è tornato di gran fretta da una trasferta a Lampedusa per un sopralluogo al Pagliarelli subito dopo l’allarme per l’evasione. Con lui c’erano altri tre funzionari e il direttore dell’istituto penitenziario Francesca Vazzana che taglia corto e dice: "In questa fase posso solo dire di essere molto amareggiata per quanto accaduto". La tensione al Pagliarelli è comunque alta. Il sospetto che uno o più poliziotti abbiano potuto aiutare la fuga dell’albanese si è insinuato tra i bracci del carcere. Anche la cinta muraria era senza sentinella mercoledì. "Non bisogna escludere comunque - dice Veneziano - che la cinta muraria fosse scoperta per garantire un’altra emergenza per le carenze di personale che spesso vengono denunciate". Le ricerche dell’ergastolano, fino a ieri sera, non hanno dato alcun esito. Sulle lenzuola e lungo la via di fuga gli investigatori dei carabinieri hanno trovato tracce di sangue, ma anche l’utilizzo dei cani molecolari non ha dato risultati. Un altro giallo ruota attorno alle telecamere dell’istituto penitenziario. Infatti, neppure le telecamere del carcere avrebbero immortalato la fuga di Valentin Frokkaj. Alle forze dell’ordine nel pomeriggio di mercoledì si è aggiunta anche la Forestale. Un gruppo di operatori ha avviato le ricerche sul fiume Oreto e nelle campagne attorno alla città. In volo si è alzato un elicottero, mentre ieri i commissariati e le caserme della provincia sono stati messi in allarme quando si è deciso di allargare le ricerche anche nei comuni della provincia. Sul fascicolo della procura, aperto dal sostituto procuratore Caterina Malagoli, al momento c’è solo il nome di Valentin Frokkaj per il reato di evasione, ma già nelle prossime ore sarà sentito il poliziotto penitenziario che si è assentato durante l’ora d’aria. Il magistrato ha delegato le indagini ai carabinieri del reparto operativo. Sul caso sta lavorando anche la squadra mobile che sta cercando di accertare se la storia criminale di Frokkaj si è incrociata in passato con quella di banditi siciliani. Dai primi riscontri non emergerebbe alcun legame. L’inchiesta della procura e poi quella amministrativa accerteranno anche i movimenti dei vaglia postali che l’ergastolano avrebbe ricevuto in carcere e spedito dalla sua cella. L’ordinamento penitenziario prevede che si possono ricevere soldi da chiunque ma che si possono inviare solo a parenti o conviventi. Intanto gli investigatori raccolgono le carte sull’evasione dal carcere di Parma del 2013. Valentin Frokkaj era stato condannato per avere ucciso nel 2007 a coltellate un connazionale, Elton Llhao. L’omicidio era avvenuto a Brescia, ma l’albanese aveva a suo carico anche un’accusa di tentato omicidio. A febbraio del 2013 è arrivata la sentenza di ergastolo e Frokkaj era stato rinchiuso nel carcere di Parma. Una struttura di massima sicurezza che ospita i boss della mafia palermitana. Quella volta riuscì a segare le sbarre della cella e si calò anche allora con delle lenzuola. La sua fuga finì sette mesi dopo in un paesino dell’hinterland milanese. Da qui il trasferimento a Palermo, avvenuto in agosto. E a Parma, dove le indagini per l’evasione dal carcere di massima sicurezza sono state chiuse, è iniziato un processo a carico di un poliziotto penitenziario per procurata evasione. Palermo: il sindacalista; pochi agenti, nessuno davanti ai monitor, una fortezza sguarnita di Salvo Palazzolo La Repubblica, 9 maggio 2014 "Guarda com’è fortificato - sbotta un agente sul cavalcavia di via Ernesto Basile - chi l’ha progettato si vantava che da quel penitenziario non sarebbe mai evaso nessuno. Mura altissime, cancelli pesanti, sistemi di videosorveglianza all’avanguardia. Ancora oggi, nei convegni, parlano di Pagliarelli come di un modello di sicurezza e di accoglienza per i detenuti. Un posto da dove non è mai evaso nessuno. Fino all’altro giorno. Quando il castello di carta è crollato". Sì, dice proprio così questo agente della Polizia penitenziaria, uno degli anziani del Pagliarelli, uno di quelli che si batte per i diritti dei detenuti, ma anche per la sicurezza all’interno del carcere. "Un castello di carta", ripete. "Perché non servono mura altissime senza sentinelle. Non servono telecamere se nessuno guarda sui monitor. Non servono cancelli pesanti se nessuno sta di guardia". Ecco, il giorno dopo l’evasione di Valentin Frokkaj, la solennità di Pagliarelli, uno dei penitenziari più sicuri d’Europa, sembra sparita all’improvviso. "Perché finalmente tutti hanno capito che era una fortezza sguarnita - dice l’agente, con un tono di voce amareggiato - una fortezza senza soldati, fin troppo facile da espugnare". Dietro lo sfogo di questo poliziotto, ci sono i numeri che in questi ultimi mesi il direttore di Pagliarelli, Francesca Vazzana, e il capo degli agenti, il commissario Giuseppe Rizzo, hanno messo più volte nero su bianco in diverse lettere protocollate e spedite ai vertici dell’amministrazione penitenziaria. Da tre anni, le sei garitte piazzate sulle mura di cinta sono sempre vuote: non c’è un solo agente che vigili dall’alto. Così, mercoledì, Valentin Frokkaj ha avuto tutto il tempo di scavalcare due muri e una cancellata. Sembra che sia addirittura passato da una garitta prima di legare in tutta calma la fune fatta con le lenzuola al supporto di un lampione. In ogni piano delle palazzine ci sono due sezioni, ognuna ospita circa 50 persone: a vigilare su di loro è un solo agente. "Una situazione gravissima", dice Dario Quattrocchi, sindacalista della polizia penitenziaria. "Perché non dobbiamo immaginare i detenuti come persone che stanno sempre in cella. Anzi, sono in continuo movimento. Per andare a colloquio con i familiari o con gli avvocati, per andare a svolgere attività di studio e di lavoro, che al Pagliarelli sono davvero tante. E così deve essere. Siamo i primi noi a batterci perché i detenuti seguano un percorso di trattamento e recupero. Ma chi li porta in giro per il penitenziario se mancano gli agenti? Spesso si muovono da soli, all’interno di circuiti dedicati". Il conto è presto fatto. Nel penitenziario che fino a mercoledì era uno dei più sicuri d’Europa ci sono 700 agenti, ma 200 si occupano delle traduzioni dei detenuti, soprattutto verso il palazzo di giustizia. A Pagliarelli ne restano 500, quasi cento a turno. "Ce ne vorrebbero almeno altri 150", dice Quattrocchi. "O forse, anche di più, dopo l’apertura di un nuovo padiglione". Sì, perché di recente la fortezza di Pagliarelli può contare su un’altra palazzina, destinata ad ospitare 400 detenuti. Secondo i calcoli dei sindacati, ci vorrebbero almeno 70 agenti per una vigilanza adeguata. Sono stati dirottati dagli altri padiglioni. "L’unico nuovo provvedimento che è stato adottato è il rientro in sede di 10 agenti che erano distaccati in altri uffici", denuncia la segreteria regionale del Sinappe. Questa è la cronaca di un’evasione annunciata. Perché, sulla carta, doveva esserci un agente di vigilanza nella sezione dove era ospitato, in isolamento, Valentin Frokkaj. E un altro nel cortile del passeggio. Invece, sembra, che mercoledì pomeriggio un solo poliziotto doveva occuparsi della delicata sezione dell’alta sorveglianza, quella dei mafiosi e dei soggetti pericolosi, e pure delle passeggiate in cortile. Insomma, per Frokkaj non è stato difficile annodare quattro lenzuola e poi lanciarle nel cortile sottostante, dove sarebbe andato qualche minuto dopo. L’agente, tutto preso dall’organizzazione dei trasferimenti, non ha più controllato nulla. E mentre tornava in sezione, l’ergastolano si arrampicava indisturbato sul primo muro, alto circa quattro metri. Nessuno l’ha più visto e il fuggiasco ha potuto esprimere al meglio le sue acrobazie. Dunque, 500 agenti per 1200 detenuti. "Solo il dieci per cento resta in cella tutto il giorno"¸ spiega Dario Quattrocchi. "Perché particolarmente pericoloso". Anche Frokkaj era ritenuto tale, soprattutto per la sua precedente rocambolesca evasione dal carcere di Parma. Ma, poi, tanta attenzione è caduta all’ora d’aria. Ovvero, nell’unico momento in cui si spostava. Eccolo, allora, il tallone d’Achille della fortezza: gli spostamenti all’interno della struttura penitenziaria. Tanti, e tutti potenzialmente occasione per un’evasione. "A questo punto, ne va della nostra sicurezza", sbotta l’agente che ci ha accompagnato in questo viaggio nel "castello di carta", come lo chiama lui. "Cosa ne sapete voi delle aggressioni che quotidianamente subiamo? Non fanno notizia, forse perché i vertici della nostra amministrazione non vogliono far sapere cosa accade dentro. Ma vi assicuro che ci sono colleghi che vivono situazioni di stress pesante. In tutta Italia è addirittura in crescita il numero degli agenti della penitenziaria che si sono suicidati. E non credete quando vi dicono: questioni personali, questioni economiche. Il nostro è un lavoro difficile, che noi facciamo con grande passione e professionalità, ma non vogliamo diventare carne da macello". Adesso, il poliziotto abbassa il tono della voce: "Non voglio pensare cosa sarebbe successo se quel fuggiasco avesse preso in ostaggio il collega. Avrebbe potuto uccidere ancora, non aveva niente da perdere". Il cesso la guardia e l’alibi perfetto, di Giusi Palazzolo Sarà che le coincidenze sono le cicatrici del destino. Sarà che coincidenze e destino sono spesso una scusa per non leggere la realtà nella sua crudezza. Sarà probabilmente per tutto questo che la storia dell’evasione dell’assassino albanese Valentin Frrokaj dal carcere dei Pagliarelli di Palermo dovrebbe procurare indignazione collettiva e invece, come una barzelletta sussurrata durante un funerale, può suscitare una risata malcelata di cui vergognarsi. Perché un ergastolano che fugge è un caso. Un ergastolano che fugge di nuovo è un casino. Ma non basta: nella nostra oziosa lettura dei fatti, abituati come siamo a guardare lontano e a diffidare di ciò che è immediato, ci siamo dimenticati di mettere a fuoco quel che sta sotto i nostri occhi. E cioè una fuga in pieno giorno, da un carcere nuovo, con uno dei due agenti di custodia che se ne va al cesso, e tre ostacoli (un muro di tre metri e mezzo, un cancello, un muro di cinta di oltre sette metri) che questo Valentin ha saltato a mani nude con l’aiuto di una fune di lenzuoli. Da ex free climber sarei tentato di rimanere stupito per l’atto ginnico dell’evaso, ma la ragione mi impone di concentrarmi sull’atto fisiologico del secondino. Perché al netto di tutte le analisi e dei tecnicismi investigativi, la realtà ci dice che nell’anno 2014, al Pagliarelli, una pipì mette in crisi un intero sistema di sicurezza. I sindacati (naturalmente) tuonano "siamo troppo pochi", chiamano in causa il ministro, il Dap e "le politiche sbagliate degli ultimi anni". Inutile sperare che ci scappi una lettura smaliziata delle conseguenze di quel destino fatto di lenzuola arrotolate. Il cesso è probabilmente l’alibi perfetto. Mantova: la visita dell’Unione delle Camere Penali nell’Opg di Castiglione delle Stiviere www.camerepenali.it, 9 maggio 2014 Oggi, una delegazione dell’Unione delle Camere Penali composta da Antonella Calcaterra e Michele Passione per l’Osservatorio Carcere e da Gloria Trombini e Sebastiano Tosoni per la Camera Penale di Mantova, ha partecipato alla seconda tappa del giro di visite degli Ospedali psichiatrici giudiziari. Stavolta è toccato a Castiglione delle Stiviere. In data odierna una delegazione composta dagli Avvocati Antonella Calcaterra e Michele Passione, dell’Osservatorio Carcere Ucpi, Gloria Trombini e Sebastiano Tosoni della Camera Penale di Mantova, ha visitato l’Opg di Castiglione delle Stiviere, seconda tappa del viaggio negli Ospedali Psichiatrici Giudiziari italiani, proprio in questi giorni interessati dal Dl in discussione alla Camera dei Deputati. Nel rimandare alla scheda che verrà pubblicata a breve, relativa alla visita effettuata, deve segnalarsi la peculiarità della struttura, da sempre contraddistinta per la particolare attenzione e cura dedicata agli internati, con riferimento agli aspetti clinici degli stessi. Com’è noto, infatti, Castiglione non prevede la presenza di personale di polizia penitenziaria, ma solo di tipo sanitario. La particolare predisposizione di risorse umane ed economiche favorisce certamente percorsi di cura e reimmissione nei territori, che tuttavia scontano, anche qui, alcune resistenze da parte di servizi territoriali di riferimento. Il sovraffollamento ne è la riprova; è ancora una volta necessario evidenziare, come si propone il Dl in discussione, la necessità di destinare maggiori risorse economiche e strutturali ai servizi territoriali, vera alternativa di cura ed inclusione sociale per le persone con problematiche connesse a malattie mentali. Santa Maria Capua Vetere (Ce): 100 detenuti dal napoletano, così scoppia il carcere di Biagio Salvati Il Mattino, 9 maggio 2014 Mille detenuti ospitati, a fronte di una capienza ufficiale pari a 547 reclusi e un superamento della tolleranza molto al di sopra della percentuale consentita. Il penitenziario di Santa Maria Capua Vetere scoppia: da una decina di giorni, infatti, la struttura ha toccato la cifra record di presenze di detenuti ospitati, a causa del trasferimento di cento reclusi dalle Case circondariali del napoletano. Un aumento della popolazione carceraria, quella del penitenziario sammaritano, che arriva nel periodo meno opportuno, ovvero alle porte della stagione calda durante la quale si registrano peraltro anche carenze d’acqua. Una situazione di emergenza, si spera transitoria, che è stata al centro di un incontro tra il presidente della "Commissione per la tutela dei diritti dei detenuti", avvocato Nicola Garofalo e la direttrice dell’istituto di pena, Carlotta Giaquinto. Udine: trasferimento del boss mafioso Bagarella nel carcere di Tolmezzo, la Lega protesta Messaggero Veneto, 9 maggio 2014 "Roma ci toglie risorse e competenze, e ci premia mandandoci un boss mafioso a Tolmezzo, mentre la Regione assiste con rassegnato fatalismo. Sono questi i brillanti risultati centrati dalla presidente ambulante Serracchiani?". Barbara Zilli commenta con "rammarico e sincera preoccupazione" la replica "vaga, evasiva e superficiale" fornita dalla giunta regionale in risposta alla sua interrogazione sul trasferimento del boss mafioso Bagarella nel carcere di Tolmezzo. Spiega Zilli: "Importiamo Leoluca Bagarella, boss della mafia siciliana, mentre registriamo, in tutto il territorio regionale, pesanti defezioni per le forze dell’ordine, private di risorse, uomini e, infine, sedi operative. Serracchiani ha inaugurato una nuova stagione nei rapporti tra Roma e il Friuli? Scambiamo i poliziotti con i detenuti pericolosi? Non rischiamo di esporre questo territorio a infiltrazioni mafiose?". Ancora Zilli: "Speravo che la presidente avesse chiesto e ottenuto precise garanzie sul fronte della sicurezza, mentre ho appreso che il governo si è limitato a dare rassicurazioni di circostanza. Di fatto, Roma ha spedito un mafioso altamente pericoloso in Friuli, proprio mentre ci spoglia di molti presidi delle forze dell’ordine, ne riduce gli organici e ne limita il raggio d’azione. Eclatante il caso dell’Alto Friuli, che perde il tribunale di Tolmezzo e la procura, simboli e presidi di legalità". Chiude la leghista: "Il Friuli virtuoso non può divenire un refugium peccatorum, e lo Stato non può pensare di risolvere i problemi di detenzione distribuendo i soggetti più a rischio al Nord". Siracusa: il carcere di Brucoli scoppia… 515 detenuti, mentre la capienza ne prevede 300 La Sicilia, 9 maggio 2014 La Casa di reclusione versa in uno stato di emergenza, dovuta perlopiù alla critica carenza di personale e al notevole sovraffollamento della popolazione detenuta che, comporta l’ubicazione, anche se in casi limitati, di 3 detenuti in celle di pochi metri quadrati, progettate per ospitare un solo recluso. Il carcere di contrada Piano Ippolito, conta attualmente un organico di 194 agenti di polizia penitenziario a fronte delle 358 unità previste. Sono 515 i detenuti presenti, nonostante la capienza regolamentare ne contempli 300. Il penitenziario, che fino a qualche anno fa era anche pessime condizioni strutturali, sta notevolmente migliorando sotto tale aspetto in seguito alle varie e ripetute denunce presentate agli organi competenti, delle organizzazioni sindacali di categoria. La critica mancanza di personale oltre a far rischiare conseguenze all’ordine, alla disciplina e alla sicurezza dell’istituto, provoca da anni un aggravio dei carichi di lavoro, stress psico-fisico, assenze per malattia, ricorso allo straordinario e malcontento generale. In considerazione dell’elevata presenza di detenuti, che rende difficile la gestione dell’istituto sotto il profilo dell’ordine, la sicurezza e il trattamento, è stata in passato più volte, suggerita l’opportunità di procedere ad uno sfollamento. Il direttore del carcere Antonio Gelardi precisa che, sebbene nelle celle progettate per ospitare un solo detenuto, a viverci siano in due e in casi molto limitati in 3, non vengono comunque sforati i parametri stabiliti dalla normativa. Per quanto concerne le condizioni strutturali dell’istituto penitenziario riferisce che sono da qualche mesi iniziati i lavori, appaltati dal commissariato piano carceri, di ricostruzione delle inferriate e di ripristino degli impianti, tra cui quelli elettrici e antincendio a rischio di mal funzionamento in caso di necessità, con seri e irreparabili pericoli per persone e cose. Interventi che si concluderanno agli inizi del 2015. Sono invece stati completati gli interventi di rifacimento frontale di ingresso della casa di reclusione che si trovava in stato di deterioramento. Sono stati finanziati e partiranno a breve gli interventi di rifacimento del tetto della caserma mentre sono di recente stati avviati quelli che interessano la zona colloqui che, in adeguamento alla vigente normativa, prevedono l’eliminazione dei banconi. Lavori anche per il potenziamento della video sorveglianza. A far distinguere positivamente la casa di reclusione ci sono le iniziative attuate per il recupero dei detenuti di grande esperienza formativa. La sperimentazione nel carcere di Brucoli della esperienza "sezioni aperte", permette ai detenuti assegnati al regime di media sicurezza, di muoversi liberamente durante il giorno all’interno della sezione. Potenza: Sappe; ancora una rissa in carcere, protagonisti detenuti marocchini e albanesi www.nuovadelsud.it, 9 maggio 2014 Nuova rissa nel carcere di Potenza. Ieri mattina, non appena alcuni detenuti di etnia marocchina ed albanese hanno fatto accesso ai cortili per la permanenza all’aperto, hanno innescato una rissa tra loro e soltanto l’intervento di tutto il personale di Polizia Penitenziaria in servizio ha evitato il peggio e, mettendo a rischio la propria incolumità, ha saputo riportare l’ordine e la sicurezza nel reparto detentivo. L’episodio a distanza di pochi giorni, quando alcuni detenuti, venendo alle mani, colpirono un assistente Capo di Polizia Penitenziaria costringendolo alle cure presso l’Ospedale San Carlo di Potenza. "È una situazione, quella del carcere di Potenza, che si fa sempre più incandescente, soprattutto da quando la popolazione detenuta da qualche mese è raddoppiata, nonostante la fortissima carenza di personale di Polizia Penitenziaria del capoluogo lucano". A dichiararlo è Saverio Brienza, Segretario regionale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, l’organismo sindacale più rappresentativo della categoria. Potenza: progetto di accoglienza temporanea per minori sottoposti a provvedimenti penali di Angela Salvatore Quotidiano della Basilicata, 9 maggio 2014 Attraverso attività educative i ragazzi si sono confrontati con realtà diverse. Si è tenuto presso la Sala Minerva del Grande Albergo di Potenza un convegno relativo a un progetto di servizio accoglienza temporanea rivolto ai minori sottoposti a provvedimenti penali. Il programma di recupero denominato S.A.T., finanziato dal ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, è stato promosso dall’associazione In & Aut di Potenza e dal comitato regionale di Basilicata dell’Associazione italiana cultura e sport. L’iniziativa è stata sostenuta attivamente dall’associazionismo lucano, e in particolar modo dal gruppo di volontariato Vincenziano e dal Csv. Le attività sono state finalizzate al consolidamento del sostegno educativo e alla riabilitazione dei minori stranieri sottoposti a condanne definitive, dei minori dismessi dai servizi e dei minori italiani provenienti da situazioni familiari di disagio. Attraverso attività lavorative, sportive, ludiche e di accoglienza, i beneficiari dell’intervento formativo hanno avuto modo di relazionarsi con operatori pubblici e privati che hanno coordinato e supervisionato in armonia l’intero percorso. I familiari di minori, provenienti per la maggior parte da fuori Regione, hanno avuto la possibilità di ricongiungersi con i propri figli alloggiando in strutture del territorio preposte a ciò. In tal modo istanze economiche e attenzione sociale sono state coniugate nell’ottica di uno sviluppo intelligente, inclusivo e sostenibile capace di proiettarsi verso l’Europa del 2020. Tante mani le une nelle altre sostengono insieme una casa simbolo della società: è. questa l’immagine identificativa del progetto S.A.T. che, per la portata positiva di interventi e risultati ottenuti, è auspicabile continui nel tempo e diventi una misura a carattere permanente. "Per noi giungere alla meta di un progetto lungo e ambizioso è davvero importante - dice Francesco Cafarelli, presidente della Conferenza regionale volontariato e giustizia di Basilicata - e oggi più che mai abbiamo una grande carica per andare avanti. La piccola Basilicata riesce a mobilitarsi poiché dotata di una grande sensibilità verso i meno fortunati, il Tribunale dei minori di Potenza lavora con serenità e mai in maniera invasiva dato che ha a che fare con soggetti particolari da tutelare. I Giudici che vi operano hanno la forza, la coscienza e la sensibilità di occuparsi di casi molto delicati". "Apprezzo molto il lavoro della Regione Basilicata nei riguardi di giovani che hanno fatto il loro ingresso nel circuito penale - spiega Gemma Tuccillo, presidente del Tribunale per i Minorenni - questo progetto, infatti, sponsorizza l’uguaglianza sostanziale fra tutti i detenuti indipendentemente dalla regione di provenienza. Per queste persone il momento di preparazione al reingresso nella società è fondamentale. Spero che il programma abbia una gittata a lungo termine per consentire di apportare ulteriori correttivi e per migliorarne il potenziale". "Questo è un esempio di carità -ribadisce Luigia Scarciglia vice presidente regionale del gruppo di volontariato Vincenziano - testimonianze di solidarietà di tale portata non possono e non devono essere interrotte. I volontari sono quelli del fare e non quelli del dire". "Le carceri, spesso, anche da parte di chi lavora sono vista come luoghi da cui bisogna proteggersi. Bisogna liberarsi da queste convinzioni - sostiene Tina Paggi, direttore del Csv Basilicata - la nostra società ha bisogno di elementi concreti per tirar fuori tutta la positività". E in linea con quanto sancito dall’articolo 27 della Costituzione italiana: "Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato" è necessario eliminare le cause che determinano un bisogno non solo dei minori ma anche dei servizi. Sulmona (Aq): Uil-Pa; carcere con un solo furgone, udienze e visite dei detenuti a rischio www.rete5.tv, 9 maggio 2014 "Un solo mezzo e per di più non blindato. Questo è quanto resta dell’autoparco della Casa di Reclusione di Sulmona. La polizia penitenziaria del carcere di Massima Sicurezza Peligno è rimasta appiedata dopo l’ennesima avaria di uno dei furgoni preposti al trasporto dei detenuti. Se i baschi blu non sorridono i detenuti potrebbero piangere amare lacrime se qualcosa nell’immediato non sarà fatto. Questi ultimi rischiano, infatti, di non partecipare alle udienze presso i competenti tribunali e, peggio ancora, non essere sottoposti alle visite specialistiche negli ospedali". È emergenza mezzi al carcere di Sulmona con Mauro Nardella, vice segretario regionale Uil penitenziari, che denuncia le carenze del parco macchine, che metteranno a rischio visite e trasferte dei detenuti. "L’ultimo cellulare è stato fermato per un’avaria che ha comportato il suo ricovero in officina - scrive Nardella in una nota - Se non saranno stanziati subito i fondi per la sua riparazione, sarà dura garantire le traduzioni che quotidianamente interessano il carcere di Via Lamaccio. Non so se chi amministra la macchina penitenziaria si rende conto della gravità della situazione e che cosa potrebbe comportare l’ulteriore abbandono al proprio destino dei nuclei operativi per le traduzioni e i piantonamenti - continua - Fino a qualche anno fa erano decine i mezzi messi a disposizione del carcere Sulmonese. Oggi per far fronte alle moltissime traduzioni ci si deve confrontare con non più di due mezzi e per di più non idonei al trasporto dei detenuti reclusi a Sulmona. Resta la speranza oramai mal nutrita di poter contare sull’acquisto di nuovi mezzi che sostituiscano quelli obsoleti e che spesso hanno più di 600.000 chilometri percorsi" conclude il sindacalista. Se son rose fioriranno. L’ augurio è che a fiorire non siano crisantemi, possibili testimoni di una morte che tra carenze organiche e mancati investimenti andrà a riguardare inesorabilmente un corpo di Polizia oramai allo stremo delle sue forze". Favignana (Tp): presentato il modello di una Trireme Romana ricostruita dai detenuti www.trapaniok.it, 9 maggio 2014 Alla presenza del Provveditore Regionale delle carceri, dott. Maurizio Veneziano, del Direttore della casa di reclusione di Trapani, dottor Renato Persico, del sindaco delle Egadi, Giuseppe Pagoto, del Presidente del Consiglio Comunale, Ignazio Galuppo, e ancora del Direttore dell´Area Marina Protetta, Stefano Donati, del giudice di sorveglianza, dottoressa Chiara Vicini, del prof Sebastiano Tusa, del professor Francesco Torre (che ha letto un messaggio del professor Marco Bonino, dell’Università di Bologna, in qualità di direttore dei lavori guidati a distanza), si è tenuta ieri mattina nell’aula consiliare di Palazzo Florio a Favignana, la presentazione del modello in scala 1 a 20 della Trireme Romana dell’Associazione "Vela Latina Trapani", realizzata grazie a un progetto avviato lo scorso anno coinvolgendo un gruppo di detenuti della Casa di reclusione di Favignana. Gli stessi, sotto la direzione del maestro ebanista Battista Balistreri, hanno realizzato in scala l’imbarcazione che fu protagonista, nella battaglia delle Egadi, della prima guerra punica. Ieri, dopo l’intervento di tutte le personalità presenti, il presidente dell´Associazione Vela Latina Trapani, Stella Basciano, ha nominato il Maestro Giovanbattista Balistreri socio onorario consegnandogli tessera e attestato di socio onorario, e ha poi consegnato nelle mani dell´educatore, dottor Eugenio De Martino, un elogio per due dei detenuti che si sono distinti nella realizzazione del modellino, Dritan Skenderi e Carmine De Feo. La Trireme è stata voluta per la promozione del territorio. Nove i detenuti coinvolti nel progetto e, in passato, in altri laboratori di "maestro d’ascia" avviati dalla facoltà di Archeologia Marina e Navale all’Università di Trapani, in grado, per le competenze acquisite, di lavorare anche nei cantieri navali di Trapani. Il modello della Trireme Romana è di 1,80 per 1,20 metri. Le Cantine Caruso & Minini sono sponsor ufficiale del progetto, e hanno predisposto all´interno della sede marsalese uno spazio che sarà sede ufficiale della Trireme, dove la stessa potrà essere ammirata con delle visite guidate. Il primo "impegno" della Trireme, dal 14 al 31 maggio, sarà in Expò presso la vetrina di via Garibaldi a Trapani. Seguirà la partenza per un tour mondiale la cui prima tappa sarà a un museo di nuova istituzione olandese, assieme ai rostri ritrovati a Levanzo e ad un elmetto Montefortino sotto l’egida della Soprintendenza del Mare. A breve - la data è ancora da concordare - si terrà la presentazione al pubblico alle Cantine Caruso & Minini di Marsala. Novara: Giornata per l’ambiente; pulizia straordinaria Parco delle Betulle con i detenuti www.novaratoday.it, 9 maggio 2014 Seconda giornata di Recupero del patrimonio ambientale con l’impiego dei detenuti del carcere di via Sforzesca. Marzo: "Un intervento di concreta utilità a beneficio della collettività a costi minimi". Si è svolta l’altro ieri, mercoledì 7 maggio, la seconda giornata di "Recupero del patrimonio ambientale" con l’impiego di detenuti della Casa circondariale di Novara. Si tratta di interventi di pulizia straordinaria di alcune aree critiche o di maggior fruizione della città, sulla base del protocollo di intesa siglato a inizio aprile dall’assessore ai Servizi sociali del Comune di Novara Augusto Ferrari, insieme a Magistratura di sorveglianza, Casa Circondariale, Uepe Ufficio esecuzioni penali esterne e Assa, la spa del Comune di Novara per i servizi di igiene ambientale. I detenuti hanno pulito oltre la metà dell’area del Parco delle Betulle, sito tra viale Verdi e viale Giulio Cesare, rimuovendo i rifiuti da bivacchi tra le siepi e gli arbusti e i depositi di rifiuti sotto i cespugli, pulendo i vialetti e i cordoli dalle erbe infestanti, liberando tutte le griglie di raccolta acqua piovana. Durante l’intervento è stato mondato anche tutto l’incolto a ridosso del parcheggio del Palazzetto "Celestino Sartorio", ripristinando il pieno utilizzo del parcheggio stesso in quanto sono stati liberati quegli spazi di sosta che erano stati invasi da rovi e piante cadute e morte. Nella prossima giornata, tra quindici giorni, i detenuti completeranno il lavoro nel Parco delle Betulle e puliranno il Parco dei Merli, lungo il Viale Verdi, area fruibile anche dall’attigua Scuola dell’infanzia. L’intervento è stato molto apprezzato dai cittadini che quotidianamente attraversano il parco, i quali hanno espresso il loro plauso alle educatrici del carcere presenti sul posto che, insieme agli agenti della polizia penitenziaria, accompagnavano i detenuti. "Assa coordina gli interventi e offre il supporto logistico - ha commentato il presidente del Cda della società Marcello Marzo. I detenuti hanno ripulito una zona centrale di alta fruizione e di grande frequentazione anche come parcheggio a servizio anche del Palaverdi. Un intervento di concreta ed effettiva utilità a beneficio della collettività a costi minimi". Ferrata: "Vivicittà" alla Casa circondariale, in gara 30 detenuti e i volontari dell’Uisp La Nuova Ferrara, 9 maggio 2014 Nei giorni scorsi si è svolto il "Vivicittà" dentro le mura della Casa circondariale di via Arginone. Hanno partecipato alla corsa trenta detenuti assieme a un gruppo di esterni appartenenti alla Uisp. Il percorso è stato di tre giri della cinta muraria per un totale di 2.400 metri, che il primo arrivato ha compiuto nel tempo di 8 minuti e 59 secondi. La manifestazione si inserisce nell’ambito di un progetto che prevede di svolgere attività motoria anche in carcere: questo fatto è reso possibile da un protocollo d’intesa a livello nazionale fra Uisp e ministero della Giustizia e a livello locale grazie ad una convenzione avviata nel 2003 e rinnovata in tutti questi anni. E, soprattutto, grazie all’impegno costante della Commissione sportiva, composta dal referente Uisp Davide Guietti, dalle educatrici e dai rappresentanti dei detenuti. Oltre all’appuntamento citato, le altre proposte sono allenamenti di pallavolo bisettimanali e un progetto di yoga, terminato nel 2013, che ha coinvolto oltre 40 detenuti. Padova: Progetto Jengafilm; cinema nel carcere Due Palazzi, 15 detenuti diventano attori www.padovaoggi.it, 9 maggio 2014 Un progetto della Jengafilm, la casa di produzione padovana, e che ha coinvolto alcuni carcerati nella realizzazione di un cortometraggio, "Coffee, sugar and sigarettes", e di un documentario, "A tempo debito". Una mini troupe nella casa circondariale di Padova per vivere a contatto con i detenuti e realizzare, insieme a loro, un cortometraggio, "Coffee, Sugar and Cigarettes", e un documentario, "A tempo debito". Questo il progetto realizzato dalla casa di produzione padovana Jengafilm che ha coinvolto 15 detenuti della casa circondariale Due Palazzi. Un vero e proprio viaggio, delicato e autentico, in una realtà umana e sociale poco nota, quella della casa circondariale, dove sono detenute le persone in attesa di giudizio, in condizioni psicologiche e logistiche molto più dure di quelle del carcere. "Coffee, Sugar and Cigarettes" è il risultato di un percorso didattico che ha coinvolto i detenuti selezionati in carcere con un vero e proprio casting. Il gruppo di lavoro, composto da 15 detenuti provenienti da 7 paesi, ha frequentato un corso di sceneggiatura e recitazione due volte a settimana a partire da ottobre. Una vera full immersion nel mondo del cinema che ha dato loro un momento di distrazione, ma anche una formazione che potrebbe loro tornare utile. Il lavoro di scrittura è stato effettuato con la supervisione degli educatori e degli psicologi del carcere in modo da adeguare il lavoro alla personalità di ciascun detenuto. Il cortometraggio ha ottenuto un contributo dal fondo per il cinema della regione Veneto, come progetto di sviluppo cinematografico. Altro risultato di questa esperienza è il documentario "A tempo debito", 60 minuti per raccontare il dietro le quinte di questa produzione e l’incontro tra i ragazzi e il cinema attraverso 5 mesi di vita dietro le sbarre. Il gruppo di detenuti che cresce lezione dopo lezione. La telecamera che racconta i momenti più divertenti, quelli più significativi, ma anche quelli più critici quando la realizzazione del corto sembrava una chimera. Il percorso segue le storie dei detenuti, la loro testimonianza da attori e da uomini. Con loro ci sono gli educatori e gli ospiti, non sempre abituati al carcere, che scoprono la gioia di condividere una mini esperienza con i detenuti. "A tempo debito" è Il making of del corto e racconta con umanità e a volte con ironia i momenti più belli di questo progetto. Jengafilm presenterà "A tempo debito" in alcuni dei più importanti festival italiani e stranieri. Dice Christian Cinetto, regista del documentario e del corto: "Per qualsiasi persona portare a termine un’impresa, anche piccola, rappresenta una sfida. In una casa di reclusione, terminare un percorso, ha il sapore della conquista. Non importa il valore del risultato, ma importa la costanza, il non cedere, il riuscire a dimostrare a se stessi giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, che ce la si può fare. È un modo per dare speranza". Per sostenere economicamente la produzione del documentario, Jengafilm ha deciso di approcciare uno strumento conosciuto e spesso utilizzato con successo nel campo del cinema: il crowd-funding. Si tratta di una raccolta fondi dal basso che mette in atto un vero e proprio finanziamento collettivo del documentario. I contributori riceveranno in cambio delle "ricompense" a seconda della cifra donata: l’entrata libera alla prima, il blue-ray o una maglietta di "A tempo debito". La cifra necessaria per la realizzazione è di 30mila euro ed è possibile contribuire alla campagna attraverso il sito fino al 21 giugno. Viterbo: i detenuti che hanno incontrato Papa Francesco… una "esperienza irripetibile" Radio Vaticana, 9 maggio 2014 La speciale attenzione di Papa Francesco per il mondo carcerario ha permesso che all’udienza generale di ieri in Piazza San Pietro partecipasse anche un gruppo di detenuti di Viterbo dell’Istituto di pena "Mammagialla", che il Papa ha salutato con affetto. Stefano Leszczynski ha intervistato uno dei detenuti presenti all’udienza e ne ha raccolto la commossa testimonianza. Questa occasione penso sarà irripetibile. Non è facile, infatti, per un detenuto venire qui. È un momento di ricchezza interiore, perché si tocca con mano quello che è la religione, quello che è avere una fede. Papa Francesco è da sempre vicino al mondo delle carceri. Voi avete percepito questa vicinanza? Sì, l’abbiamo percepita, perché era palpabile: si è soffermato a parlare con noi e noi abbiamo potuto fare delle richieste, come l’invito a venirci a trovare in carcere, volendo. È una grossa richiesta, ma sappiamo dove lui può arrivare. A livello personale, come si vive la fede in carcere? La fede è molto importante in carcere, essendo purtroppo un luogo di sofferenza, di costrizione, un luogo di penitenza. Avere fede, riuscire a mettere a confronto le penitenze del Signore, le penitenze dei Santi con le nostre... Cerchiamo di aiutarci a vicenda, anche se a livello spirituale e non materiale. Come è cambiato il suo modo di credere con l’esperienza carceraria? C’è una crescita interiore. La fede ti aiuta a superare dei momenti di sconforto, dei momenti di smarrimento. La fede è l’unica cosa - diciamo - necessaria. Tornando a Viterbo e incontrando di nuovo i suoi compagni che messaggio porterà loro? Porterò un messaggio di pace, di serenità e con la mia emozione penso che riuscirò a comunicarlo. Penso che ci riuscirò. Ci sarà anche la curiosità dei miei compagni, di quelli che non sono potuti venire, di informarsi. E credo che questa curiosità sia importante, perché anche per loro così si può aprire un percorso si fede, un percorso di adesione alla religione, qualunque sia. La religione in carcere è una cosa importante e indispensabile. Rimini: domenica pellegrinaggio "Fuori le sbarre", con la Comunità Papa Giovanni XXII Ristretti Orizzonti, 9 maggio 2014 La situazione carceraria del nostro paese vive un perenne stato di emergenza. Problemi e criticità continuano ad aumentare. Troppi detenuti per poche celle, mancanza di attività collaterali e prospettive di inserimento: il carcere diventa un limbo infernale. Anche quest’anno, per la quinta volta, la Comunità Papa Giovanni XXIII, in collaborazione con altri enti ed associazioni, propone il Pellegrinaggio "Fuori le Sbarre vicino ai detenuti". Domenica 11 maggio, la Comunità Papa Giovanni XXIII in collaborazione con altri enti e associazioni invita tutti al Pellegrinaggio "Fuori le sbarre, vicino ai detenuti" per chiedere ad alta voce a politici e istituzioni di riconoscere e sostenere i progetti finalizzati alla rieducazione dei detenuti. Alcuni dati, divulgati dalla PGXXIII, per inquadrare il problema. In carcere ci sono ogni anno circa 600 episodi di maltrattamenti fra detenuti. Negli ultimi 36 mesi, si sono tolti la vita 27 agenti e 188 detenuti. Sono omicidi di stato. Almeno 16 mila detenuti vivono in "contenimento chimico" a causa del "massiccio uso" di psicofarmaci. In carcere, la solitudine vince la speranza. Il programma del pellegrinaggio: Ore 14:00 - Ritrovo davanti al carcere di Rimini, via Santa Cristina 19 Ore 14:15 - Inizio del pellegrinaggio in preghiera Ore 14:30 - Partenza dal carcere Ore 16:00 - Accoglienza del Vescovo Francesco Lambiasi all’Arco d’Augusto, centro storico di Rimini Ore 16:30 - Interventi dei politici in Piazza Cavour insieme all’iniziativa Pacha Mama Rimini "Terra equa: Commercio Equo e Solidale e Legalità" Ore 17:30 - Celebrazione della S.Messa, Chiesa di Sant’Agostino via Cairoli, centro storico di Rimini. Intervengono Giovanni Paolo Ramonda Responsabile generale dell’Associazione Papa Giovanni XXIII Nicola Boscoletto Presidente Cooperativa Rebus Don Giuseppe Grigolon Cappellano dell’Arma dei Carabinieri Francesco Soddu Direttore Caritas Nazionale Marcella Reni Direttore Rinnovamento nello Spirito S.E. Francesco Lambiasi Vescovo di Rimini Sandro Gozi Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega alle politiche europee Onorevole Edoardo Patriarca Presidente CNV Teresa Marzocchi Assessore Regionale Emilia Romagna Cosimo Ferri Sottosegretario al Ministero di Giustizia. Fuori le sbarre, la certezza del recupero Le parole di don Oreste Benzi, dette 10 anni fa, sono di un’attualità che potremmo definire scandalosa. "Il carcerato è un bene che manca alla società". Vivere un pellegrinaggio di preghiera e di testimonianza, per coltivare le coscienze e aprirle a una conoscenza più autentica della realtà del carcere. È ciò che si propongono gli organizzatori del Quinto pellegrinaggio "Fuori le Sbarre, la certezza del recupero", che si terrà a Rimini domenica prossima 11 maggio 2014. Un appuntamento nazionale che si rinnova di anno in anno. La partenza è dal carcere di Rimini alle 14, si attraversano le vie della città pregando, cantando, ascoltando le diverse testimonianze di detenuti, recuperandi, operatori e volontari. Durante il percorso anche gli interventi di Nicola Boscoletto, presidente della Cooperativa Giotto, don Giuseppe Grigolon, cappellano dell’Arma dei Carabinieri, Francesco Soddu, direttore Caritas Nazionale, Marcella Reni, direttore del Rinnovamento nello Spirito. Alle 16,30 la marcia arriverà al centro di Rimini, a Piazza Cavour. Qui parleranno alcuni esponenti del mondo politico: l’onorevole Edoardo Patriarca, presidente della Cnv (Conferenza Nazionale Volontariato); Teresa Marzocchi, assessore alle politiche sociali della Regione Emilia Romagna; Cosimo Ferri, sottosegretario al ministero di Grazia e Giustizia. "È il primo anno che facciamo un invito e una richiesta specifica al mondo politico - spiega il responsabile generale della Comunità Papa Giovanni XXIII Giovanni Ramonda. Chiediamo ai politici e al legislatore una normativa nuova che dia un riconoscimento istituzionale e amministrativo alle realtà educative di accoglienza. E lo facciamo insieme a tanta parte della società civile che da anni opera nel mondo carcerario. Il problema del nostro carcere non è solo il sovraffollamento o le condizioni igieniche e ambientali degradanti. È necessario dare un’altra visione della pena, investire sull’uomo, sulle sue risorse. Il carcerato è un bene che manca alla società. Abbiamo il dovere di farci carico di ciò. Questa è la sola strada, per una maggior sicurezza e per un risparmio economico e sociale." Nel 2013 ogni detenuto è costato ai contribuenti circa 80mila euro, 220 euro al giorno. Se fosse inserito in un percorso educativo in Comunità di accoglienza ne costerebbe non più di 50. Ogni giorno escono dalle carceri italiane circa 1000 detenuti. Più di 800 tornano a delinquere per lo stesso reato (la recidiva è dell’80%). Per chi ha seguito un percorso educativo in strutture di accoglienza la recidiva si abbassa al 10%. "Allora - continua ancora Ramonda, vogliamo un sistema penale costruito su una giustizia davvero riparativa o continuare con il sistema attuale, gravemente sanzionato anche dalla Corte Europea per i diritti dell’Uomo, che ha rivelato tutto il suo fallimento illudendo i cittadini con una sicurezza inesistente?". Ad organizzare il pellegrinaggio la Comunità Papa Giovanni XXIII, con la collaborazione del Centro Nazionale per il volontariato, della Conferenza nazionale per il volontariato e giustizia, del gruppo di lavoro La certezza del recupero. Addetto stampa per l’evento: Francesca Ciarallo, 349.2258341. Viterbo: lo scrittore Giorgio Nisini il 12 maggio incontrerà i detenuti di Mammagialla www.tusciaweb.eu, 9 maggio 2014 Nisini incontrerà i detenuti del carcere di Mammagialla il 12 maggio e racconterà loro la sua esperienza di scrittore e di lettore. A partire dal suo ultimo libro (La città di Adamo, Fazi, 2011), e con uno sguardo sul suo nuovo romanzo attualmente in lavorazione, l’autore viterbese accompagnerà i detenuti in un viaggio letterario sulla giustizia, tra scritture, film e grandi classici della letteratura occidentale. L’iniziativa, nata per dare visibilità e concretezza alle tante esperienze che, in tempi e modi diversi, si svolgono nelle carceri italiane e al rapporto tra carcere e cultura, vede coinvolti in tutta Italia oltre sessanta scrittori. Oltre a Giorgio Nisini e al coordinatore della manifestazione, Marco Ferrari, l’iniziativa vede protagonisti, tra gli altri, Francesco Piccolo, Romana Petri, Gianrico Carofiglio, Aldo Cazzullo e Valerio Massimo Manfredi. Gli scrittori che hanno aderito all’iniziativa daranno vita ad un progetto di grande visibilità sui percorsi risocializzanti dei detenuti, incentrati sull’importanza della lettura e della cultura in un momento particolarmente critico per il mondo carcerario. Sessanta autori che saranno impegnati in una serie di incontri in cui illustreranno ai detenuti le loro opere, il loro modo di scrivere, il genere letterario a cui si ispirano o più semplicemente presenteranno un capolavoro della storia della letteratura a cui sono molto legati. Inoltre, raccoglieranno e faranno proprie le impressioni vissute nel corso di questi incontri, trasformandole in un racconto corale da scrivere insieme ai detenuti che sarà poi pubblicato nel sito del Ministero della Giustizia. L’iniziativa rientra fra le "attività trattamentali" che il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria intende rilanciare grazie a interventi tesi a formare o a consolidare nei detenuti quelle attitudini utili ai fini del loro reinserimento nella società civile. "Dopo la crisi - ha spiegato il Guardasigilli Andrea Orlando presentando l’iniziativa - si è rafforzata l’idea del carcere come luogo "parafulmine" delle contraddizioni sociali. Serve un riequilibrio rispetto alla tendenza attuale che non trova nessi tra la società e il carcere, perché è importante essere consapevoli che in carcere c’è una parte sociale, non si tratta di fenomeni da rimuovere. Dunque ben venga la Settimana della Letteratura in carcere, episodi di cui ci si accorge anche all’esterno - osserva il ministro - un bell’esempio di passione civile che gli scrittori mettono a disposizione. Mi auguro ci sia anche una riedizione di questo evento, è un’iniziativa assolutamente aperta, tanto più si allarga, meglio è". "Sono molto felice di partecipare a questa iniziativa" - commenta Giorgio Nisini - "perché da sempre sono impegnato nella promozione della lettura e della cultura letteraria. Il carcere è un luogo in cui lettura e scrittura possono aiutare i detenuti non solo in un percorso di reinserimento nella società civile, ma anche in un percorso di crescita con se stessi. Leggere è un atto miracoloso: può avvenire ovunque e può portarti ovunque". Teatro: "Lo Stato della Follia" di Francesco Cordio, documentario di denuncia sugli Opg Asca, 9 maggio 2014 "Lo Stato della Follia" di Francesco Cordio, il documentario di denuncia sulla condizione degli Opg, gli Ospedali psichiatrici giudiziari italiani, continua il suo tour nelle sale per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla mancata chiusura degli Opg prevista per il primo aprile 2014. Per un decreto del Consiglio dei Ministri, firmato dal Presidente della Repubblica Napolitano, la chiusura è stata prorogata al 31 marzo 2015 e non più al 2017 come precedentemente previsto. Il rischio era che la chiusura venisse posticipata di altri tre anni a causa dell’impossibilità delle Regioni ad accogliere i detenuti presenti negli Opg. Lo Stato della Follia sarà dunque presentato al Teatro Bi.Pop. Zaccaria Verucci, Via di Pietralatella, s.n.c., Roma - Casal Bertone il 10 maggio alle ore 21,30. In Italia esistono 6 Opg, comunemente chiamati manicomi criminali, all’interno vi sono rinchiuse circa 1000 persone. Il racconto in prima persona di un attore, ex-internato in uno di questi ospedali, si intreccia con le riprese effettuate in questi luoghi "dimenticati" anche dallo Stato. Queste istituzioni sono rimaste estranee e impermeabili alla cultura psichiatrica riformata, e il meccanismo di internamento non è stato interessato dalla legge del 1978 che prevedeva la chiusura degli ospedali psichiatrici. Una commissione parlamentare d’inchiesta ha fatto luce sullo stato di abbandono in cui vivono gli internati e ha fatto approvare una legge che ne prevede la chiusura. Il film di Francesco Cordio, frutto del lavoro di due anni, è nato a seguito dei sopralluoghi realizzati all’interno dei 6 Ospedali Psichiatrici Giudiziari per conto della Commissione d’inchiesta sull’efficacia e l’efficienza del Servizio Sanitario Nazionale presieduta dal senatore Ignazio Marino. L’attore protagonista è Luigi Rigoni, che nel film con grande generosità e intensità racconta la sua vita all’interno di un Opg. Francesco Cordio accompagna lo spettatore in quei luoghi dove le persone, fin dagli inizi del ‘900, sono state relegate e disumanizzate dal trattamento farmacologico, dall’abbrutimento delle celle di isolamento e dei letti di contenzione. Il documentario porta alla luce lo stato di degrado delle strutture psichiatriche e la privazione dei più elementari diritti costituzionali alla salute, la cura, la vita di tanti malati mentali. "Quando nel novembre del 2010 sono stato invitato a realizzare dalla Commissione parlamentare di inchiesta sull’efficacia e l’efficienza del Servizio sanitario nazionale un breve documento video sullo stato degli Opg, come quasi tutti gli italiani, non sapevo cosa fossero. - dice Cordio - Opg, cosa si nascondeva esattamente dietro quell’acronimo che non ricordavo di avere mai sentito prima? "Ospedali Psichiatrici Giudiziari", mi era stato risposto, credendo di aiutarmi. Si trattava di manicomi? Impossibile: i manicomi erano chiusi ormai da più di trent’anni! Luoghi di cura? Il dubbio mi avrebbe accompagnato ancora per poco. Ci eravamo attrezzati, io ed il mio operatore, anche con videocamere nascoste. Le riprese all’interno degli Opg sono state effettuate durante sopralluoghi a sorpresa - spiega il regista - veri e propri blitz. Per la prima volta gli uomini chiusi là dentro avevano l’opportunità di gridare fuori, al mondo, il loro stato, il loro disagio, quello umano prima ancora di quello psichico. Le riprese negli Opg - sottolinea Cordio - sono come un esame endoscopico nei meandri mai esplorati del corpo della Repubblica Italiana. Una Tac al sistema Sanitario gravemente ammalato di una malattia da sempre ignorata e/o trascurata". "Lo Stato della follia" è stato prodotto da Francesco Cordio con Teatri di Nina in associazione con Independent Zoo Troupe. Il documentario è stato scritto da Francesco Cordio, Leonardo Angelini, Diego Galli. Le musiche sono di Gianluca Misiti e Daniele Silvestri, il montaggio è di Giacobbe Gamberini, Michele Castelli, la fotografia è di Mario Pantoni. Le riprese sono state effettuate negli Opg di Aversa, Barcellona Pozzo di Gotto, Castiglione delle Stiviere, Montelupo Fiorentino, Secondigliano, Reggio Emilia, Teatro comunale di Todi. Cinema: al via il Festival Film Spray, nella giuria anche detenuti di Rebibbia e Sollicciano www.rbcasting.com, 9 maggio 2014 Film Spray è un Festival Internazionale dedicato a cortometraggi di durata compresa fra i 30 ed i 90 secondi, accompagnati dalla sola musica. L’assenza di dialoghi o di altre forme di comunicazione verbale rende i cortometraggi comprensibili in tutto il mondo e di facile interpretazione senza limiti di età, cultura o estrazione sociale. L’obiettivo del Festival è quello di promuovere la cultura del video e creare una forma di distribuzione internazionale tramite i Partner dell’Istituto Lorenzo Dè Medici, con il fine di garantire visibilità ai cortometraggi partecipanti. Il Festival si terrà nella sede di Via Faenza 43 della Lorenzo De Medici il 6 e 7 Giugno 2014, con la partecipazione di guest star provenienti dal mondo cinematografico e televisivo italiano. I video saranno visionati e votati anche dai detenuti delle carceri di Rebibbia (Roma) e Sollicciano (Firenze). "L’Italia": il tema è l’Italia nella sua interezza, dalla natura alla società, dalla gastronomia all’arte, dagli artigiani alle persone. Per il Miglior Video è previsto un premio in denaro pari a 1.000,00 Euro. Medio Oriente: ieri 5mila detenuti palestinesi nelle carceri israeliane in sciopero della fame Aki, 9 maggio 2014 Giornata di sciopero della fame per oltre cinquemila detenuti e detenute palestinesi rinchiusi nelle carceri israeliane, che vogliono così dimostrare la propria solidarietà ai prigionieri trattenuti in Israele regime di detenzione amministrativa. Questi ultimi stanno conducendo da 15 giorni uno sciopero della fame in segno di protesta contro la loro detenzione arbitraria e i maltrattamenti subiti, secondo le denunce, da parte delle autorità carcerarie israeliane. Come si legge sul sito web dell’agenzia palestinese Maan, i detenuti minacciano di proseguire con la protesta se il governo israeliano non soddisferà le richieste dei prigionieri in regime di detenzione amministrativa entro la prossima settimana. In una lettera firmata da tutte le fazioni, i detenuti hanno sottolineato le condizioni critiche dei prigionieri in sciopero della fame, denunciando il loro isolamento, i maltrattamenti subiti e la mancata somministrazione di cure mediche e chiedendo un intervento immediato delle istituzioni e delle organizzazioni per i diritti umani per salvare loro la vita. Il ministro palestinese per gli Affari dei detenuti, Aysa Qaraqey, ha annunciato per domani una Giornata della Rabbia con una mobilitazione generale e iniziative popolari in segno di solidarietà con i prigionieri trattenuti in Israele in regime di detenzione amministrativa. Il ministro ha fatto appello a un’ampia partecipazione di tutte le forze, le realtà sociali e le istituzioni, ricordando che alcuni di questi prigionieri sono stati trasferiti negli ospedali israeliani dopo essere stati "brutalmente aggrediti". Stati Uniti: "Occupy Wall Street" in tribunale, pacifista 25enne rischia 7 anni di carcere di Marina Catucci Il Manifesto, 9 maggio 2014 Afferrata violentemente per i seni da un poliziotto, Cecily McMillan ha reagito liberandosi con una gomitata. Già reclusa nella prigione di Rikers Island, rischia una condanna a 7 anni. Cecily McMillan, 25 anni, graduate student alla New School e attivista di Occupy Wall Street, rischia fino a 7 anni di reclusione per aver dato una gomitata ad un poliziotto durante un violento sgombero a Zuccotti Park. Dopo circa 40 incontri in 2 anni, il tribunale di Manhattan l’ha giudicata colpevole: il giudice Zweibel ha rifiutato la richiesta di libertà su cauzione e Cecily è ora in attesa della sentenza, che arriverà il 19 maggio. Il caso dell’attivista di Occupy è sulle pagine dei giornali americani come esempio della brutalità della polizia. Si tratta di un leitmotiv, a New York, per la politica dell’amministrazione Bloomberg, preparata per un’emergenza terrorismo ma incapace di confrontarsi con una piazza pacifica. Il 17 marzo 2012 è stato un giorno nero per gli occupiers: dopo la manifestazione che celebrava i 6 mesi della nascita di Ows, avevano deciso di riprendere Zuccotti Park anche solo simbolicamente. Ma l’arrivo della polizia non era stato simbolico: uno sgombero violento, 70 arresti, molti contusi e feriti; uno di loro, Shawn Carriè, pochi mesi fa ha ricevuto un indennizzo di 82.000 dollari dal Comune di New York. Secondo l’accusa, Cecily McMillian al momento dell’arresto da parte dell’agente Grantley Bovell, che cercava di prenderla alle spalle per portarla via, ha spiccato un balzo colpendolo deliberatamente con una gomitata. Secondo la difesa, invece, Cecily era passata da Zuccotti Park per prendere un’amica ed andare a festeggiare San Patrizio, ritrovandosi in mezzo agli scontri. Sentendosi afferrare da dietro per i seni, la McMillian avrebbe reagito alzando il gomito. A sostegno di ciò la difesa ha prodotto fotografie e referti medici che mostrano la presenza dei lividi sul seno della ragazza. Cecily McMillan viene descritta dagli avvocati e da altri occupiers come moderata, sostenitrice della linea pacifista di Ows, mentre l’agente Bovell ha nel suo storico casi precedenti di comportamento violento. Il giudice, però, ha domandato alla giuria di non considerare né il contesto concitato di quella notte, né le testimonianze pregresse sul comportamento violento dell’agente. Al momento Cecily è nel carcere di Rikers Island a nord di Manhattan. Potrebbe essere la prima degli occupiers a doversi confrontare con una pena grave, mentre su 2.600 procedimenti penali contro attivisti di Occupy Wall Street, solo una dozzina sono arrivati in tribunale, a dimostrare il carattere sostanzialmente pacifico di ows. Gli attivisti hanno lanciato un hashtag su Twitter #Justice4Cecily e nei social media come nei media tradizionali si dibatte su come confrontare un sistema dove la libertà di dissenso, anche se pacifico, non è tutelata ma criminalizzata e dove - come ha fatto notare Jon Stewart nel suo Daily Show - la sproporzione di criminalità tra Wall Street e Occupy Wall Street è imbarazzante. Che fosse un sconfitta annunciata ne era consapevole la stessa Cecily che il 9 febbraio ha scritto: "Carissimi compagni, è grazie a voi se entro in quell’aula di tribunale a testa alta; sono veramente onorata di starvi accanto. Occupy". Gran Bretagna: stop alla musica nelle carceri, dopo i libri vietati gli strumenti musicali di Susanna Marietti (Coordinatrice associazione Antigone) Il Fatto Quotidiano, 9 maggio 2014 Alla fine dello scorso anno il governo inglese vietò ai detenuti di poter ricevere libri dall’esterno del carcere. Avrebbero dovuto conquistarsi questo privilegio, disse. Era un modo per dare loro un incentivo a comportarsi meglio. Strana tesi: limitare la lettura, uno dei massimi strumenti di reintegrazione in società e di recupero relazionare, al fine di lavorare proprio per la risocializzazione. Ma l’Inghilterra non si è fermata qui. Alcuni giorni fa c’è stato un ulteriore divieto. Ha vietato l’ingresso in carcere anche di strumenti musicali. Credo che l’Inghilterra ci offra oggi un esempio di stupidità, per non dire di peggio, nella gestione della pena e dei penitenziari. Perché togliere la musica? Quale può essere il senso? La musica, fortunatamente, si è ribellata. Molti musicisti - dai Radiohead a David Gilmour dei Pink Floyd a Johnny Marr degli Smiths a tanti altri - si stanno battendo contro questo nuovo assurdo divieto. In una lettera al Guardian hanno criticato la scelta governativa, sottolineando come la musica sia un grande strumento di riabilitazione. Lo sappiamo bene noi, che da anni a Jailhouse Rock, la trasmissione radiofonica che curo e conduco assieme al presidente di Antigone Patrizio Gonnella, collaboriamo con la grandiosa band musicale del carcere di Bollate, coordinata dal bravissimo poliziotto penitenziario Francesco Mondello. Un poliziotto che attraverso l’entusiasmo di puntare a una pena non immobile nell’ozio forzato ma piena di attività e di valori non ha certo perso autorevolezza presso i detenuti, come a volte si teme, bensì ne ha guadagnata assai. In prima fila a guidare la protesta inglese c’è Billy Bragg. Raccontiamo di lui nella puntata di questa settimana di Jailhouse Rock. È dal 2007 che Billy Bragg porta avanti la campagna Jail guitar doors. Il nome viene dal titolo di una canzone dei Clash. Quell’anno, racconta Bragg, stava ragionando su cosa fare per commemorare il quinto anniversario della morte di Joe Strummer, leader dei Clash. Voleva fare qualcosa di utile. In quel periodo gli arrivò una richiesta da una prigione inglese dove era stata messa su un’improvvisata scuola di chitarra. Mancavano però gli strumenti e chiedevano a lui un aiuto. Bragg capì subito, partendo dalla sua propria esperienza, che la musica può davvero aiutare l’elaborazione dei problemi. Diede vita alla campagna, che intitolò ai Clash, volta a raccogliere fondi per comprare chitarre da donare alle prigioni. Sono tantissime le carceri cui Jail guitar doors ha donato strumenti musicali. È rimasta celebre la donazione alla prigione londinese di Wormwood Scrubs, quando il 6 luglio del 2007 Billy Bragg e Mick Jones, chitarrista dei Clash, si misero a provare le chitarre cantando e suonando davanti ai detenuti. Oggi tutto questo è vietato in Inghilterra. Tra pochi giorni l’Italia sarà valutata a Strasburgo per lo stato delle sue carceri. L’Amministrazione Penitenziaria si concentra molto su numeri e metri quadri. Certamente importantissimi. Ma, come la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo dice chiaro, la quantità non basta. C’è anche la qualità. Non è sufficiente far vivere i detenuti in più di tre metri quadri di spazio. Bisogna anche lavorare a un tempo della pena utile per abbassare la recidiva e reintegrare nella società. Serve a tutti, a loro e a noi. "Tutti noi crediamo che le persone debbano essere punite per i loro crimini… Ma io credo anche nel reinserimento. La domanda è: vogliamo aiutare le persone a non ricommettere un reato e a contribuire alla società?". Sono parole di Billy Bragg. Bulgaria: evasi tre pericolosi detenuti da carceri di Sofia e Burgas, ricerche dell’Interpol di Lilia Rangelova www.bulgariaoggi.com, 9 maggio 2014 Due criminali molto pericolosi sono fuggiti come in un film dalla Prigione centrale di Sofia e un altro dalla Prigione di Burgas durante i giorni festivi, ha comunicato la Direzione Generale "Esecuzione penale". Nei confronti di Nikolay Nikolov, 46 anni da Breznik che scontava una pena di 20 anni per omicidio e il cittadino guatemalteco Jose Martinez, 48 anni sotto processo per rapina, furto di un veicolo e possesso di armi illegali è stata avviata una ricerca a livello nazionale, tenendo presente che a momenti dovrebbe essere diffuso un "avviso rosso" da Interpol. Nikolay Nikolov è di statura media, capelli castani e occhi castano-verde. Martinez è alto, capelli bianchi corti e occhi azzurri. I due, per motivi di buona condotta, erano stati collocati nel locale della caldaia dove non vi era sorveglianza 24 ore su 24. Una delle versioni è che i due sarebbero passati attraverso sfiatatoi e passaggi sotterranei sotto il locale della caldaia da dove avrebbero raggiunto un tombino. Si presume che i due siano evasi dalla Prigione Centrale di Sofia tra le ore 18:00 e le ore 20:30 del 30 aprile u.s. L’evasione di uno dei due è stata registrata alle ore 21:30, mentre dell’altro alle ore 23:00. I media bulgari hanno diramato l’informazione che l’ evasione è stata possibile grazie ad un evento organizzato dall’Ambasciata italiana a Sofia al quale erano presenti direttori e ufficiali e quindi la sorveglianza è stata ridotta. Tuttavia, il Vice Ambasciatore dell’ Italia Francesco de Stefani, in un’intervista per Bulgaria oggi,ha negato tale informazione, specificando che un rappresentante dell’Ambasciata era stato invitato a presenziare a una Festa in occasione del Terzo anniversario dall’ inizio ufficiale dei Corsi di lingua italiana nella Prigione. L’ inizio della Festa è stato alle ore 14:00. L’emittente nazionale Bnt ha comunicato che pochi giorni dopo, il 4 maggio, dalla Prigione di Burgas è evaso un altro detenuto. Ivan Gyurov scontava una condanna di quattro anni per furti a distributori di benzina e gli restavano solo 9 mesi. Intorno alle ore 19:00 del 4 maggio u.s. egli avrebbe approfittato della scarsa sorveglianza scavalcando la recinzione del dormitorio di tipo aperto della Prigione, aiutato da un altro detenuto. Il complice è stato arrestato ma per ora non vi è alcuna traccia dall’ evaso. Svizzera: il detenuto più anziano (90 anni) è morto all’ospedale universitario di Ginevra www.rsi.ch, 9 maggio 2014 Il detenuto più anziano della Svizzera è morto martedì all’età di 90 anni all’ospedale universitario di Ginevra. L’uomo, malato di cancro e demenza senile, era stato condannato nel 2010 a dieci anni di prigione per lo stupro della figlia adottiva."È estremamente triste che una cella si trasformi in tomba, l’umanità dovrebbe prevalere sul crimine, qualsiasi esso sia", ha commentato il legale del carcerato.Il Tribunale federale aveva accettato la domanda d’interruzione della pena visto lo stato di salute dell’uomo, ma il ministero pubblico s’era opposto. Nigeria: ipotesi di scambio fra ragazze rapite e detenuti del gruppo islamista Boko Haram Tm News, 9 maggio 2014 Un ex mediatore nigeriano ha spiegato, in un’intervista esclusiva al Telegraph, che il vero obiettivo del gruppo islamista Boko Haram è quello di barattare le ragazze con alcuni comandanti islamisti detenuti dalle autorità della Nigeria. Shehu Sani, che in passato aveva mediato per una tregua delle operazioni belliche di Boko Haram, si è detto convinto che il video nel quale Boko Haram minaccia di vendere come schiave le 200 ragazze rapite ad aprile è proprio la prova che i sequestratori, piuttosto che ucciderle, le stanno usando come merce di scambio. Secondo lui, il messaggio del leader di Boko Haram, Abubakar Shkau, è solo un tentativo di raggiungere il governo nigeriano per proporgli una unegoziato. "Se si guarda ai fatti - ha spiegato Sani - queste ragazze sono già prigioniere da tre settimane ed è possibile rilevare nelle parole di Shekau un tono conciliatorio, non ha detto che le ucciderà. Per quel che io conosco di questo gruppo, il video è la prova che la questione può essere risolta. Molto probabilmente garantiranno il rilascio delle prigioniere dietro qualche condizione, ad esempio la liberazione di alcuni prigionieri".