Giustizia: Renzi, le carceri e l’amnistia… i silenzi del governo su un tema impopolare di Francesco Anfossi Famiglia Cristiana, 8 maggio 2014 Non si può dire che il tema del sovraffollamento disumano delle carceri in Italia stia a cuore al Governo Renzi: alle primarie, del resto, il futuro premier aveva detto di essere contrario all’indulto o all’amnistia. Nonostante i due messaggi alle Camere di Napolitano, i numerosi appelli del Papa, la telefonata di Francesco a Pannella, che continua a digiunare per questa causa, Renzi insiste a non farne alcun cenno nelle numerose interviste (né a dire il vero i suoi intervistatori si sognano di fargli domande sull’argomento). Quanto al ministro della Giustizia Orlando, evita il più possibile l’argomento e preferisce demandare al testo in preparazione al Senato. Certo, provvedimenti a favore dei detenuti sono impopolari per la pancia del Paese, se si vogliono strappare voti agli avversari politici, anche a quelli più beceri, ma la situazione è urgente e disumana e occorre prendere decisioni. Un politico vero e attento al bene comune lo si vede anche dal coraggio. Giustizia: il 28 maggio scade l’ultimatum… per l’Italia un conto da 100 a 300 milioni Panorama, 8 maggio 2014 Il 28 maggio scade l’ultimatum della Corte di Strasburgo all’Italia. Ma il sovraffollamento delle celle non è stato risolto. L’ultima sentenza è recentissima: il 22 aprile la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia a risarcire con 25mila euro Giovanni Castaldo, detenuto del carcere di Bellizzi Irpino (Avellino), per cure mediche gravemente ritardate. Può bastare, come avviso finale? Sì, perchè la scadenza è vicina: il 28 maggio termina l’anno concesso all’Italia dalla stessa Corte di Strasburgo per cancellare la condizione "inumana" delle sue 205 carceri. Nel maggio 2013 la Cedu aveva condannato Roma a risarcire con 100 mila euro 7 detenuti a Busto Arsizio e a Piacenza, sottoposti a "condizioni inumane e degradanti, e assimilabili alla tortura". Primo problema, gli spazi: i reclusi disponevano di soli 3 metri quadrati a testa. I giudici avevano allora sospeso altri 8 mila ricorsi pendenti contro il sovraffollamento. Ma solo per un anno, fino al 28 maggio 2014. Oggi, reclama il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, la situazione spazi è "molto migliorata": se il 31 gennaio 2013 i reclusi erano 65.905, il 31 marzo scorso sono scesi a 60.197, per 48 mila posti "regolamentari" disponibili. La cifra però è contestata dai radicali: Rita Bernardini, segretaria del partito, calcola che i posti davvero disponibili siano 43.547 e che 2.739 di questi non siano utilizzabili. "Per esempio" accusa "400 negli ospedali psichiatrici giudiziari, 700 nelle carceri sarde...". Si scenderebbe così a 40.808 posti, con 20 mila reclusi eccedenti. E il Consiglio d’Europa ha appena denunciato che, quanto a sovraffollamento, l’Italia è seconda solo alla Serbia. Anche per questo, da molti mesi, la presidenza della Repubblica preme sul Parlamento. Se nulla dovesse essere fatto, da giugno la Cedu potrebbe dare ascolto agli 8 mila vecchi pendenti e ai 4 mila che intanto si sono aggiunti (dietro le sbarre, si sa, le voci corrono). Ogni detenuto potrebbe ottenere un risarcimento tra 10 e 25 mila euro. Quanto rischia di pagare l’Italia? Nessuna cifra ufficiale. Ma si va da 100 a 300 milioni. Giustizia: testo Dl superamento Opg approvato in Commissioni Camera, lunedì in Aula Ansa, 8 maggio 2014 È stato approvato in Commissione riunite Affari sociali e Giustizia il testo per la conversione in legge del decreto legge 52/2014 per il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari. Sono stati bocciati, quindi tutti i circa 150 emendamenti presentati. Lunedì, il provvedimento già approvato con modifiche dal Senato, arriverà in Aula a Montecitorio. Domani, invece, arriveranno i pareri tra i quali quelli della Commissione per gli Affari regionali e della Commissione Bilancio. Tra le novità introdotte dal decreto l’obbligo dei programmi di dimissione degli attuali internati in Opg, l’adozione di misure alternative all’internamento, il limite alla durata delle misure di sicurezza per evitare i cosiddetti ‘ergastoli bianchì e l’istituzione di un tavolo di monitoraggio che verifichi i percorsi di attuazione da parte delle Regioni. Giustizia: De Biasi (Comm. Sanità Senato); una vergogna civile che Opg ancora esistano Dire, 8 maggio 2014 "È una vergogna civile che ancora esistano in Italia luoghi di contenzione come gli Ospedali psichiatrici giudiziari". È netta la posizione di Emilia Grazia De Biasi, Presidente della Commissione Sanità del Senato, sulla chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari, intervenendo a "Prima di tutto", Radio 1. "Sono circa 1.000 le persone presenti negli ospedali psichiatrici giudiziari - prosegue, che sono strutture che si possono definire manicomi giudiziari. Noi puntiamo sul diritto mite, sulla riabilitazione delle persone che hanno avuto problemi giudiziari, e non possiamo pensare che tutto questo non accada solo per persone che hanno patologie psichiatriche, magari temporanee. Hanno commesso reati, certo, ma rischiano di entrare in queste strutture, alcune delle quali terribili, per non uscirne più. C’è un caso di un ragazzo che vi è entrato per avere rubato 5mila lire, in Sicilia, ed è li da 30 anni". Ultima proroga: le Regioni devono attrezzarsi "La prima cosa da fare è ottemperare alla legge del 2012 che impone la trasformazione di questi Opg". Così Emilia Grazia De Biasi, presidente della Commissione Sanità del Senato, a "Prima di tutto", Radio 1, sulla chiusura degli Opg. "Il Presidente Napolitano si è speso tantissimo su questo tema- aggiunge-, il Senato con la commissione d’inchiesta Marino ha documentato una realtà sconvolgente, ci sono immagini, filmati, tutto pubblico. Il punto focale è che superare questi ospedali psichiatrici giudiziari significa creare strutture alternative umane e che siano in grado di differenziare i percorsi: ci sono persone che debbono stare in una condizione di contenzione, altre che, similarmente agli arresti domiciliari e alle pene alternative, possono stare in area protette, in comunità alloggio. E se ci sono persone che hanno scontato la loro pena, possono, devono uscire, ma che ovviamente dopo essere state negli Opg hanno bisogno di un sostegno e di un servizio territoriale. E qui entrano in ballo le Regioni, perché è di loro competenza. Lo scorso anno- ha spiegato De Biasi- si è votata una proroga di superamento per consentire di attuare e realizzare i progetti regionali, dopodiché dopo un anno non è successo niente e oggi ci troviamo a fare un’ulteriore proroga di un altro anno". "Ora speriamo davvero che sia l’ultima proroga. Diciamo chiaramente - dice ancora De Biasi - quelli non sono luoghi normali; sono luoghi davvero troppo pesanti, disumani. I soldi per fare queste strutture ci sono, le regioni li hanno e si sono impegnate a presentare rapidamente i progetti, e non vorremmo che si passasse da una struttura come un ospedale psichiatrico giudiziario a tanti piccoli ospedali psichiatrici giudiziari. Vogliamo progetti veri sul tema della salute mentale, e della sanità penitenziaria, temi che sono estremamente importanti non solo per i diritti umani di queste persone, ma anche per tutti coloro che lavorano con grande abnegazione in queste strutture e per i familiari, che hanno difficoltà anche economiche e devono avere a disposizione una efficace organizzazione dei servizi". Giustizia: Cirielli (Fdi); governo non rispetta vittime reati, respinta mozione risarcimenti Ansa, 8 maggio 2014 "La Camera ha respinto la mozione sulle vittime dei reati di cui sono primo firmatario, che impegnava il Governo ad assumere iniziative volte a prevedere una disciplina risarcitoria da parte dello Stato, laddove l’autore del reato sia tornato a delinquere perché rilasciato dal carcere a seguito di provvedimenti di clemenza alternativi alla detenzione adottati dallo stesso". Lo ha dichiarato Edmondo Cirielli, deputato di Fratelli d’Italia-Alleanza Nazionale. "Pd, Ncd e Scelta Civica dimostrano, se ancora fosse necessario, il loro vero volto. Solo chiacchiere e slogan da campagna elettorale e nessun atto concreto - continua Cirielli - delinquenti e recidivi a piede libero, svuotacarceri continui, meno sicurezza per i cittadini e soprattutto nessun rispetto per le vittime dei reati. Tema sul quale l’Italia è e resta terribilmente indietro". "Nella mozione - spiega ancora - si impegnava, altresì, il Governo a modificare la disciplina relativa al pagamento delle spese giudiziarie, affinché esse non gravassero più proprio sulle vittime o sulle loro famiglie. Con il voto contrario, la maggioranza di Matteo Renzi ha confermato di riempirsi soltanto la bocca di sicurezza e di tutela ed assistenza per chi subisce i reati. Fratelli d’Italia-Alleanza Nazionale, invece, sarà sempre dalla parte delle vittime e mai con chi sta sbriciolando la certezza della pena". Giustizia: arrestati l’ex ministro Scajola e l’ex deputato di Forza Italia Matacena di Carlo Macrì www.corriere.it, 8 maggio 2014 L’operazione di questa mattina della Dia di Reggio Calabria nata dall’inchiesta sui fondi neri della Lega Nord, di cui è figura chiave il faccendiere Bruno Mafrici: emessi otto provvedimenti. Scajola avrebbe favorito la latitanza di Matacena. La Dia di Reggio Calabria ha arrestato l’ex ministro Claudio Scajola, la sua segretaria, Roberta Sacco, l’ex deputato di Forza Italia Amedeo Matacena, latitante da alcuni mesi per una condanna definitiva a cinque anni per concorso esterno in associazione mafiosa, sua moglie Chiara Rizzo (non reperibile), e la madre Raffaella De Carolis. L’ex ministro Claudio Scajola è stato arrestato perché avrebbe aiutato l’ex parlamentare Amedeo Matacena a sottrarsi alla cattura per l’esecuzione pena dopo essere stato condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa. Lo ha detto il procuratore di Reggio Calabria Federico Cafiero De Raho.Matacena è latitante a Dubai e, secondo gli inquirenti, tentava di trasferirsi in Libano con il supporto dell’ex ministro. Arrestati anche altri imprenditori italiani: in totale sono stati emessi otto provvedimenti. Le perquisizioni ordinate dalla Direzione antimafia di Reggio Calabria vanno dal Piemonte alla Sicilia. Sequestri in diverse società commerciali italiane, collegate a società estere, per un valore di circa 50 milioni di euro: Matacena tentava di salvaguardare il suo patrimonio, sottoposto a sequestro, facendolo confluire in società fittizie, a cui capo c’erano suoi factotum. Matacena infatti è un noto imprenditore, non solo calabrese, figlio dell’omonimo armatore, noto per avere dato inizio al traghettamento nello Stretto di Messina e morto nell’agosto 2003. I provvedimenti restrittivi sono stati emessi dal Gip Olga Tarzia. Berlusconi ha commentato: "Non so per quali motivi sia stato arrestato, me ne spiaccio e ne sono addolorato". L’ex Cavaliere precisa, in un’intervista a radio Capital, che Scajola non è stato candidato in lista non perché si avesse sentore di un arresto ma perché: "avevamo commissionato un sondaggio su di lui che ci diceva che avremmo perso globalmente voti se lo avessimo candidato". Le telefonate sospette L’inchiesta che ha portato all’arresto dell’ex ministro Claudio Scajola nasce da un filone dell’indagine "Breakfast", quella sui fondi neri della Lega Nord, coordinata dal sostituto procuratore della dda di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo. Personaggio di spicco in quest’inchiesta è Bruno Mafrici, un faccendiere legato al clan De Stefano di Reggio Calabria. L’utenza telefonica di Mafrici, che si spacciava per avvocato, era stata messa sotto controllo dagli uomini della Dia reggina. L’attenzione degli investigatori si è soffermata su alcune telefonate che l’uomo d’affari ha avuto con l’ex deputato di Forza Italia Amedeo Matacena. Le telefonate tra i due si sono fatte sempre più insistenti qualche mese prima che la condanna a sei anni di reclusione per associazione mafiosa diventasse definitiva per Matacena. Mafrici e Matacena parlavano di affari. Ed è proprio in questo contesto che si lega l’arresto dell’ex ministro dell’Interno Claudio Scajola. Il deputato ligure avrebbe intrattenuto rapporti definiti dalla Dia "sospetti"con la moglie di Matacena, Chiara Rizzo.In più Scajola ha "interessato" un faccendiere italiano con interessi in Libano per favorire la latitanza di Amedeo Matacena.Sarebbe lo stesso personaggio che avrebbe avuto contatti con Marcello Dell’Utri ai fini di una sua fuga nel Paese mediorientale. La casa al Colosseo L’ex ministro di Berlusconi era a Roma, in un noto albergo della capitale, quando è stato arrestato. "Appena espletate le operazioni consuete di identificazione, di elezione del domicilio, della nomina dei difensori, si deciderà a quale carcere assegnare Scajola", ha detto il procuratore capo di Reggio Calabria, Federico Cafiero De Raho. Scajola è stato ministro dell’Interno dal 2001 al 2002, incarico lasciato in seguito alle polemiche per le sue dichiarazioni su Marco Biagi. Ministro delle attività produttive dal 2005 al 2006, era poi stato nominato ministro dello Sviluppo economico nel 2008: ma si era dimesso nel maggio del 2010 per il coinvolgimento giudiziario nel caso della casa vicina al Colosseo, acquistata in parte con i soldi dell’imprenditore romano Diego Anemone. A gennaio 2014 Scajola è stato assolto perché il fatto non costituisce reato: i soldi erano stati versati "a sua insaputa". Giustizia: il figlio del boss che sceglie lo Stato di Luigi Ferrarella Corriere della Sera, 8 maggio 2014 Il padre boss ucciso in una faida, un fratello ergastolano al 41 bis, altri due fratelli pure in carcere per ‘ndrangheta: a 16 anni, con iniziativa senza precedenti, i giudici minorili di Reggio Calabria lo avevano tolto dalla famiglia per sottrarlo alla cultura criminale e fargli conoscere un’alternativa in una comunità di Messina e con i volontari di “Addiopizzo”. Ora il ragazzo dei Cordì di Locri scrive al Corriere: “Credevo che allo Stato non importasse niente delle persone, invece ho conosciuto uno Stato diverso che mi sta dando possibilità al posto di una strada per forza. Non rinnego la mia famiglia. Ma voglio scegliere una vita diversa”. “Credevo che allo Stato non gliene importasse niente delle persone, lo Stato era quello che ti portava via da casa”. Ma “in questi mesi ho conosciuto uno Stato diverso, che non mi ha voluto cambiare a tutti i costi, che per una volta ha cercato di capire chi ero io davvero. Non rinnego la mia famiglia”, ma “ho deciso che la mia vita deve essere diversa. Ora posso scegliere. Posso puntare in alto. Ci sono tanti ragazzi come me che avrebbero bisogno di uno Stato così. Non credono che esista. Io l’ho conosciuto e scrivo questa lettera perché anche gli altri lo sappiano”. Firmato: Riccardo Francesco Cordì. Il cognome è quello di una della più potenti famiglie di ‘ndrangheta della Locride: cognome del padre assassinato, di un fratello ergastolano al 41 bis per omicidio, di altri due fratelli in carcere per associazione mafiosa, e di decine di parenti arrestati o indagati. Il nome è invece quello dell’allora 16enne sul quale nel 2012 il Tribunale dei Minorenni di Reggio Calabria, presieduto da Roberto Di Bella, aveva scommesso per azzardare la prima di una serie di sfide apparentemente folli: sperimentare, nei confronti di famiglie di ‘ndrangheta, provvedimenti civili di decadenza o limitazioni della responsabilità genitoriale, con allontanamento temporaneo dei figli sino ai 18 anni, allo scopo di sottrarne lo sviluppo psicofisico ai deteriori modelli educativi mafiosi che altrimenti li consegnerebbero ad un ineluttabile destino criminal-familiare. Ora che Riccardo ha compiuto 18 anni, non solo il Tribunale certifica che è riuscita la messa alla prova, ma il giovane prende la coraggiosa decisione (da Locri, dove è tornato) di scrivere al Corriere - che un anno fa, senza farne il nome, aveva raccontato del provvedimento - per far sapere ai ragazzi come lui quali sconosciute opportunità possano avere fuori dall’orizzonte mafioso. Non era scontato. In fondo, poco prima dell’allontanamento dalla famiglia, era stato assolto per contraddittorietà della prova dal danneggiamento di un’auto della Polfer. E invece, una volta affidato a una comunità di Messina, il giovane ha ripreso ad andare a scuola, dove ha conquistato una importante promozione, lui che veniva da un rosario di bocciature; ha fatto amicizia con un giovane psicologo (Enrico Interdonato) dell’associazione “Addiopizzo” di Messina e con l’assistente sociale Maria Baronello, e ha “scoperto” che con i coetanei si può andare a ballare in discoteca o in gita al mare; ha preso a frequentare (all’inizio in incognito visto il corto circuito del suo cognome) le riunioni e il cineforum dell’associazione antiracket, a partecipare ai lavori di pubblica utilità nei quartieri disagiati, ad ascoltare i racconti di imprenditori vittime delle cosche. E, riflettendo su se stesso - che è già un piccolo evento per chi, come i rampolli dei boss, introietta l’obbligo di azzerare le proprie emozioni per non tradirsi e non tradire -, ha iniziato a comprendere che poteva rimpossessarsi di sé, in condizione di parità con i suoi coetanei: essere cioè apprezzato per le sue qualità personali e non più esclusivamente in funzione del malinteso “rispetto” che era abituato ad attendersi e a vedersi riconoscere dagli altri per il solo fatto di essere figlio di un boss e esponente di una “famiglia” il cui cognome intimidisce. Lui per primo ha scoperto che non era vero che “i giudici confiscano i bambini”. Al contrario, questi pioneristici provvedimenti non si propongono di sottrarre i figli alle cosche, ma anzi cercano una sorta di “alleanza” con i familiari che nell’interesse del figlio decidano di accompagnare il programma, cogliendone non lo scopo punitivo ma l’occasione (che una madre intrisa di cultura mafiosa non può da sola avere la forza di procurarsi) per evitare che il figlio finisca come il marito o i fratelli, e cioè o ucciso o al 41 bis. Così da un lato a Riccardo, in ragione della serietà del suo impegno, è stato via via consentito di tornare periodicamente a Locri dalla madre; e dall’altro lato sua madre è andata spesso a trovarlo a Messina, ha seguito un percorso di recupero delle competenze genitoriali presso il consultorio familiare, è entrata lei stessa nei locali di “Addiopizzo”. E tutto ciò con la tacita non opposizione dei tre fratelli del giovane, i quali, di fronte a “un giudice che per una volta si interessa di loro”, dal carcere non hanno tarpato l’unica chance per Riccardo di avere un futuro diverso dal loro in carcere. Dal seme già stanno nascendo frutti. Non soltanto uno specifico protocollo tra tutti i Tribunali e le Procure del distretto giudiziario di Reggio Calabria. Ma anche l’idea di studiare questo genere di provvedimenti per consentire il rapido ricongiungimento dei figli con le madri o i padri di una famiglia mafiosa che decidano di diventare testimoni o collaboratori di giustizia, al riparo dal rischio che i figli, lasciati nella famiglia di cosca, siano usati dai parenti mafiosi quale strumento di ricatto (come accaduto a Maria Concetta Cacciola, indotta al suicidio dai familiari nel 2011) o di rappresaglia (come nei confronti del pentito siciliano Santino Di Matteo, al quale Cosa nostra tenne per due anni sequestrato e poi sciolse nell’acido il figlioletto Giuseppe). In che modo? Dando al genitore testimone o collaboratore di giustizia (trasferito in località segreta e protetta) l’affido giuridico esclusivo del figlio, con eventuale provvedimento di decadenza o limitazione della responsabilità genitoriale nei confronti dell’altro genitore che rifiuti invece quella scelta o abbia contiguità criminali: lo si è già fatto con successo nei casi della collaboratrice di giustizia Giuseppina Pesce (le cui dichiarazioni molto hanno pesato per le condanne inflitte a Palmi nel processo “All Inside”) e della testimone di giustizia Simona Napoli. E per le donne di ’ndrangheta sapere che lo Stato offre una vera nuova opportunità di vita, non più da sole ma con i figli minorenni al seguito, potrebbe produrre effetti imprevedibili nel monolite di una struttura patriarcale nella quale, a suggello di patti tra le cosche, i matrimoni sono di fatto imposti a giovani donne, “imprigionate dalla e nella “famiglia” mafiosa. Lettere: i miei fratelli sono in carcere, io voglio un’altra vita, una vita normale di Riccardo Francesco Cordì Corriere della Sera, 8 maggio 2014 Caro direttore, sono un ragazzo di Calabria, provengo da Locri e mi chiamo Riccardo Cordì. Di me hanno scritto in molti, anche se non hanno mai fatto il mio vero nome. È capitato che scrivessero cose sbagliate: certo non era la loro storia, è la mia. Ora ho deciso di raccontarla. Il 7 marzo del 2011 sono stato arrestato dai carabinieri di Locri per furto e danneggiamento di un’auto della Polizia ferroviaria. A luglio mi hanno assolto con formula piena, ma nel frattempo era arrivata un’altra denuncia per rissa. È così che è cominciato tutto. Il Tribunale di Reggio ha deciso di allontanarmi da Locri per un anno, così da lasciarmi alle spalle certe esperienze. È iniziato il mio viaggio. Sono arrivato in Sicilia. All’inizio non è stato per niente facile, ero solo e lontano da casa. Tutto è cambiato quando mi hanno trasferito a Messina dove ho cominciato a vedere uno dei volontari di Addiopizzo Messina: uno psicologo, un ragazzo che mi ha accompagnato alla scoperta di una vita nuova. Nel periodo che ho trascorso a Messina infatti ho fatto cose, conosciuto persone, ho vissuto luoghi che non avevo mai visto. Una mattina, insieme a quel ragazzo, sono andato a vedere il mare. Si vedeva la Calabria, la mia terra. Stavolta però la guardavo da un’altra prospettiva: la osservavo da un altro luogo, ma ero io ad essere diverso. Ho deciso che la mia vita deve essere diversa. Voglio ritornare a Locri, ma non voglio più avere problemi con la giustizia. Non perché non mi conviene, ma anche perché voglio vivere sereno. Voglio essere pulito. Prima di vivere questa esperienza, credevo che allo Stato non gliene importasse niente delle persone. Lo Stato era quello che ti portava via da casa. E non sapevi se tornavi e quando tornavi. In questi mesi ho conosciuto uno Stato diverso, che non mi ha voluto cambiare a tutti i costi ma che per una volta ha cercato di capire chi ero io davvero. E chi sono io davvero? Un ragazzo di diciotto anni, un ragazzo come gli altri. Ero piccolissimo quando mio padre è stato ucciso, ho visto i miei fratelli finire in carcere. Per me vorrei un futuro diverso. Questo non vuol dire che rinnego la mia famiglia. Loro sono sempre i miei fratelli. La Calabria sarà sempre la mia terra. Solo che io vorrei essere un ragazzo come gli altri. Davanti a me adesso non c’è una sola strada che devo scegliere per forza. Quello Stato che prima era così lontano mi sta dando diverse possibilità. Ora posso scegliere cosa fare da grande. Posso scegliere che lavoro fare, in che città vivere. Posso puntare in alto. Non so se ce la farò, ma ci proverò. Di certo qualcosa è cambiato. Ce l’ho fatta, ce la posso fare. E non solo io. Ci sono tanti ragazzi come me che avrebbero bisogno di uno Stato così. Non credono che esista. Io l’ho conosciuto e scrivo questa lettera perché anche gli altri lo sappiano. La strada è ancora in salita. Ma non è vero che il lieto fine è solo un’illusione. Può essere realtà? Lazio: carceri sovraffollate, 1.700 detenuti di troppo la Fsn-Cisl chiede aumento personale Prima Pagina News, 8 maggio 2014 Carceri del Lazio, il sindacato Fns Cisl chiede l’integrazione di personale di polizia penitenziaria per gli istituti di pena, fra cui quello di Rieti, calcolando che nel Lazio c’è un sovraffollamento di detenuti di 1.797 unità. Nella nota rilasciata si legge "La Fns-Cisl Lazio da sempre ha condiviso l’iniziativa dell’Amministrazione Penitenziaria che tende a depotenziare la situazione di grave sovraffollamento della Regione Lazio, ma non può far a meno di segnalare la grave situazione in cui versano gli istituti Penitenziari della Regione ed in special modo quelli del NC-CC Rieti, Frosinone e Velletri. L’Istituto di Rieti a breve dovrà accogliere a pieno regine ulteriori n. 100 detenuti, dove risultano operanti e presenti 132 unità rispetto alle 199 previste". La nota prosegue affermando "ad oggi i reclusi presenti nei 14 istituti della Regione Lazio, risultano essere 6.635 di cui 464 donne, 1.797 in più rispetto ai 4.838 posti disponibili. Pur continuando a diminuire i detenuti nelle carceri italiane il dato per la Regione Lazio è in controtendenza, seppur di poco, rispetto a quanto fornito dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. La Fns-Cisl Lazio - conclude la nota - al fine di evitare situazioni di gravità negli istituti, anche in base ai numeri dei detenuti presenti i regione, ha chiesto al Dipartimento di Amministrazione Penitenziaria di voler programmare una adeguata integrazione del personale tutto, compreso quello dei ruoli Commissari, Ispettori, Sovrintendenti ed Agenti per poter gestire la situazione sopra rappresentata". Friuli Venezia Giulia: istituito il Garante regionale per i diritti dei minori e dei detenuti Il Quotidiano, 8 maggio 2014 Il Fvg istituisce il Garante per i diritti della persona, un organo che dovrà proteggere i diritti personali di minori, di persone detenute o trattenute in centri di accoglienza ed espulsione, e di persone a rischio di discriminazione. Lo prevede una legge approvata ieri dal Consiglio regionale, con i voti di Pd, Sel e del M5S, mentre il centrodestra aveva lasciato l’aula in polemica con alcune affermazioni del capogruppo di Sel, Giulio Lauri, che aveva citato, tra gli altri, i casi Cucchi e Aldrovandi. L’esponente di Sel aveva parlato di "ritardo culturale in tema di diritti che "affonda le sue radici anche in episodi collettivi e statuali della sua drammatica storia, dal Ventennio fascista al G8 di Genova". Nel campo della tutela delle persone private delle libertà personali, il garante, un organo di tre persone di nomina del Consiglio, potrà assumere iniziative per assicurare "il diritto alla salute e il miglioramento della qualità della vita", e potrà segnalare alle autorità competenti le situazioni relative a carenza di tutela o a comportamenti ritenuti lesivi. Palermo: ergastolano evade dal carcere Pagliarelli, è "caccia all’uomo" in tutta la città Tm News, 8 maggio 2014 Un detenuto albanese di 36 anni è fuggito stamani dal carcere Pagliarelli di Palermo, dove era rinchiuso con una condanna all’ergastolo per omicidio. L’uomo si sarebbe calato con una corda dalla cella e, una volta superata l’area di sicurezza intorno al penitenziario, avrebbe raggiunto la strada facendo perdere le sue tracce. La polizia ha già avviato la caccia all’uomo in tutta la città, con l’ausilio di unità cinofile e un elicottero. Pare che non sia la prima volta che l’uomo riesce ad evadere da un carcere. Appena un anno fa, infatti, l’albanese aveva eluso i controlli del carcere di Parma, venendo rintracciato soltanto diversi mesi dopo. L’uomo evaso dal Pagliarelli a Palermo, Valentin Frrokaj, è un detenuto albanese condannato all`ergastolo per omicidio e già fuggito lo scorso febbraio 2013 dal penitenziario di Parma. Oggi è evaso mentre era all’ora d’aria: approfittando della mancanza del poliziotto di sentinella sul muro di cinta, si è aggrappato al muro ed è fuggito. "Un evento gravissimo - commenta Donato Capece, segretario generale del sindacato autonomo polizia penitenziaria Sappe - per il quale sono già in corso le operazioni di polizia dei nostri Agenti finalizzare a catturare l`evaso. Queste sono le conseguenze dello smantellamento delle politiche di sicurezza dei penitenziari e delle carenze di organico della Polizia Penitenziaria, che ha 7mila agenti in meno. Non si facciano dunque volare gli stracci, ma i propugnatori della vigilanza dinamica delle carceri ovvero i vertici del Dap Tamburino e Pagano, si dimettano ammettendo la propria sconfitta". "Le carceri sono più sicure assumendo gli agenti di Polizia penitenziaria che mancano, finanziando gli interventi per far funzionare i sistemi anti-scavalcamento, potenziando i livelli di sicurezza delle carceri", prosegue Capece. "Altro che la vigilanza dinamica, che vorrebbe meno ore i detenuti in cella senza però fare alcunché. Al superamento del concetto dello spazio di perimetrazione della cella e alla maggiore apertura per i detenuti deve associarsi la necessità che questi svolgano attività lavorativa e che il personale di Polizia Penitenziaria sia esentato da responsabilità derivanti da un servizio svolto in modo dinamico, che vuol dire porre in capo a un solo poliziotto quello che oggi fanno quattro o più agenti, a tutto discapito della sicurezza. Le idee e i progetti che perseguono il capo del Dap Tamburino e il vice Pagano si confermano ogni giorno di più fallimentari e sbagliati. Per questo chiediamo al Ministro della Giustizia Orlando di avvicendare i due dirigenti, commissariando provvisoriamente il Dap per poi assegnare un nuovo Capo Dipartimento". Sindacati Polizia penitenziaria: carceri colabrodo "Tra vigilanza dinamica, sentenza Torreggiani, aperture di interi padiglioni detentivi con le note carenze di personale di Polizia, sommate al sovraffollamento, e al continuo taglio di risorse, le carceri oramai sono un colabrodo". Questo è il commento dei segretari regionali e nazionali di Sappe-Uilpa-Sinappe-Ugl-Fp Cgil, in merito all’evasione avvenuta oggi nel carcere Pagliarelli di Palermo. "Pur con una gravissima carenza di oltre 150 poliziotti - ricordano - il provveditore ha proceduto all’apertura di un nuovo padiglione con 400 posti, senza aumento di personale". "Come sigle sindacali che rappresentano oltre il 75% del personale - prosegue la nota - l’1 aprile abbiamo manifestato a Palermo, con oltre 400 poliziotti che hanno sfilato per la città chiedendo il ‘commissariamento’ del provveditorato delle carceri della Sicilia, con una urgente richiesta di incontro con il vice capo del dipartimento Luigi Pagano, ma come al solito prendono tempo per perdere tempo; nel frattempo i nostri colleghi subiscono lo smacco di una popolazione detenuta in continuo aumento, e con affanno operano sopportando l’onta delle oramai quasi quotidiane evasioni". "Sappiano i cittadini - continuano i sindacati - che oramai l’unico obiettivo posto in essere dalla politica e dall’amministrazione penitenziaria, è la spasmodica volontà di aprire le celle per fare stare bene i carcerati, che mal si concilia con i problemi di sicurezza delle carceri". I sindacati della polizia penitenziaria annunciano infine che "organizzeranno a breve il pullman della speranza che partirà da Palermo e si piazzerà sotto gli uffici del ministro Orlando". Teramo: Sindacato degli agenti Sappe all’attacco dopo drammatica rissa tra camorristi Il Centro, 8 maggio 2014 Se i sindacati rilanciano sulla carenza di personale, il direttore del carcere insiste su un concetto: "Sono episodi gravi ma rientrano nel contesto dell’imprevedibilità". Il giorno dopo la maxi rissa a Castrogno tra affiliati di clan casertani con il detenuto Palladino Spallieri, 28 anni, finito in rianimazione dopo essere stato colpito alla testa con uno sgabello, sul caso imperversano le polemiche. Parallelamente l’inchiesta del pm Silvia Scamurra procede per rissa aggravata da lesioni: reato contestato a tutti e sette, compreso il ferito. Gli altri sei reclusi sono tutti in stato di isolamento. Il Sindacato Sappe Il sindacato chiede l’intervento del Dap, il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, e rilancia la carenza di agenti di polizia penitenziaria. "La rissa nel carcere di Teramo", scrivono in una nota il segretario nazionale Donato Capece e quello provinciale Giuseppe Pallini, "conferma che tenere i detenuti a non far nulla, anche nei momenti previsti di socialità, può essere grave e pericoloso. Ma deve fare seriamente riflettere anche sulle pericolose condizioni di lavoro dei poliziotti penitenziari che ogni giorno di più rischiano la propria vita nelle incendiarie celle delle carceri italiane". Aggiungono Capece e Pallini: "Altro che vigilanza dinamica, come vogliono i vertici dell’amministrazione penitenziari. Al superamento del concetto dello spazio di perimetrazione della cella e alla maggiore apertura per i detenuti deve associarsi la necessità che questi svolgano attività lavorativa e che il personale di polizia penitenziaria sia esentato da responsabilità derivanti da un servizio svolto in modo dinamico, che vuol dire porre in capo a un solo poliziotto quello che oggi fanno quattro o più agenti, a tutto discapito della sicurezza. Le idee e i progetti che il capo del Dap Tamburino e il vice Pagano si ostinano a propinare non tengono conto della realtà delle carceri, che non sono collegi per educande, e rispondono alla solita logica "discendente" che "scarica" sui livelli più bassi di governance tutte le responsabilità. E ricadono sulle spalle di noi poliziotti, che stiamo 24 ore al giorno in prima linea nelle sezioni detentive". Per il Sappe "la situazione penitenziaria è sempre più incandescente e rincorrere la vigilanza dinamica e i patti di responsabilità con i detenuti, come vorrebbe il Dap, è una chimera: cosa dovrebbero fare tutto il giorno i detenuti, girare a vuoto nelle sezioni e nei padiglioni detentivi? In carcere quello che manca è il lavoro, che dovrebbe coinvolgere tutti i detenuti dando quindi anche un senso alla pena, non farli stare nell’ozio assoluto. E aprire le celle dodici ore al giorno senza fare nulla non risolve i problemi, anzi". Il Direttore di Castrogno Dice il direttore del carcere Stefano Liberatore: "Sono episodi gravi, ma restano in un contesto di imprevedibilità. Nell’ambito di una gestione apparentemente ordinaria di sicurezza penitenziaria è impossibile, anche alla luce delle ristrettezze economiche del momento, fare ricorso a mezzi di vigilanza straordinari. Anche perché deve essere sempre rispettato il diritto alla socialità del detenuto". Castrogno ospita attualmente circa 360 detenuti ed è ritenuto uno dei penitenziari più sovraffollati della regione. I sindacati in passato hanno contestato, oltre alla carenza di personale anche il fatto che in carcere ormai da tempo le telecamere non funzionino più. "È un problema di cui il Dap è a conoscenza", spiega Liberatore, "e sono allo studio nuove soluzioni di sorveglianza dinamica". La violenta rissa, su cui indaga la polizia penitenziaria, è avvenuta martedì mattina nell’ala dell’alta sicurezza, durante le due ore concesse ai detenuti per uscire dalle celle, andare in cortile o nella saletta. I sette detenuti coinvolti nella rissa sono tutti dell’area del Casertano: è probabile che la rissa non sia nata da un momento all’altro, ma che il gruppo già da tempo avesse questioni in sospeso e che martedì mattina ci dovesse essere un chiarimento. È probabile che nei prossimi giorni la stessa direzione del carcere chieda all’amministrazione penitenziaria dei provvedimenti di allontanamento da Castrogno dei reclusi coinvolti nella violenta colluttazione. Va detto che non è la prima volta che nel carcere teramano si verificano zuffe tra i detenuti, ma è la prima volta che uno di loro resta ferito gravemente. Il ferito resta in coma: è sorvegliato 24 ore su 24 da tre agenti È piantonato da tre agenti che lo controllano 24 ore su 24: il detenuto Palladino Spallieri, 28 anni, ricoverato in rianimazione dopo essere stato colpito da uno sgabello durante una rissa con altri detenuti, è sorvegliato 24 ore su 24. Un sistema di vigilanza predisposto dall’amministrazione penitenziaria. Le sue condizioni sono stabili ed è in coma farmacologico. La Tac eseguita appena arrivato all’ospedale Mazzini ha accertato che l’uomo aveva un vasto ematoma nella zona temporale destra del cervello. È stato subito sottoposto ad un intervento chirurgico, da parte dell’equipe di neurochirurgia, per la rimozione dell’ematoma. Successivamente è stato ricoverato in prognosi riservata nel reparto di rianimazione dove viene piantonato da tre agenti di polizia penitenziaria. Terni: in arrivo 170 detenuti, riunione in prefettura per attività info-investigativa polizia Ansa, 8 maggio 2014 Sarà intensificata l’attività info-investigativa delle forze dell’ordine, con la collaborazione della polizia penitenziaria, in occasione dell’arrivo dei 170 nuovi detenuti nel carcere di Terni: il costante controllo del territorio e l’alto livello di attenzione, per impedire infiltrazioni criminali, sono stati infatti assicurati nel corso della riunione che si è svolta oggi, convocata dal prefetto Gianfelice Bellesini su sollecitazione del sottosegretario all’Interno Gianpiero Bocci e del sindaco Leopoldo Di Girolamo. All’incontro hanno partecipato, tra gli altri, anche il presidente della Provincia Feliciano Polli, la direttrice del carcere Chiara Pellegrini, il comandante della polizia penitenziaria Fabio Gallo e i rappresentanti delle organizzazioni sindacali di polizia penitenziaria. Bellesini - si legge in una nota della prefettura - ha ricordato che le problematiche relative ai trasferimenti sono state già analizzate nel corso del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica che si è svolto il 24 aprile scorso. I sindacati hanno segnalato i problemi legati alla sicurezza all’interno del carcere, alla carenza degli agenti di polizia penitenziaria (circa 40 in meno rispetto all’organico previsto), alla insufficiente dotazione di mezzi blindati e di alloggi per il personale. La direttrice del carcere ha evidenziato invece la necessità di procedere all’ampliamento del reparto detentivo nell’ospedale di Terni, auspicando inoltre un maggiore utilizzo del sistema delle videoconferenze per i detenuti. Il prefetto ha assicurato che trasferirà al ministero della Giustizia le problematiche emerse, dando la disponibilità ad ulteriori momenti di confronto. Reggio Emilia: la Garante regionale Desi Bruno "Chiusura dell’Opg? Difficile nel 2015" La Gazzetta di Reggio, 8 maggio 2014 "I numeri stanno progressivamente diminuendo. Ma la chiusura dell’Opg per la metà del 2015 mi sembra difficile. La Regione Emilia Romagna sta facendo la sua parte, ma sono le altre regioni a essere in ritardo". Il Garante regionale per i detenuti, l’avvocatessa Desi Bruno, commenta così la visita realizzata ieri nell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di via Settembrini. Accompagna da una sua delegazione e dal direttore degli istituti penitenziari Paolo Madonna, ha visitato solo l’Opg dove un internato aveva chiesto di vederla. E assicura che tornerà presto a visitare anche il resto del penitenziario. "A oggi - spiega il Garante - ci hanno detto che gli internati sono 203. Di questi, 40 sono dell’Emilia Romagna. Ci hanno spiegato, che ci sono 27 minorati psichici, 147 in stato di sospensione della pena per sopraggiunta infermità, 32 in esecuzione della pena, 32 seminfermi, cinque in osservazione". "E forse è questo l’aspetto anomalo - fa notare Bruno - perché in realtà a Piacenza è stato aperto un reparto di osservazione. Dovrebbero dunque andare là, per un periodo non superiore a 30 giorni, e invece evidentemente passano ancora per l’Opg di Reggio". La riflessione, inevitabilmente, finisce sulla tempistica che anche l’Emilia Romagna si è data per arrivare alla chiusura dell’Opg e al trasferimento di questi internati nelle cosiddette Rem (Residenze per l’esecuzione misure di sicurezza). Un avvicendamento più volte prorogato con il decreto per il superamento degli Opg e che riaffida gli internati ciascuno alla propria regione. Per la prossima data, fissata per la metà del 2015, l’assessore regionale alla Sanità Carlo Lusenti ha detto che l’Emilia Romagna sarà pronta. "C’è ancora tempo rispetto a quella data, ma mi sembra difficile che possa essere rispettata - commenta il Garante. E non per colpa dell’Emilia Romagna che sarà pronta per i suoi circa 40 internati, ma per quello che accade nelle altre. In un anno regioni come la Sicilia difficilmente potranno recuperare un ritardo di almeno sette anni, dato che solo ora stanno facendo il passaggio della medicina penitenziaria al servizio sanitario pubblico. Io francamente ho qualche perplessità. Intanto, sta avvenendo la presa in carico da parte di alcune regioni dei proprio internati. È un passaggio cruciale per arrivare alla definitiva chiusura degli Opg per la detenzioni in luoghi sicuramente più belli, con migliore assistenza. Che certamente faranno la differenza". Sanremo: Segretario regionale Sappe visita il carcere "valvola di sfogo per tutta Liguria" www.riviera24.it, 8 maggio 2014 "Il personale di Sanremo opera con determinazione in un ambiente che è tra l’altro, contraddistinto da una forte presenza di detenuti stranieri che rappresentano il 55% dei reclusi, cioè 142 su 261". Visita preannunciata della segreteria regionale del Sappe - maggior sindacato di categoria - alla casa Circondariale di Sanremo. Il segretario Michele Lorenzo, ha avuto modo di constatare le condizioni di lavoro della Polizia Penitenziaria. "Ho voluto appurare di persona quello che più volte è stato oggetto di contestazione da parte dei colleghi di Sanremo - dichiara Lorenzo - ossia la criticità del lavoro riconducibile alla variegata e pericolosa tipologia dei detenuti; il personale di Sanremo opera con determinazione in un ambiente che è tra l’altro, contraddistinto da una forte presenza di detenuti stranieri che rappresentano il 55% dei reclusi, cioè 142 su 261. Quello che allarma il Sappe è dunque la tipologia dei detenuti presenti che implementa molto il livello di sicurezza dell’istituto e innalza il livello di pericolosità interna. "Contestiamo - continua Lorenzo - che l’istituto di Sanremo sia diventato una valvola di sfogo della Liguria con l’assegnazione di soggetti di difficile gestione. Continuano a giungere detenuti con problemi psichiatrici, oggi ce ne sono più di 20, in un istituto dove la presenza del psichiatra è garantita una o massimo 2 volte alla settimana, con grave ricaduta sul personale della Polizia penitenziaria che deve operare in criticità e senza strumenti. 41 sono i detenuti reclusi per reati a sfondo sessuale, detenuti che non sono graditi nelle altre carceri, una decina sono i detenuti soggetti ad alta sicurezza, come quelli del famoso processo "la svolta", 17 sono detenuti che collaborano con la magistratura mentre 5 sono i detenuti che hanno contraddistinto la cronaca nera non solo della Liguria ma di tutt’Italia, come Delfino o Galliano che proprio oggi è stato artefice di un atto di autolesionismo, prontamente soccorso e salvato dalla Polizia Penitenziaria. È un carcere difficile. Abbiamo appurato che la direzione ed il commissario comandante dirigono l’istituto per evitare incresciosi episodi tumultuosi che in passato si verificavano con frequenza, ma sicuramente possono anzi devono fare qualcosa di più a favore della Polizia penitenziaria, lasciata troppo sola. Grave la carenza di personale di Polizia Penitenziaria. Da un organico previsto di 250 unità, se ne contano solo 177. È questo è un altro dato negativo sul quale sarà intenzione del Sappe chiedere concreti interventi al Ministro della Giustizia Orlando ed ai vertici dell’Amministrazione Penitenziaria Venezia: le detenute sarte per il Teatro della Fenice, vestiranno il coro della "Tosca" di Alice D’Este Io Donna, 8 maggio 2014 Due maestre, un manipolo di carcerate che ogni giorno diventano sempre più brave. E ora alle ragazze della sartoria dell’Istituto di detenzione femminile della Giudecca è arrivato un incarico importante: vestire il coro della "Tosca". Sulla parete di fondo, appiccicati con le puntine ad un pannello ci sono i modelli degli abiti, disegnati a mano. Negli scaffali si mescolano stoffe e rocchetti. Sembra una sartoria come tante, ma è quella del carcere della Giudecca. Sui manichini al centro della stanza ci sono gli abiti con gli aghi puntati. Lì le mani delle detenute sfiorano le stoffe rimodellandone le pieghe per renderle perfette. Fanno un lavoro preciso, millimetrico, sotto gli occhi attenti di Annalisa Chiaranda e Patrizia Losappio, le sarte che si occupano del progetto per la cooperativa "Il cerchio". Hanno un appuntamento importante la prossima settimana. Quello con la "Tosca" alla Fenice di Venezia. Che ha affidato alla sartoria dell’istituto di penitenza femminile gli abiti di tutto il coro. "Quaranta suore, 17 cardinali, 17 preti, 19 chierichetti sono tantissimi - scherza F - c’è da lavorare parecchio ma sono soddisfazioni. Sapere che i nostri abiti saranno sul palco mi emoziona. Abbiamo partecipato alla sfilata ufficiale del Carnevale di Venezia, abbiamo perso il primo premio per un soffio". Sono orgogliose del loro lavoro e non lo nascondono. A dare forma a quelle stoffe sono loro, con la loro abilità. "Imparo per quando sarò fuori - dice T, che viene dalla Moldavia - ho tre figli, nelle ore in cui sono qui riesco a pensare che sto facendo qualcosa per loro". Le sue mani si muovono sicure, segnano punti nella stoffa. Poi alza gli occhi, sorride: "Non ero mica così brava una volta, eh". Qualcuna lo fa da tre anni, qualcun’altra appena da qualche mese e allora si schernisce. Poi ci sono le veterane. Per tutte cucire è uno stimolo, un modo per guardare avanti. "Quando uscirò farò la parrucchiera - dice. E che cuce soprattutto borse - ma venire qui aiuta, ti fa sentire utile". "La giornata cambia completamente quando la sartoria è chiusa - dice Giovanna, 54 anni - le feste sono interminabili. Il tempo passato qui vola, quello altrove no. Stai lì a leggere, a parlare. A pensare. E non passa più". Il laboratorio così com’è (prima si cucivano solo le divise) esiste dal 2001. Dopo 13 anni ora la sartoria del carcere ha un punto vendita, produce abiti per le opere del Teatro La Fenice e a metà giugno presenterà la collezione con una sfilata all’isola di San Giorgio, proprio davanti a Piazza San Marco. "Prima siamo partite con le borse poi, piano piano, sono arrivati gli abiti - dice Chiaranda - lino, seta, cotone stampato. Quando sono arrivata ho comprato stoffe belle, la creatività comincia così, dalla bellezza". Udine: defibrillatore donato a una scuola attraverso la vendita dei dolci fatti dai detenuti www.udinetoday.it, 8 maggio 2014 I detenuti della Casa Circondariale di Udine, attraverso una raccolta fondi e la vendita dei dolci friulani realizzati durante un progetto dolciario da loro svolto, hanno donato un defibrillatore all’infermeria dell’Isis "A. Malignani". Un mini progetto dolciario "Made in Carcere", dolci friulani prodotti artigianalmente, realizzato grazie alla direzione della Casa Circondariale di Udine e all’Associazione "Speranza" Volontari Penitenziari Onlus. "Per sentirci meno diversi, esseri umani capaci di poter aiutare quella società di cui siamo ben consapevoli di averne violato le regole. - hanno affermano Daniele Peri e Roberto Novelli, i due ospiti della Casa Circondariale di Udine che oggi hanno consegnato con orgoglio e tanta emozione, nelle mani della dirigente scolastica Ester Iannis il defibrillatore acquistato con il ricavato della vendita dei dolci unitamente ad una ulteriore raccolta fondi effettuata tra gli ospiti stessi della Casa Circondariale. Il frutto di questa produzione e il contributo economico dei nostri compagni ci ha permesso di realizzare il sogno di tutti noi detenuti: un aiuto alla società e ai giovani di questa prestigiosa scuola a cui affidiamo questo momento di riflessione". Una sorveglianza professionale, in una situazione familiare e umana, in un ambiente sano e pulito, certamente diverso rispetto alla nota situazione carceraria nazionale - questo a detta degli stessi ospiti- ma certo la possibilità di collaborazioni con enti esterni all’ambiente carcerario, permettono quella "osmosi fuori-dentro il carcere che rientra nei processi di reintegrazione nella società, per cui la pena dovrebbe servire - ha affermato il direttore della Casa Circondariale Irene Iannucci - e permette di valorizzare l’aspetto umano ed emotivo dell’attività svolta". Alla cerimonia erano presenti l’assessore provinciale all’istruzione e alle attività sportive Beppino Govetto e l’assessore allo sport e all’educazione del Comune di Udine Raffaella Basana. Entrambi hanno sottolineato l’importanza dell’iniziativa e i complimenti alle istituzioni che hanno permesso di realizzarla. Oltre al presidente dell’associazione "Speranza" Enrico Ponta, attiva con volontariato sociale all’interno del carcere da ormai 20 anni, era presente anche la prof.ssa Maria Piani, dirigente scolastica del Ctp (Centro Territoriale Permanente) situato presso la scuola media "via Petrarca" (ex Valussi) nell’Istituto Comprensivo II. La dirigente Piani ha sottolineato il progetto in essere con l’Isis Malignani che consente agli ospiti della Casa Circondariale udinese di frequentare il biennio formativo dell’istituto tecnico per poter ricevere il titolo di ammissione al 3° anno: le lezioni vengono tenute da docenti del Malignani in sinergia con docenti della scuola carceraria. "Nel Ctp abbiamo inserito anche corsi per la licenza media - afferma Piani - corsi di italiano, di lingua inglese, di informatica e anche percorsi specifici di educazione fisica grazie alla Polisportiva del Malignani". Il prof. Marco Michelutti della Polisportiva Malignani, coadiuvato dal dr. Alessandro Milan e la dott.sa Caterina Driussi medici di medicina sportiva, hanno quindi illustrato l’importanza di un pronto intervento in caso di cardiopatia ischemica."l’80% delle morti improvvise tra i giovani è risolvibile se si interviene entro i 5 minuti dall’assenza respiratoria e assenza di polso, con circolazione cardiopolmonare e con un defibrillatore" ha affermato il dr. Milan. Al Malignani saranno 12 docenti di educazione fisica e alcuni studenti del gruppo di Protezione Civile a seguire l’iter teorico-pratico che consentirà loro di utilizzare con cognizione di causa il defibrillatore. "Le palestre del Malignani sono utilizzate dalle 8 del mattino alle 23.00, dagli studenti della scuola così come da tutti coloro che frequentano i vari corsi delle associazioni sportive ospitate. Quella con il Ctp e la Casa Circondariale è una relazione che oggi si arrichisce di nuova valenza umana oltre che sociale" ha affermato Ester Iannis. Torino: progetto "Sicurimpariamo" primo "Circolo della salute" per i detenuti minorenni da Luigi Palamara www.mnews.it, 8 maggio 2014 L’iniziativa è nata nell’ambito del progetto "Sicurimpariamo al Ferrante Aporti" promosso dalla prefettura piemontese. On line un vademecum realizzato dai ragazzi. Nell’Istituto penale minorile Ferrante Aporti di Torino è attivo da quasi due anni il Circolo della salute e della sicurezza, struttura di coordinamento che promuove iniziative per la diffusione - e la messa in pratica - della cultura della sicurezza, della salute e del benessere negli ambienti carcerari. Il Circolo, previsto come tipologia di struttura dai documenti-guida di livello internazionale in materia, esprime la voce dei giovani detenuti - 14-18 anni la fascia anagrafica degli ospiti, che arriva a 21 quando il reato è stato commesso prima della maggiore età - e quella degli operatori che lavorano in carcere con loro, dalla direzione dell’istituto alla Polizia penitenziaria, dal personale medico agli psicologi e mediatori culturali, proponendosi come luogo di incontro, confronto e scambio. La struttura è nata nell’ambito del progetto "Sicurimpariamo al Ferrante Aporti" promosso dal Comitato provinciale di studio e coordinamento sulla salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro operativo dal 2007 nella prefettura del capoluogo piemontese. I risultati del progetto, realizzato in collaborazione con il periodico "Sicurezza e Lavoro" che ha curato le attività di informazione sui progetti del comitato, sono stati presentati ieri nella sede dell’ufficio territoriale del governo con la partecipazione del prefetto Paola Basilone. Per la prima volta, ha sottolineato il viceprefetto Maurizio Gatto, coordinatore del Comitato, "i temi della sicurezza del lavoro entrano, nel quadro di un articolato progetto, all’interno di una struttura carceraria minorile, per realizzare un percorso formativo rivolto in una prima fase agli operatori, allo scopo di fornire loro gli strumenti necessari a operare con i giovani reclusi educandoli - nella seconda fase - a una cultura condivisa della sicurezza e salute nei luoghi di vita e di lavoro, anche in vista del loro rientro nella società civile". Con l’avvio della prima fase del progetto, dedicata agli operatori del carcere, è stato distribuito loro un questionario finalizzato a mettere a punto percorsi di apprendimento mirati, mentre nella seconda fase, dedicata ai ragazzi, i partecipanti sono stati coinvolti in un gruppo di lavoro che ha prodotto, al termine del lavoro, un vademecum. Il documento, consultabile, on line, esplora, in un’ottica di prevenzione, tutti gli aspetti della vita in carcere legati all’igiene personale e degli ambienti di vita e di lavoro, e alla salute. Tra i temi più approfonditi dai ragazzi, quello della salubrità dei luoghi dove vivono e lavorano e quello dell’inserimento nella vita lavorativa. Il progetto è realizzato con il cofinanziamento dell’Inail e con il supporto di una serie di enti tra i quali l’Istituto comprensivo statale di via Sidoli, l’Università di Torino e l’azienda sanitaria locale n.1. Viterbo: cura della psoriasi in carcere, alla Ausl nasce il primo servizio sperimentale www.viterbonews.it, 8 maggio 2014 Al via a Viterbo il progetto sperimentale "Dermatologia protetta" per assicurare il trattamento delle persone affette da psoriasi, in stato di detenzione. Da un’idea di Adipso (Associazione per la difesa degli psoriasici) e Simpse (Società italiana di medicina e sanità penitenziaria), e reso possibile grazie al sostegno della direzione generale della Ausl Viterbo, il progetto ha richiesto la creazione di una rete di collaborazione che ha coinvolto il Centro specialistico di riferimento per la psoriasi dell’ospedale Belcolle, con la necessaria e indispensabile approvazione del Ministero di Giustizia. "Il diritto alla cura è imprescindibile - afferma Mara Maccarone, presidente di Adipso -. Un detenuto non solo può, ma deve poter aver accesso alle terapie più adeguate per la patologia da cui è affetto. Nel caso della psoriasi, che è una malattia cronica, questo è ancor più importante per evitarne il peggioramento e la comparsa di comorbidità". Secondo le statistiche, soffre di psoriasi il 4% della popolazione e, sebbene non siano disponibili dati certi per quanto riguarda l’incidenza della patologia all’interno degli istituti penitenziari, se si applica la stessa percentuale a un totale di 60mila detenuti ospitati nelle strutture carcerarie italiane, il calcolo è presto fatto: 2.400 potenziali pazienti presenti ogni giorno. Stima che va considerata per difetto se si pensa che nelle nostre strutture penitenziarie transitano circa 100mila persone in un anno. In considerazione di questi numeri decisamente importanti, il progetto "Dermatologia protetta" acquisisce un valore rilevante da un punto di vista dell’assistenza in ambito detentivo, non solo perché ha consentito la creazione del primo servizio sperimentale in Italia per la cura della psoriasi in carcere, ma anche come esempio di integrazione fattiva tra pubblico, privato e associazionismo. Il progetto, infatti, prevede la possibilità di visite specialistiche e di indicazioni terapeutiche presso la struttura di Mammagialla e presso il reparto di Medicina protetta di Belcolle grazie a una borsa di studio messa a disposizione di Adipso e Simpse con un contributo incondizionato da parte dell’azienda farmaceutica Pfizer. "La psoriasi è una patologia di non semplice cura - commenta il direttore sanitario della Ausl, Patrizia Chierchini - che richiede necessariamente l’intervento di uno specialista dermatologo. L’essere riusciti a centrare questo obiettivo è per noi motivo di soddisfazione. Il risultato, infatti, è stato raggiunto grazie anche alla partecipazione convinta della componente pubblica del progetto. Mi riferisco al Ministero della Giustizia, al penitenziario viterbese, diretto da Teresa Mascolo, e ovviamente alla nostra azienda che, per questa iniziativa, ha messo in campo le direzioni sanitarie del Distretto 3 e di Belcolle, la Medicina penitenziaria territoriale e quella protetta e l’unità operativa di Dermatologia". Catanzaro: scarcerazione del detenuto malato Alessio Ricco, soddisfatti Pd e Radicali www.cn24tv.it, 8 maggio 2014 Il Tribunale del Riesame di Catanzaro, in riforma dell’Ordinanza emessa dalla Corte di Appello di Catanzaro ed all’esito degli accertamenti specialistici effettuati, ha disposto la immediata scarcerazione del giovane cetrarese Alessio Ricco, 29 anni, detenuto in custodia cautelare presso la Casa Circondariale di Catanzaro Siano, gravemente ammalato di artrite reumatoide. "A Ricco, - si legge in una nota di Emilio Quintieri, dei Radicali Italiani - condannato in appello per narcotraffico, difeso dagli Avvocati Giuseppe Bruno del Foro di Paola e Cesare Badolato del Foro di Cosenza, i Giudici del Riesame hanno concesso gli arresti domiciliari presso la sua abitazione in Cetraro dalla quale, potrà uscire con il consenso dell’Autorità Giudiziaria, per effettuare tutte le cure necessarie di cui ha bisogno. Nei mesi scorsi, la sua situazione, era giunta all’attenzione del Ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri grazie all’intervento di Emilio Quintieri, esponente del Partito Radicale. Successivamente, Quintieri, insieme a Sabatino Savaglio ed a Enza Bruno Bossio, Deputato del Partito Democratico e membro della Commissione Bicamerale Antimafia, si erano recati in visita ispettiva presso l’Istituto Penitenziario di Catanzaro per far visita al giovane ammalato, protestando per le cattive condizioni in cui veniva tenuto prigioniero. Inoltre, proprio di recente, la Parlamentare particolarmente sensibile ai problemi del "pianeta carcere", aveva effettuato con i Radicali una ulteriore ispezione per accertare le condizioni di detenzione. Secondo gli esponenti politici la sua problematica di salute non era compatibile con il regime carcerario per cui ne sollecitavano la scarcerazione o, diversamente, il ricovero in una struttura sanitaria idonea. Alla fine, hanno avuto ragione. Infatti le conclusioni medico legali dei Medici Saverio Natì e Giovanni Pepe, sono state abbastanza chiare "a distanza di circa 6 mesi dall’inizio del trattamento con Methotrexate, la malattia non ha ancora raggiunto la remissione clinica né la condizione di Low Disease Activy (malattia a lenta attività): il Ricco Alessio è da ritenere, pertanto, un non-responder al Methotrexate. Non solo non si è raggiunta la remissione clinica ma, addirittura, il caso in esame concreta una malattia in fase attiva, come dimostrano i segni e i sintomi di malattia tutt’ora presenti ed altamente invalidanti. Tale condotta terapeutica impone un ravvicinato monitoraggio delle condizioni cliniche che non è possibile eseguire all’interno di una Casa Circondariale dove rileva la scarsità di servizi sanitari specialistici e di personale specializzato nel trattamento del methotrexate ad elevato dosaggio. Si rende, quindi, necessario il trasferimento del Ricco Alessio in un Centro Reumatologico ad alta specializzazione, sia esso di ordine penitenziario o - in sua assenza - extracarcerario, atteso che l’attività della malattia di cui è portatore è tale da non consentire una adeguata cura in stato di detenzione in carcere. In subordine, ove l’Amministrazione Penitenziaria dello Stato, si dimostri non solo in grado di curare adeguatamente il Ricco Alessio, attraverso l’istituto degli arresti domiciliari presso un idoneo luogo di cura ad alta specializzazione, ritengo che sia opportuno porre il Ricco Alessio nelle condizioni di provvedere alle cure di cui ha bisogno in modo autonomo. Relativamente all’ambiente carcerario in cui il Ricco Alessio è detenuto, certamente non è possibile affermare che esso sia congruo e adeguato a chi soffre di artrite reumatoide : sovraffollamento, stato delle cose degradate, celle piccole e grondanti di umidità, igiene personale con acqua fredda sono tutti fattori che sicuramente non favoriscono la remissione clinica della malattia". Sul caso di Ricco, proprio questa mattina, l’Onorevole Daniele Farina, Capogruppo di Sinistra Ecologia e Libertà in Commissione Giustizia alla Camera dei Deputati, aveva interrogato i Ministri della Giustizia e della Salute Andrea Orlando e Beatrice Lorenzin, per sapere quali informazioni disponesse il Governo in merito, quale sia stata l’assistenza sanitaria prestata al detenuto e se la stessa sia stata adeguata, per quali motivi lo stesso non fosse stato immediatamente trasferito in un Centro Clinico dell’Amministrazione Penitenziaria nonostante le sollecitazioni effettuate in tal senso e quali iniziative i Ministri interrogati, ognuno per la parte di propria competenza, intendevano adottare per garantire il fondamentale diritto alla salute del detenuto, assicurandogli un trattamento penitenziario che non fosse contrario al senso di umanità come previsto dalla Costituzione Repubblicana e dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Ricco avrebbe dovuto essere già stato scarcerato da tempo - dice il radicale Quintieri - perché le sue gravi condizioni erano evidenti ma, anche in questo caso, si è voluto perdere inutilmente del tempo prezioso. Ovviamente, a mio avviso, ci sono delle omissioni e responsabilità precise e lo Stato sarà chiamato a risponderne dinanzi alla Corte Europea dei Diritti Umani di Strasburgo. Stiamo già preparando il ricorso per Ricco, conclude Emilio Quintieri, chiedendo la condanna dello Stato per violazione dell’Art. 3 della Convenzione Europea con richiesta di congruo risarcimento danni". Enza Bruno Bossi (Pd): bene scarcerazione detenuto ammalato "La decisione del Tribunale del Riesame di Catanzaro di disporre la scarcerazione del giovane Alessio Ricco è la conferma della sussistenza della incompatibilità con il regime carcerario per le sue gravi condizioni di salute". Lo sostiene, in una dichiarazione, la deputata del Pd Enza Bruno Bossio. Alessio Ricco, di 29 anni, condannato con l’accusa di narcotraffico e detenuto nel carcere di Catanzaro, è affetto da artrite remautoide. "L’appello che ho lanciato - aggiunge Bruno Bossio - insieme agli esponenti del Partito radicale in occasione della visita ispettiva che abbiamo condotto nei giorni scorsi nella casa circondariale di Catanzaro-Siano non è caduto nel vuoto. La grave patologia che affligge Alessio Ricco non poteva essere curata in condizione di detenzione, ma imponeva, anche secondo i pareri medico-legali, una azione terapeutica presso un idoneo luogo di cura ad alta specializzazione. La disposizione del Tribunale del Riesame è il riconoscimento per il giusto trattamento di un caso al quale si era interessata, su mia segnalazione, la Ministra della Giustizia Anna Maria Cancellieri già nello scorso mese di gennaio. Piena soddisfazione, dunque, per il fatto che ora Alessio Ricco potrà curarsi a casa assistito dalla sua famiglia e vicino alla sua bambina, finendo di scontare la sua pena". Pescara: si è svolto ieri il convegno "Carcere e Territorio"… ripensare il sistema penale di Nazario Pascale www.lopinionista.it, 8 maggio 2014 L’incontro, da cui è emersa la necessità di ripensare, in chiave regionale, i principi di base e le azioni specifiche del carcere, ha evidenziato che i cambiamenti in atto nel mondo penitenziario, la consapevolezza dei diritti delle persone detenute, l’ulteriore crescita dell’integrazione Europea spingono ad affrontare nuove sfide con la partecipazione e la condivisione dei diversi soggetti pubblici e privati responsabili. Il sindaco di Pescara Luigi Albore Mascia intervenuto all’evento ha affermato che deve esserci certezza della pena, ma anche ,una volta espiata la propria condanna, la certezza del recupero di chi è costretto, per un errore, a trascorrere un pezzo della propria vita in una struttura detentiva. Il primo cittadino ha sottolineato anche la necessità di una riforma del sistema detentivo, che deve riacquistare un’umanità fondamentale per garantire il rispetto dell’essere. Il Comune di Pescara ha attivato molti progetti-pilota che hanno consentito di impiegare i detenuti in progetti concreti sulla città, progetti tesi a garantire un futuro a chi ha sbagliato, anche attraverso la figura del Garante dei Detenuti, carica ricoperta dall’avvocato Fabio Nieddu. "Sappiamo che i dati diffusi dal Consiglio d’Europa sulla situazione nelle carceri degli Stati membri, al 2012, hanno confermato la gravità della condizione nazionale legata al sovraffollamento delle strutture – ha sottolineato il sindaco Albore Mascia. E parliamo di un anno prima di quel gennaio 2013, quando la Corte di Strasburgo ha condannato l’Italia per la situazione delle carceri nazionali, dandole tempo sino al prossimo 27 maggio per individuare soluzioni in grado di sanarne le lacune e migliorare le condizioni di vita all’interno delle strutture detentive. L’Italia, nel 2012, presentava numeri inquietanti: 66mila 271 detenuti contro i 45mila 568 posti disponibili, ossia circa 145 carcerati per ogni 100 posti; peggio di noi si trova solo la Serbia, con 160 detenuti per ogni 100 posti. Il problema del sovraffollamento è ovviamente da considerarsi legato ai tempi della giustizia: l’Italia è infatti terza tra i paesi del Consiglio d’Europa per numero di detenuti in attesa di giudizio. È dunque necessario osservare la situazione, aumentando lo spazio vitale non solo nelle carceri, ma nella nostra vita quotidiana, portando avanti con forza una politica della prevenzione, anziché della repressione. È chiaro che in carcere vanno rispettati e garantiti i diritti della persona, dando ampio spazio al reinserimento sociale dei detenuti e la nostra Amministrazione comunale sta operando in tal senso, attraverso quel controllo costante garantito dalla figura del Garante delle persone private della libertà personale, importante punto di riferimento in grado di promuovere l’esercizio dei diritti e delle opportunità di vita civile". Immigrazione: il Garante Marroni; Salvini al Cie di Ponte Galeria? è solo spot elettorale Ristretti Orizzonti, 8 maggio 2014 Sul blitz della Lega al Cie di Ponte Galeria: "Salvini ha fatto uno show per la campagna elettorale, non è con considerazioni da bar che si affronta un fenomeno complesso che produce migliaia di morti". "La visita a sorpresa del segretario della Lega Matteo Salvini al Cie di Ponte Galeria, ha lasciato perplessi anche gli operatori del Garante che stamattina erano presenti nel centro per effettuare il consueto monitoraggio delle condizioni dei cittadini stranieri". Lo dichiara in una nota, il Garante dei Detenuti del Lazio Angiolo Marroni. "È immorale ed irresponsabile - ha aggiunto Marroni - cercare di alzare il livello della tensione affermando che i disperati trattenuti a Ponte Galeria abbiano vitto e alloggio. Per paradosso, anche nei Lager nazisti c’erano medici e pasti, ma a nessuno è mai venuto in mente di indicarli a simbolo di benessere." "Ormai da anni, lavoriamo nel Cie di Ponte Galeria, chi lo gestisce lo fa con attenzione, professionalità e umanità, ma purtroppo ci scontriamo con una legislazione scellerata, figlia di un sentimento discriminatorio e razzista che non è stata in grado di affrontare e risolvere il problema dell’immigrazione. Ogni giorno incontriamo storie di vite disperate - ha detto Marroni - che ci obbligano a contestare la cinica ironia espressa dall’esponente leghista. Droghe: rivolta contro nomina Giovanardi relatore Decreto che deve sostituire sua legge di Jolanda Bufalini L’Unità, 8 maggio 2014 Una nomina "tragicomica", dice Patrizio Gonnella, presidente della associazione Antigone, a proposito della scelta caduta su Carlo Giovanardi quale relatore del decreto che deve sostituire la Giovanardi-Fini, legge su cui si è abbattuto il maglio della Corte costituzionale. Insomma, un calembour istituzionale ha portato Carlo Giovanardi a cambiare cappello, da relatore di maggioranza dovrà argomentare a favore del nuovo testo che smonta il vecchio, di cui è autore. I suoi ex sodali di partito, Maurizio Gasparri e Giacomo Caliendo, non vedono la contraddizione: "La Giovanardi-Fini è stata bocciata per le procedure, non certo per un giudizio di merito", però il decreto Lorenzin, ieri sera in discussione al Senato (alle 20 si è chiusa la presentazione degli emendamenti) è molto diverso nel merito dalla legge che ha affollato le carceri italiane, dove il 40 per cento è detenuto per violazione della legge sulle droghe, a cominciare dalla distinzione fra droghe pesanti e droghe leggere. E infatti quelli di Forza Italia già invitano Giovanardi a votare con loro per abolire la differenza. Lui, però, sembra sia orientato a un ordine del giorno, che non è vincolante per il governo. "Dracula all’Avis", sospira Patrizio Gonnella aggiungendo ingredienti alla pièce tragicomica. Intanto, il Forum Droghe ha scritto una lettera al presidente del Senato Grasso e i suoi componenti hanno scelto il digiuno come forma di protesta (gli appuntamenti in diverse città d’Italia sul sito del giornale online Fuoriluogo). Protestano anche il Cnca (il coordinamento delle comunità di accoglienza) e Sel, Nichi Vendola mette insieme in un twitter la polemica sul mercato del lavoro e quella su Giovanardi: "Il Pd affida ai diversamente berlusconiani di fare una legge sul mercato del lavoro che condanna un’intera generazione alla precarietà eterna. Dopo di che il Pd affida a Giovanardi il compito di rimediare ai disastri della legge Fini-Giovanardi sulle droghe. #cambiaverso? Non pare proprio". Emilia De Biasi, presidente della commissione Sanità al Senato, non vede lo scandalo: "Il Pd, per la commissione sanità, ha scelto una persona seria e preparata come Amedeo Bianco. Alla giustizia Nitto Palma, a cui spetta la nomina come presidente, ha scelto Giovanardi". D’altra parte - sostiene la senatrice. "Non si può fare il processo alle intenzioni, Giovanardi è stato autore di una pessima legge ma può avere cambiato opinione e, in ogni caso, quello del relatore è un ruolo responsabilizzante". E se il relatore decidesse di votare con l’opposizione di destra? "In quel caso liberi tutti, si vota. Il testo attuale è molto equilibrato e, secondo me, non va toccato". Il rammarico della presidente della commissione sanità è, piuttosto, che la polemica su questo aspetto ha oscurato il lavoro molto importante, "che tocca la vita quotidiana di tanti cittadini", fatto sull’uso non appropriato dei farmaci. È il caso, scoppiato due mesi fa, Avastin - Lucentis. Due farmaci parimenti efficaci per la cura delle macule senili. Solo che il primo è autorizzato per le cure oncologiche e, per la terapia molto più diffusa delle macule, viene prescritto in modo improprio, cioè non autorizzato per quella specifica patologia. La differenza è nel prezzo: Avastin costa intorno ai 40 euro mentre una iniezione di Lucentis ne costa 900. L’Antitrust ha condannato le case produttrici, Roche e Novartis, a pagare una multa di 180 milioni di euro perché, sostiene l’Antitrust, le due aziende "si sono accordate illecitamente per ostacolare la diffusione dell’uso di un farmaco molto economico, Avastin, a vantaggio di un prodotto molto più costoso, Lucentis, differenziando artificiosamente i due prodotti". Ora il testo oggi in commissione al Senato, spiega Emilia De Biasi, "avvia una regolamentazione più stringente per avere garanzie maggiori, a cominciare dalla sperimentazione delle case farmaceutiche". Cnca: Giovanardi relatore Decreto Lorenzin nomina spudorata Il Coordinamento Nazionale delle Comunità di Accoglienza (Cnca) esprime il proprio sconcerto per la nomina di Carlo Giovanardi a relatore in Senato sul provvedimento di conversione in legge del decreto Lorenzin sulle droghe. "Siamo stupefatti - dichiara don Armando Zappolini, presidente del Cnca. Al principale responsabile del fallimento italiano nel campo delle droghe - l’autore di una legge che è stata dichiarata incostituzionale dalla Consulta e che ha solo riempito le carceri, l’ispiratore tramite il Dipartimento politiche antidroga del blocco del sistema dei servizi per le tossicodipendenze - viene ora affidato un ruolo cruciale nella revisione della legge che porta il suo nome. Una nomina spudorata che desta una fortissima preoccupazione. Se le istituzioni vorranno insistere con una politica ideologica e repressiva troveranno la nostra più ferma opposizione". Droghe: Perduca (Radicali); il mondo pensa a legalizzare… e l’Italia ascolta Giovanardi Public Policy, 8 maggio 2014 "Oggi, mentre alla London School of Economics viene presentato uno studio internazionale dal titolo Ending the Drug Wars, in Italia ci si appresta a modificare la peggiore legge europea in materia di sostanze stupefacenti affidandola alle sapienti cure di uno dei due estensori originali di quel testo: il senatore Carlo Giovanardi". Lo dice in una nota Marco Perduca, rappresentante all’Onu del Partito Radicale ed ex senatore, in merito al decreto sulle droghe. "Non credo che occorra aggiungere molto sulla qualità dell’operato repressivo e antiscientifico del politico del Nuovo centrodestra - aggiunge - credo però che sia opportuno sottolineare come la modifica della ex Fini-Giovanardi non si distacchi nell’approccio dall’impianto della legge del 2006: resta infatti intatto tanto lo schema proibizionista quanto la risposta punizionista. Niente di più, niente di meno". "Eppure una maggioranza per andare oltre al fallimento della proibizione ci sarebbe stata - prosegue - e occorreva concentrarsi più sulla necessità di radicale discontinuità col passato piuttosto che sull’urgenza di colmare il vuoto legislativo. Tra le altre cose si tratta di una ulteriore occasione perduta anche per corrispondere alla sentenza pilota della Corte europea sui diritti umani, visto e considerato che oltre un terzo dei detenuti italiani è in carcere per crimini legati alle droghe". "A parte quindi la simbolica assegnazione a Giovanardi del ruolo di relatore in aula di una legge che porta il suo nome e che solo qualche settimana fa era stata dichiarata incostituzionale nel metodo in cui fu fatta adottare, di per sé una dichiarazione di non belligeranza col ‘nemicò della libertà di scelta, ricerca scientifica e cura, l’Italia continua a scontare un’arretratezza culturale, oltre che politica, in materia di sostanze stupefacenti". "Occorre che Matteo Renzi - conclude - nomini quanto prima al dipartimento per le Politiche antidroga qualcuno che sia, anche internazionalmente riconosciuto, capace di governare il fenomeno in tutti i suoi aspetti e che lo doti di una direzione scientifica degna di tal nome. Renzi, o chi per lui, legga inoltre il rapporto della London School of Economics, firmato da Nobel, esperti e politici, e deleghi qualcuno a esser presente al convegno internazionale della ‘International Society for the Study of Drug Policy’ che si terrà a Roma dal 21 al 23 maggio 2014 presso la sede del Cnr. Per cambiare verso ci vuol impegno e costanza". Droghe: Giovanardi (Pdl): il "decreto Lorenzin"? non si distanzia molto dalla mia legge Public Policy, 8 maggio 2014 Il decreto sugli stupefacenti e i farmaci "off label" non dovrebbe subire modifiche al Senato. È quanto riferisce a Public Policy il relatore del dl, Carlo Giovanardi (Ncd). Il provvedimento, secondo il senatore Ncd, primo firmatario (insieme all’allora leader di Alleanza nazionale Gianfranco Fini) della legge Fini-Giovanardi sulle droghe, bocciata dalla Consulta a febbraio, "non si distanzia da quanto prevedeva la precedente legge". Vengono previste, infatti, "un’unica pena e sanzione per i piccoli spacciatori", quindi senza distinzione tra droghe leggere e pesanti. Vengono invece distinte "pene e sanzioni per il grande spaccio, ma rispetto alla mia legge - spiega Giovanardi - la pena minima è stata alzata da 6 a 8 anni, così che chi commette il reato non potrà nemmeno accedere alla comunità". Con il passaggio alla Camera del provvedimento sono state ridotte le pene per il reato di spaccio lieve. Il reato era stato reso fattispecie autonoma con il decreto Carceri approvato a febbraio scorso. Con un emendamento del governo quindi viene prevista una detenzione, per il cosiddetto piccolo spaccio di strada, da 6 mesi a 4 anni introducendo nuove sanzioni (da mille a 15 mila euro). La norma precedente prevedeva multe da 3mila a 26mila euro. Il reato - come ricordato da Giovanardi - non distingue tra droghe leggere e pesanti, spetterà al giudice graduare l’entità della pena in base alla qualità e quantità della sostanza spacciata e alle altre circostanze del caso concreto. Il piccolo spacciatore potrà usufruire del nuovo istituto della messa alla prova. Infine - conclude il senatore Ncd - "viene prevista la depenalizzazione per l’uso personale" delle sostanze. Infatti, secondo il testo uscito dalla Camera, l’acquisto o la detenzione di droghe per uso personale non ha rilevanza penale. Restano ferme le sanzioni amministrative (quali la sospensione della patente, del porto d’armi, del passaporto o del permesso di soggiorno) che avranno però durata variabile a seconda che si tratti di droghe pesanti (da 2 mesi a un anno) o leggere (da uno a 3 mesi). Medio Oriente: oggi 5.100 prigionieri palestinesi in sciopero fame nelle carceri israeliane www.infopal.it, 8 maggio 2014 Giovedì 8 maggio, quasi tutti i prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane entreranno in sciopero della fame per una giornata, in solidarietà con i detenuti amministrativi che da quasi due settimane stanno scioperando. Ziad Abu Ein, sottosegretario del ministero per gli Affari dei prigionieri, ha riferito a Màan che circa 5.100 palestinesi rinchiusi nelle carceri israeliane giovedì si asterranno dall’assumere alimenti. Oltre 100 palestinesi nelle carceri israeliane, il 24 aprile scorso hanno lanciato uno sciopero della fame a oltranza, per protestare contro la detenzione senza processo. I prigionieri amministrativi sono spesso incarcerati per mesi, senza accesso alle prove che ne giustifichino la detenzione, sebbene le leggi internazionali stabiliscano che tale pratica deve essere usata solo in circostanze eccezionali. Il 1° aprile scorso, erano 186 i palestinesi in detenzione amministrativa, compresi 9 parlamentari, secondo i dati riportati da Addameer, un gruppo per la difesa dei diritti dei prigionieri. Oltre 800mila palestinesi sono stati imprigionati dal 1967, con 5.224 attualmente nelle carceri israeliane, secondo i rapporti dell’Olp. Regno Unito: catturato a Londra detenuto ergastolano evaso sabato durante permesso La Presse, 8 maggio 2014 La polizia del Regno Unito ha catturato l’evaso Michael Wheatley, noto come "Skull cracker" ("Spaccatore di teste"), condannato nel 2002 a 13 ergastoli per una serie di violente rapine in banca. L’uomo, 55 anni, era scappato sabato durante un permesso concesso dal carcere di minima sicurezza in cui era detenuto. Wheatley è stato arrestato a Londra insieme con un altro uomo, per il sospetto di essere al lavoro per eseguire una rapina a mano armata. I due sono stati arrestati oggi dopo che nelle ore scorse era stata rapinata una banca nei pressi della capitale britannica. Wheatley si è guadagnato il soprannome per l’abitudine, durante le sue rapine, di colpire alla testa le persone con il calcio della sua pistola. La sua fuga ha scatenato una serie di critiche al sistema dei permessi ai detenuti e all’invocazione di regole più rigide in materia. Cina: la nota giornalista Gao Yu rinchiusa in carcere per aver diffuso "segreti di Stato" La Presse, 8 maggio 2014 La nota giornalista cinese Gao Yu è stata "detenuta penalmente" con l’accusa di aver diffuso segreti di Stato a un sito di notizie straniere. Lo ha riportato l’agenzia di stampa Xinhua, precisando che la 70enne è stata arrestata il 24 aprile e che le autorità hanno confiscato delle prove dalla sua casa di Pechino. Secondo l’agenzia, la reporter avrebbe confessato di aver commesso i reati di cui è accusata. Gao, riporta Xinhua, era già stata condannata in passato per aver diffuso segreti di Stato e condannata nel 1993 a sei anni di carcere. La giornalista, che risultava dispersa dal 26 aprile, è nota per le critiche rivolte al governo cinese e fu imprigionata dopo le proteste in piazza Tiananmen del 1989. La notizia del suo arresto arriva a poche settimane dal 25esimo anniversario delle repressioni del 4 giugno, in cui persero la vita centinaia di persone. Nei giorni scorsi le autorità cinesi avevano arrestato altri attivisti, tra cui il noto avvocato per i diritti umani Pu Zhiqiang, in un tentativo di impedire le commemorazioni delle repressioni. Pu aveva partecipato a un seminario dedicato ai familiari delle vittime del massacro e oltre a lui sono state fermate altre persone che hanno preso parte all’incontro, tra cui i ricercatori Hao Jian e Xu Youyu, e il blogger Liu Di. Svizzera: confermato il licenziamento del direttore delle carceri, che presenta ricorso www.liberatv.ch, 8 maggio 2014 Fallita la procedura di conciliazione davanti alla Commissione per il personale pubblico, l’ex direttore delle carceri si è visto ora notificare formalmente la disdetta di contratto. Intanto prosegue il concorso per la selezione del nuovo candidato. Notificata formalmente la disdetta di contratto a Fabrizio Comandini. Nessun accordo è stato infatti raggiunto tra il Cantone e l’ex direttore delle carceri, che aveva deciso di portare il caso del suo licenziamento davanti alla Commissione di conciliazione per il personale pubblico, dopo che in febbraio il Dipartimento delle istituzioni aveva comunicato di voler metter fine al suo incarico. A darne notizia la RSI, a cui Comandini ha confermato che ricorrerà contro la decisione al Tribunale cantonale amministrativo. Intanto, la carica è ancora affidata ad interim al capo del reparto giudiziario della polizia cantonale Marco Zambetti, mentre continua il concorso per la selezione del nuovo direttore: una trentina le candidature presentate. Turchia: giornalista arrestato dopo scontri del primo maggio denuncia torture da polizia Ansa, 8 maggio 2014 Un giornalista turco, direttore di un portale di informazione indipendente, ha accusato la polizia di Istanbul di averlo torturato dopo un arrestato compiuto a margine degli scontri del primo maggio attorno a Piazza Taksim, riferisce Zaman online. Deniz Zerin, direttore del portale T24, formato dai giornalisti licenziati o costretti alle dimissioni dopo le grandi proteste di Gezi Park l’anno scorso, ha detto di essere stato torturato il 3 maggio, mentre era ancora detenuto, in una vettura della polizia. Zerin ha potuto memorizzare la targa dell’auto - 34 A 69321 - e ha precisato che l’agente responsabile delle violenze si faceva chiamare "Samet". "Mentre ero ammanettato, mi ha colpito più volte con il pugno sul collo. Mi ha anche costretto a guardarlo dandomi degli schiaffi in faccia. Poi mi ha insultato e mi ha detto "perché mi fissi?" Il giornalista, che ha presentato una denuncia penale sull’episodio, ha precisato che altri detenuti del primo maggio avevano subito violenze. Il nuovo atto di violenza contro giornalisti in Turchia interviene a pochi giorni dall’uscita del rapporto 2013 dell’Ong Usa Freedom House, che per la prima volta ha posto pone il paese della Mezzaluna nella categoria dei paesi "non liberi" sotto il profilo della libertà di stampa. La Turchia del premier islamico Recep Tayyip Erdogan è il paese del mondo con il maggior numero di giornalisti in carcere.