Giustizia: Pannella ha ancora fame di amnistia, prosegue la lotta del leader radicale di Vittorio Pezzuto La Notizia, 7 maggio 2014 Marco Pannella non molla e annuncia la convocazione dal 23 al 25 maggio (in coincidenza con la domenica elettorale) dell’ottavo Congresso italiano del Partito Radicale. Costretto a rinunciare allo sciopero della sete (in queste ore si sta sottoponendo a una Tac di controllo che necessita di un liquido di contrasto) prosegue intanto lo sciopero della fame per chiedere che vengano deliberati quei provvedimenti di amnistia e di indulto che farebbero uscire lo Stato italiano dalla condizione di flagrante reato di violazione dei diritti umani. "Non siamo più solo noi a denunciarlo - spiega la segretaria Radicale Rita Bernardini - ma l’Europa stessa, che con la sentenza Torreggiani ci ha imposto la data-tagliola del prossimo 28 maggio per ripristinare finalmente il diritto nelle carceri e nel Paese". Un tema che lo scorso 8 ottobre il presidente Napolitano aveva sollevato con forza nell’unico messaggio scritto finora inviato alle Camere. "Il Capo dello Stato - ricorda Bernardini - ha ammonito il Parlamento sull’obbligo di rientrare immediatamente nella legalità e ha invitato a prendere in considerazione i provvedimenti di amnistia e indulto, dal momento che tutte le misure di depenalizzazione e di decarcerizzazione potranno valere solo per il futuro. Purtroppo il dibattito in Aula è stato sottotono e di fatto ha restituito il messaggio al mittente". Ragion per cui Pannella si è visto costretto a sferzare l’indifferenza della classe politica con un’iniziativa nonviolenta che (a sorpresa ma non troppo) ha suscitato l’attenzione e la solidarietà dello stesso Papa Francesco. Un gesto che gli è valso il ringraziamento dello stesso Napolitano, ribadito formalmente con una dichiarazione all’Ansa. "Alla felicità per la sua nota - osserva Bernardini - si è però aggiunta la tristezza per un altro take della stessa agenzia, intitolata "12 mila detenuti in più rispetto ai posti". Falso, sono invece più di 20mila! Per questo motivo mi sono vista costretta a scrivere al Capo dello Stato per informarlo sul taroccamento dei dati ufficiali in circolazione su carceri e giustizia". Quanto alla campagna de La Notizia per la nomina di Pannella a senatore a vita (che ha raccolto adesioni importanti e trasversali, da Berlusconi a Cofferati passando per Parisi e Mastella) Bernardini osserva: "Non siamo certo noi a doverci esprimere in proposito ma certo oggi quella nomina avrebbe una pregnanza diversa rispetto al passato, avrebbe un’importanza ancora maggiore". Giustizia: dall’auto-riciclaggio al 416 bis, il ddl contro la criminalità organizzata in Cdm Ansa, 7 maggio 2014 Pene più severe per l’associazione mafiosa, introduzione del reato di auto-riciclaggio e una revisione delle norme sui beni confiscati alle mafie. Sono i contenuti essenziali del pacchetto contenente misure di contrasto alla criminalità organizzata e ai patrimoni illeciti, messo a punto da Giustizia e Interni che approderà in Consiglio dei ministri. Pronto già da qualche settimana, il disegno di legge aspettava solo di essere calendarizzato e ora è in dirittura d’arrivo. L’auto-riciclaggio, cioè l’atto di sostituire o trasferire denaro o altri beni ricavati commettendo un altro delitto doloso, oggi non è punito in Italia. Il codice penale prevede solo il delitto di riciclaggio, commesso da chi ricicla soldi sporchi frutto del reato commesso da un altro soggetto. Il ddl che sta per arrivare all’esame del Cdm punta a colmare questa lacuna, introducendo il reato di auto-riciclaggio se compiuto con finalità imprenditoriali: per chi lo commette, il rischio è quello di una pena fino a 6 anni di carcere. Ma il disegno di legge - che dopo il via libera governativo dovrà passare l’iter parlamentare - prevede anche un inasprimento per il 416 bis: le pene per l’associazione mafiosa, infatti, vengono innalzate da un minimo di 10 a un massimo di 15 anni, contro gli attuali 7-12 anni. E sempre in tema di mafia, si estende l’obbligo delle video conferenze per gli imputati che debbano partecipare a processi, in modo da evitare inutili e costosi trasferimenti. Il provvedimento raccoglie molte delle indicazioni uscite dai lavori delle Commissione istituita dal precedente governo per studiare misure in campo penale, presieduta da Roberto Garofoli e composta tra gli altri dai magistrati Raffaele Cantone e Nicola Gratteri, oggi rispettivamente presidente dell’Autorità Anticorruzione e consulente della commissione Antimafia. E si ispira anche alle indicazioni fornite della commissione guidata dal professor Giovanni Fiandaca. Determinante l’apporto dei loro lavori per le misure sui beni sottratti alle mafie. L’attività compiuta finora dall’Agenzia dei beni confiscati è stata oggetto, soprattutto negli ultimi mesi, di dure critiche: da più parti si è chiesto di avviare un ripensamento e di fare chiarezza sugli amministratori giudiziari e sul meccanismo di affidamento degli incarichi, oltre che sull’entità e sull’utilizzo dei beni e dei fondi. Il ddl, che rafforza l’organico dell’Agenzia portandolo da 30 a 60 unità, introduce accanto alla misura dell’amministrazione giudiziaria per le aziende confiscate, quella più leggera del controllo giudiziario da utilizzare quando non ci sia il rischio di infiltrazioni mafiose: l’obiettivo è far sì che realtà economiche ancora potenzialmente produttive, non finiscano per soffocare e per fallire. Giustizia: i mafiosi? meno "folli" degli altri criminali, una ricerca scientifica al riguardo di Sandro Iannaccone www.wired.it, 7 maggio 2014 Uno studio italiano mostra che i criminali affiliati alla mafia hanno meno tratti psicopatici rispetto ai criminali comuni. Vito Corleone vi sembra un pazzo criminale? Allora Francis Ford Coppola ha sbagliato: criminale lo è di certo, pazzo un po’ meno. Almeno stando alla ricerca appena pubblicata sulla rivista Criminal Behaviour and Mental Health da Adriano Chimmenti e la sua equipe dell’Università di Enna e di Palermo. Gli scienziati hanno infatti scoperto che, nonostante nella cultura popolare i membri della mafia siano spesso ritratti come persone folli e senza regole, lo sono meno rispetto ai criminali, per così dire, comuni. Inoltre, hanno meno problemi di tossicodipendenza e si mostrano molto preoccupati per la sorte delle proprie famiglie. I ricercatori hanno intervistato 30 criminali affiliati a diverse organizzazioni mafiose (Cosa Nostra, ‘Ndrangheta, Sacra Corona Unita) detenuti nel carcere di Palermo e hanno confrontato le loro risposte con quelle di un gruppo di controllo composto di 39 criminali non mafiosi. I risultati sono stati analizzati secondo la Psychopatic Checklist-Revised (Pcl-r), un sistema di valutazione psicologico comunemente usato per valutare i tratti della personalità, il comportamento e la tendenza alla psicopatia: "I mafiosi hanno ottenuto punteggi Pcl-r più bassi", si legge nello studio, "sia riguardo alle relazioni interpersonali che allo stile di vita rispetto agli altri criminali". Una scoperta che "porta nuove speranze per la risocializzazione dei membri della mafia condannati, perché, pur mostrando tratti significativamente antisociali, hanno comunque mantenuto capacità di connessione emozionale con gli altri e grande possibilità di impegno in programmi di reintegrazione rispetto agli altri detenuti italiani". Giustizia: Patriarca (Pd); per chiudere gli Opg serve un coinvolgimento del Terzo settore di Sara De Carli Vita, 7 maggio 2014 La Commissione Affari Sociale e la Commissione Giustizia hanno iniziato l’esame del decreto legge sul superamento degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari. Alla Affari sociali il relatore è Edoardo Patriarca, deputato Pd, al suo debutto come relatore. Il testo del deceto è stato licenziato con modifiche dal Senato il 24 aprile 2014 e scade a fine maggio. Onorevole, come è cambiato il testo che ricevete dal Senato rispetto a quello scritto dal Governo? È un testo migliore, con vincoli più stringenti per evitare una nuova deroga, che sarebbe francamente inaccettabile. È un passaggio importante, gli Opg sono davvero uno scandalo e queste persone sono state troppo a lungo trattate come "scarti" dalla società. Precisamente quali sono i passaggi migliorati? Si scongiura il rischio di ergastoli bianchi, perché la misura di sicurezza non può superare la durata massima della pena per il corrispondente reato. La custodia provvisoria non può essere fatta in Opg ma in strutture diverse e il ricorso al ricovero in Opg deve essere sempre successivo all’assenza di altra alternativa. C’è maggior rigore sull’accertamento della pericolosità sociale, oggi troppo discrezionale. Le Regioni hanno l’obbligo di modificare i loro piani per la costruzione delle Rems entro il 15 giugno e di fare formazione adeguata agli operatori. Il fatto che lei li definisca miglioramenti esclude quindi un ripensamento da parte della Commissione? La mia prospettiva è che questi punti non vadano assolutamente toccati, non si può immaginare un passo indietro su questo. Casomai tenteremo dei miglioramenti ulteriori. È vero che al Senato i numeri sono stati molto ampi (è stato approvato con 171 voti favorevoli, 62 astenuti ed 1 solo parere contrario): ma se qui invece partisse l’ostruzionismo o ci fosse battaglia? La mia idea è quella di contrastare con fermezza l’arretramento. Se si scatenasse la polemica o l’ostruzionismo credo che il Governo dovrebbe valutare l’ipotesi di mettere la fiducia su questo provvedimento, perché se il decreto decadesse ci ritroveremmo in una situazione indecente di stallo sulla tempistica rispetto alla chiusura degli Opg. Quali sono i miglioramenti ulteriori a cui pensa? Definire meglio gli impegni delle Regioni nella riconversione dei loro piani, in particolare sui Dsm. Mettere qualche risorsa in più. Prevedere un coinvolgimento del Terzo settore in questi percorsi di chiusura: non è quasi mai nominato, potrebbe fare molto. In effetti molto dipende dalle Regioni. Nel testo sono state introdotte delle prime indicazioni che obbligano regioni e dipartimenti di salute mentale a mettere in atto risorse e strategie per concludere questo percorso di chiusura degli Opg, ma come si può davvero renderle operative e vincolanti? Ci sono Regioni in condizioni avanzate di questo percorso, come il Friuli Venezia Giulia e l’Emilia Romagna. Altre non sono pronte per nulla. Però è previsto il potere sostitutivo. E comunque il nuovo testo istituisce un organismo di coordinamento presso il Ministero della Salute per il superamento degli Opg, che deve nascere entro 30 giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione del decreto: sarà composto da rappresentanti del Ministero della Salute, della Giustizia, delle Regioni e ogni tre mesi dovrà relazionare alle Camere. Le Regioni devono consegnare le loro modifiche entro il 15 giugno 2014. La scelta della Giunta Serracchiani è "fortemente orientata non solo al superamento degli Opg ma anche a favorire attraverso la costruzione di progetti riabilitativi individualizzati, risposte che evitino o quantomeno limitino fortemente l’impiego delle stesse strutture sanitarie alternative in via di definizione". Non per nulla il Fvg punta ad avere solo 10 posti letto, in un primo momento individuati nella sola struttura di Maniago, ora invece spalmati su tre strutture residenziali regionali da ristrutturare (Maniago, Udine e Duino Aurisina), con tempi di realizzazione dell’intervento decisamente più brevi. Giustizia: Unione Camere Penali; Opg, basare "pericolosità" su condizioni soggettive Adnkronos, 7 maggio 2014 "L’Anm ha preso posizione contro alcuni passaggi del testo del decreto sulla chiusura degli Opg emendato anche dall’Unione delle Camere Penali e ora all’esame della Camera. In nome di un realismo che finisce per pregiudicare i più deboli, il sindacato dei magistrati si oppone a che sia solo la pericolosità soggettiva a determinare la possibile permanenza in Opg e invoca il mantenimento del criterio delle ‘condizioni di vita individuali, familiari e sociali del reo che, come noto, spesso ha determinato proroghe ingiustificate e disparità di trattamenti tra chi ha risorse familiari e di rete e chi di esse non dispone". Un criterio, questo "da superare - ammonisce l’Unione delle Camere Penali - anche per responsabilizzare i servizi territoriali sanitari e sociali che troppo spesso hanno latitato e la cui inerzia ha dato sovente causa a proroghe inutili". "Che la pericolosità debba basarsi unicamente sulle condizioni soggettive - aggiungono i penalisti - pare indispensabile per evitare che chi è guarito ma non ha una famiglia in grado di accoglierlo (o una struttura alternativa che fino ad ora non è stata realizzata) debba rimanere in Opg in eterno. Con il risultato finale che chi ha i mezzi sta fuori e chi ne è privo dentro". "Bisognerebbe che anche i magistrati - fa notare l’Ucpi - visitassero gli Opg, così come stanno facendo gli avvocati delle Camere Penali, al di là delle sale colloqui e nelle aree più buie delle nostre prigioni. Il giudizio di pericolosità basato sulle condizioni cliniche e sanitarie potrebbe evitare l’ingresso in Opg anche come misura provvisoria, con gestione del paziente temporanea in ospedale". Giustizia: Cassazione; i colloqui in carcere con i detenuti sono "attività forense" di Enrico Bronzo Il Sole 24 Ore, 7 maggio 2014 Professione abusiva. Durante la sospensione di due mesi, un avvocato aveva avuto 25 incontri con otto detenuti. Incorre nell’abusivo esercizio della professione l’avvocato che, nonostante un provvedimento di sospensione, intrattenga colloqui con detenuti. La reiterazione del colloquio è, infatti, elemento the fa presumere che la natura dei colloqui non sia solo affettiva o familiare, ma professionale-forense. Questa la portata della sentenza n. 18745 della Corte di cassazione, depositata ieri. Nonostante la sospensione per due mesi dall’esercizio della professione erogata dall’Ordine a titolo di sanzione disciplinare, l’avvocato - durante il periodo indicato - si era recato per nove volte presso la casa circondariale dì Ravenna dove si era incontrato con otto persone diverse per un totale di 25 visite d’amministrazione penitenziaria pensava che l’attività fosse regolare, segnalando poi l’anomalia). Il professionista era stato assolto in primo grado dal Tribunale dì Ravenna dal delitto dì esercizio abusivo della professione perché uno dei detenuti interessati - per la Cassazione peraltro "non particolarmente credibile" oltre che "uno solo" - aveva riferito di essere stato avvertito della sospensione e che i ripetuti incontri erano dipesi dalla disponibilità dell’avvocato ad a lutare gli assistiti anche per necessità personali, come pratiche amministrative o notizie sui familiari. Per questo, il giudice aveva ritenuto le visite "a carattere umanitario" e "non professionale". Nel 2012 il pubblico ministero presentava ricorso per violazione dell’articolo 348 del Codice penale (abusivo esercizio di una professione): per il pm il colloquio in carcere, ai sensi dell’articolo 104 del Codice di procedura penale (colloqui del difensore con l’imputato in custodia cautelare), e di per sé un atto riservato all’esercizio della professione di avvocato. La Cassazione ha accolto questa tesi soprattutto per la frequenza dei colloqui (25 in due mesi), ricordando anche un precedente delle Sezioni unite (sentenza 15 dicembre 2012 n. 11545). Perciò ha annullato la sentenza impugnata, rinviandola alla Corte d’appello di Bologna. Ascoli Piceno: Sappe, suicida un agente di Polizia penitenziaria, è il terzo caso in un mese Adnkronos, 7 maggio 2014 "È stato trovato ad Ascoli Piceno, a casa sua, il corpo di un poliziotto penitenziario di 51 anni, G.P., separato e con due figli". A darne notizia Donato Capece, segretario generale del Sappe. "Siamo sconvolti e sgomenti, anche perché questo grave fatto avviene a pochi giorni dal suicidio di un altro nostro agente, a Padova, e a meno di un mese da una analoga altra tragedia, a Siena. Anche questa è una tragedia senza un perchè - aggiunge Capece. Noi ci stringiamo con tutto l’affetto e la solidarietà possibili al dolore indescrivibile della moglie, dei figli, dei familiari, degli amici, dei colleghi". Capece aggiunge poi che "sconcerta constatare quanti sono i poliziotti e gli operatori penitenziari che si sono tolti negli anni la vita: 100 casi dal 2000 ad oggi sono una enormità. Eppure l’amministrazione penitenziaria continua a trascurare questa grave realtà. "Su queste tragedie - conclude - non possono e non devono esserci colpevoli superficialità o disattenzioni". Teramo: scoppia una violenta rissa in carcere, 28enne in coma, sette detenuti denunciati di Antonella Formisani Il Centro, 7 maggio 2014 Una rissa scoppia in carcere fra uomini aderenti a diversi clan camorristici dell’area di Caserta e un detenuto finisce, in coma, in rianimazione. Tutto è iniziato ieri mattina alle 9, quando l’agente di polizia penitenziaria di guardia al reparto ha sentito delle urla provenire dalla sala ricreativa. In pochi secondi è accorso e ha visto sette uomini darsela di santa ragione. Con non poca fatica è stata ristabilita la calma ma ormai Palladino Spallieri era a terra, in una pozza di sangue. Immediati i soccorsi, prima del personale medico interno al carcere, poi del 118. Il giovane 28enne nato a Maddaloni ma residente a Cervino era privo di sensi, con una profonda ferita alla testa, infertagli con uno sgabello. Il giovane camorrista è stato portato in ospedale, in coma. Al Mazzini la Tac ha accertato che aveva un vasto ematoma nella zona temporale destra del cervello. È dunque subito stato sottoposto a un intervento, da parte dell’equipe di neurochirurgia, per la rimozione dell’ematoma. E poi è stato ricoverato in rianimazione, in prognosi riservata. Intanto la polizia penitenziaria ha condotto le indagini su quanto accaduto durante le due ore concesse ai detenuti, che possono uscire dalle celle e andare in cortile o nella saletta, dove è avvenuto lo scontro. Sono stati sentiti tutti i testimoni dell’accaduto, oltre ovviamente all’agente che è intervenuto per primo. Alla fine è emerso che i sette detenuti che hanno dato vita alla rissa sono tutti dell’area del Casertano. Si sa che Spallieri fa parte del clan Belforte (vicino alla famiglia D’Albenzio) gli altri fanno parte anche di altri clan, probabilmente è coinvolto anche qualcuno dei casalesi. Alla fine sono sette - compreso il detenuto in rianimazione - i denunciati per rissa. Ci sono stati anche altri feriti, ma con escoriazioni ed ematomi, niente che non possa essere curato in carcere. Tutti i detenuti sono stati posti in isolamento disciplinare, come prevede il regolamento. Non sono stati posti in una cella da soli in quanto sei celle libere in un carcere sovraffollato come quello di Castrogno non ci sono. Il prossimo passo sarà il consiglio di disciplina, convocato dal direttore del carcere Stefano Liberatore, che probabilmente alla fine disporrà l’allontanamento, in qualche altro istituto, di alcuni dei partecipanti alla rissa. Questo per evitare che episodi del genere possano ripetersi. Anche se un altro rischio è che adesso lo scontro continui fuori, magari a Caserta, fra le "famiglie" dei partecipanti alla rissa. Non a caso Spallieri in rianimazione è piantonato giorno e notte. Catanzaro: aperto nuovo padiglione; ospita già 180 detenuti, protesta dei Sindacati Adnkronos, 7 maggio 2014 Aperto un nuovo padiglione nel carcere catanzarese di Siano. "Conta 300 posti e abbiamo già alloggiato 180 detenuti - spiega all’Adnkronos Luigi Pagano, vice capo del Dap, che ha partecipato questa mattina all’inaugurazione - e nel rispetto del principi della territorialità la struttura ospiterà detenuti che hanno famiglia o interessi familiari a Catanzaro e in provincia". Una misura, questa, che nel progetto dell’Amministrazione penitenziaria, applica il principio della differenziazione e della territorialità. "Nella mia visita - prosegue Pagano - ho incontrato le organizzazioni del personale penitenziario. In una clima di grande collaborazione, le stesse persone che avevano contribuito ad aprire il reparto hanno rappresentato all’Amministrazione quelle che potevano essere le situazioni critiche. Ho assicurato loro che l’impegno del Dap è massimo, e saranno distaccati degli agenti. In ogni caso, i diritti del personale daranno sempre garantiti". "Il trattamento - rimarca il vice capo del Dap - è condizione fondamentale per aumentare la sicurezza. Cercheremo di applicare il concetto della sorveglianza dinamica e vogliamo anche modernizzare la struttura, creando degli ambienti dove i detenuti possano ad esempio pranzare insieme e vivere una socialità al di fuori della sezione. In questo modo - fa notare Pagano - non solo aumenteranno le occasioni trattamentali ma potranno realizzarsi anche migliori condizioni di sicurezza". In questo percorso, conclude, "possiamo contare sulla grande professionalità di tutti gli operatori, in primo luogo gli agenti di polizia penitenziaria. In una regione come la Calabria, la loro capacità di analisi è fondamentale". Protestano i Sindacati Cgil, Cisl, Uil e Ugl L’inaugurazione è stata accompagnata da una protesta dei sindacalisti di categoria di Cgil, Cisl, Uil e Ugl che hanno stazionato davanti al carcere, chiedendo che "non vengano lesi i diritti dei lavoratori". "Per l’apertura del nuovo padiglione - hanno spiegato - avrebbe dovuto raggiungere l’istituto altro personale di polizia penitenziaria proveniente da diverse sedi della Calabria". Si tratta, in particolare, di 80 appartenenti al Corpo, ma fino ad ora, secondo quanto riferito dai sindacalisti, ne sono stati trasferiti 40. "I lavoratori - hanno aggiunto i sindacalisti - sono considerati solo dei numeri. L’interesse principale dell’amministrazione è l’immagine che deve recepire l’opinione pubblica dall’apertura di un nuovo padiglione con 288 detenuti, senza pensare alle conseguenze, ad un numero adeguato di personale di polizia penitenziaria. Parliamo di turni di 12-24 ore e quotidianamente il personale viene contattato a casa per coprire i posti di servizio rimasti scoperti a causa della carenza di organico. Basta agli abusi ed alle umiliazioni subiti in questi anni. Il nostro timore è che l’insufficiente dotazione organica si ripercuota sugli istituti contrattuali del personale di polizia penitenziaria". I sindacalisti hanno poi avuto in contro con Pagano che li ha rassicurati dicendo loro che tutte le 80 unità previste saranno trasferite nel nuovo padiglione. Lanciano (Ch): la Uil-Pa denuncia "il carcere è senza direttore e senza comandante" www.abruzzo24ore.tv, 7 maggio 2014 "Il carcere di Lanciano è senza direttore e senza comandante: il sistema sta lentamente implodendo a Villa Stanazzo, abbiamo chiesto un incontro urgente sulla questione al Provveditore Regionale Bruna Brunetti, ma ad oggi non abbiamo ricevuto ancora risposta". È quanto denuncia in una nota il segretario provinciale Uil-Pa Penitenziari di Chieti, Ruggero Di Giovanni. "In passato più volte abbiamo lamentato la carenza di personale e l’impossibilità oggettiva di garantire la sicurezza dell’istituto, interna ed esterna - sottolinea nella nota il segretario - eravamo convinti che grazie alle proteste qualche risultato lo avremmo ottenuto, ma i fatti ci danno torto: ci ritroviamo con 140 agenti in servizio sui 163 previsti dalla pianta organica e un ricorso allo straordinario che è ormai ordinario, di fatto abbiamo un doppio turno lavorativo; inoltre, il carcere di Lanciano è senza Direttore e Comandante. Il dottor Di Rienzo (ancora direttore titolare della CC di Lanciano) è stato inviato in missione nel carcere di Vasto con l’incarico di reggenza anche della Scuola di Polizia Penitenziaria di Sulmona - spiega Di Giovanni nella nota - al suo posto a Lanciano è stato inviato un direttore reggente, la dottoressa Avantaggiato, part-time per 3/4 giorni alla settimana. Il Commissario Pellicciaro, già Comandante di Reparto a Lanciano, è stato distaccato nella sede di Vasto e sostituito brillantemente dal Commissario Di Nella, solo temporaneamente distaccato a Lanciano". Il sindacato ha chiesto per questo un "incontro urgente al Provveditore Regionale per ripristinare i delicati equilibri che consentono ad una comunità complessa come quella che esiste all’interno di un carcere di funzionare, non riusciamo proprio a capire la decisione di lasciare un istituto come quello di Villa Stanazzo senza direttore e con un Comandante che, suo malgrado, è di fatto precario: ma la cosa preoccupante - conclude la nota - è che la richiesta di incontro risalente al 15 aprile è a tutt’oggi senza alcun riscontro". La casa circondariale di Lanciano è un carcere di massima sicurezza che ospita attualmente circa 280 detenuti. Lecce: vivere in un carcere… il doppio dramma della condizione delle donne detenute Gabriele De Giorgi www.lecceprima.it, 7 maggio 2014 Antigone è l’associazione che si occupa dei diritti e delle garanzie nel sistema penale. La delegazione leccese ha effettuato, dopo un anno a mezzo, una visita a Borgo San Nicola: migliorato il dato sul sovraffollamento. Intervista alla responsabile. I detenuti, a Lecce come in tutte le carceri italiane, vivono una condizione che più volte, da osservatori indipendenti ma anche dagli organismi di vigilanza dell’Unione Europea, è stata definita disumana e degradante. Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ancora una settimana addietro chiedeva alle istituzioni di fare il punto della situazione. L’Italia ha tempo fino al 27 maggio per presentare alla Corte di giustizia di Strasburgo le soluzioni individuate per migliorare il sistema detentivo. Lecce Prima ha intervistato Maria Pia Scarciglia, responsabile per Lecce e Taranto dell’associazione Antigone - per i diritti e le garanzie nel sistema penale - che opera su tutto il territorio nazionale. Una delegazione ha infatti effettuato nelle scorse settimane una visita a Borgo San Nicola, diretta da Antonio Fullone. Qual è il bilancio dell’ultima visita al penitenziario? L’Osservatorio di Antigone aveva effettuato l’ultima visita nella casa circondariale di Lecce nel settembre 2012 ed aveva trovato una situazione molto critica sul piano della vivibilità visto che i detenuti all’epoca erano circa 1290. Il sovraffollamento li costringeva a stare in tre in una cella di soli 10,5 metri quadrati. Oggi invece i detenuti presenti a Borgo San Nicola sono sotto i 1123 di cui 1038 uomini e 85 donne e nelle celle ci sono al massimo due persone, in alcune anche una. Inoltre abbiamo potuto notare che la circolare del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria sulle cosiddette celle aperte è stata prontamente applicata quasi in tutte le sezioni del carcere leccese, fatta eccezione per il circuito dell’ alta sicurezza. Devo dire che l’attività dell’osservatorio quest’anno si sta concentrando molto sulla applicazione della predetta circolare, un provvedimento che sollecita tutti gli istituti di pena a non circoscrivere i detenuti in una gabbia chiusa, ma consente libertà di movimento all’interno del padiglione. A Lecce le celle sono aperte in alcune sezioni dalle ore 08.40 alle ore 11.45 dalle ore 13.00 alle 14.50 dalle 15.00 alle 18.10. Questo accade in tutto il blocco R1 e nella sezione dei dimittendi e di transito. Il sistema appena descritto incide positivamente sulla vita del detenuto e dell’intera struttura detentiva che al di la delle iniziali resistenze, in particolare da parte degli agenti, si sta abituando gradualmente a questa piccola rivoluzione. I detenuti grazie a questo regime hanno maggiore libertà di movimento, perché possono circolare nei corridoi e passare il tempo in delle stanze definite di socialità. A nostro parere occorrerebbe lavorare di più proprio sugli spazi comuni, luoghi dove i detenuti possono riunirsi per parlare o fare attività ma che allo stato, sono poco sfruttati e privi di modalità di vera interazione. Il carcere di Lecce non ha all’interno delle sezioni un luogo deputato al consumo di cibo che viene somministrato dalla mensa interna e consumato dentro le celle. Questo impedisce ai detenuti di socializzare e condividere un momento importante della giornata quale è il pranzo o la cena. Altra proposta è quella di creare all’interno di ogni sezione una cucina spazio fondamentale dove favorire socialità, ma anche creatività soprattutto se pensiamo alle donne. La cancellazione della Fini-Giovanardi, in che misura può incidere sul sovraffollamento? I detenuti presenti nelle carceri italiane per violazione della legge sulla droga erano a fine 2012 25mila 269, il 38,46 per cento del totale. Il dato che più impressionava era quello dei denunciati per cannabis, pari a circa il 42 per cento. Ora abbiamo stimato che saranno oltre 20mila i detenuti interessati dall’abrogazione della legge Fini, in particolare quelli condannati per le droghe leggere: coloro che lo sono stati in maniera definitiva possono chiedere alla Procura un incidente di esecuzione. Si tratterà di uno sconto di pena notevole considerato che la nuova legge ne prevede una, in regime di detenzione, da 2 a 6 anni per cannabis. Nulla a che fare insomma con le pene draconiane previste dalle legge Fini Giovanardi: dai 6 a 20 anni di reclusione per tutte le sostanze. Finalmente è stato posto uno stop a quella scellerata e criminogena legge che era la Fini Giovanardi colpevole di avere fatto salire vertiginosamente il numero dei consumatori detenuti che per pochi grammi finivano nel circuito carcerario anche se incensurati. Altra zavorra è quella dei tempi giudiziari. Quanti sono a Lecce i detenuti in attesa di giudizio? Dai dati a nostra disposizione 197 sono i giudicabili, 138 gli appellanti e 127 i ricorrenti. Una delle criticità riguarda la condizione femminile in carcere. Com’è la situazione a Lecce? Le donne al momento della visita erano 85 di cui 16 straniere. La sezione femminile a Lecce è piuttosto piccola, perché l’istituto era stato pensato solo per gli uomini. Le celle sono aperte quasi tutto il giorno e non appena termineranno di installare le telecamere gli orari di apertura saranno uguali alla sezione a trattamento avanzato. La giornata è scandita da orari e da attività. Nella sezione femminile vi è la scuola primaria e la scuola secondaria. Al momento sono attivi i seguenti corsi: Street art e il progetto Orti Verticali. Vi è poi la sartoria dove lavorano appena 7 donne. Il problema della formazione al lavoro è serio e i recenti tagli alla spesa dell’amministrazione penitenziaria pesano non poco se si pensa che tra gli obiettivi della pena detentiva vi è il reinserimento sociale della persona detenuta. La donna per natura ha un modo differente di vivere la reclusione e basta visitare un reparto maschile ed uno femminile per capirne le differenze. Il carcere non è per le donne e questo sistema carcerario ancora meno. La donna detenuta nella maggior parte dei casi è moglie e madre. I sensi di colpa delle madri detenute non hanno eguali e il distacco dai figli è uno degli aspetti più drammatici della detenzione femminile che nemmeno la legge Finocchiaro è riuscita realmente a risolvere. Oggi la norma dice che le madri detenute possono tenere il figlio con sé fino al compimento dei 3anni. Ma cosa significa per un bambino separarsi dalla propria madre al superamento di tale età? Da qui si dovrebbe ragionare e pensare a soluzioni e circuiti differenti per coloro che, se non possono andare agli arresti domiciliari devono essere collocate in luoghi a custodia attenuata, insieme al proprio bimbo. Gli studi ci dicono che la donna si ritrova in carcere il più delle volte a causa del suo compagno, ma al contrario degli uomini, che fuori riescono dopotutto a mantenere un legame con moglie e famiglia, la donna è stigmatizzata e spesso abbandonata dal marito e dalla famiglia che non le perdona la violazione del patto sociale a cui lei era stretta. Diverse volte è stata rimarcata la quasi totale assenza di attività formative e di reinserimento sociale. Sono stati fatti dei passi in avanti? La casa circondariale di Lecce sta lavorando molto sul trattamento e il fatto che in un istituto di pena operano diverse associazioni, non può che essere positivo. Sono diversi i corsi e le attività ludico culturali all’interno così come le iniziative organizzate dalla direzione per accorciare la distanza tra il carcere e la società civile. Resta però un punto dolente che è il lavoro, troppo pochi i detenuti e le detenute che svolgono per conto dell’amministrazione o per ditte esterne attività lavorativa rispetto ai numeri della detenzione. Una parte dell’opinione pubblica ragiona spesso con la "pancia" e vede le battaglie per la condizione carceraria con insofferenza. Cosa si sente di dire a queste persone? Il problema è che l’opinione pubblica è stata sin troppo isterizzata dalla classe politica sulla questione sicurezza e legalità. Se pensiamo che al governo abbiamo avuto un partito razzista come la Lega che non ha perso occasione di puntare il dito contro i rom, i neri, gli stranieri, i drogati o gli omosessuali, possiamo certamente comprendere, perché quando si parla di detenuti la gente ragiona con la pancia. La nostra società è stata avvolta negli ultimi venti anni da una cappa di ignoranza e intolleranza che ha portato leggi nefaste e abominevoli anche sul piano giuridico, come la legge sull’ immigrazione, sulla droga e gli innumerevoli pacchetti sicurezza. Una società, la nostra che non è cresciuta come avrebbe dovuto con politiche dal volto più umano e capaci di proteggere le fasce più deboli. Ma al contrario è stata nutrita dal mal costume, dalla furbizia e dall’ arroganza. Ecco dove sta il problema ed ecco, perché oggi si predilige sempre di più lo strumento penale simbolo per eccellenza di controllo e selezione, abdicando così a politiche sociali il cui compito è quello di rimuovere le diseguaglianze e promuovere il bene comune. Terni: M5S; no a 300 nuovi detenuti AS, città non diventi terra di conquista delle mafie www.ternioggi.it, 7 maggio 2014 Parlare di infiltrazioni mafiose in Umbria è riduttivo visto che nel cuore verde d’Italia la mafia opera ormai regolarmente. Lo ha sostenuto Don Luigi Ciotti, fondatore di Libera, e la dichiarazione viene ripresa dal Movimento 5 Stelle di Terni che si oppone al trasferimento nel carcere di Sabbione di 300 detenuti pericolosi. I pentastellati condividono infatti le preoccupazioni dei sindacati delle guardie penitenziarie: c’è il forte rischio di aumentare la presenza mafiosa in città. Il senatore M5S, Stefano Lucidi, proprio su questo ha presentato un’interrogazione parlamentare. Il comunicato del Movimento 5 Stelle di Terni: "Il Movimento Cinque Stelle di Terni intende raccogliere l’allarme sollevato dai sindacati delle guardie carcerarie riguardo al trasferimento nel carcere di Vocabolo Sabbione di circa 300 nuovi detenuti definiti ad alta pericolosità. Il Dipartimento di amministrazione penitenziaria ha deciso infatti di inviare nella Casa Circondariale di Terni 270-300 detenuti "As3", la terza tipologia di detenuti per indice di pericolosità, una categoria delinquenziale inferiore soltanto ai "41bis" con tutti i rischi connessi alla sicurezza intramuraria ed esterna. La città di Terni non ha ancora maturato gli anticorpi per contrastare fenomeni di tipo mafioso: dalla nostra Procura generalmente, non partono indagini in tal senso; i sequestri di beni e gli arresti, che pur non sono mancati in questi anni nella nostra città e nella nostra regione, sono stati possibili grazie alle indagini di altre procure. Don Luigi Ciotti, fondatore di "Libera" in un un recente intervento ha definito "riduttivo" parlare di infiltrazioni mafiose in Umbria, dal momento in cui nella nostra regione la mafia opera ormai regolarmente. L’arrivo nel carcere ternano di 300 detenuti speciali lascia presupporre il trasferimento di interi nuclei familiari al loro seguito e questo significa esporre ancor più il nostro territorio ad attività illecite di stampo mafioso. Una dissennata concentrazione per una città che non è più immune dai germi della criminalità organizzata e la micidiale mistura sociale con i congiunti e gli amici al seguito rischia di contagiare definitivamente il già provato territorio. Immettere questi detenuti - spiegano i sindacati delle guardie carcerare - nello stesso territorio dove sono già custoditi 41 bis e as2 significa contribuire fattivamente a favorire contatti e scambi specialmente in un ambiente esterno poco avvezzo a riconoscere i rischi di infiltrazioni sul territorio. Il Movimento Cinque Stelle ha già sollevato la questione con un’interrogazione parlamentare che come primo firmatario ha il portavoce al senato Stefano Lucidi. Ci rendiamo conto che fin quando non ci sarà la capacità di riconoscere i problemi non sarà possibile lavorare per trovare le soluzioni. Ricordiamo che già nel 2010 secondo il rapporto dei servizi di sicurezza, l’Umbria si collocava al quinto posto per la presenza di clan e gruppi mafiosi e camorristici, incentivate anche dalla detenzione nelle carceri. A fronte di questa situazione non abbiamo mai assistito ad una presa di posizione forte da parte delle istituzioni locali nei confronti di un fenomeno che rischia - se non contrastato con ogni mezzo possibile - di condurre ad una sempre maggiore proliferazione della mafia nel nostro territorio. Per questo il Movimento Cinque Stelle farà il possibile, con tutti gli strumenti a sua disposizione per dare voce a tutti quei cittadini che non vogliono che Terni diventi ancor più terra di conquista per le mafie senza che nessuno si ponga minimamente la questione". Corato (Ba): “Verde speranza”, arriva il bando per il progetto destinato agli ex detenuti www.coratolive.it, 7 maggio 2014 Tornare ad essere attivi nella società mettendosi al servizio del verde pubblico e del decoro urbano. È questo l’obiettivo del progetto “Verde speranza” pensato dal Comune di Corato per gli ex detenuti. Il bando scade il 20 maggio. Tramite un sorteggio pubblico si stilerà un elenco progressivo dei soggetti che saranno coinvolti nelle attività dell’Asipu Tornare ad essere attivi nella società mettendosi al servizio del verde pubblico e del decoro urbano. È questo l’obiettivo del progetto “Verde speranza” pensato dal Comune di Corato per gli ex detenuti. Qualche giorno fa ne abbiamo dato notizia illustrandone i principi fondamentali enunciati nella delibera del commissario prefettizio. Ieri però, sul sito del Comune, sono stati resi noti, tramite il Bando, i termini di presentazione della domanda. Si tratta di un bando “per l'inserimento sociale di soggetti fuoriusciti dal circuito penale” nato a seguito della delibera commissariale n. 41/G dell’11 aprile scorso. Il progetto si pone l’obiettivo di promuovere e sviluppare “azioni positive per i cittadini in condizioni di fragilità e svantaggio sociale mediante la sperimentazione di interventi di “welfare inclusivo”“. È possibile presentare domanda fino al 20 maggio utilizzando il modello scaricabile qui. Verrà stilato un elenco con i nomi di chi farà richiesta di partecipare al progetto. Non ci sarà un'ulteriore selezione secondo particolari parametri. Sarà ancora una volta utilizzato il meccanismo del sorteggio: “I cittadini che presenteranno istanza di partecipazione - stando a quanto scritto nel Bando - saranno inseriti nell’elenco degli aventi diritto in quanto in possesso dei requisiti. Dall’elenco stilato sarà estratto, mediante sorteggio pubblico, un ulteriore elenco progressivo dei soggetti da impegnare nelle attività previste, dal quale attingere secondo l’esigenza dell’Azienda. Il sorteggio sarà effettuato nei limiti delle esigenze del servizio e delle corrispondenti risorse finanziarie”. I destinatari di “Verde speranza” sono gli ex detenuti, uomini e donne che abbiano già scontato la propria pena e che siano tornati in libertà da non più di cinque anni. Rientrano nel progetto anche persone sottoposte alla misura della sorveglianza speciale ai sensi della legge n.1423/56 (da almeno cinque anni). In quest’ultimo caso però, ai sensi del punto n. 5 della legge appena citata “non potranno svolgere le prestazioni d’opera previste in associazione con altri soggetti che hanno subito condanne o sono sottoposti a misure di prevenzione o sicurezza”. Oltre a quanto precisato riguardo agli ex detenuti destinatari del progetto, il Bando puntualizza che per essere ammessi all’attività è necessario risiedere a Corato, avere età compresa tra i 18 e i 65 anni, dimostrare una condizione di disagio socio economico e familiare. “L’obiettivo progettuale - chiarisce il Bando - consiste nell’offrire a determinati soggetti “svantaggiati”, una chance di inserimento nel tessuto sociale ed economico di Corato, impegnandosi in un intervento di pubblica utilità quale la salvaguardia del verde pubblico, immobili e beni di proprietà comunale, monitoraggio del decoro ed in generale cura della città”. Il soggetto gestore dell’intervento è l’Asipu, l’Azienda servizi igiene e pubblica utilità. Gli ex detenuti che avranno fatto domanda di ammissione al progetto verranno inseriti “nello svolgimento di attività di manutenzione del verde” in numero variabile. “Tale impegno - si precisa nel Bando - trattandosi di attività meramente occasionale resa a favore della comunità cittadina, non si configura come un rapporto di lavoro subordinato, né a carattere pubblico, né a carattere privato, né a tempo indeterminato, né a tempo determinato, ma esclusivamente come un rapporto di locazione d’opera ai sensi dell’art. 2222 c.c. e tali prestazioni non sono soggette ad Iva”. Per presentare la domanda, insieme al modulo prestampato è necessario consegnare la fotocopia di un documento di riconoscimento in corso di validità e la documentazione che attesta la data di scarcerazione e/o la condizione di sorvegliato speciale. Il termine per consegnare la domanda all’Ufficio servizi sociali del Comune di Corato è fissato al 20 maggio prossimo: farà fede il timbro postale in caso di spedizione o il timbro di accettazione dell’Ufficio protocollo in caso di consegna a mano. Le istanze pervenute dopo il 20 maggio, non saranno prese in considerazione. Milano: con il progetto "Incontri ravvicinati…", le biblioteche entrano in carcere Vita, 7 maggio 2014 Del Corno: "Un progetto orientato non solo a rafforzare la coesione sociale, ma anche a incrementare il patrimonio cognitivo grazie all’intrecciarsi di esperienze e culture". "Cinque squadre bibliotecarie per cinque diversi progetti che hanno per obiettivo non solo l’aumento della coesione e dell’inclusione sociale, ma anche l’incremento del patrimonio cognitivo grazie all’intrecciarsi di esperienze e culture per uscire da situazioni di disagio o di emarginazione". Così ha dichiarato Filippo Del Corno, assessore alla Cultura del comune di Milano durante la presentazione di "Incontri ravvicinati. Colmare le distanze, sfatare i pregiudizi: in biblioteca si può". Il progetto culturale è realizzato dal Sistema bibliotecario urbano milanese, grazie al sostegno di Fondazione Cariplo (138mila euro), ha attivato 37 azioni locali, aprendo un tavolo di coordinamento centrale e di valutazione e cinque tavoli locali, coinvolgendo 16 partner. Da questo lavoro hanno preso il via cinque sperimentazioni. Eccole. "Oltre il muro" è realizzato da Biblioteca Parco Sempione, Abcittà e Teatro La Madrugada e vuole creare dialogo e confronto tra due realtà, la città e il carcere, normalmente separate da uno spesso strato di isolamento e pregiudizio. Con Biblioteca Vivente fuori e dentro i detenuti del Carcere di Bollate diventeranno "libri umani" in una sfida agli stereotipi carcerari, mentre nei laboratori di scrittura "Ti prendo in parola" le parole dei reclusi si intrecceranno con quelle dei cittadini "liberi" viaggiando dentro e fuori dal carcere. Biblioteca e carcere saranno luoghi di incontro che offriranno, a detenuti e non, l’occasione di conoscersi e interagire attraverso modalità non convenzionali, al di là dei luoghi comuni. "Dentro e fuori" portato avanti da Biblioteca Fra Cristoforo e Fratelli dell’Uomo è la biblioteca che indirizza la propria azione alle mamme ospitate, insieme ai loro figli da 0 a 3 anni, nell’Istituto di Custodia Attenuata per le Madri detenute (Icam). Attraverso i laboratori di narrazione "Entriamo dalla finestra" e "Storie aperte", gli incontri di scrittura autobiografica "Mamme che raccontano" e l’ascolto musicale precoce per i bambini con i laboratori di Musicainfasce® e Sviluppo alla musicalità®, si vuole favorire il processo identitario delle madri, la relazione con i figli e il legame con la collettività interna ed esterna, attivando il confronto su modi diversi di cura dell’infanzia e instaurando atteggiamenti di apertura e dialogo. "Lasciami andare" è coordinato da Biblioteca Oglio, Istituto Comprensivo "Cavalieri" di Milano e Teatro La Madrugada e si rivolge ai ragazzi ospiti dell’Istituto Penale Minorile Cesare Beccaria e ai loro coetanei residenti nella zona sud-ovest di Milano per favorirne l’integrazione e la coesione sociale nel contesto territoriale. Si articola in due azioni: la prima, a partire da laboratori tematici di lettura/scrittura, multimedialità e arte/immagine, da tenersi sia in Ipm sia all’esterno, crea una rete con le Istituzioni e le Associazioni. La seconda realizza laboratori di dialogo, tra i ragazzi dell’Istituto e i loro coetanei "liberi", nei quali le parole si traducono in immagini che esprimono e comunicano in modo efficace il loro immaginario e che potranno poi viaggiare ed essere viste in diversi luoghi della città. "Biblioteche in rete a San Vittore" è realizzato da Centro Servizi Biblioteche Rionali, Fondazione Caritas Ambrosiana, Fondazione Casa della carità A. Abriani, Fondazione Culturale San Fedele, Sesta Opera San Fedele e Associazione Gruppo Carcere Mario Cuminetti. Si tratta di un viaggio che, attraverso le parole di oggi, i libri, le voci e gli interessi dei detenuti, incoraggia la partecipazione dei cittadini alla concreta strutturazione di un Sistema bibliotecario interno al carcere. Con l’obiettivo di dotarlo di procedure, norme e criteri in linea con gli standard bibliotecari cittadini e di attivare risorse e canali di interazione con le biblioteche della città e i suoi frequentatori. Ogni azione messa in campo è occasione di scambio e confronto con il mondo esterno e favorisce la responsabilizzazione dei detenuti così come quella della collettività nei confronti della realtà carceraria. "Biblioteca finestra sul mondo" è nato dall’iniziativa di Biblioteca Gallaratese, Fate Artigiane, Soleterre e si rivolge alle comunità migranti, con una particolare attenzione alle famiglie, alle donne e alle badanti di origine straniera che vivono il quartiere e frequentano la biblioteca. L’obiettivo è promuovere coesione sociale favorendo l’accesso e la partecipazione attiva dei cittadini stranieri alle risorse e alla promozione culturale della biblioteca. Un fitto palinsesto di incontri interculturali, da tenersi in biblioteca, nelle scuole, in museo e sul territorio, ha il duplice scopo di fornire occasioni di scambio, confronto e condivisione e di sostenere la genitorialità e i ricongiungimenti familiari attraverso la comunicazione a distanza e il potenziamento del servizio skype. Brescia: "Dentro", 6 grandi fotografi per una mostra collettiva "dalla parte dei detenuti" di Stefano Pasta Famiglia Cristiana, 7 maggio 2014 Sei grandi fotografi, una mostra collettiva realizzata a Brescia. Per indagare con la fotocamera gli istituti di pena "dall’interno". Una serie di immagini nelle quali traspare l’autenticità di quello che i carcerati vogliono venga visto "fuori". Un vero esempio di fotogiornalismo "etico". Continuamente rapporti e fatti di cronaca parlano di un sistema carcere che sembra aver gettato la spugna sulla possibilità di trattare i detenuti con dignità. Continua a considerare la chiave il simbolo della sicurezza, ma più sono le mandate, più sale la recidiva. Un carcere "chiuso", con pochi progetti di recupero sociale, diventa patogeno e criminogeno: anziché rieducare, produce un tasso di recidiva del 70%. Tra le ultime notizie, il 6 aprile, Constantin Niculau, 60 anni, detenuto al Due Palazzi di Padova, è stato ricoverato in ospedale perché vittima di un violento pestaggio avvenuto dietro le sbarre. Poche settimane prima, la Società italiana di medicina penitenziaria ha diffuso un rapporto secondo il quale le nostre prigioni sono dei veri e propri lazzaretti: il 60-80% dei detenuti ha qualche malattia. I tossicodipendenti sono il 32%, il 27% ha un problema psichiatrico, il 17% ha malattie osteoarticolari, il 16% cardiovascolari e circa il 10% problemi metabolici e dermatologici. Tra le malattie infettive, è l’epatite C la più frequente (32,8%), seguita da Tbc (21,8%), Epatite B (5,3%), Hiv (3,8%) e sifilide (2,3%). E il 28 maggio scadrà il tempo che la Corte europea ha dato all’Italia per porre fine al sovraffollamento carcerario (meno di 3 metri quadrati di spazio vitale per persona): se non porrà rimedio, il nostro Paese sarà condannato a pagare un risarcimento di 20 euro a giorno per ogni detenuto. Su questi temi si è soffermata la mostra collettiva "Dentro" (di cui, per gentile concessione degli autori pubblichiamo le foto della gallery), che è stata presentata alla Wavegallery Corsini di Brescia. Renato Corsini, Gianni Berengo Gardin, Mauro D’Agati, Davide Ferrario, Rosi Giua e Uliano Lucas: sei fotografi e sei parallele ricerche fotografiche indagano la vita all’interno delle case circondariali di Canton Mombello (Brescia), San Vittore e Bollate (Milano), Pagliarelli (Palermo) e Buon Cammino (Cagliari), ma soprattutto, con occhio attento e cuore aperto, si mettono al servizio dei detenuti, abitanti oltre che prigionieri. Come spiega il titolo, i fotografi hanno lavorato indagando dal di "dentro" gli istituti di pena. "Il loro approccio", spiegano i curatori della mostra, "è stato quello di entrare fisicamente nelle celle per stabilire con i detenuti un rapporto che doveva necessariamente essere di reciproca fiducia, di unanime comprensione dei problemi e di autentico rispetto per le singole personalità". Ne è scaturita una mostra ricca di umanità, lontana dal quel "sbatti il mostro in prima pagina" che l’argomento potrebbe suggerire; una serie di immagini nelle quali traspare l’autenticità di quello che i carcerati vogliono venga visto "fuori". Un vero esempio di fotogiornalismo "etico". Tolmezzo (Ud): laboratorio di scrittura creativa per i detenuti con lo scrittore Roveredo Il Giornale del Friuli, 7 maggio 2014 Distaccarsi dall’abbandono, riflettere, cercare se stessi e provare a raccontarsi. In carcere l’uso della lettera, l’atto di scrivere, diventano la componente naturale e fondamentale per non perdere la comunicazione con il mondo. Su queste basi, nella Casa Circondariale di Tolmezzo è stato appena avviato e prosegue per tre mesi fino all’estate un nuovo laboratorio di scrittura creativa per i detenuti guidato da Pino Roveredo, scrittore e operatore culturale, già vincitore del premio Campiello nel 2005. Il percorso è curato dal Css Teatro stabile di innovazione del Friuli Venezia Giulia, con il sostegno del Servizio Sociale dei Comuni n.3.2 "Carnia" di Tolmezzo - Azienda per i Servizi Sanitari n. 3 "Alto Friuli". Lettere dal carcere, questo il titolo del laboratorio, è un percorso della durata di circa 3 mesi fatto di lettura e scrittura, dialogo e confronto, speranza. Un laboratorio in cui specchiarsi e sperimentarsi, conoscersi attraverso una scrittura rivolta a sé stessi, ai familiari e alle persone care, ma anche a quella società che continua a respingere. Un’esperienza non nuova per Pino Roveredo che ha curato con continuità in questi anni corsi di scrittura anche all’interno della Casa Circondariale di Pordenone e della Casa Circondariale di Gorizia. "Detenuti invecchiati, detenuti stranieri e detenuti giovani come un esordio - racconta così questa esperienza, Pino Roveredo - a volte usano l’opportunità delle attività offerte dal Progetto che da anni curo con il Css per uscire dall’abitudine costretta e ristretta della cella. Detenuti che all’inizio diffidano, ascoltano, osservano, non parlano, poi, davanti all’ipotesi di un "corso di scrittura" che non impone l’azzardo di una "bella calligrafia", ma cerca invece di accedere all’uso della parola, ecco che si smuovono dalle loro rigidità fino a diventare i protagonisti di un pensiero, di un dialogo, di un confronto. Assieme abbiamo trovato parole buone per raccontarsi, arrabbiarsi, lamentarsi, ma anche per rammaricarsi, dispiacersi, e a volte condannarsi. Parole che si licenziano dai soliti argomenti, e usano la voce e la calligrafia per rammentare la dolcezza degli affetti, il rammarico degli attimi migliori, e la speranza di chi non vuole usare il futuro senza la replica pesante del passato". Il Css Teatro stabile di innovazione del Friuli Venezia Giulia è attivo dal 1985, con il sostegno della Direzione centrale salute, integrazione socio sanitaria e politiche sociali della Regione Friuli Venezia Giulia, nell’ideazione e promozione di progetti di attività socio-culturali nelle quattro Case Circondariali della Regione, a Udine, Tolmezzo, Gorizia, Pordenone e dal 2006 anche con l’Uepe - Ufficio esecuzione penale esterna di Udine, Pordenone, Gorizia. In questi anni il Css ha potuto garantire una presenza costante e continuativa di attività laboratoriali in diversi ambiti creativi, continuando a proporre, in parallelo, spettacoli teatrali, concerti e lezioni-concerto per la popolazione detenuta. Un processo rieducativo nato con l’obiettivo di acquisire nuovi strumenti culturali, nella prospettiva dell’integrazione sociale e multi etnica attraverso musica, teatro, scrittura creativa e percorsi didattici cinematografici legati al cineforum. Saluzzo (Cn): progetto "Adotta uno scrittore", quattro incontri nella Casa di reclusione di Cristiano Cavina La Stampa, 7 maggio 2014 Le sole finestre che un detenuto può aprire: i libri. Se entri in Cyrano o nelle Città Invisibili di Calvino dimentichi i muri di cemento armato e le torrette. La prima volta che ho incontrato gli studenti della II D/C del liceo artistico Soleri-Bertone, mi hanno scambiato per un altro. È un po’ quello che mi è sempre successo andando a incontrare gli studenti delle scuole in giro per l’ Italia. Si aspettano che arrivi una specie di Manzoni, con le basette e il colletto inamidato, e invece al suo posto si presenta sto tizio con la felpa e un orecchino sul sopracciglio. Li vedo che tirano un sospiro di sollievo. Si rilassano. "Questo è messo peggio di noi", pensano. E succede in ogni scuola, una o due volte a settimana, da anni. Ed è successo anche quando ho incontrato le classi ristrette del Liceo Artistico Soleri-Bertone, a Saluzzo. Ma a differenza delle altre scuole, qui ad aspettarmi qualcosa di diverso ero io. Per entrare nelle classi I e II D/C devi passare un metal detector e una perquisizione personale. Devi lasciare il telefono in una cassetta di sicurezza e la carta d’identità all’ingresso. Un sacco di porte blindate vengono aperte e poi chiuse tue spalle. Le classi ristrette del Liceo Soleri Bertone si trovano nel Carcere di Massima Sicurezza Rodolfo Morandi di Saluzzo. Ho passato lì tutti i lunedì di marzo. La mattina con gli studenti della I D/C, il pomeriggio con la II e la I A del Liceo Linguistico. Gli studenti della I D/C e della II non si possono incontrare, come accade in ogni scuola del mondo, magari a ricreazione, nei corridoi. Quelli di prima sono in regime di semi protezione, sono detenuti per crimini a sfondo sessuale, e restano separati dagli altri. La prima volta che mi ha visto, seduto sulla cattedra e non dietro, uno studente della II^ ha chiesto alla loro professoressa, la signora Scotta, perchè mai a parlare ci fosse un detenuto di medio termine. "Quello è lo scrittore" ha risposto lei. Adotta uno scrittore è un’iniziativa del Salone del Libro che da anni porta gli autori nelle scuole. Quest’anno, con gli studenti delle mie classi ristrette, ho imparato che dentro a un carcere i libri sono le uniche finestre che un detenuto può aprire. Credo sia l’unico caso di evasione in cui le Guardie della Polizia Penitenziaria poi non ti inseguono. Anche perchè sarebbe impossibile. I libri sanno portarti in certi posti che appartengono solo a te, e che nessun altro può raggiungere. Parlare di libri in carcere è stato... beh, è stato come parlare di libri come con qualsiasi altro essere umano. Perdendosi dietro a Cirano o nelle Città Invisibili di Calvino, poi non fai caso ai muri di cemento armato e alle torrette sul muro di cinta. Certo, sono finestre particolari, non ci possono passare gli abbracci di un figlio o le carezze di una moglie, e nemmeno ci si può infilare di traverso per correre al capezzale di un padre morente. Ma lasciano luce sufficiente per far passare cose bellissime, come la passione dei volontari. Abbiamo parlato di padri, di nonne che si lamentano con il crocifisso e anche di una città invisibile chiamata Cristiania, popolata dai Padri ritrovati. In realtà non so cosa scrivere dei miei studenti di quest’anno. A parte quelli del linguistico ordinario, erano tutti più grandi di me. E ho paura di offendere le vittime fuori. E in realtà, non so niente di loro. Ho scelto di non aprire i registri di classe che avevo ogni volta sottomano. So però che l’ultimo giorno insieme mi hanno regalato una rosa per la madre di mio figlio, fatta con una saponetta, che ti si spezza il cuore solo a guardarla. Per il mio Giovanni hanno intrecciato un bracciale con il suo nome ricamato sopra, che lui ora mostra fiero ai suoi compagni di scuola. Hanno letto un mio libro in cui parlo di come è nato mio figlio, dopo una difficilissima gravidanza, quando giravo per gli ospedali con in tasca un foglietto in cui avevo ricopiato un passo del salmo 122, "e se anche dovessi camminare in una valle oscura non temerei alcun male, perchè tu cammini con me". Loro l’hanno incisa su un blocco di legno, scolpito a forma di libro, che ho qui davanti a me, mentre scrivo. Molti di loro cammineranno in una valle oscura per tanti anni, altri non ne usciranno mai, e anche se hanno fatto cose orribili e sbagliate, io vorrei dirgli che anche se non valgo molto come buon pastore e non ho le credenziali del Buon Gesù, io cammino con loro. Mi hanno lasciato una poesia, l’ultima volta che ci siamo visti. Inizia così: "Quando ci hanno detto che veniva lo scrittore, abbiamo pensato che sarebbe arrivato il solito professore. Ma quando lo scrittore è arrivato, abbiamo pensato: altro che professore, ci hanno mandato uno zappatore". E finisce cosi: "Sappi che uno di noi sei considerato. Grazie per quello che ci hai dato e per la lezione che ci hai lasciato. Speriamo che anche noi qualcosa ti abbiamo insegnato, e che da te saremmo sempre ricordati come lettori, e non come come carcerati". Mi mancano. Tutti quanti. Questa è la verità. Il progetto Lo scrittore Cristiano Cavina ("Inutile Tentare Imprigionare Sogni", da Marcos y Marcos, il suo ultimo romanzo) ha partecipato al progetto "Adotta uno scrittore", con quattro incontri alla Casa di reclusione "Rodolfo Morandi" di Saluzzo. Durante il Salone altri otto scrittori si confronteranno con i detenuti, in incontri aperti al pubblico per "Voltapagina". Venerdì 9, la casa di reclusione di Saluzzo ospita anche Giovanni Floris (ore 11) e Luca Bianchini (ore 15); la Casa di Reclusione San Michele di Alessandria apre le sue porte ad Andrea Vitali (ore 11) e Antonio Pennacchi (ore 16). Sabato 10, Maurizio Maggiani è a Saluzzo (ore 15). Domenica 11, Fabio Volo (ore 11) e Mauro Corona (ore 15) alla Casa Circondariale Quarto Inferiore di Asti; Alessandro Bergonzoni all’Istituto Penale per i Minorenni Ferrante Aporti di Torino (ore 15). Firenze: detenuti di Sollicciano in concerto con il nuovo spettacolo dell’Orkestra Ristretta Redattore Sociale, 7 maggio 2014 Nei prossimi giorni i reclusi dell’istituto penitenziario fiorentino di esibiranno di fronte al pubblico nell’ambito dell’iniziativa promossa dall’Arci di Firenze Torna il nuovo spettacolo dell’Orkestra Ristretta di Sollicciano, la band di detenute e detenuti diretta da Massimo Altomare nata nell’ambito delle attività socioculturali realizzate da Arci Firenze in convenzione con il Comune di Firenze e con il sostegno della Regione Toscana. Il debutto è in programma per le sezioni del carcere il 21 maggio. Giovedì 22 maggio invece i due spettacoli, in programma dentro al carcere, saranno rivolti al pubblico ‘esterno’: alle ore 10 (riservato alle scuole) e alle ore 19. Quest’anno è il decimo anno che si esibisce l’orchestra dei detenuti. Formata nel 2004 all’interno del carcere di Sollicciano, l’Orkestra Ristretta è composta da un gruppo di una dozzina di detenuti, provenienti da varie parti del mondo, che hanno mostrato un particolare talento o propensione per la musica o il canto. Esperienza originale nel panorama delle attività socio-culturali all’interno dei penitenziari italiani, l’Orkestra mette insieme un gruppo di uomini e donne: lavorano su un progetto musicale, che ogni anno produce nuovo materiale e che si propone, come obiettivo finale, la realizzazione di un’esperienza di meticciato musicale, attraverso il dialogo tra culture musicali diverse. Parma: Vivicittà entra in carcere con la gara podistica, sfida tra detenuti, atleti e studenti www.parmatoday.it, 7 maggio 2014 La gara si terrà mercoledì 7 maggio dalle 9 alle 12 agli Istituti Penitenziari di Parma. Gareggiano un gruppo di detenuti, alcuni studenti dell’Istituto Pietro Giordani, atleti UISP e una delegazione di dipendenti di Fondazione Cariparma. "Vivicittà entra in carcere con la gara podistica" si terrà domani, mercoledì 7 maggio dalle 9 alle 12 agli Istituti Penitenziari di Parma. Gareggiano un gruppo di detenuti, alcuni studenti dell’Istituto Pietro Giordani, atleti Uisp e una delegazione di dipendenti di Fondazione Cariparma. L’iniziativa rientra nel progetto "La promozione del benessere psicofisico negli istituti penitenziari" promosso dall’Azienda Usl, finanziato da Fondazione Cariparma. Le attività motorie previste dal progetto sono realizzate con la collaborazione dell’Uisp provinciale, della Direzione degli Istituti Penitenziari e del personale di Polizia Penitenziaria. Testimonial dell’evento è il runner Paolo Bucci. Saranno presenti, per l’Ausl, Giuseppina Ciotti (direttore del Distretto di Parma), Antonio Balestrino (direttore Dipartimento Cure Primarie Distretto di Parma) e Francesco Ciusa (direttore U.O. Salute nelle carceri), Walter Antonini (Assessore allo Sport della Provincia di Parma), Giovanni Marani (Assessore alle Sport del Comune di Parma), i cronometristi dell’Uisp Corrado Nicoli ed Ezio Ghiretti, il Direttore reggente degli Istituti Penitenziari, Anna Albano e, per Fondazione Cariparma, il Segretario Generale Luigi Amore. Pistoia: "Stazione", radiodramma nato dal laboratorio di scrittura creativa dei detenuti La Nazione, 7 maggio 2014 Sarà presentato giovedì 8 maggio alle 20.30 (ingresso libero), grazie all’ospitalità del Funaro Centro Culturale - via del Funaro 16, a Pistoia - "Stazione", con la regia di Gianni Cascone, la collaborazione di Romina Breschi, il montaggio sonoro e le musiche di Andrea Orsi. "Stazione" è il radiodramma nato dal laboratorio di scrittura creativa che Gianni Cascone, scrittore e docente del Funaro Centro Culturale, ha condotto presso la Casa Circondariale di Pistoia, grazie al sostegno della Provincia di Pistoia e della Regione Toscana tramite Redop, la Rete documentaria provinciale. Il laboratorio ha invitato ogni detenuto partecipante a creare un personaggio con una sua storia. Una volta dato vita ai personaggi, il gruppo ha scelto una situazione che facesse da ambientazione comune: è stata individuata quella della stazione ferroviaria, metafora della società e del mondo, luogo in cui i destini si sfiorano, ignorano, incontrano e spesso si intrecciano. È nato così il radiodramma che vede un signore rom, in partenza per la Sicilia, fare da voce narrante: una guida nel mondo dei viaggiatori e una sorta di Virgilio per l’ascoltatore, descrivendo i vari personaggi e innescando le scene che compongono il mosaico finale. Sono storie delicate, di personaggi fragili o ai margini della società, tutti specchi di una esclusione sociale e umana che il detenuto sconta giornalmente nella sua pena. Una pena rappresentata come giusta, e quasi sempre il carcerato lo riconosce, ma con il riconoscimento di una altrettanto lecita rivendicazione della propria dignità. Spesso si parla di far uscire la voce dei detenuti dalla reclusione del carcere e di riconoscerle dignità: Gianni Cascone e il gruppo Amore e Libertà (è il nome che si sono dati gli autori) hanno scelto, letteralmente, di fare uscire questa voce nelle "onde" dell’aria. Il programma della serata prevede l’ascolto di brani tratti dal radiodramma e letture dal vivo di alcuni dei partecipanti al laboratorio e degli attori del Funaro. Porteranno i loro saluti: Massimiliano Barbini per il Funaro Centro Culturale, l’assessore alla cultura della Provincia di Pistoia; Carmelo Cantone, provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria della Toscana; Tazio Bianchi, direttore della Casa Circondariale di Pistoia; Maria Stella Rasetti, responsabile del coordinamento tecnico Redop - Rete documentaria della provincia di Pistoia; Gianni Cascone, docente e regista. Info: Ufficio Cultura della Provincia di Pistoia 0573 97461 cultura@provincia.pistoia.it, Il Funaro Centro Culturale 0573.977225 info@ilfunaro.org. Immigrazione: riapertura del Cie di Via Corelli, l’associazionismo dice no di Stefano Pasta Famiglia Cristiana, 7 maggio 2014 Il Centro di identificazione ed espulsione di via Corelli era stato chiuso dopo anni di proteste e rivolte di chi ci veniva recluso. Ora è stato ristrutturato e lo si vorrebbe riaprire a breve. Ma sono tante le associazioni a dire "no". In prima fila nella protesta lo stesso Comune, che aveva chiesto di trasformare la struttura in un centro di accoglienza. La politica fallimentare dei Cie continua. Quanto alla gestione di via Corelli, è curioso vedere chi ha vinto l’appalto. Dopo la tragedia di Lampedusa e la protesta delle bocche cucite, le richieste e gli annunci di modifiche per i Centri di identificazione ed espulsione (Cie) non erano mancati. Nel frattempo, il Sistema è sembrato implodere motu proprio di fronte a inefficienza, condizioni di vita disumane che alimentano rivolte e proteste disperate, tagli ai budget di gestione che pregiudicano anche i servizi più essenziali. Attualmente otto centri sono stati chiusi a causa di danneggiamenti o problemi di gestione, mentre gli ultimi cinque Cie rimanenti (Torino, Roma, Bari, Trapani Milo e Caltanissetta) operano con una capienza limitata. Eppure, ora è ufficiale: a breve, probabilmente quest’estate, riapriranno i cancelli (e le sbarre, il filo spinato, i lucchetti, le gabbie) di quello di Milano. Errare è umano, ma perseverare è diabolico, verrebbe da dire… Nella struttura di via Corelli, ex Cpt, costruita nel 1998 quando il periodo massimo di permanenza era ancora di 30 giorni e non gli attuali 18 mesi, sono infatti terminati i lavori di ristrutturazione necessari dopo anni di rivolte, scioperi della fame, incendi e fughe. Si è trovato, con un bando al massimo ribasso, un nuovo ente gestore. La Croce Rossa, che ha gestito il centro fino alla chiusura del 31 dicembre scorso, aveva rinunciato perché il compenso giornaliero era troppo basso, ma ora il Prefetto Paolo Tronca ha firmato l’incarico al Raggruppamento temporaneo d’impresa costituito dalla Gepsa, società francese di Gdf Suez, e dall’associazione culturale di Agrigento Acuarinto, dopo che le altre due concorrenti (la Ghirlandina di Modena e la 120 Servizi di Siracusa), nonostante avessero un miglior punteggio, erano state escluse per inadempienze. Ora, per 40 euro a persona, le vincitrici garantiranno il vitto, l’alloggio e i servizi di assistenza per un massimo di 140 "ospiti", come il Ministero si ostina a chiamare i trattenuti. Ma cosa c’entra una controllata del colosso dell’energia francese con strutture come i Cie? Oltralpe, la Gepsa gestisce da tempo celle e cortili di alcune carceri. "È la conferma", commenta l’assessore alle Politiche sociali di Milano Majorino, "che i Cie sono luoghi di detenzione. Avevo chiesto che quello di via Corelli non venisse riaperto, ma trasformato in un luogo d’accoglienza. Un’occasione persa". Pare invece che il "Sistema Cie" sia un buon mercato per la Gepsa, che in passato ha gestito il Cara romano di Castelnuovo di Porto, oggetto nel maggio 2013 di un’interrogazione parlamentare firmata anche dall’attuale ministro Madia per la sorte dei suoi lavoratori, e ha partecipato, facendo ricorso dopo gli esiti negativi, al bando per la gestione del Cie di Gradisca di Isonzo e del Cara foggiano di Borgo Mezzanone. Sempre a Milano, in una palazzina a due piani proprio accanto al Cie di via Corelli e al canile cittadino, è ora in corso anche la costruzione di un Cara (Centro di accoglienza per i richiedenti asilo), che dovrebbe aprire entro la fine dell’anno. Sarà la prima struttura di questo tipo in tutto il Nord-Ovest. Colmegna: si tratta di luoghi inumani, antieconomici e inutili Il Naga - associazione milanese che opera dal 1987 per promuovere e tutelare i diritti di tutti i cittadini stranieri, rom e sinti - insieme ad altre associazioni ha indetto per martedì 6 maggio alle 18.30 una protesta di fronte alla Prefettura di Milano contro i due centri. "Immaginiamo", scrive il Naga in un comunicato, "che la nuova versione (del Cie, ndr) conterrà strumenti e dispositivi che tenteranno di neutralizzare ogni forma di rivolta attraverso meccanismi di sottomissione e costrizione". La bocciatura del Cie è senza appello anche per la Casa della Carità di don Virginio Colmegna: "Si tratta di luoghi chiusi e inumani, antieconomici e inutili". Dati e ricerche lo dicono da tempo: secondo la Polizia di Stato, dei 6.016 (5.431 uomini e 585 donne) trattenuti in tutti i Cie nel 2013, meno della metà (2.749, il 45,7%) sono stati effettivamente rimpatriati e corrispondono allo 0,9% degli immigrati irregolari presenti in Italia. Anche il "pugno di ferro" voluto dall’allora ministro Maroni nel 2011, quando prolungò la permanenza massima da sei a diciotto mesi, è servito solo a far crescere i costi: l’aumento dei rimpatri effettivi è stato invece di appena il 2,3%. Adesso il Consiglio dei ministri ha stabilito di tornare a sei mesi, perché - ha spiegato il Viminale - "dopo i primi tre, quattro mesi la possibilità di identificare un soggetto è quasi pari a zero"; la decisione, tuttavia, non è ancora entrata in vigore e andrà attuata per decreto legislativo entro dicembre. L’inutilità dei Cie è insostenibile per le nostre casse: tra il 2005 e il 2012 sono costati oltre un miliardo di euro, nel 2013 sono stati stanziati 236 milioni di euro (66 milioni in più rispetto al 2012), 220 per il 2014 e 178 per il 2015. Ma il prezzo più alto è quello pagato dagli "ospiti", detenuti su disposizione dell’autorità amministrativa, non giudiziaria: i Cie italiani sono gabbie dove si sta male, si abusa di psicofarmaci senza prescrizione medica, si tenta il suicidio, si vive sospesi in attesa di un possibile rimpatrio che non si sa mai se e quando ci sarà. Luoghi di inutile sofferenza, dove - come dice la Casa della Carità parlando di via Corelli - "i diritti delle persone sono stati troppo spesso violati". Se ne sono accorti i due figli, nati a Roma 8 e 12 anni fa, di Mohammed, algerino in Italia dal 1992, recluso nel Cie di Ponte Galeria. A febbraio, raccontammo su Famiglia Cristiana di come gli chiedessero al telefono: "Papà, tu chiami ma non vieni. Perché?". Ecco, la sera del 21 marzo, è stato portato a Fiumicino e rispedito in Algeria. Droghe: Renzi… tra Obama e Giovanardi da Stefano Anastasia Il Manifesto, 7 maggio 2014 I postumi carcerari del trentennio neo-liberista non si sentono soltanto da noi. Miracolati dalla Corte costituzionale, vogliamo tornare esattamente al punto di partenza? Sono passati ormai sedici mesi da quando l’Italia è stata messa in mora dalla Corte europea per i diritti umani per la violazione sistematica del divieto di pene o trattamenti crudeli e degradanti e la popolazione detenuta è diminuita di 6.222 unità. Avevamo una eccedenza di circa 25mila detenuti sui posti-letto regolamentari disponibili nel nostro sistema penitenziario ed è stata ridotta di 10mila unità. Restano, dunque, 15mila detenuti che non hanno un ricovero "a norma". Nonostante l’ultimatum della Corte europea, nonostante il solenne messaggio alle Camere di Giorgio Napolitano, nonostante l’adozione di ben due decreti-legge in materia, nonostante l’impegno profuso dal Ministero della giustizia e dall’Amministrazione penitenziaria, a tre settimane dalla scadenza di quel termine non siamo ancora a metà dell’opera. Come mai? Certamente perché non si è voluta ascoltare la saggia indicazione di Napolitano (adottare un provvedimento straordinario di clemenza mentre si ponevano in opera le riforme strutturali del sistema penale e penitenziario). Certamente perché le sirene populiste sono incantate dalle virtù taumaturgiche della galera assai più che dal rigoroso rispetto dei diritti umani. Certamente perché l’intendenza segue con fatica burocratica le migliori intenzioni dei suoi condottieri. Certamente per tutte queste ragioni, e per altre ancora. Non ultima, però, per l’interdetto italiano a una seria discussione delle politiche sulle droghe e del loro ruolo nei processi di criminalizzazione e di incarcerazione di massa. Anche di fronte alla storica sentenza con cui la Corte costituzionale ha cancellato d’un colpo la legge Fini-Giovanardi la reazione è stata molto al di sotto delle aspettative. Serviva un decreto-legge per sanare le incongruenze oggettive determinate dal ripristino della legge previgente e qualcuno invece ha tentato il colpo di mano, provando a ripristinare per decreto la legge abrogata dalla Consulta. Assediata dal Nuovo Centro-Destra di Alfano e Giovanardi, la Camera non ha potuto migliorare significativamente il decreto ed ecco che un intellettuale soi-disant liberale come Giovanni Belardelli chiede dalle pagine del Corriere nazionale di dar credito alle teorie dell’ex zar antidroga e di classificare tra le droghe più pericolose la fantomatica "super-cannabis" ad alto contenuto di principio attivo. Ora lasciamo perdere la questione dell’esistenza della "super cannabis" e delle sue proprietà, ma il liberale Belardelli non sa che l’unico effetto della sua eventuale riclassificazione consisterebbe nell’aggravamento di pene per la sua detenzione? Miracolati dalla Corte costituzionale, vogliamo tornare esattamente al punto di partenza? I postumi carcerari del trentennio neo-liberista non si sentono soltanto da noi. Anche altrove si stanno facendo i conti con quel passaggio dal "sociale" al "penale" che ha modificato le forme del controllo sociale nei decenni passati. Solo da noi, però, la coazione a ripetere assume questa pervicacia. Negli Stati Uniti l’Amministrazione Obama è partita da definire forme di non punibilità della detenzione di sostanze stupefacenti per arrivare ad annunciare un uso generalizzato del condono presidenziale per i reati di droga. Come se, in Italia, riconoscessimo che il sovraffollamento penitenziario non si risolve senza una modifica sostanziale della legge sulla droga, tornassimo alla compiuta depenalizzazione del consumo di droghe e si approvasse un’amnistia ad hoc per i condannati per detenzione di sostanze stupefacenti. Mica roba da fricchettoni, solo una politica coerente e conseguente alla constatazione dei danni umani e sociali della criminalizzazione del consumo di droghe. Droghe: Antigone; nomina Giovanardi a relatore del Dl Lorenzin? come Dracula all’Avis Comunicato stampa, 7 maggio 2014 "Carlo Giovanardi quale relatore del decreto sulle droghe al Senato è come mettere Dracula all’Avis. Una nomina che è tragica e comica allo stesso tempo". È questa la prima reazione di Patrizio Gonnella, presidente nazionale di Antigone, alla notizia che l’ex ministro sarà colui che condurrà l’iter legislativo della Camera sul decreto Lorenzin. "Solo tre mesi fa - prosegue Gonnella - avevamo salutato con gioia e sollievo la decisione della Consulta di abrogare la Fini-Giovanardi, legge figlia di una cultura liberticida e repressiva che solo guasti ha portato al nostro paese in termini di mancata prevenzione e di sovraffollamento delle carceri, considerando che quasi il 40% dei detenuti è privato della libertà per aver violato la legge sulle droghe". All’indomani di quella sentenza Antigone, così come le tante realtà che si occupano del tema, auspicava un cambio radicale di rotta nella storia italiana in termini di politiche sulle droghe, guardando anche a percorsi antiproibizionisti avviati in diverse parti del mondo, non per ultimi i casi dell’Uruguay e del Colorado. Di questi temi l’Associazione parlerà durante la sua Assemblea Nazionale "Droghe. Oltre il proibizionismo" che si terrà nella Scuola di Psicologia e Scienze della Formazione dell’Università di Bologna il prossimo 17 maggio e a cui parteciperà, tra gli altri, lo stesso Ambasciatore dell’Uruguay in Italia. "Proprio per i frutti avvelenati della sua legge, nonché per alcune sue esternazioni pubbliche sulla morte di Stefano Cucchi e Federico Aldrovandi, definiti dall’ex Ministro drogati e sempre a sua detta morti per tale loro dipendenza e non per la violenza e le torture a cui furono sottoposti - prosegue il presidente di Antigone - riteniamo deprecabile nonché incomprensibile la scelta di Giovanardi quale relatore della legge di conversione del decreto". "Speriamo non sia un ritorno al passato e chiediamo con forza che questa nomina sia rivista il prima possibile, appellandoci al Partito Democratico, a Sinistra Ecologia Libertà e al Movimento 5 Stelle affinché non siano minimamente condizionate dalla sottocultura repressiva che Giovanardi esprime" conclude Patrizio Gonnella. Sel: Giovanardi relatore è follia provocatoria "Giovanardi è il padre della legge sugli stupefacenti, dichiarata dalla Consulta incostituzionale, che ha portato le carceri nella attuale e devastante situazione di sovraffollamento e che ha gravemente danneggiato, senza alcun motivo, la vita di moltissimi giovani", per questo, "la decisione di nominarlo relatore del dl Lorenzin sugli stupefacenti è una pura follia e rasenta la provocazione aperta". È il commento dei senatori Peppe de Cristofaro e Alessia Petraglia (Sel) in merito al relatore del decreto legislativo 1470 per la conversione del decreto legge 36/2014 sugli stupefacenti e i farmaci off-label. "Facendo proprio di Giovanardi il relatore della legge che dovrebbe sostituire il disastro da lui stesso firmato - si legge in una nota stampa congiunta - il governo e la maggioranza scelgono una posizione di sostanziale continuità con il peggior passato, esattamente come stanno facendo con le leggi sul lavoro, il cui relatore è non a caso Pietro Ichino". "Ancora una volta - concludono i senatori - l’innovazione di Renzi si rivela come una facciata di cartapesta dietro la quale si nasconde la peggiore conservazione delle peggiori leggi dei governi precedenti". Francia: poliziotti penitenziari scioperano, barricate e copertoni bruciati davanti a carceri www.agoravox.it, 7 maggio 2014 La situazione carceraria in Francia è al collasso. In questi giorni i Poliziotti di un numero crescente di penitenziari sono in sciopero per denunciare le condizioni di lavoro ormai insostenibili. La protesta è iniziata nei giorni scorsi nelle regioni del sud est francese, in particolare negli istituti di Aix en Provence e Marsiglia, e si sta diffondendo un pò in tutto il paese coinvolgendo Lione, Varenne (nella Borgogna) e Arras (nell’estremo nord del paese). Contestazioni del genere non sono nuove: oltralpe la situazione carceraria non è meno critica che in Italia. Già lo scorso 11 dicembre i Poliziotti penitenziari di Baumettes, il carcere principale di Marsiglia, avevano eretto una vera e propria barricata di fronte al penitenziario con tanto di lamiere e rogo di pneumatici ad accompagnare gli slogan e lo sventolio delle bandiere. I motivi della rivolta sono gli stessi da anni spiega l’Union Fédérale autonome Pénitentiaire (Ufap), sindacato della categoria: gli agenti penitenziari sono sottoposti a gravi pericoli in quanto, in media, ogni due giorni si verifica un aggressione nei loro confronti da parte dei detenuti. Proprio a Baumettes ad esempio sabato scorso un poliziotto ha riportato un trauma cranico, colpito con un barattolo di Nutella. Secondo l’Ufap ci sarebbe da riorganizzare completamente le modalità di lavoro all’interno delle carceri, con varie ridefinizioni dei ruoli e creazione di team di lavoro. Alla base di tutto questo però c’è da colmare un vuoto: sarebbero infatti necessarie almeno 800 nuove assunzioni per un corretto funzionamento dell’organismo giudiziario. Il profondo malessere espresso da parte della polizia penitenziaria è l’immediata conseguenza della disastrosa situazione in cui versano gli istituti detentivi transalpini che, in quanto a sovraffollamento e qualità della detenzione, sono assolutamente sullo stesso pessimo livello di quelli italiani. Le denunce e le sanzioni dell’Unione Europea in merito ancora non hanno sortito effetti positivi. Stati Uniti: detenuto Texas chiede rinvio esecuzione dopo caso Oklahoma La Presse, 7 maggio 2014 I legali di un detenuto che si trova nel braccio della morte in Texas hanno presentato richiesta formale di ritardare l’esecuzione, in programma per il 13 maggio, a seguito del caso di Clayton Lockett in Oklahoma, che la scorsa settimana è deceduto dopo 43 minuti di agonia a seguito di un’iniezione letale andata non nel modo in cui si prevedeva. Gli avvocati di Robert Campbell, questo il nome del condannato del Texas, chiedono alle autorità carcerarie di rivelare quale cocktail di pentobarbital dovrebbe essere utilizzato, denunciando che la condanna potrebbe essere "orribile quanto" quella dell’Oklahoma. Allora, dopo circa 20 minuti dall’iniezione, Lockett ha cominciato ad avere le convulsioni sulla barella; le autorità hanno fermato allora l’esecuzione e un medico lo ha dichiarato in stato di non coscienza. Lockett è successivamente morto, per un apparente attacco di cuore. Per quella esecuzione l’Oklahoma aveva usato per la prima volta un nuovo protocollo, utilizzando il sedativo midazolam come primo elemento del cocktail letale. Secondo i legali di Campbell non importa il fatto che in Texas venga utilizzato un farmaco diverso per le esecuzioni. Campbell è stato condannato per lo stupro e l’uccisione di una donna a Houston, che risale al 1991. Gran Bretagna: evade da permesso detenuto che scontava 13 ergastoli, è caccia all’uomo Agi, 7 maggio 2014 Dopo essere stato avvistato a Twickenham, nel sud ovest della capitale, e inseguito dalla polizia, è ancora latitante uno dei più violenti criminali del Regno Unito. È andata avanti tutta la notte, a Londra, la ricerca di Michael Wheatley, soprannominato "spaccacranio", evaso durante un permesso premio dalla colonia penale di Standford Hill sull’isola di Sheppey, nel Kent. Definito "rapinatore violento", Wheatley stava scontando dal 2002 tredici ergastoli, che gli erano stati inflitti per diverse rapine a mano armata in cui, spesso, aveva colpito in testa, con il calcio della pistola, clienti di banca e diversi passanti. In particolare, la scorsa notte, la Met, la polizia metropolitana di Londra, ha pattugliato e battuto a tappeto la zona di Twickenham, zona residenziale di pregio non lontana da Richmond e dagli altri sobborghi ricchi del sud ovest e tempio del rugby mondiale. Resta tuttavia ignoto il motivo del passaggio di Wheatley in questa parte di Londra. La polizia, intanto, viene spinta dalla politica a trovare una soluzione a questo caso - definito "imbarazzante" in parlamento e in sede governativa - il prima possibile. Il sottosegretario con delega agli istituti penitenziari Jeremy Wright, per il momento, ha promesso una revisione del caso e delle regole che consentono le licenze temporanee nelle "open prison", prigioni prive di celle in cui le persone condannate sono relativamente libere di aggirarsi in un’area controllata. Ora Wright lo ha promesso: "In futuro questi criminali verranno obbligati a indossare un braccialetto elettronico". Spesso a questi prigionieri vengono concessi permessi premio ed è proprio durante una di queste licenze che Wheatley ha fatto perdere le sue tracce. Oltre al sottosegretario, anche diversi deputati di Westminster si sono occupati del caso nei giorni scorsi. Come Philip Davies, parlamentare conservatore, che ha detto "dobbiamo anche capire, in prima istanza, perchè un criminale così violento fosse in un carcere di questo tipo". Le rapine di Wheatley risalgono all’inverno fra il 2001 e il 2002 ed esistono diverse registrazioni di telecamere interne che hanno fatto capire agli inquirenti, e poi ai giudici, la violenza del suo approccio criminale.