Giustizia: carceri, Rita Bernardini (Segretario Radicali) scrive al Presidente Napolitano www.radicali.it, 6 maggio 2014 Rita Bernardini scrive a Giorgio Napolitano per ringraziarlo e informarlo sui dati ufficiali in circolazione su carceri e giustizia. Egregio Presidente, non finirò mai di ringraziarLa per quanto sta facendo a favore del ripristino dello Stato di Diritto nel nostro Paese. Può contare poco, ma come Segretaria di Radicali italiani, mi sento pienamente rappresentata dal modo in cui Lei esercita il mandato di supremo magistrato del rispetto dei principi fondamentali della nostra Costituzione e di quanto in essa è stato recepito dalle giurisdizioni superiori, in primo luogo quelle europee. Ieri quando ho letto la Sua bellissima dichiarazione sull’Ansa a proposito dell’iniziativa di Marco Pannella, mi sono dovuta subito rammaricare per la nota aggiuntiva dell’agenzia sui dati riguardanti le carceri e intitolata “12 mila detenuti in più rispetto ai posti”. In questo take continuava ad essere fornito il dato totalmente falso di una capienza regolamentare di 48.309 posti. Nel condurre il mio recente sciopero della fame (Satyagraha) durato 46 giorni, ho contestato al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria la correttezza dei dati diffusi riguardo alla capienza effettiva dei posti disponibili per i detenuti e chiesto ufficialmente al Ministro della Giustizia i dati veritieri sia dell’effettiva ricettività “legale” degli Istituti Penitenziari, sia della composizione dell’immensa mole dei procedimenti penali pendenti che affolla le scrivanie dei magistrati oberate da oltre 5.300.000 procedimenti penali pendenti che rendono la Giustizia italiana illegale sotto il profilo dell’irragionevole durata (violazione sistematica da trent’anni dell’art. 6 della Cedu e art. 111 della Costituzione italiana). Alla prima delle richieste, il Dap mi rispondeva con una nota riportata dall’agenzia di stampa Adnkronos del 2 aprile scorso nella quale, dopo aver premesso di ritenere diffamatorie le mie contestazioni sui dati, ammetteva letteralmente: “La vastità del patrimonio edilizio penitenziario determina fisiologicamente un certo numero di posti indisponibili per ragioni di inagibilità e per esigenze di ristrutturazione ordinaria e straordinaria, pertanto alla data odierna il numero esatto dei posti detentivi effettivi disponibili è di 43.547, pari al 90,14% della capienza regolamentare". Ottenuto questo piccolo successo di “verità”, ho ritenuto di dover confutare anche la cifra finalmente resa nota dei 43.547 posti. Sono infatti da prendere in considerazione alcune realtà penitenziarie che hanno più posti detentivi rispetto all’effettiva presenza di detenuti. Si consideri, per esempio l’isola della Sardegna, dove a fronte di 1.800 posti regolamentari, abbiamo non più di 1.100 reclusi: a meno di pensare ad una deportazione di massa nell’isola, continueranno ad esserci 700 posti inutilizzati che però il Dap fa rientrare nella capienza regolamentare complessiva. Lo stesso vale per gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari in via di dismissione, seppure rallentata da una recente imbarazzante proroga: anche nel caso degli Opg, abbiamo altri 400 posti in più inutilizzabili che il Dap fa rientrare nella capienza regolamentare generale. Non credo di sbagliare, Signor Presidente, se affermo che occorra sottrarre altri 2.739 posti che fanno arrivare il totale dei posti “legali” a 40.808… per oltre 60.000 detenuti. A questo proposito, mi permetto di inviarLe una nota che ho voluto intitolare “I polli di Trilussa”. Inoltre, trovo irrispettoso nei confronti dell’intelligenza dei cittadini che il Dap, nel fornire ufficialmente sul sito del Ministero della Giustizia la irrealistica cifra dei 48.309 posti, se la cavi aggiungendo un asterisco che recita “*Il dato sulla capienza non tiene conto di eventuali situazioni transitorie che comportano scostamenti temporanei dal valore indicato.” Ma non è solo un problema di metri quadrati e non mi soffermo su questo perché, con il Suo messaggio alle Camere, Lei ha dato una lezione di educazione civica a tutti, me compresa. Per mettere in pratica il macabro “gioco dei tre metri”, l’Amministrazione penitenziaria sta effettuando in questi giorni massicci spostamenti di detenuti trasferendoli lontani dalle famiglie (600 trasferiti da Poggioreale non si sa dove) mentre si sa che i reclusi preferiscono subire i trattamenti illegali pur di poter avere colloqui con i propri congiunti: figli, mogli, genitori… e, d’altra parte, la vicinanza ai propri familiari è regola di legge stabilita dell’Ordinamento Penitenziario. Vengo ora all’altro problema che è in totale violazione dell’art. 3 della Cedu: il problema sanitario. È recentissima la notizia di un altro detenuto morto nel carcere di Giarre per mancanza di cure. La notizia è di qualche giorno successiva a quella dell’ennesima sentenza di condanna da parte della Corte Edu che ha chiesto all’Italia di risarcire con 25.000 euro un detenuto che non era stato curato. Il Ministero della Giustizia ha prontamente risposto che il caso si riferiva a 5 anni fa e che oggi la situazione è nettamente migliorata. A questo proposito, Signor Presidente, più delle mie parole (anche se personalmente sono in contatto quotidiano con una moltitudine di familiari di detenuti disperati per le drammatiche condizioni di salute dei loro congiunti), vale il rapporto della Società italiana di medicina penitenziaria (Simpse) secondo il quale “in cella contraggono malattie il 60-80% dei detenuti”. Il Rapporto in sintesi afferma: “A trasformare le prigioni in veri e propri lazzaretti sono la presenza di soggetti a rischio, come i tossicodipendenti, che sono il 32% del totale, ma anche il sovraffollamento, che favorisce i contagi e l'assenza di controlli sistematici, per cui anche le dimensioni esatte del fenomeno non sono conosciuti. "Questi numeri derivano da nostre stime - spiega il presidente della Simpse Sergio Babudieri - non esiste infatti un Osservatorio Epidemiologico Nazionale, che noi chiediamo e solo due Regioni hanno attivato quello regionale. Il risultato è che probabilmente i dati sono sottostimati, anche perché molti dei detenuti non sanno di avere una malattia o non vogliono saperlo per non apparire indeboliti". Secondo le stime presentate, oltre i tossicodipendenti che sono, appunto il 32%, il 27% ha un problema psichiatrico, il 17% ha malattie osteoarticolari, il 16% cardiovascolari e circa il 10% problemi metabolici e dermatologici. Tra le malattie infettive è l'epatite C la più frequente (32,8%), seguita da Tbc (21,8%), Epatite B (5,3%), Hiv (3,8%) e sifilide (2,3%).” Non mi soffermo - come Le ho detto - sul percorso riabilitativo che, in base al nostro ordinamento, dovrebbe essere addirittura “individualizzato”: il lavoro che non c’è se non per una minoranza di detenuti e lo studio anch’esso riservato a pochi fortunati. Così come tutti gli altri parametri considerati dalla Corte Edu affinché il trattamento in carcere non sia inumano e degradante, cioè illegale. Ciò che mi preme in conclusione farle sapere è che ancora non sono riuscita ad ottenere dal Ministero della Giustizia i dati riguardanti la composizione - per titolo di reato e per pena edittale massima - della mole immensa dei procedimenti penali pendenti. Qui siamo nel campo dell’altra violazione sistematica che vede il nostro Paese condannato da oltre trent’anni per l’irragionevole durata dei processi. Il dato è importante perché ci consentirebbe di sapere quanti procedimenti cadrebbero con un’amnistia per pena edittale massima a 3, 4, 5 anni. Solo la Guardasigilli dott.ssa, Annamaria Cancellieri riuscì, almeno, a recapitarmi una nota redatta dai suoi uffici che - con rilevazioni fatte un po’ a spanne - affermava che con un’amnistia a tre anni sarebbero caduti il 30% dei procedimenti. D’altra parte, nessuno degli oppositori ai provvedimenti previsti dall’art. 79 della Costituzione sembra curarsi dell’amnistia strisciante delle prescrizioni sempre più decisa dalle Procure della Repubblica, in violazione del principio costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale al quale i funzionari pubblici che compongono i ruoli della magistratura penale dovrebbero essere vincolati ad attenersi. È mai possibile che coloro che sono chiamati a “governare” non siano in possesso di dati di conoscenza basilari ai fini della decisione dei provvedimenti da adottare? Le chiedo veramente scusa, Signor Presidente, del tempo che Le ho sottratto per la lettura di questo mio scritto a Lei indirizzato. Accolga i miei più deferenti saluti. Rita Bernardini Giustizia: il Presidente Napolitano insiste sulla riforma e chiede "più serenità e sobrietà" di Gianni Di Capua Il Tempo, 6 maggio 2014 Orlando: "A giugno un pacchetto organico, priorità alla riduzione dei tempi". La riforma della giustizia è "invocata da troppo tempo", ed è un "rinnovamento che tarda ad arrivare". Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha ricevuto ieri mattina i 326 magistrati alla fine del proprio tirocinio ed è tornato a chiedere con forza una riforma in grado di restituire "rapidità ed efficienza" all’universo giudiziario italiano. Di più il Capo dello Stato si è rivolto alle giovani toghe chiamandole a comportamenti più consoni rispetto all’esempio dato dai "veterani" negli ultimi anni. "Il magistrato - ha detto Napolitano - deve avere serenità e sobrietà di comportamenti professionali e anche privati". Ancora, "deve evitare i protagonismi personali, la trascuratezza nel redigere e nel consegnare i provvedimenti, perché queste sono cose che incidono sull’immagine di terzietà del magistrato provocando sfiducia nella società e censure in sede europea". L’inquilino del Colle ha poi citato nel suo discorso le contraddizioni e le incertezze, le opposte pregiudiziali in diversi campi della vita istituzionale, che hanno impedito il rinnovamento e che io stesso ho sperimentato". È stata questa l’occasione anche per levarsi qualche sassolino dalle scarpe: "Anche nell’anno trascorso - ha detto il Presidente - che definirei di forzoso prolungamento della mia funzione di presidente, ho tenuto ferma, per quanto fossero aggressivamente faziose le reazioni, una linea di condotta ancorata al principio della divisione dei poteri". Al discorso del Capo dello Stato hanno assistito, oltre ai 326 tirocinanti, il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, il vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura Michele Vietti, il primo presidente della Corte di Cassazione Giorgio Santacroce. È stato proprio il ministro Orlando a raccogliere l’assist offertogli dal Capo dello Stato per ribadire la necessità di una riforma della Giustizia che, peraltro, il presidente del Consiglio Matteo Renzi intende mettere in cantiere per il prossimo giugno. "Condivido la valutazione del presidente Napolitano - ha commentato il Guardasigilli - e credo possano esserci le condizioni per la riforma". "Una riforma che affronti il tema dell’ordinamento e del processo e che metta mano al codice - ha continuato Orlando - non ha però possibile riuscita se prima non si affrontano le emergenze, che sono le carceri, la carenza di personale amministrativo, l’eccesso di domanda di giustizia soprattutto nel civile e il contrasto alla criminalità organizzata". "Abbiamo provvedimenti pronti o in fase di ultimazione - la garanzia del ministro - che sono le condizioni per rendere agibile il campo di gioco. Anche la migliore riforma rischia infatti di essere travolta dall’esplosione di queste emergenze". Il tema principale da affrontare, ha chiarito Orlando, è "la riduzione dei tempi". "Il nostro sistema giudiziario mostra inadeguatezza nei tempi - ha aggiunto - la giustizia che non arriva non è giustizia". Arriveranno in Cdm nelle prossime settimane alcuni provvedimenti "per deflazionare" la giustizia civile. "In giugno ci sarà una riforma più complessiva". Da Vietti, infine, è arrivato un ulteriore appello alla "sobrietà" dei magistrati: "Indipendenza, imparzialità ed equilibrio nell’amministrare giustizia - ha spiegato il vicepresidente del Csm - sono più che mai indispensabili in un contesto di persistenti tensioni e difficili equilibri sul piano sia politico sia istituzionale". Giustizia: Orlando; condivido parole Napolitano su urgenza riforma, il 22 a Strasburgo Adnkronos, 6 maggio 2014 "Condivido le valutazioni del presidente della Repubblica. Credo ci possano essere le condizioni per una riforma della giustizia anche se in Italia non ci vuole molto a riaccendere conflitti che non aiutano ad arrivare a un progetto condiviso. Dunque è d’obbligo la cautela ma è necessario agire". Lo ha detto il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, commentando il nuovo richiamo del capo dello Stato, Giorgio Napolitano, alla necessità di intervenire con urgenza per una riforma della giustizia. Il Guardasigilli ha poi ricordato che "una riforma complessiva della giustizia che affronti i temi ordinamentali e i temi del processo non ha possibilità di riuscita se prima non si affrontano le emergenze" che a giudizio del ministro sono quattro: "L’emergenza delle carceri, la carenza del personale amministrativo negli uffici giudiziari, la mole del contenzioso civile e la necessità di rafforzare strumenti di contrasto alla criminalità organizzata", punti sui quali "ci sono provvedimenti già pronti o in fase di ultimazione". Intervenire su queste emergenze è "la condizione per rendere agibile il campo da gioco altrimenti - ha concluso Orlando - anche la migliore delle riforme rischia di essere travolta". Il 22 a Strasburgo per fare il punto sulle carceri "Il 22 maggio sarò di nuovo a Strasburgo, per fare il punto della situazione". Il ministro della Giustizia, Andrea Orlano, a margine della presentazione della settimana della letteratura in carcere, ha annunciato una nuova visita alla Corte europea dei diritti dell’uomo, in vista della scadenza del termine fissato dall’Europa all’Italia per risolvere l’emergenza del sovraffollamento carcerario. "Parleremo di cosa è stato fatto, di cosa si sta facendo e di cosa resta da fare - ha detto Orlando. Non azzardo previsioni, ma stiamo stringendo su una serie di fronti". Tra questi, ha ricordato, "un ulteriore passaggio a livello normativo ci sarà con l’approvazione del decreto sugli stupefacenti e della riforma della custodia cautelare, che ho chiesto avvenga prima di quella data". Dunque per il ministro "sono stati fatti molti passi avanti, ma non siamo ancora al punto di dire che l’emergenza è risolta". E comunque "se anche affrontassimo l’emergenza, bypassando la pronuncia di Strasburgo, resta il tema del modello detentivo. Si tratta - ha concluso Orlando - di ripensare complessivamente il sistema". In prossimo Cdm primi interventi sul civile "Una giustizia che arriva tardi non è giustizia". Lo dice il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, parlando del tema carceri durante la presentazione della Settimana Nazionale della Letteratura in Carcere dal 12 al 17 maggio 2014. Il guardasigilli torna a sottolineare la "lentezza della giustizia italiana" soprattutto nel campo civile. E annuncia che "alcuni provvedimenti sulla deflazione ci saranno nel prossimo Consiglio dei ministri" mentre "a giugno" ci sarà un intervento di sistema "più complessivo". Ma avverte: "Se non si affrontano le emergenze, ossia il tema carceri, l’eccesso di ricorso ai tribunali anche per le questioni meno gravi e il rafforzamento del contrasto alla criminalità organizzata, nessuna riforma avrà una possibilità di riuscita significativa". Giustizia: la vergogna delle nostre carceri, una situazione non più tollerabile di Antonello Laiso www.lopinionista.it, 6 maggio 2014 La dignità di una Nazione si evidenzia sia nei suoi metodi di contrasto della criminalità, ma soprattutto nel modo in cui affronta la riabilitazione di chi ha commesso un reato. Il sovraffollamento delle carceri impone da tempo di approvare norme in tal senso che permettono di dare una efficace risposta a quelle situazioni non più tollerabili non solo da parte di chi é costretto a vivere nelle nostre carceri, di chi sconta una pena. Il diritto ad una dignità dei detenuti è dovuto unitamente ad un diritto alla vivibilità degli stessi in una struttura carceraria, tali diritti sono al pari di quei doveri del detenuto ovvero scontare la pena. Ma non devono essere tali diritti che impongono soluzioni ipso facto ad un grave problema di antica data, lo è anche unitamente la nostra coscienza e la nostra civiltà. L’emergenza carceraria si è fatta persino più incombente in ragione della reiterata condanna ai danni del nostro Paese da parte della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, ma di certo non deve essere questa la motivazione per la quale si deve intervenire per l’alleggerimento del sistema penitenziario nostrano. Intervenire per evitare una condanna, perché ce lo chiede con insistenza l’Eurozona è vergognoso, si deve intervenire in primis per civiltà, per umanità verso chi sta ripagando un delitto con la pena ovvero la reclusione, questo è doveroso. Non può esserci credibilità nella stessa riabilitazione carceraria del detenuto ovvero la pena se le condizioni di detenzione di tale riabilitazione non sono dignitose. Dispositivi di decarcerizzazione con riguardo esclusivo a quei soggetti considerati di non elevata pericolosità sono già in atto ma non bastano. La diminuzione dei flussi in entrata con pene alternative alla carcerazione unitamente all’ aumento dei flussi in uscita per periodi di bonus legati alla carcerazione e per buona condotta é una soluzione per diminuire di parecchie migliaia i detenuti nelle nostre carceri ma non basta. La credibilità, l’affidabilità di una Nazione non è solo quello spread e quel rating di letterine delle agenzie, essa è costituita anche dal suo sistema carcerario ed ancor prima dal sistema legislativo normativo di quelle pene che devono essere a riscatto di un delitto. La nostra immagine agli occhi di quell’Eurozona che tanto ci osserva ed alla quale risulta doveroso equipararci con quelle regole comuni di Euro civiltà impone oggi una scelta dovuta ma non perchè lo impone la legge, non per le sanzioni della Corte Europea, ma per rendere onore alla nostra Nazione, a noi stessi. Giustizia: abuso delle intercettazioni… quando la difesa della legalità diventa illegale di Valerio Spigarelli (Presidente dell’Unione Camere Penali) Gli Altri, 6 maggio 2014 Per fare i conti con il tasso di garantismo che sta, timidamente, tentando di risalire nelle quotazioni interne alla sinistra italiana, è bene evitare i discorsi sui massimi sistemi poiché si rischia, proprio sulle idee portanti, di ammazzare il neonato in culla. Meglio esaminare questioni più circoscritte, come le intercettazioni telefoniche, ad esempio. Non più tardi di qualche anno fa, orgogliosamente, molti giovani di sinistra manifestavano inalberando cartelli con su scritto "intercettateci tutti". Monito ultra legalitario di chi, ritenendo di non aver nulla da nascondere, è disposto a rinunciare ad un pezzo significativo della propria libertà pur di sconfiggere il crimine; allo stesso tempo chiaro esempio di deriva verso un populismo giudiziario di stampo autoritario. Provocatorio quanto si vuole, questo slogan intanto tradisce una evidente confusione della scala dei valori costituzionali di riferimento, che non subordina affatto la rinuncia alla intangibilità delle conversazioni dei cittadini alle sole esigenze di tutela della legalità ma rimanda alla legge ordinaria i casi e le modalità, in cui questo può avvenire; il tutto mettendo sull’altro piatto della bilancia, con pari dignità, la tutela della libertà di comunicazione. Per questo, in una mirabile sentenza della metà degli anni settanta, la Corte costituzionale sottolineò che tale strumento di ricerca della prova, oggettivamente in conflitto con il chiaro disposto dell’articolo 15 della Carta, doveva essere riservato a reati pre-individuati e comunque utilizzato solo nei casi in cui ciò appariva assolutamente indispensabile. A sottolineare la straordinarietà e la delicatezza delle intercettazioni, la Corte aggiunse che dovevano essere impiegate sotto il controllo giurisdizionale, per limitati periodi tempo, per ipotesi di reato già raggiunte da gravi indizi, e che tanto i decreti impositivi che quelli di proroga dovevano essere specificamente motivati caso per caso. Insomma, per sintetizzare, non tutto e non sempre si può intercettare, il controllo giurisdizionale è fondamentale e la "pesca a strascico", benché utile nella lotta al crimine, è fuori del sistema. Questi insegnamenti, pur recepiti nel codice di procedura penale, sono stati negletti dalla giurisprudenza, che da decenni legittima prassi assai generose proprio su questi punti. Tutto ciò, accanto ad una facile "spendibilità" mediatica dei risultati la quale (in barba alla legge che vieta la pubblicazioni di tali atti nel corso delle indagini preliminari) raggiunge vette sconosciute negli altri paesi democratici, hanno reso le intercettazioni oltre che strumento d’elezione nelle investigazioni anche un’arma politica formidabile. Perciò, mentre le procure ne hanno costantemente ribadito l’indispensabilità nella battaglia per la legalità, la sinistra ha sempre contrastato interventi diretti a ridimensionarle visti come cedimenti al malaffare. Ad illustrare la fortuna anche "politica" delle intercettazioni, basti pensare che le ultime leggi penali che sono entrate in vigore hanno visto alzarsi od abbassarsi il loro limite massimo edittale non in base alla gravità della condotta, come sarebbe logico, ma solo in ragione della applicabilità o meno di tale strumento. Capovolgendo la grammatica costituzionale non è più la gravità del reato a segnare l’utilizzabilità delle intercettazioni, ma anzi essa viene determinata al solo fine di permetterne l’impiego delle captazioni. Negli ultimi tempi, poi, si è assistito ad ulteriori stravolgimenti: quello dell’utilizzo delle intercettazioni al fine del controllo etico sulla classe dirigente e la messa in discussione delle aree di intangibilità per alcuni soggetti. La vicenda del così detto "processo trattativa", ed il conflitto tra la procura di Palermo e la presidenza della Repubblica, testimoniano entrambi gli aspetti. Oggi, in vasti strati dell’opinione pubblica, è dato per scontato che avere contezza dei privati comportamenti è un diritto quando riguarda persone che hanno un qualche ruolo pubblico, e che eventuali aree di inviolabilità, come per il Presidente della Repubblica, devono essere abbattute. A nulla vale opporre che questo è uno strumento di indagine penale che per sua natura non attiene alla dimensione morale. In questi giorni altri due fatti di cronaca ed una prassi giudiziaria assolutamente prevalente, ripropongono il problema intercettazioni. Accade che a Roma, nell’indagare su fatti che coinvolgerebbero un ristoratore, vengano autorizzate intercettazioni e video registrazioni ambientali nel suo locale, che è ovviamente frequentato da molte clienti. Per mesi la procura, su autorizzazione del Gip, registra, salvo poi accorgersi che in questa maniera centinaia di conversazioni dì cittadini del tutto estranei alle indagini sono state ascoltate e captate. Secondo Panorama, il procuratore di Roma, ad un certo punto, fornisce precise indicazioni agli operanti circa il fatto di non procedere alla registrazione, anzi di sospendere le operazioni, per i colloqui non inerenti. Ora, indipendentemente, dal rispetto delle norme del codice, il quesito è il seguente: un sistema processuale e giudiziario che permette un fatto simile pone un problema di tutela delle conversazioni? Mettere, per mesi, sotto controllo audiovisivo un locale pubblico non postulava l’ineluttabile coinvolgimento di estranei? La tardiva "scoperta" della fatale violazione ingiustificata della riservatezza delle conversazioni di centinaia di persone è un fatto grave o no? La sinistra che ne pensa? Altro esempio. Sono state date alle stampe, dopo il deposito avanti al Tribunale del Riesame da parte dei pm di Napoli, i dialoghi di carattere evidentemente politico che avrebbe intrattenuto l’ex sottosegretario Nicola Cosentino con altri esponenti del suo partito. Gli stralci pubblicati in questi giorni dalla stampa dimostrano che si tratta di conversari di carattere politico. Il fatto, sembrerebbe, è che proprio su tali conversazioni e sul loro carattere si appunta l’interesse degli inquirenti. Anche qui, al di là della legittimità del deposito in sede giudiziaria, un interrogativo è lecito: un sistema processuale e giudiziario che permette l’impiego processuale, e la pubblicazione, di conversazioni di tal genere, il cui primo sicuro effetto è quello di danneggiare le persone che avevano intrattenuto rapporti politici con un indagato, garantisce ancora la reciproca indipendenza tra Poteri dello Stato? L’ultimo esempio non riguarda un singolo fatto, bensì una prassi inveterata: quella di ascoltare le conversazioni che gli avvocati-intrattengono sull’utenza, eventualmente intercettata, di un loro cliente. Secondo la giurisprudenza l’ascolto di suo non è illegittimo, illegittimo è l’eventuale utilizzo processuale di quel materiale. Anzi, secondo alcune sentenze, è proprio dall’ascolto che si può distinguere se la conversazione ha ad oggetto il mandato difensivo od altro, e dunque non è affatto scontato che l’agente, anche se comprende subito che chi parla è l’avvocato con il cliente, debba interrompere le operazioni. Il risultato è che nel nostro Paese neanche gli avvocati sono certi della riservatezza delle comunicazioni con i loro clienti. In parlamento giace da tempo una proposta di modifica del codice di procedura penale che sarebbe in grado di arginare questo fenomeno, la sinistra la sottoscrive? In conclusione, una nuova stagione garantista, a sinistra, dovrebbe rispondere alla domanda semplice, ed in fondo banale, se questa ancora è una democrazia normale o giudiziaria, e poi operare per ripristinare la legalità costituzionale. Magari rammentando che Orwell era di sinistra. Giustizia: "Settimana della Letteratura in Carcere", 60 scrittori incontrano i detenuti Adnkronos, 6 maggio 2014 "Dal 12 al 17 maggio 2014, sessanta scrittori famosi entreranno negli istituti penitenziari italiani per dialogare con i detenuti". È la "Settimana Nazionale della Letteratura in Carcere", un’iniziativa promossa dal ministro della Giustizia Andrea Orlando "per dare visibilità e concretezza al rapporto tra Carcere e cultura e alle tante esperienze che, in tempi e modi diversi, si svolgono negli istituti italiani", si legge in comunicato. Sessanta autori saranno impegnati "in una serie di incontri con i detenuti sull’importanza della lettura e della scrittura - continua la nota - durante i quali si parlerà delle loro opere, del loro modo di scrivere, di generi letterari e di capolavori della letteratura italiana e internazionale". L’iniziativa sarà illustrata lunedì 5 maggio prossimo alle ore 14 presso la Sala Livatino del Ministero della Giustizia, dal guardasigilli Andrea Orlando. Saranno presenti, il capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria Giovanni Tamburino, il coordinatore del progetto Marco Ferrari, gli scrittori Francesco Piccolo e Romana Petri e il direttore di Radio 3 Marino Sinibaldi. Il ministro Orlando lancia settimana nazionale lettura nelle carceri (Italpress) "Grazie a questa iniziativa si può realizzare uno degli obiettivi istituzionali: la finalità rieducativa del carcere". Lo ha detto il ministro della Giustizia Andrea Orlando, presentando stamani a Roma la "Settimana Nazionale della Letteratura in Carcere", promossa dal ministero per dare visibilità e concretezza al rapporto tra carcere e cultura e alle tante esperienze che, in tempi e modi diversi, si svolgono negli istituti italiani. Dal 12 al 17 maggio 2014, sessanta scrittori famosi entreranno negli istituti penitenziari italiani per dialogare con i detenuti, metteranno a disposizione il proprio tempo e il proprio sapere. Il ministro Orlando ha parlato di "rischio che si ha nel discutere solo di quanti sono dentro e quanti sono fuori, tralasciando il tema della qualità della detenzione e iniziative come queste riconoscono l’ umanità dei detenuti, offrono gli strumenti di riscatto e di stimolo, senza stimoli come questo anche il percorso politico è più complicato". Per il Guardasigilli di deve "riportare la società nel carcere, e un altro tema è quello relativo a come viene visto il carcere dall’esterno, non è un corpo separato rispetto alla società, e per questo è giusto ricostruire un rapporto tra carcere e società. L’iniziativa degli scrittori rappresenta un bel esempio di passione civile". li scrittori daranno vita ad un progetto di grande visibilità sui percorsi risocializzanti dei detenuti, incentrati sull’importanza della lettura e della cultura in un momento particolarmente critico per il mondo carcerario. Gli autori scriveranno insieme ai detenuti un racconto corale che sarà pubblicato sul sito del ministero della Giustizia. "La scrittura e la lettura fanno parte di una necessità che molti detenuti hanno da qui quella di avere un rapporto diretto con gli scrittori - ha spiegato Marco Ferrari - è un’iniziativa a costo zero per lo Stato, noi abbiamo partecipato in maniera volontaria, è anche un’iniziativa che dà lustro al ministero che ha lavorato con noi. Pensiamo possa essere un viatico anche per creare le condizioni di umanizzazione del carcere per fare sì che non sia un mondo chiuso". L’iniziativa rientra tra le "attività trattamentali" che il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria intende rilanciare grazie ad interventi tesi a formare e consolidare nei detenuti quelli attitudini utili ai fini del loro reinserimento nella società civile. "Anche per noi è un’esperienza, ho sempre pensato che il rapporto con il carcere fosse importante - ha commentato Francesco Piccolo, uno dei sessanta scrittori- l’idea di entrare nell’istituto penitenziario può far venire fuori qualcosa di significativo". Tra i sessanta scrittori vi sono Aldo Cazzullo, Cinzia Tani, Antonio Calabrò, Gianrico Carofiglio, Marco Ferrari, Manfredi Valerio Massimo. Il direttore di Radio Tre Marino Sinibaldi ha annunciato che "alcune di queste storie saranno raccontate dalla nostra emittente". Giustizia: uno scrittore per ogni carcere… sessanta narratori a disposizione dei detenuti di Maria Grazia Gerina L’Unità, 6 maggio 2014 Per una settimana, dal 12 al 17 maggio, gli autori si metteranno in viaggio per l’Italia: da Francesco Piccolo a Romana Petri. Chissà se ne nascerà un capolavoro come è accaduto quando i fratelli Taviani sono entrati nel carcere romano di Rebibbia per raccontare i detenuti della sezione Alta sicurezza alle prese con il Giulio Cesare di Shakespeare. Certo, quando in una sola settimana, sessanta scrittori si mettono a disposizione dei detenuti di tutta Italia, scegliendo ciascuno la propria prigione da visitare, qualcosa, almeno statisticamente, deve accadere. L’idea l’ha avuta Marco Ferrari, giornalista e scrittore spezzino, come il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, che l’ha accolta - spiega - sperando possa servire non solo a chi sta in carcere "ma anche tutti noi a prendere un respiro più largo sul tema della pena spesso affrontato in modo populistico". Entro il 28 maggio Orlando dovrà convincere Strasburgo che sulle carceri l’Italia sta cambiando rotta se vorrà evitare nuove sanzioni per il sovraffollamento carcerario, già censurato dalla Corte europea dei dritti dell’uomo. E anche "cambiare il modo di vedere il carcere" potrà aiutare il dibattito sulle misure da adottare prima di quella data, si augura, visto che la "Settimana nazionale della letteratura in carcere" si svolgerà proprio alla vigilia di quell’appuntamento. Dal 12 al 17 maggio. Viaggio di sessanta scrittori italiani tra i detenuti della penisola. "A costo zero per lo Stato, gli scrittori si pagheranno anche la benzina", spiega Ferrari. Ciascuno ha scelto un carcere. Marcello Fois visiterà quello di Bologna, Gianrico Carofiglio quello di Bari, Alessandro Mari sarà tra i detenuti di Monza. E poi Marco Rovelli a San Vittore, Pietro Greco a Livorno, Darwin Pastorin a Torino, Paolo Di Paolo a Latina. Francesco Piccolo, uno dei testimonial dell’iniziativa, da casertano, non poteva che scegliere Santa Maria Capua Vetere. "Ci entrerò con una penna e un quaderno, parlerò della mia esperienza di scrittore a persone che vogliono scrivere magari per provare a lenire il dolore della detenzione o anche per raccontare la propria innocenza", spiega Piccolo, scrittore e registra, tra favoriti del prossimo Premio Strega con il suo ultimo romanzo "Il desiderio di essere come tutti". Ma di questo, anche per scaramanzia, preferisce non parlare. Parla invece volentieri del perché ha aderito a questa iniziativa. "Istintivo dovere civile - spiega - tanto per essere chiari, lo avrei fatto anche con qualsiasi altro governo", aggiunge, "e curiosità umana": "Non sono mai stato in un carcere e non ne ho mai scritto, andrò perciò anche ad ascoltare, senza morbosità", spiega Piccolo che non esclude in futuro di cimentarsi sull’argomento. E racconta intanto un episodio. Di quando, giovane recensore di libri per Anna, spediva a Edoardo Albinati, scrittore e insegnante a Rebibbia, i libri che aveva recensito. "Non tutti, solo quelli che non mi interessavano. Lui se ne accorse e io imparai la lezione". Romana Petri, invece, altra testimonial dell’iniziativa, un libro sul carcere l’ha scritto. "Si intitolava Esecuzioni, la protagonista era una insegnante di italiano nel carcere femminile di Rebibbia. Lo scrissi nel 2005, affascinata dai racconti di un carissimo amico, Rocco Carbone, scrittore e insegnante anche lui a Rebibbia". Adesso alle detenute nello stesso istituto di pena da lei raccontato presenterà il suo ultimo romanzo, Giorni di spasimato amore, che invece parla di follia. "Credo si adatti, visto che anche i folli, un tempo, venivano rinchiusi in carcere". Anche lei immagina questo viaggio solo come una tappa. "Ho conosciuto un premio letterario in cui fanno da giuria anche alcuni detenuti, perché non estendere anche ad altri premi letterari questa esperienza?", suggerisce al ministro. La speranza è che dalla settimana della lettura in carcere nasca qualcosa. Brevi testimonianze che saranno pubblicate sul sito del ministero della Giustizia, un racconto corale online. E magari anche un romanzo. "Su Radio Tre intanto faremo in modo di raccontare alcune delle storie che emergeranno durante questi incontri", spiega il direttore Marino Sinibladi, che annuncia anche la lettura a puntate di un grande classico della letteratura carceraria, Dei delitti e delle pene di Cesare Beccaria, a 250 anni dalla sua pubblicazione. "In Italia mi pare che abbiamo proprio bisogno di una riappropriazione collettiva di quel grande testo di civiltà". Giustizia: iniziato in Commissioni Camera iter di conversione in legge del Decreto chiusura Opg Agi, 6 maggio 2014 Le commissioni Giustizia e Affari sociali della Camera hanno iniziato ieri la discussione generale sulla conversione in legge del decreto legge relativo al superamento degli Ospedali psichiatrici giudiziari, già votato con modificazioni dal Senato. "Chiudere gli Opg, traguardo che purtroppo potremo raggiungere solo nel 2015, non significa soltanto aprire le Rems, le strutture regionali di custodia e cura dei detenuti, mentalmente infermi e pericolosi socialmente, significa anche attrezzare meglio Asl e Dsm perché si moltiplichino gli interventi diversi dalla custodia nelle Rems. È quanto afferma in una nota il relatore di maggioranza, Davide Mattiello (Pd), che spiega: "La logica è quella di spingere più avanti il punto di equilibrio tra controllo e cura, perché anche questi soggetti abbiamo la speranza di poter avere un futuro libero e dignitoso. In ogni caso la durata della misura di sicurezza non potrà essere più lunga della durata massima prevista per il reato commesso. Il riscatto della persona - conclude - è l’unico orizzonte indicato dalla Costituzione repubblicana". Giustizia: dopo 30 anni l’Italia a un passo dall’introduzione del reato di tortura di Claudia Fusani L’Unità, 6 maggio 2014 Oggi la Commissione giustizia della Camera inizia l’esame del testo approvato due mesi fa dal Senato. Previsti due nuovi reati, 613 bis e ter. Adesso, perché le vittime di abusi e di eccessi da parte di chi indossa la divisa, smettano di morire ogni volta di più sull’onda delle inutili polemiche, è il momento di passare ai fatti. A quei "provvedimenti" che Patrizia Moretti, la mamma di Federico Aldrovandi ha chiesto di nuovo l’altro giorno dopo gli applausi dell’assemblea Sap (sindacato autonomo di polizia) ai quattro poliziotti ancora in divisa nonostante i 3 anni e sei mesi di condanna per la morte del figlio. "Io ora voglio sparire, adesso non è più il mio problema ma di un paese intero" ha detto chiamata in fretta e furia, in una sorte di cerimonia delle scuse collettive, dalle massime autorità dello Stato, del governo e della polizia. Se tutti coloro che hanno aperto bocca in questi giorni - e parliamo della politica incapace da anni di prendere decisioni invocate e attese - volessero dare subito seguito alle loro parole, il caso offre un’occasione speciale. Da oggi, infatti, la Camera ha l’opportunità di dare in pochi giorni al paese la legge che introduce il reato di tortura. Non è la migliore ma è pur sempre qualcosa. Il testo, atteso da 30 anni, licenziato due mesi fa dal Senato, approda martedì in Commissione Giustizia della Camera presieduta da Donatella Ferranti (Pd). Introduce due nuovi reati. Il 613-bis disciplina il delitto di tortura. Il 613-ter incrimina la condotta del pubblico ufficiale che istiga altri alla commissione del fatto. La scelta è stata quella di optare per un reato comune anziché per un reato specifico riguardante esclusivamente i funzionari pubblici (uomini in divisa, quindi custodi della legalità in nome dello Stato). Costituisce circostanza aggravante il fatto che il reato sia stato commesso da un pubblico ufficiale. Il disegno di legge che potrebbe diventare legge in un paio di settimane, conta cinque articoli attesi dal 1984 quando le Nazioni Unite (10 dicembre) adottarono la Convenzione contro la tortura. In quella Convenzione tutti i paesi membri concordarono di comprendere nel proprio ordinamento il reato di tortura "da punire con pene adeguate e con indagini rapide ed imparziali su ogni singolo caso, senza alcuna eccezione accettata". Hanno fatto molto prima e meglio di noi paesi come Austria, Belgio, Danimarca, Estonia, Francia, Germania, Islanda, Lettonia, Lussemburgo, Macedonia, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Slovenia, Slovacchia, Spagna, Svezia, Svizzera, Turchia, Ungheria, Città del Vaticano. Se finora abbiamo latitato è stato perché, secondo il legislatore, le condotte richiamate nella Convenzione del 1984 sono riconducibili a fattispecie penali già previste nel nostro codice come omicidio, lesioni, percosse, violenza privata, minacce. Il disastro del G8 di Genova ho spazzato via ogni alibi: l’assenza del reato di tortura, come hanno riconosciuto i magistrati in sentenza, ha favorito molte prescrizioni e impedito punizioni serie. Stavolta, forse, ci siamo. E la coincidenza vuole che questo avvenga mentre le cronache sono piene dell’eco del caso Aldrovandi e Magherini. Il senatore Luigi Manconi, da anni in prima linea su questo fronte, è il papà della legge. Anche lui l’avrebbe voluta diversa. "Bene l’introduzione del reato di tortura nel nostro ordinamento, ma si poteva fare di più" ha ripetuto in questi giorni. Secondo Manconi, infatti, l’impianto complessivo del disegno di legge risulta "depotenziato" dalla formulazione che prevede la reiterazione degli atti di violenza perché ci sia la fattispecie della tortura. Depotenziato anche dal fatto che nel provvedimento la tortura non è qualificata come reato proprio ma comune, "quindi imputabile a qualunque cittadino e non solo ai titolari di funzione pubblica come avviene invece in molti altri paesi occidentali". Gli stessi sindacati di polizia sono cauti. E perplessi. "Il reato di tortura è un obbligo di civiltà a cui non possiamo più sottrarci" avverte Daniele Tissone della Silp-Cgil "ma a cui si deve dare attuazione con attenzione ed evitando ogni tipo di strumentalizzazione". Il timore è che sull’onda dell’emozione di questi giorni possano passare elementi di ambiguità. Che non risolvono i problemi veri e ogni giorno sotto gli occhi di tutti: forze dell’ordine costrette a lavorare, in ordine pubblico ma anche solo in servizio, senza le dovute tutele e la necessaria professionalità. Il Siulp non ci sta a barattare le difficoltà degli operatori della sicurezza che vivono due volte la crisi, sulla loro pelle per i tagli e in strada a fronteggiare la rabbia sociale, con quelle che sono richieste precise (più formazione e telecamere sui caschi degli agenti per avere una rappresentazione totale di quello che avviene). Il Silp, da parte sua, denuncia come da "15 anni l’arruolamento in polizia avvenga non più tramite concorso diretto ma attraverso il reclutamento dei volontari delle ferma breve nell’esercito". Una non-selezione che condiziona la formazione degli agenti. E ha retrocesso al 12 per cento la presenza delle donne in polizia. Il Coisp, sigla sindacale legata alla destra, ha addirittura messo in guardia il capo della Polizia Alessandro Pansa da "pericolose interpretazioni estensive". Boldrini sul caso Aldrovandi: Pansa tolga il segreto dalle sanzioni interne "In linea con il mio impegno per la trasparenza e con quanto si sta facendo in questo senso alla Camera dei deputati, ho accolto l’appello del presidente della commissione Diritti umani del Senato, Luigi Manconi, a sollecitare il capo della Polizia affinché valuti la possibilità di togliere il segreto ai procedimenti disciplinari interni". Lo ha annunciato la presidente della Camera, Laura Boldrini a proposito dell’incontro con Patrizia Moretti, mamma di Federico Aldrovandi. La presidente Boldrini esprime "indignazione per gli applausi riservati ai poliziotti condannati per la morte del ragazzo durante il congresso del sindacato autonomo Sap" e considera che "il gesto provocatorio non solo fa male a chi crede nella giustizia, ma danneggia soprattutto i tanti agenti che fanno il proprio dovere rispettando le regole". "Io quei quattro non li perdonerò mai - ha detto Patrizia Moretti alla Nuova Ferrara a proposito dei quattro poliziotti condannati. Non ci può essere perdono senza pentimento. Gli eventi recenti vanno nella direzione opposta. Con quell’applauso sono stati elevati a simboli, a modelli. Questo allontana moltissimo qualsiasi possibilità". "L’unico modo per me per passare oltre è che raccontino tutta la verità, ogni dettaglio, ogni minuto. Con quel comportamento quei poliziotti è come se si fossero nuovamente sporcati le mani di sangue". "Lo Stato - ha aggiunto - si è reso finalmente conto di quale è il problema che ha ucciso Federico in modo corale e ai massimi vertici". Giustizia: confische e pene più severe, ecco la svolta dell’antimafia di Massimo Solani L’Unità, 6 maggio 2014 Il disegno di legge sarà approvato al prossimo Consiglio dei ministri. Novità per i sequestri dei patrimoni. Più rigidità per 416 bis e auto-riciclaggio. Se non è una rivoluzione in tema di antimafia, è sicuramente un enorme passo avanti nella direzione più volte auspicata dalla politica, dalla magistratura, dalle associazioni e dalle forze di polizia. Si intitola "Misure volte a rafforzare il contrasto alla criminalità organizzata e ai patrimoni illeciti" il disegno di legge che il consiglio dei ministri si appresta ad approvare (forse già domani) nella speranza di un veloce iter alle Camere. Ventisei articoli di legge che vanno a rivoluzionare la normativa in tema di sequestro e confisca dei beni mafiosi, che ridisegnano l’architettura della specifica Agenzia e riscrivono la gestione degli enti locali sciolti per infiltrazioni mafiose e poi commissariati. Un lavoro, quello messo a punto dai tecnici del ministero dell’Interno e della Giustizia, che prevede inoltre l’inasprimento delle pene per il 416bis (l’associazione per delinquere di stampo mafioso), che introduce per la prima volta il reato di auto-riciclaggio, che pone nuove limitazioni alle traduzioni dei detenuti per le udienze in tribunale e che istituisce, come chiesto da anni da Libera di Don Ciotti, la "giornata della legalità e della memoria di tutte le vittime innocenti della mafia" che si festeggerà il 21 marzo di ogni anno. Il testo recepisce alcune delle indicazioni che erano contenute nella relazione della cosiddetta "Commissione Fiandaca" istituita nel giugno del 2013 dall’allora ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri "per elaborare proposte di riforma in materia di criminalità organizzata" e si avvale del lungo lavoro, svolto già ai tempi del governo Letta, del viceministro dell’Interno Filippo Bubbico che nel precedente esecutivo aveva proprio la delega in materia di beni sequestrati e confiscati alla mafia. Non a caso, infatti, sul tema il disegno di legge contiene moltissime novità a partire dalla creazione dell’istituto del "controllo giudiziario" per quelle aziende a rischio infiltrazione mafiosa che, senza bisogno di arrivare allo spossessamento, potranno essere affidate alla vigilanza di un commissario nominato dal tribunale. Più snelle e efficaci, inoltre, le misure per il sequestro giudiziario dei capitali mafiosi: il testo, infatti, ampia il novero dei delitti per i quali la legge prevede il ricorso al sequestro mentre si rafforza anche lo strumento della confisca allargata che riguarderà anche eredi e soggetti terzi. La riforma dell’Agenzia Ma il testo messo a punto dai ministeri della Giustizia e dell’Interno contiene anche una profonda revisione dell’Agenzia nazionale dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, l’ente oggi diretto dal prefetto Giuseppe Caruso che non ha mai lamentato i problemi di gestione, le carenze organiche e la sua cervellotica organizzazione. Il disegno di legge, infatti, da una parte individua a Roma l’unica sede per l’Agenzia (che oggi ha uffici anche a Milano, Reggio Calabria e Palermo) dall’altra raddoppia fino a 60 unità il personale previsto in pianta organica. Profondo anche il riassetto degli organi dell’Agenzia, una riforma pensata per dare risposta agli allarmi dei sindacati che hanno lamentato la facilità con cui le aziende confiscate finiscono poi per morire una volta sottratte all’economia criminale: dall’inserimento nel Consiglio Direttivo di due esperti qualificati (uno con competenze in materia di gestioni patrimoniali, l’altro con riconosciuta professionalità in tema di gestioni aziendali) alla creazione di un Comitato Consultivo presieduto dal direttore dell’Agenzie a cui parteciperanno anche un esperto in materia di finanziamenti europei e rappresentanti delle associazioni destinatarie dei beni confiscati. Secondo le nuove norme, inoltre, l’Agenzia dovrà avvalersi obbligatoriamente delle prefetture, presso le quali saranno creati dei tavoli permanenti a cui parteciperanno anche i sindacati e le associazioni datoriali. Più ampi, inoltre, i criteri per l’assegnazione degli immobili confiscati che ferma restando l’utilizzazione per fini sociali prevedranno anche lo svolgimento di attività di natura economica, ma a patto che i proventi vengano riutilizzati in attività sociali. Enti sciolti per mafia Ma il testo che dovrebbe essere sottoposto all’approvazione del prossimo consiglio dei ministri prevede molte novità anche per quanto riguarda i Comuni sciolti per infiltrazioni mafiose introducendo anche l’obbligo di mobilità o licenziamento per i dipendenti collegati con la malavita organizzata. Secondo il disegno di legge, infatti, dopo il provvedimento gli enti avranno l’obbligo di avvalersi di una stazione unica appaltante per tutte le procedure di gara nel periodo di gestione straordinaria e per cinque anni successivi al rinnovo degli organi elettivi. Per quanto riguarda invece i politici responsabili delle condotte che hanno portato allo scioglimento dei consigli comunali e provinciali, il ddl del governo prevede l’incandidabilità per un periodo di sei anni dalla data della pronuncia definitiva. Ma non è tutto: le nuove norme, infatti, ridisegnano completamente l’attività di gestione straordinaria dell’ente prevedendo che la commissione, oltre all’ordinaria amministrazione, debba incentrare il proprio operato prioritariamente nei settori dei tributi, dell’edilizia, dell’urbanistica, del commercio, dello smaltimento dei rifiuti, dei servizi pubblici locali e di quelli sociali. Nella sua azione la commissione straordinaria si avvarrà dei comitati di sostegno e monitoraggio composti dal personale del ministero dell’Interno, a cui potranno partecipare anche professionalità come magistrati, avvocati e dirigenti. Il prefetto, inoltre, potrà decidere il distacco di altre figure professionali e di tale personale potrà avvalersi l’ente (per non più di 24 mesi) anche dopo la sua ricostituzione legale. Il testo, inoltre, prevede che i controlli sulle infiltrazioni mafiose possano essere estesi anche alle società partecipate e ai consorzi pubblici, anche a partecipazione privata. Giustizia: da carceri a hotel, la nuova vita griffata degli ex penitenziari www.corriere.it, 6 maggio 2014 C’è chi, a certi alberghi sempre tutti uguali, preferirebbe la galera. Letteralmente. La possibilità di trascorrere qualche giorno dietro le sbarre può suonare certo curiosa, ma la variante al tema, in tutto il mondo, è quanto mai ampia. E varia da ex strutture di detenzione trasformate il boutique hotel, a ostelli che assicurano un vitto e alloggio da galeotti. Brasserie e jam session Partenza soft a Basilea, dove si trova l’Hotel Brasserie Au Violon, fino al 1995 carcere giudiziario costruito sul sito di un antico monastero, oggi brasserie francese con terrazza in giardino. Curioso anche l’ostello sloveno Celica, a Ljubljana, votato in passato come "l’ostello più hippy del mondo" nonostante il suo passato come prigione militare, costruito nel 1882 dall’esercito austro-ungherese e mantenuto tale, nel suo uso, fino all’indipendenza del 1991. Ma ci sono voluti più di dieci anni per trasformarlo in una struttura ricettiva, che ospita anche mostre, jam session musicali ed eventi "funky", come li descrivono gli organizzatori, molti dei quali proprio nelle ex celle di prigionia - complice il fatto che l’ostello si trova nella Metelkova City, area ad alta densità culturale della città. Sono infatti una ventina le stanze-prigioni, ognuna decorata da un artista differente e dal design che ricorda quello del suo uso originale: essendo un ostello i bagni sono comuni al secondo piano della struttura. Non mancano però otto stanze con bagno e accessibili ai disabili, oppure dormitori da 12. Il prezzo delle stanze doppie parte da 25 euro in bassa stagione. Curioso il "Punto di pace", ex cappella dove sono raccolte 6 nicchie appartenenti alle maggiori religioni. Olanda da prison break Il viaggio nella storia carceraria porta infine al Lloyd Hotel di Amsterdam, la cui nascita è, a tutti gli effetti, opposta a quella delle strutture precedenti: nasce come hotel, prosegue come struttura penitenziaria e torna ad essere albergo in epoca recente. Il tutto parte infatti nel primo novecento, quando la compagnia navale Royal Dutch Lloyd chiede la costruzione di un "hotel per gli emigranti", che da lì partivano alla volta del Sud America: si trattava soprattutto di viaggiatori che provenivano dall’Est Europa e che avevano affrontato un lungo viaggio prima di arrivare in quella che, all’epoca, era una remota area della città. Tant’è che, per motivi igienici, venivano disinfettati e messi in quarantena, prima dell’ingresso stesso nella struttura. Ogni tre settimane, dall’altra parte del porto, una nave partiva alla volta del Nuovo Mondo e con essa parte degli ospiti della struttura. Il fallimento della compagnia e il procedere (se non precipitare) degli eventi storici portò il governo ad usare la struttura per la prima accoglienza dei rifugiati ebrei, dopo la Notte dei Cristalli, mentre durante l’occupazione tedesca venne trasformata in prigione, che nel corso del secolo scorso si ridusse a penitenziario di passaggio, per chi attendeva giudizio, fino a divenire carcere giovanile, per ragazzi tra i 12 e i 21 anni. Chiusa nel 1989, la struttura è stata trasformata prima in organizzazione socioculturale, ma il lento declino rese indispensabile un ripensamento e il gruppo Lloyd propose il progetto di un hotel unito a una "Ambasciata della Cultura", aperti nel 2004. Progetto approvato che ha portato alla struttura di oggi, che richiama il più possibile alla storia del palazzo, tra corridoi, scalinate e le piastrelle grigio-verdi. Dormitori e stanza per famiglie sono oggi 116 stanze luxury, ognuna diversa dalle altre, con stanze da bagno progettate da differenti designers olandesi. Le camere da una stella (l’offerta va da 1 a 5 stelle) partono da 76,50 euro per stanza, ma ci sono diverse offerte per chi prenota in anticipo. Si continua con Het Arresthuis di Roermond, carcere olandese smantellato nel 2007 e trasformato in pochi anno in un elegante struttura con 40 stanze e suite. L’atmosfera, grazie ad una sapiente ristrutturazione, rimane in certi ambienti la stessa del 1863 - cui si aggiungono però spazi decisamente opposti, come sauna e sala fitness. Minimale il design avveniristico, con le stanze che si aprono sul lungo corridoio centrale della prigione. Colori accessi e illuminazione fluo, stanze ampie e dai colori chiari, oltre che suite dai nomi allusivi come Il Carceriere, L’Avvocato, Il Direttore della prigione e Il Giudice (si parte da 110 euro a notte per persona, per la "cella" semplice) creano un curioso mix, estremamente elegante e confortevole, ma sicuramente curioso. Manette a Nord Anche Helsinki da qualche anno ha ricoperto il soggiorno dietro le sbarre, riuscendo a salvare una parte del tessuto urbano che vale di per sé una visita. Il Best Western Premier Hotel Katajanokka ha aperto nel 2007 e la sua ala più antica risale a 170 anni fa. Deve il suo nome all’area sub-urbana della città che lo ospita e che fino al 1500 raggruppava a mala pena una manciata di catapecchie di pescatori, prima di trasformarsi in un sobborgo per marinai e artigiani, pieno di taverne così come di vagabondi e delinquenti. Non fu quindi un caso che la prima prigione cittadina, in legno e con una decina di stanze di reclusione, venisse creata proprio qui, nel 1749, con in nome di Helsinki Crown Prison. La struttura andò ampliandosi nel corso dei secoli, di pari passo con l’accrescersi dell’importanza dell’area. Ultimo rifacimento prima della dismissione, nel 1888, che l’ha resa un imponente esempio di gotico baltico, con la bella facciata in mattoni a sottolineare l’imponente e alta struttura a croce asimmetrica. Molti importanti personaggi della storia finlandese sono passati da Katajanokka, motivo per cui, quando la cittadinanza si trovò a dover decidere un nuovo utilizzo del palazzo, che non incontrava più quelli che venivano considerati gli standard minimi di un "moderno trattamento correttivo" si scelse comunque di non demolirlo ma trovare un uso che rendesse giustizia al suo trascorso. Restando a Nord, a Stoccolma una piacevole notte in cella la si passa da Långholmen, ex prigione chiusa nel lontano 1975. Strano a dirsi, si tratta di un’oasi verde e la spiaggia sono lo scenario che ospita un’ex prigione con 250 anni di storia detentiva alle spalle. Un museo, "Dal Crimine alle Manette" permette un tour tra i cimeli e reperti conservati di quel passato, partito nel 1874, quando questa era la più grande prigione della Svezia, con 500 celle: utilizzata fino al 1975 e parzialmente demolita nel 1982: la parte distrutta si trovava davanti all’attuale entrata del ristorante, mentre il resto fa parte dell’hotel: si soggiorna nelle celle, rinnovate, con bagno e (sempre meglio stare attenti ai ladri) cassetta di sicurezza. I prezzi partono da 1445 corone per la doppia. Sono a disposizione anche 240 posti letto nella parte della struttura adibita a ostello della gioventù. A Liepaja, Lettonia, si trova il Karostas Cietums, la prigione militare di triste passato, luogo di carcerazione sia per i sovietici che per i nazisti che ha raccolto ufficiali, disertori, rivoluzionari e nemici, soldati che avevano violato la disciplina o ribelli. La struttura accompagna oggi i suoi visitatori in una vera e propria esperienza nella Storia, permettendo sia il tour sia il soggiorno in letti a castello o in ferro, "pasto della prigionia" compreso. La struttura è aperta dal primo maggio al 30 settembre. Al di là dell’Oceano Altro celebre prison-hotel (anzi, ostello) è l’HI-Ottawa Jail Hostel, in Canada. La sua origine si deve alla prigione di Carleton County Gaol, che aprì nel 1862 con la fama di penitenziario innovativo, attento agli spazi ma anche alla divisione tra uomini, donne e giovani, nell’intento, secondo quanto riportato dall’epoca di "tenere da parte chi avrebbe potuto influenzare e corrompere i compagni". Palazzo imponente e impressionante, di stile georgiano e minimale, presto destinato ad ampliarsi per l’aumentare del numero di detenuti. Le celle erano però piccole, insalubri e poco ventilate, motivo per cui nel 1972 venne chiuso. Fin da subito la Canadian Youth Hostel Association si propose per un rinnovo, favorito da donazioni e offerte, finché il nuovo ostello aprì le sue porte nel 1973, al costo di 2 dollari per una notte, 1 per le successive. Una trentina di anni fa una nuova campagna di raccolta fondi portò ad un rinnovamento dell’edificio, fino alla versione odierna. Per una autentica esperienza carceraria sono a disposizione stanze singole con lettino, finestra e poco spazio libero (costo 31 dollari). Più ampie le stanze dormitori da 2,4 o 6 persone (da 27 dollari), oppure doppie, sempre in cella ma in stanze private convertite (da 75 dollari). Stanze-dormitorio o private si trovano anche in versione "tradizionale" rispettivamente da 34 e 89 dollari a persona. Sembra un ossimoro, ma si chiama The Liberty Hotel, la struttura luxury di Boston (da 349 dollari a notte) che si trova ai piedi di Beacon Hill. Ospitato in un albergo del 1851, si tratta di una ristrutturazione della storica prigione cittadina, la Charles Street Jail, in un luxury hotel da 298 stanze che ha aperto i battenti nel 2007. Tra le location che hanno mantenuto l’aspetto originario c’è il nightclub Alibi, così come il nuovissimo bar Catwalk, che prende il nome dal fatto che è ospitato dalla passerella originale della prigione, che portava alla rotonda al centro del complesso. La struttura originale era infatti cruciforme con un corpo centrale che si estendeva verso i vari bracci, con le celle, tutte provviste di finestre e illuminazione per il benessere dei detenuti - tratto considerato innovativo per l’epoca. Giustizia: vitalizi dallo Stato ai condannati… Roma peggio della Sicilia di Antonio Fraschilla e Emanuele Lauria La Repubblica, 6 maggio 2014 "Noi non possiamo fare niente. Niente". Il caso di Totò Cuffaro, l’ex governatore della Sicilia in carcere per mafia che riceve un vitalizio da 6 mila euro al mese, scuote l’Assemblea regionale. Il presidente dell’Ars, Giovanni Ardizzone dell’Udc, è stretto fra le proteste dei grillini e il discreto pressing del governatore Rosario Crocetta che invita il parlamento siciliano a intervenire. Ardizzone esce allo scoperto in mezzo a questo tiro incrociato. E punta il dito su Roma: "Noi, come le altre Regioni, abbiamo solo applicato il decreto Monti che limita il blocco dei vitalizi a chi è condannato per reati contro la pubblica amministrazione. Paradossalmente chi deve rispondere di reati più gravi, come Cuffaro, la fa franca. Ed essendo una sanzione accessoria a una norma penale, non possiamo essere noi a revocarla. Dev’essere il Parlamento, che concede vitalizi in modo ancora più esteso". È infuriato, il presidente dell’Ars: "Quando pensò a questo decreto, il governo Monti scaricò colpevolmente il problema della corruzione sui consiglieri regionali. E chiuse un occhio - dice Ardizzone - davanti agli ex parlamentari: Camera e Senato non prevedono alcuna sospensione del vitalizio, anche per chi è stato condannato per reati contro la pubblica amministrazione. Esempi? Si parla di Cuffaro, e ci si dimentica che Luigi Lusi, l’ex tesoriere della Margherita condannato a otto anni per appropriazione indebita, anche se la sentenza diverrà definitiva riceverà tranquillamente il vitalizio dal Senato". Lusi sarà in buona compagnia. A ricevere attualmente il vitalizio dal Senato, circa 4.400 euro, è ad esempio Marcello Dell’Utri, sul quale pende una condanna in secondo grado a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa. E anche se venisse condannato in via definitiva, Dell’Utri continuerebbe a percepire la "pensione". A ricevere l’assegno da Palazzo Madama o da Montecitorio sono personaggi finiti agli onori della cronaca per condanne e arresti. Tra questi l’ex dc ed ex Pdl Giuseppe Ciarrapico, che vanta quattro condanne definitive per il crack dell’Ambrosiano e della Casina Valadier, con reati che vanno dalla bancarotta fraudolenta alla ricettazione fallimentare. Il suo vitalizio è di 1.500 euro al mese. Tra chi ha sempre ricevuto il vitalizio c’è poi Paolo Cirino Pomicino, condannato per reati contro la pubblica amministrazione e riabilitato: in questo caso, anche se venisse applicato il decreto Monti oggi in vigore solo per le Regioni, Pomicino continuerebbe a ricevere la sua pensione da 5.200 euro al mese. Giustizia: per Marcello Dell’Utri chiesta l’estradizione dal Libano Il Fatto Quotidiano, 6 maggio 2014 Il ministero della Giustizia ha inoltrato alle autorità del Libano tutti gli atti tradotti relativi alla domanda di estradizione di Marcello Dell’Utri. Lo ha annunciato lo stesso guardasigilli Andrea Orlando. La domanda è legata alla misura cautelare emessa nei confronti di Dell’Utri, mentre è attesa per il 9 maggio prossimo la pronuncia della Cassazione sulla confermare o meno della condanna a sette anni dell’ex senatore per concorso esterno in associazione mafiosa. Dell’Utri si trova a Beirut, in stato di fermo. L’ex senatore di Forza Italia è stato arrestato il 12 aprile nella capitale libanese In un lussuoso hotel sul porto turistico, il Phoenicia. Qui era arrivato il 24 marzo scorso passando per Parigi ed era stato trovato, scrive l’informativa della Dia, "in possesso di circa 30 mila euro in contanti, quattro cellulari, due passaporti, di cui uno di servizio scaduto e di un registratore manuale". Una fuga, dunque. Confermata anche dal contenuto di una intercettazione avvenuta tra il fratello gemello Alberto Dell’Utri e Vincenzo Mancuso: l’ex senatore avrebbe dovuto raggiungere una onlus africana creata da Berlusconi. Lombardia: Capece (Sappe): nelle carceri regionali ci sono 8.600 detenuti, per seimila posti letto Ristretti Orizzonti, 6 maggio 2014 Un numero sempre elevato di detenuti, 8.600 per 6mila posti letto, e un altrettanto grave carenza di personale di Polizia Penitenziaria, mille in meno rispetto al previsto. Sono questi, in sintesi, i numeri della Lombardia penitenziaria, nella quale era presente oggi il segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe Donato Capece. Capece, che ha visitato le carceri di Milano S. Vittore e Bollate, ha incontrato il Provveditore penitenziario lombardo, Aldo Fabozzi. "La mia presenza oggi ha Milano - ha sottolineato Capece - è soprattutto un segnale di solidarietà e di vicinanza ai colleghi che operano nelle carceri cittadine. L’altro obiettivo è rilanciare la denuncia per i problemi legati al sovraffollamento e alla mancanza di risorse per far funzionare meglio gli istituti penitenziari lombardi". Il leader dei Baschi Azzurri del Sappe ha tra l’altro sollecitato l’Amministrazione penitenziaria regionale ad assumere urgenti determinazioni rispetto a quel che sta accadendo nel carcere di Lodi, dove da molte settimane ormai è in atto un forte contrasto tra il direttore del carcere e tutti i Sindacati: "la situazione è estremamente critica e tutti accusano il direttore di mancanza di confronto con i Sindacati: forse sarebbe opportuno darle un nuovo incarico che faccia cessare le proteste e le tensioni". Il Sappe punta il dito principalmente sulle gravi carenze di poliziotti penitenziari in Lombardia: "Quando si lavora con le misure di sicurezza al di sotto del minimo, si corrono gravi rischi. Un rischio che l’amministrazione ha ben calcolato, ma la responsabilità va sempre addebitata ai vertici, ossia al capo dipartimento, al vice capo dipartimento e alla politica che non vuol mettere mano alle riforme del carcere. Il personale vuole lavorare in maniera dignitosa e non si può chiedere di farlo svolgendo otto o nove ore giornaliere e lo Stato spesso non è neanche in grado di garantire le retribuzioni straordinarie. È questa è la vera vergogna". A tal proposito il primo Sindacato della Polizia Penitenziaria il prossimo 21 maggio scenderà in piazza a Roma per chiedere di avere un nuovo Capo della Polizia Penitenziaria e nuovi vertici al Dap: "Saremo sotto il Dipartimento per manifestare contro il capo dipartimento e questa politica assurda che anziché mettere mano a delle riforme del mondo penitenziario del carcere e rendere le carceri vivibili, si nasconde dietro un dito. È necessaria una rivoluzione pacifica del carcere - ha concluso Capece - andando ad individuare, attraverso delle riforme strutturali, un carcere che sia più vivibile sia per coloro che sono ristretti sia per gli stessi detenuti". Nei 19 penitenziari lombardi erano detenute, lo scorso 30 aprile, 8.576 persone (8.063 uomini e 513 donne): a San Vittore sono 1.161 i presenti (per circa 700 posti letto). Calabria: la Giunta regionale chiede uno sconto di pena per i detenuti che leggono libri Corriere della Calabria, 6 maggio 2014 Approvata una proposta di legge per promuovere i libri nelle carceri: un volume "vale" tre giorni. Trasporti: un nodo d’interscambio tra stazione e aeroporto di Lamezia La giunta regionale chiede uno sconto di pena per i detenuti che leggeranno dei libri. L’esecutivo, sotto la presidenza della vicepresidente Antonella Stasi, assistita dal dirigente generale Franco Zoccali, ha approvato una proposta di legge al Parlamento - che dovrà passare attraverso il consiglio regionale, che riguarda la promozione delle lettura nelle carceri. Si tratta di un provvedimento destinato ai detenuti condannati a pena detentiva superiore a sei mesi. Questa proposta prevede che se essi leggeranno un libro, potranno avere tre giorni di sconto di pena. È stato anche deliberato, prendendo spunto della tradizione napoletana del "caffè sospeso", di promuovere il progetto "Il libro sospeso". Il provvedimento prevede che chiunque può comprare un libro, lasciandone pagato un altro, che sarà regalato alla successiva persona che entrerà in libreria. In questa iniziativa verranno, ovviamente, coinvolti librai e bibliotecari. Velletri (Rm): "Un carcere abbandonato", la lettera dei Sindacati di Polizia Penitenziaria Comunicato stampa, 6 maggio 2014 Tutti i Sindacati della Polizia penitenziaria del carcere di Velletri, tranne il Sinappe e la Fn-Cisl, hanno deciso di unirsi ed inoltrare una lettera unitaria al capo dell’amministrazione penitenziaria del Lazio sulla difficile, e ormai insostenibile, situazione del carcere di Velletri anche alla luce degli ultimi eventi critici dove due poliziotti sono stati feriti. Secondo Carmine Olanda, segretario locale del Si.P.Pe., il carcere di Velletri è ormai sfuggito al controllo della Direzione carceraria ed occorre quindi un intervento incisivo da parte del vertice dell’amministrazione penitenziaria. Ad una deficitaria gestione della struttura si aggiunge la carenza del personale che come indicato nella nota unitaria, ha portato l’istituto di Velletri al primo posto per carenza di personale di polizia penitenziaria con un coefficiente di rapporto pari allo 0,26 su una media nazionale dello 0,48 e ciò inficia i livelli di sicurezza che allo stato sarebbero pari a zero. I sindacati Sippe, Cgil, Sappe, Osapp, Uil, Ugl e Cnpp, maggiormente rappresentativi nel carcere di Velletri, vista l’emergenza, chiedono il rientro immediato in sede di tutto il personale distaccato nei vari Ministeri, compreso quello della salute, nelle Scuole di polizia, all’Uepe di Latina e ai servizi vari dell’amministrazione nonché l’assegnazione o distacchi di nuovo personale proveniente anche dal Dap (dove c’è un esubero di circa 850 unità). I sindacati chiedono anche l’assegnazione di un comandante e di un vice comandante che non abbiano, almeno nell’immediatezza, aspirazione ad essere distaccati nei comodi uffici del Dap. Il Carcere di Velletri - si legge nella nota unitaria - è il secondo circondario nel Lazio, dopo Roma, che riceve un numero elevato di detenuti con problemi psichiatrici o per ordine e sicurezza penitenziaria. Qualche giorno fa, sulla difficile situazione del carcere di Velletri era intervenuto anche il Segretario Generale del Sippe Alessandro De Pasquale che attraverso una nota diretta al Vice Capo del Dap era stata chiesta un’ispezione urgente da parte dell’ufficio ispettivo previa verifica diretta da parte del vertice dell’amministrazione del livello di sicurezza del carcere. Se a breve termine non ci saranno risposte concrete, i sindacati scenderanno in piazza e intanto nei prossimi giorni inizieranno lo sciopero dalla mensa di servizio. Udine: i detenuti sfornano pasticcini e li vendono a fin di bene Il Quotidiano, 6 maggio 2014 Via Spalato. Gli "ospiti" donano un defibrillatore al Malignani. Per la causa fanno anche una colletta tra di loro. Da gennaio 2016, tutte le associazioni sportive dovranno dotarsi di un defibrillatore per far in modo che medici, infermieri e soccorritori volontari possano intervenire tempestivamente in caso di assenza respiratoria e arresto cardiaco. Questo è l’antefatto. Grazie ad un’azione coordinata dall’associazione "Speranza, Volontari Penitenziari Onlus", i detenuti della Casa Circondariale di Udine hanno raccolto dei fondi dalla vendita di biscotti da loro prodotti per devolvere il ricavato all’acquisto di un defibrillatore da donare all’Isis "A. Malignani". E questo è il fatto. Una specifica volontà da parte dei detenuti che, per la causa, hanno perfino organizzato una colletta tra di loro. La cerimonia ufficiale della donazione si terrà domani alle 11 nell’Aula Magna dell’istituto in via L. Da Vinci, 10 e vedrà la partecipazione di Irene Iannucci, direttore della Casa Circondariale di Udine, l’assessore provinciale all’istruzione e alle attività sportive, Beppino Govetto, l’assessore allo sport e all’educazione del Comune di Udine, Raffaella Basana e il presidente dell’associazione "Speranza" Enrico Ponta. La cerimonia verrà preceduta da un convegno dal titolo "Defibrillatore: obbligatorietà di dotazione e formazione all’utilizzo per tutte le associazioni sportive" con gli interventi in calendario di Marco Michelutti della Polisportiva Malignani, Alessandro Milan e Caterina Driussi medici di medicina sportiva. Alla festa, inoltre, sarà presente anche una rappresentanza degli ospiti della casa circondariale che hanno fattivamente collaborato al progetto volendo finalizzare la donazione dello strumento per lo shock elettrico all’istituto cittadino. Reggio Emilia: il Garante regionale dei detenuti domani in visita agli Istituti penali cittadini Ansa, 6 maggio 2014 Nella mattinata di domani, martedì 6 maggio, la Garante regionale delle persone sottoposte a misure restrittive o limitative della libertà personale, Desi Bruno, si recherà in visita agli Istituti penali di Reggio Emilia, in via Luigi Settembrini 8. Le finalità della visita sono di verificare l’applicazione del regime "a celle aperte" presso la Casa Circondariale e l’attuale situazione della popolazione detenuta e internata, nonché le condizioni igienico-sanitarie e strutturali presso l’Ospedale psichiatrico giudiziario, il cui termine per chiusura è stato ulteriormente prorogato al 31 marzo 2015. Forlì: il Coosp denuncia; detenuto extracomunitario aggredisce agente di Mario Di Matteo www.emiliaromagna24news.it, 6 maggio 2014 Intorno alle 10 di ieri nella Casa circondariale di Forlì è avvenuta un’aggressione fisica e verbale per futili motivi da parte di un detenuto extracomunitario pluripregiudicato ai danni di un agente. Quest’ultimo è stato comunque immediatamente soccorso dai colleghi allarmati dalle grida provenienti dal primo piano dell’edificio e trasportato al pronto soccorso per cure e accertamenti. Il caso ha riacceso la polemica sulla precarietà delle condizioni carcerarie. Come si legge nel comunicato, "il Coordinatore Regionale del sindacato Coosp, dottor Gianfranco La Forgia ha lamentato - infatti - la mancata sensibilità da parte delle Istituzioni Regionali Penitenziarie che avrebbero bocciato la richiesta della direzione sull’allontanamento del detenuto responsabile dell’aggressione non nuovo a casi di futile rissosità contro la polizia Penitenziaria ma anche insolente alle democratiche regole del regime ordinario penitenziario". "Il Coordinamento Sindacale Penitenziario - si legge ancora - condividendo l’esposizione professionale del proprio Coordinatore Regionale, invita alla maggiore attenzione le Istituzioni penitenziarie Centrali sul coinvolgimento del sistema Carcere ‘aperto’ rivelatosi in più Istituti e sedi penitenziarie Italiane a rischio aggressioni con una qualità detentiva straniera che sembra cavalcare l’onda dell’emotività della accennata libertà detentiva nei reparti che andrebbe maggiormente mantenuto sotto un ex novo sistema rieducativo che non invada, così come oggi accade, la professionalità, la salute e la sicurezza dei Poliziotti Penitenziari". Venezuela: Human Rights Watch; gravi abusi delle forze di sicurezza su manifestanti e detenuti Il Velino, 6 maggio 2014 Le forze di sicurezza venezuelane hanno usato illegittimamente la forza per rispondere alle dimostrazioni antigovernative delle scorse settimane, picchiando gravemente i manifestanti disarmati e sparando a bruciapelo. Questa l’analisi di Human Rights Watch, l’organizzazione non governativa internazionale che si occupa della difesa dei diritti umani, contenuta in un rapporto pubblicato lunedì. Le forze di sicurezza del paese hanno inoltre sottoposto i detenuti ad abusi fisici e psicologici gravi, compresa, in alcuni casi, la tortura. Il rapporto di 103 pagine "Puniti per aver protestato" documenti 45 casi che hanno coinvolto più di 150 persone, nei quali le forze di sicurezza hanno abusato dei diritti dei manifestanti e hanno anche permesso a bande armate filo-governative di attaccare i civili disarmati, in alcuni casi collaborando apertamente con le bande. Si tratta, ha spiegato Josè Miguel Vivanco, direttore regionale di Human Rights Watch, dei peggiori abusi "che abbiamo visto in Venezuela negli anni". Human Rights Watch ha effettuato un’indagine conoscitiva in Venezuela nel mese di marzo, visitando Caracas e gli stati di Carabobo, Lara e Miranda, e conducendo decine di interviste con le vittime di abusi, le loro famiglie, i testimoni, medici, giornalisti, avvocati e difensori dei diritti umani. Nel corso dell’indagine sono state anche raccolte ampie prove materiali, tra cui fotografie, filmati, referti medici, decisioni giudiziarie e rapporti governativi. L’Ong rileva che "non c’è dubbio che alcuni manifestanti hanno usato violenza, anche lanciando pietre e bottiglie molotov contro le forze di sicurezza". Tuttavia "le forze di sicurezza venezuelane hanno ripetutamente usato la forza contro persone disarmate e non violente". Inoltre "la natura e la tempistica di molti degli abusi suggerisce che il loro scopo non era quello di far rispettare la legge o disperdere le proteste, ma piuttosto di punire le persone per le loro opinioni politiche". "È fondamentale per i leader dell’opposizione - ha aggiunto Vivanco - continuare a respingere qualsiasi atto di violenza da parte di manifestanti, e di farlo nel modo più chiaro possibile. Ma cerchiamo di essere chiari, nulla giustifica le azioni brutali da parte delle forze di sicurezza venezuelane". "Ai detenuti con feriti gravi - come ferite da proiettili di gomma o ossa rotte dalle percosse - è stato negato o ritardato l’accesso alle cure mediche, aggravando la loro sofferenza nonostante le loro ripetute richieste di vedere un medico" si legge ancora nel documento. "In diversi casi i detenuti sono stati sottoposti a gravi abusi psicologici, come minacce di morte e di stupro". Camerun: l’attacco di Boko Haram a stazione polizia per liberare un detenuto causa due morti Asca, 6 maggio 2014 Un agente di polizia e un detenuto hanno perso la vita in un attacco condotto da estremisti del gruppo Boko Haram contro una stazione delle forze di sicurezza nel nord del Camerun. Secondo quanto riferito dalle forze di polizia, l’azione dei miliziani era mirata alla liberazione di un detenuto, che è stato portato via. Turchia: rilasciati 173 manifestanti arrestati il primo maggio, per 18 il rinvio a giudizio Aki, 6 maggio 2014 Sono stati rilasciati 173 dimostranti detenuti dopo le manifestazioni del Primo maggio in Turchia. Secondo quanto riportato dall’agenzia stampa locale Dogan, dopo gli interrogatori della procura 18 dimostranti erano stati rinviati a giudizio in stato di libertà vigilata, con la richiesta di arresto per uno di loro. Il tribunale ha deciso di rilasciare tutti gli altri manifestanti questa mattina. Una grande folla si è radunata fuori dalla sede del tribunale, accogliendo con un applauso i manifestanti. Tra loro anche i membri del sindacato degli ingegneri turchi, della Camera degli architetti, del sindacato dei medici, della Confederazione sindacale del settore pubblico e della Conferenza dei lavoratori rivoluzionari. Giovedì scorso il governo turco aveva vietato le manifestazioni per celebrare il Primo maggio nella piazza simbolo di Taksim, a Istanbul. La polizia antisommossa era intervenuta disperdendo i dimostranti che marciavano nei vari distretti della città con gas lacrimogeni e idranti. Iraq: secondo fonti militari l’Isis ha aperto una "prigione fortificata" nel centro di Falluja Nova, 6 maggio 2014 Le milizie qaediste dello Stato islamico dell’Iraq e della Siria (Isis) hanno realizzato una "prigione fortificata" nel centro di Falluja, nella provincia occidentale di Anbar. Lo ha riferito al quotidiano "al Mada" una fonte del Comando operativo dell’esercito nella provincia, secondo cui all’interno dell’edificio sarebbero detenuti civili e militari fatti prigionieri dall’Isis nel corso della propria offensiva ad Anbar, iniziata alla fine dello scorso dicembre. Nelle ultime settimane, ha spiegato inoltre la fonte, i miliziani avrebbero più volte trasferito la sede della prigione per evitare che venisse identificata dalle forze armate di Baghdad. Già nel marzo scorso l’Isis aveva annunciato l’apertura di un tribunale islamico nella stessa città di Falluja.