Giustizia: carceri, il rischio di tornare nella palude di Susanna Marietti Il Fatto Quotidiano, 31 maggio 2014 Nel gennaio del 2013 l’Italia venne condannata dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del Consiglio d’Europa con una sentenza storica e memorabile. I fatti della ormai nota sentenza Torreggiani riguardavano alcuni detenuti fatti vivere in celle sovraffollate e malsane senza poter uscire da quei luoghi per molte ore al giorno. La sentenza era memorabile e storica per due ragioni. La prima è che l’Italia veniva condannata per aver violato un articolo centrale della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, uno dei pochi articoli inderogabili dell’intera Convenzione che tiene assieme 47 Paesi europei, un articolo che in nessuna situazione e sotto alcuna emergenza può mai essere scavalcato dagli Stati firmatari: l’articolo 3, quello che vieta la tortura e le pene o i trattamenti inumani o degradanti. Era già accaduto nell’estate del 2009 e la Corte di Strasburgo si mostra colpita dal fatto che nel frattempo alcuna misura sia stata presa per evitare che di nuovo un’infrazione cosi grave potesse compiersi. I giudici europei si ritrovano dunque a dover nuovamente condannare il nostro Paese, una delle democrazie occidentali culla del diritto e della democrazia, per una violazione gravissima che ci porta addosso gli occhi del mondo intero e di tutti gli organismi internazionali sui diritti umani. La seconda ragione che fa della sentenza Torreggiani una sentenza storica e memorabile è il fatto che la Corte Europea sceglie di fare di essa una sentenza pilota. Di cosa si tratta? È una procedura da non molti anni introdotta dal Consiglio d’Europa secondo la quale, qualora molti ricorsi simili l’uno all’altro pendessero di fronte ai giudici di Strasburgo, una volta ricevuta la prima condanna essi possono venir congelati per un certo periodo di tempo in attesa che lo Stato condannato prenda misure adeguate a risolvere il problema, evidentemente non episodico, bensì di sistema. Il governo Monti fece ricorso contro la sentenza pilota Torreggiani. Aveva solide convinzioni di essere nel giusto e di non gestire carceri sovraffollate e dalle condizioni di vita drammatiche? Tutt’altro. Voleva guadagnare qualche giorno di tempo in più. Il ricorso fu respinto e la sentenza divenne definitiva nel maggio del 2013. La Corte aveva dato all’Italia un anno di tempo. Questo anno scadeva due giorni fa, il 28 maggio scorso. Come sono oggi le carceri italiane? Meglio di un anno fa, non c’è dubbio. Grazie a una serie di norme di buon senso introdotte di recente, il numero dei detenuti è sceso e scenderà ulteriormente (vista anche la recente sentenza della Cassazione sulle droghe). La vita interna, grazie a una commissione ministeriale che in questi mesi ha lavorato molto bene, è oggi più aperta e piena di contenuti. Si tratta di riforme che, da un lato, hanno una loro ratio e, dall’altro, sono destinate a durare. Nelle prossime ore sapremo cosa dirà di noi il Consiglio d’Europa. Intanto mi sento di fare queste valutazioni: 1. l’occasione va utilizzata per porsi nuovamente - dopo il 1930, anno che ha dato vita al codice penale che ancora utilizziamo - le domande "chi punire?" e "come punire?". Le riforme normative che hanno visto la luce sono state iniziative, pur tutte meritevoli, che hanno aggiustato numeri di qua e di là con una gomitata da un lato e una gomitata dall’altro. Ora si tratta di rivedere l’intero impianto punitivo; 2. un anno fa c’erano detenuti che vivevano in meno di tre metri quadri (limite considerato invalicabile dalla Corte). Oggi la situazione è migliorata. Ma la questione dello spazio va reinterpretata ragionando sulla qualità della vita dentro; 3. in carcere si continua a condurre una vita difficile. I problemi sono tanti, primo tra tutti quello dell’assistenza sanitaria. In carcere si muore di malattie per le quali all’esterno ci si cura senza neanche troppa difficoltà. Finite le condanne per il sovraffollamento cominceranno quelle per la mala gestione della sanità che è di competenza delle Regioni. Quanti morti vogliamo prima di affrontare il tema con la fretta che necessita? 4. il primo modo per dimostrare di voler tutelare chi è nella pubblica custodia è quello di perseguire con fermezza i pubblici ufficiali che dolosamente maltrattano i detenuti. Il segnale nella giusta direzione è approvare immediatamente la legge per introdurre il reato di tortura nell’ordinamento italiano - che incredibilmente ancora ne è privo - già votata dal Senato e oggi pendente alla Camera dei Deputati. Tutto questo sarà più facile da realizzare se accompagnati dallo sguardo europeo. Ciò che oggi ci rassicura rispetto al passato è che a via Arenula si usi un linguaggio civile e aperto. Ciò che ci preoccupa è il rischio sempre presente che in un batter d’occhio si possa ritornare nella palude. Giustizia: Bernardini (Radicali); nelle carceri sovraffollamento che si avvicina a 140% Public Policy, 31 maggio 2014 "Sappiamo bene che la situazione delle nostre carceri è una situazione in cui i trattamenti inumani e degradanti sono all’ordine del giorno. Noi con il dossier che abbiamo inviato al Consiglio d’Europa abbiamo documentato passo passo tutti i trattamenti che derivano da una situazione che è ancora di sovraffollamento. Siamo a una realtà che si avvicina al 140% di sovraffollamento penitenziario". Lo dice in diretta a Radio Radicale il segretario di Radicali italiani, Rita Bernardini. Giustizia: Corleone; dopo bocciatura Fini-Giovanardi ridurre 2/3 pene a chi è in carcere Ansa, 31 maggio 2014 Dopo il giudizio di incostituzionalità della Fini-Giovanardi, il Governo preveda un provvedimento nazionale per diminuire di 2/3 le pene a quanti sono stati condannati per droga, in questo modo si ridurrebbero i tempi per il ricalcolo delle pene e si supererebbe il sovraffollamento delle carceri in tempi più brevi. È la proposta lanciata oggi dal garante toscano dei detenuti Franco Corleone. "Il giudizio di incostituzionalità della legge Fini-Giovanardi - ha spiegato - porterà a un riadeguamento delle pene e molti sono coloro che potrebbero chiedere il ricalcolo per l’applicazione dell’articolo 73, che non distingueva le droghe leggere da quelle pesanti. Solo in Toscana si potrebbe ridurre notevolmente il numero dei detenuti toscani, circa del 40%. Questa però è una via lunga che può avere dei giudizi contradditori da parte dei magistrati". Per questo motivo, ha sottolineato, "sarebbe il caso di un provvedimento nazionale per diminuire di 2/3 le pene a tutti quanti sono stati condannati per droga, evitando così difformità di interpretazione tra diverse sedi giudiziarie, perdite di tempo per la giustizia e spese legali". Giustizia: Fns-Cisl; sentenza cassazione contribuisce a ridurre sovraffollamento carceri Adnkronos, 31 maggio 2014 "La decisione della Cassazione che consente la rideterminazione della pena per il piccolo spaccio di droga, in sostanza riporta in vigore la legge Jervolino-Vassalli che era stata ampiamente modificata dalla norma Fini-Giovanardi dopo che la stessa era stata messa in discussione dalla Corte Costituzionale". Così Pompeo Mannone, segretario generale della Federazione della Sicurezza Cisl. "Gli effetti di tale sentenza - continua Mannone - coinvolgerà circa quattromila detenuti e quindi contribuirà ad abbassare il forte sovraffollamento delle carceri italiane. È evidente che ogni misura che va nella direzione di attenuare la grave piaga del sovraffollamento risulta essere positiva, ma è necessario regolare secondo un sistema preciso il corpo normativo dal momento che c’è un continuo accavallarsi di norme e di interpretazioni giuridiche delle stesse. Credo che sia sempre più necessario procedere con un percorso riformatore coerente ed equilibrato che risponda in modo strutturale alla crisi della giustizia ed all’emergenza delle carceri italiane". "Bisogna altresì accompagnare tali provvedimenti che debbono avere un coerente disegno e fattibilità con strumenti di valorizzazione del lavoro della polizia penitenziaria che sopporta il peso delle inefficienze generali del sistema giustizia", conclude Mannone. Giustizia: Orlando esonera Tamburino "voglio il tavolo sgombro per una nuova fase" www.vita.it, 31 maggio 2014 Il ministro Andrea Orlando toglie a sorpresa dall’incarico Giovanni Tamburino lasciando la poltrona vacante. A giorni si attende la decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo sull’adeguamento dei nostri istituti di pena dopo la sentenza Torreggiani. Niente sarà come prima nel mondo del carcere: comunque vada, nelle prossime settimane si profila un cambiamento epocale. Tarda ad arrivare la decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo sul fatto che l’Italia abbia accolto o meno le richieste in merito alla sentenza Torreggiani sulle condizioni di vita "inumane e degradanti" nelle nostre carceri, prevista per ieri, ma un nuovo vento si è già iniziato a respirare fra i corridoi del Dap, Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. "Ho revocato l’incarico al capo del dipartimento Giovanni Tamburino", riporta il ministro alla Giustizia Andrea Orlando, spiegandone i motivi durante un’intervista per il manifesto: "Finora, con un’emergenza da affrontare, non si poteva parlare di organigrammi, ma ora vorrei anche legare l’assetto del Dap alla nuova fase e per questo ho bisogno di un tavolo sgombro. Voglio riservarmi qualche giorno per ragionare e verificare tra le diverse soluzioni possibili". In attesa di sapere chi succederà a Tamburino ma non solo ("Penso ad un riassetto complessivo e completamente diverso dell`amministrazione penitenziaria, che va innervata anche di figure provenienti da altri percorsi", specifica Orlando, che parla di "riforma totale" dell’apparato), sono tante le questioni aperte: il sovraffollamento che è in diminuzione ma ancora ad alti livelli, le ripercussioni dopo la definitiva ‘rottamazionè odierna della Fini-Giovanardi sulle droghe, l’ampliamento degli istituti, la richiesta di indulto da vasta parte del mondo politico e associazionistico sono alcune di esse. Sempre per quanto riguarda le associazioni di volontariato che gravitano attorno al mondo del carcere ci sono in vista novità: Ho spinto perché ci fosse la massima trasparenza nella diffusione delle informazioni. E anche l’iniziativa del data base va esattamente in questa direzione: non più solo dati aggregati nazionali o una fonte unica centrale che dirama informazioni, ma dati, qualitativi e non solo quantitativi, da ogni singolo istituto. Questo aiuta anche chi fa volontariato ad ottenere informazioni e, eventualmente, a sindacarle", risponde il ministro alla domanda della giornalista che chiedeva perchè facesse "così paura" l’attività delle associazioni "terze" come l’Osservatorio Antigone. Giustizia: strade pulite, ci pensano i carcerati, imparano mestiere e i Comuni risparmiano di Giorgio Ponziano Italia Oggi, 31 maggio 2014 Comuni e direttori di istituti di pena cercano di arrangiarsi, i primi sono alle prese con bilanci sempre più magri, i secondi tentano di contribuire al reinserimento dei detenuti anche perché la statistica indica un abbattimento della recidiva quando i carcerati lavorano. In un Paese spesso preda del lassismo e del non fare meritano attenzione le iniziative che tentano di incidere in qualche modo sulla vita carceraria, tra l’altro senza esborsi significativi. Si tratta anche di una (parziale) risposta alle insoddisfacenti condizioni di vita all’interno delle prigioni. Ovvero in attesa dei piani per nuove carceri e di improbabili (e ingiuste) amnistie si può incominciare comunque a lavorare su progetti in grado di aiutare chi ha sbagliato a non ricadere nell’errore, insegnandogli un lavoro. Proprio in questi giorni in cui è scaduto l’ultimatum dell’Europa per le cattive condizioni di vita nelle celle senza che sia stata data una risposta, può essere utile alzare il velo su quanto alcune mosche cocchiere stanno facendo. Come a Massa, dove il direttore del carcere, il sindaco e il presidente dell’Asmiu, l’azienda che raccoglie i rifiuti, si sono messi attorno a un tavolo e concordato che i servizi utili fanno bene a tutti. Così i detenuti sono stati dotati di scope e paletta, senza incontrare l’ostilità dei sindacati. "Questi operatori non tolgono lavoro a nessuno - dice l’ad di Asmiu, Federico Orlandi. Si occupano di attività che, comunque, l’azienda non eseguirebbe come la pulizia di caditoie e tombini, manutenzione dei cigli stradali, e garantiscono un servizio in più per la cura del territorio. In questi mesi di avvio del servizio ho verificato personalmente con quanta serietà e scrupolo gli operatori stanno svolgendo il lavoro". "Lo sforzo - aggiunge il vicesindaco Uilian Berti - è avere una città più pulita, più decorosa e più bella". L’Anci, l’associazione dei Comuni, e il dipartimento amministrazione penitenziaria del ministero della Giustizia hanno firmato un protocollo per favorire queste iniziative. Anche il ministro dell’Ambiente e quello della Giustizia hanno sottoscritto nei giorni scorsi un accordo che prevede che i detenuti potranno essere inseriti nei parchi nazionali per attività di pulizia e conservazione dell’ambiente. Si tratta di passare dalle buone intenzioni ai fatti. "Il lavoro - spiega la direttrice del carcere di Massa, Maria Martone - è importantissimo per il percorso riabilitativo dei detenuti. Questo perché consente l’acquisizione di competenze e conoscenze professionali che sono utilmente spendibili, una volta scontata la pena, per un reinserimento sociale e lavorativo. Ma anche perché è molto più educativo trascorrere il tempo producendo qualcosa, che passarlo in cella. Senza dimenticare che permette pure di accusare molto meno il sovraffollamento delle carceri". Anche a Gazzi, provincia di Messina, scopa in mano ai detenuti. Le strade non sono mai state così pulite. Tutti contenti, i cittadini, il sindaco, il direttore del carcere: "Noi siamo tutti i giorni costretti a confrontarci con la nostra impotenza rispetto a quello che è il nostro obiettivo: il reinserimento della società dei detenuti - dice il direttore del penitenziario, Calogero Tessitore - Purtroppo siamo costretti ad assistere ad una percentuale preoccupante di gente che rientra in carcere perché non riesce a integrarsi nella società dopo la reclusione. Oggi abbiamo finalmente la possibilità, nel nostro piccolo, di fare qualcosa , iniziando a utilizzare i detenuti per lavori utili alla società a titolo gratuito, solo con la dovuta assicurazione". Comune e carcere anche a Chiavari hanno siglato un accoro per "il recupero di soggetti in espiazione di pena, che verranno impiegati in attività di pulizia e manutenzione di rivi, strade e spazi verdi cittadini e di pulizia delle spiagge". Sempre il Liguria, a Genova, nel carcere di Marassi è in corso un esperimento che coinvolge 12 detenuti, che in tuta da lavoro e con una pettorina su cui è scritto "Un amico a Staglieno", tengono puliti, oltre al camposanto monumentale, le gallerie storiche monumentali, i giardini, il campo partigiani e un boschetto. Ricevono 450 euro al mese. A sorvegliarli c’è solo un agente della penitenziaria che li accompagna con un mezzo del carcere. "Sono fermamente convinto", dice il direttore Salvatore Mazzeo, "che implementare i lavori socialmente utili sia la strada da seguire. Ma bisognerebbe che programmi come questi fossero un patrimonio fruibile dalle carceri prima ancora che il detenuto entri in cella. Occorre evitare di guardare al carcere come la soluzione di tutti i problemi. Per la società è un investimento: se faccio lavorare un detenuto, non solo lo pago ma creo i presupposti per il suo reinserimento. È dimostrato che chi usufruisce del regime di semilibertà o di pene alternative delinque di meno rispetto a chi rimane in carcere, che registra una recidiva tre volte superiore". All’interno del carcere di Marassi ci sono comunque altre possibilità di lavoro: la panetteria, la falegnameria dove si costruiscono biliardi e biliardini, un laboratorio odontotecnico in cui si realizzano protesi, inoltre si stampano le magliette di Fabrizio De André grazie a una convenzione con la fondazione gestita da Dori Ghezzi e Bottega Solidale. Mai così puliti anche i parchi di Novara, a cominciare da quelli delle Betulle e dei Merli. I detenuti hanno incominciato ripulendo i rifiuti tra le siepi e gli arbusti e i depositi di rifiuti sotto i cespugli, pulendo i vialetti e i cordoli dalle erbe infestanti, liberando tutte le griglie di raccolta dell’acqua piovana, coordinati da Assa, la spa del Comune di Novara per i servizi di igiene ambientale. A Venezia è l’azienda multiservizi Veritas a utilizzare detenuti nel lavoro di pulizia delle calli mentre ad Ancona 20 detenuti lavorano in strada accanto ad ex-detenuti e ai dipendenti della multiutility. Commenta l’assessore all’Ambiente, Emma Capogrossi: "Sono state ripulite alcune zone della città, graffiti, sistemate 260 panchine e rimessi apposto i siti archeologici. In questo modo le esigenze reciproche si trasformano in risorse". Infine a Milano è il cappellano del carcere minorile Beccaria ad avere promosso un’intesa col Comune e l’Amsa: ragazzi tra i 18 e i 21 anni puliscono i cimiteri milanesi di Baggio, Bruzzano, Chiaravalle, Greco e Lambrate, Inquadrati con regolari contratti a progetto della durata di un anno. Ambiente pulito e carceri vuote: un piccolo, grande esempio dell’Italia che funziona. Toscana: il Garante; senza la legge Fini-Giovanardi 40% detenuti in meno nella Regione Adnkronos, 31 maggio 2014 Nessuna proroga per la chiusura dell’Ospedale psichiatrico di Montelupo Fiorentino, svuotamento delle carceri all’indomani della dichiarazione di incostituzionalità della legge Fini-Giovanardi e invito a nomina garanti di Firenze e Pisa. Questi alcuni degli argomenti che Franco Corleone, Garante regionale delle persone sottoposte a misure restrittive, ha affrontato questa mattina a Firenze in una conferenza stampa a palazzo Panciatichi. Giovedì 5 giugno a Firenze, in palazzo Sacrati Strozzi, ci sarà il convegno "La chiusura dell’Opg di Montelupo Fiorentino", un incontro operativo per stabilire le modalità di chiusura dell’ospedale, per parlare delle misure alternative per gli internati e discutere del futuro di Villa Ambrogiana. Ieri, la Camera ha convertito il decreto di proroga di un anno per la chiusura dei sei ospedali psichiatrici giudiziari e il Senato ha migliorato il testo respingendo gli emendamenti che la rinviavano al 2019. Corleone auspica, quindi, che la Toscana sia la prima regione a chiudere il monumento più duro dell’istituzione totale così da diventare un modello nazionale. Il garante Corleone ha poi affrontato una questione che cambierebbe profondamente il sistema carcerario: il giudizio di incostituzionalità della legge Fini-Giovanardi porterà infatti al riadeguamento delle pene. Molti sarebbero i detenuti interessati da questi cambiamenti, in particolare coloro a cui è stata negata la pena per "lieve entità" e a chi si trova in carcere per l’applicazione dell’articolo 73 della Fini-Giovanardi, che non distingueva le droghe leggere da quelle pesanti. Da una stima fatta, Corleone ipotizza che applicando questa distinzione si potrebbe ridurre notevolmente il numero dei detenuti toscani, azzardando una diminuzione del 40 per cento. Da una stima fatta, Corleone ipotizza che applicando questa distinzione si potrebbe ridurre notevolmente il numero dei detenuti toscani, azzardando una diminuzione del 40 per cento. A dicembre 2013 c’erano nelle nostre carceri 4008 detenuti, di cui 1538 riconducibili all’articolo 73. Applicando questa nuova indicazione in tempi celeri si potrebbe, per Corleone, risolvere il problema del sovraffollamento nelle nostre carceri e rendere finalmente le strutture penitenziarie luoghi adatti al reinserimento. Vista la difficoltà nell’individuare chi è stato arrestato per possesso di cannabinoidi e chi per altre sostanze, Corleone lancia un appello per un provvedimento che riduca di due terzi la pena per condanne per droga, evitando così difformità di interpretazione tra diverse sedi giudiziarie, perdite di tempo per la giustizia e spese legali. Corleone ha poi parlato dell’appello alle istituzioni per accelerare la nomina del Garante nazionale e dell’invito rivolto ai sindaci Dario Nardella e Marco Filippeschi perché nominino i garanti a Firenze e Pisa a tutela dei diritti delle persone private della libertà. Il Garante regionale ha concluso ricordando l’imminente sentenza della Corte europea per i diritti umani, rimandata alla prima settimana di giugno. È scaduto, infatti, l’anno concesso all’Italia per trasformare il carcere in un luogo di legalità e adesso il Paese dovrà adottare rimedi strutturali capaci di ridurre la popolazione carceraria e di prevenirne la crescita. Veneto: spaccio droghe leggere, dopo sentenza Cassazione 2-300 gli scarcerati in Regione di Filippo Tosatto Il Mattino di Padova, 31 maggio 2014 Il Magistrato di Sorveglianza Marcello Bortolato dopo la sentenza di Cassazione "Ogni istanza sarà valutata dal giudice, positivo l’impatto sul sovraffollamento" Entro l’anno, in Veneto, torneranno in libertà alcune centinaia di detenuti condannati, in via definitiva, per spaccio di hashish e marijuana. È l’effetto combinato di due sentenze; quella della Corte Costituzionale che ha bocciato la legge Fini-Giovanardi (cancellando così l’equiparazione tra droghe leggere e pesanti) e la successiva pronuncia della sezione unite della Cassazione che ne ha accolto il dettato autorizzando il ricalcolo delle pene. Cosa accadrà ora? "La rideterminazione non è un automatismo, spetterà al giudice esecutivo, quello che ha emesso la condanna definitiva, valutare le istanze dei detenuti e ciò avverrà in camera di consiglio, nel contraddittorio tra le parti", spiega il magistrato di sorveglianza di Padova Marcello Bortolato, che aggiunge: "L’accorciamento eventuale del fine pena non riguarderà soltanto il piccolo spaccio ma anche quello normale, purché limitato alle sostanze cannabinoidi". Secondo il sito di Ristretti Orizzonti (la rivista dì informazione e cultura dal carcere diretta da Ornella Favero) oggi i 10 penitenziari veneti ospitano complessivamente 2.826 reclusi e il 30% di loro sconta condanne per droga. Quanti usciranno di cella? "È molto difficile prevederlo", replica il giudice Bortolato "dipenderà dal numero delle istanze e dalla percentuale di accoglimento. Il ministero della Giustizia, a spanne, stima 4-5 mila scarcerazioni su base nazionale". C’è chi lancia l’allarme sicurezza, contestando lo sconto di pena agli spacciatori e giudicando pericoloso il loro ritorno in libertà: "Non condivido questa visione, si tratterà al più di abbreviare i termini di carcerazione che in ogni caso sarebbero scaduti nel giro di sei mesi o di un anno. La pena è sempre temporanea e mira alla rieducazione, viceversa ogni fine pena costituirebbe un pericolo. Semmai, va accolto con favore il potenziale effetto deflativo sui nostri istituti: proprio oggi scade l’aut aut che la Corte europea dei diritti dell’uomo ha rivolto all’Italia in materia di sovraffollamento carcerario". Fonti forensi stimano in 2-300 il numero di scarcerazioni possibili in Veneto e la circostanza inquieta il governatore Luca Zaia, lesto a ribadire la linea dura in materia di sicurezza: "Non sono abituato a discutere le sentenze", afferma "ma di fronte alla scarcerazione di migliaia di detenuti credo che un civile e pacato confronto sia necessario. Premesso che spacciare droga è comunque un reato, non occorre essere dei fondamentalisti per comprendere che quanto accadrà per effetto della sentenza di Cassazione non riguarda gente beccata con una canna o uno spinello, Per andare in galera in questo Paese, infatti, non basta aver commesso un solo reato per piccolo spaccio, come lo definisce la Cassazione, ma occorre avere alle spalle o un reato ben più grave o una sommatoria di piccoli spacci che rendono il soggetto più che recidivo". Conclusione del governatore leghista: "Trovo farisaico che si continui a parlare di messa in libertà di detenuti per un piccolo reato. Alla società, che chiede ordine e sicurezza, dobbiamo dire a chiare lettere che si stanno liberando dei delinquenti che minano la nostra gioventù e la convivenza civile". Emilia R.: piccolo spaccio, 40 detenuti potrebbero uscire da Dozza, 330 in intera Regione di Lorenza Pleuteri La Repubblica, 31 maggio 2014 Dopo lo storico verdetto della Cassazione fuori altri 340 carcerati da Rimini a Piacenza. Dal carcere della Dozza potrebbero uscire altri 35-40 piccoli spacciatori. Dagli istituti dell’intera regione le liberazioni saranno probabilmente 330-340. E ci sono da aggiungere i minori del Pratello, nell’ordine delle unità. A stimare numericamente l’impatto della recente sentenza delle sezioni unite della Cassazione, quella che estende la riduzione delle pene anche ai pusher da strada con condanne definitive, è il presidente del Tribunale di sorveglianza di Bologna, Francesco Maisto. Non è previsto alcun automatismo, come spiega anche la direttrice dell’istituto, Claudia Clementi. Per ottenere la scarcerazione, legata alla dichiarazione di incostituzionalità di un passaggio della legge Fini-Giovanardi, i responsabili dello smercio "di lieve entità" non saranno processati di nuovo. Ciascun detenuto, purché non sia stato inserito in una associazione per delinquere, direttamente o attraverso il proprio legale dovrà presentare un’istanza al giudice dell’esecuzione cui è in carico e chiedere il ricalcolo delle condanne, al ribasso. Si estende insomma a una platea più ampia quello che era già previsto per chi stava dietro le sbarre in custodia cautelare o in attesa di appello o di Cassazione. Nelle ultime due settimane sono usciti 55 non definitivi, più una trentina di indagati per reati diversi ammessi agli arresti domiciliari con il braccialetto elettronico. La popolazione, con le dimissioni extra compensate in parte dai nuovi giunti, è scesa così a 788 unità, livello che non si registrava da anni, soglia lontana dai picchi record di 1.200 degli anni 2010-2011. Le donne sono 63. Purtroppo ci sono anche due bimbi, figli di detenute rom in cella per furti. "L’attesa e ulteriore riduzione delle presenze - sottolinea la direttrice Clementi - ci consentirà di alleggerire il sovraffollamento e fare più cose e meglio. Sarà richiesto un ulteriore sforzo al personale, in particolare agli operatori della matricola, ma gli sforzi avranno ricadute positive ". Anche i volontari dell’associazione Altro Diritto, presenti alla Dozza almeno un giorno alla setsi preparano ad affrontare l’aumento di richieste di consulenze e informazioni. "Avevamo già chiesto alla direzione gli elenchi dei detenuti non definitivi potenzialmente interessati dalla bocciatura della Fini-Giovanardi - dice la coordinatrice dello sportello legale, l’avvocato Silvia Furfaro - ora domanderemo anche la lista dei definitivi, in modo da contattarli. E diamo a tutti la disponibilità a fornire materiale e modelli per le istanze ai giudici dell’esecuzione. Spesso si tratta di persone senza risorse, senza legali, senza appoggi". Toscana: Brogi (Pd); chiudere tempestivamente l’Opg di Montelupo Ansa, 31 maggio 2014 "Se riusciamo a chiudere tempestivamente l’ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo Fiorentino, non solo saremo i primi a farlo dando così un segnale di civiltà importante, ma avremo anche l’occasione di mettere in piedi un circuito alternativo di detenzione e di cura per le persone che ad oggi sono dentro a queste strutture". Lo afferma, in una nota, il consigliere regionale Pd Enzo Brogi raccogliendo l’invito lanciato oggi dal garante dei detenuti toscani Franco Corleone. "Facciamo di tutto per essere la prima Regione - aggiunge - a superare questo modello detentivo obsoleto e del tutto inadeguato; finiamola con proroghe e rinvii, diamolo noi un segnale concreto". Secondo Brogi "sarà mio impegno insistere con il presidente della Regione Enrico Rossi, affinché sia sensibile a questi richiami, come ha spesso dimostrato di essere con le persone recluse; ricordo con piacere, infatti, quando il primo giorno del suo mandato portò i materassi ai detenuti di Sollicciano". Calabria: Magarò; promuovere iniziative per reintegro di detenuti in società www.strill.it, 31 maggio 2014 "Ogni volta che una persona varca la soglia del carcere bisogna registrare un fallimento della società che non ha saputo creare le condizioni di convivenza civile e del rispetto delle leggi. Per questo dobbiamo impegnarci nella promozione di ogni iniziativa utile al pieno reintegro dei detenuti nella società civile". Lo ha detto Salvatore Magarò, presidente della Commissione contro la ‘ndrangheta, intervenendo quest’oggi a Rossano, alla cerimonia di premiazione del Bando di concorso regionale per l’assegnazione di tre borse di studio sul tema: "Il valore della legalità e la legalità come valore", ospitata nel locale istituto penitenziario diretto dal dott. Giuseppe Carrà. Come si ricorderà, si tratta di un progetto finanziato dall’Assessorato alla Cultura della Regione Calabria cui hanno aderito diversi istituti scolastici ed istituti penitenziari e che prende spunto dalla pellicola "Come rami d’inverno" film documentario realizzato nel carcere di Rossano nel 2011 e che si sofferma, tra l’altro, su esperienze, speranze e sogni di detenuti ed ex detenuti. "Un cortometraggio straordinario - ha aggiunto Magarò - che oltre ad offrire lo spaccato di una realtà spesso poco conosciuta, ha ispirato i lavori filmati delle decine di studenti iscritti al concorso. La legalità è il pilastro, l’elemento fondamentale per una società civile che abbia a cuore i principi di equità e di giustizia. Il rispetto delle regole non va inteso soltanto come una semplice e formale osservanza delle leggi, ma come un valore dal quale nessuno di noi può prescindere e che abbiamo l’obbligo di instillare tra i calabresi fin dall’età scolare, affinché le nuove generazioni crescano con i giusti anticorpi per ripudiare la ‘ndrangheta. Per troppo tempo la malapianta - ha concluso il consigliere regionale - ha trovato terreno fertile nell’indifferenza e nella connivenza di ognuno di noi. Adesso per fortuna le cose stanno cambiando, e la massiccia adesione a questo concorso sia da parte degli studenti degli istituti superiori, sia da parte dei detenuti che frequentano le sezioni scolastiche dei penitenziari calabresi, dimostra come vi sia una maggiore consapevolezza e una più incisiva determinazione nel combattere e tentare di sconfiggere ogni forma di criminalità organizzata". Oristano: detenuti dell’Alta Sicurezza denunciano "deportati a 2mila kilometri da casa" di Enrico Carta La Nuova Sardegna, 31 maggio 2014 "Deportati". Dal carcere arriva una lettera, dove non si ha paura a usare quel termine. La firma un detenuto, uno di quelli dell’Alta Sicurezza, uno di quelli al centro delle cronache da quando il nuovo penitenziario ha aperto le porte ai detenuti, di fatto seppellendoli a duemila chilometri di distanza da casa. In due pagine viene riassunto il dramma di chi ha visto di colpo spezzati e spazzati tutti i suoi diritti. Sono righe piene di accuse contro il sistema che li ha emarginati, trascurando la Costituzione e le leggi. Sono righe che si concludono con un ringraziamento alla direzione del carcere e alla polizia penitenziaria. Tutto il resto è il racconto di quel che accade dietro quella porta impenetrabile. È un racconto di violazioni continue dei diritti dei detenuti dell’Alta Sicurezza, che poi verrà confermato dalla denuncia lanciata dall’associazione Socialismo, diritti e riforme che annuncia che da una settimana la protesta dall’interno delle celle si è nuovamente fatta assai intensa. I detenuti arrivano tutti dalla penisola, "da strutture dove avevamo iniziato un percorso rieducativo frequentando università, scuole, corsi, lavoro - scrive l’autore della lettera. Strutture, quelle, idonee allo scopo della misura detentiva in carcere, la quale dovrebbe tendere alla rieducazione al reinserimento. Il principio di territorialità della pena non vale solo per i detenuti sardi, ma dovrebbe valere per tutti. Ci siamo trovati, oltre che a duemila chilometri dalle nostre famiglie, ad abbandonare percorsi iniziati diversi anni fa dentro le strutture da cui proveniamo. Siamo arrivati a Massama, dove invece non c’è niente". Le mancanze dell’istituto sono elencate una ad una nella lettera: "Non esiste area trattamentale costituzionalmente sancita, l’area sanitaria è fatiscente". In più il trattamento è lo stesso dell’articolo 80 che però era stato abrogato proprio nel 1980. La protesta di questi giorni segue quella di alcune settimane fa. "Nei mesi scorsi abbiamo già provato a far sentire la nostra voce con una manifestazione pacifica di battitura delle grate e sciopero della fame. Ciò che chiediamo non è altro che il rispetto di tutti i diritti costituzionalmente sanciti e che, invece, a Massama sono costantemente violati. Ci troviamo rinchiusi in tre per venti ore al giorno in celle che dovrebbero ospitare massimo due persone. La struttura può ospitare 240 detenuti. È vero che siamo 260, ma una sezione è chiusa e un’altra è occupata da sole venti persone di Media sicurezza. In Sardegna ci sono altre strutture neonate come Massama, dove si sono create realtà consone alla rieducazione e riabilitazione del detenuto, dove la sanità funziona. Basta vedere Tempio Pausania, anche quello è un carcere, anche quella è Sardegna e anche lì ci sono i detenuti dell’Alta sicurezza". E non sono solo loro a lanciare l’allarme. Maria Grazia Caligaris, presidentessa dell’associazione Socialismo, diritti e riforme rilancia le segnalazioni arrivate proprio da chi sta dietro quelle sbarre e quelle grate. "Al di là della buona volontà della direzione, il carcere di Massama non sembra nato sotto una buona stella. Nonostante il costo di 40 milioni, subito dopo l’inaugurazione è stato necessario smantellare buona parte della pavimentazione in diversi corpi del complesso per provvedere alla mancata impermeabilizzazione, poi sono iniziati i disagi. È opportuno che il Dipartimento smetta di inviare nuovi ospiti e provveda a garantire i diritti dei cittadini privati della libertà". Agrigento: nel carcere di Sciacca manca l’acqua, protesta dei detenuti di Giuseppe Recca La Sicilia, 31 maggio 2014 Detenuti agitati nella Casa circondariale di Sciacca. Da domenica scorsa, in vari momenti della giornata, ma soprattutto nelle ore serali, percuotono le grate delle celle con oggetti metallici, dando vita al più classico dei metodi per protestare contro qualcosa. Stando alle poche informazioni emerse, si tratterebbe di disservizi fisiologici in un immobile vecchio come quello di via Gerardi, dove erano cominciati importanti lavori di ristrutturazione che poi si sarebbero fermati. In virtù di un finanziamento di 150.000, è stato necessario chiudere un reparto per eseguire i lavori, che prevedono anche interventi idrici di una certa importanza. Oggi il carcere ospita circa 50 detenuti, e non i soliti 90, proprio per la mancanza di un reparto. All’origine della prima plateale protesta, ci sarebbe stata la mancanza di acqua, un problema scaturito da un guasto all’impianto idrico di sollevamento che è stato poi riparato. Ma pare che i detenuti manifestino uno stato di disagio per l’interruzione dei lavori che riguardano anche la tinteggiatura delle celle. La protesta è stata amplificata dal fatto che il carcere saccense sorge in pieno centro storico e dal corso Vittorio Emanuele automobilisti e passanti possono non solo sentire il rumore degli oggetti battuti sulle grate, ma vedere anche i detenuti. Spesso, quando si verificano episodi di questo tipo nelle giornate del fine settimana, è facile che tutta la città venga poi a conoscenza di ciò che è accaduto. Lo stato di agitazione è poi proseguito in momenti diversi nelle successive giornate. Le varie questioni sono state affrontate ieri in un incontro che il direttore dell’istituto di detenzione, Valerio Pappalardo, ha avuto con i detenuti. L’istituto penitenziario, che è vecchio, piccolo di dimensioni e spesso con problemi strutturali ed organizzativi, si trova spesso ad affrontare problemi di manutenzione. Non c’è quindi sovraffollamento della popolazione detenuta e nonostante la carenza di personale di Polizia penitenziaria, la gestione della struttura è ottimale. Si è anche appreso che negli ultimi mesi è cambiato il fornitore di generi alimentari e di prodotti acquistabili all’esterno. L’estate del 2013 le proteste avevano riguardato anche il costo elevato di determinati prodotti. Il direttore ha comunque cercato di rassicurare i detenuti e riportare la situazione alla calma. Sarebbe tutto sotto controllo, ma senza la definizione delle opere e con il caldo estivo, il disagio rischia di aumentare. Napoli: Osapp; le carceri sono ancora nel caos… la situazione non è affatto migliorata di Antonio Taglialatela www.pupia.tv, 31 maggio 2014 "Al di là di quello che il governo afferma la situazione nelle carceri non è affatto migliorata, ci sono sempre 16mila detenuti al di sopra delle capienze effettive non dichiarate, il personale continua diminuire e il sistema penitenziario non reinserisce ma accentua le difficoltà di chi dovrebbe tornare nella società redento o migliorato". Lo afferma Leo Beneduci, segretario generale del sindacato di polizia penitenziaria Osapp, in visita al carcere di Secondigliano, a Napoli. Parlando, appunto, del sistema penitenziario napoletano, Beneduci lo ritiene "in linea" con la situazione nazionale. "C’è un discorso di minore sovraffollamento, ma solo minore. Poggioreale ha delle incidenze minori, oggi siamo intorno ai duemila detenuti, lo scorso anno ne erano circa 2500. Tuttavia, non è una situazione delle migliori. Così come a Secondigliano, dove il numero dei detenuti è inferiore ma ci sono problemi dell’infrastruttura, con celle e docce che non corrispondono alle direttive europee". Continua, poi, il fenomeno delle aggressioni, l’ultima sabato proprio a Poggioreale. Una situazione, dunque, che meriterebbe, secondo Beneduci, "un interesse concreto" dell’amministrazione penitenziaria e del governo. Sulla stessa linea il segretario nazionale Osapp, Pasquale Montesano: "Il decongestionamento di Poggioreale sta inficiando sulle condizioni lavorative sulle strutture di Avellino e di Santa Maria Capua Vetere. Secondigliano, anche se non soffre di sovraffollamento, ha un organico esiguo che non garantisce al meglio la sicurezza". Montesano ritiene che l’amministrazione penitenziaria è "assente, lontana anni luce dai problemi del personale", in particolare quello degli Ospedali psichiatrici giudiziari. "Il personale degli Opg - sostiene Montesano - andrebbe premiato per il contesto in cui opera". L’Osapp, intanto, come sottolinea il segretario nazionale, continuerà a "denunciare i problemi, questo stato di malessere e la disorganizzazione del sistema alle autorità competenti". Napoli: intervista a Luigi Mazzotta (Radicali); emergenza carceri, l’Italia viola le leggi di Claudia Sparavigna Roma, 31 maggio 2014 "Mi sento sconfitto perché credo che, per come si sono messe le cose, Orlando e Renzi se ne sono usciti aggrappandosi a riforme alternative che riguardano poche migliaia di detenuti usciti dalle carceri senza centrare il punto della riforma della Giustizia, necessaria in Italia, richiesta dall’Europa". Commenta così l’avvenuta scadenza della sentenza Torreggiani, Luigi Mazzotta, membro del direttivo nazionale dei Radicali Italiani e membro dell’Associazione Radicale per la Grande Napoli. "Abbiamo presentato a Strasburgo un documento scritto da Rita Bernardini e Rosso Di Vita per sollecitare la Corte Europea - prosegue Mazzotta. L’Italia continua a violare le leggi sia costituzionali, sia della Corte Europea. Da oggi l’Italia è condannata in flagranza di reato per la violazione dei diritti umani, in base agli articoli 3 e 6 della Corte Europea e per le durate irragionevoli dei processi. Non abbiamo più alternative". La preoccupazione di Mazzotta è che a breve, alle sanzioni europee, potrebbero aggiungersi altre multe. "Ci saranno anche altre multe che verranno dalle istanze di risarcimento che i detenuti stanno presentando al Magistrato di Sorveglianza - ammonisce Mazzotta. Al Ministero sanno che i detenuti hanno diritto ai risarcimenti e li fanno passare per il Magistrato di Sorveglianza così da sfoltire il numero delle pratiche che arriva direttamente a Strasburgo. Devono uscire almeno 20 mila detenuti con un’amnistia o un indulto altrimenti non si risolve nulla". In termini di costi, il sovraffollamento non fa bene a nessuno, tantomeno alle casse dello Stato. Ogni detenuto costa 200 euro al giorno, moltiplicato per 25 mila detenuti, rappresenta una grossa somma che si potrebbe utilizzare per una formazione esterna al carcere, garantendo il recupero e il reinserimento sociale. Pistoia: Cooperativa Ulisse, il giardino nasce in carcere grazie ai detenuti-vivaisti www.provincia.fi.it, 31 maggio 2014 Accordo tra Vivaio Vannucci di Pistoia e Cooperativa sociale Ulisse: alcuni ospiti di Sollicciano cureranno le piante destinate alla vendita. Anche dentro un carcere può nascere un giardino. A dimostrarlo saranno alcuni detenuti di Sollicciano che presto cureranno le piante destinate a essere messe sul mercato da uno dei vivai più importanti d’Europa, il Vivaio Vannucci di Pistoia. Il progetto è della cooperativa sociale Ulisse e il suo obbiettivo è dare un’occasione di re-inserimento lavorativo ai detenuti del penitenziario fiorentino. Il Vivaio Vannucci fornirà ad Ulisse alcune piante che saranno fatte crescere e curate in una struttura ad hoc creata all’interno di Sollicciano, per poi tornare nella disponibilità dell’azienda pistoiese ed essere messe in vendita. "Per noi - dice Vannino Vannucci, titolare della Vannucci Piante - responsabilità sociale d’impresa non è una formula vuota ma significa fare cose molto concrete. Da tempo siamo infatti impegnati su vari fronti: forniture di strumenti didattici alle scuole, sostegno a diverse attività di volontariato sanitario. La collaborazione con la cooperativa Ulisse è un altro tassello importante del nostro costante impegno sociale". "Proprio due giorni fa - dice il presidente della cooperativa sociale Ulisse, Giovanni Autorino - è scaduto l’ultimatum dell’Unione Europea all’Italia sul sovraffollamento carcerario. Il nostro governo ha risposto presentando un piano per affrontare l’emergenza: ne leggeremo nel dettaglio le misure, ma auspichiamo fin d’ora che ci siano investimenti importanti per aumentare le opportunità di lavoro in carcere. I nostri 15 anni di esperienza di progetti sociali nei penitenziari - da "Piedelibero", il brand delle biciclette riparate dagli ospiti dell’istituto penale fiorentino, a "Le rose di Sollicciano" - ci hanno dimostrato che per un detenuto lavorare è una grande occasione di riabilitazione e di re-inserimento nella società. Per questo motivo - conclude Autorino - speriamo anche che la Regione Toscana continui ad investire su progetti come l’agricoltura sociale in carcere". "L’Europa e il governo italiano - commenta la responsabile Legacoopsociali Toscana, Eleonora Vanni - stanno fortemente puntando l’attenzione sullo sviluppo dell’impresa sociale, uno sviluppo che può nascere da accordi come quello tra la cooperativa Ulisse e il Vivaio Vannucci: integrare l’azione del no profit e quella delle aziende commerciali, facendo fare ad ogni soggetto quel che meglio sa fare, consente di creare nuove opportunità economiche e di inclusione sociale". Le attività di ortovivaismo previste nell’accordo sottoscritto oggi vanno ad affiancarsi a "Le rose di Sollicciano", progetto promosso dall’assessorato all’agricoltura della Regione Toscana: da circa un anno tre detenuti del carcere di Firenze e dell’istituto Gozzini - assunti dalla cooperativa Ulisse - si occupano di travasare, invasare e fare crescere rose che poi vengono vendute nei mercati fiorentini, a vivai, a negozi specializzati e anche direttamente ai cittadini. I tre detenuti, selezionati sulla base delle capacità manuali e dell’attitudine alle attività di orticoltura, stanno imparando un mestiere che servirà loro per la vita fuori dal carcere, una volta finito di scontare la pena. Oggi lavorano 4 ore al giorno tre volte la settimana sotto la guida di un esperto di botanica e di un tutor della cooperativa Ulisse. E saranno proprio loro tre - tutti tra i 35 e i 40 anni, stanno scontando pene tra i 3 e i 5 anni - ad occuparsi delle piante provenienti dal Vivaio Vannucci. Lodi: arriva scarcerazione, ma il provvedimento è sbagliato, terzo caso in quattro mesi di Tiziano Troianello Il Giorno, 31 maggio 2014 E i Sindacati rilanciano: via la direttrice. Gli agenti esigono risposte e minacciano un sit-in a Milano entro 10 giorni. Un altro detenuto, un italiano di circa 40 anni, è stato scarcerato per errore ieri mattina dal carcere di Lodi. L’uomo, così come gli era stato indicato al momento dell’uscita dalla prigione, si è presentato a metà pomeriggio dai carabinieri di Rozzano. E qui è stato trattenuto e riaccompagnato in cella. Molto probabilmente i militari erano già stati preallertati dalla struttura di Lodi, dove ci si era resi conto dell’errore. Non è stato, in questo caso, uno scambio di persona come era avvenuto a inizio anno, ma di una errata valutazione di un provvedimento. "È il terzo episodio di scarcerazione sbagliata da febbraio che avviene nella casa circondariale di Lodi - dichiara il segretario provinciale Ugl Enzo Tinnirello. Auspico che non sia il personale di polizia penitenziaria a pagare questo errore che è riconducibile al clima di tensione e di stress che si vive all’interno da troppo tempo. Appare quanto mai necessario e urgente l’avvicendamento dell’attuale direttrice onde smantellare l’attuale assetto dell’istituto e ridare respiro alla polizia penitenziaria". Intanto le organizzazioni sindacali degli agenti di polizia penitenziaria di tutta la Lombardia fanno quadrato e si schierano dalla parte del personale che dall’inizio dell’anno chiede la rimozione della direttrice, Stefania Mussio. E minacciano l’interruzione di tutte le trattative sindacali in regione e un sit-in davanti al Provveditorato lombardo di Via Azario. Sappe, Uil-Pa, Osapp, Sinappe, Fns-Cisl, Ugl Polizia Penitenziaria, Fsa-Cnpp, Fp-Cgil hanno sottoscritto un documento che è stato inviato a al capo dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria di Roma, Giovanni Tamburino ed altri vertici dell’amministrazione penitenziaria della Capitale e di Milano. Il personale di Polizia penitenziaria lamenta mancanza di corrette relazioni sindacali, grave situazione organizzativa e di carichi di lavoro, aggravarsi di sanzioni disciplinari a carico degli agenti, carenza di sicurezza e igiene, mancata considerazione all’aggiornamento. "Chiediamo determinazioni urgenti - aggiungono i sindacati. In assenza di una risposta entro 10 giorni dalla presente si chiede fin da adesso un incontro con il capo del Dipartimento annunciando che allo scadere del decimo giorno sarà proclamato lo stato di agitazione con sospensione di tutte le trattative e sit-in di protesta a Milano". Intanto il segretario generale del Sappe, Donato Capece, si dice soddisfatto "perché l’intervento chiesto all’Asl di Lodi per la presenza di cani labrador nel reparto detentivo, si vedono i primi risultati". "Uno dei due cani da tempo accusava malessere e giovedì finalmente è stato visitato da un veterinario - dichiara. Qualcuno si è mosso. Il problema non è solo di igiene ma anche di benessere fisico ed etologico degli stessi. Ora attendiamo il sopralluogo dell’ufficio igiene". Verona: "Progetto Carcere 663" sospende le sue attività, era attivo da 25 anni a Montorio L’Arena, 31 maggio 2014 Progetto Carcere 663, associazione che da 25 anni propone tornei, iniziative sportive e corsi di formazione per i detenuti del carcere, ha deciso di sospendere le proprie attività con la Casa Circondariale di Montorio. Ad annunciarlo è stato il presidente dell’associazione Maurizio Ruzzenenti, che nel corso del convegno "Percorsi didattici nella scuola" all’istituto Seghetti ha presentato la quarta edizione del volume "Studenti in carcere". Un libro in cui vengono raccolte le testimonianze di ragazzi dell’ultimo anno di scuole superiori di tre province, Verona, Vicenza e Brescia, che hanno giocato con i detenuti di Montorio, fronteggiandosi in partite di pallavolo oppure organizzando attività motorie. "La ragione principale per cui è nato questo progetto era di far conoscere la realtà del carcere non attraverso una visita guidata, ma tramite un coinvolgimento più attivo, che portasse beneficio ai detenuti", spiega Ruzzenenti. "Avevamo individuato il gioco come fattore fondamentale, perché è un modo di aprire le barriere e far confrontare studenti e detenuti in un’attività che mettesse tutti sullo stesso piano, senza imbarazzi". Il progetto, però, si è interrotto. "Non ci siamo resi disponibili, come richiesto dalla direzione, a visite autocelebrative", conclude il presidente di Progetto Carcere 663. "Dal 2014 abbiamo deciso di sospendere ogni attività all’interno del carcere, pur proseguendo con gli incontri di educazione alla legalità nelle scuole, e lo abbiamo comunicato anche al ministero della Giustizia, al Dipartimento amministrazione penitenziaria (Dap), alla Regione, al Magistrato di sorveglianza e al Garante dei detenuti". Agrigento: Ass. "Un amico per evadere dalla solitudine" chiede il Garante dei detenuti www.agrigentonotizie.it, 31 maggio 2014 Lo fa attraverso una lettera inviata al presidente della Regione Rosario Crocetta. "Una figura - afferma la presidente dell’associazione, Roberta Lala - che attualmente è inesistente nella Regione Sicilia, ma indispensabile per i detenuti". "La situazione carceraria è insostenibile, ogni giorno muoiono sempre più persone per suicidio o casi di mala sanità". A denunciarlo il presidente dell’associazione nazionale "Un amico per evadere dalla solitudine", che si occupa della tutela dei diritti dei detenuti, Roberta Lala. "Giorni fa - continua - è morto un ragazzo per un attacco di peritonite, mesi fa un altro giovane ragazzo perché necessitava di bombole di ossigeno e la struttura era sprovvista e così via. Ci sarebbe una lunghissima lista di casi da esporre, ma mi fermo qui. Qualche mese fa abbiamo inviato una lettera aperta al presidente Crocetta informandolo che sarebbe opportuno non privare i detenuti di una figura importante come quella del garante dei detenuti, figura che attualmente è inesistente nella Regione Sicilia, ma indispensabile per i detenuti in quanto i garanti ricevono segnalazioni sul mancato rispetto della normativa penitenziaria, sui diritti dei detenuti eventualmente violati o parzialmente attuati e si rivolgono all’autorità competente per chiedere chiarimenti o spiegazioni, sollecitando gli adempimenti o le azioni necessarie. Il loro operato si differenzia, pertanto, nettamente, per natura e funzione, da quello degli organi di ispezione amministrativa interna e della stessa magistratura di sorveglianza. I garanti possono effettuare colloqui con i detenuti e possono visitare gli istituti penitenziari senza autorizzazione, secondo quanto disposto dagli artt. 18 e 67 dell’ordinamento penitenziario (novellati dalla legge n. 14/2009); pertanto l’associazione, in nome del suo presidente e di tutte le persone che la sostengono, invita pubblicamente il presidente Crocetta a provvedere alla nomina del garante in tempi rapidi, viste le notevoli difficoltà che il mondo carcerario sta attraversando. Qualora questa esigenza legittima venga ulteriormente disattesa saremo disposti ad organizzare manifestazioni ad oltranza e tutelare i diritti di chi non ha voce". Cosenza: le sorelline del piccolo Cocò potranno incontrare il padre in carcere Adnkronos, 31 maggio 2014 Le sorelline del piccolo Cocò, il bambino di 3 anni ucciso e bruciato a Cassano all’Ionio insieme al nonno e a una donna marocchina, potranno finalmente incontrare e abbracciare il loro papà Nicola Campolongo, detenuto a Castrovillari. Lo rende noto il leader del movimento Diritti civili Franco Corbelli che sta seguendo da vicino tutta la vicenda. La madre delle due bambine e del piccolo Cocò, Antonia Iannicelli, è stata autorizzata dal giudice - informa Corbelli - a portare le figlie dal padre detenuto. L’incontro ci sarà il 7 giugno in occasione della festa all’interno del carcere della città del Pollino dove ai detenuti e alle detenute sarà consentito di poter incontrare e stare qualche ora con i loro bambini. Corbelli, dopo aver ricevuto le lettere del papà del piccolo Cocò e le telefonate della mamma del bambino ucciso, era intervenuto con diversi appelli chiedendo ai giudici di consentire alle due bambine di poter incontrare il padre detenuto. "Permettere alle sorelline del piccolo Cocò di vedere il loro papà detenuto - dichiara l’attivista del movimento Diritti civili - è un atto di giustizia giusta e umana. Le due bambine stanno soffrendo molto la lontananza del loro genitore. Una delle due sorelline ha, purtroppo, per questo motivo anche problemi di salute. Mi auguro adesso che le due bambine possano, le due volte al mese che Antonia Iannicelli è autorizzata a incontrare il marito in carcere, andare con la loro mamma per stare insieme al loro papà, Nicola Campolongo". "La mamma del piccolo Cocò - aggiunge - è soddisfatta e contenta di avere ottenuto questa autorizzazione. Quando, qualche giorno fa, mi aveva telefonato era molto triste e sfiduciata. Le avevo fatto coraggio promettendole che avrei, insieme al suo avvocato, Liborio Bellusci, fatto l’impossibile per esaudire questo suo sacrosanto desiderio e diritto di far vedere le sue bambine al loro papà. Oggi la bella notizia. In attesa sempre che venga fatta giustizia per l’atroce omicidio del piccolo Cocò, un angelo meraviglioso che non dimenticheremo mai". Avezzano (Aq): esame biennio superato per detenuti-chef, Enti siglano nuova intesa Ansa, 31 maggio 2014 Esame del biennio superato per gli aspiranti cuochi della Casa Circondariale "San Nicola" di Avezzano: sei "detenuti-studenti" sono stati ammessi al terzo anno; il settimo, in corsa per la conquista della qualifica finale di addetto alla cucina, sarà di fronte alla Commissione regionale di esame il 5 giugno. L’opportunità formativa triennale, offerta da una collaborazione tra tra Comune, Casa circondariale, Centro territoriale permanente e Istituto professionale alberghiero dell’Aquila, in linea con le leggi dello Stato mirate a favorire la "carcerazione attiva", è stata rinsaldata da una nuova intesa siglata tra gli enti interessati che servirà a completare il percorso formativo e avviare le procedure burocratiche per un nuovo ciclo di istruzione nel campo dell’enogastronomia. Il nuovo accordo ha infatti dato il via alle procedure di ricerca e selezione dei nuovi aspiranti chef e dei canali di finanziamento per la realizzazione del nuovo ciclo di studi. Il percorso di formazione professionale per i detenuti (nell’aula dedicata alla scuola all’interno del carcere) prevede lezioni settimanali di teoria e pratica con esame di idoneità finale per la conquista della qualifica di addetto alla cucina. Sanremo (Im): sei detenuti, sei attori, uno spogliatoio e una palla ovale www.riviera24.it, 31 maggio 2014 Ieri pomeriggio nel teatro dell’istituto della Casa Circondariale di Valle Armea a Sanremo, nuovo complesso, è andato in scena lo spettacolo "Le Sei Nazioni, proprio come il famoso torneo (Un rugbista non molla mai, al massimo passa la palla)" diretto da Davide Barella e interpretato dai detenuti attori che hanno frequentato il corso di drammaturgia nell’anno scolastico 2013/2014 all’interno del progetto "Teatro Brigante", nato nel 2002. I sei protagonisti della pièce, un atto unico, rappresentano sul palco metaforicamente la vita della detenzione, come ormai è abitudine da quando, dodici anni fa, la Compagnia ha cambiato regia, trasponendo la convivenza forzata e l’allegoria dello spazio chiuso in uno spogliatoio di una squadra di rugby nell’ immediata vigilia della partita decisiva non solo per la stagione agonistica, ma soprattutto per la vita dei suoi interpreti. Ogni detenuto ha creato il proprio personaggio, dandogli idee e pensieri propri, proiettando in esso aspettative, tensioni, desideri e volontà di catarsi interiore. Il pretesto sportivo diviene così funzionale per una riflessione strumentale sulla vita che è e che poteva non essere. Il tutto fra la preparazione minuziosa di una touché ("chi salta più in alto la prende"), di una mischia ("tutto nella vita è una mischia, e la mischia è una dimostrazione di forza", dice l’allenatore), e l’arringa di un capitano dal passato chiacchierato che fa spogliatoio ("siamo amici, e fra amici niente fregature"). Rispetto al passato i personaggi non devono cercare se stessi, ma tracciano un bilancio provvisorio della propria vita, in un amaro resoconto di un burrascoso passato che non toglie, tuttavia, la speranza a una nuova rinascita, la vittoria sportiva che prelude al riscatto individuale. Dopo avere affrontato negli anni passati la tematica della detenzione e della convivenza forzata nei manicomi ("Carnevalèra", "Perle ai porci"), in circhi attrezzati presso i gironi infernali ("El diablo"), nel mondo nascosto della malavita ("Storie di galera"), su isole deserte ("Naufraghi") con stili e generi diversi, dal teatro dell’assurdo alla ricerca pirandelliana dell’identità, con "Le Sei Nazioni, proprio come il famoso torneo" si approda a un teatro diverso, molto più asciutto e interiore, con la giusta dose di retorica e la necessaria ritualità che la palla ovale offre. Perché l’individuo rimane tale, ma deve comunque, sempre, ricordare che è parte di una squadra. Per rendere più credibile la messinscena le divise, i palloni ovali e gli scudi sono stati gentilmente forniti dall’ Imperia Rugby Asd. Alla rappresentazione hanno assistito, fra il numeroso pubblico presente invitato, anche due classi di studenti del Liceo Classico G.D. Cassini di Sanremo, in occasione di una visita di studio all’istituto penitenziario sanremese. Milano: motivi condanna 4 anni ex cappellano S. Vittore, no abuso autorità Ansa, 31 maggio 2014 Alcuni detenuti "platealmente provocavano l’imputato al fine di suscitare in lui insani impulsi sessuali al fine di ottenere dallo stesso piccoli vantaggi che però, nelle circostanze di tempo e di luogo, gli erano molto utili". Lo scrive il Gup di Milano Luigi Gargiulo nelle motivazioni della sentenza con cui, lo scorso 28 marzo, ha condannato a 4 anni di reclusione Don Alberto Barin, l’ex cappellano del carcere milanese di San Vittore arrestato per presunti abusi sessuali nei confronti di 12 detenuti. Con la sentenza è arrivata sì la condanna, ma ad una pena molto più bassa rispetto ai 14 anni e 8 mesi di carcere chiesti dalla Procura, anche perché sono cadute gran parte delle accuse e il Gup ha riconosciuto solo quattro capi di imputazione per violenza sessuale, riqualificati, tra l’altro, nella forma della lieve entità, ossia molestie o toccamenti commessi "in modo repentino". Il religioso, invece, assistito dall’avvocato Mario Zanchetti, è stato assolto da otto accuse di violenza sessuale. Nella parte delle motivazioni, da poco depositate, in cui il Gup parla della "inattendibilità delle dichiarazioni rese da alcune persone offese" si legge che la "omosessualità" dell’ex cappellano "era fatto notorio nella comunità dei detenuti come" da molti di loro "riferito nel corso delle indagini". E "l’attendibilità" di quanto dichiarato da alcune "persone offese", spiega ancora il giudice, "non può essere desunta esclusivamente dalla circostanza che fatti in parte analoghi siano stati denunciati" come "commessi ai danni di più soggetti", perché "era fatto notorio che l’imputato avesse una propensione sessuale per le persone dello stesso sesso e, alcuni detenuti, platealmente provocavano l’imputato al fine di suscitare in lui insani impulsi sessuali". Il Gup chiarisce, inoltre, che non c’è stato da parte di Don Barin "abuso di autorità" perché il ruolo di cappellano nell’ordinamento riveste una funzione "di tipo esclusivamente religioso" e non una "posizione autoritativa". E anche se gli si volesse riconoscere tale posizione, argomenta il Gup, "in ogni caso, nei fatti contestati" tale potere non si può riscontrare "nell’intensificare", come faceva Don Barin, "le visite con il detenuto, nel fornirgli consigli per migliorare la vita carceraria oppure nel fornirgli lo shampoo o un bagno schiuma". Nelle motivazioni di 68 pagine il Gup chiarisce che i Pm hanno sbagliato nel contestare a Don Barin la qualifica di "pubblico ufficiale" perché come cappellano di un carcere lui era soltanto "un incaricato di pubblico servizio". Gli è stata poi contestata, sempre secondo il gup, una fattispecie della violenza sessuale "inesistente", cumulando allo stesso tempo una presunta "costrizione all’atto sessuale" con "l’induzione al compimento dell’atto sessuale". Il giudice poi analizza, uno per uno, i presunti abusi sessuali indicati dalla Procura e spiega che in "alcuni casi" non c’è stato "compimento di atti sessuali", in altri c’è stato ma con detenuti "consenzienti". In altri casi ancora "la prova" degli atti sessuali "è quantomeno dubbia" e in alcuni, infine, "può ritenersi consumato il delitto", ma nella forma della lieve entità. Un detenuto, ad esempio, ha messo a verbale che i "baci che ho scambiato con Don Barin non erano di contenuto sessuale" e un altro ha spiegato: "Ero consenziente . Io ho fatto finta di accettare anche se non volevo, perché sapevo che lui mi poteva aiutare". Il giudice, in relazione ai quattro fatti di violenza sessuale per cui è arrivata la condanna, parla di "limitata offensività" e di "brevi palpeggiamenti" tra "uomini adulti in una stanza aperta o chiusa da una porta a vetri trasparente". Don Barin, secondo il Gup che non gli ha concesso le attenuanti generiche, "ha usato la funzione di cappellano quale mezzo di procacciamento di prestazioni sessuali" e ha tradito "i valori cristiani per i quali ha ricevuto l’incarico", reiterando i suoi comportamenti "nei confronti di detenuti in maggiore stato di bisogno anche solo morale". Il Gup ha riconosciuto anche risarcimenti da quantificarsi in sede civile ai quattro stranieri vittime delle molestie, assistiti, tra gli altri, dagli avvocati Simone Pozzi e Antonio Nebuloni. India: caso marò; delegazione Parlamento italiano pone caso Assemblea Nato Ansa, 31 maggio 2014 La delegazione del Parlamento italiano all’Assemblea della Nato, in corso a Vilnius, ha sollevato la questione dei Marò italiani detenuti in India. Lo rende noto un comunicato della Camera, che riferisce pure che il segretario della Nato Rasmussen "ha condiviso la preoccupazione" dell’Italia. "Il senatore Lorenzo Battista, intervenendo a nome della Delegazione italiana - riferisce il comunicato - ha posto all’attenzione dell’Alleanza la questione dei nostri Fucilieri di Marina che non può essere considerata un fatto solo bilaterale. L’internazionalizzazione della crisi richiesta dall’Italia vuole anche richiamare l’attenzione di tutti quei Paesi che hanno militari impegnati in missioni e che svolgono un ruolo negli scenari internazionali. Il Segretario generale della Nato Rasmussen ha condiviso la preoccupazione della Delegazione italiana e ha ribadito che l’eventuale imputazione di terrorismo avrebbe conseguenze negative anche per la lotta contro la pirateria. Ha richiamato il concetto di difesa collettiva che deve far scattare la solidarietà di tutti i Paesi dell’Alleanza". "Il Presidente della Delegazione italiana Andrea Manciulli - prosegue il comunicato - esprimendo piena soddisfazione per le parole di sostegno all’Italia espresse dal Segretario della Nato, ha dichiarato: "L’Italia non può essere lasciata da sola. Ci rivolgiamo a tutte le Delegazioni dei Paesi membri della Nato perché l’Italia è uno dei Paesi più attivi nelle missioni internazionali e quello che è successo ai nostri uomini può succedere a tutti e in questi casi c’è bisogno del sostegno e della solidarietà di tutti i nostri Alleati". Repubblica Ceca: italiano arrestato a Praga per pedofilia chiede 4mln di risarcimento Ansa, 31 maggio 2014 Un uomo di Merano, Thomas Sigmund, chiede alla Repubblica Ceca quattro milioni di euro sostenendo di essere stato arrestato ingiustamente, nel 2011, con l’accusa di pedofilia Sigmund, all’epoca presidente di un’associazione giovanile, fu accusato di avere abusato sessualmente di un minore e per questo venne rinchiuso nel carcere di Praga per 150 giorni. L’accusa fu poi archiviata. Sigmund, che ha sempre respinto ogni accusa, intende ora denunciare "la violazione dei diritti umani e le pessime condizioni" in cui fu costretto a vivere come carcerato. Non solo: a suo parere vi fu un vero e proprio complotto ai suoi danni, che portò all’arresto: un complotto - sostiene il meranese - che partì da Merano, in seguito ad un caso giudiziario che vide la sua associazione accusata di avere ricevuto illecitamente dei contributi pubblici. Francia: riforma penale, attriti governo su introduzione di pene alternative Ansa, 31 maggio 2014 Attrito nel governo francese, e soprattutto fra il presidente della Repubblica Francois Hollande e il premier Manuel Valls da un lato, e la guardasigilli Christiane Taubira dall’altro, sulla riforma penale. In particolare sull’estensione del beneficio della pena alternativa al carcere per tutti i reati e non solo per i reati minori. Nel suo insieme, il governo è contrario all’estensione del campo di applicazione contenuta in un emendamento del Partito socialista al testo del governo, che limitava il beneficio alle pene inferiori ai 5 anni di carcere. L’emendamento è passato in Commissione, dove era presenta la ministra Taubira, che notoriamente lo appoggia. Molti media francesi hanno scritto oggi che Taubira è stata pesantemente redarguita e richiamata all’ordine da Hollande, mentre il governo ha ricordato la sua ferma opposizione alla modifica. "Ci sono romanzi e c’è il romanzo dei romanzi - ha detto la ministra smentendo di essere stata bacchettata dal presidente e dal premier. Tutto questo mi diverte molto, io sono una lettrice di romanzi". Ucraina: Kiev chiede un incontro con i militanti detenuti del "Settore destro" Ansa, 31 maggio 2014 Il Ministero degli Esteri dell’Ucraina si è rivolto alla parte russa con la richiesta di organizzare un incontro consolare con i cittadini ucraini detenuti in Crimea accusati della preparazione degli attentati terroristici. Il Centro delle relazioni pubbliche dell’Fsb venerdì ha riferito che in Crimea sono stati arrestati i membri del gruppo terroristico "Settore destro" che ha pianificato gli attentati a Simferopoli, Yalta e Sebastopoli. Sudan: "Salvate Meriam", un appello su prima pagina del Times di Londra Ansa, 31 maggio 2014 "Salvate Meriam", è il titolo in prima pagina del Times di Londra, che lancia un forte e autorevole appello per Meriam Yayia Ibrahim Ishag, la donna cristiana condannata a morte in Sudan per apostasia e diventata mamma in carcere. In un editoriale questa pena viene definita "crudele e arcaica", e una violazione della Dichiarazione universale dei diritti umani, il cui rispetto, sempre secondo il giornale, dovrebbe essere un prerequisito per concedere aiuto e sostegno umanitario ai Paesi in difficoltà. "Una donna è stata condannata a morte solo per il crimine di essere cristiana", sottolinea il giornale, che ricorda come solo una sua abiura e una conversione all’Islam potrebbe fermare il boia. "In ogni codice civilizzato il suo reato non sarebbe un reato, ma la sua uccisione da parte del governo sudanese di sicuro lo sarebbe". Secondo il Times, la pressione sulle autorità sudanesi fatta dalle associazioni internazionali, come Amnesty International, è importante, ma non basta e ricorda come l’intolleranza religiosa sia sempre più diffusa. "In Pakistan questa settimana, alla luce del sole, di fronte all’Alta corte della città di Lahore e davanti a decine di persone, abbiamo visto l’omicidio per lapidazione di una donna incinta", si legge, con riferimento al caso di Farzana Parveen, la 25enne pachistana lapidata dai suoi familiari che l’accusavano di essersi sposata senza il loro consenso. Cameron telefona a Khartum Il premier britannico, David Cameron, ha telefonato al governo sudanese per chiedere che venga revocata la "barbarica" sentenza decisa da un tribunale di Khartum per Meriam, la donna cristiana condannata a morte per non aver voluto abiurare la fede cristiana. Lo scrive la stampa britannica. Meriam Ibrahim - che da mesi ha con sè in carcere il figlio di 20 mesi, Martin - martedì scorso ha partorito in catene all’interno della prigione una bimba, Maya. Il suo caso ha provocato un’ondata di indignazione in Italia, ma anche nel mondo. In Gran Bretagna, il leader liberaldemocratico, Nick Clegg, e quello laburista, Ed Miliband, sono già scesi in campo contro la condanna a morte. Adesso Cameron ha detto che la condanna a morte della giovane donna "non può aver alcun posto nel mondo di oggi" e ha promesso che la Gran Bretagna continuerà a fare pressione sul governo sudanese. "La libertà di religione è un diritto umano fondamentale, assoluto: chiedo al governo del Sudan di revocare immediatamente la condanna e fornire immediato e adeguato sostegno e assistenza medica a lei e ai suoi bambini". Egitto: sciopero della fame di massa nelle carceri, partecipano 23 mila detenuti politici Ansa, 31 maggio 2014 I Fratelli musulmani hanno annunciato che "piu’ di 23 mila detenuti politici cominceranno oggi uno sciopero della fame e un sit-in all’interno delle celle in segno di protesta contro la propria detenzione". L’annuncio dello sciopero della fame di massa viene riportato da Ikhwan online, il sito ufficiale della Confraternita egiziana costretta alla clandestinità dal dicembre scorso dopo gli attentati seguiti alla defenestrazione del presidente Mohamed Morsi, espressione del loro movimento. La protesta scatta due giorni dopo la conclusione delle elezioni presidenziali vinte da Abdel Fattah al Sisi. Il sito precisa che "nel quadro dell’escalation della loro protesta, i detenuti eviteranno di uscire durante l’ora d’aria, di ricevere visite o di comparire davanti ai tribunali". "L’Alleanza dei centri dei diritti dell’Uomo" ha sostenuto di aver ricevuto circa 5.000 messaggi di famiglie di detenuti che dichiarano la propria partecipazione alla protesta la quale durerà una settimana in 114 carceri sparsi in 24 dei 29 governatorati egiziani. L’Organizzazione, sul proprio sito internet, annuncia inoltre la formazione di squadre di medici che seguiranno lo stato di salute degli scioperanti e interverranno in caso di necessità. Le richieste della protesta sono la "cessazione immediata della tortura nelle prigioni", la scarcerazione anch’essa "immediata di tutti i detenuti politici e la formazione di commissioni giudiziarie per la revisione di tutti i processi aperti dal 3 luglio ad oggi". Il riferimento, implicito, è al giorno della deposizione di Morsi. Revocata amnistia concessa da Morsi a 52 detenuti Il presidente egiziano ad interim Adly Mansour ha revocato l’amnistia concessa dal suo predecessore, l’islamico Mohamed Morsi, a 52 detenuti, in gran parte militanti dei Fratelli Musulmani. Il decreto di Mansour stabilisce che le condanne a morte inflitte a quattro delle persone coinvolte siano tramutate in ergastolo, mentre per gli altri è previsto che il periodo intercorso tra il decreto di Morsi e quello di Mansour sia detratto dalla pena. La decisione del presidente ad interim, che presto lascerà il posto al neo-eletto Abdel Fattah al-Sisi, fa seguito alla creazione, lo scorso dicembre, di una commissione per la revisione delle amnistie concesse da Morsi. Albania: sciopero fame di ex detenuti politici. Ministro Welfare "disposti al dialogo" Nova, 31 maggio 2014 Il Ministro del Welfare albanese, Erion Veliaj, ha dichiarato oggi di essere disposto al dialogo con gli ex detenuti politici del regime comunista i quali hanno indetto da tre giorni uno sciopero della fame al fine di ottenere entro due anni il risarcimento finanziario che lo Stato aveva promesso loro come ricompensa per gli anni trascorsi nelle carceri durante la dittatura. Veliaj ha però precisato che "il dialogo dovrebbe avvenire con le persone che realmente sono state detenuti politici", aggiungendo che "alla guida dello sciopero purtroppo vi è una persona che non è mai stata nelle carceri del regime comunista". Infatti, Fatmir Hoxha, che dall’inizio dello sciopero si è presentato ai media come capo della protesta, ha ammesso di non essere stato un detenuto politico, ma che invece sua madre e suo zio sarebbero stati condannati dal regime comunista. Il ministro Veliaj ha però fatto sapere che "sia la madre che lo zio di Hoxha sono stati risarciti, ottenendo l’intero risarcimento, mentre altri invece non hanno preso ancora niente in tutti questi anni". Hoxha ha replicato alle affermazioni del ministro dichiarando che "lo sciopero è stato indetto per un questione di principio e non per soldi". Oggi il ministero ha distribuito una prima rata a oltre mille ex prigionieri politici. "Fino adesso abbiamo risarcito oltre mille persone che non avevano mai avuto niente. Ed entro quest’estate daremo i soldi anche alle ultime persone, circa mille, che non sono mai state risarcite", ha precisato Veliaj. Guatemala: chiesta massima pena ex capo polizia che ordinò uccisione 10 detenuti Ansa, 31 maggio 2014 L’accusa ha chiesto venerdì il carcere a vita a Ginevra per l’ex capo della polizia del Guatemala Erwin Sperisen, imputato al processo, iniziato il 15 maggio, per l’uccisione di 10 detenuti nel paese centroamericano durante una sommossa in un penitenziario. Sperisen, che ha la doppia nazionalità svizzera e guatemalteca e non può essere estradato, era stato arrestato nel 2012 a Ginevra. Contesta i fatti, affermando di non aver mai dato l’ordine di sparare sui prigionieri. Di altro avviso il procuratore Yves Bertossa secondo cui "avvenne, nel carcere, una pulizia sociale, con persone abbattute come bestie su ordine dell’imputato".