Appello dal carcere degli uomini ombra a tutti i giornalisti Carmelo Musumeci (detenuto a Padova) Ristretti Orizzonti, 30 maggio 2014 "Non t’impiccare, resisti, non devi avere paura della galera, è lei che deve avere paura di te". (Frase incisa nella parete di una cella di punizione, scritta con il sangue da un ergastolano). Venerdì 6 giugno 2014, ore 09.30-16.30, nella Casa di Reclusione di Padova ci sarà un importante convegno dal titolo "Senza l’ergastolo. Per una società non vendicativa". Scrivo per chiedere pubblicamente a tutte le redazioni di mandare un inviato per assistere al Convegno per informare e fare conoscere all’opinione pubblica l’esistenza in Italia della "Pena di Morte Viva" (così chiamiamo la pena dell’ergastolo). Aggiungo, perché mi sembra importante, che interverranno alcuni condannati all’ergastolo e familiari con le loro testimonianze. Eccovi le parole di una moglie di un uomo ombra, che nel lontano 1995 ha scritto al marito per informarlo che la Suprema Corte di Cassazione gli aveva confermato la pena dell’ ergastolo: "Amore caro, non riesco a trovare le parole per descriverti la mia e la tua delusione e neanche per cercare di alleviare questa sofferenza, mi sento come svuotata. Tutti questi anni di ansia, di speranza non sono serviti a niente, è una condanna ingiusta e inaccettabile, sono troppo depressa e non riesco a pensare a niente di positivo. Guardo i bambini e penso come farò a dare anche a loro un dolore così, non gli dirò niente finché non sarà assolutamente necessario. Non voglio che vivano con questo peso la loro infanzia. Forse quando saranno più grandi saranno in grado di capire e di sopportarlo meglio. Sono così sereni e spensierati che farei qualsiasi cosa perché restassero sempre così. Oggi per la festa della mamma nostra figlia mi ha dato la tua poesia, molto bella, ma non c’è nulla che riesca a scuotermi da quest’angoscia che mi sta opprimendo. Spero che tu sia abbastanza forte da sopportare un peso così tremendo, sono molto preoccupata per te, sono svanite anche tutte le tue speranze, ma possibile che non si poteva evitare tutto questo? Vorrei dirti che andrà tutto bene, ma ho bisogno di tranquillizzare prima me stessa, avrei voluto tanto darti una bella notizia, quel telegramma che ti ho mandato mi è sembrato una condanna a morte. Devo anche far finta di niente con i bambini e a volte proprio non ci riesco. Tu lo sai che ti siamo vicini e che potrai contare sempre sul nostro amore, cerca di essere forte amore mio, non può finire così, ci sarà un’altra soluzione, anche se ci vorrà un po’ di tempo, la troveremo. Cerca di scrivere non farmi stare in pensiero. Ora ti lascio ma il mio pensiero è sempre dentro di te. Ti amo". Si spera che giungano adesioni all’iniziativa da parte di esponenti politici, associazioni, società civile e semplici cittadini. Carceri, portiamo i nostri figli a fare una gita di coscienza di Ascanio Celestini Il Fatto Quotidiano, 30 maggio 2014 "Se stanno in galera… evidentemente se lo meritano" così dicono molti nostri concittadini. E invece no. La galera italiana non se la merita nessuno. Lo sostiene la Corte europea dei diritti dell’uomo. Un anno e mezzo fa ci hanno detto che le nostre galere sono disumane. E per fortuna che nel bel paese diversamente-civile non c’è il reato di tortura, se no venivamo denunciati anche per questo. E visto che a mezzanotte di mercoledì scadeva il tempo supplementare che l’Europa ci ha dato per mettere a posto i nostri diversamente-gulag e trasformarli in prigioni altrettanto infami, ma un poco più umane, siamo entrati a Regina Coeli, lo storico penitenziario della capitale. Sei persone in venti metri quadrati, magari chiusi giorno e notte in quei pochi passi, sono una misura tollerabile per lo stato democratico nel quale viviamo. Tollerabili anche se le normative europee dicono che un maiale deve crescere in almeno sei metri quadrati. Due vecchi in una celletta senza doccia nella quale il cesso è accanto al fornello dove si prepara (a spese dei detenuti e con prodotti costosi imposti dalle grandi aziende) è un fatto ordinario nel paese della cucina mediterranea, quella più sana del mondo. Remote possibilità di lavorare per migliaia di reclusi che vorrebbero pagare il loro debito con la società, ma non gli viene concesso per noia burocratica, per impegno a singhiozzo motivato da altri problemi in agenda, per disinteresse generico è ovvio in uno stato che privilegia i ricchi, accontenta il ceto medio e schifa i poveri. L’altra sera ho visto le facce di quelli che in galera non c’erano entrati mai. Qualche giornalista e qualche politico. Quelli che non sapevano cosa domandare e aspettavano che qualcuno gli dicesse qualcosa su quell’universo sconosciuto. Quelli spaesati da tanto orrore. E restavano muti o balbettanti. E allora perché non portiamo anche i nostri studenti, a partire dai più piccoli, in gita nelle nostre prigioni? Portiamoceli e facciamoceli dormire per una settimana come quando vanno a vedere i morti antichi di Pompei o l’ammucchiata di opere d’arte del Louvre. Una gita di coscienza. Portiamoli lì dove il paese nasconde il suo lato più impietoso e miserevole. Lì dove la politica passa raramente e con pochissimi suoi rappresentanti. I Radicali, per esempio, che hanno una montagna di difetti, ma anche qualche raro brillante pregio (lo scrivo senza trasporto, ma con sincero rispetto). Lì dove gli elettori di sinistra sposano le tesi della destra fascista e vorrebbero vederci un sacco di gente rinchiusa, anche se la sinistra di trent’anni fa voleva superarla quella istituzione repressiva. Facciamo un servizio al futuro. Portiamoci i nostri figli (anche il mio che va in seconda elementare) a vedere cosa rimane dell’individuo quando (anche se violento e pericoloso) viene privato di tutto. Come si può riconciliarlo con la società in questo modo? Giustizia: "pene da ridurre", la Cassazione interviene sullo spaccio di droghe leggere di Eleonora Martini Il Manifesto, 30 maggio 2014 Viene dalle Sezioni unite della Corte di Cassazione, l’ultimo colpo all’incostituzionale legge Fini-Giovanardi. Da scarcerare almeno 4 mila detenuti ma senza amnistia i tribunali si intaseranno. "Affermativa". È questa la risposta delle Sezioni unite della Cassazione alla domanda se fosse diritto delle persone condannate per piccolo spaccio in via definitiva, anche se recidivanti, chiedere uno sconto della pena in esecuzione dopo la recente sentenza della Consulta che dichiara incostituzionale la legge Fini-Giovanardi e che va ad aggiungersi all’altro pronunciamento emesso dalla Corte costituzionale nel 2012 contro una norma contenuta nella cosiddetta ex Cirielli, la legge ad personam nata per salvare Previti e Berlusconi. Per avere informazioni più precise sulla modalità del ricalcolo bisognerà attendere il dispositivo completo, ma nell’"informazione provvisoria" diramata ieri dal primo presidente Giorgio Santacroce i giudici supremi hanno risposto chiaramente, accogliendo il ricorso presentato dalla procura di Napoli contro una sentenza che aveva negato ad un condannato per spaccio di poche dosi di cocaina e di cannabis l’attenuante della lieve entità sull’aggravante della recidiva. Al momento, stima l’amministrazione penitenziaria, sono circa 3 o 4 mila i detenuti che potrebbero beneficiare degli effetti di questa sentenza, tra i 14 mila in carcere per la sola violazione dell’articolo 73 della legge sulle droghe ("23 mila, di cui il 40% stranieri, quelli per violazione dell’intera normativa", secondo il sindacato di polizia penitenziaria Sappe) presentendo però al giudice dell’esecuzione la richiesta di revisione della pena. "Il giudice dell’esecuzione, ove ritenga prevalente sulla recidiva la circostanza attenuante", scrive la Cassazione a Sezioni unite, ai fini della rideterminazione della pena dovrà prendere in considerazione il testo di legge precedente alla Fini-Giovanardi, cancellata nel febbraio scorso, "senza tenere conto di successive modifiche di legge". Ossia, senza considerare il "decreto Lorenzin" che trasforma la circostanza attenuante dello spaccio di lieve entità in fattispecie autonoma di reato, innalzando però le pene edittali per le droghe leggere. In questo modo, i giudici supremi di Piazza Cavour smentiscono l’orientamento giurisprudenziale che vorrebbe le sentenze passate in giudicato intangibili. Il verdetto della Cassazione "inciderà significativamente" sul sovraffollamento carcerario, ha detto ieri il ministro di Giustizia, Andrea Orlando. "Non sappiamo dire esattamente con quali numeri", ha aggiunto il Guardasigilli, ma "questo ci fa dire che l’uscita dall’emergenza sarà probabilmente più rapida". In realtà, senza un intervento politico si dilatano a dismisura i tempi per la liberazione di chi ingiustamente sta scontando una condanna per effetto di una norma penale dichiarata incostituzionale anche se, come spiega l’informativa della Cassazione, "diversa dalla norma incriminatrice ma che incide sul trattamento sanzionatorio". "Aumenteranno a dismisura i carichi dei giudici ordinari che dovranno affrontare i procedimenti camerali attraverso i quali si dovrà ricalcolare al ribasso la pena di migliaia di detenuti", avverte Rita Bernardini. La segretaria dei Radicali italiani invita le istituzioni ad "attivarsi immediatamente per un provvedimento di amnistia e di indulto che, liberando le scrivanie dei magistrati, consentirebbe di indirizzare maggiori forze per perseguire i reati gravi e farebbe uscire dal carcere chi deve scontare gli ultimi due o tre anni di detenzione fra i quali le migliaia di reclusi vittime della Fini-Giovanardi". Anche l’Unione delle camere penali parla di "sovraccarico sul sistema giudiziario" e sottolinea la disparità di trattamento che si potrebbe creare a causa della discrezionalità dei giudizi. Per i penalisti "l’applicazione di questa sentenza non risolve" il problema del sovraffollamento carcerario e "non sposta nulla rispetto alla necessità di un provvedimento di clemenza generalizzato". Una sentenza, questa, che "mette l’Italia al passo con la giurisprudenza di Strasburgo - ha spiegato Giuseppe Maria Berruti, direttore dell’Ufficio del Massimario della Cassazione - e, insieme alle due sentenze della Consulta, ci mette più in regola con la Carta di diritti dell’uomo. Il diritto non è immobile - ha aggiunto - cambia a seconda del quadro storico di riferimento e questa vicenda dimostra che il quadro storico è mutato rispetto a quando la legge Fini-Giovanardi venne emanata". Otto anni, migliaia di condannati e perfino qualche morte fa. Giustizia: dalla Cassazione un (possibile) aiuto per evitare le sanzioni europee di Giovanni Bianconi Corriere della Sera, 30 maggio 2014 Ancora una volta è toccato ai giudici sciogliere i nodi che la politica non è stata in grado di affrontare, sebbene fossero di sua stretta competenza. Come, nel caso specifico, la normativa sulle tossicodipendenze e i traffici di droga. Quando la legge cosiddetta Fini-Giovanardi introdusse inasprimenti di pene tali da decretare il carcere senza alternative a chi trafficava in stupefacenti, cancellando ogni distinzione tra qualità e quantità delle sostanze, fece una scelta politica. Con un metodo sbagliato, però; cioè infilando le dirompenti modifiche in un decreto legge che parlava di tutt’altro. La Corte costituzionale è intervenuta e ha dichiarato illegittimo quell’intervento, un "eccesso di potere" da parte di governo e Parlamento che - individuato a otto anni di distanza - ha portato alla cancellazione di tre articoli di quella legge, reintroducendo le norme precedenti. Con la conseguenza di rimettere in discussione il destino di migliaia di imputati ancora sotto processo, da giudicare in base a pene molto più basse per gli spacciatori delle droghe considerate "leggere", magari in piccole misure. Ma che fare con chi è stato condannato da sentenze ormai irrevocabili? La domanda è arrivata all’esame di altri giudici, quelli della Cassazione, partendo dalla vicenda di F. G., condannato a sei anni di galera per detenzione a fine di spaccio di 12 dosi di marijuana e 14 di cocaina in base al "combinato disposto" della Fini-Giovanardi e della ex Cirielli che impediva la concessione delle attenuanti. Ieri la Corte Suprema - dopo che la Consulta aveva dichiarato incostituzionale un’altra norma: la prevalenza sempre e comunque dell’aggravante della recidiva - ha stabilito che pure ai condannati definitivi si devono ricalcolare le pene sulla base dei nuovi principi. Con la conseguenza (potenziale, al di là del caso singolo di F. G.) di far uscire di prigione prima della scadenza prevista alcune migliaia di detenuti. La scarcerazione di un numero di persone che nessuno oggi è in grado di stabilire con certezza - le stime sono generiche e provvisorie perché i calcoli sono difficili ma una cifra verosimile si attesta intorno ai 4 mila detenuti - è comunque subordinata alle richieste degli avvocati e alle decisioni dei giudici dell’esecuzione. Il che significa andare incontro a nuovi procedimenti, che richiederanno tempo e soprattutto potrebbero essere tra loro difformi, perché non è detto che tutti si adeguino automaticamente al verdetto di ieri (di cui peraltro è noto, per ora, solo il dispositivo, non la motivazione). Eventuali decisioni difformi potrebbero poi essere impugnate di fronte alla Cassazione, con ulteriori ricorsi che allungherebbero i tempi e farebbero slittare l’uscita dal carcere degli interessati. Per risolvere a monte il problema - consiglia qualcuno come l’avvocato Luigi Saraceni, ex deputato che ha affiancato l’Associazione Antigone nella battaglia vinta sull’incostituzionalità della Fini-Giovanardi - sarebbe utile un intervento del Parlamento, con una legge che stabilisca gli automatismi che ora non ci sono. Oppure l’indulto che il presidente della Repubblica sollecitò invano, insieme all’amnistia, nel suo messaggio alle Camere dell’autunno scorso, per affrontare l’emergenza del sovraffollamento dei penitenziari. Appello rilanciato ieri dagli avvocati dell’Unione camere penali. I numeri del sovraffollamento Sullo sfondo, infatti, resta la condizione delle prigioni italiane troppo piene: poco meno di 60.000 detenuti rispetto ai 49.000 posti regolamentari che però - secondo i radicali, sempre attenti al problema - nella realtà sarebbero meno. Una situazione stigmatizzata un anno fa dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo, quando le cifre erano più alte superando le 65.000 presenze, che diede all’Italia il tempo per mettersi in regola per evitare sanzioni economiche molto gravose. Ora quel tempo è scaduto e a giorni, se il governo non offrirà soluzioni concrete e prospettive migliori, scatterà l’esame dei singoli ricorsi e l’obbligo dei risarcimenti a chi è o è stato ristretto in ambienti troppo angusti. All’interno della popolazione carceraria, nel 2013, la quota dei detenuti per violazione delle leggi sulle droghe era di 24.273 detenuti, pari al 38,8 per cento del totale. È possibile che adesso quei numeri si siano un po’ ridotti, ma l’incidenza dei reclusi per fatti legati a uso e spaccio di stupefacenti resta molto alta. Ecco la ragione per cui, in ambito governativo, la scelta della Cassazione è stata accolta con un certo sollievo. Per il ministro della Giustizia Orlando "l’uscita dall’emergenza sarà probabilmente più rapida", e per il sottosegretario Ferri "potrà avere un effetto positivo sul problema del sovraffollamento carcerario". Una boccata d’aria Di certo per qualche migliaio di detenuti prende corpo l’ipotesi di un ricalcolo della pena al ribasso che, se pure non arrivasse ad esaurire la condanna, potrebbe ugualmente aprire le porte delle prigioni a chi rimanesse con un residuo di pena inferiore ai quattro anni, grazie all’affidamento in prova ai servizi sociali o agli arresti domiciliari. Le soluzioni strutturali richieste dalle istituzioni europee per evitare le sanzioni sono un’altra cosa, e già la prossima settimana bisognerà scoprire le carte e vedere la reazione di Strasburgo. Tuttavia qualunque intervento che possa contribuire alla decongestione degli istituti, anche giurisprudenziale come quello di ieri, è un aiuto a presentarsi con cifre più accettabili. Ecco perché il verdetto della Corte Suprema rappresenta, forse, una boccata d’aria. E la conferma che, anche in questa occasione, la politica è ridotta ad affidarsi ai giudici per risolvere un po’ dei propri problemi. Giustizia: il Senatore Manconi "l’ingiustizia è stata riconosciuta, ora serve una sanatoria" di Maria Elena Vincenzi Corriere della Sera, 30 maggio 2014 Il Senatore Pd condivide la decisione "sacrosanta". "Ma la magistratura ha fatto da supplente alla politica". "È una sentenza sacrosanta e provvidenziale che, ancora una volta, rivela un drammatico deficit della politica. La magistratura interviene, e per fortuna, laddove il Parlamento non fa o fa male o fa troppo tardi". La decisione con cui la Cassazione ha dato il via libera alla riduzione della pene per gli spacciatori di droghe leggere raccoglie il plauso del senatore Luigi Manconi, presidente della Commissione Straordinaria Diritti Umani. Senatore, ora che cosa succede? "Adesso si tratta di assumere misure che sanino l’ingiustizia subita, e ormai da mesi non ancora risarcita, da coloro che sono condannati in via definitiva a pene previste da una norma dichiarata incostituzionale dalla Consulta il 12 febbraio scorso". Di quanti detenuti parliamo? "Purtroppo, e ancora una volta, non disponiamo di cifre precise. Secondo il professore Stefano Anastasia sono numerose migliaia; secondo l’amministrazione penitenziaria i detenuti in questa condizione sarebbero tre-quattro mila. Un indicatore significativo è rappresentato dalla cifra dichiarata dal presidente del tribunale di Sorveglianza dell’Emilia Romagna, Francesco Maisto: in quella regione le persone che si trovano in carcere a scontare la pena voluta dalla legge Fini-Giovanardi sono 336". E ora, quali sono le possibili soluzioni? "Essenzialmente tre. Il cosiddetto incidente di esecuzione, in base al quale è il condannato che chiede alla procura di ricalcolare, sulla base delle nuove tabelle, la pena da scontare. Questo prevede che tutti i detenuti siano informati e che abbiano gli strumenti per poterlo richiedere. La seconda soluzione è che siano le procure di tutta Italia a riprendere in mano i fascicoli dei condannati in via definitiva e a ricalcolare, per tutti loro, la nuova entità della pena. La terza, invece, è quella di un provvedimento generale, riservato esclusivamente a tutti i condannati per spaccio di droghe cosiddette leggere". In pratica una sorta di sanatoria. Forse quest’ultima è la via più praticabile. "Sarebbe la soluzione non solo più rapida ma anche più equa perché interverrebbe automaticamente su tutti quanti si trovano nella condizione indicata dalla Suprema Corte, ovvero costretti a scontare una pena che, nel frattempo, risulta abnorme. Perché, ecco il punto cruciale, non va dimenticato che con la legge Fini-Giovanardi la pena prevista in questi casi andava da 6 a 20 anni, mentre ora, dopo la sentenza della Consulta, si passa dai 2 ai 6 anni". Giustizia: subito un piano per potenziare Area Penale Esterna e Tribunali di Sorveglianza di Felice Cavallaro Corriere della Sera, 30 maggio 2014 Radicali a parte, se ne sono ricordati in pochi, ma è scaduto mercoledì il diktat della Corte europea dei diritti dell’Uomo che aveva dato all’Italia un anno di tempo per cancellare la vergogna di carceri dove i detenuti vivono in condizioni disperate, meno di tre metri quadri, fuori dagli standard minimi. Un degrado quasi ignorato anche in campagna elettorale. Con rammarico dei giudici di sorveglianza. Decisi con il Coordinamento nazionale presieduto da Nicola Mazzamuto, alla guida del Tribunale di sorveglianza di Messina, ad accendere i riflettori inviando due lettere al capo dello Stato e al ministro della Giustizia Andrea Orlando. Esplicite sollecitazioni per richiamare la cosiddetta sentenza Torreggiani, una bacchettata inascoltata: "La migliore riparazione possibile è la rapida cessazione della violazione del diritto a non subire trattamenti disumani e degradanti". Trascorso invano un anno, in vista di possibili tardivi provvedimenti, i magistrati di sorveglianza chiedono a Napolitano e Orlando "di evitare al Paese, sia consentita la metafora scolastica, la bocciatura e anche, ove possibile, il rinvio a sessione di riparazione, superando con buoni voti l’esame europeo". Due i punti essenziali sui quali incidere per affrontare un’emergenza con 59.683 detenuti e 49.091 posti disponibili. La prima proposta è "un piano straordinario per il potenziamento della cosiddetta area penale esterna", come spiega il giudice Mazzamuto confrontando "i 150 mila condannati che in Francia scontano la pena con misure alternative, mentre da noi sono 25 mila in affidamento, semilibertà o domiciliari". Secondo punto assicurare "il pieno e stabile funzionamento di Tribunali e Uffici di sorveglianza". Allarmante la realtà per Mazzamuto: "Abbiamo 150 magistrati su una pianta organica di 173 che nel 2013 hanno gestito 450 mila procedimenti. E nel 2014 supereranno la soglia dei 500 mila. Tre mila fascicoli a testa. Oltre i carichi aggiuntivi legati alle nuove competenze attribuite per la liberazione anticipata speciale e per le cause sulla tutela dei diritti. Triplicato il lavoro già nei primi mesi di applicazione. Tutto ciò nel quadro di una dotazione organica del personale amministrativo spesso precario e con significativi indici di scopertura". Giustizia: Tamburino e Pagano lasciano il Dap, come "reggente" per ora rimane Cascini Il Fatto Quotidiano, 30 maggio 2014 Nessuno ha più detto niente per tempo e così, nel silenzio delle stanze di Largo Luigi Daga, a Roma, il capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Giovanni Tamburino, e il suo vicario, Luigi Pagano, ieri hanno fatto le valigie e hanno tolto il disturbo. Del resto la legge sullo spoil system parla chiaro: gli incarichi apicali "cessano decorsi 90 giorni dal voto sulla fiducia al Governo", a meno che non arrivi - per tempo - una riconfermata fiducia. E in questo caso da via Arenula non si è mosso nulla, né una conferma né un "grazie, arrivederci". Non hanno convinto, dunque, gli sforzi fatti da Tamburino e Pagano per decongestionare le carceri (si è passati da 66mila a poco più di 60mila detenuti) e ora l’amministrazione penitenziaria si trova senza una testa, nei giorni in cui da Strasburgo deve arrivare la decisione sulla sentenza Torreggiani, per la quale l’Italia rischia di dover pagare una salatissima multa. I vertici del Dap non piacevano neanche all’ex ministro della Giustizia, Anna Maria Cancellieri, che più di una volta li aveva bacchettati per lo scarso impegno proprio sul sovraffollamento carcerario. Evidentemente il nuovo ministro Andrea Orlando è rimasto dello stesso avviso. A fare da reggente, nell’attesa che venga nominato un nuovo capo, è l’altro attuale vice, Francesco Cascini, che stamattina ha presenziato insieme con il sottosegretario alla Giustizia a un’iniziativa nel carcere romano di Rebibbia. Per la successione a Tamburino si va diffondendo il nome di Ettore Ferrara, già Capo del dipartimento dal 2007 al 2008.Chissà, invece, che non sia un modo per "depistare" il toto-nomine e tirare fuori un cilindro dal cappello del ministero. Forse proprio lo stesso Cascini, che - a differenza di Pagano - non si tirerebbe indietro. Fa sorridere - soprattutto gli addetti ai lavori - il commento di un poliziotto penitenziario: "Io stamattina non sapevo chi era il mio capo. Ma voi lo immaginate un carabiniere che anche solo per un giorno non sa chi è il comandante dell’Arma?". Giustizia: Lamonica (Cgil); bene nuova legge chiusura Opg, risultato frutto mobilitazione Dire, 30 maggio 2014 "è positivo il giudizio sulla nuova legge per il superamento degli Ospedali psichiatrici giudiziari, approvata in via definitiva dalla Camera dopo il voto del Senato". Ad affermarlo è Vera Lamonica della Cgil Nazionale, aggiungendo che "è un risultato ottenuto anche grazie alla mobilitazione e alle iniziative del comitato Stop Opg, che vede tra i promotori Cgil e Fp Cgil nazionali". Per la dirigente sindacale "la nuova legge ha migliorato in modo significativo l’attuale normativa, pur non risolvendo tutte le criticità. In particolare resta da modificare il codice penale eliminando il trattamento speciale per le persone malate di mente che commettono reato, ultimo baluardo della logica manicomiale". Secondo Lamonica, inoltre, "ora si apre una nuova fase per applicare le nuove norme nello spirito della Legge 180. Perciò i programmi delle Regioni ora possono e devono spostare attenzione e investimenti dalle Rems, i cosiddetti mini Opg, ai percorsi di cura e riabilitazione individuali, necessari per evitare l’internamento e che, potenziando i servizi socio-sanitari territoriali, servono a tutti i cittadini. La vicenda degli Opg- conclude- richiama la drammatica condizione delle carceri italiane e la necessità di interventi risolutivi, anche per garantire il diritto alla tutela della salute e alle cure delle persone detenute". Lettere: tempo scaduto per risolvere il problema carcere… di Sandro F. (detenuta al "Mario Gozzini" di Firenze) www.firenzepost.it, 30 maggio 2014 Parla un detenuto di Solliccianino: la Corte Europea aveva dato tempo all’Italia fino al 28 maggio, ma niente è stato fatto. Il 28 maggio, due giorni fa, è scaduto il termine che la Corte Europea ha dato all’Italia per affrontare e risolvere il gravissimo problema delle nostre carceri. Poco o niente è stato fatto. Tante leggi, o meglio, leggine, che nulla, in sostanza, hanno ancora risolto rispetto al sovraffollamento. Una delle grandi verità è quella di iniziare a prendere atto che il carcere è dovrebbe essere la sede in cui vige la legalità, non l’illegalità. Solo così, cioè con il buon esempio, si potrebbe iniziare a rivoluzionare il sistema che vorrebbe (almeno sulla carta) tentare di rieducare le persone che finiscono in carcere. "Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali". Così è scritto nella prima parte dell’articolo 3 della nostra Costituzione. La stessa che spesso rileggo e tento di comprendere. Un tempo non la conoscevo. Non me ne importava un granché della sua esistenza. Abbandonata la scuola dopo la quinta elementare iniziai a vivere ai margini della società, commettendo reati e violando sistematicamente le norme che regolano la civile convivenza. Poi, arrivò un tempo in cui finii in carcere compromettendo irreparabilmente la mia vita. Trascorsi numerosi anni leggendo libri, nel tentativo di aprire la mente, prendere consapevolezza di me stesso e crescere sotto il profilo della conoscenza e del sapere. Tutto ciò nella convinzione che in qualche modo questa era l’unica possibilità che potevo darmi per cercare di affrancarmi da una condizione di emarginazione e disadattamento sociale. Facendo un bilancio, però, mi rendo conto qualche volta che forse sarebbe stato meglio non conoscere, non sapere molte cose. Se non altro mi sarei risparmiato tutta una serie di bocconi amari che fanno fatica ad andare giù. Molti di questi riguardano proprio il carcere, le persone che lo popolano e tutto il sistema che lo amministra. La gravità delle condizioni in cui versano le nostre prigioni si pone in antitesi alla civiltà di un paese e alla sua stessa legalità. Quella che dovrebbe essere la prima protagonista di una struttura carceraria. Puglia: il ministro Orlando e Vendola firmano protocollo per pene alternative Asca, 30 maggio 2014 È stato firmato ieri pomeriggio a Roma il Protocollo d’intesa tra il Ministero della Giustizia, la Regione Puglia, l’Anci Puglia ed i Presidenti dei Tribunali di Sorveglianza di Bari, Lecce e Taranto. A sottoscriverlo il ministro Andrea Orlando, il presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, il presidente dell’Anci Puglia, Luigi Perrone, e i presidenti dei tribunali di sorveglianza, Silvia Maria Dominioni, Maria Giuseppina D’Addetta, Massimo Brandimarte. Il protocollo è finalizzato ad attuare urgenti azioni a sostegno dei programmi di reinserimento di chi sta scontando una pena, migliorare le condizioni del sistema detentivo e favorire l’integrazione dello stesso nel contesto territoriale di riferimento. Quello di oggi è il sesto protocollo, di questo tipo, firmato dall’insediamento del Governo guidato da Matteo Renzi e segue i protocolli già firmati con le Regioni Campania, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Umbria. In precedenza erano stati firmati altri due protocolli dal Ministro Cancellieri, con le Regioni Emilia Romagna e Toscana, mentre, a breve, saranno firmati analoghi protocolli con Lombardia e Sicilia. Una particolare attenzione è riservata a quei soggetti che, a causa della loro condizione di tossicodipendenti, necessitano di speciali percorsi riabilitativi, rieducativi e di reinserimento sociale e lavorativo. In questa ottica la Regione si impegna a definire interventi di potenziamento delle attuali strutture residenziali e semiresidenziali accreditate per programmi terapeutico-riabilitativi o pedagogico-riabilitativi, idonee ad ospitare detenuti in misura alternativa per detenzione domiciliare o affidamento in prova ai servizi sociali. Viene poi contemplato l’impegno della Regione a potenziare i presidi ambulatoriali dei Dipartimenti Dipendenze Patologiche, sia pure nei limiti imposti dai vincoli di riparto del Fondo Sanitario Nazionale e dal Piano Operativo Regionale di Salute 2013-2015, e ad incrementare la rete delle strutture di accoglienza residenziale per adulti in difficoltà e con problematiche psico-sociali, promuovendo e sostenendo gli investimenti strutturali necessari. Sono previsti provvedimenti per implementare le misure alternative alla detenzione, attraverso azioni orientate a sostenere progetti cofinanziati con la Cassa delle Ammende ed il Fondo Sociale Europeo con il pieno coinvolgimento delle comunità di riferimento e delle organizzazioni del Terzo Settore. In linea con i recenti interventi normativi che hanno previsto la possibilità di lavoro all’esterno dei detenuti, anche sotto forma di lavoro volontario, viene contemplato l’impegno a promuovere percorsi di formazione lavoro, anche a titolo volontario e gratuito, relativi a progetti di pubblica utilità. Orlando: con protocollo si comincia a uscire da emergenza "Il contenuto di questi protocolli è ormai consolidato, si tratta di costruire lo sviluppo di pene alternative ed è molto importante che questa firma avvenga con la Puglia, che soffre particolari problemi di sovraffollamento, così come accade in Campania". Lo ha detto il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, che questo pomeriggio a Roma ha firmato, con il presidente della Regione Puglia, Niki Vendola, un protocollo d’intesa a sostegno dei programmi di reinserimento di chi sta scontando una pena e per migliorare, quindi, la situazione del sistema detentivo. "In questo senso aggiungiamo un tassello importantissimo e non avevo alcun dubbio che il presidente Vendola avrebbe accolto il nostro invito, perché conosco la sua particolare sensibilizzazione in tema di civilizzazione delle carceri - ha spiegato. Con la Puglia siamo a oltre un terzo dei sistemi penitenziari del nostro Stato e comincia così a venir fuori un quadro nazionale. All’inizio c’era un certo scetticismo, ma entro la fine dell’anno l’insieme di questo percorso potrà spostare verso le comunità centinaia di persone". "Io mi ero posto l’obiettivo, prima di firmare questo protocollo, di arrivare a un numero di 500 detenuti che si spostavano dal carcere alla comunità e con molta cautela siamo molto oltre. E alla fine dell’anno si può arrivare al doppio - ha aggiunto -. Questo avviane nel giorno in cui la sentenza della corte di cassazione inciderà ulteriormente sui numeri. Tutti questi fattori daranno un senso alle cose che ho detto in questi giorni: cominciamo a uscire dall’emergenza, con situazioni ancora critiche, ma si comincia a vedere una prospettiva accettabile. In questo senso confido anche che si possano costruire percorsi di reinserimento dei detenuti". Secondo i dati di marzo risultavano detenuti per art. 73, detenzione e spaccio, 14mila persone, che con i reati collegati arrivano a 21mila. Nella sola Puglia, prima dello svuota carceri e di altre iniziative collegate, risultavano 4.570 detenuti e di cui 1.800 che scontavano la pena all’esterno, oggi si parla di circa 3620 persone, di cui 2300 persone che stanno scontando pena all’esterno del carcere. Marche: il Garante; popolazione carceraria scende da 1.225 a 974, ma restano criticità Ansa, 30 maggio 2014 È in calo la popolazione carceraria scesa da 1.225 reclusi a fine 2012 agli attuali 974, ma restano ancora numerose le criticità. Alla scadenza dell’anno di tempo che la Corte europea dei diritti umani ha dato all’Italia per migliorare il sistema carcerario, il Garante dei detenuti Italo Tanoni ha fatto il punto, insieme al presidente dell’Assemblea legislativa Vittoriano Solazzi, sulle condizioni nei sette istituti di pena delle Marche. "Sono consapevole che il nostro Paese sta vivendo non poche difficoltà, soprattutto dal punto di vista economico e finanziario - ha detto Solazzi. Ma i nostri padri costituenti hanno inserito nella Costituzione principi oggi troppe volte violati. La pena non deve essere soltanto la sanzione per un atto delittuoso ma deve anche aiutare chi ha sbagliato a riabilitarsi". Nei penitenziari marchigiani si trovano oggi 974 detenuti, rispetto ai 1.072 reclusi alla fine dell’anno scorso, e ai 1.225 del 2012. Le Marche sono scese nella classifica nazionale sul sovraffollamento dal quinto posto del 2012 al decimo posto del 2013,con una percentuale di affollamento del 26,6%. "La situazione è migliorata molto - ha spiegato il Garante - per effetto delle leggi Severino e Cancellieri". Tra le criticità e urgenze del pianeta carceri: la carenza di igiene degli ambienti, le attività lavorative, la qualità della vita, la medicina specialistica e l’odontoiatria, ma anche la mancanza in alcune realtà di personale direttivo, la non idoneità di alcuni istituti di pena. Sottolineata anche la necessità di rifinanziamento del piano carceri, con Camerino in testa, e la mancata applicazione del regolamento sull’abbattimento dei banconi nelle sale colloqui e dei decreti di espulsione. "Dare esecutività a questi provvedimenti - ha rilevato Tanoni - avrebbe un forte impatto sulla popolazione carceraria". Ci sono però anche punti di forza nella realtà carceraria marchigiana dove "è forte l’impegno finanziario e politico della Regione". In questi giorni i garanti italiani si stanno mobilitando in tutta Italia. "Abbiamo inviato un documento comune al ministro Orlando - ha annunciato Tanoni - chiedendo un incontro sui temi più importanti". Tra le urgenze, la nomina del Garante nazionale "che ci farebbe sentire più tutelati". E "riteniamo importante puntare sul semestre europeo a guida italiana per stabilire un diverso modello di giustizia e di detenzione, meno passivo e più responsabilizzante che permetta di ristabilire la dignità degli spazi e la qualità della vita dei luoghi di pena". Toscana: il Garante dei detenuti presenta dati e appello a istituzioni per sistema riforme Ristretti Orizzonti, 30 maggio 2014 Corleone fa il punto sulla situazione toscana e presenta l’appello per sistema di riforme. La situazione carceraria in Toscana e, in particolare, a Firenze e l’appello alle istituzioni per accelerare la via delle riforme legislative per ridurre il sovraffollamento nei penitenziari. Questi gli argomenti al centro della conferenza stampa che Franco Corleone, Garante regionale delle persone sottoposte a misure restrittive, terrà domani venerdì 30 maggio alle 11, nella saletta Montanelli, a palazzo Panciatichi (via Cavour 18). La conferenza stampa è stata decisa come un appuntamento che a fine maggio impegna tutti i garanti nelle loro realtà territoriali per affrontare il tema del riassetto complessivo del sistema carcerario, per sollecitare la nomina del Garante nazionale e per parlare dell’imminente sentenza della Corte europea per i diritti umani. L’Italia, infatti, dovrà conformarsi a quella sentenza, adottando rimedi strutturali capaci di ridurre la popolazione carceraria e di prevenirne la crescita. Nel corso dell’incontro Corleone presenterà anche il convegno "La chiusura dell’Opg di Montelupo Fiorentino per il superamento della logica manicomiale per il recupero della Villa Ambrogiana". Calabria: "The Indipendent" e il progetto di legge regionale sui detenuti che leggono libri Ansa, 30 maggio 2014 L’assessore regionale alla Cultura Mario Caligiuri ha reso noto che "la Regione Calabria viene citata come esempio positivo nel Regno Unito". Il quotidiano "The Indipendent" ha pubblicato infatti - informa una nota dell’ufficio stampa della giunta regionale - un lungo servizio giornalistico a firma di Lizzie Dearden sulla proposta di legge regionale avanzata dall’assessore alla Cultura della Regione Calabria Mario Caligiuri e approvata dalla Giunta. "Un libro letto in cella" - è detto ancora nel comunicato - significa tre giorni di pena in meno, fino ad un massimo di 48 all’anno: questa l’idea che ha suscitato l’interesse dei sudditi di Sua Maestà, alle prese con un dibattito molto serrato sulle nuove disposizioni sul carcere duro messe in atto dal Governo Cameron, che di fatto limitano il consumo di libri nelle carceri britanniche vietando l’invio ai detenuti di pacchi e soldi. La notizia à stata diffusa da Mmasciata.it, giovane start up giornalistica indipendente promossa in Calabria". Aversa (Ce): accordo tra Comune e Opg, internati impiegati in lavori di utilità sociale www.campanianotizie.com, 30 maggio 2014 "Vogliamo dare la possibilità agli internati dell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario Filippo Saporito di svolgere un’attività lavorativa di pubblica utilità a favore della collettività come strumento rieducativo. Per questo abbiamo deliberato in giunta la sottoscrizione di un protocollo d’intesa tra il Comune di Aversa e l’Opg per l’inserimento di due internati in attività lavorative". Lo ha detto il sindaco di Aversa, Giuseppe Sagliocco, che spiega come "sia necessario dare avvio sul territorio di Aversa ad una cultura di accettazione reciproca nella quale gli interessi dei singoli e della collettività possano coesistere non solo in maniera armonica, ma diano la possibilità di una soluzione positiva ed innovativa condivisa al bisogno di giustizia espresso dalla collettività e a quella di ‘riscattò espresso dal singolo, nell’ottica della cosiddetta giustizia riparativa". "Il territorio, inoltre - continua Sagliocco - in questo modo può diventare un elemento vitale e di impatto diretto sulla crescita e cambiamento del percorso di inclusione sociale, in termini di emancipazione e di responsabilizzazione della persona di stato di detenzione". Il protocollo d’intesa tra l’Ospedale Psichiatrico Giudiziario Filippo Saporito ed il Comune di Aversa si propone di creare un sistema integrato tra i due Enti che si prenda carico dell’intero percorso tratta mentale dei detenuti, aumentando la sensibilizzazione territoriale sul tema della popolazione carceraria. Gli internati che saranno impiegati in lavori di pubblica utilità all’esterno, individuati secondo presupposti per i quali sussistano le condizioni per l’ammissione alle licenze per prestare attività di pubblica utilità, avranno una copertura assicurativa e riceveranno la corresponsione di un rimborso forfettario per il vitto. "Il primo progetto, che partirà a breve - ha detto Sagliocco - prevede l’utilizzo di due internati, che saranno scelti dalla direzione dell’Opg, per lavori di tinteggiatura di alcune sale del centro culturale Caianiello (ex macello). Lavoreranno per due settimane dalle 10.30 alle 12.30 e dalle 13.30 alle 15.30 e saranno accompagnati da personale della Polizia Penitenziaria". Busto Arsizio: carcere troppo piccolo, in arrivo cento celle in più di Rosella Formenti Il Giorno, 30 maggio 2014 Lavori in corso al carcere di Busto Arsizio per ampliare lo spazio a disposizione dei detenuti. Per l’estate saranno pronte 100 celle aggiuntive e un nuovo giardino per i colloqui con i familiari. "Lavori in corso" al carcere di Busto Arsizio, in via per Cassano, che l’altro giorno, il 28 maggio, ha compiuto trent’anni. All’interno della struttura si stanno attuando cambiamenti importanti e realizzando 100 nuove celle che consentiranno di migliorare le condizioni di vita dei detenuti. La casa circondariale bustese, a cui è stata dedicata una giornata di approfondimento nell’ambito delle "Giornate della solidarietà e inclusione sociale", promosse dall’amministrazione comunale, favorendo l’incontro con la città, soffre come molte realtà detentive italiane di sovraffollamento. Attualmente sono 415 i detenuti, una gran parte sono stranieri, a fronte di una capienza di 167, una situazione molto pesante, tanto che nel gennaio 2013 dalla Corte europea dei diritti umani è arrivata all’Italia la condanna per "trattamento inumano" dei carcerati. La Corte aveva accolto il ricorso presentato da un gruppo di detenuti, del carcere di Busto Arsizio e di Piacenza, ed era scattata la sanzione con l’obbligo per lo Stato italiano di attuare interventi per rispettare le regole europee. Dopo la "bocciatura" in via per Cassano da mesi si sta lavorando proprio per migliorare la situazione e mettere a disposizione più spazi ai detenuti. "La Corte dice che ciascun detenuto deve avere a disposizione 7 metri quadri se passa la maggior parte della giornata in cella - spiega il direttore Orazio Sorrentini - ma i metri scendono a tre se si passano almeno 8 ore fuori da quello spazio. Su questo stiamo lavorando con le diverse attività dell’area trattamentale". All’interno della struttura c’è massimo impegno dunque per migliorare la situazione come ha richiesto l’Europa. "Rendere il carcere più vivibile - continua il direttore - è un impegno e un vantaggio per l’intera comunità. Rispetto al passato, a trent’anni fa, molte cose sono cambiate, oggi la concezione non è più quella della mera detenzione, ma si deve puntare sulla rieducazione. Noi stiamo lavorando per migliorare, per riportare la casa circondariale dentro le norme europee e a metà luglio gli interventi grazie ai quali ci saranno nuove celle dovrebbero essere completati". Lo spazio per le nuove celle, che avranno doccia e wc, è stato individuato nell’area prima utilizzata per la socialità, le cui attività hanno traslocato nell’ala fino ad alcuni mesi fa "dedicata" ai collaboratori di giustizia trasferiti in altre strutture. Non solo nuove celle, ma anche un giardino dove si potranno tenere i colloqui con i familiari. Massima l’attenzione nei confronti del carcere dell’amministrazione comunale bustese, che ha avviato anche un rapporto di collaborazione per inserimenti lavorativi. "Abbiamo voluto dedicare una giornata di approfondimento alla realtà bustese - spiega il sindaco Gigi Farioli - in occasione dei trent’anni della struttura e dell’anniversario dell’opera di Cesare Beccaria "Dei delitti e delle pene". Un’occasione di riflessione aperta a tutta la città per valutare i cambiamenti in atto e per approfondire la funzione del carcere. All’interno della realtà bustese grazie all’azione locale e alle associazioni la situazione è migliore rispetto ad altre realtà". Nonostante le difficoltà all’interno della casa circondariale bustese continuano importanti esperienze, un fiore all’occhiello: si tratta del laboratorio di cioccolateria, i cui prodotti hanno ottenuto importanti riconoscimenti nazionali per l’ottima qualità e il panificio, che già richiede un incremento di attività. Verona: la Garante; 150 detenuti in meno di sei mesi, ma aumentano gli stranieri www.veronasera.it, 30 maggio 2014 Rispetto a un anno fa la situazione è migliorata ma il sovraffollamento resta pur sempre una piaga. Recuperate tutti gli spazi disponibili, aperti dei circuiti speciali per le persone in fase di dimissione e per i giovani. Rispetto a un anno fa la situazione in carcere è migliorata ma il sovraffollamento resta pur sempre una piaga. È il responso della relazione del garante dei detenuti sull’attività svolta nel 2013. Nella casa circondariale di Montorio, al 31 dicembre 2013, i detenuti erano 830, scesi ad oggi a quota 688, sono invece 937 le persone che usufruiscono delle misure alternative al carcere, dei quali solo il 7 percento è recidivo. Vi è inoltre un aumento dei detenuti stranieri così come un incremento degli uomini rispetto alle donne. "Lo scorso anno - ha spiegato Margherita Forestan, garante dei detenuti - abbiamo cercato di portare a temine quanto ci eravamo prefissati: sono state recuperate tutte le celle disponibili; aperti dei circuiti speciali per i detenuti in fase di dimissione e per i giovani; avviati regimi differenziati per le persone non significativamente pericolose; aperte otto ore al giorno tutte le celle, risultando uno dei primi istituti nel Veneto a farlo; aperti illimitatamente i blindi; avviate al lavoro interno ed esterno più persone possibili; incrementate le attività scolastiche e di formazione; permesse sei ore al giorno di passeggio e vigilanza indiretta". Continua Forestan: "Per quanto riguarda l’attività personale del garante, lo scorso anno ho effettuato 885 colloqui personali, 12 incontri di gruppo con i rappresentanti della diverse sezioni, 26 incontri con gruppi di familiari; tutti i giorni mi sono recata in carcere e quindi ho avuto la possibilità di effettuare visite alla strutture; grazie al sostegno economico di Fondazione Biondani-Ravetta sono state consegnate ai detenuti schede telefoniche prepagate per chiamare dal carcere i familiari". Obiettivi del 2014 sono aumentare le attività per il miglioramento del rapporto tra bambini e genitori detenuti; sistemare le docce ad oggi inagibili; far sì che i detenuti abbiano la possibilità di acquistare direttamente prodotti dal libero mercato; attrezzare la palestra; rinnovare ed ampliare le biblioteche. Grazie al progetto Esodo, sono stati attivati percorsi di formazione per 411 persone, percorsi di sostegno psicologico per 113 detenuti, orientamento sul lavoro per 193 soggetti; inoltre una persona è stata inserita in laboratori occupazionali, 136 hanno avuto la possibilità di effettuare tirocini, 26 sono stati inseriti nel mondo del lavoro con regolare contratto e 91 persone sono state accolte in residenza. Trieste: detenuto anziano e malato, niente domiciliari perché non ha una casa www.today.it, 30 maggio 2014 Vincenzo Varesano ha 76 anni e una condanna per bancarotta fraudolenta. Nonostante l’età e i problemi di salute non potrà scontare la pena ai domiciliari. La ragione: non ha una casa. Rimarra in cella perché non sa dove andare. È questa la triste storia di Vincenzo Varesano, 76 anni: ha iniziato a ottobre del 2012 a scontare la pena per bancarotta fraudolenta nel carcere di Trieste. L’anziano soffre di problemi di ipertensione e ha difficoltà a camminare, visto che il 17 gennaio si è fratturato una gamba. Così aveva chiesto la possibilità di scontare la sua pena ai domiciliari, vista anche l’età avanzata. Così il suo avvocato aveva presentato ricorso il 7 gennaio. Ad aprile arriva la decisione del magistrato di sorveglianza: niente arresti domiciliari perché Varesano non ha una casa e tanto meno i soldi per un alloggio. Così adesso si stanno cercando soluzioni alternative attraverso i servizi sociali. Ma per ora l’uomo rimarrà in carcere. L’avvocato di Varesano, Sergio Mameli, dichiara: "È inconcepibile non si possa trovare una sistemazione, non disponendo il signor Varesano di un alloggio. Perché in tre mesi non sono stati in grado di arrivare a una soluzione?". Il Garante dei diritti dei detenuti, Rosanna Palci, invece cerca di spiegare le difficoltà della questione: "In generale, se vi sono case disponibili o riferimenti di parentela, le situazioni sono diverse. La circostanza, qui, non aiuta. Sarebbe possibile il trasferimento in casa di riposo, dove è però necessario pagare. Ci sono centri clinici dove poter inserire i detenuti per gravi patologie. Certo è effettivamente questo è un caso limite. E il magistrato deve avere parametri di certezza". Oristano: Sdr; il nuovo carcere di Massama è già sovraffollato, parte protesta detenuti Ristretti Orizzonti, 30 maggio 2014 "Da una settimana operiamo la battitura delle grate al fine di sensibilizzare la Direzione e l’opinione pubblica affinché venga sentita la nostra voce. Ci stanno ammassando tre per cella. Hanno messo le reti metalliche alle finestre con conseguenze dannose per la vista. Non ci sono corsi di formazione, i pochissimi lavori equivalgono a una riduzione in schiavitù perché viene pagata solo un’ora anziché quelle realmente svolte". Sono alcune delle segnalazioni giunte all’associazione "Socialismo Diritti Riforme" dai detenuti di due sezioni del carcere di Massama-Oristano costruito per ospitare non più di 250 detenuti. "La realtà della struttura penitenziaria - sottolinea Maria Grazia Caligaris, presidente di Sdr - risulta purtroppo molto diversa da quella prevista. Attualmente sono ristretti oltre 270 cittadini, 210 in regime di Alta Sicurezza, con 32 ergastolani. Si tratta prevalentemente di detenuti provenienti dal Meridione: calabresi, campani, pugliesi e siciliani in carcere ormai da molti anni. L’Istituto oristanese però non solo non garantisce, come invece è sempre stato, le celle singole a quanti hanno il fine pena mai, ma a fronte di due posti letto per camera detentiva in poche settimane con il terzo letto ha raggiunto condizioni di sovraffollamento insopportabile con conseguenti forti tensioni. Non solo, a gestire la rieducazione ci sono solo tre educatori e 160 Agenti che si riducono a 80 per ciascun turno. Il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria tuttavia sembra deciso ad ignorare le difficoltà e si profilano nuovi arrivi nelle prossime settimane". "A rendere la situazione ancora più difficile - evidenzia Caligaris - è la scarsa disponibilità di occasioni di lavoro associata agli irrisori fondi assegnati dal Ministero per le mercedi. Ciò significa che lo scopino, lo spesino e i lavoranti di sezione non ricevono il pagamento delle ore effettive di lavoro ma solo di una parte con evidenti nuovi ulteriori tensioni che la Direzione suo malgrado deve gestire. Risulta inoltre inspiegabile perché i detenuti in regime di Alta Sicurezza siano stati concentrati nelle strutture di Massama e Nuchis. Si tratta di persone che avendo alle spalle diversi lustri in cella manifestano anche diversi problemi sanitari che richiedono spesso l’intervento di visite specialistiche". "Aldilà della buona volontà della Direzione, il carcere di Massama non sembra nato sotto una buona stella. Nonostante il costo di 40 milioni di euro, subito dopo l’inaugurazione è stato necessario smantellare buona parte della pavimentazione in diversi corpi del complesso per provvedere alla mancata impermeabilizzazione, poi sono iniziati i disagi e la moltiplicazione delle lamentele. È forse opportuno che il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria - conclude la presidente di SDR - smetta di inviare nuovi ospiti e provveda a garantire i diritti dei cittadini privati della libertà". Aosta: il Garante; la popolazione carceraria a Brissogne è rientrata nei limiti di legge www.aostasera.it, 30 maggio 2014 "A fronte di una capienza regolamentare di 181 unità a fine 2012 - ha spiegato il Garante, Enrico Formento Dojot - i detenuti presenti erano 281, a fine 2013 erano ancora 200, mentre a fine aprile 2014 si sono ridotti a 169 unità, di cui 114 stranieri". La popolazione carceraria della Casa circondariale di Brissogne è rientrata nei limiti consentiti dalla legge. Lo ha comunicato questo pomeriggio il Garante dei diritti delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale della Valle d’Aosta, Enrico Formento Dojot, in una conferenza stampa "A fronte di una capienza regolamentare di 181 unità a fine 2012 - ha spiegato - i detenuti presenti erano 281, a fine 2013 erano ancora 200, mentre a fine aprile 2014 si sono ridotti a 169 unità, di cui 114 stranieri". La diminuzione è avvenuta in seguito alle riforme legislative introdotte per porre rimedio al problema del sovraffollamento delle carceri. Il Garante valdostano ha, infatti, ricordato che ieri, mercoledì 28 maggio, è scaduto l’anno di tempo che la Cedu aveva assegnato all’Italia nella sentenza Torreggiani, pronunciata l’8 gennaio 2013, per porre rimedio alle condizioni dei detenuti giudicate dalla Corte degradanti in violazione dell’articolo 3 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali il quale sancisce il divieto di tortura. Bolzano: Uil-Pa; giudice lavoro condanna direzione del carcere per attività antisindacale Ansa, 30 maggio 2014 "Il giudice del lavoro del tribunale di Bolzano, Francesca Muscetta, ieri mattina si è pronunciata con una sentenza di condanna avverso il Ministero della Giustizia, ovvero avverso la Direzione del carcere di Bolzano, per attività antisindacale a seguito di denuncia inoltrata dalla segreteria provinciale della Uilpa Penitenziari di Bolzano". Lo comunica Eugenio Sarno, segretario generale Uilpa. "Considerata la determinazione e l’ostinazione della direzione - dichiara Sarno - di non rapportarsi e non confrontarsi sulla modifica dell’orario dei turni di piantonamento disposti per la sorveglianza di detenuti ricoverati in strutture esterne di cura non abbiamo potuto esimerci dal chiedere all’autorità giudiziaria competente se tali atteggiamenti non configurassero attività antisindacale. Oggi la sentenza che, evidentemente, riconosce appieno le nostre ragioni" Per il segretario generale della Uilpa Penitenziari la sentenza di Bolzano "è un monito a recuperare corrette relazioni sindacali su tutto il territorio". Napoli: Camera penale; sovraffollamento, ci vuole l’amnistia ma c’è troppa indifferenza di Claudia Sparavigna Roma, 30 maggio 2014 È scaduto il 28 maggio scorso il termine ultimo fissato dall’Europa, con la sentenza Torreggiarli, per risistemare l’assetto delle carceri italiane. Per accendere i riflettori su questo annoso problema per il quale pare che nulla di concreto sia stato ancora fatto, la Camera Penale di Napoli ha portato avanti tre giorni di astensione dalle udienze. "L’astensione è condivisa al massimo da tutti - dichiara l’Avvocato Domenico Ciruzzi, Presidente della camera penale di Napoli - Noi non possiamo essere solo dei tecnici freddi, come intellettuali non possiamo stare zitti di fronte a un problema così importante come quello che riguarda la situazione carceraria in Italia. C’è un dossier che i Radicali Italiani hanno prodotto e lo hanno portato a Bruxelles, in cui affermano che la situazione non ha subito cambiamenti. Praticamente il contrario di quanto dice il ministro Orlando". Ancora una volta, amnistia e indulto sembrano l’unica strada perseguibile. "Non sono un male necessario - prosegue Ciruzzi - ma un atto dovuto perché se riconosciamo che ci sono squilibri di risorse economiche ed educative che influenzano la pena, dobbiamo ammettere che ci sono temi sociali molto forti che creano una disparità di partenza. Molte volte non c’è un libero arbitrio reale, ma condizioni di necessità". Nonostante le iniziative portate avanti dalla Camera penale di Napoli siano state varie e molteplici, per il presidente Ciruzzi "sono una goccia in un mare di indifferenza". "A me sembra-conclude l’avvocato - che un giudizio gravissimo sia già stato dato e la situazione non è sostanzialmente cambiata. Quindi la prossima settimana arriveranno le multe a meno di una proroga utile solo ad attuare un’amnistia o un indulto, in tempi così brevi. Una scadenza europea così pesante forse poteva essere maggiormente illuminata. Bisogna accendere i riflettori sul problema, vista anche la proroga che il Governo ha dato alla chiusura degli Ospedali psichiatrici Giudiziari. Infatti, l’Osservatorio Carceri della camera penale ha intenzione, nei prossimi giorni di effettuare visite". Catania: mediatori penali per una giustizia riparativa, ecco la proposta del Cirpe di Laura Malandrino Avvenire, 30 maggio 2014 Mediatori indipendenti dall’autorità giudiziaria chiamati a favorire il dialogo tra le vittime e i colpevoli di un reato, in particolare minori. Una figura professionale prevista dalla giustizia riparativa, ma di fatto nuova in Italia, su cui ha scelto di puntare il Centro iniziative ricerche e programmazione economica (Cirpe) di Catania. "In Italia le pratiche di mediazione sono oggetto di riflessione, studio e applicazione concreta solo da pochi anni sulla base di quanto definito nelle linee guida elaborate nel nostro Paese dall’Ufficio centrale per la giustizia minorile del Ministero della giustizia - spiega Piera Vaccaro, direttore generale del Cirpe. Mentre in Europa il principio della riduzione degli interventi giudiziari al minimo indispensabile si è affermato da tempo". Proprio in risposta alle linee guida nazionali a Catania nell’ambito di un corso sulla mediazione penale minorile il Cirpe ha messo a punto un laboratorio di scrittura creativa che ha confermato la validità del principio della giustizia riparativa. In un territorio che raggiunge livelli record di devianza minorile come la provincia di Catania, un gruppo di 13 studentesse e studenti laureati in materie umanistiche, alcuni già abilitati assistenti sociali o inseriti nella carriera forense ed altri specializzandi in psico-terapia, hanno sperimentato l’efficacia dell’approccio alternativo alla giustizia penitenziaria con i giovani detenuti del carcere minorile etneo. "Nell’incontro con i minori detenuti abbiamo cercato di scoprire chi avevamo di fronte e di scavare con lo scandaglio sulle cause che avevano portato all’evento da cui poi è scaturito il reato e quindi l’ingresso nell’istituto di pena - raccontano i partecipanti al corso - allo scopo di pianificare per il detenuto un percorso di cura della devianza e di prevenzione della stessa". In particolare, "abbiamo proposto agli studenti un laboratorio di scrittura creativa per sperimentare concretamente l’idea di fondo che sta alla base della giustizia riparativa - spiega il sociologo Claudio Saita, docente al Dipartimento di Scienze politiche e sociali dell’Università di Catania -. Quest’idea non è un principio ideologico ma una concezione della pena che implica un metodo ed un contenuto nell’avvio e nella gestione del processo di mediazione da un lato, e della relazione con il contesto interno all’istituto di pena e soprattutto con il contesto esterno dall’altro". In altri termini "tutti i soggetti presenti nel territorio: statali e locali, privati e pubblici, siamo chiamati a potenziare e strutturare l’intervento dei servizi penali minorili lavorando in rete per il reinserimento sociale dei giovani detenuti". Dopo il laboratorio gli studenti hanno svolto stage presso associazioni e comunità di accoglienza della provincia di Catania che lavorano con minori provenienti dall’area penale applicando i principi della giustizia riparativa. Firenze: il "Centro Robert Kennedy" riflette sul dramma delle carceri italiane di Roberto Davide Papini La Nazione, 30 maggio 2014 Un incontro nella sede fiorentina di via Ghibellina con Perduca, Caputo, Poidomani e Ceri. La Commissione europea dei diritti dell’Uomo ha messo l’Italia sotto accusa. "L’Italia è da anni sotto strettissima osservazione da parte della Cedu (la Commissione europea per i diritti dell’Uomo) per la condizione delle carceri, per i trattamenti inumani e degradanti verso i detenuti e i tempi della giustizia". Marco Perduca, esponente del Partito Radicale ed ex senatore, sintetizza così la poco brillante situazione del nostro Paese alla luce dell’ultimatum (scaduto il 28 maggio) che la Cedu ha dato all’Italia per porre rimedio cambiare la situazione, a partire dal sovraffollamento. Senza dimenticare le difficili condizioni di lavoro di agenti penitenziario e operatori carcerari in genere. L’occasione è stata fornita Centro per la giustizia e i diritti umani "Robert F. Kennedy" che ha organizzato nella sua sede fiorentina di via Ghibellina (significativamente proprio all’interno dell"ex carcere delle Murate) un incontro sul tema "La questione delle carceri in Europa: il problema del sovraffollamento" con la partecipazione di Perduca, Giuseppe Caputo (membro de "L’altro diritto", centro di documentazione sul carcere), Giorgio Poidomani (manager e impegnato in un laboratorio giornalistico dentro il carcere romano di Rebibbia) e Giada Ceri (scrittrice e promotrice di iniziative per garantire il diritto alla lettura dei detenuti), introdotti e moderati da Valentina Pagliai, responsabile per l’Europa del programma di educazione ai diritti umani del Robert F. Kennedy Center. Perduca ha sottolineato come "i trattamenti inumani e degradanti non consistono solo nel costringere le persone a vivere in celle sovraffollate e con pochi metri quadrati a disposizione (a gennaio c’erano 65mila detenuti rispetto ai 45mila posti previsti, anche se per i radicali i posti regolamentari sarebbero solo 42mila), ma anche nel non fornire in generale condizioni di vita quotidiana che siano degne". Per Perduca è essenziale utilizzare gli strumenti di amnistia e indulto per creare condizioni diverse. Caputo ha insistito sul fatto che il diritto alla salute del detenuto non sia sufficientemente garantito e sia sottovalutato anche dalla stessa Cedu. "Finora le strategie del governo sono state solo di dilazione rispetto al problema. Comunque - aggiunge Caputo - sono scettico sull’efficacia di amnistia e indulto. Il problema di questo Paese è che si ricorre troppo al codice penale". Poidomani si è soffermato sulle "piccole angherie quotidiane" alle quali sono sottoposti i detenuti e sulle grandi differenze che esistono tra un carcere e un altro relativamente alle condizioni di vita e alle possibilità di attività e lavoro per chi sta in prigione. "Il problema più grave è il dopo, perché chi esce e non ha potuto imparare un mestiere in carcere si trova fuori senza saper fare nulla. Quello del lavoro è un aspetto fondamentale perché è dimostrato che chi lavora in carcere ha un tasso di recidività del 16% una volta uscito, mentre per chi non lavora il tasso è dell’80%". Anche Ceri ha insistito sull’importanza del diritto alla salute dei detenuti ("da tempo è passata dall’amministrazione penitenziaria alle Asl, ma di fatto questo passaggio non si realizza"), ha osservato come lo spostamento delle carceri fuori dalle città (come nel caso di Sollicciano, rispetto alle Murate a Firenze) è dovuto all’idea per cui il carcere non è una cosa che ci riguardi. Verona: sabato 7 giugno convegno "C’è mondo del lavoro fuori dalle mura del carcere?" www.lafraternita.it, 30 maggio 2014 È il titolo del convegno che si svolgerà sabato 7 giugno, dalle ore 9, nell’aula T1 del Polo Zanotto, ma è anche la domanda ricorrente e inquietante che la maggior parte delle persone scarcerate o in vista della scarcerazione ci rivolgono. "Non vogliamo continuare nelle abitudini precedenti", dicono, "non siamo nati per finire in carcere, abbiamo capito che dobbiamo impegnarci in una vita regolare per campare col nostro lavoro". Sì, ma quale lavoro che non c’è? Come farcela senza un legittimo sostentamento? Come non sentirsi inutili, incapaci di provvedere ai bisogni essenziali (a volte anche dei familiari a carico), senza dignità? Da questo grido di disperazione è nato l’assegno di ricerca che l’Associazione La Fraternità, grazie ad una donazione privata, ha deciso di finanziare al Dipartimento Tempo Spazio Immagine Società (Te.S.I.S.) dell’Università di Verona, che a sua volta ne ha affidato la Direzione scientifica a Giorgio Gosetti. Si è pensato che distribuire contributi a pioggia ai singoli richiedenti avrebbe solo spostato un po’ in avanti gli stessi problemi irrisolti. Più efficace potrebbe essere lo studio del mercato del lavoro locale e l’identificazione e promozione di percorsi mirati all’inserimento lavorativo dopo la pena. Argomento quindi della ricerca è stato: "Occupazione, lavoro e carcere. Il profilo della rete di accesso al lavoro per le persone ex detenute". Della ricerca è stata incaricata Beatrice Gusmano, che ha lavorato sul tema per un anno a pieno tempo. Dagli incontri con esperti ed operatori dell’area veronese è nata la proposta di collegare diversi soggetti in una rete capace di affrontare un insieme di compiti nei riguardi delle associazioni i di categoria e delle singole imprese, delle organizzazioni sindacali, degli enti locali, delle istituzioni penitenziarie. Si tratta di far leva sui vantaggi fiscali ma anche sull’etica di responsabilità sociale dell’impresa, per la prevenzione dei reati, evitando però che questo vada a scapito di altre fasce di disoccupati; si tratta di raccogliere informazioni e proiezioni sulle professionalità richieste e di formare per tempo i detenuti di Montorio nella sezione dei prossimi dimittendi; si tratta anche di trovare sensibilità e forme organizzative e contrattuali perché i Comuni ricorrano più largamente alla disponibilità di lavoro socialmente utile offerta durante e dopo la pena. Il convegno del 7 giugno prossimo, "C’è mondo del lavoro fuori dalle mura del carcere? Riflessioni e progetti a partire da un’esperienza di ricerca", dedica la mattinata all’esposizione dei risultati della ricerca e agli interventi dei rappresentanti delle istituzioni penitenziarie. Nel pomeriggio la proposta di un’organizzazione in rete sarà discussa da esponenti di associazioni imprenditoriali e sindacali, agenzie formative, enti locali. Droghe: dopo sentenza Cassazione, i commenti degli esponenti politici e degli operatori Ristretti Orizzonti, 30 maggio 2014 "Questo inciderà significativamente, anche se non siamo in grado di dire come, con quali numeri". Lo ha detto il ministro della giustizia, Andrea Orlando, in occasione della firma di un protocollo d’intesa con la regione Puglia, commentando così la sentenza della Corte di Cassazione di oggi che ha stabilito che potrà essere rideterminata la pena per i condannati per reati legati alla droga. "Avevamo previsto una serie di fatti che avrebbero migliorato la situazione, che si sono progressivamente realizzati - ha spiegato -. Questo era un fatto non previsto, perché non avevamo ipotizzato, nella nostra strategia, un’aggressione del giudicato, una modifica del giudicato stesso, come è avvenuto con questa sentenza della Corte. Questo ci fa dire che l’uscita dall’emergenza non solo ci sarà ma, probabilmente, sarà anche più rapida di quello che prevedevamo". Ferri: da sentenza cassazione effetto positivo per carceri "La decisione della Cassazione che, anche per le condanne definitive, ha imposto di ricalcolare le pene che erano state comminate in base alla legge Fini-Giovanardi, potrà avere un effetto positivo sul problema del sovraffollamento carcerario". È quanto dichiara il sottosegretario al ministero della Giustizia, Cosimo Maria Ferri, ricordando che "la decisione della Cassazione è una conseguenza del fatto che la Fini-Giovanardi è stata dichiarata incostituzionale". Osserva Ferri che "l’incostituzionalità non comporta l’eliminazione delle condanne già passate in giudicato, perché la sentenza della Corte Costituzionale non aveva soppresso il reato di spaccio. Però, poiché quella sentenza aveva dichiarato incostituzionali le norme che stabilivano l’entità delle pene da applicare, ora la Cassazione ha affermato che si deve ricalcolare la durata di quelle pene che erano state comminate applicando la Fini-Giovanardi e questo nuovo calcolo deve essere compiuto facendo riferimento non più alla Fini Giovanardi ma alla legge che era in vigore in precedenza". Per il sottosegretario alla Giustizia "al momento, non è possibile quantificare il numero delle eventuali scarcerazioni. Quello che si può dire è che vi è la possibilità che alcune migliaia di persone detenute per reati di spaccio di stupefacenti potranno ottenere una riduzione di pena". Radicali: dopo cassazione, ancora più obbligati amnistia e indulto "Con il verdetto di oggi della Cassazione aumenteranno a dismisura i carichi dei giudici ordinari che dovranno affrontare i procedimenti camerali attraverso i quali si dovrà ricalcolare al ribasso la pena di migliaia e migliaia di detenuti sia per il piccolo spaccio messo in atto da recidivi, sia per lo spaccio di sostanze stupefacenti leggere che con la Fini-Giovanardi (dichiarata incostituzionale dalla Consulta), venivano equiparate alle droghe pesanti anche per le ipotesi lievi di spaccio". Lo dichiara in una nota il segretario di Radicali italiani Rita Bernardini, aggiungendo: "Istituzioni serie - che abbiano a cuore lo Stato di diritto e quindi la legalità della giustizia e della pena - dovrebbero immediatamente attivarsi per dare alla luce un provvedimento di amnistia e di indulto che liberando le scrivanie dei magistrati consentirebbe di indirizzare maggiori forze per perseguire i reati gravi e, con l’indulto, farebbe uscire dal carcere chi deve scontare gli ultimi due o tre anni di detenzione fra i quali le migliaia di reclusi vittime della legge Fini-Giovanardi". Antigone: decisione aiuterà decongestionare carceri "La decisione delle sezioni unite della Cassazione contribuirà a decongestionare il sistema penitenziario": lo ha sottolineato Patrizio Gonnella, Presidente nazionale di Antigone. Secondo la pronuncia della Cassazione infatti, arrivata sulla base della sentenza della Consulta del 2012 che aveva dichiarato incostituzionale la legge Fini-Giovanardi, i condannati in via definitiva e recidivi per spaccio lieve di droga potranno chiedere il ricalcolo, al ribasso della pena. "Tutti i detenuti che hanno subito gli eccessi di pena della legge Fini-Giovanardi potranno ora finalmente ottenere il ricalcolo del loro periodo di detenzione", sottolinea il presidente di Antigone, ricordando che si tratta di "varie migliaia di persone". "Speriamo che ora - ha concluso Gonnella - i tempi della giustizia siano sufficientemente rapidi affinché, nel giro di qualche mese, tutti gli aventi diritto possano vedere la loro pena finalmente ridotta come deciso prima dalla Corte Costituzionale e ora dalla Corte di Cassazione". Garante Lazio: effetti benefici su sovraffollamento carceri "Esprimo grande soddisfazione per questa sentenza tanto attesa e che finalmente interviene su un vulnus costituzionale che si era prodotto". Lo dichiara, in una nota, il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni commentando la sentenza odierna delle sezioni unite della Corte di Cassazione, molto attesa dopo il pronunciamento della Corte Costituzionale sulla legge Fini Giovanardi In sostanza la nuova legge ha reintrodotto la distinzione tra droghe leggere e pesanti, con l’effetto di far diminuire in maniera significativa la pena per chi è stato condannato per detenzione di solo hashish o marijuana. Fino ad oggi la norma pareva utilizzabile solo per chi non era ancora stata condannato in via definitiva, mentre non sembrava applicabile ai definitivi. La sentenza ha invece esteso tale disciplina anche agli irrevocabili. In virtù di ciò, quanti stanno scontando una pena per violazione dell’art. 73 dpr 309/90 per possesso di solo hashish o marijuana possono presentare un incidente di esecuzione, chiedendo di ricalcolare la loro pena. Penalisti: sentenza cassazione positiva, ma serve ugualmente indulto "La sentenza pronunciata oggi dalla Cassazione è un deciso passo avanti dal punto di vista della giurisprudenza e della civiltà giuridica, ma non deve essere l’occasione per la politica di scaricare sul sistema giudiziario il problema del sovraffollamento delle carceri, che l’applicazione di questa sentenza non risolve". Lo scrive in una nota l’Unione delle camere penali italiane. "Dai primi commenti politici alla sentenza delle Sezioni Unite - si legge nella nota dei penalisti - si coglie con evidenza il tentativo, in punto di sovraffollamento carcerario, di far fare il lavoro sporco ai tribunali, invece di assumersi responsabilità che competono solo alla politica. I tempi di applicazione di questa sentenza, che prevede la rideterminazione della pena in sede esecutiva, il sovraccarico che la stessa produrrà sul sistema giudiziario e l’incertezza sulla platea di detenuti che sarà interessata consentono di dire che tutto ciò non sposta nulla rispetto alla necessità di un provvedimento di clemenza generalizzato che possa interrompere - conclude la nota - la disumana situazione di trattamento dei detenuti nelle carceri italiane, che rimane un problema ineludibile". Sappe: dopo cassazione 23mila potenziali detenuti ricorrenti "È evidente che quanto stabilito dalle sezioni unite penali della Cassazione, e cioè che dovranno essere riviste al ribasso le pene definitive per i piccoli spacciatori, potrà incidere significativamente sulle presenze nelle carceri in Italia. Per violazione al testo unico degli stupefacenti abbiamo infatti oggi in Italia detenute circa 23mila persone, il 40% delle quali straniere. Di tutti questi, bisognerà poi vedere quanti sono i potenziali ricorrenti". Lo sottolinea Donato Capece, segretario generale del Sappe, Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria. "A un intervento di questo tipo non va però disgiunto, a nostro avviso, un maggiore ricorso alle misure alternative alla carcerazione anche per le persone tossicodipendenti recluse", aggiunge. "Vedremo quanto inciderà dunque l’autorevole pronunciamento. Certo è che vi è anche la necessità di riformare il sistema di giustizia criminale nei confronti delle persone tossicodipendenti (e cioè affetti da una vera e propria malattia quale è la dipendenza da sostanze stupefacenti) che abbiamo commesso reati in relazione al loro stato di malattia". "Questo per evitare la carcerazione attraverso interventi alternativi, da attivare già durante la fase del processo per direttissima, di cura e riabilitazione controllate e gestite in regime extracarcerario con l’ausilio dei servizi pubblici e delle comunità terapeutiche". Israele-Anp: ripresa colloqui di pace solo in cambio di liberazione detenuti palestinesi Nova, 30 maggio 2014 Il presidente dell’Autorità nazionale palestinese (Anp), Mahmoud Abbas, ha espresso la sua disponibilità a riprendere i colloqui di pace con Israele a condizione che le autorità dello stato israeliano sospendano la costruzione di nuovi insediamenti e rilascino il quarto gruppo di detenuti palestinesi sulla base degli accordi dello scorso luglio: lo riferisce l’emittente televisiva "al Arabiya". "Solo dopo sarà possibile raggiungere un accordo per una soluzione definitiva della questione palestinese", ha spiegato Abbas a 300 attivisti israeliani giunti nel suo ufficio a Ramallah. "Vi ribadisco che non c’è alternativa se non quella dei negoziati per raggiungere un’intesa tra il popolo palestinese e il popolo israeliano", ha detto Abbas. "Abbiamo sperimentato tutto in passato e abbiamo pagato un caro prezzo. Ora siamo giunti alla conclusione che non esiste altra strada se non quella della pace", ha concluso il leader dell’Anp. Israele ha già provveduto al rilascio di tre quarti dei 104 prigionieri palestinesi la cui liberazione era stata stabilita nel luglio scorso alla ripresa dei colloqui israelo-palestinesi con la mediazione del segretario di Stato Usa, John Kerry. All’epoca, si era deciso che il rilascio di ciascun gruppo di detenuti sarebbe stato collegato a nuovi progressi sul tavolo dei negoziati. Iran: allarme per l’esecuzione imminente del detenuto politico Gholamreza Khossravi www.ncr-iran.org, 30 maggio 2014 Appello a Onu, Usa, Unione Europea e difensori dei diritti umani per impedire l’esecuzione di Gholamreza Khossravi. La Resistenza Iraniana lancia l’allarme per l’imminente esecuzione del prigioniero politico e operaio Gholamreza Khossravi Savadjani, trasferito mercoledì mattina, 28 Maggio, dalla sezione 350 della prigione di Evin a quella per l’esecuzione delle condanne a morte nella stessa prigione e chiede alla comunità internazionale, in particolare all’Unione Europea, al Governo degli Stati Uniti, al Segretario Generale dell’Onu all’Alto Commissariato per i Diritti Umani, agli inviati dell’Onu competenti e a tutte le organizzazioni ed associazioni che difendono i diritti umani e la libertà di espressione, di intraprendere azioni immediate ed efficaci per impedire la criminale esecuzione di questo prigioniero politico. Sudan: Meriam resta in carcere, papà Daniel abbraccia la piccola Maya Aki, 30 maggio 2014 "Ieri finalmente Daniel ha potuto vedere e abbracciare Maya, nata nelle prime ore del 27 maggio. è felice anche se l’angoscia del futuro che attende sua moglie turba la gioia per la nascita della sua seconda figlia. Mi ha pregato di ringraziare e salutare tutti gli italiani che stanno sostenendo la campagna - petizione che chiede la liberazione di Meriam". Lo ha affermato Antonella Napoli, presidente di Italians for Darfur che ha parlato con il marito di Meriam Yayia Ibrahim Ishag, la donna cristiana condannata a morte in Sudan per apostasia. "Maya è nata ieri, sta bene, ma non è una bimba libera. Come Martin, il fratellino che da febbraio è in carcere con la mamma", ha sottolineato la Napoli su Twitter dove ha postato la prima foto della piccola, rilanciando l’appello per la raccolta di firme da inviare al governo del Sudan affinché conceda la libertà alla giovane. Messico: 3 detenuti legati a signore droga evadono grazie a tunnel, arrestate 9 guardie Tm News, 30 maggio 2014 Tre detenuti legati al signore della droga messicano Joaquin "El Chapo" Guzman, a sua volta in carcere, sono evasi di prigione attraverso un tunnel. Lo hanno annunciato le autorità. Gli uomini, che scontavano pene detentive per traffico di stupefacenti e possesso di armi, sono fuggiti lunedì dal carcere di Culiacan, capoluogo dello stato nordoccidentale di Sinaloa. Il tunnel era lungo quasi mezzo chilometro, per la precisione 470 metri. È stato scavato dall’esterno, non è stata individuata alcuna prova che sia stato realizzato all’interno del carcere, ha spiegato il vice segretario di pubblica sicurezza dello stato, Hector Castillo Medina. Sinaloa, sulla costa del Pacifico, è la regione di molti dei più spietati trafficanti di droga messicani. Tra questi c’è Guzman, che guida il potente cartello dei Sinaloa, tra i principali esportatori di droga negli Stati Uniti, fino alla sua cattura a febbraio. Dopo l’incredibile evasione di lunedì, nove guardie carcerarie sono state arrestate e altre cinquanta sono sotto inchiesta come potenziali complici.