Giustizia: il ministro Orlando "l’Europa ci osserva… ma la mia è una riforma totale" intervista a cura di Eleonora Martini Il Manifesto, 29 maggio 2014 Il Guardasigilli Andrea Orlando: "Cauto ottimismo sul giudizio di Strasburgo". Nell’ultimo giorno utile per le "riforme strutturali" richieste dalla Corte dei diritti umani, il ministro di Giustizia sospende il capo del Dap, Tamburino. "Voglio un’amministrazione trasparente". Il tempo per mettere in regola le carceri italiane è scaduto ieri, ma il verdetto della Corte europea dei diritti umani e del Consiglio d’Europa arriverà solo la prossima settimana. Tutti col fiato sospeso, al ministero di Giustizia, dove tira aria di rivoluzioni. Il Guardasigilli Andrea Orlando non si sbottona e mostra un "cauto ottimismo". Però martedì sera, proprio nell’ultimo giorno utile per le riforme strutturali che Strasburgo ha chiesto all’Italia nella sentenza pilota Torreggiani, inaspettatamente ha fatto rientrare nello spoil system di routine, anche il capo dell’amministrazione penitenziaria, Giovanni Tamburino. "Una pausa di riflessione", la definisce Orlando. Ma il messaggio è chiaro. Ministro, lei ha detto di essere "non trionfalista ma cautamente ottimista" sul giudizio che la Cedu darà sulle misure prese per ripristinare una condizione di legalità nelle carceri. Cosa si attende esattamente, una proroga della scadenza? Non azzardo previsioni, sono però fiducioso visto che la vice segretaria generale del Consiglio d’Europa, la dottoressa Battaini Dragoni, ha dimostrato apprezzamento per il rispetto degli impegni che avevo assunto nella mia prima visita e per l’evoluzione complessiva registrata dal nostro sistema penitenziario, che è tornato sotto controllo grazie ad una serie di norme introdotte già dai miei predecessori e anche in questi mesi. La messa alla prova, per esempio, e soprattutto le norme sulle droghe, varate per recepire la sentenza della Consulta, che stanno producendo effetti significativi in termini di numeri. Inoltre in tre mesi abbiamo firmato cinque convenzioni con le Regioni, che si aggiungono ad altre due stipulate in precedenza, per il trasferimento dei detenuti tossicodipendenti nelle comunità terapeutiche. Ho poi indicato una prospettiva della riforma della custodia cautelare e sottoposto alla Corte lo stato dell’arte che segnala elementi di miglioramento. Facciamo chiarezza sui numeri? I posti disponibili sono circa 40 mila, come sostengono i Radicali e Antigone, o più di 44 mila, come sostiene il Dap? Il dato su cui metto la mano sul fuoco è il numero di detenuti, che sono incontrovertibilmente scesi di circa 7 mila unità dai tempi della sentenza Torreggiani e di quasi 10 mila dai 69 mila del 2010. Mentre è molto più difficile avere un dato certo sui posti effettivamente disponibili, un numero che varia in funzione della momentanea disponibilità delle strutture penitenziarie, ma mi sento di dire che siamo significativamente oltre 40 mila. Anche se su questo capitolo i risultati dei nostri sforzi non sono ancora soddisfacenti. L’azione principale del piano era infatti incentrata tutta sull’edilizia carceraria che non mi ha mai convinto. Invece, invito a considerare i progressi possibili sul versante del rimpatrio dei detenuti stranieri. È importante ricordare che non stiamo parlando di persone provenienti da Paesi che non vogliono farsene carico o che hanno condizioni carcerarie peggiori delle nostre: se riuscissimo a rimpatriare tutti i detenuti comunitari avremmo quasi la soluzione al sovraffollamento, perché stiamo parlando solo ora di quasi 5 mila unità. E per quanto riguarda il meccanismo di compensazione per chi ha già vissuto la condizione di maltrattamento, a cominciare da quei 6829 detenuti i cui ricorsi sono già pendenti? Stiamo profilando un’ipotesi di sistema risarcitorio interno che renderemo pubblica nei prossimi giorni. Ma al di là dei numeri e dei risarcimenti, come sollecita la sentenza Torreggiani, per la prima volta ci stiamo impegnando su una riforma qualitativa e non solo quantitativa delle condizioni di vita carcerarie. Il sistema digitale di catalogazione degli istituti di pena, messo in rete pochi giorni fa, contiene non solo i numeri ma anche l’analisi delle attività che svolgono i detenuti, del sistema sanitario e dei percorsi trattamentali previsti. Comunque continueremo ad essere un Paese osservato speciale da parte dell’Europa? Penso che in ogni caso, anche con un esito positivo, ci sarà comunque una fase di osservazione. Che però può essere assolutamente funzionale per affrontare un riassetto complessivo del sistema, e per smettere di rincorre solo l’emergenza. D’altronde se le nuove norme introdotte - come quella che prevede l’utilizzo sistematico delle pene alternative - non si accompagnano con un piano di riforme organizzative, c’è il rischio che tutto rimanga sulla carta. Ed è importante, in un passaggio così delicato, che l’attenzione dell’opinione pubblica non diminuisca. Il senatore Luigi Manconi e con lui una decina di deputati del Pd, Sel e anche Ncd, si uniscono alla richiesta dei Radicali di un provvedimento di amnistia e indulto, come sollecitato anche dal capo dello Stato. Le chiedono di promuoverlo, di andare "avanti con audacia"; cosa risponde? Penso che ora dobbiamo attendere il pronunciamento della Corte, vedere quali risultati porta la strategia che abbiamo messo in atto, proseguire con le riforme strutturali sulle pene alternative e complessivamente sul sistema penitenziario e sanzionatorio. E poi lavorare con grande alacrità affinché queste norme diventino effettivamente efficaci. Non ho pregiudiziali ideologiche ma se le tendenze che registriamo si consolidano - nell’ultimo mese c’è stata una diminuzione di 500 detenuti - non credo che sia necessario un provvedimento emergenziale. In più, credo che questa discussione rischia di distogliere l’attenzione su coloro che in ogni caso rimarranno in carcere. Il sistema penitenziario ha bisogno di una riforma che non si esaurisce con un provvedimento emergenziale e che invece rischia così di passare in secondo piano. Da poche ore ha revocato l’incarico all’attuale capo del Dap, Giovanni Tamburino. Come mai? Chi e quando gli succederà? C’è bisogno di una pausa di riflessione. Finora, con un’emergenza da affrontare, non si poteva parlare di organigrammi, ma ora vorrei anche legare l’assetto del Dap alla nuova fase e per questo ho bisogno di un tavolo sgombro. Ora voglio riservarmi qualche giorno per ragionare e verificare tra le diverse possibili soluzioni. Un’amministrazione così complessa, sulla quale rischiamo sanzioni europee, deve essere per forza guidata da un magistrato? Penso ad un riassetto complessivo e completamente diverso dell’amministrazione penitenziaria, che va innervata anche di figure prevenienti da altri percorsi. Il Dap di Tamburino ha emesso una circolare per vietare ai direttori dei carceri di fornire informazioni ad Antigone. Fa così paura l’attività di controllo delle associazioni "terze"? Ho spinto perché ci fosse la massima trasparenza. E anche l’iniziativa del data base va esattamente in questa direzione: non più solo dati aggregati nazionali o una fonte unica centrale che dirama informazioni, ma dati - qualitativi e non solo quantitativi - da ogni singolo istituto. Questo aiuta anche chi fa volontariato ad ottenere informazioni e, eventualmente, a sindacarle. Tra poche ore la Cassazione si esprimerà sui criteri da seguire per il ricalcolo delle pene comminate sulla base di leggi ritenute poi incostituzionali dalla Consulta, come la Fini-Giovanardi. Il governo sta pensando di intervenire sul problema o ancora una volta risolverà tutto una corte di giustizia? In questo caso la Corte fa un lavoro che corrisponde alle sue finalità istituzionali. Noi siamo appena intervenuti sulla legge sulle droghe e ora mi auguro che le nuove norme eliminino le distorsioni più traumatiche che la vecchia legge aveva provocato sulla detenzione. Poi, credo che si possa ipotizzare una riflessione seria e pacata sul sistema di pene legato alle droghe, ma in generale credo che occorra una riforma di tutta la normativa penale. Finalmente rimettere le mani sul Codice Rocco? Soprattutto sulla parte speciale. Perché ci sono una serie di norme che si sono sovrapposte, spesso emesse su impulsi contingenti e di carattere propagandistico, senza valutare gli effetti e le distorsioni che avrebbero prodotto sul sistema. È molto importante raccogliere la raccomandazione di importanti penalisti, cito per tutti Luigi Ferrajoli, che ritengono necessario un corpus organico di norme che stabilisca una gerarchia di pene. Reato di tortura: la legge in discussione in parlamento ne prevede uno che non ha le caratteristiche previste dalle convenzioni firmate dall’Italia. Cosa ne pensa? Considero quel testo un punto di equilibrio, comunque un passo avanti, tenendo conto delle condizioni politiche date. L’ottimo è nemico del bene. Giustizia: Manconi chiede un atto clemenza per i detenuti, il Ministro Orlando dice no 9Colonne, 29 maggio 2014 Reduce da una visita a Regina Coeli, Luigi Manconi rilancia con una lettera aperta al ministro della Giustizia Orlando l’ipotesi di un atto di clemenza per far fronte al sovraffollamento carcerario. Ma proprio dall’altro carcere romano, quello di Rebibbia, il Guardasigilli risponde di no: "Non ho una contrarietà ideologica per un provvedimento di clemenza - dice nel corso di un convegno - ma potrebbe distogliere l’attenzione dalle riforme che si possono fare". Secondo Manconi, presidente della Commissione Diritti Umani del Senato, oltre agli interventi strutturali, "non bisogna escludere l’ipotesi indulto o amnistia. Il sistema carcerario è come un corpaccione afflitto da una febbre enorme. Bisogna dapprima abbassare, la febbre, introducendo un pò di normalità, a quel punto le riforme potranno essere fatte". Parole che seguono quelle scritte, contenute nella missiva rivolta a Orlando, e firmata in modo bipartisan dai parlamentari Lo Giudice, De Cristofaro, Buemi, Palermo, Compagna, Petraglia, Gotor, Valentini, Tronti, Verini e Leva: "Sosterremo i prossimi interventi legislativi annunciati con la massima convinzione e determinazione, in quanto consapevoli che la tutela dei diritti umani per la popolazione reclusa è parte integrante di una riforma complessiva del sistema della giustizia - si legge - ma vorremmo che questa attività del governo e del Parlamento, che ci auguriamo proceda con rapidità, non escluda quegli interventi che il Capo dello Stato ha definito "straordinari" ma ineludibili. Certo, un provvedimento di clemenza è decisione che spetta al parlamento e con una maggioranza qualificata, ma al ministro della Giustizia, che conosce come pochi altri la situazione dei tribunali e delle carceri, chiediamo una parola autorevole in merito". Secondo Manconi e gli altri firmatari "non c’è dubbio che siano stati compiuti, da parte degli ultimi due ministri (Cancellieri e Orlando, ndr) dei passi in avanti. Non ignoriamo né consideriamo insignificanti questi progressi, grazie a provvedimenti che abbiamo sostenuto ma che consideriamo ancora eccessivamente limitati". Limitati perché "a fine aprile, da una nota ufficiale della amministrazione penitenziaria, i detenuti erano 59.683: un motivo di sollievo, ma occupano comunque uno spazio di 43mila posti effettivi. In quello scarto sta la persistente tragedia del nostro sistema penitenziario". Di qui l’appello a Orlando affinché "abbia coraggio e vada avanti con audacia" anche utilizzando gli strumenti di amnistia e indulto. Ma la replica del ministro è arrivata pronta: "Non riaprire lo scontro ideologico su amnistia e indulto" ma "continuare sulla strategia intrapresa. È in discussione un provvedimento sulla custodia cautelare, vediamo i primi effetti della sentenza della Consulta sulla legge sulle droghe, in questo mese abbiamo visto una diminuzione di 500 unità del numero di detenuti". Ora come ora dunque "non c’è l’esigenza di pensare a provvedimenti emergenziali". Lettera parlamentari: le carceri non sono migliorate abbastanza "Il termine posto al nostro Paese dalla Cedu scade e il nostro sistema penitenziario non ha migliorato abbastanza la propria capacità di ospitare in maniera dignitosa le persone ristrette". Lo scrivono in una lettera aperta al ministro della Giustizia, Andrea Orlando, una decina di deputati, in maggioranza del Pd, ma anche di Sel e di Ncd, che intendono raccogliere altre adesioni. Il testo è stato presentato dai senatori Luigi Manconi e Sergio Lo Giudice del Pd, e Giuseppe De Cristofaro di Sel in una conferenza stampa al Senato all’indomani della visita di una delegazioni di parlamentari nel carcere romando di Regine Coeli. La lettera ricorda che "quando le sentenza Torreggiani diventava definitiva, in carcere c’erano 65.886 detenuti, alla fine del mese scorso se ne contavano 59.683. Ovvero 6 mila in meno. Ma quanto ancora è lontana la corrispondenza con la capienza regolamentare delle nostre Carceri che, secondo lo stesso Dap non potrebbero ospitare più di 43.547 detenuti". "L’ordinaria amministrazione e le sfumature legislative - continuano i parlamentari che hanno sottoscritto il testo - tutte giustamente perseguite dal governo in carica e dal precedente, non possono risolvere il problema" di "una crescita abnorme della popolazione reclusa". Nella lettera garantiscono ad Orlando il sostegno "ai prossimi interventi legislativi annunciati con la massima convinzione" ma "vorremmo che questa attività di governo e del parlamento non escluda quegli interventi che il Capo dello Stato ha definito straordinari. Certo un provvedimento di clemenza è decisione che spetta al parlamento, e con una maggioranza qualificata, ma al ministro della Giustizia chiediamo una parola autorevole in merito". Orlando: no alla clemenza, andare avanti con le riforme "Non riaprire lo scontro ideologico su amnistia e indulto", ma andare avanti con le riforme per risolvere l’emergenza carceri. Questa la linea del ministro della Giustizia, Andrea Orlando. "Penso si tratti di continuare sulla strategia intrapresa, utilizzarla fino in fondo - ha detto il guardasigilli intervenendo a un convegno a Rebibbia - è in discussione un provvedimento sulla custodia cautelare, vediamo i primi effetti della sentenza della Consulta sulla legge sulle droghe. In questo mese abbiamo visto una diminuzione di 500 unità del numero di detenuti e oggi siamo a quota 59.071. Dunque, ora non c’è l’esigenza di pensare a provvedimenti emergenziali". Nei prossimi sei mesi, ha aggiunto il ministro, si cercherà di "capitalizzare" la serie di interventi messi a punto negli ultimi mesi. "Questi si sono susseguiti in modo caotico - ha rilevato Orlando - e vanno sistematizzati. Potremmo riorganizzare tutto il sistema, che ora puntava su un unico pilastro, quello della pena in carcere, pensando invece a due binari, quello del carcere e delle pene alternative". Il ministro ha sottolineato di non avere "contrarietà ideologiche" sull’indulto, "ma penso che una discussione che impegna tante energie possa distogliere l’attenzione da ciò che si può fare in questa fase politica". Orlando, infatti, ha ricordato "l’inversione di tendenza" che vi è stata con il provvedimento sulla messa alla prova "che ha affermato il principio secondo cui lo strumento della pena non si esaurisce nel carcere", nonché la possibilità di "arrivare entro fine mese ad un testo accettabile in materia di custodia cautelare". Inoltre, "va apprezzato il lavoro del Parlamento che è stato contro corrente - ha rilevato il ministro - ogni provvedimento veniva subito etichettato come svuota carceri e nel corso degli anni ci sono state lunghissime discussioni non sulla qualità della pena ma sulla esecrabilità del reato. La promessa securitaria ha completamente fallito: il sistema penitenziario costa molto e i tassi di recidiva sono fuori dalla media. Chi ha promesso che solo con il carcere ci sarebbe stata più sicurezza, oggi non è in grado di dimostrarlo e da questo fallimento si può costruire un sistema diverso con pene alternative". Orlando: Strasburgo? Sono cautamente ottimista "C’è ancora tanto lavoro da fare, non sono trionfalista ma cautamente ottimista". Lo ha detto il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, parlando dell’attesa decisione della Corte di Strasburgo sull’Italia in materia di carceri. "Non azzardo pronostici - ha aggiunto il ministro - ma c’è uno sforzo unitario e tenteremo di dare un colpo di reni nei prossimi sei mesi. Bisognerà lavorare per un monitoraggio su ciò che è stato fatto sul piano normativo". Strasburgo, infatti, ha sottolineato Orlando, "non ci contesta solo gli spazi inferiori a tre metri quadrati per i detenuti, ma anche la qualità del sistema, la sua incapacità di avviare percorsi di riabilitazione. Il Dap ha realizzato un data base, che non riguarda solo i numeri ma anche le attività dei penitenziari. Ne viene fuori una fotografia cruda: in alcune realtà la qualità del servizio è accettabile, in altre si è lontani da qualunque standard". Dunque, ora "bisogna riorganizzare il sistema - ha spiegato il ministro - e se pensiamo alle pene alternative, dobbiamo rivedere anche funzioni e dotazioni dei Tribunali di Sorveglianza, nonché la funzione e il ruolo, anche con una riqualificazione della polizia penitenziaria". Orlando: la politica securitaria ha fallito "La promessa securitaria ha fallito. A fronte di un sistema che costa abbiamo un tasso di recidiva fuori dalla media. Chi diceva che più carcere garantisce più sicurezza, oggi è dimostrato che sbagliava". Così il ministro della Giustizia Andrea Orlando secondo cui bisogna "costruire il pilastro delle pene alternative". Giustizia: Manconi; nuovi ricorsi a Strasburgo? altamente probabile che questo accada RaiNews24, 29 maggio 2014 Il 28 maggio scade il termine imposto all’Italia dalla Corte Europea per i Diritti Umani per rimediare alla situazione disumana delle carceri italiane. Ieri sera, in occasione dello spettacolo teatrale di Ascanio Celestini per i detenuti del carcere Regina Coeli di Roma, il Sen. Luigi Manconi, cofirmatario dei ddl su amnistia e indulto al vaglio al Senato, si è espresso sulla grave situazione italiana in un’intervista a RaiNews24: "L’Europa ha richiesto all’Italia che ripristinasse condizioni di dignità e di tutela dei diritti all’interno del sistema penitenziario italiano. Noi abbiamo voluto essere presenti stasera allo spettacolo di Ascanio Celestini - spiega Manconi - sia perché vogliamo dare un segno di amicizia, di presenza alla popolazione detenuta sia perché, come è nostro dovere, vogliamo compiere una visita all’interno del Regina Coeli nelle ore anche più pesanti, quelle serali, per comprendere se effettivamente ha colto quella che è una sentenza che vuole il ritorno ad una condizione di legalità, quelli che oggi è violata nelle carceri, o se quelle condizioni restano ancora da conquistare". Il senatore Manconi non esclude possibili futuri ricorsi da parte di altri detenuti: "È altamente probabile che questo accada e che l’Italia sia costretta a pagare molte multe, equivalenti a molti denari perché le violazioni continuano. Il numero dei detenuti è calato ma resta comunque assai alto rispetto alla capienza regolamentare. Lì c’è un’altra questione fondamentale: la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo non ha parlato solo di sovraffollamento ma di "condizioni di vita dentro le carceri". Ad esempio, è necessario per la qualità dell’esistenza umana il fatto che i detenuti possano avere almeno 8 ore con la celle aperte all’interno delle sezione. Questa misura oggi riguarda appena il 20% della popolazione detenuta; il 20% è meglio di quanto fosse tre anni fa ma è molto peggio di quelle che sono le condizioni minimamente degne di tutela dei diritti elementari della persona". Giustizia: Tamburino è "decaduto", il Dap senza guida in attesa dei giudici europei Silvia D’Onghia e Perluigi David Il Fatto Quotidiano, 29 maggio 2014 Sta prendendo tempo, il ministro della Giustizia Andrea Orlando, in attesa che da Strasburgo - dove i delegati dei ministri si riuniranno tra il 3 e il 5 giugno - arrivino notizie positive sulla sentenza Torreggiani, quella che ha condannato l’Italia per il sovraffollamento carcerario. E così da qualche ora il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria è senza un capo. La legge sullo spoils system prevede, infatti, che a distanza di 90 giorni dall’insediamento del nuovo governo decadano le cariche apicali. Arrivederci e grazie, Giovanni Tamburino, con un piccolo giallo se sia arrivata o meno una comunicazione ufficiale da via Arenula. Ma tant’è. Non hanno convinto, dunque, gli sforzi fatti per decongestionare le carceri (si è passati da 66 mila a poco più di 60 mila detenuti). E a dire il vero questo capo non piaceva nemmeno all’ex ministro, Anna Maria Cancellieri, che più di una volta aveva convocato lui e i suoi vice per accusarli di scarso impegno nella soluzione del problema del sovraffollamento. È stata però anche una scelta in linea con l’impostazione che Orlando vuole dare al pianeta carcere: pene alternative, protocolli con le Regioni, detenuti nei parchi, letteratura "dentro", tutto ciò che l’articolo 27 della Costituzione dovrebbe significare (e non è mai stato). Non solo: la volontà è quella di far tornare all’interno dell’amministrazione ordinaria anche la gestione del Piano carceri - finora sotto l’effetto di commissari straordinari - con la nomina di una figura manageriale che vada oltre norme e cavilli. La torta è quindi molto grossa. Per questo il Guardasigilli non poteva mantenere la vecchia guardia, nella persona di Tamburino. Fino alla decisione di Strasburgo, a reggere il Dap saranno l’attuale vicario, Luigi Pagano, e l’altro vice, Francesco Cascini. Una "vacatio" vista non bene dalla polizia penitenziaria, che si lamenta di essere rimasta senza capo e già da anni in guerra con i vertici "mai poliziotti e sempre magistrati". Le organizzazioni sindacali sono sul piede di guerra. Tra i nomi che circolano per la successione quelli di Giovanni Salvi, attuale procuratore di Catania, di Paolo Mancuso, procuratore di Nola e di Elisabetta Cesqui, sostituto procuratore generale presso la Cassazione. Giustizia: le prigioni che scoppiano e le leggi "carcerogene" di Sandra Bettio (Arci, Settore Carcere) La Repubblica, 29 maggio 2014 Troppo lontane da essere istituzioni trasparenti: chi ne fa le spese sono i "cittadini invisibili" che le popolano. Secondo i dati diffusi ad aprile scorso dal Dap (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria) i detenuti presenti ad oggi nelle carceri italiane sono 60.167 a fronte di 43.547 posti effettivi disponibili. Una situazione che è andata peggiorando negli anni, grazie a leggi "carcerogene", prime fra tutte la Fini-Giovanardi in materia di tossicodipendenze e la Bossi-Fini sull’immigrazione. L’unica eccezione a questo trend negativo è avvenuta nel 2006, anno del tanto discusso indulto, quando la popolazione detenuta è stata sotto la capienza massima: 39.005 unità. Già l’anno successivo, infatti, riprendeva la crescita che ha raggiunto nel 2013 le 62.536 presenze. L’entità del sovraffollamento non è tuttavia facilmente quantificabile: Silvia Bernardini, ex deputata radicale, lo scorso anno denunciava incongruenze tra i numeri espressi dai vari uffici competenti. Oltre al sovraffollamento, non si può tacere della composizione della popolazione carceraria (prevalentemente persone socialmente svantaggiate), del numero di suicidi in carcere, della cultura dell’istituzione carcere, che considera i detenuti esseri privi di diritti. Il carcere è dunque ancora lontano dall’essere un’istituzione trasparente e chi ne fa le spese sono i "cittadini invisibili" che vi sono ristretti. La Circolare del Dap del 25 marzo scorso non lascia spazio all’ottimismo: "Si ritiene opportuno che le richieste di dati ed informazioni sugli Istituti penitenziari italiani presentate dall’associazione Antigone siano indirizzate direttamente a questo Dipartimento, il quale provvederà a valutarle secondo le linee di massima trasparenza alle quali si ispira". Disposizione molto discutibile se fosse stata di carattere generale, odiosa in quanto destinata a "punire" una singola associazione, Antigone, che da anni si batte per i diritti delle persone detenute. Alle periodiche proteste inascoltate dei detenuti si uniscono spesso autorevoli sollecitazioni, in particolare dal presidente Napolitano che anche nei giorni scorsi ha ricordato che: "le criticità del "sistema giustizia" rischiano di scivolare verso un indegno imbarbarimento, come ci mostra l’emergenza carceraria". In carcere si può finire non necessariamente per cose che hanno a che fare con l’onestà e questo non sempre deve fare gridare all’errore giudiziario. Purtroppo si deve prendere atto di una certa propensione alla carcerazione preventiva, soprattutto per le fasce più deboli e relativamente a vicende che hanno a che fare con il conflitto sociale sempre più duro in atto nel paese. Che il carcere non sempre sia la risposta giusta sembra comunque averlo capito l’attuale governo, sempre che rispetti l’obbligo di emanare i decreti previsti dalla legge 67/2014 in materia di pene alternative non carcerarie e che il contenuto sia coerente con la raccomandazione contenuta nelle Regole Penitenziarie Europee: "Tutte le persone private della libertà devono essere trattate nel rispetto dei diritti dell’uomo". Resta dunque ancora molta strada da fare per riportare il nostro sistema carcerario nella legalità costituzionale. Di questo e molto altro ancora si parlerà martedì 3 giugno, alle ore 18, al circolo Arci Zenzero di Via Torti 35, nell’incontro "I cittadini invisibili: alla scoperta del pianeta carcere". Giustizia: scaduto l’ultimatum di Strasburgo… tutto è uguale a prima di Ermes Antonucci www.agenziaradicale.com, 29 maggio 2014 28 maggio: è scaduto il termine fissato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per risolvere la grave questione del sovraffollamento carcerario. Di misure strutturali, capaci di delineare realmente una svolta, neanche l’ombra. Eppure, pare, secondo voci "qualificate", che gli isolati e superficiali cenni di miglioramento ottenuti con la leggera riduzione del numero dei detenuti permetteranno all’Italia di evitare multe per decine di milioni di euro. Un esito non auspicabile, soprattutto per chi tiene a cuore il rispetto dei diritti umani e dei principi dello stato di diritto. Con la sentenza "pilota" relativa al caso Torreggiani, la Corte di Strasburgo ha imposto al nostro Paese di adottare entro un anno le misure necessarie a porre rimedio alla constatata violazione all’interno delle carceri dell’art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che sancisce il divieto di pene o trattamenti inumani o degradanti. Il meccanismo della sentenza pilota è una procedura che permette alla Corte, attraverso la trattazione del singolo ricorso, di identificare un problema strutturale, rilevabile in casi simili, e individuare pertanto una violazione ricorrente dello Stato contraente. I ricorsi dei detenuti per violazione dei diritti fondamentali, insomma, sono stati così numerosi, e la loro motivazione legata ad un problema di natura così strutturale, che la Corte ha deciso di congelare tutti i casi e di lanciare un ultimatum all’Italia, della durata di un anno, entro cui sanare la propria posizione e tornare, di fatto, nell’ambito della legalità. Ad attenderla, in caso contrario, una valanga di ricorsi, quasi 7mila, con risarcimenti stimabili, secondo l’associazione Antigone, in almeno 100 milioni di euro. Ora il termine è scaduto, senza che, come abbiamo denunciato più volte negli ultimi mesi, la politica abbia mosso un dito (eccezion fatta per inutili leggi "svuota-carceri", la cui sterilità era presumibile già dal nome affibbiato loro da certi schieramenti politici e mediatici). Senza, dunque, che abbiano trovato seguito anche gli occasionali moniti del presidente della Repubblica, nonché, chiaramente, le continue iniziative pro-amnistia o indulto dei radicali, non solo di mera denuncia (si ricordino i referendum sulla "Giustizia Giusta", bocciati dalla Cassazione). Neanche il nuovo premier Matteo Renzi, dall’alto delle sue presunte vesti di innovatore liberale, ha deciso di collocarsi in discontinuità con questa negligente classe politica che, aldilà di rituali promesse di redenzione, mai ha mostrato la volontà di interessarsi alla questione carceraria e giudiziaria in modo concreto. A fargli da spalla ci ha pensato un ministro della Giustizia, Andrea Orlando, che pur accennando timidamente di essere favorevole ad un’amnistia, ha preferito lanciarsi più in imbarazzanti quanto inesatte ricostruzioni aritmetiche piuttosto che profilare riforme vagamente strutturali. Nonostante, tuttavia, i richiami della Cedu siano rimasti completamente inascoltati, secondo voci provenienti dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) il governo italiano potrebbe riuscire addirittura ad evitare l’esecuzione della sentenza pilota. Nel corso degli ultimi 11 mesi, infatti, si è avuto un calo del numero di detenuti di circa 6mila unità (da 66.028 a 59.683). Questo ridimensionamento parziale della presenza carceraria consentirebbe, secondo gli ottimisti, di evitare la "condanna" del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa, che si riunirà il prossimo 3 giugno per valutare le politiche penali italiane. Pazienza, dunque, se i posti regolamentari sono comunque ancora 15mila in meno, e pazienza se la sentenza Torreggiani in realtà non facesse solo riferimento ad una semplice questione numerica, ma richiamasse l’attenzione soprattutto sulle condizioni di vita all’interno degli istituti penitenziari (le condizioni igieniche e sanitarie, l’illuminazione insufficiente, la permanenza eccessiva nelle celle ecc.). Le condizioni delle carceri, in definitiva, come ha dichiarato il presidente di Antigone, Patrizio Gonnella, al Foglio, restano "diffusamente inaccettabili". Ma affianco al debole calo del numero dei detenuti "sono stati approvati alcuni provvedimenti, come per esempio la legge per aumentare la concessione degli arresti domiciliari o l’attenuazione della legge Giovanardi-Fini, che potrebbero indurre il comitato dei ministri europei a dare una valutazione positiva sull’operato del governo italiano". Ciò anche perché "il giudizio sarà complessivo, con uno sguardo al futuro, non solo focalizzato sulla situazione attuale". La speranza, quindi, è che le istituzioni europee sappiano valutare l’intera vicenda con l’occhio critico che la gravità della situazione impone: la spada di Damocle della "condanna europea" ha già mostrato di scuotere solo minimamente la coscienza delle autorità italiane, figurarsi senza. Giustizia: il carcere "aperto" aumenta la sicurezza di Donatella Stasio e Daniele Terlizzese Il Sole 24 Ore, 29 maggio 2014 A parità di pena da scontare nelle patrie galere, chi ha avuto la "fortuna" di trascorrere più tempo in un carcere "aperto" ha una recidiva inferiore di chi invece è stato detenuto più a lungo in un tradizionale carcere "chiuso". Per ogni anno passato nel primo tipo di carcere, invece che nel secondo, la recidiva si riduce di circa 9 punti percentuali. Un abbattimento rilevante, con conseguenze importantissime in termini di risparmi, di miglioramento della sicurezza sociale e di riduzione del sovraffollamento carcerario. Poiché, infatti, ogni anno entrano in carcere 9mila persone e di queste una quota rilevante ha già alle spalle una precedente condanna, se la recidiva calasse in media di 9 punti percentuali gli ingressi diminuirebbero ogni anno di circa 800 detenuti. È quanto si ricava dalla ricerca di Giovanni Mastrobuoni, dell’Università di Essex, e di Daniele Terlizzese, dell’Einaudi Institute for Economics Finance, avviata a settembre 2012 su impulso del Sole 24 Ore e con la collaborazione del Ministero della Giustizia che, con l’allora guardasigilli Paola Severino, ha aperto gli archivi del Dap (Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria) per consentire l’accesso alle informazioni necessarie a misurare - per la prima volta in Italia su basi scientifiche - il rapporto di causalità tra modalità di esecuzione della pena e recidiva. Le conclusioni di M&T mostrano che il carcere "chiuso" - cioè la pena scontata interamente "dentro" a doppia mandata, in ozio, in condizioni di promiscuità e insalubrità - non produce maggiore sicurezza sociale, contraddicendo gli slogan e le scelte di politica securitaria degli ultimi decenni. I due economisti dimostrano che un carcere "aperto", che incarni il mandato costituzionale della rieducazione del detenuto rispettandone la dignità e i diritti fondamentali, è in grado di ridurre la recidiva e, per questa via, la popolazione carceraria, contenendo i costi e aumentando la sicurezza dei cittadini. Di qui un’ulteriore conseguenza: investire sul carcere "aperto" significa investire sulla crescita economica di un Paese, poiché a una maggiore sicurezza sociale corrisponde un clima più favorevole agli investimenti, sia italiani che esteri. Se poi tutto questo non bastasse, a spingerci nella stessa direzione è il richiamo del Consiglio d’Europa, dopo la condanna della Corte di Strasburgo per trattamenti inumani e degradanti anche a causa del sovraffollamento carcerario e di una politica penitenziaria inidonea a garantire il rispetto della dignità dei detenuti. Una condanna pesante, anche in termini economici, poiché i ricorsi pendenti a Strasburgo - congelati in attesa di misure strutturali - sono circa 4000 e, se accolti, si tradurranno in risarcimenti per decine di milioni di euro. Il 3-4 giugno è atteso il verdetto del Comitato dei ministri che da un anno e mezzo ci tiene "sotto osservazione". Lo studio di M&T si è concentrato sul carcere di Milano Bollate, avanguardia assoluta di carcere interamente "aperto" inaugurato nel 2000: celle aperte tutto il giorno, nessun sovraffollamento, giornate operose fatte di lavoro, studio, formazione professionale, attività ricreative e sportive, affettività e progressivo reinserimento nella società attraverso il ricorso ai benefici carcerari e alle misure alternative. Un carcere dove si cerca di applicare la legge e la Costituzione; dove tutti i detenuti sono chiamati alla responsabilità e all’autodeterminazione; dove la qualità della vita non è paragonabile alla stragrande maggioranza delle carceri italiane; dove, a fronte di 1.230 detenuti, si contano solo 430 poliziotti, poiché la sorveglianza non è concepita in modo tradizionale (monopolio esclusivo della polizia penitenziaria con conseguente marcamento a uomo: un poliziotto per ogni detenuto) ma in modo "integrato", essendo condivisa con tutti gli operatori delle altre aree (educatori, volontari, operatori di rete, persone che partecipano ai progetti scolastici e di lavoro). Per molti anni il "modello Bollate" è stato considerato una sperimentazione, se non addirittura una vetrina, e soltanto di recente l’Amministrazione ha cominciato a estenderlo ad altre realtà detentive nel loro complesso. Se per ridurre il sovraffollamento occorre soprattutto abbandonare la cultura carcerocentrica della pena e puntare alle misure alternative, un contributo non secondario può venire dal trasformare il carcere - là dove è ritenuto sanzione necessaria - da luogo che produce recidiva (quindi criminalità) in luogo operoso e rispettoso della dignità umana, che produce libertà e sicurezza collettiva. culturale. L’emergenza sovraffollamento e la minaccia dell’apertura di una procedura di infrazione hanno spinto nella prima direzione, anche con i decreti svuota-carceri dei due precedenti governi e con l’approvazione della legge delega sulle sanzioni sostitutive (ancora però da attuare). Pur lentamente, qualche passo avanti si sta facendo anche nella seconda direzione ma populismi e demagogie sono sempre in agguato e rischiano di frenare il cammino. Inoltre, se l’emergenza è stata la molla per imboccare questa strada, la fine o l’attenuarsi dell’emergenza (intesa come sovraffollamento) rischiano di far abbassare la guardia. Perciò un’analisi rigorosa delle misure più efficaci è indispensabile per portare avanti il cambiamento e toglie qualunque alibi a tentazioni di retromarce. Dal carcere di Bollate, quindi, si è partiti per misurare la recidiva dei suoi "ospiti". Consapevoli della selezione operata all’ingresso, che rende il detenuto medio di Bollate non rappresentativo del detenuto medio di un altro carcere italiano, si è identificato l’effetto causale del "trattamento Bollate" sfruttando la variabilità, pressoché casuale, della durata della pena residua al momento del trasferimento in quel carcere: in sostanza, succede spesso che detenuti condannati alla stessa pena complessiva e ammessi a Bollate finiscano per scontarne lì una frazione diversa per ragioni legate ai tempi del loro trasferimento. Pertanto, osservando la diversa recidiva di quei detenuti, si può capire quale sia l’effetto di un "trattamento Bollate" più o meno protratto nel tempo. Un po’ quello che accadrebbe se a diversi pazienti con la stessa malattia e analoghe condizioni generali di salute venissero somministrate dosi diverse della medesima medicina e se ne misurasse poi l’effetto. #ilcarcerecambiaverso... si deve e conviene #ilcarcerecambiaverso. È l’hashtag che ci aspettiamo presto da Matteo Renzi per riabilitare l’Italia dopo la mortificante condanna di Strasburgo per trattamenti inumani e degradanti. Non misure spot né operazioni di immagine. Cambiare verso significa proseguire sul cammino avviato ma impegnandosi soprattutto in una battaglia culturale che ha al centro la Costituzione e i suoi valori, rendendoli "vivi", come auspicato più volte dal Quirinale. Il contrario, insomma, della demagogia che ha ispirato decenni di politiche securitarie. Significa applicare con determinazione il dettato costituzionale, investendo su pene e misure alternative. Ma anche sulla qualità della vita in carcere. Investire sul carcere "aperto" - facendone un luogo operoso di lavoro, studio, attività ricreative, di rispetto dei diritti fondamentali dei detenuti - significa infatti investire sulla sicurezza sociale e sulla legalità e quindi creare un clima più favorevole agli investimenti italiani e esteri. Non è un cammino in discesa, ma da oggi il governo ha un elemento in più da sfruttare: la ricerca degli economisti Mastrobuoni e Terlizzese che misura - per la prima volta in Italia su basi scientifiche - il rapporto di causalità tra modalità di esecuzione della pena e recidiva. Il risultato - riduzione di 9 punti percentuali della recidiva per chi trascorre più tempo in un carcere "aperto" e meno in un carcere "chiuso" - toglie alibi a omissioni e incertezze ed è uno straordinario contributo ad una svolta culturale. Il contributo del Sole 24 Ore per far cambiare verso al carcere. Giustizia: dopo il dossier-carceri a Strasburgo i Radicali chiedono dimissioni di Renzi Public Policy, 29 maggio 2014 Marco Pannella in una riunione ri-trasmessa da Radio Radicale ha proposto le immediate dimissioni del presidente del Consiglio, un appello al presidente della Repubblica in questa direzione e l’assoluto rilancio del dossier Cianfanelli/Bernardini nella sua ultima stesura consegnata al Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa. Lo rende noto su Facebook il segretario di Radicali italiani, Rita Bernardini, facendo riferimento al dossier del partito guidato da Pannella, di oltre 50 pagine, "sulla mancata ottemperanza da parte del nostro Paese rispetto alle indicazioni ricevute sui trattamenti inumani e degradanti dei detenuti", consegnato al Consiglio d’Europa a Strasburgo. Arena (Radio Carcere): dal 2013, 129 morti e 62 suicidi tra detenuti "Dall’8 gennaio 2013, data in cui la Corte Europea ha condannato l`Italia per la sistematica emergenza carceraria, sono morte fino a oggi 129 persone detenute. 129 decessi, tra cui 62 suicidi e un numero incalcolabile di omicidi colposi." - Lo riferisce in una nota Riccardo Arena che cura la rubrica Radio Carcere in onda su Radio Radicale. "Un triste bilancio, destinato ad aumentare, che" - precisa Arena - "certifica l`inadeguatezza delle riforme approvate, proprio il giorno in cui ricorre la scadenza che ci ha dato l`Europa per rimediare ai trattamenti disumani e degradanti presenti nel nostro sistema penitenziario". Testa (Detenuto Ignoto): non si possono infilare i detenuti nei sottoscala "Il ministro Orlando ha fatto un’operazione vergognosa perché non si può far finta di rimettere a posto la situazione infilando i detenuti nei sottoscala. Il posto nelle carceri non c’è e sappiamo che molti detenuti, pur di trovare tre mq a testa, sono stati trasferiti in zone impensabili dell’Italia". A dichiararlo Irene Testa, segretario dell’associazione Il detenuto Ignoto nel giorno della scadenza dell’ultimatum imposto da Strasburgo per sanare il sovraffollamento carcerario, intervenuta questa mattina dai microfoni di Radio Città Futura. "Sono arrivate molte segnalazioni di parenti di detenuti che andavano a trovare il loro congiunto a Milano e poi hanno saputo che l’hanno spostato in Sardegna - ha proseguito la Testa - moltissimi sono stati trasferiti in Sardegna, perché ci sono delle carceri nuove, ma la cosa grave è che non tutti i familiari possono affrontare viaggi di questo tipo, tanto più che ogni detenuto dovrebbe stare a non più di 200 km dal luogo di residenza. Siamo in attesa del 3 giugno - ha concluso la Testa - e, dai primi sentori che si sono avuti, si ha paura che ci possa essere una proroga". Viale (Radicali): creare lavoro in carcere, per evitare multa Oggi scade l’ultimatum imposto un anno fa all’Italia dalla Corte Europea dei diritti umani (Cedu) di Strasburgo per attuare misure concrete per ridurre il sovraffollamento nelle carceri. Lo ricordano i Radicali Silvio Viale, Giulio Manfredi e Igor Boni aggiungendo che l’unico modo per evitare le multe derivanti dal mancato adempimento è creare al più presto occasioni di lavoro per i detenuti. La Cedu, infatti, ha previsto un risarcimento di 100.000 euro complessivi per i sette detenuti che hanno fatto ricorso alla Corte europea. La legge 22 giugno 2000, n. 193 (cosiddetta "Legge Smuraglia") "prevede incentivi fiscali e contributivi per le imprese e le cooperative che assumano detenuti in esecuzione penale all’interno degli istituti; dal 2014 la legge Smuraglia è finanziata con dieci milioni di euro all’anno", rimarcano Viale, Manfredi e Boni. "È del tutto evidente - concludono - che il finanziamento ulteriore di tale legge porterebbe più lavoro in carcere, più soldi nelle tasche dei cittadini detenuti, meno ore passate in cella a far nulla, meno tensione, meno violenza, meno ricorsi alla Cedu e meno risarcimenti, pagati, ricordiamolo, non da Pantalone ma da tutti i cittadini contribuenti". Giustizia: don Balducchi (Cappellani); gli sforzi fatti non bastano, politica vada avanti Adnkronos, 29 maggio 2014 Sul sovraffollamento delle carceri è stato fatto "qualche sforzo in più, ma non basta". Don Virgilio Balducchi, ispettore generale dei cappellani che operano nelle carceri, riconosce che qualche cosa dopo il monito di Strasburgo è stato fatto in materia di sovraffollamento carcerario, ma molto resta "ancora da fare". In particolare, oggi è il giorno della scadenza dopo che la Corte europea, con la sentenza Torreggiani (uno dei sette detenuti che hanno fatto causa per trattamento inumano vedendosi riconoscere un risarcimento di 100 mila euro), ha intimato all’Italia di intervenire dimostrando di aver cambiato rotta e di aver individuato uno strumento per risarcire i carcerati che hanno vissuto in spazi del tutto insufficienti e inadeguati. "Sicuramente - afferma all’Adnkronos l’ispettore dei cappellani - un po’ di sforzi sono stati fatti, sia in relazione alla normativa, sia in relazione al sovraffollamento". Tuttavia, a modo di vedere di don Balducchi, l’Italia non ha fatto completamente i compiti a casa. "Bisognerà, prima di tutto, vedere se Strasburgo giudicherà sufficienti le migliorie fatte nel frattempo, ma quando penso alle carceri delle grandi città è evidente che la situazione non è ancora risolta". E la soluzione, avverte l’ispettore dei cappellani delle carceri, non sta nella costruzione di nuove celle: "Basterebbe non usarle come luogo dove scaricare il disagio della società". Ecco allora l’appello: "Mi auguro che i politici vadano avanti, facendo però in modo che il carcere sia l’estrema ratio". Don Balducchi ha in mente in particolare i tossicodipendenti, gli stranieri, chi ha malattie mentali. "Il nostro Paese - prosegue - sta cercando di migliorare l’emergenza e ha messo in moto dei cambiamenti. Bisogna però non fermarsi e andare avanti su questa strada. Un po’ tutti continuano a chiedere trattamenti più umani per i detenuti e allora si continui in tal senso, senza far cadere nel vuoto i tanti appelli". Giustizia: Sappe; ben poco è stato fatto per riformare l'esecuzione della pena Ansa, 29 maggio 2014 Scade oggi il tempo concesso dal Consiglio d’Europa per sanare il sovraffollamento carcerario nel nostro Paese. Ma per il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, il primo e più rappresentativo dei poliziotti, poco è stato fatto per contrastare le gravi criticità delle carceri italiane. "Il numero dei detenuti è effettivamente diminuito di alcune migliaia nell’ultimo anno, attestandosi di poco sotto le 60mila presenze, ma questo dato non deve trarre in inganno perché altro non è che la risultanza di diversi provvedimenti legislativi - ben 4 leggi - che sono stati definiti "svuota carceri". Restano le criticità operative per la Polizia Penitenziaria per l’invivibilità delle nostre carceri, sovraffollate di circa 20mila persone in più rispetto alla capienza regolare, nonostante i giochi di prestigio dell’Amministrazione Penitenziaria che contabilizza come capienza regolamentare delle galere persino posti che non sono disponibili", commenta Donato Capece, segretario generale del Sappe. Capece definisce "inefficaci" anche i provvedimenti adottati dall’Amministrazione penitenziaria per rendere più umane le condizioni di detenzione: "Gli eventi critici che si verificano ogni giorno confermano che tenere i detenuti a non far nulla fuori dalle celle per 8 ore, anche nei momenti previsti di socialità, può essere grave e pericoloso. E deve fare seriamente riflettere anche sulle pericolose condizioni di lavoro dei poliziotti penitenziari, che ogni giorno di più rischiano la propria vita nelle incendiarie celle delle carceri italiane". "Si sarebbe dovuto avere la sensibilità di ascoltare i suggerimenti di noi poliziotti, che in carcere ci stiamo 24 ore al giorno", conclude. "Al superamento del concetto dello spazio di perimetrazione della cella e alla maggiore apertura per i detenuti deve associarsi la necessità che questi svolgano attività lavorativa e che il personale di Polizia Penitenziaria sia esentato da responsabilità derivanti da un servizio svolto in modo dinamico, che vuol dire porre in capo a un solo poliziotto quello che oggi fanno quattro o più agenti, a tutto discapito della sicurezza. Così invece non è stato. In carcere quello che manca è il lavoro, che dovrebbe coinvolgere tutti i detenuti dando quindi anche un senso alla pena, non farli stare nell’ozio assoluto. E aprire le celle otto/dodici ore al giorno senza far fare nulla ai detenuti non risolve i problemi, anzi! Per questo le sensibilizzazioni del Consiglio d’Europa sono cadute nel vuoto". Giustizia: Cisl; condanna Strasburgo, valuteremo se ottimismo di Orlando è fondato Ansa, 29 maggio 2014 "Valuteremo se l’ottimismo del ministro Orlando sull’attuazione di quanto disposto dalla Corte di Strasburgo in materia di carceri italiane è fondato". Cosi la Fns Cisl, chiede di intensificare le misure alternative al carcere, "anche limitando l’uso della custodia cautelare". "Di sicuro condividiamo le valutazioni del ministro circa la necessità di procedere con riforme organiche del sistema giustizia, coordinare le norme che sono state emanate nel tempo ed attivarle a regime, determinando una condizione delle carceri che consenta, così, di applicare i principi costituzionali", dice il segretario Pompeo Mannone. Tra le misure necessarie il sindacato indica la depenalizzazione di alcuni reati, ma chiede anche di "garantire tempi certi e ragionevoli dei processi". Servono anche nuove assunzioni di personale di polizia penitenziaria e va valorizzato "il lavoro di chi in silenzio opera in condizioni pesantissime". Giustizia: Anm; riforma custodia cautelare abbassa tutela della sicurezza pubblica Ansa, 29 maggio 2014 Alcune delle norme contenute nella riforma della custodia cautelare avranno come risultato "l’abbassamento della tutela della sicurezza pubblica". L’allarme viene dall’Associazione nazionale magistrati, il cui presidente Rodolfo Sabelli sta per essere ascoltato dalla Commissione Giustizia della Camera proprio su questo provvedimento. "Non vogliamo trasmettere l’idea che la magistratura chiede eccessi di custodia cautelare" premette Sabelli conversando con i giornalisti prima dell’audizione. Ma secondo l’Anm con la riforma non si è raggiunto il "giusto punto di equilibrio tra tutela della libertà e della sicurezza", peraltro in una "delle materie più modificate negli ultimi 20 anni, con un continuo tira e molla sull’obbligatorietà della custodia cautelare". Tra le norme che più preoccupano il sindacato delle toghe c’è quella che stabilisce il divieto della custodia cautelare in carcere, quando si prevede che in futuro potrà essere concessa la sospensione dell’esecuzione della pena. "È un automatismo che non va bene e che porta a un abbassamento della tutela della sicurezza pubblica" dice il presidente dell’Anm. Giustizia: Camere Penali; riforma custodia cautelare è svuotata e insoddisfacente Ansa, 29 maggio 2014 "È largamente insoddisfacente" il ddl sulla custodia cautelare; un testo che "è stato svuotato di contenuti". A bocciare la riforma, così come è stata modificata nei passaggi tra Camera e Senato,è l’Unione delle Camere penali, il cu presidente, Valerio Spigarelli, viene ascoltato oggi dalla Commissione Giustizia della Camera. In questo provvedimento "c’è un delirio di aggettivi. Ma tutto questo non serve a nulla se non si modifica l’impianto delle legge" dice Spigarelli. "Chi dice che così si supererà il problema italiano per il quale si va in carcere come anticipazione incostituzionale della pena, dice una cosa che non è vera" aggiunge il leader dei penalisti, auspicando il ritorno alla proposta originaria che aveva visto concordi magistratura, avvocatura e accademia. Giustizia: Aiga; 20% dei detenuti è senza processo... costano 1 mln euro al giorno Ansa, 29 maggio 2014 Un detenuto su cinque è in carcere senza aver subito un processo. Sono in questa condizione 10.389 reclusi, il 17% dell’intera popolazione carceraria (59.683, secondo i dati aggiornati al 30 aprile scorso). Un fenomeno che incide sul sovraffollamento, ha costi umani ed anche economici per il Paese, visto che ogni giorno per la carcerazione preventiva l’Italia spende circa 1,3 milioni di euro. I dati emergono da un’analisi dell’Associazione italiana giovani avvocati, che nel giorno della scadenza dell’aut aut europeo all’Italia sul sovraffollamento carcerario, chiede perciò di limitare il ricorso alla custodia cautelare. Per arrivare a stabilire quanto costa al Paese la carcerazione preventiva l’Aiga è partita dai dati del ministero della Giustizia. E ha moltiplicato il numero dei detenuti sottoposti al carcere preventivo a quello che lo Stato spende al giorno per ogni singolo recluso: una cifra pari nel 2013 a quasi 125 euro, in un anno 45.610 euro. Dal punto di vista numerico la situazione è migliorata da quando nel gennaio del 2013 fu pronunciata dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo la sentenza Torreggiani, visto che allora i detenuti in attesa di giudizio erano circa 12.439 (18,87%) su un totale di 65.905 detenuti. Ma anche l’attuale numero di reclusi senza processo è "ancora troppo alto, considerato che si tratta di persone sottoposte ad una misura cautelare senza aver subito alcun processo". L’Aiga riconosce che rispetto a quando fu pronunciata la sentenza c’è stato un calo del sovraffollamento carcerario, visto che allora il numero dei detenuti in più rispetto alla capienza delle carceri era pari a 18.865, una cifra che si è ridotta a 10.592 nell’aprile di quest’anno, un segnale che "gli interventi del legislatore iniziano a produrre i loro effetti e fanno ben sperare". Ma ricorda che il più recente dato sul sovraffollamento carcerario, quello elaborato dal Consiglio d’Europa e aggiornato al 1 settembre 2012, vede l’Italia posizionata al penultimo posto, "peggio di noi solo la Serbia". Tornando alla scadenza dell’aut aut europeo all’Italia, l’Aiga fa presente che ora "si apre la strada a tutte le procedure relative ai ricorsi pendenti "congelate" dalla Corte proprio in attesa che l’Italia adottasse le richieste e raccomandate misure". "È facile prevedere -sostengono i giovani avvocati - che ai ricorsi pendenti si aggiungeranno quelli di nuova proposizione, con la conseguenza che l’Italia dovrà sborsare ulteriori ingenti somme relative ai risarcimenti (tra i 10 e i 20mila euro a detenuto, secondo quanto disposto dalla Corte nella sentenza). Somme che potrebbero essere utilizzate per migliorare il sistema carcerario italiano e che invece verranno impiegate solo per i risarcimenti dei detenuti". Nell’invocare un’ "inversione di rotta", l’Aiga chiede di limitare "l’eccessivo ricorso" alla custodia cautelare e di "puntare a sistemi alternativi al carcere capaci di incidere anche sulla recidiva". Giustizia: detenuti al lavoro nei parchi, firmata intesa tra ministri Orlando e Galletti Adnkronos, 29 maggio 2014 Coniugare le ragioni della rieducazione e del reinserimento sociale dei detenuti e quelle della tutela delle risorse naturalistiche: questo l’obiettivo del protocollo di intesa di durata triennale siglato oggi dal ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti e dal ministro della Giustizia Andrea Orlando. Il progetto è finalizzato a promuovere e agevolare l’attività lavorativa dei condannati presso i parchi nazionali. La collaborazione tra i due ministeri punta a promuovere l’attività a titolo volontario della popolazione detenuta o assoggettata a misura alternative per la pulizia e la manutenzione dei parchi al fine di favorire il reinserimento sociale e diminuire il rischio di recidiva. "Così portiamo avanti una visione non statica dell’ambiente e usciamo dallo schema del ministero chiuso", dichiara il ministro Galletti. "Dato come acquisito il valore della tutela - aggiunge - oggi compiamo un passo in più mettendo l’ambiente a disposizione dello sviluppo economico, dell’occupazione e dell’inclusione sociale. Questo è solo l’inizio di un lavoro proficuo che possiamo portare avanti anche in altri settori. Ambiente e giustizia sono una coppia vincente". Il protocollo consentirà da una parte "di incrementare il lavoro esterno dei detenuti che potranno acquisire professionalità nell’ambito dei ‘green jobs’", dall’altra di fare in modo che "i parchi possano avere personale in più per la manutenzione dei parchi", spiega il ministro Orlando sottolineando che il progetto "in futuro potrà collegarsi alla manutenzione del suolo". "Ammontano a 40 miliardi gli investimenti necessari per la manutenzione del territorio, augurandoci una maggiore disponibilità di fondi i futuro, progetti come questo possono rappresentare un prototipo utilizzabile", aggiunge Orlando. Con separati accordi operativi tra gli Enti parco nazionali e il dipartimento amministrazione penitenziaria, anche con il supporto di Federparchi, saranno definite le modalità di impiego, l’individuazione dei detenuti da proporre per le attività, il programma di lavoro con definizione di orari e luoghi della prestazione lavorativa. Formazione e assicurazione sono a carico dell’ente fruitore della prestazione lavorativa. Lettere: approvata finalmente una buona legge per la chiusura degli Opg di Stefano Cecconi e Giovanna Del Giudice (Comitato StopOpg) Ristretti Orizzonti, 29 maggio 2014 Dopo il voto del Senato anche alla Camera dei Deputati è stato dato il via libera alla conversione in legge, con modifiche, del D.L. 52/2014 sulla chiusura degli OPG. Ribadiamo la nostra soddisfazione per una legge che, pur non sciogliendo i nodi giuridici che sostengono l'Opg (in primo luogo la modifica del codice penale per abolire definitivamente il doppio binario e l’istituto della misura di sicurezza in Opg), ha certamente migliorato l’attuale normativa. La nuova legge stabilisce che di norma devono essere adottate dai magistrati misure alternative all’internamento in Opg e che la pericolosità sociale non può essere dichiarata, o confermata, solo perché la persona è emarginata, priva di sostegni economici o non è stata presa in carico dai servizi sociosanitari. E ancora la nuova legge pone limiti precisi alle proroghe della misura di sicurezza (all’origine dei troppi "ergastoli bianchi") e stabilendo che non può essere superiore alla durata della pena per quel reato. Infine, obbliga le regioni a presentare entro 45 giorni i progetti terapeutico riabilitativi individuali per le internate e gli internati, per consentire le loro dimissioni attraverso la presa in carico da parte dei servizi socio sanitari. Ora quindi è responsabilità delle regioni andare oltre i progetti sulle Rems (i mini Opg regionali) per renderle quantomeno residuali, utilizzando i finanziamenti per potenziare i servizi delle Asl. La legge va applicata bene, per scongiurare ulteriori proroghe, fuori da logiche manicomiali e difensive. Perciò si deve mettere al centro la persona: con una presa in carico globale da parte dei servizi pubblici, all'interno di una collaborazione e integrazione tra i Dipartimenti di Salute Mentale, I Servizi per le Dipendenze, i Servizi Sociali ecc. - che devono occuparsi di cura e non di custodia - e vanno attivate relazioni stabili con la Magistratura, per offrire Progetti Terapeutico Riabilitativi Individuali appropriati. Perciò il "fronte della mobilitazione" si sposta nelle regioni e nei territori e riguarda il diritto alla salute mentale di tutte e di tutti. StopOpg intende collaborare e contribuire alla applicazione della legge, in particolare con l’organismo di monitoraggio e coordinamento per il superamento degli Opg che deve essere costituito presso il Ministero della Salute. Così il faticoso processo del superamento degli Opg può rientrare nei binari della legge 180, che chiudendo i manicomi restituì dignità, diritti e speranze a tante persone. E ha reso migliore l’Italia. Liguria: situazione ancora critica per le carceri, nella regione è peggio della media Secolo XIX, 29 maggio 2014 Alla vigilia dell’ultimatum dell’Europa sulla sentenza Torreggiani, sono 59.683 i detenuti nelle carceri italiane: questo significa che comunque alcuni passi avanti sono stati fatti, se si considera che 11 mesi fa, al 30 giugno del 2013, nelle carceri dovevano trovare posto 66.028 persone. Oltre 6mila in meno significa che alcuni istituti sono diventati più vivibili, ma come ha ricordato l’associazione Antigone, che ha fatto il punto sulla situazione alla scadenza del periodo per metterci in regola, i posti regolamentari sono ancora almeno 15mila in meno. La Corte europea dei Diritti umani aveva dato all’Italia un anno di tempo per individuare un "meccanismo di compensazione" per chi ha vissuto la condizione di maltrattamento ed evitare che la situazione di trattamento inumano e degradante persistesse nel nostro sistema penitenziario: nei prossimi giorni il comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa valuterà le politiche penali e penitenziarie italiane. È vero ci sono "6mila persone in meno rispetto a un anno addietro, tuttavia - secondo l’associazione che si batte per i diritti nelle carceri - il gap da recuperare è ancora enorme". La capienza regolamentare era calcolata in 49.091 posti, dopo mesi di proteste da parte degli operatori di Antigone, che avevano potuto accertare i tantissimi reparti chiusi o in manutenzione, il ministero della Giustizia ha ammesso che sono ben 4.762 i posti attualmente non disponibili; la capienza regolamentare scende così a 44.329 posti. Con questo dato, che secondo Antigone sarebbe comunque sovrastimato, il tasso di affollamento italiano è del 134,6%, che significa 134,6 detenuti per 100 posti letto. Prima dell’inizio della procedura europea eravamo secondi per sovraffollamento solo alla Serbia, che aveva un tasso del 159,3%. Con il dato di oggi siamo stati superati anche da Cipro e Ungheria. Ma siamo comunque lontani, hanno fatto notare ancora da Antigone, dalla media europea, che è del 97,8%. La situazione comunque non è omogenea, e in alcune regioni il tasso sfiora ancora il 150%: in Puglia è del 148,4%, in Liguria del 148%, in Veneto del 139,9%, in Lombardia è del 136,7%, nel Lazio del 133,7% e si arriva al caso limite di Secondigliano (in provincia di Napoli), dove il sovraffollamento era in aprile di oltre il 200% (il 3 aprile, 1.357 detenuti per 650 posti). È così che, come i volontari dell’associazione hanno constatato nelle visite di questo mese, si verificano ancora casi di scabbia (a Rebibbia il 15 maggio, per esempio), carenza di attività rieducative e mancanza di spazi per le attività di trattamento e socializzazione. Puglia: Pastore (Psi): scaduto ultimatum Corte europea, problemi nelle carceri restano Corriere del Mezzogiorno, 29 maggio 2014 Emergenza carceri. è scaduto l’ultimatum della Corte europea e i problemi restano, poiché nulla è cambiato, soprattutto in Puglia. Di questa grave situazione si è interessato il Consigliere regionale del Gruppo Misto-Psi, Franco Pastore con una puntuale dichiarazione: "Sono 59.683 i detenuti nelle carceri italiane. Rispetto ad un anno fa, quando la Corte europea ha condannato l’Italia intimandole una sorta di ultimatum, che scade oggi, il numero dei detenuti è calato di circa 6.000 unità, neppure la metà degli "esuberi" stimati. Il nostro Paese, insomma, continua a violare i diritti dei detenuti lasciandoli vivere in condizioni disumane, in poco spazio e in celle inadeguate, senza luce e fatiscenti. Un anno ha avuto l’Italia per mettere a punto un meccanismo di compensazione per i detenuti in queste condizioni e ora la Corte europea valuterà quanto fatto. Piccoli passi, inefficaci, perché il problema resta, siamo lontanissimi dalla media europea e la Puglia, purtroppo, lo è ancora di più, con una situazione peggiore della media nazionale. Nella nostra regione, in media, ci sono quasi 150 detenuti laddove ve ne potrebbero stare 100. Per sanare questa situazione occorrono provvedimenti radicali? Che sono due, l’amnistia e l’indulto. Il carcere deve servire a fare scontare le pene comminate e a rieducare i detenuti per consentire loro di tornare nella società e potersi reinserire, lavorando e vivendo onestamente. Il carcere, invece, così come è oggi, garantisce una sola cosa, l’abbrutimento dei detenuti, il loro peggioramento, le recidive delle condotte criminose, creando un circolo vizioso dal quale sarà difficile venire fuori. Per no parlare, di coloro che non reggono e preferiscono togliersi la vita. Non basta la figura del Garante dei detenuti, Conclude Pastore, Istituzione di cui la Puglia si è dotata già tre anni fa, mostrandosi all’avanguardia nel Paese. Bari: detenuto 29enne suicida, era in attesa di giudizio per maltrattamenti in famiglia Ansa, 29 maggio 2014 Un detenuto di 28 anni, in attesa di giudizio per reati contro il patrimonio e la persona, si è suicidato impiccandosi nel carcere di Bari. Lo rende noto la segreteria generale del Cosp (Coordinamento sindacale penitenziario), secondo cui dall’inizio dell’anno sono sei i suicidi avvenuti in Puglia e otto i tentativi di suicidio sventati. Il suicidio, secondo quanto riferisce il Cosp, si è verificato attorno alle 15 nel settore protetti della sezione promiscua del carcere. A Bari, secondo il coordinamento, "ci sono situazioni al limite con sovraffollamento detentivo, gravi criticità strutturali e sanitarie, grave carenza di dipendenti di polizia penitenziaria. Sappe: negli ultimi tre anni suicidi più di 30 poliziotti penitenziari e circa 190 detenuti "La situazione resta allarmante nelle nostre carceri. Quello di oggi a Bari è l’ennesimo suicidio di un detenuto in un carcere italiano. L’uomo, 29 anni, si è impiccato in cella. Alla luce degli accadimenti che stanno attraversando le dinamiche penitenziarie in questo ultimo periodo occorre rivedere il sistema dell’esecuzione penale il prima possibile, altro che vigilanza dinamica nelle galere". La notizia arriva dal Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, il primo e più rappresentativo della Categoria, per voce del leader Donato Capece. "Quella del suicidio è una notizia triste, che colpisce tutti noi che in carcere lavoriamo in prima linea, 24 ore al giorno. Ed è una sconfitta per lo Stato che a morire sia una persona detenuta. Basti pensare ad alcuni dati che devono fare seriamente riflettere. In carcere si muore, detenuti ed agenti. Negli ultimi tre anni, si sono totli la vita più di 30 poliziotti penitenziari e circa 190 detenuti. La situazione resta grave: ma va detto che poco è stato fatto per fare fronte all’endemica emergenza che tra l’altro determina difficili, pericolose e stressanti condizioni di lavoro per gli Agenti di Polizia Penitenziaria", tuona Capece, segretario generale Sappe. Capece torna a sottolineare le criticità delle carceri italiane: "Nei 206 penitenziari del Paese il sovraffollamento ha raggiunto livelli patologici. Il nostro organico è sotto di 7mila unità. La spending review e la legge di Stabilità hanno cancellato le assunzioni,nonostante l’età media dei poliziotti si aggira sui 37 anni. Altissima, considerato il lavoro usurante che svolgiamo". Parma: giovani avvocati; carceri sovraffollate per l’eccessivo ricorso alla custodia cautelare Parma Today, 29 maggio 2014 Scade l’aut aut dell’Unione Europea all’Italia per la sentenza Torreggiani. La denuncia di un problema che attanaglia anche via Burla a Parma: "Ogni giorno per la carcerazione preventiva l’Italia spende circa 1,3 milioni di euro. Ma vanno tenuti in considerazione anche i costi umani: 10.389 persone sono in cella senza aver subito alcun processo" Scade oggi l’aut aut rivolto dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo all’Italia con la sentenza Torreggiani resa l’8 gennaio 2013, che obbligava il Paese a dotarsi di misure idonee ad eliminare il problema del sovraffollamento carcerario. Dopo la scadenza si apre la strada a tutte le procedure relative ai ricorsi pendenti "congelate" dalla Corte proprio in attesa che l’Italia adottasse le richieste e raccomandate misure. È facile prevedere che ai ricorsi pendenti si aggiungeranno quelli di nuova proposizione, con la conseguenza che l’Italia dovrà sborsare ulteriori ingenti somme relative ai risarcimenti (tra i 10 e i 20mila euro a detenuto, secondo quanto disposto dalla Corte nella sentenza). Somme che potrebbero essere utilizzate per migliorare il sistema carcerario italiano e che invece verranno impiegate solo per i risarcimenti dei detenuti. Per la carcerazione preventiva 1,3 milioni al giorno. Alla scadenza del 28 maggio è dedicato un approfondimento curato dagli avvocati Chiara Zucchetti e Fabrizio Di Zozza della Giunta Nazionale di Aiga (Associazione italiana giovani avvocati), dedicato all’analisi di tutti i costi - materiali e no - del sovraffollamento carcerario italiano. "Analizzando i dati numerici forniti dal Ministero della Giustizia - spiegano Zucchetti e Di Zozza - va evidenziato che alla data del 30 aprile 2014, su un totale di 59.683 detenuti, ben 10.389 (17,40% sulla popolazione carceraria complessiva) sono in attesa di giudizio. Di fatto sono sottoposti ad una misura cautelare senza aver subito alcun processo". Un costo umano, ma anche economico: "Il costo medio giornaliero di un detenuto per lo Stato italiano - sottolineano nel loro articolo gli avvocati Aiga - è pari nel 2013 ad €.124,96, che in un anno ammonta ad €.45.610,40, come riportato dalla tabella ufficiale del Ministero". Ogni giorno, per la carcerazione preventiva l’Italia spende circa 1,3 milioni di euro. Custodia cautelare: in carcere senza processo un detenuto su 5. Ma i costi non possono ridursi al solo aspetto economico. La sentenza Torreggiani invitava l’Italia ad adottare misure idonee a risolvere il problema "strutturale e sistematico" del sovraffollamento carcerario riducendo al minimo - tra l’altro - il ricorso alla custodia cautelare in carcere. "Analizzando i dati reperibili dal Ministero della Giustizia - spiegano gli avvocati Zucchetti e Di Zozza - si può facilmente notare che i detenuti in attesa di giudizio che a gennaio 2013, mese di emanazione della sentenza Torreggiani, erano circa 12.439 (18,87%) su un totale di 65.905 detenuti, si sono ridotti nell’ aprile 2014 a 10.389 (17,41%) su un totale detenuti di 59.683". Un numero ancora troppo alto, considerato che si tratta di persone sottoposte ad una misura cautelare senza aver subito alcun processo. Sovraffollamento carcerario: peggio di noi solo la Serbia. Dal gennaio 2013, mese di emanazione della sentenza Torreggiani, in cui c’era un sovraffollamento di 18.865 detenuti, siamo passati, nel mese di aprile 2014 ad un esubero di 10.592 detenuti, pertanto gli interventi del legislatore iniziano a produrre i loro effetti e fanno ben sperare. "Guardando all’Europa - spiegano gli avvocati di Aiga - il più recente dato sul sovraffollamento carcerario è quello elaborato dal Consiglio d’Europa, aggiornato al 1° settembre 2012, dove in tale triste e ingloriosa graduatoria, siamo posizionati penultimi, con un coefficiente di 145,40. Ciò vuol dire che nominalmente su una capienza di cento posti in realtà ci sono 145,40 detenuti. Peggio di noi solo la Serbia con un coefficiente di 159,3". Per quanto riguarda gli altri Paesi europei, risalta il coefficiente tedesco pari a 88,60% quello spagnolo di 89,40% per poi passare alle situazioni di sovraffollamento di Albania di 110,70% e quello francese di 117%. È anche vero che dal settembre 2012 all’aprile 2014 la situazione è migliorata, scendendo tale coefficiente dal 145,40% al 121,58%. Tuttavia siamo ancora ben lontani dalla situazione imposta dalla CEDU. Misure adottate "idonee ma non sufficienti" per l’Europa. Serve dunque una inversione di rotta che conduca l’Italia, anche in questo settore, oltre il contingente e consenta di traguardare un futuro che sia dignitoso per tutti i cittadini, anche per quelli costretti in carcere. "In particolare è doverosa una riflessione, svuotata dai furori ideologici, sugli effetti del recente decreto svuota-carceri, che, tra le altre misure, aumenta lo sconto di pena concesso per ogni semestre (da 45 a 75 giorni) e soprattutto dispone un utilizzo del braccialetto elettronico più frequente. Da pena alternativa eccezionale, il braccialetto diventa uno strumento ordinario. Viene istituita la figura del Garante Nazionale delle persone detenute al fine di vigilare sul rispetto dei diritti dei detenuti e sulle condizioni in cui scontano la pena", sottolineano gli avvocati Aiga. Analoga attenzione deve porsi alla proposta di legge AC631 attualmente in seconda lettura alla Camera, nonché alla L.94/2013 di conversione del "Decreto carceri" con il quale è stato anche previsto di portare la capienza regolamentare delle carceri italiane a 57.000 posti con la creazione di circa 12.324 nuovi posti. Tali misure sono state giudicate idonee ma non sufficienti dalla "Commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni"(Commissione Libe) europea che in data 26-28 marzo 2014 ha fatto visita ad alcune strutture carcerarie italiane. La delegazione pur apprezzando gli sforzi fatti dall’Italia negli ultimi mesi, ritiene che molto di più si possa e si debba fare per ridurre il problema del sovraffollamento carcerario. "Eccessivo il ricorso alla custodia cautelare". A questo punto dinanzi al reiterarsi di pronunce che mettono alla sbarra il nostro Paese, viene spontaneo chiedersi se il problema del sovraffollamento carcerario, oggettivamente esistente ed allarmante, sia solo una questione di edilizia carceraria o piuttosto non derivi dall’eccessivo ricorso alla misura della custodia cautelare. "La risposta - sottolineano gli avvocati Zucchetti e Di Zozza - è evidente ed è per questo che si deve puntare a sistemi alternativi al carcere capaci di incidere altresì sulla recidiva: il terzo settore in questo senso deve essere maggiormente valorizzato all’interno degli istituti e trovare nei fondi europei un aiuto fattivo per un modello di impresa sociale che nel rieducare il detenuto, avvicinandolo al lavoro in carcere, rieduchi la società intera". Reggio Calabria: sovraffollamento delle carceri, la città respira grazie all’istituto di Arghillà di Anna Foti www.reggiotv.it, 29 maggio 2014 Emergenza carceri. Oggi il fotofinish per l’Italia che potrebbe essere obbligata a pagare all’Europa una multa milionaria per il sovraffollamento che pone il nostro paese da decenni sotto i riflettori internazionali. In questi mesi tale sfida ha imposto l’adozione di provvedimenti, in attesa dell’ok definitivo, anche da parte del governo Renzi; tali misure adesso, in ragione dell’odierna scadenza, saranno complessivamente valutati in occasione del vertice fissato a Strasburgo per il prossimo 3 giugno, cui prenderà parte il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa. La nuova legge sulle pene alternative la messa in prova ai servizi sociali, la riforma della custodia cautelare in carcere, gli accordi per il rimpatrio sui detenuti stranieri e il recepimento delle indicazioni della Corte Costituzionale sulla legge per le droghe, saranno al vaglio per comprendere i potenziali risvolti e valutare la loro possibilità di salvare l’Italia dalla sanzione. Rispetto al quadro nazionale, la Calabria patisce da tempo emergenze in tema di risorse e di condizioni oltre che di capienza nelle infrastrutture carcerarie. In quest’ultima direzione Reggio traccia, comunque, un segno positivo. Fino a qualche tempo fa soffriva, infatti, di sovraffollamento ma con l’apertura dell’istituto Arghillà ha tirato un sospiro di sollievo. Adesso nel nuovo istituto, dopo il rientro nelle strutture calabresi di provenienza di alcuni detenuti inizialmente trasferiti, è stata trasferita la metà dei persone prima ristrette a Reggio centro, unitamente alla sezione femminile che tornerà a San Pietro al termine dei lavori di ristrutturazione. Vi sono 200 persone circa; tanti quanti nella casa circondariale di Reggio. Una situazione stabilizzatasi anche nella città calabrese dello Stretto, realtà del panorama calabrese specchio del sovraffollamento italiano - con oltre 300 detenuti in una struttura che avrebbe potuto ospitarne 260 e che avrebbe dovuto ospitarne 160 - e specchio della larga applicazione della misura cautelare in carcere, ossia della detenzione in attesa di giudizio di persone che, secondo la Costituzione, sono presuntamene innocenti. Anche a Reggio Calabria più della metà della popolazione carceraria è in attesa di giudizio. In Italia il 40% è in questa condizione. Intanto nei giorni scorsi già un primo incontro a Strasburgo tra il ministro della Giustizia Andrea Orlando, la vice segretaria generale del Consiglio d’Europa Gabriella Battaini-Dragoni, il presidente della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo Dean Spielmann ed il vice presidente Guido Raimondi. Il ministro Orlando attende le valutazioni della Corte anche se ad Andkronos dichiara che, personalmente, sarebbe anche favorevole ad amnistia e indulto, pur prendendo atto che non sarebbe il momento adatto". Le condizioni degradanti ed inumane in cui l’Italia tollera che vivano le persone detenute è sotto la lente dell’Europa al punto da avere istituito per questa ragione una forte riserva per il nostro paese. Dopo la sentenza Torreggiani, oggi 28 maggio scade il termine di un anno concesso al Belpaese dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo, che aveva sospeso 8000 ricorsi presentati contro l’Italia per il sovraffollamento. Il termine era stato concesso fine di consentire al nostro paese, secondo dopo la Serbia per questa criticità, di rendere i suoi 205 istituti penitenziari, con oltre 60 mila detenuti ed un sovraffollamento di quasi ventimila persone, più dignitosi. In questi dodici mesi i ricorsi sono ulteriormente aumentati (4.000 in più) e le cifre di risarcimento che l’Italia potrebbe essere condannata a pagare sarebbero milionarie. Sui dati ci sono divergenze. Il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria aveva dichiarato che al 31 marzo 2013 i detenuti erano già scesi da oltre 65 mila a poco più di 60 mila, a fronte di 48 mila posti disponibili. I Radicali avevano però contestato quest’ultimo dato sostenendo che i posti disponibili erano poco più di 40 mila, escludendo quelli non effettivamente utilizzabili. Dunque il tasso di sovraffollamento sarebbe stato, a loro dire, in realtà molto più alto. Ancona: detenuti ed ex detenuti al lavoro per il decoro urbano della città di Alessandra Napolitano www.anconatoday.it, 29 maggio 2014 Firmato il protocollo d’intesa tra il Provveditorato dell’Amministrazione Penitenziaria e il Comune. Il primo progetto riguarda la pulizia di alcune zone della città, graffiti, la sistemazione di 260 panchine e dei siti archeologici. Detenuti ed ex detenuti delle carceri anconetane contribuiranno alla manutenzione della città. Un primo passo vero il loro inserimento lavorativo nella società. Firmato il protocollo d’intesa Al progetto partecipano 20 detenuti che andranno a lavorare presso strutture territoriali, aziende e privati. Svolgeranno lavori di pubblica utilità. "È un protocollo d’intesa che riguarda al momento 20 detenuti di cui 10 con articolo 21 quindi in esecuzione penale e 10 in fase di misura alternativa di detenzione - riferisce Ilse Runsteni, Provveditore regionale. Nelle Marche sono già stati firmati altri protocolli d’intesa. Questo è frutto di una sinergia con tutti gli enti territoriali, comuni, regione, volontariato e terzo settore". Detenuti ed ex detenuti presteranno la loro opera a fianco di altri lavoratori e pian piano rientreranno nuovamente a contatto con il mondo del lavoro sentendosi utili per la collettività. Per il Comune di Ancona il protocollo d’intesa significa poter contare su risorse aggiuntive per migliorare la città. "Avere persone, in parte detenuti, in parte persone che hanno finito di scontare la pena, che lavoreranno senza alcun onere economico per il Comune, lavoreranno per la città di Ancona al mantenimento del verde, alle manutenzioni, alla pulizia della città credo sia una grande cosa- commenta il sindaco Valeria Mancinelli. È una grande coda per noi perché abbiamo risorse umane in più da utilizzare in attività di questo tipo e i nostri concittadini sanno quanto ce n’è bisogno e quanto siano scarse le risorse del Comune". "Il protocollo d’intesa è la cornice nella quale vogliamo muoverci nei prossimi anni. Già alcuni ex detenuti stanno lavorando con noi e stanno aiutando Anconambiente con la manutenzione del verde - spiega l’assessore Emma Capogrossi. Il primo progetto operativo riguarda il decoro urbano. Saranno ripulite alcune zone della città, graffiti, sistemate 260 panchine e rimessi apposto i siti archeologici. In questo modo le esigenze reciproche si trasformano in risorse". "Questo progetto è importante perché c’è un recupero non solo della città ma anche di persone da reinserire nella società" afferma il presidente di Anconambiente Antonio Gitto. "È importante il reinserimento attraverso il lavoro perché è proprio attraverso l’azione che ci si sente membri di una collettività. Per quanto riguarda il settore cultura abbiamo pensato ai siti archeologici, beni che torneranno ad essere fruibili alla città" sostiene l’assessore Paolo Marasca. Lecce: progetto "Giardino Radicale"… così i detenuti ristrutturano il carcere di Lidia Baratta www.linkiesta.it, 29 maggio 2014 Il progetto si chiama "Giardino Radicale": così i detenuti hanno rimesso a nuovo gli spazi in comune. Il carcere di Borgo San Nicola a Lecce è noto per l’emergenza sovraffollamento. La capienza regolamentare è di 656 persone, ma l’Associazione Antigone il 28 settembre del 2012 trova nelle celle 1.291 detenuti. Diversi i suicidi dietro le sbarre. L’ultimo, nel marzo 2014. Non a caso, dalla struttura penitenziaria salentina nel 2010 sono partite due class action da parte dei detenuti per la condizione disumana in cui vivevano. Ora, a distanza di qualche anno, qualcosa sembra migliorare. E il carcere di Borgo San Nicola fa parlare di sé per un progetto in cui gli stessi detenuti sono stati coinvolti nel miglioramento delle condizioni della struttura in cui vivono. Il progetto si chiama "Giardino Radicale", fa parte del più ampio percorso "GAP, la città come galleria d’arte partecipata" e per tre mesi ha portato il design oltre i cancelli del carcere della sezione R2, quella maschile, progettando una nuova vita per gli spazi in comune. I lavori sono stati finanziati dalla Fondazione con il Sud, con il coinvolgimento delle Manifatture Knos di Lecce e della regista teatrale Paola Leone, che nel carcere ha dato anche vita a una corso di teatro. "Quelli del carcere sono spazi molto semplici che andavano rivitalizzati", ci spiega Francesca Marconi, ideatrice di "Giardino Radicale" e coordinatrice artistica di "GAP", che da Milano si è trasferita a Lecce per dare vita a quello che definisce "il progetto della mia vita". C’è la stanza del telefono, "brutta e minuscola", dove i detenuti telefonano a parenti e avvocati, che ora è stata "trasformata in una stanza più calda, con la tappezzeria e un tavolo per scrivere costruito da un paio di detenuti usciti con un permesso lavoro". L’altro spazio rivoltato come un calzino è la "Barberia", la stanza dove due detenuti sistemano barba e capelli agli altri. E poi una stanza per il tempo libero, adibita al gioco a carte e al karaoke, "molto amato in carcere"; e una stanza "per lo spirito e il corpo, che avrebbe dovuto essere una palestra con gli attrezzi, ma alla fine gli attrezzi non sono arrivati, quindi abbiamo portato dei materassini e abbiamo fatto yoga". Nella ristrutturazione di queste quattro stanze, i detenuti hanno "collaborato, immaginato, avanzato proposte", racconta entusiasta Francesca. "Quasi tutta la sezione ha voluto partecipare e visto che sono in tanti alcune volte siamo stati costretti a fare dei turni". Le regole da seguire sono rigide, perché sempre di carcere si tratta, anche se il fine è rieducativo. Alcuni materiali non possono essere introdotti - "l’appendiabiti, ad esempio, è vietato", dice Francesca - e tutto il lavoro di ristrutturazione "è avvenuto sotto il controllo delle telecamere". Ma quello che è cambiato, tra le mura di Borgo San Nicola, "non è solo il lato estetico. Qualche detenuto mi ha detto: "Il bianco e il nero fanno venire brutti pensieri. Con il rosso e il giallo invece pensi all’amore, all’amicizia"". È bastato solo portare qualche secchio di vernice, insomma, "in un posto in cui di solito il colore non esiste, per risollevare gli animi". Ora i lavori si sono conclusi. E i detenuti stanno usando le nuove stanze per telefonare, cantare al karaoke e mettere a posto i capelli. Ma "ci hanno chiesto di voler ridipingere anche le celle, i corridoi e le porte", racconta Francesca. Nel carcere di Borgo San Nicola c’è ancora bisogno di vernice. Busto Arsizio: il carcere compie 30 anni… migliorarci è un vantaggio per tutti www.varesenews.it, 29 maggio 2014 Il 28 maggio 1984 la struttura bustocca entrava in funzione ma in questa data, 30 anni più tardi, scade anche il limite concesso dall’Europa per rimettere a norma le strutture detentive in Italia. Ecco cosa è cambiato in questi anni. è un compleanno particolare quello che mercoledì 28 maggio il carcere di Busto si prepara a festeggiare. Se da un lato sono passati esattamente 30 anni da quando la struttura detentiva si è trasferita in via per Cassano, dall’altro scade proprio in questa data il limite dato dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo all’Italia per rimettere a norma il proprio sistema detentivo. "In questi 30 anni sono cambiate molte cose - spiega Orazio Sorrenti durante l’evento convocato per celebrare la ricorrenza - e il carcere ha mutato profondamente il suo ruolo sociale". La facilità con cui si aprono o chiudono le porte di queste strutture "è cambiata in base al contesto storico e alle varie leggi" anche se oggi è evidente come "la concezione non è più quella della mera detenzione ma deve puntare alla rieducazione dei soggetti". Un cambiamento che si è reso evidente anche con l’accesso degli operatori sociali all’interno dei carceri oltre che con l’evoluzione di compiti e ruoli di chi deve presidiare e controllare la situazione. "Il nostro corpo - spiega Rossella Panaro, Comandante della Polizia Penitenziaria del carcere bustocco - era inizialmente quello di garantire ordine e disciplina ma oggi tutto questo è cambiato". Gli uomini e le donne che quotidianamente presidiano le strutture detentive "sono chiamati ad interagire con i gruppi, a osservare discretamente e cercare di prevenire le emergenze e le situazioni di pericolo". Un cambiamento radicale all’interno delle strutture detentive che "troppo spesso guardiamo con sufficienza e senza ricordare il passato". A dirlo è il Procuratore Gianluigi Fontana ricordando quando "ai tempi in cui si mettevano i detenuti in cella "buttando via le chiavi" contavamo rivolte violente ogni anno". Morti, insubordinazioni e sommosse "erano all’ordine del giorno creando un clima invivibile" mentre oggi tutto è diverso e questo è reso emblematico da un fatto: "nelle carceri anche la polizia gira disarmata". Proprio per questo e con la voce velata dalla commozione il Procuratore si è rivolto direttamente alla platea di agenti di polizia: "è grazie a uomini e donne come voi che si deve la scomparsa delle violenze inaudite degli anni precedenti". Ma se quando era nato il carcere bustocco poteva considerarsi un’eccellenza ("pensate che a fine anni 80 noi avevamo informatizzato tutte le procedure" ricorda il direttore di quel tempo, Michele Rizzo) il presente è ben diverso. A fronte di una capienza di 167 posti la popolazione carceraria viaggia (quasi) sempre sopra le 400 unità ma nell’anno e mezzo passato dalla condanna molto è cambiato e sta cambiando. "Abbiamo lavorato molto per riportare il nostro carcere all’interno delle normative europee -spiega il direttore Sorrentini- ed entro metà luglio tutti i lavori programmati dovrebbero arrivare a conclusione". E anche se ci vorrà tempo per capire se l’Europa accetterà gli interventi italiani, il direttore è certo di un fatto: "Rendere le carceri più vivibili è un progresso e un vantaggio per l’intera comunità". Siracusa: "Coltivare la libertà", il 30 maggio si parla di carceri e inclusione sociale www.siracusanews.it, 29 maggio 2014 La drammatica situazione del sistema penitenziario italiano interroga continuamente istituzioni e società civile su quali risposte dare a quella che è ormai diventata un’emergenza cronica. La rieducazione del condannato e il suo reinserimento sociale, secondo il dettato dell’articolo 27 della Costituzione, può avvenire soprattutto attraverso lo strumento fondamentale del lavoro. Anche una migliore e più ampia applicazione delle misure alternative alla detenzione in carcere può contribuire ad un maggiore rispetto dei diritti di chi ha subito una condanna penale e a ridurre drasticamente il fenomeno della recidiva. Su queste tematiche si discuterà nel seminario "Coltivare la libertà: carcere, lavoro e strategie di inclusione sociale" che si terrà a Siracusa il 30 maggio e a Ragusa il 31 maggio. Il seminario si svolge nell’ambito del progetto Coltivare la Libertà che si propone di sviluppare percorsi di reinserimento socio-lavorativo per persone in esecuzione penale esterna. Tra i relatori saranno presenti la presidente della Commissione Giustizia della Camera dei Deputati, on Donatella Ferranti, e il capo del Dap (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria), Giovanni Tamburino. Parteciperanno al seminario anche alcuni direttori di istituti penitenziari e i rappresentanti di cooperative sociali impegnate all’interno delle carceri di diverse città italiane come Padova, Roma, Torino, Milano, Trani, Siracusa e Ragusa. Novara: il Parco delle Betulle ripulito con collaborazione dei detenuti di via Sforzesca www.oknovara.it, 29 maggio 2014 Con l’intervento di mercoledì 27 maggio è terminato il lavoro di pulizia e messa in ordine del Parco delle Betulle svolto da Assa con la collaborazione di detenuti della Casa Circondariale di via Sforzesca, nell’ambito delle "Giornate di Recupero del patrimonio ambientale con l’impiego di detenuti della Casa Circondariale di Novara" attivate sulla base del protocollo di intesa siglato a inizio aprile da Augusto Ferrari, in qualità di assessore ai servizi sociali del Comune di Novara, dal Magistrato di sorveglianza, dalla Casa Circondariale, dall’Uepe l’Ufficio esecuzioni penali esterne e dal presidente di Assa, Marcello Marzo. I detenuti hanno terminato la pulizia del Parco delle Betulle, sito tra viale Verdi e viale Giulio Cesare, completando in questo modo il grande lavoro iniziato il 7 maggio scorso. Anche oggi, nella parte del parco che era rimasta da pulire, sono stati rimossi i rifiuti da bivacchi tra le siepi e gli arbusti e i depositi di rifiuti sotto i cespugli, sono stati puliti i vialetti e i cordoli dalle erbe infestanti e liberate tutte le griglie di raccolta acqua piovana ed è stata ridimensionata la siepe sul viale Verdi che ostruiva il passaggio pedonale sul marciapiede. Vasto (Ch): in tribunale, dopo la sentenza, detenuto aggredisce 4 agenti penitenziari Agi, 29 maggio 2014 Un detenuto ha aggredito ieri pomeriggio nel tribunale di Vasto quattro agenti penitenziari che lo stavano scortando per consentirgli di partecipare a un’udienza in cui è stata poi emessa una sentenza di condanna a suo carico. Lo riferisce il segretario provinciale della Uil-Pa Penitenziari Chieti, Ruggero Di Giovanni. Dopo la lettura del dispositivo, il detenuto ha deciso di allontanarsi dall’aula manifestando l’intenzione di abbandonare il tribunale, racconta Di Giovanni. Gli agenti, prontamente intervenuti, sono stati aggrediti violentemente dal detenuto che è stato fermato a fatica e riaccompagnato nella Casa Lavoro di Vasto: per i 4 agenti rimasti contusi nella colluttazione è stato necessario il ricorso alle cure del pronto soccorso per una prognosi complessiva di 40 giorni. "Nella Casa Lavoro di Vasto come in tutti gli Istituti penitenziari della regione e d’Italia - afferma Di Giovanni - registriamo una grave carenza di personale e spesso le scorte che accompagnano i detenuti nei tribunali, negli ospedali e così via sono sotto dimensionate a discapito della sicurezza dei cittadini e dello stesso personale di scorta. Nel frattempo - osserva il sindacalista - non c’è nessuna intenzione di adeguare gli organici della polizia penitenziaria alle reali esigenze di sicurezza. A Vasto, ad esempio, il carcere a tutt’oggi ha un direttore in missione che deve dividere le sue giornate lavorative tra la Casa Lavoro di Vasto e la scuola di polizia penitenziaria di Sulmona ed un comandante di reparto in distacco temporaneo, quindi non ancora definitivo a Vasto. Pertanto chiediamo, ancora una volta, al provveditore regionale Bruna Brunetti di voler intervenire per favorire l’affidamento definitivo degli incarichi di dirigenza e comando negli istituti della regione", conclude Di Giovanni. Prato: lezione di cinema di Leonardo Pieraccioni ai detenuti del carcere della Dogaia www.toscanatv.com, 29 maggio 2014 Serata speciale aperta al pubblico a La Dogaia nell’ambito del Progetto Cinema che ha visto protagonista il famoso regista toscano, disponibile a rispondere alle domande dei presenti e a firmare autografi per tutti. Leonardo Pieraccioni è entrato nel carcere della Dogaia per parlare di cinema. Una serata speciale quella di ieri sera a cui il famoso attore - regista ha partecipato volentieri su invito della Casa Circondariale che ha messo in piedi un programma di eventi, organizzati all’interno ma aperti al pubblico, collaterali alle attività didattiche che svolgono i detenuti. Un incontro molto partecipato presentato dal giornalista Federico Berti e dal direttore del carcere Vincenzo Tedeschi, che ha visto anche la presenza di un gruppo di carcerati, coinvolti nel "Progetto Cinema". La serata è iniziata con un apericena a cui è seguito l’incontro con Pieraccioni. Subito dopo è stato proiettato "I laureati" del 1995, primo di una lunga serie di film campioni d’incasso del regista toscano a cui le guardie carcerarie hanno regalato un cappello d’ordinanza. Il detenuti hanno così potuto apprendere i segreti del mestiere da uno dei protagonisti del cinema toscano e italiano. Il gruppo che segue il progetto Cinema, usufruisce di una sala di proiezione ad hoc realizzata grazie al ricavato della cena di beneficenza dello scorso dicembre e inaugurata a febbraio dove è possibile vedere i classici della commedia italiana. Presto i carcerati potranno conoscere e ascoltare altri personaggi di questo straordinario e affascinante mondo. Cosenza: detenuti in scena al Teatro Rendano, sono attori in "Amore sbarrato" www.lametino.it, 29 maggio 2014 Il 6 giugno alle 18.30 al Teatro "Rendano" un gruppo di detenuti della Casa circondariale "Sergio Cosmai" di via Popilia varcherà la soglia dell’istituto di pena per recarsi al Teatro "Rendano" per recitare, da attori, nell’atto unico "Amore sbarrato", scritto e diretto dall’attore cosentino Adolfo Adamo. L’allestimento conclude il laboratorio teatrale che lo stesso Adamo ha tenuto nella casa circondariale di Cosenza dallo scorso mese di marzo. "L’opera, sottolinea Adamo, nasce dall’incontro dei detenuti della Casa Circondariale Sergio Cosmai con il teatro. Nell’atto unico ho cercato di riassumere il percorso laboratoriale che i ragazzi hanno affrontato. Da un approccio iniziale al compito, non facile, recitare e interpretare un ruolo che rimanda al dualismo persona/personaggio. Il palcoscenico rappresenta per loro - dice ancora Adolfo Adamo - un mezzo per scrutare la vita con una lente d’ingrandimento. Fare teatro, anche e soprattutto nelle case circondariali, è fondamentale, perché è importante sia come opportunità che come esperienza artistica. Abbattere uno stato d’invisibilità consente così alla persona di ritrovare il filo della propria storia e di poterla raccontare". Firenze: studenti di cinema dietro le sbarre… firmano un "doc" sul carcere di Sollicciano L’Unità, 29 maggio 2014 Daniele Segre alla testa del laboratorio del Centro sperimentale di cinematografia di Roma. Storie di quotidiana follia da una istituzione ormai superata. Studenti dietro alle sbarre. Per portare il cinema dove abitualmente non arriva, ma anche e soprattutto per compiere un percorso umano, "perché dietro ad ogni artista prima di tutto ci sono uomini e donne. Persone impegnate a cambiare il mondo col loro contributo di riflessione e civiltà". Da qui, infatti, è partito il laboratorio didattico degli studenti del Centro sperimentale di cinematografia, condotto da Daniele Segre, decano del cinema del reale, quello sociale, soprattutto, delle emergenza e delle lotte. Allievi del secondo anno dei corsi di sceneggiatura, regia, montaggio e suono che nel luglio del 2013 sono entrati nel complesso penitenziario fiorentino di Sollicciano, all’inizio "solo" per documentare un concerto in carcere, ma alla fine talmente carichi di storie ed umanità da raccontare che il girato ha preso il sopravvento sul progetto iniziale. Così è nato "Sbarre", uno dei documentari coprodotti da Rai Cinema per raccontare le Storie d’Italia in rassegna alla Casa del Cinema di Roma (domani, sabato e domenica). Già presentato allo scorso Festival di Lecce, Sbarre è uno scioccante viaggio tra le esistenze sospese di detenute e detenuti. Camera fissa, primi piani e microfoni aperti sulle loro storie. Uomini e donne chiusi per 22 ore al giorno in celle minuscole da dividere in tre. Dove il tempo è il principale nemico. "Abbiamo tre calendari, uno ciascuno, anche se facciamo finta di non vederli. E la domenica dura un mese". Qui le "percezioni - dicono - sono tutte amplificate". E la tensione è sempre alle stelle. C’è chi racconta di aver pensato subito al suicidio, appena entrato. Chi dice di aver rinunciato ai colloqui coi familiari perché al momento del saluto è "come se mi strappassero il cuore". Chi denuncia condizioni igieniche folli, coi liquami delle fognature che gocciolano regolarmente dal soffitto. Chi spiega che in quel lavabo per tre persone ci si lavano "piatti, piedi e sedere". E tutti, proprio tutti, che dicono di "vivere come le bestie". Chiusi in gabbia 22 ore al giorno. "Basterebbe che ci facessero uscire un po’, magari solo per andare a parlare con quelli vicini perché le tensioni calerebbero", spiega un ragazzo. Ma qui a Sollicciano è così. Un ecomostro di cemento, diviso in cubi dalle alte feritoie, dove l’unica possibilità di comunicazione è il "panneggio": gli uomini e le donne, richiusi in "bracci" frontali, "parlano d’amore" attraverso questa sorta di linguaggio morse fatto con gli stracci. "La prima volta si scambiano i nomi - racconta una detenuta - la seconda già si dicono di amarsi, la terza già progettano di fare figli. Qui in carcere si vive in un mondo assurdo dove non esiste più nessun rapporto con la realtà normale". Anche per i secondini del resto. E sono gli stessi carcerati a dirlo: "Le guardie fanno un lavoraccio. Noi siamo qui per un po’ di anni ma loro sono detenuti a vita". Tutti, dunque, dietro alla "sbarre" pagano il prezzo di un’istituzione che, mai come oggi, appare sempre più inumana e superata. Il primo ad esserne convinto, per esempio, è proprio Fabio Cavalli che in carcere ci "vive" per scelta. Da anni, infatti, è alla testa del laboratorio teatrale di Rebibbia, a Roma, dove è nato Cesare deve morire dei fratelli Taviani, vincitore della Berlinale e punto di partenza di una "nouvelle vague" di cinema sul carcere. "Io sono un abolizionista convinto - spiega Cavalli - e sono certo, come sta accadendo in Nord Europa, che il carcere si estinguerà". Ma nel frattempo non resta che affidarsi al potere "salvifico" del teatro. Basta guardare ai numeri: "La recidiva tra i carcerati è del 65% - spiega - ma tra coloro che fanno attività teatrale scende al 6%. Se il teatro non fa più delinquere, dunque, andrebbe somministrato in dosi massicce. E varrebbe la pena a questo punto riflettere sul ruolo della cultura nella società". E magari in questa direzione, perché no, va anche la rassegna Storie d’Italia, una manciata di doc per analizzare le urgenze del nostro contemporaneo. Il 6 giugno sarà la volta di Fighting Paisanos di Marco Curti (la Liberazione vista attraverso gli occhi di giovani soldati italo-americani); il 13 giugno, L’occupazione cinese di Massimo Luconi sulla comunità cinese a Prato; il 20 giugno, Il pane a vita di Stefano Collizzoli sulla fine del posto fisso e il 27 giugno chiude la rassegna Mie care mamme, miei cari papà di Viviana Di Russo sulle famiglie arcobaleno. Stati Uniti: le prigioni nuovi ospedali psichiatrici, diminuiti i centri per la cura di detenuti Tm News, 29 maggio 2014 Negli Stati Uniti le prigioni sono diventate i nuovi ospedali psichiatrici. Chi si occupa di salute mentale non ha una laurea in psicologia o in psichiatria, né ha fatto studi approfonditi sui problemi legati alla schizofrenia. Chi tutti i giorni si confronta con persone colpite da patologie psicologiche non è un medico, ma uno sceriffo. Un caso emblematico è quello del carcere della contea di Cook (Illinois), il più grande del Paese: qui il 30% dei 10.000 detenuti soffre di gravi disturbi psichici. L’esplosione di questo fenomeno è legata al fatto che negli Stati uniti i fondi destinati alla salute mentale sono sempre meno. Secondo la non profit National Alliance on Mental Illness, dal 2009 al 2012 gli Stati americani hanno ridotto i finanziamenti per la cura dei pazienti con disturbi mentali di 1,6 miliardi di dollari, cioè quasi il 10% in meno in tre anni. Oltre a questo, i tagli a livello locale e federale sono sempre di più incisivi, così quando i servizi sanitari specifici smettono di essere erogati da strutture specializzate, subentrano le carceri. Qui l’assistenza che viene garantita a questo tipo di detenuti, pagata con i soldi dei contribuenti, lascia molto a desiderare. Secondo il Treatment Advocacy Center, in 44 Stati su 50 sono le prigioni a prendersi cura di persone con gravi patologie mentali che invece dovrebbero essere curate in aree degli ospedali psichiatrici dedicate o in strutture carcerarie con personale specializzato: il numero di persone con disturbi psichici che attualmente si trova dietro le sbarre è dieci volte superiore a quello dei pazienti assistiti nei centri di igiene mentale. Nella maggior parte dei casi, si trovano in carcere perché accusati di reati minori, come furto, violazione di domicilio e possesso di droga. Restano in prigione perché non possono permettersi di pagare la cauzione o perché non hanno nessun altro posto dove andare. Il governo ha stimato che a gennaio 2013 le persone senza fissa dimora erano quasi 388.000 in tutto il Paese, il 20-25% dei quali ha problemi psichiatrici. Israele: ricoverati 40 detenuti palestinesi in sciopero fame, almeno 240 protestano Tm News, 29 maggio 2014 L’amministrazione penitenziaria israeliana ha ricoverato in ospedale 40 detenuti palestinesi che sono in sciopero della fame da oltre un mese per protestare contro la detenzione amministrativa, ovvero senza incriminazione, né processo. Lo ha annunciato la sua portavoce, Sivan Weizman, assicurando che lo stato di salute dei prigionieri ricoverati, ripartiti in nove strutture diverse, sono "ragionevoli". Secondo Weizman, 240 prigionieri palestinesi partecipano alla protesta, lanciata cinque settimane fa per chiedere la fine della incarcerazione amministrativa. Secondo fonti ufficiali palestinesi i detenuti che rifiutano il cibo sono invece 300. Manifestazioni e sit-in a favore dei prigionieri si sono svolti oggi a Ramallah e Gaza davanti alla sede dell’Onu e della Croce rossa. Circa 5.000 palestinesi sono incarcerati nelle prigioni israeliane, la maggior parte per motivi di sicurezza. La detenzione amministrativa è una controversa disposizione ereditata dal mandato britannico sulla Palestina che permette di incarcerare dei sospetti senza incriminazione e né processo per periodi di sei mesi rinnovabili indefinitamente. Israele vi ricorre per tenere segreti i dossier dei sospetti e proteggere la sua rete di informatori, considerati dei "collaborazionisti" dai palestinesi. Ucraina: quattro Osservatori Osce detenuti dai filo-russi, il sindaco di Slaviansk conferma Ansa, 29 maggio 2014 Viaceslav Ponomariov, l’autoproclamato sindaco di Slaviansk, roccaforte dei separatisti filorussi nell’est ucraino, ha affermato che i quattro osservatori dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce) spariti nei giorni scorsi vicino a Donetsk - tra cui uno svizzero - sono detenuti da una milizia locale in un luogo di sua conoscenza e che stanno bene. "Avevamo chiesto loro di non andare da nessuna parte per un po’ di tempo, ma queste quattro persone sono risultate troppo zelanti. Gli abbiamo interrogati, vogliamo chiarire chi sono veramente, dove stavano andando e perché, poi li lasceremo liberi", ha aggiunto all’agenzia russa Interfax. Tailandia: in tv video politici arrestati da giunta responsabile del colpo di Stato La Presse, 29 maggio 2014 La giunta militare responsabile del colpo di Stato in Thailandia ha ordinato a tutte le tv del Paese di mandare in onda oggi video che mostrano alcuni dei politici che ha arrestato, nel tentativo di convincere l’opinione pubblica che le persone in custodia dell’esercito vengono trattate bene. I filmati mostrano cinque detenuti che parlano con ufficiali dell’esercito in una località sconosciuta. Il più noto dei cinque è il leader del movimento delle Camicie rosse, Jatuporn Prompan, che aveva promesso che avrebbe agito se l’esercito avesse preso il potere. Jatuporn era stato arrestato il giorno del golpe, il 22 maggio, e ora è stato rilasciato insieme ad altri quattro leader delle Camicie rosse. "Non ho idea del perché siamo stati bendati per arrivare lì e per andare via", ha detto un altro dei cinque, Kokaew Pikulthong. "Siamo stati trattati bene, non è stato un piacere ma è stata una condizione vivibile", ha aggiunto. Cambogia: condanne 20 anni per ragazza francese e altri 4 accusati traffico droga La Presse, 29 maggio 2014 Una ragazza francese, una donna australiana e tre nigeriani sono stati condannati a pene fino a 27 anni di carcere in Cambogia per avere provato a contrabbandare eroina fuori dal Paese. Le prime due sono Charlene Savarino di 19 anni e Ann Yoshe di 41, che erano state arrestate a settembre scorso all’aeroporto internazionale di Phnom Penh, da dove dovevano partire insieme per l’Australia, dopo che la polizia ha trovato 2,2 chilogrammi di eroina nel bagaglio di Taylor. La Corte municipale di Phnom Penh ha accertato che era stato il fidanzato della 19enne, il nigeriano Precious Chneme Nwoko di 23 anni, a chiederle di portare l’eroina in Australia. Lui è stato arrestato nel suo appartamento di Phnom Penh e si pensa che sia stato l’ideatore del traffico di eroina. Savarino è stata condannata a 25 anni di prigione, Taylor a 23 e il fidanzato della prima a 27 anni di carcere. Inoltre le due donne dovranno pagare multe da 12.500 dollari. Gli altri due nigeriani coinvolti sono stati condannati a 27 anni in contumacia perché erano fuggiti subito dopo l’arresto dei tre. Durante il processo, ad aprile, le due donne avevano negato ogni coinvolgimento nel traffico di droga sostenendo che il bagaglio appartenesse a uno dei due nigeriani fuggiti. La Cambogia non è un grande produttore di droghe illegali, ma sta diventando sempre più un punto di snodo sulla rotta del traffico di stupefacenti.