Cinquecento invitati nel carcere di Padova per parlare di "Verità e Riconciliazione" Il Mattino di Padova, 26 maggio 2014 La Verità e la Riconciliazione è il titolo della grande Giornata di Studi che il 23 maggio ha portato in carcere più di cinquecento persone, a confrontarsi con i detenuti a partire dalle loro testimonianze, che hanno scandito tutto il convegno: alla base, l’esperienza maturata in centinaia di incontri con gli studenti nei quali la verità dei racconti di vita, la voglia di mettere a disposizione dei giovani la propria esperienza negativa ridandole un senso appaiono come gli unici strumenti per far sì che una società chiusa e incattivita si apra a una speranza di confronto e di riconciliazione. Quelle che seguono sono le riflessioni di due persone detenute che hanno colto il senso profondo di questa Giornata: la consapevolezza che è dal confronto vero, profondo, doloroso che nasce la spinta alla riconciliazione. E al confronto il carcere deve aprirsi sempre di più, spalancando il più possibile le porte a quelle parti della società che hanno capito che se si risponde al male con altrettanto male, non nascerà mai nulla di buono. A Padova, nella redazione di Ristretti Orizzonti, il confronto ha dei protagonisti straordinari: le migliaia di studenti che entrano nel corso dell’anno e "mettono in croce" giustamente le persone detenute con le loro domande, e le vittime di reati, come Claudia Francardi e Irene Sisi, intervenute a Padova con la loro sconvolgente testimonianza. Claudia è la vedova del carabiniere Antonio Santarelli, che a un posto di blocco è stato colpito alla testa da un ragazzo di diciannove anni ed è morto dopo più di un anno di coma. Irene è la madre del ragazzo che l’ha ucciso, condannato inizialmente all’ergastolo, pena ridotta in appello a venti anni. Claudia e Irene sono diventate incredibilmente amiche e hanno deciso di fondare un’associazione perché "portando la nostra testimonianza, raccontando la nostra storia, vorremmo sostenere percorsi di riconciliazione". Da Claudia e Irene una lezione di umanità Il 23 maggio, durante la Giornata Nazionale di Studi "La Verità e la Riconciliazione" nel carcere di Padova, ho conosciuto due persone meravigliose, Claudia Francardi e Irene Sisi. Due donne unite da una tragedia. Claudia è la vedova del carabiniere Antonio Santarelli e Irene è la madre del ragazzo che l’ha ucciso. Le loro due storie ieri hanno fatto piangere buona parte dei detenuti che probabilmente non avevano mai pianto tanto neppure per se stessi. Non nascondo che da quando sono nato, in una famiglia povera del sud dell’Italia, sono sempre stato dalla parte dei "cattivi", ma ascoltando Claudia e Irene per la prima volta nella mia vita sono stato dalla parte dei buoni. Quando Claudia raccontava del marito, della sua sofferenza e di quella di suo figlio non volava una mosca. Regnava un silenzio assoluto. Centinaia di persone ascoltavano in rispettoso silenzio. Si sentiva battere solo il suo cuore. Le parole di Claudia verso il marito odoravano di malinconia, amore e nostalgia. Il tono della sua voce, l’espressione dei suoi occhi e le sue lacrime ci hanno fatto sentire più umani di quello che pensavamo di essere. E ci hanno fatto sentire colpevoli del male che abbiamo recato alla società più di tanti inutili e vuoti anni di galera. Questa notte non sono riuscito a prendere sonno. Mi sono rimbombate in testa le parole di Claudia e Irene. Ed ho pensato che la lotta che entrambe stanno affrontando è una strada fatta di sacrifici e dolore, ma che vale la pena di percorrere per loro stesse e per chi le ascolta. Claudia, con la scelta di perdonare il ragazzo che l’ha resa vedova sta valorizzando la vita e la morte di suo marito. E Irene sta aiutando suo figlio a nascere di nuovo. Quando alla fine del convegno ho abbracciato Irene e Claudia, mi hanno trasmesso una grande pace interiore. E mi è sembrato di abbracciare l’umanità intera. Persino quella parte di umanità che mi ha condannato e maledetto a essere cattivo e colpevole per sempre. Le loro ultime parole di conforto, speranza e coraggio mi hanno cullato per tutta la notte. Spero che Dio esista, non per me, ma soprattutto per loro due perché lo meritano più di qualsiasi altro essere umano. Claudia, credo che sia impossibile tentare di consolarti o trasmettere la mia solidarietà a te e a tuo figlio. Posso solo dirti che credo fortemente che la morte non possa sopprimere l’amore, né impedire la riunione di due anime che in terra si sono amate. Irene, a te dico che sei la madre che ogni figlio vorrebbe avere. Un affettuoso abbraccio fra le sbarre. Carmelo Musumeci Donne più forti dell’odio e del pregiudizio Fra gli invitati che venerdì 23 maggio sono entrati nella Casa di reclusione di Padova ci sono state anche due donne, che sono intervenute portando la loro testimonianza, una testimonianza drammatica ma fatta con estremo ritegno e commozione, che ha toccato tutta la platea. Queste due donne sono la moglie del carabiniere ucciso in Toscana durante un controllo a dei ragazzi di ritorno da un rave party e la madre del ragazzo che ha compiuto materialmente l’omicidio del carabiniere. Queste due donne sono state sedute durante tutto il convegno una accanto all’altra sino al momento della loro testimonianza, nel pomeriggio, quando hanno raccontato la loro storia, una storia raccapricciante, fredda da far gelare le ossa. Hanno raccontato come hanno vissuto tutta la vicenda che ha causato questo lutto e come ad un certo punto è avvenuta una cosa impensabile, sono diventate amiche e la moglie del carabiniere ha prima incontrato il ragazzo che ha ucciso suo marito ed in seguito l’ha perdonato. In redazione durante la preparazione del convegno, che comporta non poco lavoro e discussioni, l’argomento in questione era già stato toccato, i punti di vista erano stati diversi, ora io vorrei raccontarvi il mio. Io mi ero schierato a spada tratta in sostegno del ragazzo, in un certo senso lo difendevo in quanto lui era giovanissimo al momento in cui ha compiuto un omicidio non certo premeditato, e però era stato condannato all’ergastolo e questo non lo trovavo giusto perché secondo me aveva tutte le attenuanti del caso, ma queste attenuanti non erano state ritenute plausibili in quanto la vittima era un carabiniere. Dopo aver ascoltato quelle due donne ho ricevuto un lezione di vita, vita vera, profonda, fatta di angoscia dolore comprensione ed umanità, tutte cose che ai giorni nostri sono merce rara e se ne vede veramente poca. Sentendo la moglie del carabiniere raccontare il suo dolore e la sua rinascita, il suo rasentare la pazzia per poi sconfiggerla, il cambiamento che ha subito la sua vita di giovane donna, e la madre dell’assassino raccontare di come anche lei abbia subito un estremo turbamento per il gesto del figlio, ho capito che il mio schierarmi durante le discussioni era dei più sbagliati, di quegli schieramenti fatti di pregiudizio, di quelli che mettono in secondo piano la persona ed in primo la divisa, pregiudizio basato sulla cronaca degli ultimi anni, quel pregiudizio che ti fa dire "uno in meno", che ti fa dire: ricordatevi di Carlo Giuliani, di Federico Aldrovandi e di altri ancora colpiti per mano delle forze dell’ordine. Quel pregiudizio che non ti fa capire che l’essere umano è molto più di una divisa e molto più di un reato, l’essere umano può superare la soglia dell’odio e del rancore se riesce a comunicare e dialogare. Dal racconto della moglie del carabiniere ucciso e della madre del giovane assassino si è capito che loro sono riuscite ad andare oltre, sono state più forti della legge fatta dall’uomo per punire chi sbaglia, sono state più forti dei pregiudizi, hanno abbracciato il loro dolore e si sono donate a tutti quelli che pensano che la violenza chiama violenza, dimostrando l’esatto contrario. Vorrei ringraziarle profondamente per la lezione che ci hanno dato. Erion Celaj Giustizia: carcere minorile, migliori chance con percorsi di recupero fino a 25 anni di Antonio Mattone Il Mattino, 26 maggio 2014 "Permettere ai ragazzi che hanno già cominciato un percorso di recupero negli istituti di pena minorili di non interromperli a 21 anni, ma di arrivare fino a 25": il ministro della Giustizia Orlando ha così annunciato dal carcere di Nisida un importante provvedimento che il Governo si prepara ad emanare nei prossimi giorni. Con questa norma si consentirà ai giovani detenuti che frequentano i laboratori artigianali, i corsi per diventare pizzaioli o cuochi, scuola alberghiera o teatro, di non interrompere un cammino di riabilitazione orientato al reinserimento, per ritrovarsi all’improvviso all’ "università del crimine", a Poggioreale o in un altro carcere per adulti. Il luogo scelto dal Guardasigilli per comunicare questa rilevante svolta è particolarmente significativo. L’istituto minorile di Nisida è conosciuto in Italia e nel mondo per le numerose e qualificanti attività e il grande impegno di passione e professionalità con cui gli operatori e gli educatori cercano di strappare i giovani alle maglie della criminalità. A Nisida si respira aria di riscatto, la voglia di rimettersi in gioco e di sfidare quel destino che sembra già segnato. Non si potrebbe estendere questa norma anche ai giovani maggiorenni che finiscono in galera per la prima volta, magari creando dei circuiti penitenziari dedicati? Infatti, nel padiglione Firenze del carcere di Poggioreale dove sono reclusi i detenuti alla prima esperienza detentiva, si incontrano tanti giovanissimi, alcuni dai tratti marcatamente adolescenziali, tanto da indurre a pensare che siano capitati lì per errore. Esistenze bruciate per uno sguardo di troppo, per una reazione incontrollata dovuta all’assunzione di sostanze stupefacenti che hanno portato a commettere anche crimini efferati. Altre volte, invece, è l’appartenenza a una certa "famiglia" a determinare comportamenti criminogeni. Penso ai giovani reclusi che hanno davanti lunghe pene da scontare e che si perderanno nei meandri delle galere italiane. Qualcuno chiede di poter andare in un carcere dove possa impiegare in modo fruttuoso i tanti anni di reclusione che gli stanno davanti. Prendere un diploma, lavorare stabilmente all’interno dei penitenziari, fare scuola di teatro sono alcune delle richieste più frequenti, tanto spesso alimentate da discorsi di seconda o terza mano ascoltati da altri carcerati. Invece di affidarsi a "radio carcere" queste richieste non potrebbero essere gestite a livello istituzionale e trovare collocazione in istituti di pena dedicati a questi giovani detenuti? Sappiamo quanto sia diffuso a Napoli e nella nostra regione il fenomeno della violenza e della delinquenza minorile. Sappiamo anche che quasi nulla viene fatto per arginare questa deriva. Le agenzie educative non hanno risposte . I risultati sono sotto gli occhi di tutti con il dilagare delle baby gang e dei tanti episodi di bullismo che vedono coinvolti numerosi minori. La scuola è impotente, gli assistenti sociali inesistenti, solo pochi maestri riescono a coinvolgere in qualche sporadica e ammirevole iniziativa i ragazzi, offrendo quella speranza e quella paternità di cui i giovani napoletani sono orfani. In questo deserto da qualche parte bisogna pur cominciare. Forse allora si potrebbe ripartire proprio dalle carceri, da questi luoghi dove i giovani non sarebbero mai dovuti arrivare. Giustizia: 29enne muore dopo lite con carabinieri, era in cura psichiatrica per depressione di Carlo Macrì Corriere della Sera, 26 maggio 2014 Soffriva di depressione, ed era in cura, Vincenzo Sapia, il giovane di 29 anni di Crosia, centro del Cosentino, morto sabato dopo una colluttazione con i carabinieri del luogo. Da un primo esame effettuato dal medico del 118, la morte del giovane potrebbe essere stata causata da un infarto, ma sarà l’autopsia a fare chiarezza definitiva sulle cause del decesso. La magistratura di Castrovillari ha aperto un fascicolo e ha affidato l’incarico al medico legale. La morte del giovane cosentino sembra comunque destinata a far discutere anche perché viene dopo quella di Riccardo Magherini, l’ex calciatore della Fiorentina, deceduto anche lui mentre veniva fermato dai militari dell’Arma. Il padre della vittima, Luigi Sapia, ambulante, grida giustizia e se la prende con i carabinieri: "Assassini". "Tutti sapevano che era malato mio figlio, che bisogno c’era di fargli del male?", sostiene. Sabato poco prima di mezzogiorno il giovane era uscito di casa - abitava con la madre e le due sorelle, i genitori sono separati - per recarsi nella piazza del paese. Un percorso che faceva ogni giorno per vedere gli amici. Chi l’ha incontrato ricorda che era più agitato del solito. Vincenzo era un omaccione, ma non ha mai usato la sua forza per fare del male. Sabato probabilmente qualcosa nella sua testa non ha funzionato, tant’è che improvvisamente si è diretto verso un portone, di fronte all’ufficio postale e l’ha preso a calci. Alcuni passanti conoscendo la personalità del giovane, hanno chiamato i carabinieri. Sono arrivati in due a bordo dell’auto di servizio. Vincenzo, dopo un primo momento di smarrimento, si è innervosito vedendosi davanti gli uomini in divisa. L’intervento delle forze dell’ordine però è servito a calmarlo e a farlo ragionare. Vincenzo ha raccontato di aver fatto quel gesto perché "cercava un cagnolino smarrito". Tutto sembrava finire lì, anche perché nel frattempo gli amici del giovane e i passanti hanno anche loro cercato di convincerlo a rientrare a casa. Chissà per quale ragione, però, Vincenzo ha fatto finta di allontanarsi dalla piazza - almeno così raccontano i testimoni - per poi dirigersi nuovamente davanti all’ufficio postale e iniziare uno spogliarello. I carabinieri che erano rimasti in zona sono tornati indietro e hanno cercato di bloccare Vincenzo che, intanto, era diventato furibondo. I militari l’avrebbero immobilizzato per renderlo inoffensivo. Ne è nata una colluttazione. Il giovane avrebbe messo le mani al collo a uno dei militari. L’altro carabiniere nel tentativo di farlo desistere, l’avrebbe placcato e fatto cadere a terra. Vincenzo Sapia si è accasciato a faccia in giù e non si è più mosso. Gli stessi carabinieri hanno tentato il massaggio cardiaco, in attesa dell’arrivo del 118. Non c’è stato però nulla da fare. "Quando sono arrivato e ho alzato quel lenzuolo bianco ho visto il volto di mio figlio nero e pieno di graffi. Gli hanno strofinato il viso per terra per immobilizzarlo", afferma Luigi Sapia. L’uomo ha affidato a tre legali il compito di "fare giustizia". Il comandante provinciale dell’Arma colonnello Giuseppe Brancati non ha fatto nessuna dichiarazione. Da parte dell’Arma, però, "c’è la massima collaborazione con l’autorità giudiziaria per accertare la verità dei fatti". Enna: agente salva detenuto, l’uomo voleva impiccarsi con le stringhe delle scarpe di Giulia Martorana La Sicilia, 26 maggio 2014 È stato salvato in extremis da un agente della Polizia penitenziaria, il detenuto siciliano che venerdì pomeriggio ha tentato di impiccarsi con i lacci delle scarpe in una cella del carcere di Enna. Colto da un momento di sconforto, l’uomo ha intrecciato le stringhe e le ha poi fissate alle sbarre della branda a 3 piani. Fortunatamente un assistente capo della polizia penitenziaria che stava effettuando il giro di ispezione ha subito attivato le procedure operative e mentre intervenivano i suoi colleghi ha slegato l’uomo ed effettuato le prime manovre. Il detenuto è stato condotto nell’infermeria del carcere dove il personale sanitario con un risolutivo intervento di rianimazione ha anche evitato il successivo ricovero in ospedale, tanto che è stata data disdetta al 118 che era stato già chiamato. "L’Ugl Polizia Penitenziaria - si legge nella nota diffusa dal sindacato - esprime forte compiacimento ai colleghi, che nonostante le notevoli difficoltà operative e la carenza di agenti, sono riusciti a porre rimedio ad un evento critico che poteva assumere conseguenze tragiche". I dirigenti sindacali Ugl di Enna, tramite segretario provinciale Filippo Bellavia, denunciano situazioni difficili e di forte stress psicofisico riconducibili anche a grandi carichi di lavoro che sono costretti a sopportare gli operatori: "Vogliamo evidenziare, che la vita salvata al detenuto, giunge proprio l’indomani del 197° annuale della Polizia penitenziaria ed è l’esempio di come non ci si può permettere di abbassare la guardia tanto meno in questo periodo scoraggiante, per l’assenza di interventi che risolvano il sovraffollamento delle carceri e la carenza di 8000 agenti, mezzi e risorse economiche. Attualmente ad Enna i detenuti sono poco meno di 160 ma temiamo che presto questi numeri cresceranno per l’enigma delle Case circondariali di Mistretta e Nicosia". Teramo: sfigurò con l’acido Lucia Annibali, sorvegliato a vista dopo tentato suicidio in cella Il Centro, 26 maggio 2014 Sorvegliato a vista dopo il tentato suicidio: Luca Varani, l’avvocato condannato in primo grado a 20 anni con l’accusa di essere il mandante dell’aggressione alla sua ex Lucia Annibali sfigurata con l’acido, è controllato 24 ore su 24 nel reparto osservazione del carcere di Castrogno. È qui che mercoledì sera ha tentato di uccidersi impiccandosi con le lenzuola legate alle inferriate della sua cella. È stato salvato dall’intervento immediato degli agenti di polizia che, nel corso di un controllo, hanno subito capito quello che stava succedendo. Varani è stato immediatamente soccorso e trasportato nell’infermeria del carcere. Oggi, così come era stato programmato prima del tentativo di suicidio, Varani incontrerà uno psichiatra nell’ambito di una consulenza di parte chiesta dal suo difensore. L’avvocato 37enne marchigiano è detenuto nel carcere teramano da subito dopo l’arresto come mandante dell’aggressione alla sua ex e in questi mesi il suo nome è tornato nuovamente sulle pagine di cronaca perchè destinatario di numerose lettere di ammiratrici recapitate proprio nel penitenziario teramano. Intanto l’ennesimo tentato suicidio fa riesplodere la polemica sul sovraffollamento del carcere e sulla carenza di personale. "Si continua a voler ignorare a distanza dello stato di emergenza per la questione penitenziaria", ha scritto in una nota scrive in una nota il segretario provinciale del Sappe Giuseppe Pallini, "che il carcere di Castrogno ospita 370 detenuti su 270 di capienza tollerabile, così come a nulla sono valsi gli appelli, all’amministrazione penitenziaria regionale e nazionale di non inviare ulteriori detenuti in questo grave momento di sovraffollamento dell’istituto e trasferire quelli con gravi patologie psichiatriche e sanitarie. Le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria, ogni giorno - nonostante la carenza d’organico di 60 unità, sopraffazione del riposo settimanale e delle ferie, che ad oggi risultano ancora da fruire 16.000 giornate, del mancato pagamento del lavoro straordinario - con grande sacrificio e alto senso di responsabilità cercano di salvaguardare l’incolumità dei ristretti assicurando nel contempo l’ordine e la sicurezza interna ed esterna del carcere e tutti i compiti istituzionali affidati come il servizio delle traduzioni che quotidianamente assorbe mediamente 30 unità". Il carcere teramano è ritenuto il più sovraffollato della regione e uno dei più pieni di tutta Italia, trai primi per il numero di suicidi e tentati suicidi tra i detenuti. Massa Carrara: inchiesta su appalti per il carcere, 22 persone nel registro degli indagati Il Tirreno, 26 maggio 2014 L’appaltopoli nel carcere di Massa sta per conoscere la sua terza fase, cominciata un anno fa circa con l’iscrizione nel registro degli indagati di 22 persone. Adesso è arrivata la richiesta di rinvio a giudizio formulata dal sostituto procuratore Rossella Soffio, titolare dell’indagine che ha già portato a diverse condanne. Nel nuovo filone ci sono indagati che sono comparsi nei precedenti (e alcuni già condannati) e poi ci sono quelli che finora non erano stati toccati. Si tratta di imprenditori e funzionari pubblici. Il giudice dell’udienza preliminare tra circa un mese deciderà se dovranno affrontare il processo, l’udienza è stata fissata per il 26 giugno. Nel frattempo stanno per arrivare le motivazioni della sentenza di condanna per Iodice, Cantone e Tendola. Gli indagati. Ecco chi sono le ventidue persone iscritte nel registro degli indagati per il terzo filone dell’operazione Do ut des: Salvatore Iodice, ex direttore della casa circondariale di Massa; Salvatore Cantone, ex contabile del carcere; Prospero Santacroce, imprenditore e titolare di alcune delle ditte coinvolte nell’appaltopoli; Stefano Capitanini, socio di Santacroce; i funzionari delle opere pubbliche Carlo Bernardini, Alessandro Giusti e Rosanna Azzolina; gli imprenditori Alessandro Gravello, Luciano Bassi, Ezio Lazzoni, Giorgio Barzotti, Nicola Barzotti, Domenico Arduini, Tommaso Desi, Salvatore Veteri, Massimo Antonelli, Mario Rotella, Roberto Mazzoni, Enzo Margheriti, Mario Margheriti; le guardie penitenziarie Giuseppe Capuozzolo e Massimiliano Gasperini. Le nuove accuse. Le nuove accuse, così come le vecchie, riguardano lavori eseguiti all’interno del carcere di Massa con bandi fittizi e somme urgenze inesistenti. Un meccanismo consolidato che la squadra mobile, prima diretta da Enrico Tassi e poi da Antonio Dulvi Corcione, è convinta di aver smascherato (e i giudici finora le hanno dato ragione). Nella richiesta di rinvio a giudizio la Soffio elenca quali sono i cantieri in cui gli agenti hanno riscontrato delle irregolarità. Ci sono impianti elettrici, per esempio, che non sono stati sostituiti come invece era stato certificato nei sopralluoghi delle opere pubbliche. Ma non solo, ci sono controsoffittature che non dovevano essere fatte. Tutti lavori che Iodice chiedeva senza che ce ne fosse effettivo bisogno e soprattutto per favorire la solita cerchia di amici imprenditori. Che a onor del vero in questo fascicolo ter dell’operazione Do ut des è densamente popolata. Le condanne. Per gli altri lavori (fari, infermeria e rotonda) i processi sono già stati fatti (due a Santacroce, l’altro a Iodice, Cantone e Tendola). L’ex direttore del carcere è stato condannato a sei anni di reclusione e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici dal collegio formato dai giudici Sgambati, Aracri e Garofalo. Nello stesso procedimento sono stati ritenuti responsabili Stefano Tendola, ex geometra del provveditorato alle opere pubbliche, e Salvatore Cantone, ex contabile della casa circondariale. Il primo è stato condannato a due anni (e uno di interdizione dai pubblici uffici), l’altro a 18 mesi (e stessa durata di interdizione). Qui siamo al primo grado di giudizio. Anche l’imprenditore Santacroce è stato ritenuto colpevole, sia in primo grado che in appello, e aspetta la fissazione dell’udienza davanti alla Cassazione: a Massa il giudice gli aveva inflitto due anni e due mesi con il rito abbreviato, a Genova la pena è salita a tre anni, quattro mesi e venti giorni. Ha patteggiato la pena a un anno, con sospensione, Morgana Martelli, l’imprenditrice chiamata in carcere per tenere un corso di sartoria ai detenuti. Anche lei era stata arrestata nel luglio di quasi quattro anni fa. Ha patteggiato una pena di 2 anni e 8 mesi infine Carlo Bernardini, responsabile del provveditorato interregionale alle opere pubbliche. Il suo nome è contenuto anche nell’ultimo fascicolo dell’indagine. E rischia di andare a processo se il gup accoglierà la richiesta del pubblico ministero. Lodi: i Sindacati disertano Festa della Polizia penitenziaria, in polemica con la Direttrice Il Giorno, 26 maggio 2014 I sindacati, in rotta con la direttrice della casa circondariale Stefania Mussio, hanno disertato la festa del Corpo di Polizia penitenziaria a Lodi. "Purtroppo il direttore continua con le violazioni". I sindacati, in rotta con la direttrice della casa circondariale Stefania Mussio, hanno disertato la festa del Corpo di Polizia penitenziaria a Lodi. Alla cerimonia, "dal carattere sobrio" come disposto dal capo del dipartimento, ha partecipato il comandante del reparto di Polizia penitenziaria che si è congratulato con il suo personale per la collaborazione e il lavoro svolto con professionalità. La cerimonia si è conclusa con buffet e dolci preparati dai detenuti. "Hanno partecipato pochissime persone, circa dieci, e tutti i rappresentanti sindacali (Sappe, Uila Pa, Osapp, Sinappe, Ugl, Fns Cisl, Fp Cgil, Fsa e Cnpp) hanno disertato a causa dello stato di agitazione in atto ormai da settimane per chiedere il trasferimento della direttrice. Le accuse dei sindacati sono: mancanza di corrette relazioni sindacali, grave situazione organizzativa e di carichi di lavoro, aggravarsi di sanzioni disciplinari a carico degli agenti, carenza di sicurezza e igiene, mancata considerazione all’aggiornamento. "Purtroppo il direttore continua con le violazioni - rincara la dose Dario Lemmo, segretario provinciale del Sappe. A novembre siamo dovuti ricorrere alla Comissione arbitrale regionale per la violazione delle procedure adottate nella scelta del personale da destinare ad attività formative". Il sindacato ha scritto al provveditorato regionale dell’Amministrazione penitenziaria e al ministro della Giustizia, Andrea Orlando: "Nella casa circondariale sono presenti due cani labrador di grosse dimensioni che permangono tutti i giorni, dalle 7 alle 19, nel corridoio del reparto detentivo della sezione "Olmo", come da ordine di servizio n.4 del 30.01.2013 emesso dal direttore. Il luogo per il soggiorno dei cani, oltre ad apparire inadatto per la presenza costante di detenuti, è un posto dove il personale lavora. Il corridoio dove sono i cani è luogo di passaggio del carrello del vitto dei detenuti". E il Sappe chiede un sopralluogo del Servizio di igiene e sanità pubblica. Salerno: volontari Movi denunciano "nessuna possibilità di reinserimento per i detenuti" di Emilio D’Arco La Città di Salerno, 26 maggio 2014 Riappropriarsi del volontariato e del terzo settore, recuperare il rapporto con le persone e creare una forte rete per cambiare rotta. Sono stati i punti salienti del dibattito, organizzato dal Movi, il Movimento per il volontariato italiano, tenutosi ieri mattina presso la sala "Martin Luther King" della parrocchia del Volto Santo a Pastena. "Serve superare le riserve legate al ruolo del volontariato - ha dichiarato Paolo Romano del Movi, durante l’intervento introduttivo della giornata - superando le barriere fisiche e mentali che spesso le persone hanno. Il volontariato non deve essere un mero erogatore di servizi laddove le istituzioni non riescono a svolgere il proprio compito. A tutti i livelli, è spesso visto come una manovalanza a basso costo, quando invece il nostro scopo dovrebbe essere anche quello di sensibilizzare le persone, creando una vera cultura del terzo settore, sia all’interno di ambienti di disagio e degrado, sia tra le persone che vivono una vita normale". Diverse le testimonianze rilasciate nella prima parte dell’incontro, è Patrizio il primo a raccontare la sua esperienza. Ex tossicodipendente, Patrizio ha pagato il suo debito con la società tempo fa, scontando una pena di tre anni a Fuorni. "In carcere - spiega - ho conosciuto il mondo del volontariato tramite persone che sono riuscite a creare un legame tra me e il mondo che c’era fuori. In cella, spesso ci si chiude in sé stessi, e quando si esce si ritrova un mondo diverso, rimanendo spiazzati. Molti detenuti, spesso poco più che ragazzi, non hanno avuto questa fortuna e hanno dovuto affrontare tutti i pregiudizi che le persone hanno verso un detenuto. La cosa principale, sicuramente, è che il maggiore sforzo per cambiare devo farlo io, ma senza un aiuto non è semplice come sembra". Sempre sul tema è poi Michele Pepe, volontario dell’associazione "Migranti senza frontiere", a dare il suo contributo, raccontando invece l’esperienza di Fuorni dal lato dell’operatore. "Oggi si parla del problema dell’affollamento - spiega Pepe - In carcere abbiamo visto celle di sedici metri quadrati contenenti ben otto persone che dovevano effettuare turni per stare in piedi. È alienante. Ancora più tragico è quando il detenuto che ha scontato la pena, si ritrova totalmente solo ed emarginato all’esterno. È capitato più volte che un detenuto in uscita abbia chiesto di tornare in cella. È anche una questione di perdita di fiducia in tutto, soprattutto in quel mondo esterno che non riesce a riaccettare queste persone. Il compito del volontario è proprio quello di sanare la frattura tra questi due mondi permettendo il recupero della persona". Terni: stoviglie contro le sbarre, protesta dei detenuti della Sezione di Alta Sicurezza Il Messaggero, 26 maggio 2014 La mancanza di acqua calda al terzo piano del vecchio edificio di Sabbione ha fatto scattare la protesta dei detenuti di Alta Sicurezza, arrivati a Terni da qualche giorno. I reclusi fanno opposizione quando i poliziotti si avvicinano per chiudere le celle, rifiutano il passeggio e non esercitano i diritti previsti dalla legge. Ieri e oggi, all’ora dei pasti, per mezz’ora hanno battuto le stoviglie contro le sbarre delle celle. La mancanza dell’acqua calda sarebbe solo un pretesto utilizzato per altre ragioni. I 170 detenuti arrivati a Terni, sfollati dal penitenziario di Civitavecchia, non pare non accettino di buon grado le regole dell’istituto di Sabbione, decisamente più rigide rispetto a quelle cui erano abituati. Porto Azzurro (Li): evasione dell’ergastolano Filippo De Cristofaro, cattura è complicata Il Tirreno, 26 maggio 2014 "Difficilmente troveremo Filippo De Cristofaro, il ritardo nella segnalazione dell’evasione dal carcere di Porto Azzurro gli ha dato due giorni di vantaggio". È molto amaro il commento del procuratore generale della Corte d’Appello di Ancona, Vincenzo Macrì, sull’evasione dal carcere di Porto Azzurro, durante un permesso premio, dell’ex insegnante di danza condannato all’ergastolo per l’omicidio della skipper pesarese Annarita Curina nell’estate del 1988. De Cristofaro, che agì in concorso con la compagna olandese allora sedicenne Diana Beyer, condannata a sei anni e mezzo (ma scontò solo 15 mesi di carcere), sarebbe dovuto rientrare in carcere il 21 aprile, dopo tre giorni di permesso (il quarto da dicembre) da trascorrere nella comunità "Dialogo" di Portoferraio. E invece l’ergastolano non ha più fatto ritorno nella casa di reclusione di Porto Azzurro, facendo perdere le sue tracce. Non si è presentato, scappando con ogni probabilità a bordo di un traghetto per raggiungere le coste toscane. Una situazione che ha creato delle reazioni stizzite, dal momento che De Cristofaro non era nuovo a colpi di scena del genere. Il "Rambo dei mari" - questo è il soprannome che fu affibbiato a De Cristofaro per la sua fuga a bordo di un catamarano dopo l’uccisione di Annarita Curina - era già evaso, nel 2007, nel carcere milanese di Opera. Ora sulle sue tracce ci sono la squadra mobile di Ancona, Interpol e Sco ma le ricerche non sono semplici, soprattutto - ha osservato il procuratore generale della Corte d’Appello di Ancona Macrì - per il ritardo della segnalazione della sua fuga dall’isola d’Elba. Su quest’ultima circostanza la procura di Livorno ha aperto un’inchiesta. Napoli: i ragazzi dell’Ipm "perché Berlusconi è libero… e noi siamo rinchiusi a Nisida?" di Dario Del Porto La Repubblica, 26 maggio 2014 Il giovane è un tipo tosto. Non si accontenta del chiarimento, anzi ribatte: "Fosse capitato a noi, saremmo finiti dentro". Orlando incassa il colpo senza scomporsi. E dice: "Guarda che fino a 50 anni fa esistevano gli intoccabili. Oggi non più, sono stati toccati tutti". Il colloquio con i reclusi dell’istituto minorile napoletano rappresenta il momento più intenso della giornata del ministro della Giustizia, che interviene alla presentazione del volume intitolato "Il diario di Nisida, parole e immagini", realizzato nell’ambito di un progetto finanziato dalla fondazione Vodafone Italia. L’iniziativa è articolata in due laboratori, il primo di fotografia e video, realizzato con Scuola Holden (fondata da Alessandro Baricco), il secondo di scrittura creativa in collaborazione con Imagine Factory. Un modo per far apprendere ai ragazzi le tecniche base della fotografia, delle riprese video, del montaggio e della scrittura creativa. "Così si recupera la vita di questi ragazzi - sottolinea il Guardasigilli - e questo non ha minor valore di quando si investe per le opere d’arte. Perché la vita di ognuno è un’opera d’arte". A Nisida, Vodafone sta finanziando anche un altro progetto, "La Dolce isola", finalizzato a ristrutturare il laboratorio di pasticceria dell’istituto. "Si sono ampliati i vuoti fra chi è dentro e chi è fuori, non è solo compito dello Stato riempirli, ma di tutti quelli che operano in questo Paese. Noi cerchiamo di fare la nostra parte", afferma Saverio Tridico, direttore degli affari pubblici e legali di Vodafone. Il ministro Orlando, accompagnato dal capo di gabinetto Giovanni Melillo, è stato ricevuto dal direttore dell’istituto, Gianluca Guida. All’incontro erano presenti inoltre il pg Luigi Mastrominico, il presidente della Corte d’Appello Antonio Buonajuto, il procuratore per i minorenni Gustavo Sergio, il garante regionale per i detenuti Adriana Tocco. Il Guardasigilli ha colto l’occasione per annunciare una riforma destinata ad incidere profondamente sulla giustizia minorile: "Sarà introdotta una norma evidenzia il ministro - che consenta a chi ha iniziato percorsi di recupero negli istituti minorili di non interromperli a 21 anni, ma di arrivare fino a 25. Oggi a 21 anni si va nel carcere per adulti e questo inficia gli sforzi. Vogliamo invece evitare di buttar via un percorso positivo. In questi anni - aggiunge - il minorile è stato l’ambito dove è stato sviluppato un modello poi esteso a tutto il servizio giustizia, quello della messa alla prova". Sul contrasto alla camorra e alle mafie, l’inquilino di via Arenula ricorda che "i buoni risultati fin qui conseguiti ci dicono che possiamo fare ancora di più. Ho già depositato un disegno di legge sul rafforzamento delle misure di aggressione ai patrimoni dei clan". Durante il colloquio con i reclusi, Orlando ha ribadito che in Italia "la legge è uguale per tutti" e ha inviato i giovani a non aspettare solo aiuti ma anche a lottare per raggiungere i propri obiettivi. Le "interviste" dei ragazzi, commenterà poi il ministro, hanno rappresentato "una bella esperienza, molto importante e utile. Se mi hanno messo in difficoltà? Assolutamente sì". Gli hanno chiesto di tutto. "Ad esempio: "Come ha scelto di diventare ministro?" "Non l’ho scelto - è stata la risposta - ho cominciato a fare politica a 13 anni, in Liguria, perché ero curioso". E poi: "Ministro, cos’è la felicità?". Ma qui Orlando ha giocato in difesa: "È meglio chiederlo ai filosofi, che ai politici". Non si è sottratto invece all’ultima domanda: "Ma lei è felice"? "Felice? Diciamo che sono contento". Nuoro: "Angololibero", la voce di Badu e Carros in una nuova avventura editoriale La Nuova Sardegna, 26 maggio 2014 Dal campo sportivo direttamente alla redazione di Angololibero. Una sfida nella sfida. Un giornale nato nel carcere di Badu e Carros e già pronto a partire con una nuova avventura editoriale. Un magazine sbocciato nel più vasto progetto Liberi nello Sport dell’Asd Olimpiakos di Nuoro, affiliata Us Acli, ormai alla quarta edizione. "Tutto è nato da una chiacchierata davanti a un caffè con il giornalista della Nuova Sardegna Luciano Piras" ha raccontato ieri pomeriggio nel penitenziario nuorese Salvatore Rosa, presidente dell’Olimpiakos e infaticabile promotore dell’iniziativa sportivo-sociale. "La disponibilità e l’entusiasmo della direttrice del carcere Carla Ciavarella hanno fatto il resto" ha proseguito Rosa davanti alla stessa Ciavarella. "Ed è soltanto l’inizio" ha assicurato lei. "In questo modo, a Badu e Carros stiamo cercando di fare entrare la luce". Con loro, a presentare Angololibero, anche il direttore della Nuova Sardegna, Andrea Filippi, e il capo servizio di Nuoro Pierluigi Piredda. E soprattutto: un folto gruppo di detenuti, tra i quali anche diversi redattori del magazine, della sezione Femminile, dell’Alta sicurezza e della sezione "Comuni". E ancora: il direttore del giornale, Luciano Piras, appunto, che da ottobre scorso ha tenuto un corso base di giornalismo ai detenuti che sono poi diventati autori degli articoli e delle vignette di Angololibero. Tre le redazioni formate per l’occasione, per raccontare le partite di Liberi nello Sport, ma anche l’ambiente e le storie del penitenziario nuorese. Spazio poi alle poesie e alle riflessioni più generali. Sedici pagine scritte con passione e dedizione, curate nei particolari con l’ausilio fondamentale delle educatrici Sandra Cincotti e Rita Nonne. Tra le firme del magazine anche quelle preziosissime della direttrice del carcere, del comandante del reparto di polizia penitenziaria Alessandro Caria, del presidente nazionale Us Acli Marco Galdiolo e dello stesso Salvatore Rosa. "Un numero zero, un esperimento, un sogno - scrive Piras nell’editoriale. Un piccolo grande giornale per ripartire, proprio come chi segna il primo gol, prende la palla, la mette a centrocampo e ricomincia. Uno a zero, palla al centro. E via di nuovo: per segnare ancora, a caccia della vittoria. La grande vittoria di questi giornalisti in carcere che si sono messi alla prova. Sperando che angololibero sia solo l’inizio di una nuova avventura". Una nuova avventura auspicata e sostenuta anche dal cappellano di Badu e Carros don Giampaolo Muresu e dal garante comunale dei detenuti Gianfranco Oppo, presenti entrambi all’incontro di ieri pomeriggio nel penitenziario nuorese. Quello che una volta era il supercarcere di massima sicurezza dove erano reclusi i padri delle Brigate Rosse e tanti altri terroristi. Una storia di trent’anni fa, raccontata in un recente libro di Luciano Piras, I terroristi sono miei fratelli. Don Bussu, il cappellano che piegò lo Stato. Storia passata, una storia che ha fatto scuola. Ma oggi ne comincia un’altra, un’altra occasione per Badu e Carros e i suoi detenuti. Immigrazione: repressione proteste al Cie di Gradisca, depositato un esposto alla Procura www.osservatorioantigone.it, 26 maggio 2014 Il 12 maggio scorso è stato depositato presso la Procura della Repubblica di Gorizia un esposto relativo alla rivolta e agli avvenimenti accaduti nell’agosto 2013 nel Centro di identificazione ed espulsione (Cie) di Gradisca d’Isonzo ed, in particolare, sulla totale assenza dei requisiti strutturali per il trattenimento di persone, oltre che la richiesta di accertamento per un possibile uso improprio della forza da parte della polizia - vedi l’utilizzo di gas lacrimogeni CS in ambienti scarsamente areati. L’esposto è stato presentato dall’associazione Tenda per la Pace e i Diritti e Melting Pot Europa, assieme alla firma di altri cittadini e politici. Negli ultimi giorni l’esposto è stato depositato anche nelle Procure di Roma, Napoli, Genova e Palermo, con il coordinamento della campagna LasciateCIEntrare, anche da altre associazioni, tra le quali Antigone. Un esposto corposo e dettagliato, redatto grazie al prezioso supporto dell’avvocato Alessandra Ballerini, che ripercorre gli episodi più salienti degli ultimi mesi del 2013, a partire dalla notte dell’8 agosto, quando gli immigrati trattenuti, dopo essersi rifiutati di rientrare nelle rispettive stanze perché desideravano proseguire la festività religiosa del Bairam, sono stati caricati dalle forze dell’ordine. Un episodio seguito dalle proteste degli stessi uomini sui tetti, da altre situazioni con manifestazioni di violenza da parte della polizia e il cui apice è rappresentato dall’uso di gas lacrimogeni CS (altamente tossici) in ambienti poco areati. Senza dimenticare, in occasione di un tentativo di fuga dalla struttura, la caduta dal tetto di Majid, deceduto il 30 aprile a Monfalcone dopo mesi di ricovero in stato di coma irreversibile all’ospedale. Della sua morte la famiglia è stata avvisata solo una settimana più tardi. Pakistan: liberati 151 pescatori India per insediamento Modi Ansa, 26 maggio 2014 Il Pakistan ha liberato oggi 151 pescatori indiani che si trovavano nelle carceri di Karachi ed Hyderabad come gesto di buona volontà nei confronti dell’India alla vigilia dell’insediamento del nuovo premier Narendra Modi, cerimonia a cui parteciperà a sorpresa anche il premier pachistano Nawaz Sharif. Lo riferisce Geo Tv. Sistemati su autobus dotati di aria condizionata, aggiunge l’emittente, gli ormai ex detenuti sono stati fatti convergere verso Lahore dove le autorità pachistane li consegneranno a responsabili indiani al posto di frontiera di Wagah. Secondo i media locali i pescatori indiani hanno ringraziato il governo di Islamabad per il buon trattamento ricevuto e rivolto un appello a quello indiano affinché liberi i pescatori pachistani nelle sue carceri. Argentina: presunto ladro crocefisso e lasciato sulla strada, arrestati 12 agenti Ansa, 26 maggio 2014 Dodici agenti della polizia di Frontera, piccola località della provincia di Santa Fe, sono stati arrestati per aver malmenato un detenuto accusato di furto, che hanno poi legato a una croce e abbandonato sul bordo di una strada con un cartello sul quale avevano scritto: "Non rubare". Victor Robledo, un 27enne con precedenti per furto, è stato ritrovato nella prime ore di giovedì scorso all’angolo di una strada di San Francisco, nella provincia di Cordoba, a poca distanza dalla strada che porta a Santa Fe: era legato a una croce e avvolto con nastro adesivo, con segni di percosse e un principio di ipotermia. Dopo essere stato tratto in salvo, Robledo ha raccontato che i poliziotti "mi hanno preso a casa alle sette del mattino, accusandomi di aver aggredito uno di loro, e mi hanno tenuto rinchiuso fino alle due del mattino del giorno seguente, poi mi hanno tirato fuori, mi hanno menato e legato alla croce, per poi lasciarmi sul bordo della strada". Il capo della polizia di Rafaela, da cui dipende il commissariato di Frontera, ha disposto la rimozione del suo comandante, Oscar Flores, finché l’inchiesta non chiarirà le responsabilità penali dei suoi agenti.