Giustizia: Orlando "carceri, numeri sotto controllo" intervista a cura di Danilo Paolini Avvenire, 22 maggio 2014 Nel suo studio in via Arenula Andrea Orlando rivede le ultime carte e tira le fila di una giornata convulsa. Mancano appena due ore al decollo dell’aereo che lo porterà a Strasburgo, alla Corte europea dei diritti dell’uomo, dove il ministro della Giustizia si giocherà oggi l’ultima possibilità che l’Italia ha di evitare una valanga di condanne a risarcire migliaia di detenuti per il sovraffollamento carcerario. I requisiti richiesti sono quattro metri quadrati di spazio per ogni recluso, in celle adeguatamente ventilate e illuminate. I ricorsi pendenti, l’aggiornamento è di ieri, sono ben 6.829. E l’ultimatum dei giudici scade mercoledì prossimo. Ma, oltre al rischio di un salasso di milioni di euro per le casse dello Stato, c’è da scongiurare il pericolo di macchiare con un verdetto negativo il semestre italiano di presidenza Ue, che comincerà il primo luglio. L’appuntamento con il presidente della Corte europea, il lussemburghese Dean Spielmann, è per stamattina. Orlando appare ben consapevole della difficoltà della sua missione. I numeri, seppure in diminuzione, non sono ancora dalla sua parte, con oltre 59mila reclusi su una capienza regolamentare dichiarata di 49mila. Il suo sarà piuttosto un appello alla ragionevolezza, basato sul lavoro svolto finora. Con un jolly dell’ultimo momento: il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria metterà online, sul sito del ministero (www.giustizia.it), un database che consentirà con un clic di verificare, istituto per istituto, le "condizioni trattamentali", quindi gli spazi disponibili, il numero dei detenuti, i progetti di lavoro e di formazione professionale, il tipo di servizi sanitari garantiti, le attività sportive e culturali, gli orari di ricevimento per i familiari. Uno sforzo di trasparenza che lo stesso ministro definisce "una fotografia talvolta positiva, talvolta impietosa". Signor ministro, nella sua valigia ci sono speranze o certezze? Parto con la convinzione che il Paese ha fatto molto. Non sono ancora le carceri che vorremmo, ma adesso abbiamo il controllo dei numeri. Appena tre anni fa c’era una crescita esponenziale dei detenuti con una disponibilità dei posti che non aumentava. Strasburgo ci dovrà dire se è abbastanza. Certo, i passi avanti sul fronte normativo sono innegabili. Cito soltanto la messa alla prova, le misure alternative, la riduzione mirata di pena. Sul versante amministrativo abbiamo operato per rendere più rapido il rimpatrio di detenuti di altri Paesi: abbiamo firmato un protocollo con il Marocco, incontrato il ministro della Giustizia romeno, avviato rapporti con l’Albania e attivato tutti gli strumenti per rendere efficace l’accordo quadro che consente il rimpatrio di detenuti comunitari anche senza il loro consenso. Per snellire le procedure abbiamo riunito tutti i procuratori generali, ai quali abbiamo dato riferimenti standard. Insomma, chiederà alla Corte di valutare i risultati ottenuti ma anche le prospettive per il prossimo futuro? Non solo. Discuteremo anche di quali sono i possibili rimedi interni da introdurre nel nostro ordinamento nazionale, così da evitare il ricorso diretto a Strasburgo e costituire una sorta di "filtro". L’obiettivo è quello di valutare caso per caso, in modo di poter stabilire in base alla legge un risarcimento adeguato qualora sia dovuto. Fermo restando che noi preferiamo comunque risarcimenti che in qualche modo agevolino il percorso di riabilitazione del detenuto piuttosto che quelli di carattere pecuniario, come quelli previsti dalla Corte europea. Questi ultimi, infatti, rischiano di essere semplici forfait, che non migliorano strutturalmente il funzionamento del nostro sistema penitenziario. Mettiamo da parte per un attimo i numeri e i parametri che giustamente gli Stati devono rispettare e guardiamo la questione dalla parte di chi sta dietro le sbarre: in molti istituti penitenziari le condizioni di vita sono talmente difficili da essere una pena accessoria non scritta rispetto alla privazione della libertà personale. Non crede? Indubbiamente il problema esiste, ma va parzialmente distinto dal sovraffollamento, perché talvolta carceri affollate non hanno le peggiori condizioni strutturali o il quadro di servizi più scadente. Nelle scorse settimane abbiamo siglato quattro protocolli con altrettante Regioni, mentre altri due li aveva firmati il ministro Cancellieri, tutti finalizzati da un lato a facilitare il ricorso alle pene alternative per i tossicodipendenti, dall’altro a sviluppare progetti di lavoro in carcere e dopo il carcere, oltre che a migliorare le infrastrutture penitenziarie. Umanizzare la pena è una delle questioni che ci pone Strasburgo e, soprattutto, la nostra Costituzione. Guardi, ho appena firmato un protocollo che prevede agevolazioni per gli imprenditori che investono in progetti lavorativi in carcere. Tutto grazie alla "spinta" di Strasburgo? Beh, oggettivamente la situazione emergenziale ha avuto il suo peso. Ci ha costretto a guardarci allo specchio. E può consentire un salto di qualità dell’intero sistema delle pene. Chiusa l’emergenza, dovremo stabilizzare certe "buone pratiche" ed estenderle a tutto il territorio nazionale. Alcuni partiti di opposizione vi accusano di aver fatto solo un indulto camuffato, a scapito della sicurezza dei cittadini... Mi sembra più che altro propaganda. Chi invoca la sicurezza chiedendo più carcere o soltanto carcere non considera che spendiamo per il sistema penitenziario più di altri Paesi, dove è maggiore il ricorso alle pene alternative, ma abbiamo tassi di recidiva tra i più alti d’Europa. Giustizia: carceri, scade ultimatum di Strasburgo, fino al 27 maggio per trovare soluzioni Ansa, 22 maggio 2014 L’Italia sorvegliato speciale: a oggi la Corte europea dei diritti umani ha ricevuto 6.829 ricorsi contro il sovraffollamento carcerario nel nostro Paese: "Urgente introdurre misure per rimediare alle violazioni subite dai carcerati a causa del sovraffollamento". Ad oggi la Corte europea dei diritti umani ha ricevuto 6.829 ricorsi contro il sovraffollamento carcerario in Italia. A comunicarlo all’Ansa è la stessa Corte. Questi ricorsi denunciano situazioni uguali o simili a quelle per cui l’Italia è stata condannata dalla Corte nella sentenza Torreggiani. I giudici di Strasburgo hanno stabilito che il governo ha tempo fino al 27 maggio per introdurre misure per rimediare alle violazioni subite dai carcerati a causa del sovraffollamento. Dei 6.829 ricorsi ricevuti, la Corte ne sta attualmente esaminando 1.340 per vedere se rispettano tutti i criteri di ammissibilità necessari. La stessa Corte afferma di averne già dichiarati inammissibili 631 e che altri sono stati radiati dal ruolo o distrutti perché i ricorrenti non hanno rispettato i tempi e i modi imposti per la presentazione delle domande. Sono invece 19 i ricorsi contro il sovraffollamento delle carceri già a uno stadio più avanzato della procedura, ovvero ritenuti ammissibili, su cui la Corte emetterebbe una sentenza qualora l’Italia non dovesse riuscire a dimostrare entro il 27 maggio di aver introdotto nell’ordinamento nazionale misure efficaci per impedire che un carcerato resti in una cella dove ha meno di tre metri quadrati a disposizione e per procedere ai dovuti risarcimenti. La questione sarà sul tavolo del comitato dei ministri del Consiglio d’Europa, che ha il compito di esaminare l’esecuzione delle sentenze della Corte di Strasburgo, il prossimo 3 giugno. Se per questa data l’Italia non dimostrerà di aver introdotto le misure necessarie richieste, sarà oggetto di ulteriori richiami e ammonimenti da parte di Strasburgo. Ma soprattutto poterebbe subire una nuova raffica di condanne onerose poiché comprensive di risarcimenti. Ciaurro (Fi): superare timori per avere giustizia giusta "La vera vergogna in Italia si chiama sovraffollamento carcerario. I 6.829 ricorsi presentati contro l’Italia alla Corte europea dei diritti umani non fanno onore al nostro Paese. L’Europa che ci chiede di trovare dei rimedi e l’introduzione di misure per rimediare alle violazioni subite dai carcerati a causa del sovraffollamento è un vulnus per il nostro Paese, che è la culla del Diritto. Bisogna osare oltre, superare i timori che sono un freno che paralizza ogni decisione e convincere l’Europa, dati alla, mano di aver cambiato rotta, con strumenti per porre fine alla questione". Lo ha detto Paola Ciaurro, candidata di Forza Italia alle elezioni europee del 25 maggio commentando i dati della Corte europea dei Diritti dell’Uomo. "Non possiamo essere Europa se non rispettiamo i diritti non negoziabili della persona. L’impegno dei nuovi europarlamentari italiani di ricercare soluzioni e spingere il governo nazionale, anche in vista del semestre di Presidenza dell’Unione, a dare risposte certe per una Giustizia giusta, coinvolgendo tutta la società civile e le associazioni di volontariato, per dare valore alla rieducazione carceraria, in modo umano, perché mai più nessuno ci consideri maglia nera". Ugl: preoccupati per rischio ulteriori condanne Strasburgo "Siamo preoccupati per la scadenza del 27 maggio imposta da Strasburgo quale termine ultimo per l’introduzione di misure che rimedino alle violazioni subite dai detenuti a causa del sovraffollamento, perché c’è il serio rischio che il nostro Paese venga di nuovo ammonito e condannato". Lo afferma in una nota il segretario nazionale dell’Ugl Polizia Penitenziaria, Giuseppe Moretti, per il quale "gli anni di disattenzione nei confronti del sistema carcerario nel suo complesso e le avventurose soluzioni che si stanno proponendo per rispettare i dettami europei stanno contribuendo solo ad offuscare l’opera che con grande spirito di sacrificio la Polizia Penitenziaria porta avanti tra le migliaia di difficoltà quotidiane". "Basti come esempio - spiega il sindacalista - la decisione di ridurre la permanenza nelle celle dei detenuti, senza tuttavia prevedere alcun tipo di occupazione a cui destinarli in tale periodo ed in totale mancanza di ambienti idonei e di un adeguamento strumentale e tecnologico delle strutture tale da garantirne la sicurezza". "Auspichiamo - conclude Moretti - vista l’imminente scadenza, che il ministro della Giustizia Orlando dia finalmente seguito anche alla promessa di aprire un tavolo di discussione con le organizzazioni sindacali per un nuovo modello organizzativo della Polizia Penitenziaria, che ne rilanci il ruolo e ne aumenti il benessere professionale e umano". Giustizia: appello Consiglio d’Europa e Oms per migliorare condizioni salute dei detenuti Adnkronos, 22 maggio 2014 Migliorare le condizioni di salute nelle carceri. È il forte appello che arriverà ai governi di tutto il mondo dalle autorità sanitarie internazionali, preoccupate per l’aumento del rischio di Hiv/Aids e altre malattie infettive, come sottolineano gli organizzatori di una conferenza che si terrà il 27 maggio al Consiglio d’Europa. Dal Consiglio Ue e dell’Organizzazione mondiale della sanità, in vista del convegno, arriva un forte appello congiunto per la salute in carcere. "Le prigioni non sono luoghi sani", sottolinea una relazione del Gruppo Pompidou del Consiglio d’Europa, che ospiterà la conferenza insieme con l’Oms.I delegati che saranno presenti all’incontro - tra cui Onu, Ue, Consiglio d’Europa e rappresentanti di diverse Ong - evidenziano problemi legati a rapporti non protetti, iniezione di farmaci senza siringhe sterili, accesso limitato alle cure, epidemie di tubercolosi e sovraffollamento carcerario in troppi Paesi d’Europa. Altri problemi riguardano l’alcolismo e disturbi mentali "che non sono trattati correttamente" dietro le sbarre. Ad esempio, almeno 400.000 detenuti in Europa soffrono di "un significativo disturbo mentale", secondo l’Oms. Tra i suggerimenti, si incoraggeranno i Governi a spostare la supervisione della sanità nelle carceri dal ministero degli Interni o della Giustizia a quello della Salute. Il convegno sarà anche occasione per il lancio ufficiale di un nuovo rapporto Oms sulla salute in carcere. Giustizia: quando lo Stato uccide…. parla l’avvocato Fabio Anselmo di Adriano Chiarelli www.contropiano.org, 22 maggio 2014 Vi proponiamo un’intervista con Fabio Anselmo, l’avvocato che più di ogni altro - suo malgrado - ha dovuto prender dimestichezza con i casi di "malapolizia". Ci sono persone che segnano dei confini storici tra un’epoca e un’altra, facendo scuola, dribblando polemiche e accuse di strumentalizzazione e indicando nuove vie giuridiche in quei territori non esplorati quali sono i rapporti tra forze dell’ordine e magistratura, vero nodo irrisolto nei processi di malapolizia. Cominciamo dall’esempio più recente. Puoi spiegarci in breve quanto può aver influito finora sul processo Uva, il concetto di stretta interazione tra procure e polizia giudiziaria? Se non è questo il piano su cui sviluppi la tua linea difensiva, e sul quale forse non serve sviluppare un ragionamento, puoi dirci cos’è mancato per sei anni per far si che il "processo Uva" si sviluppasse correttamente? Il caso Uva va oltre ogni limite ed oltre ogni logica di naturale ma mai condivisibile ritrosia da parte degli uffici dei pubblici ministeri a mettere sotto la lente rigorosa ed imparziale l’operato della polizia giudiziaria quando questa viene coinvolta in sospetti abusi od in morti difficilmente spiegabili o comprensibili. Qui andiamo oltre ogni logica giuridica e funzionale. Abbiamo assistito ad una sfida costante ed emotivamente cruenta tra noi ed il pm dott. Abate, il quale, indomito di fronte ai via via sempre più numerosi provvedimenti adottati dagli organi giudicanti di segno sempre opposto alle sue richieste, si è fatto forte della "personalizzazione del caso Uva " per sottrarre la vera materia del contendere ad un Gip. Sei anni sono passati. Sei anni nei quali mentre tutti i vari giudici interpellati a vario titolo non si stancavano di invocare indagini su quanto accaduto in quella caserma di Varese, il pm ostentava la propria "ribellione" al rispetto dell’ordine giudiziario continuando nella sua ostinata corsa verso la prescrizione. La magistratura, nell’esercizio delle sue funzioni, deve essere autonoma ed indipendente. Autonomia ed indipendenza sono sacre e mai debbono essere messe in discussione. Ma è mancata la doverosa attività di autocontrollo da parte della stessa magistratura a garanzia del buon e corretto funzionamento della funzione giudiziaria. 5 istanze di avocazione sistematicamente rigettate e numerosi esposti invano presentati alla procura di Brescia ne costituiscono drammatica conferma. Le parole durissime degli atti di incolpazione usate dal procuratore generale della Cassazione e dal Ministro della giustizia contro l’operato del dott. Abate riconoscono la piena fondatezza di tutte le nostre censure e rimostranze mosse nei suoi confronti. Troppo tardi però. Troppo tardi. Se in modo sincero e certamente non ipocrita possiamo aspirare a che il dott. Abate sia chiamato a rispondere delle gravi responsabilità a lui inequivocabilmente riconducibili per quanto ha fatto e non ha fatto in questi lunghi anni, possiamo dire che non si può rendere giustizia alla morte di Giuseppe Uva solo con i procedimenti disciplinari al PM al quale è stato consentito di arrivare indisturbato alle soglie della prescrizione di quasi tutti i gravi reati contestati a carabinieri e poliziotti coinvolte in quella terribile morte. Ti sta stretta la connotazione di avvocato legato ai processi di malapolizia? Molti ti identificano in questo filone procedurale: pensi renda giustizia alla tua dimensione professionale, o c’è anche altro? No, non mi sta stretta. Io amo la vita. Ho imparato mio malgrado a misurarmi con il confine sottile che spesso la separa dalla morte. La cultura nemmeno tanto subdola e nascosta della nostra società che tradisce la diversa considerazione del suo valore e rispetto in funzione della identità dell’uomo cui essa appartiene mi spaventa terribilmente. La vita umana , la salute , l’integrità fisica dell’uomo vengono sempre più spesso considerate " sacrificabili " in nome dell’interesse economico superiore. Vedasi per esempio, ma non solo, a quanto accade nelle carceri, nei cie od a chi disperato viene cancellato da un destino terribile solo perché in cerca di un futuro migliore. Questa cultura è la madre dei nostri tormenti processuali nella gestione giudiziaria dei vari casi di morti di Stato. A nostro avviso, tutto è cominciato dal tuo coinvolgimento nel processo Aldrovandi. Perché il processo Aldrovandi ha fatto scuola ed è passato alla storia? Secondo te, il processo Aldrovandi ha creato precedenti tali da esser poi riproposti, a livello procedurale, negli altri iter giudiziari che ti vedono coinvolto come difensore? Federico Aldrovandi era un ragazzo. Aveva compiuto da pochi giorni 18 anni. Era solo. Non aveva mai fatto male a nessuno. Non stava facendo male a nessuno. Non è stato in alcun modo possibile ricollegarlo allo scenario di guerra propinato al G8 al fine di poter giustificare emotivamente la morte ugualmente terribile ed insensata di Carlo Giuliani. È stato destabilizzante per gli organi di propaganda di Stato che non hanno trovato di meglio che sostenere che fosse morto da solo, di overdose. Con 2 manganelli rotti probabilmente a caccia di zanzare. Federico è stato cancellato da violenza ignorante e brutale. Era solo. Disarmato. Tutto questo è stato inaccettabile anche per una pubblica opinione tenuta in costante "allarme sicurezza" in modo spesso artato e politicamente finalizzato. La sua morte è drammaticamente simile a quella di Riccardo Rasman, Michele Ferrulli e Riccardo Magherini. Le situazioni si accavallano e sovrappongono fino a confondersi. Tutto ciò è drammaticamente imbarazzante. Mi pare di rivedere e rivivere sempre lo stesso drammatico film. Il problema è che il morto è sempre un altro. Ed altra è la famiglia che lo piange. Dolore che si aggiunge ad altro dolore. Senza pace. Come gestisci i rapporti con i familiari delle vittime di malapolizia? Alle famiglie mi presento nudo. Senza pudore e senza schemi preconcetti. Dalle famiglie esigo onestà e lealtà assolute. Esigo amore di verità. Non vendetta. Non ambizioni economiche ma amore incondizionato di verità. Senza se e senza ma. Senza calcolo. Dalle famiglie ho avuto tantissimo. Ho avuto lezioni di vita e di amore per la vita e per la verità. Patrizia Moretti mi ha permesso di capire fino in fondo suo figlio fino a diventarne la sua voce. Così lei mi ha chiamato: "tu sei la voce di Federico". È il complimento più bello che mai abbia avuto. Ilaria , Giovanni e Rita Cucchi mi hanno insegnato la dignità di chi viene continuamente calpestato ma non cessa di credere nello Stato e nella Giustizia. La loro compostezza mi commuove. Ilaria è diventata una persona forte e fiera. Nulla la mette in difficoltà ed i suoi occhi che ti penetrano l’anima trasmettono tutta la rabbia soffocata dal dolore di dover aver visto Stefano nelle terribili condizioni in cui è stato fatto morire. Lucia Uva ha la potenza della ribellione alla compravendita dell’uccisione di Giuseppe. La fierezza di una condizione economica precaria che però sposa rifiutando facili risarcimenti assicurativi pur di arrivare alla verità per suo fratello. Domenica Ferrulli, pur giovanissima ha nelle sue mani il timone di tutta la sua famiglia. Suo padre Michele è morto gridando aiuto e supplicando sotto i colpi "basta" . Reo di aver ballato in strada con due suoi amici dopo aver bevuto qualche birra magari di troppo. Domenica è sola ma non ha perso la bussola. Claudia Budroni con il suo sguardo vivissimo: fiera della bellezza del suo povero fratello Dino , morto ammazzato. Claudia i cui occhi diventano più belli quando si bagnano delle lacrime che versa per vedere processare Dino da morto. Si, perché da morto Dino viene condannato e marchiato per ben due volte. Da contumace. Reso contumace per un proiettile scellerato sparato da un poliziotto che non merita alcun aggettivo. Guido Magherini è struggente. Un padre sorretto ora solo dalla spasmodica ricerca della verità per la morte del proprio figlio Riccardo. Disorientato su tutto ma non su ciò che deve fare per restituire dignità a Riccardo che è morto chiedendo aiuto , in modo sempre più disperato ma sempre educato . Anche quando, educatamente, ha inutilmente fatto presente ai suoi aggressori che stava morendo. Ed infatti è morto. In modo terribile ma educato, rispettoso. Dedicando il suo ultimo pensiero a suo figlio Brando di soli due anni. Guido ha Andrea. Che assomiglia terribilmente a Riccardo ma è Andrea. Lo ama ancor di più . Ma Riccardo non c’è più . Il dolore di queste famiglie è quello della loro vita. È quello che viene calpestato quotidianamente proprio da coloro che dovrebbero averne più rispetto. Sono per me esempi. Il loro dolore è la mia forza, la mia rabbia. Secondo te, qual è il ruolo dei media e dell’informazione in processi di questo tipo? Cosa deve fare la buona informazione per sconfiggere la cattiva informazione come, per esempio, quella alimentata da personaggi come Giovanardi? Il ruolo dell’informazione è fondamentale. I fari della pubblica opinione sono assolutamente necessari per costringere lo Stato a processare se stesso ed a non voltarsi dall’altra parte parte come spesso accade. Il comitato europeo dei ministri e la corte di Strasburgo considerano la tensione mediatica come esercizio indispensabile di "public scrutiny", parametro fondamentale di effettività della lotta all’impunità della violazione dei diritti umani. Pensi che l’esempio di Dean Buletti per "Chi l’ha visto" possa indicare una strada da seguire nel giornalismo d’inchiesta intorno a casi di questo genere? Perché? Dean Buletti e "Chi l’ha visto" sono espressione di quella forma di giornalismo d’inchiesta che oramai sta scomparendo da noi. Sia Dean che il programma di Rai Tre hanno ricoperto un ruolo fondamentale anche nei casi Aldrovandi e Magherini. Secondo te la politica che ruolo ha nelle questioni di repressione e malapolizia? Pensi che sia corresponsabile degli attuali - disastrosi - modelli di sicurezza e ordine pubblico? I casi di malapolizia non sono isolati. Sono espressione di un modello comportamentale preoccupante. I responsabili di questi gravissimi episodi non solo non vengono isolati o comunque lasciati soli ad affrontare i processi per acclarare le loro responsabilità ma addirittura vengono sostenuti e incoraggiati da colleghi o da forme organizzate come i sindacati di polizia. Queste intervengono pubblicamente prima durante e dopo i processi per sostenere la loro solidarietà ai colleghi indagati, imputati ed anche condannati. E ciò spesso con toni intimidatori quando non minacciosi ed ingiuriosi nei confronti delle stesse vittime. Paiono essere una sorta di ribellione al potere giudiziario che non vogliono riconoscere. Da forze dell’ordine diventano forze del disordine quasi a volersi costituire come potere autonomo e senza controllo della magistratura. La politica intanto si volta dall’altra parte. Ed il silenzio degli organi di garanzia costituzionale preoccupa perché offre l’impressione di volerli accettare se non legittimare. Giustizia: le tangenti nel paese di Maccus di Gian Antonio Stella Corriere della Sera, 22 maggio 2014 Come mai ventidue anni dopo lo scoppio di Mani Pulite c’è gente che continua a chiedere tangenti e gente che continua a pagarle? Alla domanda che tanti ipocriti si sono pensosamente posti nei giorni scorsi dopo gli arresti per l’Expo 2015, risponde una sentenza del tribunale di Napoli Nord. Così bonaria verso l’imputato da incoraggiare alla mazzetta ogni amministratore pubblico che si senta portato al mestiere di ladrone. Eugenio Di Santo, un ricco imprenditore sindaco di Sant’Arpino, in provincia di Caserta, era stato arrestato sei mesi fa per avere "ripetutamente sollecitato" un imprenditore che gestisce i servizi mensa delle scuole comunali a "regalargli" un prezioso bracciale tempestato di diamanti che costava intorno ai tremila euro e che, stando a quanto diceva, avrebbe dovuto regalare a sua volta a un magistrato. Nessun dubbio sui fatti. Come ha scritto ieri mattina sul Mattino Marilù Musto, l’uomo non poteva che "ammettere la colpa a fronte di prove schiaccianti: un video che ritraeva il sindaco con la sua vittima sul retro della scuola elementare, nastri registrati durante i colloqui fra i due e una denuncia ai carabinieri presentata dal ristoratore alla stazione di Lusciano il 1 novembre 2013. Difendersi sarebbe stato inutile, meglio chiedere la riqualificazione del reato e andare avanti in un processo più breve possibile. Bisognava evitare l’interdizione dai pubblici uffici". Ed è esattamente quello che, grazie al patteggiamento, Eugenio Di Santo ha ottenuto l’altro giorno dal tribunale di Napoli Nord. I giudici, presidente Alberto Maria Picardi, lo hanno infatti condannato a un anno e sei mesi di carcere. Più il pagamento di 2.500 euro come risarcimento all’imprenditore costretto a pagare e al Comune. Tanto per capirci, visto che la popolazione del paese assomma complessivamente a 14.267 anime, l’onore di ogni abitante offeso dal tangentismo del primo cittadino è stato valutato 17 centesimi. Di più: trattandosi di una condanna inferiore ai due anni, così leggera anche grazie al fatto che il Comune non si era costituito parte civile, la pena è stata sospesa. E poiché l’uomo non si era mai dimesso (si era candidato a sindaco con questa promessa: "Né io, né gli assessori, né i consiglieri comunali prenderemo un solo euro in cinque anni") potrebbe teoricamente tornare in sella. Come andrà a finire non si sa. Dopo la condanna l’uomo, eletto da un’"alleanza democratica" trasversale che comprendeva il Pd, l’Udc, i socialisti, i mastelliani e altri ancora, è stato festeggiato nella sua villa da decine di simpatizzanti entusiasti. Un altro elettore si è spinto a scrivere sulla pagina Facebook del condannato: "abbiamo sempre confidato in te, Gesù!". Ancora più divertente, a latere, c’è un’altra noterella: solo due settimane fa quel Comune che non si è costituito parte civile contro il sindaco reo confesso ha premiato il presidente del Senato Pietro Grasso nel corso della manifestazione "Pulcinellamente"... Il paese si vanta infatti di aver dato i natali, secoli fa, al personaggio teatrale di Maccus. L’antenato di Pulcinella. Complimenti: coerenza perfetta. Giustizia: caso Matacena, Chiara Rizzo nel carcere di Reggio Calabria, domani dal Gip Il Sole 24 Ore, 22 maggio 2014 Fitto "cronoprogramma" della Procura della Repubblica di Reggio Calabria dopo il rientro in Italia dalla Francia di Chiara Rizzo, moglie dell’armatore ed ex parlamentare di Forza Italia Amedeo Matacena, latitante a Dubai, dopo che per lui la Cassazione ha confermato la condanna a 5 anni e 4 mesi per concorso esterno in associazione mafiosa. Si inizia domani, alle ore 11.30, con l’interrogatorio di garanzia che Rizzo sosterrà con il Gip Olga Tarzia. A seguire, forse la prossima settimana, Rizzo sarà ascoltata anche dai pm titolari del fascicolo nato da una costola dell’indagine Breakfast avviata due anni fa. Sempre nella prossima settimana ci sarà la notifica del ricorso della Dda reggina al Tribunale del Riesame (contro l’esclusione dell’aggravante mafiosa per gli indagati), la decisione dello stesso Tribunale sui ricorsi dei legali di alcuni indagati contro l’arresto e la missione in Liguria del capo della Procura di Reggio Calabria Federico Cafiero De Raho, del sostituto Giuseppe Lombardo e del sostituto procuratore nazionale antimafia Francesco Curdo, per scartabellare gli archivi sigillati all’ex ministro dell’Interno Claudio Scajola (arrestato). A proposito degli archivi dell’ex parlamentare del Pdl, sembra sgonfiarsi la pista che porta a clamorosi nuovi dossier celati nelle sue case liguri e in quella della sua assistente. Case e ufficio dell’ex parlamentare in Liguria erano state infatti già oggetto di perquisizioni ad aprile 2013 da parte della Dia di Genova e le carte ritenute più interessanti furono spedite dalla Procura di Imperia a Roma. È proprio legato a questo invio di carte, l’iscrizione nel registro degli indagati della Procura della Capitale per l’ex ministro, con l’accusa di detenzione di atti coperti dal segreto. Scajola venne interrogato su questa vicenda alla fine di aprile 2014, negando le accuse. È verosimile, dunque, che le carte rimaste (allora non considerate di interesse investigativo o almeno di interesse limitato) possano offrire agli investigatori e agli inquirenti reggini spunti inferiori alle attese. Lettere: al Presidente della Regione siciliana su mancata nomina del Garante dei detenuti di Silvano Bartolomei Ristretti Orizzonti, 22 maggio 2014 È passato quasi un anno, ed ancora il Presidente della Regione Siciliana non ha provveduto a nominare il nuovo Garante dei Diritti del Detenuto. Per quale motivo l’Onorevole Crocetta, nonostante il lungo tempo trascorso e le continue pressioni da ogni parte pervenute, non ha sentito, ad oggi, la necessità di una così importante individuazione? Soprattutto, non si comprende per quale oscuro motivo, in un momento in cui la figura sia già stata istituita, per comprovate necessità, su base, nazionale non si reputi opportuno nella Regione Siciliana mantenere una continuità che permetterebbe di dare voce a chi quotidianamente soffre le ristrettezze carcerarie. Una figura necessaria in grado di governare una situazione che giorno dopo giorno, rischia di incancrenirsi sempre più. Non dimentichiamo che la legge, istitutiva della figura nel 2005, recava in se precise finalità che ad oggi permangono nella loro devastante gravità e che, in alcun modo, debbono essere trascurate. Principi come vigilanza, informazione, promozione, dei quali più che mai oggi, in tema di diritti umani ed in una fase di sovraffollamento carcerario, se ne sente il bisogno. Ancor più, se si considera l’incombente data del 28 maggio 2014, oltre la quale la Corte di Strasburgo, con la sentenza Torreggiani, ha imposto all’Italia tutta una serie di prescrizioni carcerarie, la cui inosservanza sarà foriera di numerosi ricorsi dagli imprevedibili, quanto pericolosi risvolti economici. Ed allora, perché mai temporeggiare, perché non volere considerare anche la questione del sistema carcerario una priorità del paese e, nella circostanza, della Regione Siciliana. È evidente che il notevole ritardo reca in se la negazione di un diritto, non accettabile in uno stato democratico ed il cui perdurare costituisce una situazione di costante illegalità non oltremodo valutabile. Orbene, Signor Presidente tra le tante necessità di questa martoriata Regione, valuti anche quella di individuare il nuovo Garante - tanto più che vi sono professionisti disposti a ricoprire l’incarico a costo zero - che contribuirebbe a far cessare una situazione di malessere generale, cercando di armonizzare quel permanente difficile rapporto tra istituzioni e detenuti, riconducendolo entro quei limiti costituzionalmente sanciti. Analogamente, si sollecitano le individuazioni del Garante per l’infanzia e l’adolescenza e il Garante per i disabili, tentando di far ricadere la ricerca su soggetti competenti e che, soprattutto, siano indipendenti dalla politica. Lettere: "Buoni…Dentro", concorso tra i detenuti-studenti della Scuola Alberghiera di Francesco Luigi Frasca (Detenuto a Larino) Ristretti Orizzonti, 22 maggio 2014 Il 19 Maggio 2014 nell’Istituto di Pena di Larino, si è tenuto un concorso interno "Buoni…Dentro", al quale hanno partecipato gli stessi detenuti frequentanti il corso di Scuola Alberghiera (sede distaccata della scuola "Federico II di Svevia"), dove oltre a muri e cancelli ci si è trovati di fronte a dei ragazzi colmi di professionalità, capacità tecniche e sublime dedizione al loro operato. Sbocciano come fiori di primavera, detenuti della Casa Circondariale di Larino, in un luogo dove per stereotipi non ti aspetti tanta professionalità, coinvolgimento, passione e sensibilità umana. Il concorso in questione prevedeva delle prove divise per tre settori: "Enogastronomia, vendita, sala ed accoglienza", suddivisi a loro volta in due categorie "Senior e junior". Con la premiazione finale dei primi tre classificati per ogni settore e categoria. Tutto ciò ha preso vita in un ambiente in cui il sottofondo della canzone "Happy" descriveva perfettamente il clima che si viveva. I detenuti hanno svolto le varie prove iniziando con il settore "Vendita e sala", dove sembrava d’essere in un vero discopub con le varie tecniche peculari di "Barman", ciò lo dimostra la preparazione del cocktail "Cosmopolitan" il preferito dalle star (ad esempio la cantante Madonna). Di lì, si è passati al settore "Accoglienza" in cui venivano presentati varie località da visitare attraverso immagini e descrizione orale, così soave da sembrare reale la visita a tali località. Infine si è giunti alla sala "Enogastronomia". Anche qui i detenuti hanno sfoggiato l’arte enogastronomica presentando una varietà eccellente per coreografia e gusto di piatti di varia derivazione. Fuori gara, invece, "Limoncello e birra" preparati artigianalmente dai detenuti. Le prove si sono svolte sotto il giudizio delle varie giurie, composte da professionisti del settore e membri di docenza, Per ogni settore. Per il settore "enogastronomia": M. Tagliaferri, R. Santilli, E. Tribò, C. Di Lizio, A. Perrino. Per la "vendita": S. de Vito, M.R. Rinaldi, D. Pillo, A. Azzarone, A. Rulmi. Per "accoglienza": A. Fatica, R. Esposto. E. Pasquale, R. Del Torto. Al termine delle varie prove, dopo attimi di suspance, si è giunti alla premiazione che ha visto nel settore accoglienza classificarsi al 1° posto "Pepe Francesco". Nel settore vendita e sala 1° classificato "Scalia Vincenzo"; 2 posto "Patrizio"; 3° posto "M. Sacco" e "A. Burzorato" per la categoria "Senior". Invece categoria junior 1° classificato "Palmieri Francesco", 2° posto "Vincenzo Ranieri", 3° posto "Ignazio Fortini". Settore enogastronomia categoria Senior 1° posto "Ferrara Gennaro", 2° posto "Bavota E e Garofalo", 3° posto "Di Stefano Giovanni". Categoria Junior 1° posto "Pasquale Luongo e Maurizio Montanino", 2° posto "Madonna Giuseppe", 3° posto "Vinchiaturo Angelo". "Buoni… dentro" un concorso che non è stata la fine di un percorso ma il suo inizio, verso un futuro di grande capacità, professionalità e padronanza nel loro operato in ogni aspetto tecnico- pratico. Capaci di cancellare muri e cancelli con la loro cordialità e sorriso, i ragazzi hanno messo nelle loro prove non solo capacità, ma cuore, anima e pensiero. Questo Grazie ai docenti: "Di Rosso", "Di Tullio", "Pelusi", "Di Pilla", "Granchelli" che preparano con competenza i giovani detenuti, svolgendo un lavoro professionale ineccepibile con l’aggiunta dell’ingrediente dell’affabilità, della disponibilità e della passione. Altrettanto va apprezzato e considerato lo sforzo del Direttore dello stesso istituto la Dottoressa "Rosa la Ginestra" che ha permesso lo svolgimento di questo concorso interno e che da tempo lavora con attenzione sullo sviluppo professionale dei detenuti. Il dirigente dell’Istituto alberghiero la Professoressa Maria Chimisso, presente alla manifestazione, ha presieduto alle varie fasi coinvolgendosi e donando il suo sorriso misto a compiacimento per una bella e lodevole iniziativa messa in campo dalla sua scuola e dagli alunni del carcere. "Buoni…dentro" non è stato solo un concorso ma un momento d’Espressione universale senza patria, né confini, né tanto meno limiti ponendosi come efficace mezzo d’intesa, l’unione e lo sviluppo tra le persone. Un momento dove profumi, emozioni, gioia, sapori, critica, sorrisi si sono uniti in un unico abbraccio dando vita ad unica parola: libertà. Lazio: il Garante; detenuti ed ex detenuti per garantire aperture di musei e beni culturali Agenparl, 22 maggio 2014 Utilizzare detenuti ed ex detenuti per garantire le aperture, anche notturne, di aree archeologiche, musei e beni culturali di Roma e del Lazio. A rilanciare la proposta è il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni. "Ho aspettato che passasse la Notte dei Musei di sabato - ha detto Marroni - ma ora questo discorso può essere ripreso, serenamente e spero senza pregiudizi. La notizia prima della chiusura, poi dell’apertura a numero chiuso del Colosseo per giorni ha oscurato l’impatto e la rilevanza di un evento culturale di tale portata. È stata una brutta figura che si doveva e poteva evitare anche ricorrendo a lavoratori esterni come detenuti ed ex detenuti". Il Garante ha ricordato che, per altro, a Roma l’utilizzo di reclusi ed ex reclusi in attività lavorative nelle aree archeologiche della Capitale è un progetto che è già stato abbondantemente sperimentato, e con profitto, negli scorsi anni. "Se è vero che la cultura è il petrolio di questo Paese - ha detto Marroni - allora tutti possiamo contribuire a valorizzare le bellezze storiche, artistiche e culturali. Solo qualche giorno fa, sono stati pubblicati i dati di affluenza ai musei relativi al 2013. Roma, che pure ha bellezze che tutti ci invidiano, è distante anni luce dai musei di Parigi e di Londra. L’estate sta arrivando e, con essa, centinaia di migliaia di turisti. Dopo anni di crisi abbiamo un’occasione importante di invertire la tendenza. Se possibile, dobbiamo garantire la piena fruizione di aree archeologiche, musei e beni culturali fino a sera inoltrata. Per fare questo possiamo fare ricorso ad ogni risorsa possibile, compresi i detenuti, e non solo quelli condannati ai lavori di pubblica utilità. C’è gente che in carcere ha imparato un mestiere, che è in grado di lavorare nei call center per ricevere prenotazioni, di lavorare nelle biglietterie, di fare piccoli interventi di manutenzione". "Nei giorni scorsi, prima che scoppiasse il caso Colosseo - ha concluso Marroni - avevo parlato di questa opportunità anche con il commissario del Parco dell’Appia Antica. Ci mettiamo a disposizioni delle amministrazioni locali per agevolare questo tipo di aiuto". Pordenone: cella aperte dalle 8 alle 16, così i detenuti sono liberi di circolare nei corridoi di Daniele Boltin Messaggero Veneto, 22 maggio 2014 Blitz dei Radicali, ieri pomeriggio, nel carcere di Pordenone. Gli esponenti del movimento guidato da Marco Pannella stanno facendo il giro degli istituti di pena della regione. Nella Destra Tagliamento, come sottolineato da Stefano Santarossa, le principali criticità sono a livello strutturale, un problema di fatto insuperabile, visto che il carcere è ospitato nel castello, costruito nel XIII secolo. Secondo i radicali, la misura necessaria a livello nazionale è l’amnistia, per far uscire di prigione chi è ancora innocente, perché in attesa di sentenza definitiva. "La detenzione preventiva in Italia non è un’eccezione, ma è diventata la regola" ha dichiarato Santarossa. Il carcere di Pordenone non si allontana dalla media nazionale e, su un totale di 73 detenuti, ne ospita 53 in attesa di giudizio definitivo. "A Pordenone i problemi ci sono - hanno evidenziato i radicali, ad esempio c’è una cella con nove letti. In casi come questo lo spazio non è adeguato, perché dovrebbe essere di 9 metri quadrati a persona. Inoltre c’è una doccia unica per tutti". Nel complesso, comunque, la situazione del carcere cittadino è buona, e lo dimostrano anche dati come l’assenza di suicidi negli ultimi due anni. Per quanto riguarda il personale, invece, ci sono 50 agenti di polizia penitenziaria, cinque addetti ai trasporti dei detenuti, e due educatori. "In una struttura piccola come quella di Pordenone - hanno sottolineato i radicali - detenuti e agenti si conoscono, e si crea un rapporto quasi familiare. Bisogna anche sottolineare il lavoro dei volontari, che stanno facendo miracoli". Le tensioni sono allentate anche grazie al programma nazionale di "regime aperto" iniziato a Pordenone per la prima metà dei detenuti a marzo, e per l’altra metà la settimana scorsa. "Le porte delle celle - ha spiegato il direttore del carcere, Alberto Quagliotto - rimangono aperte dalle 8 alle 16, così i detenuti sono liberi di circolare nei corridoi, incontrarsi, andare in biblioteca o in cortile a passeggiare". Inoltre, nel castello è iniziato l’ampliamento dell’infermeria. Un lavoro che vede i detenuti in primo piano nella realizzazione di quest’opera. "Gli interventi di muratura li stanno facendo loro - ha concluso Quagliotto - mentre gli impianti sono affidati a ditte specializzate. Tra le novità più importanti avremo il gabinetto dentistico, così non dovremo più tradurre i detenuti a Cordenons ogni volta per le cure". Cagliari: Sdr; rafforzato Tribunale Sorveglianza per mole lavoro legge "svuota carceri" Ristretti Orizzonti, 22 maggio 2014 "Il Tribunale di Sorveglianza di Cagliari è stato integrato per fare fronte alla mole di lavoro derivante dalla legge "svuota carceri" e dalle nuove disposizioni anche in materia di droga leggera. Un positivo segnale che permetterà ai Magistrati di lavorare con maggiore serenità e ai detenuti di vedere evase le istanze per la buona condotta in alcuni casi ferme da diversi mesi". Lo rende noto Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione "Socialismo Diritti Riforme", avendo appreso che la dott.ssa Daniela Amato ha affiancato di recente i colleghi Elisabetta Mulargia e Angelo Caredda con la presidenza di Paolo Cossu. "L’importante attesa novità - sottolinea - costituisce il preludio a un’accelerazione nella disposizione dei permessi premio, degli "sconti" per la collaborazione al programma di recupero e per valorizzare il comportamento in carcere, ma riguarda anche le istanze di affidamento in prova, il braccialetto elettronico e l’accesso alle pene alternative nonché il rimpatrio degli immigrati. Si tratta di un’importante svolta anche perché sul Tribunale di Sorveglianza di Cagliari gravano le problematiche dei cittadini privati della libertà oltre che di Buoncammino, anche di Oristano, Is Arenas, Isili, Lanusei". "Per consentire alle persone detenute di esercitare i diritti fondamentali e ridurre il sovraffollamento, è stata anche attivata una collaborazione con la Polizia Penitenziaria. Un Assistente e un Ispettore infatti sono stati distaccati dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria per recuperare i ritardi e ridurre il disagio. Una determinazione - conclude la Presidente di SDR - che dimostra una maggiore attenzione verso il lavoro dei Magistrati cagliaritani. L’auspicio è quello di un riordino dell’Ufficio nel suo complesso per evitare lunghi periodi di attesa delle pratiche a causa dell’eccezionale numero di detenuti di riferimento". Cosenza: Movimento Diritti Civili; disabile senza arti vuole vedere fratello detenuto Ansa, 22 maggio 2014 Una ragazza disabile che vive su una sedia a rotelle perché priva degli arti ha rivolto un appello al leader del Movimento Diritti Civili, Franco Corbelli, per chiedere di poter incontrare il fratello che è detenuto. Nella lettera inviata al Movimento la donna scrive che "mio fratello è stato arrestato nel marzo di quest’anno ed io sono due mesi che non lo vedo. Sono disabile perché priva degli arti. Purtroppo dove si trova mio fratello sono impossibilitata a fargli visita. Abbiamo fatto tutti i documenti e li abbiamo già inviati. Sono venute le forze dell’ordine a vedere la mia situazione ma ad oggi nessuna risposta. Mio fratello non sta bene neanche lui. Mia mamma è morta il 25 gennaio scorso, il mio papà è anziano e io non so più come fare". "Ancora una volta - ha affermato Corbelli - mi arriva una testimonianza drammatica della tragedia delle carceri. Chiedo che venga accolga subito l’accorata e dignitosa richiesta di aiuto di questa sfortunata ragazza e le venga consentito di poter incontrare il fratello detenuto. E chiedo che a questo giovane detenuto, vista la particolare gravità della situazione, vengano concessi gli arresti domiciliari". Milano: detenuto evade dal carcere di Bollate, ma poi si pente e rientra in cella di Roberta Rampini Il Giorno, 22 maggio 2014 Evasione lampo per un detenuto accusato di ricettazione. Aveva il permesso di frequentare un corso di formazione. L’uomo si è costituito dopo 24 ore. Il 28 aprile era invece fuggito tunisino condannato per un delitto. La sua fuga è durata meno di ventiquattro ore. Ci ha pensato. Si è pentito. E ieri pomeriggio si è costituito nel carcere di Bollate, il detenuto di origine nomade che era evaso martedì. Ammesso al lavoro all’esterno in regime di articolo 21 dell’ordinamento penitenziario, da mesi frequenta il corso professionale per diventare elettricista al Centro di formazione di via Fleming a Milano. Martedì mattina era uscito come sempre per andare a lezione, ma poi non ha fatto più rientro nel carcere alle porte di Milano. Accusato di furto e ricettazione, con una pena breve da scontare, il detenuto stava facendo un percorso rieducativo e di formazione professionale senza problemi. Martedì il "colpo di testa", come lo ha definito lo stesso direttore del carcere Massimo Parisi: "Il detenuto in questione è un caso particolare, si era costituito da solo dopo aver commesso i reati, ha una famiglia qui in Italia e quando ho saputo che non era rientrato ho pensato subito a qualche problema familiare o personale". E pare che le cose siano andate proprio così: il detenuto sarebbe evaso dal carcere per problemi di famiglia, ma dopo qualche ora ha capito di aver commesso un errore e spontaneamente è tornato in carcere. "Ha ammesso di aver sbagliato, era pentito, ha chiesto scusa e spiegato che non voleva compromettere il percorso di reinserimento sociale iniziato qui a Bollate" aggiunge Parisi. Si tratta del secondo detenuto che evade dal "carcere modello" in meno di un mese. Il 28 aprile, Ballouti Moncef, tunisino di 46 anni, condannato per omicidio, uscito in permesso premio, non è più tornato nella sua cella. "Una coincidenza - conclude Parisi - e comunque due casi molto differenti tra di loro. Il numero di detenuti che escono per lavoro o con permessi premio da noi è alto e statisticamente episodi come questi possono capitare". Il sindacato di polizia penitenziaria concorda: "È un evento che si può verificare, anche se la percentuale dei detenuti ammessi a fruire di permessi o di lavoro all’esterno che non fa poi rientro in carcere è minima - commenta Donato Capece, segretario generale del Sappe. È evidente che scontare la pena fuori dal carcere, per coloro che hanno commesso reati di minore gravità, ha una fondamentale funzione anche sociale". Udine: scrittura creativa nelle carceri, con i laboratori di Alberto Garlini e Pino Roveredo Messaggero Veneto, 22 maggio 2014 L’esperienza del carcere incontra la scrittura creativa. Da alcuni anni sono Alberto Garlini e Pino Roveredo a condurre laboratori nelle Case Circondariali di Pordenone e Tolmezzo. Percorsi che, tra differenze e corrispondenze, indagano universi letterari animati dalla stessa natura, quella creazione fatta di condivisione e confronto nel gruppo e con il gruppo. Laboratori inseriti nell’ambito del progetto Case circondariali, che comprende attività socio-culturali finalizzate all’inclusione sociale, alla rieducazione e al reinserimento in società di detenuti ed ex detenuti, curate dal Css Teatro Stabile di Innovazione del Fvg con il sostegno Regione e degli Ambiti Socio-Assistenziali di Tolmezzo, Gorizia, Udine e Pordenone. A Pordenone il laboratorio indaga il testo narrativo, le funzioni e gli strumenti fondamentali. Il percorso, condotto da Alberto Garlini, autore di romanzi quali "Fùtbol bailado" e de "La legge dell’odio", sperimenta, direttamente, la stesura di un testo attraverso esercizi mirati a migliorare le capacità pratiche di scrittura e composizione. Tramite l’uso della finzione narrativa, i partecipanti possono dare libera espressione alle necessità di comunicare una dimensione personale, spesso compromessa a causa della difficile situazione contingente. In particolare il corso sarà incentrato sul racconto dell’esperienza, sviluppando quelle tecniche narrative che più si adattano, in particolare, a dar voce al vissuto personale. A Tolmezzo il laboratorio ha il suo fulcro nell’uso della lettera, tra ricerca di se stessi e tentativo di raccontarsi. In carcere, l’atto di scrivere diventa la componente naturale per non perdere la comunicazione con il mondo. A guidare i detenuti Pino Roveredo, scrittore e operatore culturale, premio Campiello 2005. Un laboratorio in cui sperimentarsi e conoscersi attraverso una scrittura rivolta a se stessi, ai familiari e alle persone care, ma anche a quella società che continua a respingere. Torino: arriva alle Vallette il nuovo direttore Domenico Minervini, un "allievo" di Buffa di Sarah Martinenghi La Repubblica, 22 maggio 2014 Prima ancora è stato al vertice della struttura penitenziaria di Asti (dal 2003 al 2009). Ma Minervini è uno che la realtà detentiva di Torino la conosce bene: per cinque anni ha ricoperto il ruolo di vicedirettore, lavorando anche al fianco, dal 2000 in poi, dell’ex direttore Pietro Buffa. Il contatto con le Vallette non si è mai interrotto, avendo anche prestato servizio qui per un giorno a settimana per la disciplina dei detenuti. Il nuovo direttore arriva tuttavia in un momento critico per il carcere torinese, temporaneamente affidato a Rosalia Marino, dopo il trasferimento del dirigente Giuseppe Forte, del comandante Gianluca Colella e del suo vice Anna Coscarella legato alla dolorosa vicenda del 17 dicembre scorso, quando il capo sentinella Giuseppe Capitano uccise il collega Giampaolo Melis e si tolse la vita. Una tragedia dai contorni oscuri, su cui sta cercando di far luce il pm Cesare Parodi, e che ha riportato l’attenzione sulla difficile realtà lavorativa in cui operano gli agenti di polizia penitenziaria. Proprio ieri una delegazione di FdI-An ha fatto visita al carcere "per ribadire la vicinanza del nostro movimento politico agli agenti di Polizia Penitenziaria - hanno commentato i portavoce Agostino Ghiglia e Roberto Ravello - Anche il carcere di Torino subisce gli effetti di politiche deleterie: a Torino 800 agenti invece dei 930 necessari per 1.400 detenuti". Il nuovo direttore dovrà dunque fare i conti con una realtà provata da questo episodio e dagli ultimi avvicendamenti ai vertici. E rischia anche di dover cominciare in un clima teso, specie con alcune sigle sindacali con cui ci sono stati scontri per questioni contrattuali e su cui si è pronunciata la "car", la commissione arbitrale regionale costituita presso il provveditorato regionale. Quando era ad Asti Minervini si era poi trovato ad affrontare la bufera dell’inchiesta che aveva portato a processo (a distanza di anni) quattro agenti per aver picchiato due detenuti (lui stesso aveva anche denunciato un agente per percosse). Ad Aosta le cronache raccontano di importanti progetti per migliorare la qualità della vita penitenziaria, sia lavorativi per i detenuti (ultimo la panetteria), sia organizzativi, come l’apertura per otto ore delle sezioni detentive in anticipo sulle direttive di Strasburgo che l’hanno resa obbligatoria. Il suo obiettivo sarà dunque portare la sua esperienza alle Vallette: meno detenuti, nuovi progetti, miglioramento dei rapporti e del clima lavorativo per le guardie penitenziarie. Oristano: bracciale elettronico, parte sperimentazione con detenuto ad arresti domiciliari di Elia Sanna La Nuova Sardegna, 22 maggio 2014 Parte da Oristano l’attivazione della misura del braccialetto elettronico utilizzato per controllare detenuti agli arresti domiciliari. Il primo mezzo elettronico in assoluto in Sardegna verrà installato questa mattina ad un detenuto sottoposto ad una misura cautelare nella propria abitazione. La proposta del Ministero è stata accolta positivamente dalla questura di Oristano ed attivata di comune accordo con la magistratura e la polizia penitenziaria. Il dispositivo di monitoraggio a distanza si avvale delle più recenti tecnologie elettroniche utilizzate per il controllo da una postazione remota posizionata presso la centrale operativa. Il "braccialetto elettronico", normalmente applicato alla caviglia del detenuto, è collegato ad una centralina elettronica attraverso un ripetitore installato nell’abitazione o nel luogo disposto dal magistrato dove si deve scontare la pena detentiva. La centralina, dialogando con il dispositivo di controllo a distanza, invia alla centrale operativa gli eventuali spostamenti del detenuto dall’abitazione. Non solo: lo strumento è in grado di comunicare in tempo reale anche eventuali anomalie come i tentativi di manomissione o distruzione. In caso di violazione del perimetro scatta un allarme con il conseguente intervento delle pattuglie impegnate sul territorio. "Abbiamo accolto con grande interesse questa sperimentazione proposta dal Ministero - ha detto il questore, Francesco Di Ruberto - per queste finalità del nostro personale ha frequentato un apposito corso professionale. Mai come in questo caso la tecnologia ci viene in aiuto limitando gli interventi di controllo e accertamento sul territorio". Al più pesto il braccialetto elettronico verrà installato anche su altre persone: "Successivamente lo utilizzarlo anche per altri casi - ha spiegato il questore di Ruberto - che prevedono ad esempio l’allontanamento dalla casa familiare o il divieto di avvicinamento alle persone, in caso di stalking e femminicidio". In questi casi il braccialetto funzionerà al contrario: l’allarme scatterà quando ci si avvicinerà più del consentito alla persona da tutelare. Firenze: detenuta brucia il materasso; l’antincendio funziona male, intossicate 5 agenti La Repubblica, 22 maggio 2014 Cinque agenti donne di polizia penitenziaria sono rimaste leggermente intossicate in un incendio causato da una detenuta che ha dato alle fiamme la sua cella. È accaduto intorno alle 15.30 di ieri nel carcere fiorentino di Sollicciano. La detenuta, che ha personalità definita "difficile" e che nei giorni scorsi aveva leggermente ferito altre tre agenti donna, è reclusa da sola in una cella dove ieri ha appiccato il fuoco a suppellettili e materasso. "I materassi di Sollicciano sono ignifughi, ma si è sprigionato del fumo che è stato respirato dalle agenti accorse. Per fortuna nessuna seria conseguenza" ha detto il garante regionale dei detenuti Franco Corleone, che ha avuto un colloquio col direttore del carcere. A rendere noto l’episodio è stata l’Osapp, Organizzazione sindacale autonoma di polizia penitenziaria. Per Leo Beneduci, segretario generale, "non sarebbero estranee al propagarsi del fumo le cattive condizioni dell’impianto antincendio dell’istituto, con tubi fuori dalle bocchette antincendio troppo corti e che possono impedire interventi idonei sulle celle più lontane". Aggiunge Eleuterio Grieco, coordinatore provinciale della Uil-Pa penitenziari: "A causa della insufficiente lunghezza degli idranti, sono stati usati sistemi artificiosi, anche secchi alcuni dei quali pure rotti". Per Corleone non esiste un problema di sicurezza anti incendio a Sollicciano. "I problemi sono altri e noti - dice - Chiedo che il primo atto del nuovo sindaco di Firenze sia la nomina del garante dei detenuti del Comune di Firenze che manca da sei mesi". Fermo (Ap): il carcere dove l’antidoto alla depressione è la scrittura di Angelo Ferracuti Il Manifesto, 22 maggio 2014 Incontro con i detenuti del carcere di Fermo - una delle tante cattedrali del sovraffollamento - dove l’antidoto alla depressione è la scrittura: storie e avventure da loro narrate in un giornalino interno. Quando suono ai citofoni, subito dopo si apre la porta scorrevole metallica. Cerco la guardia, non vedo il suo viso nel vetro a specchio, ma con sorpresa solo il mio, speculare, che mi guarda. Poi la voce mi chiede il documento, lo infilo subito in un piccolo vano che sta sotto il vetro, vedo la mano prensile che lo afferra, veloce lo fa sparire. Ho sempre pensato con angoscia al carcere, quando passavo qui davanti da ragazzino, mentre costeggiavo a piedi il vecchio edificio della casa circondariale di Fermo, e vedevo in cima a un muro alto i vetri rotti conficcati nel cemento, pensavo chissà perché all’onomatopea raffinata di una poesia di Montale: "com’è tutta la vita e il suo travaglio/in questo seguitare una muraglia che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia". Da ragazzino tifavo sempre per i ladri evasi, mai per i poliziotti, gli indiani contro le giubbe blu, nei film come nella realtà, e speravo potessero riconquistare la libertà alla fine di quelle pellicole. Da ragazzo ho capito presto che la legge non è uguale per tutti, molti detenuti fanno parte delle classi più basse, delinquono spesso per necessità, poi molte volte diventano degli incalliti perché nel mondo fuori spesso si ripropone il problema che li ha portati in galera. I delinquenti veri, i bancarottieri, i mandanti morali, quelli delle classi agiate, vengono affidati ai servizi sociali, come accadde al capo dei democristiani Forlani, e adesso a Berlusconi, per tutti gli altri si applica rigidamente il diritto, specie in uno dei paesi più corrotti del mondo come il nostro, al 68° posto per la precisione nella classifica mondiale, preceduto persino da Macedonia e Montenegro, solo un gradino sopra il Kuwait e la Romania. Quando la guardia seriosa mi fa entrare, aprendo una seconda porta metallica, il senso d’angoscia cresce. Il tipo in divisa avverte qualcuno al telefono, poi mi accompagna nello studio dell’educatore, un coetaneo corpulento dalla faccia larga e i capelli biondastri che ho visto sempre vestito elegante con le sue giacche di tweed e il fazzoletto nel taschino, l’aria un po’ dandy. Quando arriva Angelica, la cronista del Resto del Carlino che ormai da qualche anno fa un periodico insieme ai detenuti, La chiave news, la quale mi ha già invitato a parlare con i membri della redazione, siamo al completo. Ci dirigiamo tutti e tre verso una grande porta, sempre metallica, il secondino ci apre. Varcata la soglia, il militare adesso ci saluta, siamo già nel cuore di questo piccolo carcere. Scorgo le celle anguste nei due lati e gli uomini che stanno dietro le sbarre, le facce annoiate, alcuni altri, al piano superiore, appoggiati alle balaustre di una balconata circolare che guardano il nostro passaggio, spiandoci. Siamo nella cattedrale del tempo perso, nel mausoleo della noia, il posto dove nella tua vita finisce l’intimità, spesso inizia la depressione, la violenza psicologica, la malattia. Un luogo molto adatto alla letteratura. Anzi, direi perfetto. Perché qui c’è tutto un concentrato di avventure, storie, trame di vite complesse. Oltre questo cortile interno, dove i detenuti sono costretti a passare l’ora d’aria, in quanto il carcere è piccolo, non è possibile passeggiare fuori, a metà di questo stanzone c’è l’ingresso di quella che chiamano la biblioteca, un’auletta soppalcata con sotto i pochi metri quadri per una scrivania e una quindicina di sedie, e sopra i pochi scaffali con i libri. Quando entro, seguendo l’educatore e la giovane giornalista, la dozzina di uomini sono già seduti al loro posto e si alzano in piedi di scatto salutando. Sono per metà italiani e per metà stranieri: in questa stanzetta ci sono diverse etnie che fanno una piccola Babele: vengono dal Marocco, dalla Libia, dalla Romania, dall’Albania. Sono qui per la "Settimana della cultura in carcere", una iniziativa del Ministero di grazia e giustizia. Quando li vedo tutti insieme che mi guardano, e penso al titolo della mia lezione, "Il reportage narrativo", in realtà vorrei solo ascoltare queste persone che, una alla volta, si alzano per raccontare la loro storia fatta di umanità e di dolore, di resurrezioni e cadute agli inferi. Chi più di loro ha bisogno di raccontare, ricostruire il racconto giusto della propria vita, quella "auto fiction" che adesso va tanto di moda, per fare un bilancio? Questo sto pensando mentre mi guardano curiosi, in particolare un ragazzo rumeno biondissimo, dagli occhi azzurri e lo sguardo intensissimo, che sta in seconda fila. Debbo parlare di come sono importanti la lettura e la scrittura nei luoghi di detenzione, questo è il mandato, il motivo per il quale ho accettato l’invito, invece comincio dicendo che ho scelto di venire qui perché conosco la situazione difficile del mondo delle carceri: il sovraffollamento, la scarsa qualità dell’assistenza sanitaria, la mancanza di psicologi, le croniche carenze di personale. C’è un problema di civiltà, e gli scrittori lo sanno, vogliono raccontarlo. Poi comincio a parlare del mio lavoro, dei libri che ho scritto. Che non sono libri d’invenzione, di fiction, ma storie dal vero. Una specie di ibrido tra racconto, giornalismo e storia. Uno l’ho portato con me, da donare alla biblioteca del carcere. Le nostre vite sono diametralmente opposte: le loro ferme qui, dentro se stesse, la mia fuori e sempre in viaggio per raccontare quelle degli altri. Però la scrittura deve avere sempre una urgenza, formale e morale, altrimenti diventa uno sterile esercizio estetico, o una attività funzionale e commerciale, tutte cose che non mi interessano. Esiste anche una letteratura sociale, che racconta le realtà del mondo, e un’altra scrittura, sempre sociale, che serve per raccontarsi, uscire fuori almeno da sé prima che da questo mondo chiuso, diventare memoriale. Quando i detenuti cominciano a parlare, i primi che si fanno avanti sono quelli che la scrittura l’hanno utilizzata perché era una necessità: raccontarsi. L’unico marchigiano, che credo abbia avuto problemi di tossicodipendenza, i capelli raccolti in un codino, occhiali neri da vista dalla montatura nera e massiccia, i modi da ragazzo buono, quello che ho proprio davanti a me, racconta che quando entri in carcere la prima cosa che perdi, dopo la libertà, naturalmente, è proprio l’intimità e il pudore, diventi un uomo completamente trasparente. "A San Vittore avevo iniziato a tenere un diario dove annotavo tutta la mia storia, ma non avevamo neanche la carta, scrivevo dietro le pagine dei mesi di un calendario". La necessità lo aveva spinto a scrivere persino nei pochi spazi bianchi dei libri che leggeva. Poi era riuscito a procurarsi quello che teneramente chiama "un quadernino", era il suo momento di gloria quando riusciva a mettere in santa pace una parola dietro l’altra. Aveva cominciato dopo aver letto "Nulla succede per caso" di Robert H. Hopcke, dice ancora. "Ma sai, come si fa a concentrarsi? Nella cella eravamo in cinque, non si riusciva a muoversi neanche due alla volta per quanto era stretta, e poi c’era chi voleva ascoltare la musica, o parlava a voce alta. Chi ti guardava storto perché lo facevi". Mi fa capire che la violenza gratuita era sempre in agguato in certi penitenziari affollati, molti erano sempre coi nervi a fior di pelle. Il tipo napoletano che gli sta vicino, aria da veterano, gli fa quasi per contraddirlo: "la cella perfetta non esiste". Lui dice che qui a Fermo infatti si trova molto meglio, "a Camerino eravamo in dodici", molti altri annuiscono o gli danno ragione. Subito dopo prende la parola un uomo alto e robusto, il viso pulito, lamenta che qui comunque non c’è uno spazio per scrivere in pace: "a Pesaro c’era la biblioteca, chi voleva andare a leggere o a scrivere poteva. Lì ho cominciato la mia storia". Poi racconta un aneddoto, quando sua moglie ha letto l’autobiografia e ha scoperto che l’aveva tradita, l’ha lasciato immediatamente. Ridiamo tutti. E per togliersi dall’imbarazzo di quella confessione, mi chiede subito dopo: "Conosci Gilberto Popolo?". Dico di no. Lui risponde: "ha scritto un libro, "Una strana storia", ha vinto un sacco di premi". Anche Genet, gli dico, era diventato scrittore in carcere. Lo conoscete? L’educatore spiega calmo che sulla Biblioteca ci stanno lavorando, "c’è un progetto con la Regione Marche, perché è giusto che un detenuto possa venire qui, toccare il libro, sceglierlo leggendo il risvolto, guardando la copertina, ma è complicato, la burocrazia non aiuta". Nel carcere c’è anche una scuola, una volta gli studenti erano una quindicina su sessanta ospiti, "adesso sono rimasti in due", lamenta, invitando i detenuti ad iscriversi. Per ultimo prende la parola un uomo libico, parla benissimo italiano e dice che è la prima volta nella vita che finisce dentro. "Avrei molte cose da dire, ma a chi le dico? Tante cose da dire della mia vita, come è fatta la mia giornata, quello che mi passa per la testa". Poi chiede all’educatore: "quando torna questo signore?". Gli stringo forte la mano, dicendogli con calore, "molto presto". Lui continua a parlare serio ad argomentare, mi segue mentre mi sposto per uscire, e mentre parla ancora capisco che raccontare qui ha un valore diverso, è un bisogno primario, tiene in vita come l’aria che respiri. Prendendo la parola già esisti un po’ più di prima. Nuoro: "Quello che i fiori non dicono", domani il reading nel carcere di Badu e Carros La Nuova Sardegna, 22 maggio 2014 Dopo l’incontro d’apertura con Fiorenzo Caterini, nuovo appuntamento nel carcere di Badu ‘e Carros nell’ambito del programma Maggio dei libri. È previsto per venerdì pomeriggio (ore 16), infatti, il reading multimediale "Quello che i fiori non dicono". Il reading giunge a conclusione di un progetto di promozione della lettura attivato nel carcere nuorese a febbraio 2014 da Sabrina Murru e Francesca Cadeddu, le due volontarie che attualmente si occupano del servizio bibliotecario all’interno dell’istituto. Il percorso, organizzato in nove appuntamenti durante i quali gli 11 partecipanti si sono confrontati su temi direttamente o trasversalmente legati ai fiori (fiori nella letteratura, nell’arte figurativa, nel cinema), ha portato alla creazione di poesie e brevi componimenti ai quali sono stati affiancati brani scelti di autori famosi. Da qui l’idea di un reading in cui pensieri, frasi scritte dai detenuti, parole, dialoghi, immagini suoni presi in prestito da scrittori e artisti italiani e stranieri vengono portati in scena da alcuni detenuti, attrici della compagnia teatrale Nuova Jovia, bibliotecari, quasi a dare vita a un ipertesto tridimensionale o, per dirla con le parole di un partecipante al progetto, a un "mosaico casuale". La realizzazione del percorso di lettura è stata resa possibile dalla collaborazione indiretta di alcune biblioteche pubbliche (Atzara, Oliena, Nuoro e Siniscola) e dalla biblioteca privata Bibliobus Csb Nuoro, che hanno messo a disposizione in prestito inter-bibliotecario le pubblicazioni non possedute dalla biblioteca di Badu e Carros. Sabato scorso, intanto, è stato Fiorenzo Caterini, dipendente del Corpo forestale regionale e autore del libro "Colpi di scure e sensi di colpa" (Carlo Delfino editore), ad aprire la serie degli incontri per il Maggio dei libri. All’evento hanno partecipato detenuti "comuni" e di alta sicurezza, tra loro sardi e non, con una buona rappresentativa campana, pugliese, siciliana e albanese. L’eterogeneità dell’origine degli ospiti della Casa circondariale unita all’affabilità e alla capacità dell’oratore di raccontare una storia, il processo di deforestazione in Sardegna, sottolineando con ricchezza di particolari che non si tratta solo di una vicenda sarda perché, pur con diversità di cause, tanti sono gli elementi in comune con i fenomeni di disboscamento avvenuti nell’Italia meridionale, in Albania, in Amazzonia, è la ragione del successo di questa giornata. Milano: seminario medicina legale per valutazione maltrattamenti sui detenuti www.agensir.it, 22 maggio 2014 Sotto l’egida dell’Ordine dei Medici di Milano, Terre des Hommes e il Comune di Milano, da oggi al 23 maggio si terrà a Milano il terzo seminario europeo su medicina legale e diritti umani per la valutazione dei maltrattamenti sui detenuti negli istituti di custodia e sui richiedenti asilo e dell’accertamento della maggiore età. Dopo una sessione introduttiva, in cui verrà posto l’accento sui problemi umanitari causati dalla violazione dei diritti umani, si passerà a una serie d’interventi tecnici sulla valutazione dei segni di trauma e maltrattamento sui prigionieri e richiedenti asilo, con vari interventi e sessioni pratiche di laboratorio a cura di esperti internazionali. Tra questi, Jorgen Lange Thomsen (Danimarca), Duarte Nuno Vieira (Portogallo), Richard Bassed (Australia), Eric Baccino (Francia), Cristina Cattaneo (Italia). Il seminario si terrà alla sezione di Medicina legale, Dipartimento di Scienze Biomediche per la Salute, dell’Università degli Studi di Milano. L’evento ha il patrocinio della Società italiana di medicina e delle assicurazioni e della Societé francaise de médicine légale. Como: detenuto in ospedale tenta prima di evadere e poi di suicidarsi, salvato dagli agenti Comunicato stampa, 22 maggio 2014 Ha prima tentato di evadere e poi di suicidarsi. Protagonista un detenuto straniero del carcere di Como che lunedì sera, mentre era in attesa di essere visitato nell’Ospedale S. Anna di San Fermo della Battaglia dopo aver inghiottito dei corpi estranei in cella, ha improvvisamente dato in escandescenza. Risolutivo l’intervento dei poliziotti penitenziari in servizio nel carcere del Bassone. "Sono stati momenti di grande tensione e la possibile tragedia è stata sventata dall’ottimo intervento degli Agenti di Polizia Penitenziaria", spiega il Segretario Generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, Donato Capece. "Il detenuto aveva inghiottito in cella alcuni oggetti ed era quindi stato accompagnato in Ospedale per una visita urgente. Mentre era in attesa, ha improvvisamente scavalcato la finestra per tentare una probabile evasione. Visto però che vi era circa 10 metri di altezza dal suolo, ha minacciato il suicidio restando pericolosamente sul cornicione. Subito è scattato il piano di emergenza del Nosocomio e la richiesta di intervento dei Vigili del fuoco: non c’è stato bisogno del loro intervento perché i nostri poliziotti penitenziari, con grande professionalità, sagacia e molto sangue freddo, hanno intessuto una trattativa col detenuto convincendolo, dopo circa mezz’ora, a desistere dall’insano gesto. Un comportamento lodevole, che credo non possa non comportare un riconoscimento ufficiale da parte del Ministero della Giustizia". Il Sappe torna a denunciare come sia sempre critica la situazione delle carceri italiane e come siano maggiormente i detenuti stranieri a rendersi protagonisti di eventi critici nelle celle del Paese. "Nel 2013 abbiamo contato nelle carceri italiane 6.902 atti di autolesionismo, 4.451 dei quali posti in essere da stranieri, e ben 1.067 tentati suicidi. 542 sono stati gli stranieri che hanno provato a togliersi la vita in cella e che sono stati salvati dalla Polizia Penitenziaria" conclude Capece. "E più stranieri che italiani si sono resi protagonisti di episodi di ferimenti (495 sui complessivi 921 eventi) e di colluttazione (2.145 su 3.803). Sulle morti in carcere, invece, il dato si inverte: più italiani. Dei 42 suicidi accertati nelle celle lo scorso anno, 22 erano italiani e 20 stranieri ed anche sui decessi per cause naturali, 111 complessivamente, gli erano la maggioranza, 87. Trasversale invece la composizione del numero complessivo di detenuti che hanno dato vita, nel 2013, a ben 768 manifestazioni contro il sovraffollamento carcerario e a favore di indulto e amnistia: hanno aderito a queste proteste complessivamente 85.066 ristretti". Bologna: lezioni di diritto per i detenuti del carcere minorile del Pratello Dire, 22 maggio 2014 Dopo i corsi di sala (ad esempio, per aspiranti camerieri o baristi) e cucina, attivati grazie ad una collaborazione l’istituto alberghiero Scappi di Imola, il carcere minorile del Pratello di Bologna potrebbe offrire ai ragazzi detenuti anche lezioni di diritto. È l’idea di Paola Mambelli, dirigente dello Scappi, che oggi ha approfittato dell’inaugurazione del Centro provinciale per l’istruzione degli adulti (Cpia) di Bologna per chiedere "qualche ora di diritto" alla dirigente dell’Ufficio scolastico territoriale, Maria Luisa Martinez. "Insieme al direttore dell’istituto, Alfonso Paggiarino - spiega Mambelli - sentiamo l’esigenza di avere queste ore": del resto, una materia come il diritto "in un carcere può essere d’aiuto". Sposa l’idea Giuseppe De Biasi, assessore provinciale all’Istruzione: "È chiaro che in un percorso di riacquisizione di fiducia civica, ancor più se in ambito minorile, si andrebbe nella giusta direzione". Le ore di diritto, se l’ipotesi dovesse concretizzarsi, andrebbero ad integrare i corsi di sala e cucina che dallo scorso novembre si svolgono all’interno del carcere minorile. Sono una quindicina, finora, i detenuti coinvolti e sia per Mambelli che per Paggiarino i riscontri sono positivi. "Siamo molto soddisfatti", afferma la preside, spiegando che quasi tutti i ragazzi che possono frequentare i corsi decidono di sfruttare questa opportunità: imparano a lavorare dietro il bancone di un bar o a preparare la pizza, guadagnandosi la possibilità di uscire dal carcere con una certificazione di competenze. L’idea dei corsi professionali è nata quattro anni fa, ricorda la dirigente: "Ci credevamo molto, per dare l’opportunità a questi ragazzi di acquistare delle competenze spendibili fuori ed ottenere una maggiore integrazione, una volta usciti". Frequentare le lezioni, in altre parole, "li rende più forti e capaci di affrontare il fuori con meno timori", aggiunge Mambelli. Per loro, dunque, "è un’esperienza molto gratificante", chiosa la preside, ma anche i due docenti coinvolti "sono entusiasti". Nelle carceri "la cultura è importante", commenta Paggiarino: dove si realizzano percorsi di questo genere, "si abbassano anche le violenze". Nascono da qui gli sforzi fatti per garantire ai detenuti del Pratello di poter frequentare le lezioni, aggiunge il direttore: ad esempio, se prima le esperienze formative si effettuavano nelle celle, oggi c’è una vera e propria aula dotata di lavagna e fotocopiatrice. Inoltre, spiega Paggiarino, si è fatto in modo di favorire chi non ha la licenza media, dandogli la possibilità di ottenere questa e allo stesso tempo fare il primo anno di superiori, ottenendo crediti utili "per proseguire fuori - conclude Paggiarino - o andare a lavorare". Milano: "I frutti del carcere", evento cittadino per conoscere il lavoro dei detenuti 9Colonne, 22 maggio 2014 Seconda edizione a Milano, sabato, per "I frutti del carcere", il primo evento cittadino per conoscere il mondo del lavoro dei detenuti, per scoprire dove, come e perché acquistare prodotti e servizi provenienti dal mondo carcerario. Perché il lavoro è lo strumento più efficace di reinserimento nella società, per la formazione e per la professionalizzazione che offre, e anche una grande opportunità di scambio con la città e le persone. Anche questa edizione sarà ospitata nei giardini de La Cordata, a Milano, in via San Vittore, impresa sociale, educativa e di comunità che da oltre vent’anni opera sul territorio metropolitano e si occupa di accoglienza e integrazione. Come nell’edizione precedente si affiancheranno all’esposizione dei prodotti dell’economia carceraria due sessioni di incontri e di dibattito sul tema del lavoro delle persone ristrette. Si affronterà il tema dalla parte di chi il lavoro lo offre o potrebbe farlo, mettendo in luce le opportunità e i vantaggi per i datori di lavoro, ma anche gli ostacoli, reali e psicologici, che li frenano. Insieme ad alcuni esperti si cercherà di trovare risposte vere e attuali a alcune domande: "A cosa serve il lavoro penitenziario? Perché produrre beni e servizi in carcere? Come offrirli al mercato "libero"? Per sviluppare al meglio questi temi, dalla edizione di questo anno, parteciperà all’organizzazione dell’evento anche A&I scs Onlus, cooperativa sociale che da oltre 20 anni si occupa di lavoro per soggetti svantaggiati e detenuti, con un’attenzione particolare ai rapporti con le imprese che troverà realizzazione in un apposito "infopoint" per le aziende che intendono offrire opportunità formative e di lavoro a persone che provengono da esperienze di detenzione. Padova: l’esperienza dell’Officina Giotto in una tra le più importanti Tv di Chicago Il Mattino di Padova, 22 maggio 2014 L’esperienza dell’Officina Giotto di Padova in un servizio dedicato al programma di riabilitazione ideato dallo chef italiano Bruno Abate nel carcere di Cook. Fra poco più di una settimana, il 28 maggio, potrebbero scattare le pesantissime sanzioni della Cedu, la Corte europea dei diritti dell’uomo, per la situazione inquietante in cui versano le carceri italiane. Eppure il carcere in Italia non è solo sovraffollamento e degradazione. Sull’altra sponda dell’oceano c’è chi guarda a noi come a un modello. Questo è il video realizzato da Wttw, una della più importanti emittenti televisive di Chicago, che mostra in azione Bruno Abate, il titolare del ristorante italiano Tocco di Chicago, nel carcere minorile della contea di Cook. Un carcere - detto tra parentesi - noto in tutto il mondo perché qui sono state girate le ultime scene del film The Blues Brothers di John Landis. Abate ha sviluppato Cm4c, Culinary Mission for Change, un importante programma di educazione al gusto, alla convivialità, alla cucina italiana attraverso il quale qualifica professionalmente e favorisce il recupero di decine di giovani detenuti. Nel video si vede il carismatico chef napoletano che insegna agli aspiranti cuochi a fare i maltagliati e in generale a prendere confidenza con i segreti della pasta fresca. All’improvviso però l’America lascia la scena a Padova. Il reporter Eddie Arruza dedica un cospicuo spazio all’esperienza padovana di Officina Giotto, che ha ispirato lo stesso Abate, con immagini del carcere Due Palazzi e della visita di Albert Adrià, il celebre pasticcere catalano. Firenze: l’Orkestra Ristretta di Sollicciano domani in concerto al Teatro della Ncp www.arcifirenze.it, 22 maggio 2014 Puntuale come ogni anno a maggio, soprattutto per il decimo anno, arriva il nuovo spettacolo dell’Orkestra Ristretta di Sollicciano, la band di detenute e detenuti diretta da Massimo Altomare nata nell’ambito delle attività socioculturali realizzate nell’Ncp fiorentina da Arci Firenze in convenzione con il Comune di Firenze e con il sostegno della Regione Toscana. Il debutto, rivolto al pubblico "esterno", è in programma giovedì 22 maggio 2014: alle ore 10.00 (riservato alle scuole) e alle ore 19.00. Tutti gli spettacoli si svolgeranno all’interno del Teatro della Ncp Sollicciano (via Minervini, Firenze). Formata nel 2004 all’interno del carcere di Sollicciano, l’Orkestra Ristretta è composta da un gruppo di detenuti, provenienti da varie parti del mondo, che hanno mostrato un particolare talento o propensione per la musica o il canto. Esperienza originale nel panorama delle attività socio-culturali all’interno dei penitenziari italiani, l’Orkestra mette insieme un gruppo di uomini e donne: lavorano su un progetto musicale, che ogni anno produce nuovo materiale e che si propone, come obiettivo finale, la realizzazione di un’esperienza di meticciato musicale, attraverso il dialogo tra culture musicali diverse. Il lavoro del 2014 è "In-Out" e vi partecipano in tutto una ventina tra detenuti e detenute: le sonorità italiane, mixate con quelle arabe, sudamericane ed esteuropee, offrono al pubblico un esempio di intercultura partecipata e di globalizzazione virtuosa. Quest’anno si esibiranno anche alcune detenute, con testi elaborati durante il laboratorio realizzato nella sezione femminile. In scaletta anche un brano degli Skiantos, per ricordare Roberto Freak Antoni, recentemente scomparso. Pisa: progetto "Oltre il muro", al Circolo Arci Pisanova 10 detenuti serviranno la cena www.gonews.it, 22 maggio 2014 La Società della Salute Zona Pisana organizza nell’ambito del progetto "Oltre il muro", in collaborazione con la Direzione della Casa Circondariale Don Bosco e l’Ufficio Esecuzione Penale Esterna di Pisa una cena di autofinanziamento (raccolta fondi) per costituire un fondo a favore delle persone detenute in condizione di disagio come sostegno alle piccole spese, ai contatti ed alla corrispondenza con la famiglia ed al ricongiungimento a fine pena; il fondo sarà gestito in collaborazione con la Direzione della CC "Don Bosco" di Pisa che utilizzerà inoltre una parte delle risorse per acquisto di materiali necessari ai detenuti per le attività di socializzazione. La cena si terrà il 23 maggio alle 20.00 presso il Circolo Arci Pisanova in via Frascani, Pisa. Partecipano alla realizzazione della serata 10 detenuti (cucina e sala); lo chef è Marco Griffa del ristorante "Numero 11". Collaborano Cicola ARCI Pisanova, Unicoop Pisa, Azienda Gimonda. Per prenotazioni 050.959546, 3400577997. Il progetto "Oltre il muro": sportello d’ascolto interno ed esterno al carcere e casa di accoglienza per detenuti ed ex detenuti con 8 posti letto. L’obiettivo è quello di offrire una prima risposta ai bisogni della popolazione detenuta ed ex-detenuta favorendo la promozione del loro diritto di cittadinanza e facilitando il reinserimento nel tessuto sociale. È gestito dalla Cooperativa Sociale Arnera. Il centro è stato recentemente ristrutturato grazie ai finanziamenti Piuss: al primo piano, accessibile ai disabili, si trova un appartamento completamente rinnovato e composto da una cucina, un salotto, due terrazze, due bagni, cinque camere e otto letti; al piano terra gli sportelli con un ampio ufficio e di una stanza d’ascolto, oltre ad un bagno sempre accessibile ai disabili I numeri e i servizi: dal 1998 ad oggi in queste stanze hanno alloggiato 499 persone e qui si sono rivolti 181 (totale interventi) detenuti ed ex. Tra i servizi ci sono: l’accoglienza alle detenute e ai detenuti in permesso premio (49 persone per un totale di 671 notti di accoglienza nel 2013); l’accompagnamento in permesso premio (47 accompagnamenti per 23 persone nel 2013); 6 detenuti in esecuzione penale esterna che frequentano il centro e vi fanno volontariato; accoglienza ai detenuti che anche se hanno la detenzione domiciliare non hanno un posto dove andare (3 persone nel 2013); accoglienza dei detenuti a fine pena (10 persone nel 2013); affidamenti come misure alternative alla carcerazione (3 persone nel 2013). E poi 770 colloqui in piazza Toniolo e 218 presso lo sportello del carcere). La Casa Circondariale "Don Bosco": ospita attualmente circa 300 detenuti di cui 31 donne; l’importante contributo alla serata è rappresentato dalla presenza di dieci persone detenute, individuate tra i fruitori di permessi premio, che collaboreranno in cucina ed al servizio in sala. India: caso marò; ministro Difesa Pinotti, prima di arbitrato verificare possibile intesa Adnkronos, 22 maggio 2014 "Abbiamo fatto tutti i passaggi necessari per arrivare all’arbitrato internazionale. L’ultimo, prima di partire con l’arbitrato, prevede, anche giuridicamente, che si provi ad avere ancora un’intesa con il paese con cui c’è il contenzioso". Lo ha detto il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, parlando con i giornalisti a Bari, a proposito della sorte dei due fucilieri di Marina, il tarantino Massimiliano Latorre e il barese Salvatore Girone, detenuti da due anni in India. "La situazione è delicata -ha aggiunto- però questo governo, da quando è in carica, ha preso decisamente una strada diritta, senza deviare da questa decisione. I nostri fucilieri -ha sottolineato Pinotti- non possono essere giudicati in India. Sono due militari mandati in missione antipirateria dallo Stato italiano, stavano facendo il loro dovere per il nostro Paese. Non possono quindi essere giudicati come persone comuni in un altro Stato. hanno una immunità funzionale. Questo riguarda i nostri militari in missione ma anche i militari in missione per conto di altri paesi. Questo è il motivo per cui abbiamo internazionalizzato la vicenda che non riguarda solo l’Italia. Il tema di due militari detenuti da due anni senza un capo d’accusa è un problema che riguarda tutti i paesi che hanno militari in missione". A proposito di tutti i passaggi compiuti dall’Italia prima di un possibile arbitrato, il ministro ha ricordato che sono stati coinvolti "l’Unione europea, la Nato, l’Onu perché abbiamo bisogno della solidarietà di tutte queste organizzazioni". Stati Uniti: pena capitale, se l’iniezione non funziona di Giorgio Dobrilla Il Trentino, 22 maggio 2014 In aprile 2014 il mondo registra la fine straziante nel carcere di Oklahoma City di Cleyton Lockett, un nero condannato a morte per aver ucciso una ragazza bianca di 19 anni. Qualcosa non funziona con l’iniezione letale e per il condannato inizia un’agonia atroce di 43 minuti. Invece che essere narcotizzato al momento di ricevere i 2 altri farmaci letali, Lockett si sveglia, tenta di alzarsi, urla e gli addetti sconvolti abbassano la tenda per nascondere ciò che accade nella cella dell’esecuzione. Lockett muore alla fine "spontaneamente" per infarto cardiaco. Il Britsh Medical Journal dedica a questo evento sconvolgente una "news" in cui, prescindendo volutamente da un giudizio sulla pena di morte, sintetizza le conclusioni di un comitato (siglato Dpccp) di membri sia non schierati che a favore o contro. Il compito loro assegnato è stato quello di regolamentare la materia e standardizzare la peculiarità dell’iniezione letale. Circa tale modalità (praticata negli Usa in 32 dei 50 stati) la Corte Suprema aveva sancito già nel 2007 che la miscela costituita da pentotal (barbiturico), bromuro di pancuronio (mioparalizzante) e cloruro di potassio (arresto cardiaco per dosi elevate) non violava la Costituzione. Tuttavia, Il Nejm rimarca come non manchino casi di condannati ancora vigili che attendono di morire soffocati o perché l’ago non è stato bene inserito o perché si sono usati farmaci non adatti. Tale uso improprio è possibile perché certe compagnie rifiutano di fornire alle carceri farmaci "destinati a uccidere", per cui certi stati se li procurano (identici o simili) all’estero. Purtroppo, forti del fatto che la legislazione vigente molto "fluida" consente di tenere segreta la miscela letale impiegata, tali stati non rivelano né chi sono le ditte produttrici, né il nome dei farmaci. Il Dpccp auspica invece che la iniezione letale sia ridotta ad un solo agente (pentotal) o che, comunque, si usino solo farmaci noti e approvati per uso umano dalla Fda e, infine, che durante l’esecuzione siano presenti medici qualificati. Un problema a tale riguardo è che l’American Medical Association proibisce per ragioni morali ai medici Usa di aderire alla pena di morte e di partecipare all’esecuzione capitale per cui, a meno che essi non disattendano tale norma, l’esecuzione non dovrebbe aver luogo. Chiosa finale senza commenti: Paesi ricchi e "civili" (?), oltre agli Usa, che ricorrono ancora alla pena di morte sono Cina, Iran, Iraq e Arabia Saudita. Può sconcertare un po’ che pure lo Stato del Vaticano abbia abolito la pena di morte appena nel 1969 (decreto di papa Paolo VI) e che solo nel 1995 una sua abolizione planetaria sia stata auspicata da Giovanni Paolo II. Il laico stato italiano, nel caso specifico, è stato più rapido: l’ha già abolita l’1 gennaio del 1948. Libia: combattere la tortura a Tripoli di Federico Varese La Stampa, 22 maggio 2014 Nei prossimi giorni può iniziare una nuova guerra civile in Libia. Le truppe di un ex generale del vecchio regime, Khalifa Haftar, hanno sferrato domenica attacchi coordinati contro il Parlamento a Tripoli e contro milizie islamiste a Bengasi. Il primo ministro ha denunciato il tentativo di colpo di Stato. Ma sarebbe troppo semplice descrivere gli eventi in Libia come uno scontro tra rivoluzione e ancien regime. Il governo ufficiale è ostaggio di milizie armate che regolarmente rapiscono cittadini sospettati di collaborazionismo con Gheddafi e li gettano in carceri segrete. Un rapporto recente delle Nazioni Unite parla di 27 persone morte per i postumi delle torture subite in prigioni governative. A loro volta, i golpisti annoverano tra le loro fila elementi liberali, ma anche individui compromessi con Gheddafi e un gruppo berbero di pessima fama per le sue violenze contro i civili. La Libia è oggi una giungla di uomini armati, dove le distinzioni astratte - islamisti, liberali, democratici - hanno poco valore. In questo mondo dove la violenza è ovunque, l’incarico più pericoloso e forse futile è quello svolto da Currun Singh, ventotto anni, responsabile a Tripoli dell’ufficio dell’Organizzazione Mondiale contro la Tortura (Omct). Nato in Kuwait da genitori indiani poi immigrati negli Stati Uniti, Currun ha ottenuto due anni fa un Master alla Erasmus University di Rotterdam con una tesi sulla pirateria somala, tema di cui non ha mai smesso di occuparsi (di recente un suo articolo è apparso sul New York Times). La vita accademica, però, non fa per lui. Agile, alto, con un fisico da atleta e capelli corti scurissimi, Curran ha lo spirito del ribelle e i modi impeccabili di un signore d’altri tempi. Dopo un periodo in India e a Chicago, ha deciso di tornare alla sua passione per i diritti umani in Africa e ora guida un team di quattro persone e una ventina di volontari nel cuore di Tripoli. Il suo gruppo documenta gli abusi commessi nel passato e nel presente, e offre assistenza alle vittime. Almeno diecimila persone sono scomparse dopo la rivoluzione, e il compito di questi volontari è scoprire che ne è stato di loro: un lavoro talmente delicato, che la sede dell’Organizzazione è segreta. "La cosa più complessa in queste ore è distinguere i fatti dalla finzione", mi dice Currun al telefono da Tripoli in una delle nostre recenti conversazioni. "La situazione è tesa. Ci sono stati un’ottantina di morti nel fine settimana, e diverse centinaia di feriti. Gli analisti fanno scenari, ma è impossibile capire fino in fondo quali siano le motivazioni di questi eserciti e le loro alleanze future". Il nuovo uomo forte, il generale Haftar, ha promesso al Paese di metter fine all’insicurezza, soprattutto nell’Est del Paese. "La situazione a Bengasi è fuori controllo. Avvocati, medici, professionisti vengono trucidati con la scusa del collaborazionismo col passato regime, ma sono vendette private". La Libia di oggi è un Paese allo stremo, in preda al terrore. Non stupisce che Haftar abbia un certo sostegno nella popolazione. L’associazione di Currun opera in Libia da due anni. "Abbiamo documentato oltre duecento casi di tortura avvenuti prima e dopo la rivoluzione". Molti di questi morti atroci avvengono nelle carceri gestite dal Comitato della Sicurezza Suprema (parte del ministero dell’Interno), l’incarnazione rivoluzionaria della polizia segreta di Gheddafi. La Procura Generale ignora le denunce per timore di rappresaglie da parte delle milizie e l’ingiustizia si alimenta grazie all’ignoranza, all’impossibilità di sapere. "Quando una persona scompare, oppure viene trovata trucidata al bordo di una strada, nessuno sa darsi una spiegazione plausibile e spesso non sappiamo dove sia il corpo. Vi sono mille possibili ragioni, ma non esiste una polizia in grado di indagare, una stampa che faccia una denuncia. Le famiglie non hanno risposte. È questa l’ingiustizia suprema, l’ingiustizia del non sapere". I quattro dipendenti, coadiuvati da una rete di attivisti e professionisti, fanno del loro meglio per proteggersi. "Non portiamo armi, viaggiamo senza scorta, siamo integrati nel contesto locale. I nostri uffici sono un luogo dove le vittime si sentono sicure e vengono a raccontare le loro storie". Ma negli ultimi mesi le minacce sono aumentate. Un avvocato è stato rapito e torturato, il suo corpo gettato da una macchina in corsa. In un altro caso, un medico è stato ucciso davanti ai figli. "Quando possibile, facciamo espatriare i nostri collaboratori. Alcuni oggi vivono in Tunisia". Mi chiedo che senso abbia difendere i diritti umani in un luogo dove non esiste il diritto. Currun cerca la verità in un mondo dove è quasi impossibile trovarla. Come nella Russia sovietica raccontata da Viktor Serge o nella Cecenia di Anna Politkovskaja, documentare gli orrori è l’unico atto rivoluzionario possibile. Nella nostra ultima conversazione Currun mi dice che ha consigliato al suo staff di non venire in ufficio. Il giovane ribelle, oggi, è solo. Ucraina: arrestato il giornalista Graham Phillips di Russia Today, è stato portato a Kiev Ansa, 22 maggio 2014 Il giornalista britannico Graham Phillips che collabora con il canale televisivo Russia Today, arrestato dal Servizio di sicurezza (Sbu) a Mariupol, è stato trasferito a Kiev. Il canale si è rivolto al Ministero degli Esteri britannico con l’appello di assistenza per il suo rilascio. I nazionalisti ucraini ritengono il giornalista una "spia russa" che fa riprese delle posizioni dei militari ucraini nella regione di Donetsk e trasmette le informazioni ai "terroristi". Per la cattura di Phillips su Internet è stato promesso il premio di $10.000. In Ucraina è in corso la caccia ai giornalisti russi. Mercoledì sera a Kramatorsk è stato sparato un gruppo di giornalisti della trasmissione "Fatto straordinario". In precedenza, le forze di sicurezza hanno detenuto due dipendenti del canale LifeNews. Il loro destino è ancora sconosciuto. Egitto: condannati 155 fratelli musulmani, per 54 di loro la pena è quella dell’ergastolo Adnkronos, 22 maggio 2014 Un tribunale egiziano ha condannato 155 sostenitori dei Fratelli Musulmani a varie pene detentive. Per 54 di loro la pena è quella dell’ergastolo, mentre per gli altri si tratta di condanne fra i tre e i 10 anni di carcere. Lo riferisce la tv satellitare al-Jazeera, secondo la quale le condanne si riferiscono alle violenze dello scorso agosto a Mansour, nella regione del Delta del Nilo, poco dopo la destituzione dell’ex presidente Mohammed Morsi. Le accuse sono, tra le altre, quelle di istigazione alla violenza e al caos e di adesione a un gruppo fuorilegge. Egitto: Mubarak condannato a 3 anni di detenzione, per appropriazione indebita La Presse, 22 maggio 2014 L’ex presidente dell’Egitto Hosni Mubarak è stato riconosciuto colpevole di appropriazione indebita ed è stato condannato a scontare una pena di tre anni. La condanna e la pena sono stati decisi da un tribunale del Cairo. Nel corso dell’udienza due figli di Mubarak, Gamal e Alaa, sono stati riconosciuti colpevoli di corruzione e sono stati condannati a quattro anni di carcere ciascuno. I Mubarak sono stati riconosciuti colpevoli delle accuse secondo le quali si sarebbero appropriati indebitamente di fondi statali del valore di milioni di dollari in oltre un decennio. I fondi dovevano servire a rinnovare e mantenere i palazzi presidenziali ma sono stati invece spesi per migliorare le residenze private della famiglia. I tre sono stati anche multati di 2,9 milioni di dollari, e hanno ricevuto l’ordine di rimborsare allo Stato 17,6 milioni di dollari. Egitto: Terre des Hommes; liberare profughi siriani detenuti in stazione polizia Rosetta Ansa, 22 maggio 2014 Terre des Hommes esprime la sua preoccupazione per la pratica di detenere minori migranti, tra cui profughi siriani, in Egitto. "Dopo più di un mese sono ancora privi della libertà di muoversi i profughi siriani detenuti nella stazione di polizia di Rosetta, nel Governatorato di Beheira, in Egitto, in palese violazione delle principali convenzioni internazionali in tema di diritti umani e vittime di conflitto" denuncia Raffaele K. Salinari, presidente della Federazione Internazionale Terre des Hommes. "Tra questi profughi ci sono una sessantina di minori, tra i quali 44 bambini al di sotto dei 12 anni, che con le loro famiglie stavano cercando di raggiungere l’Europa. Chiediamo alla comunità internazionale di fare pressioni sul governo egiziano perché vengano immediatamente liberati e che sia loro assicurata assistenza e protezione, insieme all’accesso alle pratiche per richiedere asilo" aggiunge Salinari. Terre des Hommes da oltre un anno ha posto il suo focus sulla protezione dei bambini migranti nel mondo in fuga da guerre, povertà e violenze, che secondo i dati più recenti delle Nazioni unite sono quasi 35 milioni, con la sua Campagna "Destination Unknown". Siria: governativi avanzano verso prigione Aleppo, 3mila detenuti in condizioni disperate Ansa, 22 maggio 2014 Le forze lealiste siriane hanno conquistato una zona chiave nella periferia di Aleppo, nel nord del Paese, e si apprestano a riprendere il controllo della prigione centrale della metropoli, trasformata in parte dal 2012 in una caserma del regime. Lo riferisce l’agenzia ufficiale Sana a conferma di quanto affermato nelle ultime ore da attivisti presenti sul posto. Il carcere è assediato dal variegato fronte di insorti dall’aprile 2013. La Sana precisa che le forze governative hanno preso il controllo della collina Hilan, a pochi chilometri dalla prigione di Muslimiya, dove si trovano un manipolo di militari e dove sono attualmente rinchiusi in condizioni igienico-sanitarie definite "disperate", circa tremila detenuti. Attivisti dell’opposizione siriana contattati dall’Ansa via Skype affermano che negli ultimi 13 mesi di assedio centinaia di detenuti sono morti sotto tortura, giustiziati sommariamente o a causa di malnutrizione o assenza di assistenza sanitaria. Le informazioni non possono essere tuttavia verificate in maniera indipendente.