Ventitré anni di Alta Sicurezza di Carmelo Musumeci (detenuto nel carcere di Padova) Ristretti Orizzonti, 21 maggio 2014 Per fare il male non è necessario essere cattivi, si può fare anche essendo buoni. E senza infrangere nessuna legge ("Zanna Blu" di Carmelo Musumeci "Gabrielli Editore"). Fin dal mio arresto sono stato detenuto in carceri dure, prima al regime di 41 bis e poi nel circuito di Elevato Indice di Vigilanza ora denominato di Alta Sicurezza. Ho sempre tentato di fare sentire la mia voce per fare conoscere di là dal muro di cinta l’esistenza di questi regimi/circuiti di emarginazioni sociali e culturali che alla lunga finiscono per distruggere completamente i prigionieri. Purtroppo però in carcere, se pensi, leggi, studi e urli dalle sbarre della tua finestra per fare sentire ai "buoni" la tua voce spesso sei considerato pericoloso, se nel mio caso ci sono voluti ben ventitré anni per salire di un girone dall’inferno. Forse molti non sanno che questi regimi/circuiti ghetti producono devianza, ma probabilmente qualcuno nello Stato vuole questo per sfruttare il male degli altri e nascondere il proprio. L’altra mattina mi sono alzato dalla mia branda con il pensiero di sostenere l’esame universitario di "Storia della Filosofia Medievale". A un tratto sento gridare dal corridoio il mio nome. E le guardie mi comunicano di prepararmi che mi devono accompagnare nell’Ufficio Accettazione. Subito dopo mi scortano nell’Ufficio Matricola. E mi notificano un provvedimento ministeriale che aspettavo da una vita. Prima di firmare, leggo: Rilevato che dalle informazioni degli organi di P.S. non sono stati acquisiti elementi volti a stabilire o escludere l’attualità di collegamenti del predetto alla criminalità organizzata e le D.D.A. di Catania, Firenze e Genova hanno comunicato che non vi sono motivi ostativi in tal senso, dispone (...) sia declassificato dal Circuito Alta Sicurezza. La Direzione di assegnazione provvederà all’inserimento con idonea allocazione in ambito "Media-Sicurezza". Trascorso il periodo di tre mesi si vorrà trasmettere una aggiornata relazione comportamentale per verificare se siano intervenuti fatti, comportamenti e notizie in base ai quali desumere che il detenuto abbia ruoli di leadership nelle sezioni comuni, potenzialmente destabilizzanti l’ordine e la sicurezza dell’istituto. Finito di leggere, rimango a bocca aperta. E sono felice e amareggiato nello stesso tempo. Felice perché finalmente sono riuscito a fare un piccolo passo avanti. E amareggiato perché ci ho messo tanto tempo. Subito dopo sento una fitta al cuore perché penso a tutti i miei compagni che ho conosciuto in questi lunghi anni in questi regimi/circuiti. E mi sento in colpa di essere stato più fortunato di loro perché credo che molti di loro meritino di essere declassificati più di me. Poi mi sento triste perché per i cattivi come me è difficile essere felici se non lo sono anche gli altri. Scrollo la testa. Cerco di riprendermi subito dall’emozione. E domando agli agenti di accompagnarmi in cella. L’agente mi guarda seccato. E mi dice "Musumeci, da questo momento non è più detenuto in Alta Sicurezza e può rientrare in cella da solo". Sorrido amaramente a me stesso perché rifletto che ieri sera mi sono addormentato prigioniero di Alta Sicurezza e questa mattina mi sono svegliato prigioniero di media Sicurezza. Per la prima volta dopo ventitré anni di carcere cammino in un corridoio fuori dalla sezione senza nessuna guardia. E mi sento solo e spaesato di non avere accanto a me un paio di guardie che mi scortano. Mi sento un po’ come il soldato in guerra che appena scoppia la pace non sa più cosa fare talmente s’è abituato alla guerra. E penso che mi sono talmente abituato a stare "male" che forse non riuscirò più ad adeguarmi a stare "bene". Mi viene il dubbio che forse nelle carceri dure sono sempre riuscito a essere forte perché ero troppo disperato per essere debole. E chissà se adesso ci riuscirò ancora. Poi sorrido a me stesso pensando che male che vada posso chiedere di ritornare da dove sono venuto. Giustizia: Orlando; nei prossimi giorni sarà online un database sul sistema penitenziario Italpress, 21 maggio 2014 "Nei prossimi giorni sarà pronto un database sul sito del ministero dove saranno consultabili tutte le informazioni sugli istituti penitenziari italiani: quanti sono i detenuti, quali sono i servizi erogati, i progetti di inserimento, le attività di lavoro e rieducative nelle strutture". Lo ha annunciato il ministro della Giustizia Andrea Orlando, in occasione della firma del protocollo d’intesa tra ministero e Regione Campania sulle carceri. Per Orlando il database è "un elemento che permette anche di fare una politica a lungo termine, si può fare una fotografia realistica e capire quali sono le strutture che funzionano bene e quello che hanno problemi è un elemento di trasparenza". Giustizia: Cassazione; riconoscimento dei giudizi stranieri, va corretta la pena eccessiva di Giovanni Negri Il Sole 24 Ore, 21 maggio 2014 Chiarito l’intreccio con la disciplina del mandato d’arresto europeo. La Corte fissa i paletti per il riconoscimento dei giudizi stranieri in base al decreto 161/ 2010. Se 9 anni per una rapina sono troppi. Soprattutto se inflitti da un giudice rumeno per una condanna che invece dovrà essere scontata in Italia. La Corte di cassazione chiarisce la disciplina da applicare al riconoscimento dei giudizi emessi all’estero sulla base del decreto legislativo n. 161 del 2010. Con questo riferimento, la Cassazione, sentenza n. 20527 della sesta sezionè penale depositata ieri, ha ricordato che se la durata e la natura della pena o della misura di sicurezza applicate con la sentenza di condanna sono incompatibili con quelle previste in Italia per reati simili, la Corte di appello deve procedere al loro adattamento. Nell’intervento di adeguamento la durata e la natura della pena o della misura di sicurezza adattate non possono essere inferiori alla pena o alla misura di sicurezza previste dalla legge italiana per reati simili, ma neppure più gravi di quelle applicate dallo Stato di emissione con la sentenza di condanna. La pena detentiva e la misura di sicurezza restrittiva della libertà personale non possono essere in ogni caso convertite in pena pecuniaria. La Cassazione ha così annullato la sentenza della Corte d’appello di Messina che da una parte aveva rifiutato la consegna, chiesta sulla base di un mandato d’arresto europeo, all’autorità giudiziaria rumena e, dall’altra, aveva però proceduto all’applicazione della pena in Italia sulla base però dei parametri dei giudici rumeni. Parametri che la stessa Corte d’appello aveva però riconosciuti come eccessivi rispetto a quanto previsto dal codice penale italiano per la rapina, sanzionata nel massimo con 10 anni. Per la Corte di cassazione la disciplina di riferimento, in vigore dal 5 dicembre 2011, è rappresentata dalla decisione quadro 2008/909/Gai del 27 novembre 2008, alla quale è stata data attuazione in Italia con il decreto legislativo 161/10 permettendo così di dare concretezza al principio del reciproco riconoscimento delle sentenze penali che infliggono pene detentive o misure alternative di limitazione della libertà personale per la loro esecuzione nell’Unione europea. La sentenza depositata ieri precisa che in 2 casi si applicherà la procedura di riconoscimento della sentenza straniera nel nostro ordinamento: - se il mandato d’arresto europeo è stato emesso per l’esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza, quando lapersona ricercata è cittadino italiano, sempre che la corte di appello disponga che tale pena o misura di sicurezza sia eseguita in Italia conformemente al suo diritto interno; - se la persona oggetto del mandato d’arresto europeo ai fini di un’azione penale è cittadino o residente dello Stato italiano, la consegna è subordinata alla condizione che la persona, dopo essere stata ascoltata, sia rinviata nello Stato membro di esecuzione per scontarvi la pena o la misura di sicurezza eventualmente pronunciate nei suoi confronti nello Stato membro di emissione. In questi casi e quando lo Stato di emissione ha recepito anch’esso, ed è il caso della Romania, la decisione quadro sul riconoscimento delle sentenze, la misura inflitta all’estero, ma da scontare in Italia, deve essere oggetto di una procedura di adeguamento che non è circoscritta al requisito della doppia incriminabilità e all’equità del processo come richiesto dalle disposizioni nazionali sul mandato d’arresto. Giustizia: ieri a Roma una manifestazione del Sindacato Sappe davanti alla sede del Dap Comunicato stampa, 21 maggio 2014 Sono arrivati dai 14 penitenziari del Lazio. Ma anche dalla Campania, dall’Umbria, dalla Toscana, dalla Puglia, dalla Liguria, dalla Calabria. Sono i poliziotti penitenziari aderenti al Sindacato autonomo Sappe, il più rappresentativo dei Baschi Azzurri, che hanno manifestato questo mattina a Roma davanti alla sede del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, a Bravetta. "Siamo scesi in piazza per chiedere l’avvicendamento del Capo del Dipartimento Giovanni Tamburino. A più di 2 anni dal suo insediamento non è infatti stato in grado di risolvere i problemi e le criticità penitenziarie e, men che meno, quelle che più direttamente riguardano i poliziotti. E a soli 7 giorni dalla scadenza (28 maggio 2014) della sentenza Torreggiani che ha imposto all’Italia di rimuovere le cause strutturali di condizioni detentive degradanti, Tamburino continua a inseguire la favola della "vigilanza dinamica" e l’autogestione delle carceri da parte dei detenuti piuttosto che adottare interventi concreti ed efficaci per la Polizia Penitenziaria, come formazione e aggiornamento, più assunzioni, migliori condizioni di lavoro e di vivibilità", spiega il Segretario Generale del Sappe, Donato Capece. Sotto le loro bandiere azzurre, gli agenti del Sappe hanno fischiato, gridato, si sono incatenati . E le hanno suonate al Dap, nel vero senso della parola visto che era presente la banda musicale dell’Associazione nazionale Polizia Penitenziaria con tanto di orchestrali e strumenti. A manifestare anche i commissari di polizia penitenziaria aderenti all’Anfu (Associazione nazionale funzionari) e una delegazione della Cisal Fpc. "I vertici del Dap filosofeggiano e intanto i poliziotti continuano a sventare suicidi in carcere (1.067 nel solo 2013), a gestire eventi critici come gli atti di autolesionismo, le aggressioni, le risse, a circolare su mezzi vecchi e fatiscenti, nell’indifferenza assoluta del Dap che vorrebbe persino mettere il bavaglio alle nostre proteste!", aggiunge Capece. Da Spoleto a Rebibbia, da Genova Marassi ad Avellino, i poliziotti del Sappe hanno chiesto a gran voce anche il rinnovo del parco automezzi del Corpo di Polizia Penitenziaria ("fatiscenti e insicuri tanti mezzi che ogni giorno trasportano in tutta Italia detenuti e poliziotti"), lo sblocco del pagamento degli assegni di funzione, degli scatti di anzianità e il rinnovo del contratto di lavoro ("scaduto da 7 anni"), un riordino delle carriere che equipari la Polizia penitenziaria agli altri Corpi di Polizia e a favore di una dirigenza generale del Corpo "che sia davvero attenta, sensibile e vicina ai poliziotti". Una delegazione di manifestanti, guidati da Capece, è stata ricevuta dal Vice Capo vicario Luigi Pagano, al quale sono state rappresentate le ragioni della protesta e sono stati chiesti provvedimenti urgenti e concreti. Giustizia: nel mondo il lavoro forzato genera profitti annuali per 150 miliardi di dollari www.ilo.org, 21 maggio 2014 Secondo il nuovo Rapporto dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, i profitti illeciti del lavoro forzato che coinvolge circa 21 milioni di persone sarebbero tre volte superiori a quelli precedentemente stimati. Nell’economia privata, il lavoro forzato genera annualmente profitti illeciti tre volte superiori a quelli precedentemente stimati. È quanto afferma un nuovo rapporto dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (Ilo). Secondo il Rapporto dell’Ilo, Profits and Poverty: The Economics of Forced Labour (Profitti e povertà: l’economia del lavoro forzato), i due terzi del totale stimato di 150 miliardi di dollari, ovvero 99 miliardi, deriverebbero dallo sfruttamento sessuale a fini commerciali, mentre i restanti 51 miliardi sarebbero il risultato dello sfruttamento forzato a fini economici in settori come il lavoro domestico, agricolo e altre attività economiche. "Questo nuovo Rapporto porta la nostra comprensione della tratta, del lavoro forzato e della moderna schiavitù ad un livello superiore", ha dichiarato il Direttore Generale dell’ILO, Guy Ryder. "Il lavoro forzato è nocivo per le imprese e per lo sviluppo, e soprattutto per le sue vittime. Questo rapporto attribuisce un nuovo carattere di urgenza ai nostri sforzi per sradicare il prima possibile questa pratica nefasta, ma estremamente redditizia". I nuovi dati si basano su uno studio dell’Ilo pubblicato nel 2012 secondo il quale il numero delle persone vittime del lavoro forzato, tratta e schiavitù moderna ammontava a 21 milioni. Secondo il nuovo rapporto, più della metà delle vittime sono donne e ragazze, principalmente sfruttate sessualmente a fini commerciali e nel lavoro domestico, mentre gli uomini e i ragazzi sono perlopiù sfruttati per fini economici nei settori dell’agricoltura, costruzioni e minerario. Di seguito, la ripartizione dei profitti generati dallo sfruttamento forzato a fini economici: 34 miliardi di dollari nei settori delle costruzioni, manifatturiero, minerario e servizi. 9 miliardi di dollari in agricoltura, tra cui silvicoltura e pesca. 8 miliardi di dollari risparmiati dalle famiglie che non pagano o sottopagano i lavoratori domestici in condizioni di lavoro forzato. Secondo il rapporto, gli shock di reddito e la povertà sono i due principali fattori economici che spingono gli individui verso il lavoro forzato. Altri fattori di rischio e di vulnerabilità comprendono la mancanza di istruzione, l’analfabetismo, la parità di genere e la migrazione. "Se dei progressi sono stati raggiunti nella riduzione del lavoro forzato imposto dallo Stato, dobbiamo ora concentrarci sui fattori socio-economici che rendono le persone vulnerabili al lavoro forzato nel settore privato", ha affermato Beate Andress, Direttrice del Programma speciale d’azione dell’ILo contro il lavoro forzato. Beate Andress raccomanda una serie di misure tese a ridurre la vulnerabilità al lavoro forzato, tra cui: Rafforzare la protezione sociale di base per evitare che le famiglie più povere chiedano prestiti in caso di perdite improvvise dei redditi; Investire nell’istruzione e nella formazione professionale per rafforzare le opportunità di lavoro per i lavoratori vulnerabili; Promuovere un approccio alla migrazione fondato sul rispetto dei diritti al fine di prevenire il lavoro irregolare e abusi nei confronti dei lavoratori migranti; Sostenere le organizzazioni dei lavoratori, in particolare nei settori più vulnerabili al lavoro forzato. "Se vogliamo portare un cambiamento reale alle vite di questi 21 milioni di uomini, donne e bambini vittime del lavoro forzato, dobbiamo agire concretamente e rapidamente", ha dichiarato Guy Ryder. "Questo vuol dire lavorare con i governi per rafforzare le legislazioni, le politiche e la loro applicazione, con i datori di lavoro per rafforzare la loro due diligence contro il lavoro forzato, in particolare nella loro catena di fornitura, e con i sindacati perché possano rappresentare e rafforzare le persone a rischio". Giustizia: "Oltre il muro del carcere", concorso fra i detenuti per diventare "parolieri" L’Unità, 21 maggio 2014 Si chiama "Parole liberate: oltre il muro del carcere", ed è un concorso per autori di un testo da musicare destinato ai carcerati. Che avranno tempo fino al 23giugno per mandare la loro canzone all’organizzazione dello storico Premio Lunezia. Il 20 a luglio a Marina di Carrara ci sarà la premiazione della canzone vincitrice, che sarà musicata da un autore italiano. L’iniziativa è stata presentata ieri a Montecitorio ed è stata organizzata da Stefano De Martino, patron del Premio Lunezia, ed a Michele De Lucia, con la collaborazione del Dap e del Dipartimento per la giustizia minorile e Di un vasto fronte di associazioni che si occupano dei diritti dei detenuti, come "Antigone" e "A buon diritto". L’obiettivo è dare "concreta espressione" all’articolo 27 della Costituzione, che prevede pene non contrarie al senso di umanità e tese alla rieducazione del condannato. Il Dap ha già provveduto a inoltrare alle direzioni delle carceri e ai provveditorati regionali il bando del premio con la richiesta di diffonderlo tra i detenuti, ad esclusione del 41 bis. I trenta finalisti saranno selezionati da una commissione di esperti, prima della serata finale. "Il detenuto viene invitato esprimere i propri pensieri e le proprie emozioni portandoli all’esterno, oltre il muro del carcere", spiegano i promotori. Allo stesso modo "e persone libere, con questa iniziativa "possono apprendere a non cadere nella "mostrificazione" del detenuto". Campania: miglioramento del sistema carcerario, Caldoro e Orlando firmano intesa www.campanianotizie.com, 21 maggio 2014 È stato firmato oggi a Roma un protocollo d’intesa tra Ministero della Giustizia, Regione Campania, Anci Campania, Tribunale di Sorveglianza di Napoli, Tribunale Sorveglianza di Salerno, per migliorare le condizioni del sistema carcerario regionale, attraverso il potenziamento delle strutture penitenziarie, l’ampliamento degli interventi di supporto, la tutela della salute dei detenuti, l’integrazione con il territorio. L’intesa è stata sottoscritta tra il ministro della Giustizia Andrea Orlando, il presidente della Regione Campania Stefano Caldoro, i presidenti dell’Anci Campania Francesco Paolo Iannuzzi, del Tribunale di Sorveglianza di Napoli Carmine Antonio Esposito e del Tribunale di Sorveglianza di Salerno Maria Antonia Vertaldi. L’accordo individua quali obiettivi prioritari l’attuazione dei seguenti interventi: Misure finalizzate al recupero ed al reinserimento di detenuti con problemi legati alla tossicodipendenza. Il Ministero della Giustizia, attraverso il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (Dap), si impegna ad individuare i detenuti potenzialmente idonei ad essere avviati alle comunità residenziali ed a rafforzare, tramite progetti condivisi con la Regione Campania e con gli enti locali territoriali, percorsi di avviamento verso il recupero sociale e lavorativo dei soggetti individuati. Interventi in materia di edilizia penitenziaria. Il Ministero della Giustizia e la Regione si impegnano ad avviare un tavolo tecnico volto a valutare ipotesi alternative di utilizzo da parte della Regione di immobili attualmente destinati ad istituti penitenziari. La misura si integra con quanto già programmato dalla Regione Campania che ha destinato, con la delibera di giunta n.18/2014, uno stanziamento pari a 9 milioni di euro ad interventi di ristrutturazione, messa in sicurezza ed efficientamento energetico dei seguenti istituti: Casa Circondariale Santa Maria Capua Vetere (Ce), Casa Circondariale Lauro (Av), Casa Circondariale Napoli Poggioreale (Na). La Regione ed il Ministero della Giustizia si impegnano a valutare inoltre la possibilità di cofinanziare progetti per la realizzazione di impianti fotovoltaici presso gli istituti campani utilizzando manodopera di persone in esecuzione penale. Tutela della salute della popolazione in esecuzione penale - La Regione si impegna al potenziamento della offerta sanitaria intramuraria, con particolare riguardo ai progetti di implementazione delle attività di diagnostica strumentale anche con l’integrazione dei servizi di telemedicina all’interno degli istituti penitenziari con particolare riferimento alla Casa Circondariale di Napoli Poggioreale "G. Salvia" e al C.P. di Secondigliano. Interventi di formazione - lavoro -La Regione, di intesa con l’Anci Campania, si impegna ad individuare e finanziare misure idonee a garantire l’avviamento di percorsi individuali di formazione - lavoro, anche a titolo volontario e gratuito, relativi a progetti di pubblica utilità per i detenuti. In relazione a tali percorsi la Regione, di intesa con Anci Campania, si impegna a predisporre, entro 6 mesi dalla data di entrata in vigore del protocollo, specifici progetti volti a garantire la realizzazione di percorsi formativi, per favorire il reinserimento di 20 detenuti per ogni anno per un totale di 60 detenuti nel triennio. Il Ministero della Giustizia si impegna a cofinanziare nella misura del 50% ogni singolo progetto, per un importo totale complessivo non superiore a un milione di euro, in relazione al triennio di validità del protocollo. Allo scopo di garantire una programmazione congiunta degli interventi, è istituito presso la Regione Campania un tavolo permanente operativo, composto da un rappresentante della Regione, uno del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, uno dell’Anci Campania, uno degli istituti penitenziari coinvolti nei progetti previsti dall’intesa e uno della Magistratura di Sorveglianza. "È una risposta forte che riguarda le strutture, la qualità e la salute". Così il presidente della Regione Campania Stefano Caldoro commenta l’intesa. "Sul fronte della sanità siamo riusciti a fare qualcosa in più anche grazie al raggiungimento del pareggio di bilancio. Questo è l’inizio di una serie di attività che possiamo mettere in campo", conclude il presidente. Bologna: manca il personale, il Tribunale di Sorveglianza è allo stremo di Luigi Spezia La Repubblica, 21 maggio 2014 In organico solo sei magistrati su otto, scesi del 38% gli addetti alla cancelleria. Il tribunale di Sorveglianza di Bologna ha una carenza di due magistrati su otto e negli ultimi sei mesi ha perso il 38 per cento del personale di cancelleria, ora ridotto a una ventina di impiegati che non sono assolutamente sufficienti per lo svolgimento di tutto il lavoro dell’ufficio. Una situazione che è stata denunciata da una manifestazione degli avvocati delle Camere penali dell’Emilia-Romagna ieri mattina in Tribunale. Il presidente Francesco Maisto ha dovuto emettere mesi fa un provvedimento con il quale ha disposto la trattazione delle sole udienze relative alle istanze dei detenuti, compresi i semiliberi e gli autorizzati al lavoro all’esterno. Ciò ha bloccato di fatto tutti gli altri casi, come le misure alternative per i soggetti liberi, le riabilitazioni, i reclami in materia di liberazione anticipata e le dichiarazioni di estinzione delle pene pecuniarie. "C’è un’emergenza dichiarata e un’emergenza non praticata", ha detto Maisto commentando il problema. "Nel mio ufficio - ha spiegato - manca attualmente anche il direttore amministrativo e questo non è un piccolo problema, perché non si possono più fare acquisti. Nessun altro li può fare". Così nell’ufficio contano le carpette utilizzate per aprire nuovi fascicoli perché stanno diminuendo giorno dopo giorno, si rischia di non poterne avere altre quando quelle disponibili saranno ultimate. Inoltre, a fronte delle carenze, il decreto svuota carceri ha comportato l’aumento delle richieste di liberazione anticipata, comportando un accrescimento della mole di lavoro. Dal 23 dicembre dello scorso anno al 30 aprile 2014, infatti, le istanze al Tribunale di Sorveglianza di Bologna sono state 1.338 contro le 768 nello stesso periodo dell’anno precedente. "Il nuovo ministro della Giustizia - ha aggiunto Maisto - ha distaccato da una settimana sei unità di agenti penitenziari per occuparsi dei detenuti. Io l’avevo chiesto due anni fa". Ma solo per i detenuti. Quali problemi crea questo blocco di attività? Le dichiarazioni di estinzione delle pene pecuniarie, per esempio, sono a favore di coloro che hanno finito positivamente un affidamento ai servizi sociali. Con quella, non si paga più. Ma se la dichiarazione non arriva, queste persone continuano ad essere inseguite da Equitalia e sono costrette a pagare anche se non ne hanno i mezzi. Quanto alle riabilitazione, ci sono persone che se non riescono ad ottenerla, pur avendone i requisiti, non possono riavere il passaporto". Mancano magistrati e cancellieri, trattate solo istanze detenuti (Ansa) Il Tribunale di Sorveglianza di Bologna ha una carenza di due magistrati su otto e in cinque anni ha perso 48 persone in cancelleria, arrivando alle attuali 32. Una situazione che - lamentano gli avvocati delle Camere penali dell’Emilia-Romagna in una manifestazione davanti alla struttura - ha costretto il presidente Francesco Maisto ad emettere un provvedimento con il quale ha disposto la trattazione delle sole udienze relative alle istanze dei soggetti detenuti, bloccando, di fatto (da sei mesi ad oggi) ogni ulteriore trattazione delle altre: misure alternative per i soggetti liberi, riabilitazioni, reclami in materia di liberazione anticipata. "C’è un’emergenza dichiarata per decreto che non viene nei fatti praticata", ha spiegato il presidente Maisto, che riconosce il problema della carenza di personale. Nel suo ufficio, inoltre, manca il direttore amministrativo: assenza che, ad esempio, non permette l’acquisto delle copertine per i fascicoli che in pochi giorni potrebbero finire. Inoltre, a fronte delle carenze, il decreto svuota carceri ha comportato l’aumento delle richieste di liberazione anticipata, comportando un accrescimento della mole di lavoro. Dal 23 dicembre dello scorso anno al 30 aprile 2014, infatti, le istanze al Tribunale di Sorveglianza di Bologna sono state 1338 (768 nello stesso periodo dell’anno precedente); a quello di Modena 471 (240); a Reggio Emilia 1075 (639). A queste vanno aggiunti i reclami giurisdizionali, grazie all’effetto della sentenza Torreggiani della Corte europea dei diritti dell’uomo, che ora permette di rivolgere un reclamo alla Sorveglianza in caso di mancanza di spazi in cella. "Il nuovo ministro della Giustizia - ha aggiunto Maisto - ha distaccato da una settimana sei unità di penitenziaria per occuparsi dei detenuti". Aspetto positivo sottolineato dal presidente del Tribunale di Sorveglianza, ma che è comunque sempre rivolto ai detenuti. Sorveglianza sottorganico, a migliaia attendono provvedimenti (Dire) Aspettano l’estinzione dell’affidamento, ma nel frattempo devono pagare la pena pecuniaria e minacciano di darsi fuoco perché non hanno i soldi. Oppure sono in attesa della riabilitazione e fino a quando non arriva non possono riavere il passaporto e andare all’estero per coronare il sogno di un’adozione internazionale. Sono alcuni dei casi, estremi, con cui il Tribunale di Sorveglianza di Bologna si trova ad avere a che fare da quando è sotto organico e riesce a sbrigare solo le istanze dei detenuti, a cui ovviamente viene data priorità. Per gli altri, quelli a piede libero che la loro pena l’hanno già scontata, sono ormai migliaia le istanze arretrate per misure alternative, estinzione dell’affidamento e riabilitazioni. Numeri che, per di più, non tengono conto delle richieste che ancora non sono state registrate. Una situazione che ha messo oggi i circa 1.400 avvocati penalisti dell’Emilia-Romagna sul piede di guerra, con una protesta davanti al Tribunale di Sorveglianza di Bologna. Protesta peraltro condivisa dal presidente del Tribunale stesso, Francesco Maisto: "C’è un’emergenza dichiarata per decreto- commenta- che non viene nei fatti praticata". Da circa sei mesi il Tribunale lavora con due magistrati in meno (su otto) e il personale di cancelleria è passato nel giro di cinque anni da 80 a 32-33 unità. Non solo: manca un direttore amministrativo, ovvero colui che può autorizzare gli acquisti. Così non si possono neanche comprare le copertine per i fascicoli: al momento ne restano 300, significa che dalla prossima settimana non si potranno più fare nuovi fascicoli. Cosenza: detenuti e formazione, scambio di buone pratiche con la Turchia www.notizie.tiscali.it, 21 maggio 2014 Una delegazione della Turchia è arrivata a Cosenza per partecipare al programma di reinserimento di detenuti che vede come partner la cooperativa Dignità del Lavoro. Quest’ultima è partner del progetto europeo denominato "Vocational Training of arrested and convicteds in Europe, Rehabilitation programs in prisons, Analysis of the classification systems", finanziato dal programma Leonardo Da Vinci e relativo al tema della formazione professionale dei detenuti. Il progetto ha come capofila il Ministero della Giustizia della Turchia. La cooperativa sta ospitando una delegazione turca, composta da tre direttori di carcere, un ispettore capo, un magistrato, un esperto di servizi sociali, un rappresentante di Ngo e un docente universitario. La visita, della durata di una settimana, ha lo scopo di favorire la conoscenza del sistema penitenziario italiano, con particolare riguardo per i processi di rieducazione che utilizzano la formazione e il lavoro. Il Progetto nasce dalla presa d’atto che in Turchia molti detenuti sono giovani e disoccupati e che spesso il crimine è dovuto a un basso livello di istruzione e alla carenza di formazione professionale. Diventa prioritario quindi l’impegno per far sì che la detenzione sia finalizzata a un "riadattamento" dei detenuti alla società. La pena necessita di individualizzazione e socializzazione, possibili solo attraverso formazione professionale, programmi di riabilitazione, con trattamenti individualizzati, che considerino personalità, percorsi, esperienze passate. La delegazione turca ha già effettuato una visita al carcere di Cosenza; poi è stata ricevuta presso il Comune di Cosenza per un benvenuto istituzionale. Poi si è spostata nel Liceo Classico "B. Telesio" per il Convegno "I reati ambientali", in partenariato con la Sezione di Cosenza della Fidapa, con il contributo scientifico del Geologo Carlo Tansi, introdotto dalla presidente della Fidapa Silvana Gallucci, il presidente di Dignità del Lavoro Giovanni Serra, e il Dirigente Scolastico Antonio Iaconianni. Parma: da Cuba a via Burla, raccontare la libertà tra parole e pagine di Davide Barilli Gazzetta di Parma, 21 maggio 2014 Un narratore e le sue storie in viaggio nel mondo dei reclusi. "Noi siamo qui, non ci dimentichi". Se esiste una cosa che va dimenticata quando si entra in un carcere, anche se ne senti il battito dilatato, è il tempo. Dove anche due ore possono sembrare un’eternità. Specie se sai che il vuoto da riempire è un’attesa. Di parole. Di storie. Di racconti da un mondo lontano migliaia di chilometri come può essere un’isola feticcio, a seconda dei punti di vista prototipo dei sogni turistici o "prigione" in salsa tropicale. Ho scelto di raccontare la mia Cuba "tra letteratura e cronaca" ai detenuti che stanno aspettando nella sala teatro. Non so chi siano, ignoro le loro fedine penali, non ho idea di quando (e se) finiranno di scontare le loro condanne. Entrare nel mondo dei reclusi è un altro "viaggio". Le doppie porte di ferro rosso. Il clangore delle maniglie. Il documento lasciato alla guardiola. La trafila prevede che il cellulare venga lasciato agli agenti. Dopo un po’ appare Lucia Monastero, direttore aggiunto degli istituti penitenziari di Parma. È lei ad accompagnarmi e a condurre l’incontro. Altri corridoi: "non luoghi" fatti di pareti blu e grigie che si stringono, cancelli di ferro che arrivano al soffitto, pavimenti di linoleum, fino alla sala teatro. Loro sono esattamente come te li aspetti: non sai nulla del passato che li ha fatti inghiottire nel buco nero del carcere. Qualcuno ha l’aspetto serissimo, altri mostrano un fare guascone. Ma basta poco per sciogliere la tensione e strappare un sorriso. Lì dove la scrittura come luogo di libertà è un fatto che si tocca e si respira. Sono entrato con un quaderno su cui ho scritto una traccia del mio intervento e un po’ dei miei libri sotto il braccio da regalare alla biblioteca. Con la consapevolezza di dover parlare della mia esperienza a persone che vorrebbero scrivere magari per provare a lenire il dolore della detenzione. Lucia Monastero spiega che tra i detenuti è molto diffusa una scrittura spontanea che nasce probabilmente dal bisogno di comunicare se stessi e con se stessi e talvolta sorprende scoprire che a provarci sono persone che non lo hanno mai fatto prima. I detenuti scrivono - e leggono - per sopravvivere alla detenzione. Rigiro fra le mani le copie dei libri che ho portato, gli appunti che ho preparato. Ma appena mi siedo e i miei occhi incrociano i loro capisco che non ha senso tenere una "lezione". Vorrei essere io ad ascoltare le loro storie, a imparare come si sopporta una clessidra da cui non scende sabbia, ma anni che non passano mai e che nessuno ti potrà restituire. L’incontro si trasforma in una chiacchierata sul leggere, sul concetto di libertà. I "ragazzi" intervengono, commentano quello che gli piace o quello che li fa ridere. Anche gli applausi sono un po’ più veri, perché qui non si regala niente. Non mi aspettavo una partecipazione così accalorata. "Venga quando vuole, noi siamo qui, non ci dimentichi". Un ragazzo si avvicina e timidamente confida che ha una bella storia da raccontare, vorrebbe che lo facessi io per lui: lo incito a scriverla e poi a mandarmela. Con la promessa di leggerla una volta finita. All’uscita, gli stessi riti dell’ingresso. Il cielo si è rannuvolato, penso a quello che mi ha detto uno dei detenuti. "Per ricordarmi cosa c’è fuori di qui guardo le stelle". Percorro la strada verso l’auto, senza più perimetri di cemento davanti agli occhi. Anche il tempo sembra scorrere più veloce. Como: detenuto ricoverato all’Ospedale Sant’Anna minaccia il suicidio La Provincia di Como, 21 maggio 2014 Momenti di tensione, ieri sera, all’ospedale Sant’Anna di San Fermo della Battaglia. Attorno alle 20 un detenuto ospitato come paziente nel nosocomio cittadino è riuscito ad eludere la sorveglianza. Ma invece di tentare di fuggire, è salito su un cornicione localizzato sulla parte dell’ospedale che affaccia sulla palazzina oggetto di lavori e che, in prospettiva, dovrà ospitare alcuni uffici. L’uomo, a quasi dieci metri d’altezza, ha minacciato il suicidio dicendo di volersi gettare di sotto. Immediatamente la vigilanza interna all’ospedale ha fatto scattare il piano d’emergenza, allertando anche i vigili del fuoco. Ma per fortuna non c’è stato bisogno dell’intervento dei pompieri. Dopo circa mezz’ora di trattative, il detenuto è stato convinto a desistere dal suo proposito da una guardia carceraria. Taranto: Cosp; detenuto tenta evasione, buco nella parete nascosto dietro uno specchio Ansa, 21 maggio 2014 Per la seconda volta ha tentato di evadere da un carcere, ma il suo tentativo è stato scoperto dagli agenti di polizia penitenziaria. Un detenuto di 50 anni, napoletano, e condannato ad una pena definitiva fino al 2017, aveva praticato un foro nella parete della sua cella, nella Casa circondariale di Taranto, e lo aveva occultato dietro lo specchio del bagno. Il suo progetto ieri è stato mandato a monte dai poliziotti penitenziari. L’uomo aveva già cercato di evadere da un altro carcere e poi era stato trasferito a Taranto. Ne dà notizia il Coordinamento sindacale penitenziario (Cosp). In una nota il Cosp evidenzia "la solerzia e l’intuito degli agenti del corpo della polizia penitenziaria in servizio" perché il detenuto era sottoposto alla vigilanza particolare prevista dall’art.14 bis dell’Ordinamento penitenziario proprio per un altro tentativo di evasione. Gli agenti hanno così attuato misure investigative interne. "Il foro - conclude la nota - era abbastanza largo da poterci passare il detenuto ed era stato creato grazie alla rimozione dei mattoni di tufo per poter consentire l’accesso ad un cunicolo tecnico dove sono presenti tubature ed altri impianti e che conduce ad un corridoio del reparto". Tempio Pausania: eventi culturali in carcere, oggi pomeriggio si svolge la cerimonia finale La Nuova Sardegna, 21 maggio 2014 È stato un anno ricco di appuntamenti con la cultura quello che i detenuti del carcere hanno potuto trascorrere grazie alle attività programmate dalla Ute di Tempio. Da novembre a maggio, con cadenza mensile, gli incontri si sono svolti con regolarità. Oggi pomeriggio alle 15,30, all’interno della struttura carceraria, si terrà così la cerimonia conclusiva con un programma di cui, ancora una volta, saranno protagonisti i detenuti. Il programma della serata, concordato con gli stessi detenuti, prevede una breve relazione della presidente dell’Ute, Lina Rosa Antona, e la consegna degli attestati agli iscritti. La cerimonia conclusiva comprende anche gli interventi dei detenuti con musiche, canti e poesie. Si assisterà, inoltre, alla rappresentazione teatrale di due sketch sempre ad opera degli ospiti della struttura. Nella sua relazione di fine anno, la professoressa Antona ricorderà sicuramente le tante iniziative che, in piena collaborazione con la Direzione del carcere e l’apprezzamento della dottoressa Carla Ciavarella, l’Ute è riuscita ad organizzare a beneficio dei detenuti. Si ricordano, soprattutto, le lezioni di storia di Tomaso Panu, Mario Rau e Costantino Brundu, che si sono rispettivamente occupati di ‘900, Grande guerra e Meridione. Nei ricordi di molti detenuti rimarranno anche i diversi appuntamenti con la musica: il concerto vocale che ha inaugurato l’anno accademico, le audizioni musicali guidate sotto il segno di Puccini e i saggi del maestro Fabrizio Ruggero. Il ricco programma dell’Ute, che ha compreso anche un corso di scacchi curato da Costantino Brundu, è stato in grado di spaziare su più campi. L’avvocato Petitta si è, ad esempio, occupato di diritto e l’archeologa Angela Antona ha fatto il punto sulle scoperte degli ultimi decenni nell’isola. Di archeologia si sono occupati anche Sara Puggioni ed Egidio Trainito. "Proprio quella serata dedicata alla presentazione di un libro - fa presente la presidente dell’Ute - è stata completata con la lettura di poesie scritte dai carcerati e con la partecipazione di Vincenzo Murino che ne ha musicato alcune". Da quell’occasione è poi nata la proposta dell’Ute di preparare un progetto, al momento in corso, per la creazione di un cd. Roma: il "Teatro Civile" con i detenuti di Rebibbia, organizzato dalla Società della Taula www.unibocconi.it, 21 maggio 2014 Una rappresentazione sulla situazione carceraria di scena in Bocconi il 23 maggio. Organizza la Società della Taula. Uno spettacolo, e un dibattito, sulla situazione delle carceri italiane. Bazar, regia di Francesco Cinquemani, sarà portato in scena, sul palco dell’aula magna di via Gobbi 5 dell’Università Bocconi, venerdì 23 maggio, alle 16, dalla Compagnia Stabile Assai dei carcerati di Rebibbia, su iniziativa dell’associazione studentesca Società della Taula. "L’evento", spiega il presidente dell’associazione, Riccardo Trentini, "mira a sensibilizzare l’opinione pubblica, in particolare i giovani, sulla difficile situazione delle carceri italiane". Dopo lo spettacolo si svolgerà un dibattito, moderato da Alessandro Cecchi Paone, con la partecipazione di Morris Ghezzi (presidente L.I.D.U.), Amos Nannini (presidente Umanitaria) e i docenti Bocconi Massimo Ceresa Gastaldo e Edmondo Mostacci. L’ingresso è libero fino a esaurimento posti. Trapani: presentata al pubblico la Triremi Romana realizzata dai detenuti di Favignana www.agrigentoweb.it, 21 maggio 2014 L’unica nel Meridione della quattro in Italia si trova a Favignana, recentemente ad un gruppo di detenuti è stata assegnata la costruzione di un modello di Trireme Romana, di quasi due metri di lunghezza. Alla presentazione dell’iniziativa di riproduzione di un modello di Trireme Romana in scala 1-20 presso il Palazzo Comunale Florio che ha coinvolto un gruppo di detenuti della C.R. di Favignana hanno partecipato il sindaco delle Egadi, Giuseppe Pagoto, il Direttore dell’Area Marina Protetta, Stefano Donati, il Magistrato di Sorveglianza, dottoressa Chiara Vicini, il prof. Sebastiano Tusa e il professor Francesco Torre dell’Università di Bologna, in qualità di direttore dei lavori guidati a distanza e lo sponsor dell’iniziativa titolare della Cantina Vinicola Caruso e Minini. Alla manifestazione ha presenziato il Provveditore dell’Amministrazione Penitenziaria Dott. Maurizio Veneziano che ha tenuto a mettere in luce il valore di rete di tale iniziati che è frutto del lavoro sinergico delle istituzioni coinvolte sottolineando con vivo compiacimento l’apertura dell’istituto penitenziario verso alla società Il Direttore dell’Istituto di pena Dott. Renato Persico "esprimo soddisfazione per il risultato conseguito che oltre all’indubbio valore scientifico della riproduzione in scala della Trireme Romana ha dato la possibilità ai detenuti di impegnarsi in una attività appagante. Tale progetto è stato reso possibile solo grazie al lavoro di squadra del personale e di polizia penitenziaria e dell’area trattamentale che hanno operato sinergicamente per il conseguimento dell’obbiettivo". Per il Comandante di reparto dottoressa Gesuela Pullara "iniziative di questo tipo sono non soltanto assolutamente in linea con i nuovi modelli di gestione penitenziaria europea, ma aiutano a migliorare il clima dei reparti detentivi e ad abbassare i livelli di tensione. Un sentito ringraziamento va a tutto il reparto di polizia penitenziaria di Favignana che ha reso possibile la realizzazione del progetto, lavorando con grande attenzione e costante spirito di abnegazione al servizio". Libri: "La Chiesa e il problema della pena", di Luciano Eusebi per l’Editrice La Scuola www.lascuola.it, 21 maggio 2014 Cosa significa agire secondo giustizia in rapporto ai comportamenti, alle realtà negative, o che giudichiamo tali? Punizione, colpa, redenzione, perdono come possono stare in relazione fra loro, quando si mettono in dialogo diritto e teologia se ciò che deturpa il messaggio religioso è l’idea secondo cui il compimento del male esigerebbe una ritorsione dal contenuto analogo? Sono i temi scandagliati dal nuovo saggio di Luciano Eusebi "La Chiesa e il problema della pena" (Editrice La Scuola, pagg. 192, euro 14,50). Argomenti da tempo ampiamente gestiti, secondo il criterio della corrispettività, il quale ha inciso, condizionandola, sulla stessa lettura del messaggio biblico relativo alla giustizia divina: salvo poi pretendere di poter trarre uno degli elementi principali di legittimazione proprio da terminologie o narrazioni in cui quel criterio, anche nella Bibbia, risulta presente. Da qui l’importanza, teologica e giuridica, di una chiarificazione sul significato della giustizia secondo la tradizione ebraico-cristiana. "Teologica, perché non si tratta soltanto, per la Chiesa, della presa di posizione sulla problematica penale, ma altresì della capacità di esprimere, oggi, in che cosa consista il fulcro stesso della fede cristiana: la giustizia di Dio, quale si manifesta in Gesù. Giuridica, perché tale chiarificazione consente sia di superare l’uso indebito di riferimenti religiosi per giustificare modalità della risposta al reato pensate come riproduzione analogica del negativo che in esso si ravvisi, sia di recuperare un apporto culturale proprio del pensiero teologico nella riflessione sulla riforma dei sistemi sanzionatori penali", scrive Eusebi. E aggiunge: "In questo senso, queste pagine individuano il suo riferimento fondamentale nella natura salvifica della giustizia di Dio, quale si manifesta già nell’Antico Testamento e che troverà in Gesù la sua espressione definitiva come amore speso dinnanzi al male fino alla croce, amore che si rivela pienezza di vita con la risurrezione. Prospettiva, questa, che è rimasta oscurata, nella stessa sensibilità di molti credenti (e perfino con riguardo alla lettura della redenzione operata da Gesù, in quanto cardine della fede cristiana), dalle ricostruzioni retributive della giustizia. Laddove, invece, tale prospettiva orienta ad agire pur sempre, dinnanzi al male, secondo ciò che è altro dal male. Vale a dire, anche nell’ambito sociale, sulla base di progettazioni che assumano contenuti effettivi di bene per tutti i soggetti coinvolti". A dare visibilità al significato dell’intera materia al centro della riflessione l’immagine proposta in copertina da questo saggio: un particolare della Salita al Calvario, dipinto di Raffaello oggi al Prado. Vi si vedono un funzionario romano e un religioso, che sembra colto in un istante di perplessità suscitato dal braccio impietosamente teso dall’altro verso Gesù, caduto sotto il peso della croce: sullo sfondo del luogo in cui si compirà una giustizia umana e si manifesterà una giustizia diversa. Non è tutto, discutendo della giustizia di Dio nella Bibbia e nella teologia, interrogandosi su possibili sviluppi nell’approccio giuridico ed ecclesiale al tema della pena, l’autore non evita di affrontare nodi cruciali: quelli legati al Catechismo del 2007 (fra l’altro, circa il discusso enunciato sulla pena di morte), al diritto canonico o alla normativa vigente nello Stato della Città del Vaticano. Né l’autore dimentica di riflettere sull’ interazione con il dibattito giuridico dei modelli di prevenzione dei reati e della riforma del sistema sanzionatorio penale. Insomma, a ben guardare, il tema finisce per investire l’interrogativo, prioritario per ogni vita umana: cioé la sfida costituita dalla risposta che abbia senso dare al negativo, sia esso colpevole o incolpevole, che in essa incontriamo. L’autore: Luciano Eusebi è ordinario di diritto penale all’Università Cattolica di Milano e alla Pontificia Università Lateranense, è stato membro di commissioni ministeriali per la riforma del codice penale e del sistema sanzionatorio penale. È autore di numerose pubblicazioni sulla pena, il dolo, la giustizia, il perdono, la colpa, il carcere. Filippine: l’ambasciatore Bosio… abbandonato in carcere dal governo italiano di Pio d’Emilia Il Fatto Quotidiano, 21 maggio 2014 Caro Ministro Mogherini, sono un giornalista italiano che da oltre 30 anni vive in Asia (principalmente in Giappone). Vorrei parlare della vicenda di Daniele Bosio, ambasciatore italiano in Turkmenistan attualmente "sospeso dal servizio" a seguito del suo arresto, il 5 aprile 2014, nei pressi di Manila. I reati che avrebbe commesso sono abuso e traffico di minori. Come gravi sono le accuse contro i due marò: omicidio, quanto meno colposo. Nel primo caso, sembra prevalere la presunzione di colpevolezza, nel secondo quella di innocenza. Per non parlare del trattamento: Bosio a marcire in una cella di 30 metri quadri con 80 persone, i marò ospitati presso una foresteria della nostra ambasciata a New Delhi. Mi appello a lei, ministro, non come giornalista, ma come semplice cittadino italiano all’estero, preoccupato per la frequente inefficienza, superficialità e incompetenza con le quali le nostre autorità diplomatiche "assistono" i nostri connazionali che si trovano nei guai all’estero. Mentre molti condannati possono usufruire delle norme previste dalla Convenzione di Strasburgo e da ulteriori accordi bilaterali per l’espiazione della pena nel paese di origine, i detenuti in attesa di giudizio sono, di fatto, abbandonati al caso. Ed è esattamente quello che è successo all’ambasciatore Bosio, che pur non è uno sprovveduto e che un buon avvocato avrebbe potuto permetterselo. Peccato che ci abbia messo quasi una settimana, prima di trovarlo, perché quello suggeritogli dall’Ambasciata era una civilista, che si è limitata a suggerirgli di firmare tutto quello che gli chiedeva la polizia. Bosio ha così firmato un foglio pressoché illeggibile che in realtà conteneva la rinuncia all’habeas corpus. In oltre 40 giorni di detenzione Bosio è stato visitato solo 2 volte dal suo collega accreditato a Manila, Massimo Roscigno. La sua salute è peggiorata, al punto che il giudice si è visto costretto a disporne il ricovero in ospedale. Nel caso specifico, Bosio ha giustamente chiamato l’unità di crisi, che gli ha dato tre numeri. Quello dell’ambasciatore Massimo Roscigno, che squillava a vuoto, quello del suo vice, che era in vacanza, e quello di un terzo funzionario, responsabile del consolato, che aveva cessato le sue funzioni da oltre un anno. Restava il telefonino di emergenza. Peccato che, per ammissione dello stesso ambasciatore Roscigno, il funzionario di turno lo spegne "ad una certa ora" della sera per non dover poi recuperare le ore notturne. Non è abbastanza per avviare una immediata indagine? Il ministro dovrebbe adoperarsi per risolvere al più presto il problema dell’inadeguatezza delle strutture e delle risorse preposte alla tutela dei cittadini italiani arrestati all’estero. Un problema più volte denunciato sia da Amnesty International che da associazioni nazionali come "Prigionieri del Silenzio". L’internazionalizzione dei casi - e mi riferisco anche a quello dei marò - puntando sulle pressioni dirette/indirette, minacce e sanzioni non funziona. Guai a spingere contro un angolo nazioni che dopo anni di colonialismo si sono date leggi e procedure formalmente ineccepibili. Né l’India né le Filippine sono paesi barbari e incivili e più che stabilire chi ha torto o ragione sarebbe più utile puntare sul negoziato diretto. Con Paesi come l’India e le Filippine, da sempre innamorati e comunque rispettosi dell’Italia, sarebbe stato tutto più facile. Irlanda: perché la minoranza etnica dei "pavee" finisce dietro le sbarre più facilmente… di Annalisa Lista www.west-info.eu, 21 maggio 2014 In Irlanda, la minoranza etnica dei "pavee" finisce dietro le sbarre più facilmente rispetto al resto della popolazione. Una probabilità superiore calcolata tra le 5 e le 11 volte per gli uomini e tra le 18 e le 22 volte per le donne della comunità. Almeno, stando alle cifre dell’Iprt, che analizza la situazione degli Irish Travellers in Irlanda e Gran Bretagna. Ma cosa aumenta il rischio di finire in cella? Innanzitutto, ragioni socio economiche, in quanto i "pavee", più esposti alla povertà e cresciuti ognuno col dovere di contribuire al sostentamento familiare, sono incriminati spesso per furto e rapina. In Gran Bretagna, ad esempio, tali reati rappresentano il 51,7% dei motivi di reclusione per questo gruppo nomade, rispetto al 30,5% per gli altri detenuti. Ulteriore spiegazione alla base della detenzione, la discriminazione. Dovuta principalmente all’etnia e all’analfabetismo. Infatti, le origini e il fatto di non saper scrivere né leggere, non solo rendono i Travellers più inclini all’isolamento, alla depressione, rendendoli aggressivi e portandoli addirittura a negare la provenienza e a rifiutare la partecipazione a corsi e programmi di riabilitazione. Ma tale atteggiamento aumenta in carcere le denigrazioni, le aggressioni fisiche, il terrore di relazionarsi con gli altri. Sentimenti di angoscia ulteriormente aggravati dalla separazione forzata dal proprio nucleo familiare, che conta più di ogni altra cosa per questo gruppo etnico. A subirne le conseguenze psicologiche specialmente le madri, costrette ad allontanarsi dai propri figli. Ciò che le porta, giorno dopo giorno, a perdere qualsiasi interesse nella propria vita quotidiana. Stati Uniti: giudice della Corte Suprema sospende esecuzione detenuto in Missouri La Presse, 21 maggio 2014 Un giudice della Corte suprema Usa, Samuel Alito, ha sospeso l’esecuzione di un detenuto in Missouri, Russell Bucklew, a meno di un’ora dall’iniezione letale. Alito non ha spiegato il motivo della decisione, ma ha indicato che lui o l’intera Corte si esprimerà in merito successivamente. L’ordine è stato emesso poco dopo che la Corte d’appello dell’ottavo circuito ha revocato una sospensione dell’esecuzione concessa alcune ore prima da una commissione dello stesso tribunale, composta da tre giudici. La commissione aveva deciso la sospensione a causa delle preoccupazioni che la rara malattia di cui soffre Bucklew, l’emangioma cavernoso, possa provocargli sofferenze inutili durante l’esecuzione, che era programmata per le 00.01 di stanotte (le 7.01 in Italia). Bucklew è stato condannato a morte per aver ucciso un uomo con cui abitava la sua ex fidanzata nel 1996. Medio Oriente: Anp, 5mila detenuti palestinesi in sciopero fame nelle carceri di Israele Aki, 21 maggio 2014 Oltre cinquemila palestinesi attualmente detenuti nelle carceri israeliane sono oggi in sciopero della fame per una giornata di solidarietà con i 120 prigionieri in regime di detenzione amministrativa che hanno intrapreso questa forma di protesta dallo scorso 24 aprile. Lo ha annunciato il vice ministro dell’Anp per gli Affari dei detenuti, Ziad Abu Ain, che all’agenzia di stampa Anadolu ha spiegato che "tutti i detenuti palestinesi sono in sciopero della fame oggi in solidarietà con i prigionieri in detenzione amministrativa". Il vice ministro ha quindi detto che "le condizioni dei detenuti stanno peggiorando" e alcuni potrebbero anche morire per le precarie condizioni di salute. Sono circa cinquemila i palestinesi nelle carceri israeliane, secondo gli ultimi dati del Centro di studi e ricerche sui palestinesi. Tra questi si contano 200 minorenni e 19 donne, ha precisato la Ong. In base alla legge israeliana, i prigionieri in regime di detenzione amministrativa possono restare in carcere anche senza un processo per motivi di "sicurezza". La detenzione amministrativa varia da un minimo di sei mesi e può essere estesa a cinque anni da tribunali penali israeliani. Barghuti sostiene sciopero fame Il dirigente di al-Fatah Marwan Barghuti, che sconta l’ergastolo in una prigione israeliana, ha deciso di unirsi allo sciopero della fame intrapreso il 24 aprile da circa 120 detenuti palestinesi che rifiutano il rancio per protesta contro la pratica israeliana della detenzione amministrativa. Lo riferisce l’agenzia di stampa palestinese Maan secondo cui anche Ahmed Saadat (segretario generale del Fronte popolare per la liberazione della Palestina, pure recluso in Israele) ha deciso di unirsi allo sciopero di protesta. Barghuti sconta l’ergastolo dopo essere stato riconosciuto da un tribunale israeliano colpevole di aver ispirato attentati contro civili durante la intifada armata. Saadat è stato condannato da un tribunale israeliano per l’uccisione del ministro di estrema destra Rehavam Zeevi (2001). La detenzione amministrativa è uno strumento giuridico che consente di incarcerare un sospetto, fino a diversi mesi, senza la formulazione di un’accusa precisa o di un regolare processo. Iran: impiccagione di gruppo di 20 detenuti nelle prigioni di Kerman e Karaj www.ncr-iran.org, 21 maggio 2014 I detenuti sono stati fatti uscire dalle loro sezioni il giorno prima con la scusa di dover essere portati in ospedale o in tribunale e sono stati invece portati in isolamento. Il giorno prima, altri 10 prigionieri erano stati giustiziati nella prigione di Kerman. Perciò, il numero delle esecuzioni registrate solo dal 21 aprile ad oggi è arrivato a 113. In una situazione così catastrofica, il presidente Rouhani, ha espresso preoccupazione per "la bassa soglia di sopportazione della popolazione" (agenzia di stampa Fars - 6 Maggio) e ha definito la barbara pena di morte "legge di Dio" e "legge del parlamento che appartiene al popolo" (agenzia di stampa Tasnim, affiliata alla forza terroristica Qods - 19 Aprile). Allo stesso modo anche altri funzionari o importanti esponenti di questo regime hanno invocato "durezza e misure impietose contro i colpevoli". Il silenzio e l’inerzia della comunità internazionale, in particolare degli Stati Uniti, dell’Unione Europea e del Consiglio di Sicurezza dell’ONU verso le esecuzioni incessantemente in crescita in Iran, esprimono un record di indifferenza senza precedenti nei riguardi del crimine e della barbarie nel 21° secolo che, qualunque ne sia la scusa, alla fine metterà in pericolo la pace e la sicurezza di tutta la regione e del mondo. Segretariato del Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana Ucraina: detenuto giornalista britannico che collabora con il canale russo Russia Today Ansa, 21 maggio 2014 Le forze dell’ordine ucraine detengono il giornalista inglese Graham Phillips. Il corrispondente, che si trovava a Mariupol, collabora con il canale russo Russia Today. In precedenza Phillips ha scritto nel suo micro-blog su Twitter, che per la sua testa le forze filo-Kiev hanno imposto il prezzo di10 mila dollari. Questo non è il primo caso di detenzione di giornalisti in Ucraina. A maggio la guardia nazionale ha arrestato due giornalisti di Life News presso Kramatorsk. Le autorità russe richiedono il loro rilascio.