Giustizia: anomalie inspiegabili in un Paese normale di Piero Ostellino Corriere della Sera, 17 maggio 2014 Se fossimo un Paese normale, qualcuno si chiederebbe perché Scajola, accusato di aver facilitato l’espatrio dell’onorevole Matacena, inseguito, a sua volta, da un’accusa di reato, sia in prigione. Per palese assenza dell’occasione - Matacena è irreperibile - Scajola non può reiterare il reato; è abbastanza improbabile possa inquinare le prove di un reato consumato e già rubricato ed è escluso possa darsi alla fuga. Poiché, durante Mani pulite, la carcerazione preventiva era stata una sorta di ruota medievale per estorcere confessioni dagli inquisiti a carico di altri, lo si è incarcerato e lo si trattiene diventi il delatore contro qualcuno? Incomprensibile è anche l’arresto della signora Matacena. Non solo perché sarebbe difficile interpretare la complicità fra i due coniugi come una fattispecie di reato, ma anche e soprattutto perché il suo arresto sembra prefigurare un tipo di reato, di natura giurisprudenziale, che si sovrappone a quello analogo di concorso esterno in associazione mafiosa, diventando, perciò, "concorso in concorso esterno in associazione mafiosa". Un paradosso. Poiché anche per la signora Matacena vale il dubbio che la si voglia indurre a qualche forma di delazione, l’anomalia appare inspiegabile. Ammesso, e non concesso, infine, che il sofisticato marchingegno di intercettazione e annullamento delle intercettazioni telefoniche trovato in casa Greganti, avesse fatto parte dell’armamentario già del Pci, in vista della rivoluzione - a quale titolo Greganti lo possedeva e, presumibilmente, lo utilizzava adesso per combattere misure messe in atto dalla magistratura? E perché quest’ultima - oltre a chiedersi che mestiere facesse Greganti - non se lo chiede? Ma le anomalie non finiscono qui. Dagli Stati Uniti arriva la notizia che contro il governo Berlusconi sarebbe stata ordita, in sede europea, una congiura per farlo cadere e sostituirlo con qualcuno più malleabile da parte di certi interessi. A questo punto, come ne esce il presidente della Repubblica; che, invece di indire nuove elezioni dopo che Berlusconi aveva perso la maggioranza in Parlamento, ha nominato senatore a vita e presidente del Consiglio il professor Mario Monti? Per carità, non parliamo di golpe. Ma, anche evitando certi giudizi scandalistici, non c’è il rischio, ora, che Giorgio Napolitano passi come il presidente che, invece di essere garante della legalità costituzionale, ha tradito la Costituzione? La concentrazione di troppo potere in una sola istituzione non è mai una buona cosa per la salute della democrazia. Non era una buona cosa, prima, malgrado le migliori intenzioni dell’interessato della cui fedeltà al giuramento prestato non c’era ragione di dubitare. Adesso che il dubbio è diventato reale, non c’è il pericolo che la cosa - fino a ieri "non buona" - si riveli, sotto l’influenza del grillismo, pessima? Giustizia: l'Italia... in attesa di giudizio di Lisa D’ignazio www.unisob.na.it, 17 maggio 2014 L’Italia attende il 28 maggio. Quel giorno si saprà se le carceri del nostro Paese, che Marco Pannella chiama le "moderne catacombe", continueranno a essere illegali. Con la sentenza Torreggiani la Corte europea dei diritti dell’uomo, l’8 gennaio del 2013, ha condannato l’Italia per le condizioni dei detenuti e l’eccessiva durata dei processi. La sentenza nasce dal ricorso fatto da sette detenuti contro lo Stato italiano per violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea, che proibisce i trattamenti inumani e degradanti. I detenuti italiani vivono per circa 22 ore al giorno in una cella, in meno di tre metri quadrati a persona. Una condizione disumana che nasce dal sovraffollamento. Nelle carceri italiane ci sono 66 mila detenuti su una capienza regolamentare di 47 mila. Centoquaranta detenuti su cento posti, il 40 per cento dei quali è in attesa di essere giudicato. Cosa succederà il 28 maggio? Scadrà la sospensione di altri 3.000 ricorsi già presentati alla Corte europea e l’Italia rischia una multa miliardaria. Non solo. Il giudizio dell’Europa sulle nostre carceri è chiaro: è costantemente violato lo stato di diritto e bisogna ripristinarlo il prima possibile. Sulle ricette per risolvere l’emergenza carceraria si spaccano quotidianamente partiti e società civile. Per alcuni bisognerebbe costruire nuove strutture. Per altri invece c’è un’unica strada, quella dell’amnistia. "L’amnistia è certo una misura emergenziale - dice la Garante dei detenuti della Campania Adriana Tocco - però di fronte a un’urgenza come l’imminenza della condanna dell’Unione europea potrebbe essere un primo provvedimento". Una misura che, per Tocco, sarebbe più efficace se fosse realizzata rispetto ai reati commessi e non agli anni da scontare. L’idea è quella di far rientrare nell’amnistia coloro che sono stati condannati sulla base di leggi come la Fini-Giovanardi sulle droghe o la Bossi-Fini sull’immigrazione. Un quarto della popolazione carceraria è, infatti, composta da tossicodipendenti e un terzo da stranieri. Per i favorevoli all’amnistia bisogna innescare un ripensamento sull’eccessiva penalizzazione dei reati. "Abbiamo vissuto un periodo in cui c’è stato un processo di cancerizzazione - afferma la Garante dei detenuti - ma il carcere non è l’unica pena possibile". Esistono le cosiddette misure alternative alla pena, a cui in Italia si fa ricorso sempre meno, nonostante la recidiva dei soggetti che hanno scontato la detenzione con pene alternative sia minore: il 19 per cento rispetto al 68 dei detenuti normali. Recentemente la commissione Libertà civili, Giustizia e Affari Interni del Parlamento europeo ha invitato l’Italia a risolvere il problema della giustizia partendo da: custodia cautelare, pene alternative, garante dei detenuti e reato di tortura. Il monito dell’Unione europea non riguarda solo il sovraffollamento carcerario, ma anche lo stato di salute dei detenuti, che troppo spesso non vengono curati, e la mancanza di strumenti di reinserimento sociale. Nelle carceri come fuori dalle sbarre manca il lavoro, sono rare attività come corsi di lettura e formazione, oggi ne usufruisco in pochi e a rotazione. Non ci sono neppure momenti per socializzare. L’ora d’aria è ridotta a un paio d’ore. Tuttavia, recentemente è stata istituita la sorveglianza dinamica: i detenuti possono stare con le celle aperte per 24 ore al giorno. Giustizia: tra 11 giorni scade il termine fissato dalla Corte dei diritti dell’uomo di Paolo Casalini www.informarezzo.com, 17 maggio 2014 Vorrei comunque invitare i lettori ad ascoltare almeno una volta la trasmissione "radio carcere" il martedì sera su radio radicale. Solo una volta, perché è la trasmissione più angosciosa che conosca e spesso ci parla gente uscita di fresco dal "fresco", raccontando cosa sono le nostre carceri, dove può capitare anche solo per sfortuna a ciascuno di noi o dei nostri cari di finire, e chi vi è detenuto con merito, finisce per dover essere considerato anch'esso a volte quasi martire. Il 28 maggio l'Italia dovrà dimostrare alla Corte dei diritti dell'uomo che ha aumentato lo spazio per i detenuti e migliorato le condizioni inframurarie, pena una multa salata e rimborsi milionari (si stima al momento che potrebbero essere di 150 milioni di euro, ma è una stima assai ottimistica del dipartimento delle carceri) Di fine aprile 2014 la pubblicazione di un report del Consiglio d’Europa che vede l’Italia penultima, prima della Serbia, nella qualità delle condizioni detentive… e questo nonostante gli ultimi interventi per far diminuire la popolazione carceraria, che a fronte di circa 40.000 posti effetticamente disponibili, era di 66.000 all’epoca della sentenza Torreggiani, è di 59.000 oggi. Da maggio 2013 a maggio 2014, l’Italia aveva un anno per mettere mano al sistema carceri ed evitare che Strasburgo accogliesse le centinaia di ricorsi già pendenti di detenuti ed ex detenuti, con conseguente condanna a risarcimenti milionari. Poco è cambiato. Nessuno vuol ricordare che dallo stato delle carceri si misura il grado di democrazia e di civiltà di un paese e che dove non vige lo stato di diritto, anche per chi ha sbagliato, non vige per nessuno. Nessuno vuol ricordare che la Carta costituzionale ci parla di umanità e dignità della persona come aspetti fondamentali dell’esistenza, ancora più importante se si tratta di una persona reclusa. La sentenza Torreggiani è stato un toccasana in tal senso, perché ha accelerato l'avvio di un processo che comunque era destinato a partire. Ma nel frattempo si sono avvicendati i governi e non c’è stato il tempo, pur volendo, di fare nulla. E la prepotente urgenza, di cui parlava il Presidente Napolitano nel 2011, è ancora urgenza. C’è chi pensa che occuparsi delle condizioni dei detenuti sia una perdita di tempo, per questo credo che la sentenza della Corte dei Diritti dell’Uomo sia stata salutare: quando si mette mano nelle tasche si capiscono sempre meglio anche i problemi. Ma adesso siamo arrivati alla resa dei conti: mancano pochi giorni al termine ultimo imposto all’Italia per risolvere il problema. Il ministro della Giustizia si sposterà nella sede delle istituzioni europee già alcuni giorni prima, immagino e spero per coordinarsi con gli avvocati e cercare di limitare i danni che potrebbero costare un salasso alle disastrate casse pubbliche. La sentenza Torreggiani ha appena stimolato un processo che avrebbe invece bisogno di profondi interventi, ma ha comunque prodotto qualche risultato positivo: un aumento della capienza complessiva delle strutture, grazie all’apertura di nuovi istituti o nuove parti di quelli già esistenti (per esempio tre nuove strutture in Sardegna, tre nuovi reparti per 700 posti in tutto in Lombardia), nonché di una serie di provvedimenti legislativi, come quello sulla messa alla prova o il più recente sulle droghe, che fanno abbassare il numero della popolazione, oggi a 59mila di fronte ai 66mila di un anno fa. Ma le carceri non sono le case dei dimenticati, non sono luoghi in cui vorremmo archiviare la monnezza. Non possiamo lasciare i detenuti in balia delle organizzazioni criminali. Se il carcere diventa questo, allora il fallimento sarà completo. Giustizia: amnistia, indulto e riorganizzazione del sistema... di Stefano Bovino www.studiocataldi.it, 17 maggio 2014 Carceri sovraffollate, richiami continui da Strasburgo e moniti per attivare amnistia e indulto sono ormai all’ordine del giorno nel nostro Paese. Le problematiche della situazione carceraria italiana, considerata dal Consiglio d’Europa la peggiore tra gli Stati membri dell’Unione, sollecitano, quindi, rapide decisioni e soluzioni da parte delle istituzioni, per superare soglie di criticità ritenute ormai inammissibili in un ordinamento che si informa al principio della finalità rieducativa della pena, sancito in primo luogo dall’art. 27 della Costituzione. Le condizioni in cui versa attualmente il sistema penitenziario italiano sono, infatti, drammatiche, ponendosi a un livello di emergenza nazionale, sia per l’entità della popolazione dei detenuti, la cui consistenza non accenna a diminuire, sia per il numero di suicidi e tentativi di suicidio che avvengono tra le mura delle carceri, sintomo di una situazione insostenibile di sofferenza e degrado. Tale situazione, com’è evidente, rende vana ogni possibilità di indirizzare la pena al fine rieducativo imposto a livello costituzionale ed europeo, tanto da sottoporre l’Italia alla violazione dei diritti fondamentali dei detenuti ed alle frequenti condanne da parte della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. La questione, pertanto, ha assunto proporzioni intollerabili e richiede improcrastinabili interventi miranti ad una riorganizzazione del sistema e ad una risoluzione delle criticità non certo con risposte di carattere episodico, ma con interventi mirati sui diversi fattori che hanno prodotto tale situazione: - normativamente, proseguendo nell’opera di modifica di recente avviata sui reati minori del codice penale (tra cui l’abrogazione del reato di clandestinità, ecc.), complici della crescita esponenziale delle presenze negli istituti, ma anche intervenendo sull’eccessivo ricorso alle misure di custodia cautelare; - operativamente, aumentando le sinergie e il coordinamento tra il sistema penitenziario e tutti i soggetti coinvolti, in primis, il servizio sanitario nazionale e gli enti territoriali; - strutturalmente, risolvendo i deficit organizzativi degli istituti di pena, agendo sia sul risanamento delle sedi fatiscenti che sulle carenze organiche. Da più parti, inoltre, aldilà della richiesta di una riforma complessiva del sistema, piovono in Parlamento gli appelli per l’approvazione di leggi straordinarie per l’amnistia e l’indulto, quali provvedimenti di clemenza generalizzati o applicati solo con riguardo alle fattispecie di emergenza, considerati gli unici mezzi a disposizione per ristabilire condizioni di detenzione umane e dignitose e migliorare la situazione grave di sovraffollamento che caratterizza gli istituti penitenziari italiani. Intanto, si avvicina la data di scadenza dell’ultimatum concesso dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo di Strasburgo che il prossimo 28 maggio, se l’Italia non dovesse superare l’esame sulla situazione penitenziaria, applicherà pesanti sanzioni con le ovvie, ulteriori, ricadute negative sull’economia già minata del Paese. Giustizia: il Testo Unificato su indulto e amnistia slitta a dopo elezioni, Renzi contrario Business Online, 17 maggio 2014 Prorogata presentazione testo unificato sui ddl su indulto e amnistia: i motivi. Cosa bisognerà aspettarsi? Renzi ancora contrario alle misure. Era in programma l’altro ieri, giovedì 15 maggio, ma è slittata la presentazione del testo unificato su misure di indulto e amnistia. Probabilmente arriverà solo dopo che, la prossima settimana, il ministro della Giustizia Orlando, sarà stato a Strasburgo per presentare i nuovi dati sulla situazione carceraria italiana nonché nuove misure per garantire ai detenuti un miglioramento delle loro condizioni di vita nelle celle. L’Italia infatti è stata condannata dall’Ue per violazione dei diritti civili, considerando le condizioni tragiche e disumane in cui sono costretti coloro che vengono arrestati nel nostro Paese. Si pensava che la svolta, o quanto meno un primo passo, verso la definizione di novità potesse arrivare ieri, del resto di parla da tempo di questo testo unificato che dovrebbe racchiudere i quattro ddl presentati sulle misure di indulto e amnistia, oggi le uniche soluzioni, seppur non completamente risolutive, per evitare che l’Italia debba pagare la salata sanzione imposta dall’Ue. Termine ultimo entro il quale il nostro Paese dovrà cambiare il volto delle sue carceri è il 28 maggio: se allora l’Ue riterrà che i progressi fatti in merito dal nostro Paese sono soddisfacenti la multa non sarà pagata, altrimenti saremo costretti a pagare moltissimi soldi. Pure consapevole del fatto che non sono l’indulto e l’amnistia le risoluzioni ad una questione così profonda, il presidente della Repubblica Napolitano, sostenuto da altre forze politiche, è intervenuto mesi fa con un messaggio alle Camere ma è tornato a parlare anche qualche giorno fa per incitare il governo a considerare tali misure per evitare la sanzione. E mentre lo stesso ministro Orlando, che inizialmente aveva proposto una serie di soluzioni alternative, inizia ad aprire agli auspici di Napolitano, il premier Renzi ne resta sempre contrario. Giustizia: Ucpi; encomiabile ostinazione di Giorgio Napolitano meriterebbe maggior sorte www.camerepenali.it, 17 maggio 2014 Il Capo dello Stato irrompe ancora una volta nella paralisi elettorale della politica e sprona il Parlamento ad avere coraggio. Ripensamento del sistema sanzionatorio e rimodulazione delle pene, questo è il percorso. È quanto l’Unione va dicendo da anni. Nell’Italia paralizzata dalla scadenza elettorale del 25 maggio, fortunatamente il Capo dello Stato continua a richiamare le forze politiche al proprio dovere di affrontare il grave tema del carcere, con l’urgenza che questo richiede ed accantonando il timore di possibili ricadute negative sul voto. Ma se già di per sé appare encomiabile che il Presidente Napolitano sproni incessantemente la politica ad avere coraggio, ancor di più lo è la sua richiesta di "ripensamento del sistema sanzionatorio e di una rimodulazione dell’esecuzione della pena, indispensabili per superare la realtà di degrado civile e di sofferenza umana riscontrabile negli istituti". Questa è la direzione che l’Unione indica da qualche anno oramai, e non con proclami fini a se stessi, ma attraverso una mirata attività di elaborazione e confronto, che ha coinvolto anche le migliori menti dell’Accademia e che ha portato all’elaborazione di un progetto posto a disposizione della politica la quale, va onestamente riconosciuto, vi ha parzialmente attinto nei recenti interventi legislativi. Il monito del Presidente pone con forza il tema del nostro sistema sanzionatorio, che ancora ruota intorno al carcere anziché trovare nuovi modi di rispondere al reato commesso, lasciando la risposta detentiva ai soli casi di particolare gravità ed effettiva pericolosità. Giustizia: quando i pm a Firenze non arrestavano più perché carcere locale era invivibile di Dimitri Buffa www.clandestinoweb.com, 17 maggio 2014 Chi si ricorda oggi di quando, nel 1976, i pm di Firenze concedevano automaticamente la libertà provvisoria a tutti gli arrestati perché consideravano troppo sovraffollata e indecente la galera cittadina delle Murate? Perché non si guarda a quel caso oggi, magari per dare un segno all’Europa che fra meno di due settimane (tramite la Cedu a Strasburgo) ci condannerà per gli stessi motivi per cui andavamo condannati 50 anni prima? Era l’11 novembre 1976, e già allora Marco Pannella, a capo di una pattuglia di quattro radicali eletti per la prima volta in Parlamento solo pochi mesi prima, lottava in maniera non violenta per il ripristino della legalità all’interno delle carceri italiane. Stanotte dopo la lettura delle prime pagine dei giornali intorno alla mezzanotte, Radio radicale manderà in onda un vero e proprio "scoop d’annata", scovato da Aurelio Aversa negli archivi storici dell’emittente. Si tratta del dibattito parlamentare sulla giustizia e sulle carceri al cospetto del ministro democristiano dell’epoca Francesco Bonifacio. Era stato richiesto con gran clamore mediatico da varie forze politiche in Parlamento dopo che i giornali dell’epoca diedero la notizia che a Firenze i pubblici ministeri e i giudici istruttori non facevano più arrestare gli indagati a causa del sovraffollamento della prigione cittadina delle Murate. A quei tempi la legge Gozzini era stata varata da poco e applicata con molta parsimonia. Non esistevano gli arresti domiciliari, né tantomeno la cavigliera elettronica. Esisteva invece l’istituto della "libertà provvisoria". E c’era un intero paese, nell’immaginario di film come "Detenuto in attesa di giudizio" (1971) di Nanni Loy con Alberto Sordi, in quello stato. Appunto di "libertà provvisoria". I pm fiorentini e i giudici istruttori che con il vecchio rito che precedeva la riforma Vassalli del 1988 potevano arrestare indipendentemente gli uni dagli altri avevano deciso così. Al di fuori dalle norme ma interpretandole applicando il senso della Costituzione. Quello invocato anche oggi, cinquanta anni dopo quei fatti che portarono al dibattito parlamentare, da Pannella. Che tramite un atto scritto dall’avvocato Giuseppe Rossodivita ha in pratica mandato a tutte le procure della repubblica italiane nel 2012 una "diffida" dall’arrestare qualcuno per poi mandarlo in carceri così pericolose per la salute e la dignità degli individui. Nel 1976 c’era l’istruttoria sommaria entro 40 giorni dalla cattura dell’indagato, che permetteva al pm di arrestare e di mandare poi a giudizio immediato, e c’era l’istruttoria formale, quella con cui, passati quei 40 giorni, la competenza sulla libertà dell’individuo passava al giudice istruttore. Si poteva restare, allora come oggi, anni e anni in carcere in attesa di giudizio (nell’audio del dibattito Pannella cita dati che parlano di due terzi dei detenuti dell’epoca, ndr) ed era da poco stata introdotta la contestatissima legge emergenziale voluta per frenare il terrorismo brigatista dall’ex Guardasigilli repubblicano Oronzo Reale. Era il ministro di Giustizia del quarto governo presieduto da Aldo Moro. La famigerata legge Reale contro cui i radicali un anno dopo avrebbero promosso e quasi vinto da soli un referendum abrogativo. A Firenze fece subito scalpore questa decisione della magistratura locale e la cosa fini nelle aule parlamentari. Pannella nel suo discorso di circa 40 minuti sollevò per la prima volta il velo su un universo fino ad allora negato, nonostante la riforma carceraria e la legge Gozzini varate un anno prima. Nel 1976 in molti penitenziari italiani, tra cui le Muratte, neppure ci stavano i bagni in cella e i detenuti, anche quelli vecchi e malati, che avevano un bisogno dovevano attendere che la guardia di custodia si destasse, magari in piena notte, per venir loro ad aprire e scortarli al bagno. In molte carceri ci stavano pitali e buglioli e insomma la situazione, sovraffollamento compreso, era quasi identica a quella odierna. Basta risentire documenti come questi per rendersi conto che anche l’attuale governo, oltre alle chiacchiere e ai numeri in libertà sui detenuti e sulla capienza carceraria proposti dal ministro Andrea Orlando anche in tv, non farà molto di più per la vivibilità delle prigioni di quanto non abbiano già "non fatto" gli esecutivi che lo hanno preceduto. Dal 1976 a oggi. È quello che i radicali chiamano "caso Italia". Sicilia: sospesa la chiusura delle carceri di Mistretta, Nicosia e Modica www.vivisicilia.it, 17 maggio 2014 "Possiamo definirla la "soap penitenziaria siciliana" quella che puntualmente si è costretti ad osservare ogni qual volta si avvicinano elezioni, siano esse politiche, europee o amministrative". A dichiaralo è il Segretario Generale Aggiunto dell’Osapp - Domenico Nicotra - che analizza e stigmatizza la scelta politica di non procedere alla chiusura dei tre piccoli Istituti Penitenziari siciliani di Mistretta, Nicosia e Modica, mentre addirittura alcune detenuti avevano già lasciato gli Istituti per essere tradotti in altri della regione. "Sembra quasi che il destino di questi tre piccoli Istituti, che assorbono sicuramente più risorse umane e finanziarie rispetto agli standard di sicurezza e vivibilità penitenziaria che assicurano, sia legato ai rumors della politica romana e che pertanto basta un cavillo per bloccare o posticipare quello che un Decreto Ministeriale ha già da tempo sancito". "È impensabile, continua Nicotra, che si parli sempre di spending review e di richiedere sacrifici agli Italiani, mentre nel frattempo i palazzi del potere con la loro politica non fanno altro che posticipare, o addirittura annullare, i tagli ad enti o strutture (quali sono le carceri di Mistretta, Nicosia e Modica) che sicuramente porterebbero un risparmio per le casse dell’erario". "Infine, conclude Nicotra, la chiusura di questi tre piccoli Istituti assicurerebbe ad alcune carceri siciliane con capienze detentive significative un incremento di personale di Polizia Penitenziaria che ne innalzerebbe gli standard di sicurezza penitenziaria e più in generale di quella pubblica". Modica: confermata struttura attenuata Il carcere di Modica non chiude più. Un ordine del giorno è stato approvato dall’aula del Senato perchè la struttura carceraria sia trasformata in una struttura attenuata di pena per il trattamento delle tossicodipendenze: questa circostanza, da noi anticipata negli scorsi giorni, è stata quindi confermata. L’ordine del giorno è stato presentato da sette senatori del Pd, prima firmataria Venerina Padua, ed è stato accolto dal Governo come raccomandazione sulla base del fatto che "le condizioni detentive dignitose e rispettose dell’uomo, garantite nel carcere di Modica, e delle opportunità offerte in questi anni per la rieducazione e l’integrazione nella società civile dei detenuti, dimostrano l’idoneità della struttura ad assicurare un ambiente penitenziario che possa favorire, attraverso tipologie trattamentali diversificate, la rieducazione ed il recupero sociale dei tossicodipendenti detenuti". Dice la senatrice Padua: "Stiamo facendo il possibile, a livello di iniziative parlamentari per scongiurare una simile perdita per il territorio modicano che si aggiunge a quella del Tribunale. Capiamo la spending review ma in questo modo si vuole penalizzare il territorio senza sconti. Siamo consapevoli sul fatto che è molto difficile fare recedere il Governo dalla sua originaria intenzione ma noi chiediamo che lo stesso comprenda i motivi per cui è indispensabile fare dietrofront". Anche il segretario provinciale della Cgil, Giovanni Avola, si è detto fiducioso sull’esito positivo della vicenda e ricorda come il segretario generale Susanna Camusso era stata coinvolto in occasione di una sua presenza a Modica. Liguria: Intesa tra Ministero Giustizia, Regione, Anci e Tribunale Sorveglianza di Genova www.giustizia.it, 17 maggio 2014 Conferenza stampa di presentazione dell’intesa tra il Ministero della Giustizia, la Regione Liguria, il Tribunale di Sorveglianza di Genova e Anci Liguria sul miglioramento delle condizioni del sistema penitenziario regionale e il recupero e il reinserimento di detenuti, sabato 17 maggio alle 15.30 nella sede della Regione Liguria di piazza De Ferrari 1 (Sala Auditorium quinto piano). Alla conferenza stampa parteciperanno il Ministro della Giustizia, Andrea Orlando, il vicepresidente della Regione Liguria e assessore alla salute, Claudio Montaldo , il presidente del Tribunale di Sorveglianza di Genova, Giorgio Ricci e il vicepresidente dell’Anci Liguria, Alessio Cavarra. Napoli: nelle cittadelle di Poggioreale… la prigione che non dovrebbe esistere reportage a cura di Cristina Giudici Pagina99, 17 maggio 2014 Per le punizioni c’è la cella zero. Nelle altre, ventidue ore con la porta chiusa. La doccia è un miracolo. Qui la rieducazione è una chimera. Solo i lavoranti hanno le celle aperte nove ore al giorno. Le altre sono sempre chiuse, comprese quelle dei reclusi affetti da immunodeficienza. Il 28 maggio scade il termine concesso dall’Europa all’Italia per risolvere il problema del sovraffollamento carcerario. E pagina 99 è andata a verificare la situazione sul campo. Entrando a Poggioreale, una delle carceri che ha suscitato le ire europee. Risultato: al di là delle parole e delle buone intenzioni, nulla è cambiato. I 2.137 detenuti - con la sola eccezione di 200 lavoranti, ai quali è consentito uscire quotidianamente per nove ore - continuano a stare stipati tutto il giorno in celle anguste. Inclusi quelli affetti da Hiv. Qui, dove anche fare una doccia calda è un miracolo, la rieducazione resta una chimera. Nella prigione la voce dei reclusi non si sente. Chi trasgredisce la consegna del silenzio sa che rischia di finire nella cella zero. Quella delle punizioni. Per arrivare al cuore del carcere di Poggioreale, a Napoli, bisogna fare giri infiniti. Lì è partita la solitaria campagna del capo dello Stato Giorgio Napolitano per chiedere riforme strutturali, amnistia e indulto. Ma l’appello del Presidente è stato ignorato dal Parlamento. Per arrivare dentro quello che fu il feudo del boss della Camorra Raffaele Cutolo, nel carcere simbolo di tutte la patologie croniche del sistema penitenziario italiano, bisogna partire dal ventre della città. Dal rione di San Lorenzo, per la precisione. Nel vicolo Trincherà il cappellano del carcere, don Franco Esposito, è riuscito a fare un "miracolo" che in altre Regioni d’Italia - dove l’attenzione alla questione penitenziaria è maggiore - è quasi un’ovvietà: ha creato una casa di accoglienza dentro un antico palazzo dell’Arcidiocesi, dove l’associazione "Liberi di Volare" ospita cinque detenuti, di cui quattro agli arresti domiciliari, per sottrarli alle patrie galere. "L’unica in Campania", sottolinea don Franco, consapevole del terrificante significato di questa unicità. E qui - dove ogni giorno qualcuno bussa alla porta in cerca di un rifugio, dove ogni mattina arrivano altri detenuti per lavorare al laboratorio di bigiotteria guidato da Nino Ricciolio per infilare perle di plastica acquistate dai pakistani e fare dei rosari - che alla sera si possono ascoltare i racconti, tutti da decriptare, su ciò che accade dentro Poggioreale. Siamo nella Casa circondariale più antica d’Italia, la più problematica, la più sovraffollata. Una polveriera, insomma. Nonostante gli sforzi dell’amministrazione penitenziaria per far scendere i numeri, per ottenere quei benedetti 3 metri quadrati a disposizione di ogni detenuto, per evitare che la spada di Damocle della condanna dell’Unione europea si abbatta sullo Stato italiano dopo il 28 maggio (oggi i carcerati di Poggioreale sono passati da 2.700 a 2.137). Per cercare di arrivare al centro dei dodici padiglioni - a cui sono stati dati i nomi delle città, come se ognuno fosse simbolo di cittadelle arroccate e inespugnabili - che si susseguono, uno accanto all’altro, bisogna ricordarsi che qui dentro c’è davvero un’altra Italia: un Paese parallelo, pieno di zone grigie, su cui sono stati puntati finalmente i riflettori. E bisogna leggere le lettere scritte in italiano stentato che un detenuto mi lascia per ricordo, come se fosse un omaggio, di nascosto, per ricordarmi cosa accade di notte, nelle celle di transito, al piano terra, dove spesso vengono portati i carcerati per essere puniti. L’hanno chiamata la cella zero, ma sono tante le celle zero, secondo i loro racconti, fatti in modo teatrale e in dialetto, mentre mimano come avvengono le punizioni. E non esagerano, visto che in procura a Napoli ci sono 71 denunce e due inchieste aperte per lesioni e maltrattamenti. C’è chi racconta di quella volta che un agente usò una racchetta da tennis, chi addirittura un martello di legno, persino per una televisione accesa con il volume forte. Forse esagerano, ma una cosa è certa: tutti gli sforzi del Dap, del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, per indurre gli agenti a concepire un carcere più normale, basato sulla sorveglianza dinamica, relazionale, per riuscire finalmente con 40 anni di ritardo a far applicare l’ordinamento penitenziario, che aspira alla rieducazione, non passano di qui. Qui i detenuti, siano tossicodipendenti, omicidi, rapinatori, spacciatori (eccetto gli affiliati ai clan della Camorra) devono essere contenuti, sorvegliati e puniti. Certo, qualcosa è cambiato, qualche padiglione è stato ristrutturato, il sovraffollamento è diminuito e secondo la direttrice, Angela Abate, oraci sono finalmente 1.300 docce nelle celle. "Un miracolo per una struttura fatiscente dove sono riuscita a sistemare molte cose in economia, senza l’aiuto finanziario dell’amministrazione, con il lavoro dei detenuti", afferma rigida e un po’ spaventata perché il Dap ha deciso di trasferirla dopo la pubblicazione del severo rapporto della delegazione europea su Poggioreale il 9 aprile scorso. E forse trasformata in capro espiatorio di un carcere che non dovrebbe esistere, perché qui la soglia fisiologica dell’illegalità è stata superata troppe volte. E così, una volta varcata la soglia di Poggioreale, la direttrice ci tiene a farmi vedere le cose che sono migliorate, la sala colloqui per 9 (sic) detenuti in un piccolo spazio verde con addirittura un angolo per i giochi dei bambini. E se è vero che Poggioreale è Poggioreale, e che qui dentro negli anni Ottanta i camorristi si sparavano addosso, è anche vero che nessuno può dimenticare la commozione di Napolitano, dopo la sua visita, a settembre, le denunce ripetute dei Radicali Italiani, dell’associazione Antigone, del cappellano di Poggioreale, don Franco, che mi ha mostrato la lettera della direttrice in cui lo accusava di sobillare i detenuti, perché durante la sua omelia affermava che fra i banchi della cappella non si stava in carcere, ma in libertà. E poi ci sono quelle celle, che dovrebbero essere aperte secondo la riforma che sta portando avanti l’amministrazione penitenziaria, gradualmente socchiuse in molti istituti, perché un carcerato deve essere rieducato e non rinchiuso 20-22 ore in spazi angusti e sovraffollati. Non a Poggioreale però, dove entro dopo molte resistenze, e per la prima volta vedo un casa di reclusione, ora molto meno sovraffollata, dove non si sente la voce dei detenuti. Un silenzio assordante per un carcere di oltre 2000 persone, interrotto solo al padiglione Roma, dove ci sono i tossicodipendenti. E infatti le uniche parole che sento sono quelle della direttrice che mi fa l’elenco di tutte le cose buone fatte in due anni, persino le sale colloqui senza vetri divisori. Finché un detenuto in sedia a rotelle da una cella strepita: "Sono chiuso qua dentro 22 ore al giorno e ora le fanno vedere che è tutto a posto, le hanno preparato una visita guidata, perché lei non veda e non senta niente, non si fidi!". Lei reagisce stizzita per dire al detenuto che lui non è autorizzato a parlare con me, mentre il comandante di Poggioreale, da vent’anni alla guida della casa di reclusione, Salvatore D’Avanzo, mi ripete per più volte che quello è un falso disabile, "perché quando ha fatto la rapina stava in piedi". Per cercare di trovare il cuore di Poggioreale, senza riuscirci, mi chiedo perché prima dell’arrivo della direttrice che vuole mostrarmi i miglioramenti fatti, alcune celle dove si insegna per dare un diploma elementare a 6 detenuti (sic) e persino un passeggio deserto, dove si gioca a basket due volte alla settimana -si narra che quando venne Napolitano provarono a portarlo proprio qui, a vedere una partita, e che il presidente chiese stizzito di essere subito condotto nei reparti detentivi - il comandante deve dirmi che i provvedimenti presi a Roma per aumentare i giorni di liberazione anticipata sono uno sbaglio, "perché poi tornano fuori a delinquere", mentre un agente, sincero, afferma: "Qui dentro c’è solo la feccia, scarti di società". Per cercare quel cuore, che mi è stato raccontato all’esterno, e resistere all’elenco delle cose positive sciorinato dalla direttrice, legittimamente nervosa, perché non vuole andare via, perché è convinta di aver fatto cose che nessuno prima di lei aveva osato fare, mi chiedo come mai in tutto il carcere, 2.100 detenuti, ad avere le celle aperte per nove ore al giorno siano solo i detenuti del padiglione Italia, dove ci sono 200 lavoranti. Lì dove tre detenuti scelti da lei hanno l’autorizzazione a parlarmi, per dirmi che lì si sta bene (mai sentito un detenuto che dica di stare bene in un carcere: un ossimoro) grazie al supporto della direttrice. E mi chiedo perché ovunque quasi, tranne nelle celle dove ci sono dei lavoranti, i blindati siano sempre chiusi, nonostante le indicazioni del Dap. Anche nel padiglione Roma, dove ci sono 264 detenuti, fra cui anche quelli affetti da Hiv, che si lamentano sommessamente perché non possono uscire dalle celle, tranne due ore al giorno. Neanche per giocare a basket, "perché i sieropositivi non hanno la forza per giocare", spiega un agente. Quando chiedo perché devono stare sempre chiusi, la direttrice mi spiega che non ci sono abbastanza spazi per la socialità, per la rieducazione e che forse in futuro, ora che il carcere è meno sovraffollato, lo farà, anzi lo vuole fare. E insiste che sono già in tanti a seguire i corsi di attività rieducativa, ma appena esco dal protocollo della visita guidata e chiedo a uno di loro (sono otto in cella) perché non ci vanno alle attività rieducative, loro dicono che hanno fatto la "domandina", ma non hanno ricevuto alcuna risposta. "Impossibile", nega la direttrice. Furiosa contro quella delega-zione di parlamentari europei, che hanno scritto cose false. Perché nel loro rapporto, che ha suscitato un putiferio, hanno scritto "i detenuti passano 22 ore in cella, alcuni 24, poche celle sono dotate di docce, in alcuni padiglioni non arriva l’acqua calda, l’assistenza sanitaria è scadente, alcuni carcerati con patologie psichiatriche sono in celle d’isolamento". Anche se poi lo si poteva leggere anche nel rapporto dell’anno scorso scritto dal presidente campano di Antigone, Mario Barone, che era riuscito a far fare pure un’interrogazione parlamentare per chiedere chiarezza sulle zone grigie, le celle lisce del padiglione Avellino, per chiedere conto dell’isolamento in cui si trovavano alcuni carcerati con problemi psichiatrici. Dopo molte insistenze riesco a visitare la cucina centrale del carcere, da dove esce il cibo per quasi tutti in detenuti, (in realtà ce n’è una più piccola che mi mostrano prima di cedere alle mie insistenze): pasta al forno all’apparenza incollata, spinaci e carne, dentro contenitori di latta, che arriveranno freddi nelle celle di un carcere troppo grande per essere governato, una città nella città, dove i detenuti della commissione per il controllo della qualità del cibo, interpellati dalla direttrice, dicono "tutto a posto dottoressa, il cibo va bene". E per dimostrarmi la sua disponibilità mi mostra le nefaste docce comuni, vecchie e fatiscenti, che si trovano in diversi padiglioni dove le docce in cella non ci sono, e si possono fare "per tre volte alla settimana", anche se i medici penitenziari poi mi diranno che se uno vuole fare una doccia calda in più deve avere un attestato che dimostri di avere problemi dermatologici. E così in quel silenzio di carcere, dove ci sono solo 715 detenuti definitivi, gli altri tutti appellanti o in attesa di giudizio, dove nei passeggi non si vede nessuno, forse perché è giorno di colloqui, ma molti agenti, circa 400 destinati alla sorveglianza, e i pavimenti sono puliti, troppo puliti, la visita guidata finisce nel reparto Napoli (il Livorno dove ci sono i camorristi è off-limits) dove qualcuno dice "siamo inguaiati". E allora bisogna fare molti giri fra il ventre di Napoli e la parte superiore, su nella zona ospedaliera, dove la direttrice dell’Asl di Napoli 1, Antonella Guida, che coordina la medicina penitenziaria, ci tiene a spiegare le difficoltà di una sanità penitenziaria ora gestita dai medici esterni, che non hanno la necessaria agibilità per fornire l’assistenza sanitaria, "perché quello è un mondo chiuso, perché noi possiamo assistere solo i detenuti segnalati dalla direzione o dagli agenti, perché la buro-crazia impedisce ogni cambiamento". E forse ha ragione anche il direttore amministrativo dell’Asl Napoli 1, quando dice che loro hanno subito 45 processi per danni erariali perché hanno tolto privilegi e budget gonfiati a quella pletora di medici specialisti penitenziari, ma forse hanno ragione anche i detenuti quando dicono che loro chiamano il Buscopan la medicina di padre Pio, perché ogni volta che lamentano un dolore ricevono solo e sempre le stesse medicine. E allora se il Dap ha fatto qualsiasi cosa per cercare di evitare la condanna europea, per me che ho dovuto fare giri infiniti per arrivare al cuore nascosto di Poggioreale, senza trovarlo, è rimasto impresso un racconto. Quello di un detenuto, che era recluso nel padiglione Avellino, dove l’acqua calda arrivava - e per molto tempo questo stato un segreto per tutti. E i detenuti dovevano nascondersi dagli agenti per fare la doccia calda tutti i giorni. Perché nelle celle lisce si finiva, e forse ancora si finisce, anche per questo. Per una doccia calda di più. Napoli: io, pentito di camorra, vi racconto l’orrore della "cella zero" di Poggioreale intervista a cura di Simone di Meo www.julienews.it, 17 maggio 2014 La cella zero di Poggioreale esiste. Parola di pentito. Fiore D’Avino, storico boss della camorra campana, braccio destro del padrino Carmine Alfieri ai tempi della guerra contro le truppe cutoliane della Nco e suo luogotenente a Somma Vesuviana, in quest’intervista esclusiva a Julie, racconta la sua esperienza dietro le sbarre alle prese con picchiatori e torture. Che cosa succede nella cella zero? "Chiariamo prima che cosa sono e come sono fatte. Sono celle lisce, dove ci sono solo le brande per dormire. Senza lenzuola". Chi ci va? "Ci portano i detenuti che, secondo gli agenti penitenziari, danno segni di squilibrio. Ti fanno denudare e vola anche qualche schiaffo, ovviamente. Al mattino presto, prestissimo, ti danno la sveglia e ti mettono in mano una scopa per pulire e lavare. A controllare tutto c’è un agente che brandisce una mazza che porta all’estremità una spugna arrotolata". A che cosa serve? "Serve a picchiare i detenuti. Perché la spugna non lascia segni". A lei è mai capitato di essere percosso con questi sistemi? "A me no, ma sentivo spesso gridare". La cella zero dunque non è una invenzione? "Quando c’ero io, i fatti si verificavano in una parte del padiglione Genova. Ricordo ancora un episodio: era una domenica del novembre 1993, eravamo in una cella del padiglione Firenze. Non sono sicuro sul numero di detenuti, ma eravamo sicuramente in molti. Io stavo scrivendo una lettera e altri guardavano Novantesimo minuto alla tv. Venne un agente dicendo di abbassare il volume. Credetemi, si sentiva a stenti. Un ragazzo di Acerra si alzò e ubbidì. La tv era quasi muta. Dopo qualche minuto, ripassò la stessa guardia e disse, urlando, che la voce era ancora troppo alta e chiuse il blindato". E che cosa successe, poi? "Mi meravigliai del comportamento dell’agente e chiesi se ci fosse qualcosa di personale tra lui e il detenuto. Volevo parlare con il capoposto per farci riaprire il blindato. Gli altri compagni di cella mi dissero che sarebbe stato meglio di no. Erano impauriti. Ma alla fine li convinsi e tutti insieme chiedemmo di parlare con il responsabile. L’agente ascoltò, si fece dare tutti i nostri nominativi e dopo un po’ ritornò da noi chiedendomi di seguirlo. Io ero detenuto da circa un mese". Lo segue e che cosa accade? "Appena entrai nell’ufficio al piano terra, salutai con educazione ma venni accerchiato dagli agenti. L’appuntato mi obbligò a mettere le mani dietro la schiena e in quell’istante mi arrivò uno schiaffo da uno degli agenti alle mie spalle". E lei? "Sinceramente, reagii d’istinto. Gli agenti suonarono l’allarme. Arrivò la squadretta: mi immobilizzarono e trascinarono fuori dal reparto". La picchiarono? "Mi perforarono un timpano e, dopo il loro trattamento, mi ritrovai varie ecchimosi su tutto il corpo. Il giorno dopo, fui visitato da un medico al quale dissi che quei segni erano dovuti a una caduta. Era una bugia, chiaramente. Dopo qualche tempo, andai in udienza al Riesame e dissi che se mi fosse accaduto qualcosa non dovevano considerarmi matto". E invece? "Fui denunciato e al processo, allora avevo già iniziato a collaborare con la giustizia, raccontai la verità. Dissi che cosa era successo, ma non ho saputo più nulla. A Poggioreale, queste cose erano una prassi. C’era una squadretta apposita, ma ho sentito dire che anche in altre carceri usavano violenza fisica e psicologica. Ti gettavano secchi d’acqua fredda addosso". Bari: primo Tribunale in Italia per la "messa alla prova" come alternativa alla detenzione Gazzetta del Mezzogiorno, 17 maggio 2014 Dalla pulizia dei giardini alla tutela del verde pubblico; dall’assistenza agli anziani alla manutenzione dei cimiteri, al volontariato inteso nel senso più ampio. Ovvero una messa alla prova attraverso lavori di pubblica utilità come valida alternativa alla detenzione. Indagati e imputati per reati che prevedono una pena massima di quattro anni che abbiamo commesso per la prima volta un reato di lieve entità, potranno accedere al programma di messa alla prova che consentirà l’estinzione del reato e la cancellazione del processo. La novità, prevista dalla legge 67 del 2014 sulla sospensione dei procedimenti penali entrerà in vigore da domani. Il Tribunale di Bari ha bruciato le tappe, istituendo, "primo in Italia", come ha riferito il delegato al progetto, il giudice Giovanni Mattencini, un ufficio ad hoc che dovrà occuparsi di valutare la domande. Ieri mattina, infatti, è stato sottoscritto un protocollo fra tribunale, procura, prefettura, questura, comando provinciale dei Carabinieri, Ordine degli avvocati e Uepe (Ufficio di esecuzione penale esterna) per l’istituzione del nuovo ufficio, che avrà sede nel palagiustizia di via Nazariantz, per i "Lavori di Pubblica utilità". A farne parte lo stesso Mattencini, un altro giudice e personale amministrativo. La cosiddetta messa alla prova, già prevista per i minori, sarà ora estesa ai maggiorenni. L’ufficio, che sarà operativo da lunedì prossimo, si occuperà di ricevere e vagliare le istanze dei difensori e stilare un programma che preveda un periodo (non meno di dieci giorni) di lavoro gratuito presso un ente convenzionato, dalla pulizia di giardini pubblici al soccorso agli anziani. Una ventina le convenzioni già stipulate con il Tribunale, tra cui i Comuni di Valenzano e Binetto (gli unici dell’intera provincia ad aver risposto all’appello del giudice delegato al progetto), la facoltà di veterinaria dell’Università degli Studi di Bari, la Fondazione Santi Medici di Bitonto, Unitalsi di Bari e di Monopoli, l’associazione Ciao Vinny. Dalle violazioni edilizie ai maltrattamenti in famiglia, alla guida in stato d’ebrezza, sono numerose le tipologie di reato commesse non da delinquenti abituali, naturalmente, ma in un certo occasionali, giudicate dal Tribunale in composizione monocratica, che rientrano nella nuova disciplina. Due gli obiettivi della norma: svuotare le carceri e snellire alcuni procedimenti. Con l’estinzione di un reato attraverso la messa alla prova, infatti, dovrebbero ridursi processi e appelli. Il Tribunale di Bari è all’avanguardia per rendere subito applicabile la nuova normativa. Udine: visita ispettiva dei radicali nel carcere di Tolmezzo, tra i reclusi in regime di 41bis di Stefano Santarossa www.radicali.it, 17 maggio 2014 Mancano 11 giorni a quel 28 maggio fissato per l’Italia dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo come termine ultimo per porre fine alla tortura praticata nei confronti dei detenuti ristretti nelle nostre carceri. Stefano Santarossa, presidente di Radicali Friulani, Michele Migliori segretario dell’associazione radicale "Trasparenza è Partecipazione" e Nicolò Gnocato radicale di Trieste alle ore 16 saranno in visita al carcere di Tolmezzo, una struttura "speciale" perchè riservata ai detenuti più scomodi per i quali è applicata una vera "tortura democratica". Noi radicali denunciamo che il tempo è già scaduto da anni per le reiterate condanne non adempiute da parte del nostro Paese. Non rispettare il termine implicherebbe logicamente, necessariamente, il ricorso alle estreme possibilità e capacità di autodifesa dell’Unione Europea, quali la sospensione o addirittura l’espulsione dall’Unione stessa. Livorno: nuovo padiglione detentivo apre a giugno, gare appalto su quelli chiusi nel 2011 di Maria Giorgia Corolini Il Tirreno, 17 maggio 2014 "Nominare immediatamente un nuovo Garante dei diritti dei detenuti, fare tesoro del lavoro svolto fino ad oggi per avvicinare il carcere alla città e impedire che passi l’idea che nei momenti di crisi bisogna prima pensare a se stessi". Queste le direttive emerse dalla conferenza che ieri mattina ha visto protagonisti il Garante dei detenuti Marco Solimano, il presidente della quinta commissione Alessandro Latorraca e il consigliere comunale Lorenzo Del Lucchese. Direttive che i tre, tutti a fine mandato e non ricandidati alle prossime amministrative, indirizzano a "coloro che verranno, affinché possano dare una continuità istituzionale e affettiva al lavoro di questi anni e contribuiscano a sostenere gli ancora timidi ma positivi sviluppi che riguardano il mondo carcerario". Uno su tutti, l’imminente - si spera - apertura del nuovo padiglione, che secondo Solimano dovrebbe essere operativo entro la fine di giugno. "Dieci giorni fa c’è stato il collaudo dell’ufficio tecnico del Ministero - spiega - adesso aspettiamo che venga consegnato alla Direzione carceraria per gli ultimi allestimenti necessari". Non solo: sarebbero previsti ulteriori allargamenti degli spazi, costruzione di nuovi laboratori e refettori e sarebbero partite le gare d’appalto per i due padiglioni chiusi nel 2011. Un passo avanti contro il sovraffollamento carcerario. "Non abbiamo mai avuto la presunzione di risolvere i problemi del carcere - dice Del Lucchese - ma abbiamo cercato di rompere la campana di vetro che lo separa dalla città: avremmo voluto portare la commissione a riunirvisi ma non è stato possibile per problemi elettorali - continua amareggiato - "questo punto non ci resta altro che rivolgerci a chi ci seguirà sperando che si impegni affinché il carcere restituisca alla società persone migliori di quelle che ha accolto". Salerno: a Pazzano nascerà una struttura per detenuti psichiatrici dopo chiusura Opg di Angela Sabetta La Città di Salerno, 17 maggio 2014 Un carcere per detenuti mentali o la sede del distretto sanitario?. Non ci sono più dubbi: l’ex centro diurno "Sole luna", in località Pazzano di proprietà dell’Asl sarà riconvertito in una struttura sanitaria extra ospedaliera con la disponibilità di 20 posti letto. A tale scopo l’Asl ha approvato una delibera per i lavori di ristrutturazione e l’adeguamento dell’edificio già adibito ad Rsa. La struttura per detenuti psichiatrici sarà realizzata nonostante il tentativo del sindaco Italo Voza di scongiurare l’ipotesi. Per la riconversione dell’immobile, dislocato su due livelli in località Pazzano, sono stati stanziati circa due milioni di euro dai ministeri della Salute, dell’Economia e della Giustizia. Voza aveva proposto all’Asl di destinare la struttura a sede del distretto sanitario, ospitato in un immobile privato, a Capaccio scalo, per il cui utilizzo l’Asl Spaga un canone di affitto, di circa 100.000 euro annui. Il progetto è stato predisposto dall’architetto Maurizio Pilerci dell’ufficio tecnico centrale della sede di Vallo della Lucania per un importo di 1.918.946 euro (il 95% a carico dello Stato, il restante della Regione). Il progetto è stato sottoposto all’attenzione del direttore generale dell’Asl, che lo ha approvato con un deliberato. Le figure professionali sono state individuate tra il personale interno per gli atti conseguenziali. Responsabile unico del procedimento è l’ingegnere Luigi Miranda, progettazione e direzione dei lavori, architetto Maurizio Pilerci, coordinatore sicurezza in fase di progettazione ed esecuzione geometra Leonzio Caputo. Entro il prossimo 30 maggio sarà deliberato il progetto esecutivo con l’individuazione anche degli arredi ed attrezzature utili alle finalità della struttura. "Mi sono impegnato - spiega il manager Squillante - a verificare se la progettualità potesse essere proposta su altra sede, sebbene si fosse già in una fase avanzata della sua attuazione, essendo stata avviata prima del mio mandato. Malgrado lo sforzo compiuto non è stato possibile modificare la destinazione dell’iniziativa". All’Asl sono state assegnate i specifiche risorse vincolate all’implementazione del programma da mettere in atto per la realizzazione di strutture sanitarie extra ospedaliere per il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari (legge 17 febbraio 2012/9). È da tempo che da più parti è stata sollevata la necessità del recupero della struttura. Trieste: la visita di Dambruoso (Sc) "il carcere è affollato, ma condizioni di vita decorose" Il Piccolo, 17 maggio 2014 "Un grande decoro e una gestione oculata, qui siamo chiaramente al di sopra di quella soglia minima di requisiti per i quali l’Italia viene sanzionata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo". È "la prima impressione", secondo le sue stesse parole di Stefano Dambruoso, magistrato "di punta" passato alla politica, al termine di una visita al carcere di via Coroneo organizzata dagli esponenti locali del suo partito, Scelta civica: il coordinatore provinciale Dario Salerni e il candidato Tiziano Cucinella, accompagnati da un paio di sindacalisti del Sap. "Obiettivamente però - aggiunge subito - non ci sono i numeri, finanziari e di organico, per gestire il carcere secondo le norme vigenti. Tuttavia i locali non sono per nulla fatiscenti e i servizi ai detenuti funzionano". Poi la nota amara e a tratti polemica: "Ma detenuti, in senso lato, lo sono anche coloro che in una stanzetta di tre metri per quattro lavorano ogni giorno in settori anche delicati, dall’Ufficio alimenti a quello della gestione del denaro dei detenuti. È gente come questa che, in silenzio, sta facendo andare avanti questo Paese ai tempi della spending review". Sap e Dambruoso sottolineano come i 125 agenti di custodia che sovrintendono a 227 persone incarcerate avrebbero bisogno loro stessi di più servizi. Come ad esempio quello di consulenza psicologica: a furia di stare tra le sbarre e con i detenuti, qualcosa "scatta" e le assenze per malattia sembrano cospicue. Cucinella punta sulla specificità locale. "Trieste - spiega - è città di confine e porta d’ingresso in Europa. Così i due terzi dei detenuti sono stranieri. E di questi gran parte sono romeni". Che preferiscono, alla faccia delle critiche dell’Europa all’Italia, scontare la pena qui piuttosto che in Patria, dove evidentemente tra le sbarre si sta molto peggio. E il governo di Bucarest, per mero calcolo economico, è "connivente". "Me ne sono occupato di persona in passato. Le norme dell’Unione europea prevedono fin dal 2002 che i cittadini Ue abbiano il diritto di scontare la pena nel proprio Paese. Mai romeni - spiega contrariato Dambruoso - fanno "resistenza passiva" all’estradizione, regolarmente e costantemente proposta dalle nostre autorità. Fanno leva sull’incertezza dell’identificazione della nazionalità, asserendo di essere in realtà moldavi. Così ritardano o addirittura vanificano il processo di rimpatrio". Evidentemente il bel Paese lo è anche visto, come recita una nota espressione, "a scacchi". Bologna: Uil-Pa Penitenziari; rissa alla Dozza, quattro agenti e due detenuti in ospedale Comunicato stampa, 17 maggio 2014 "Ieri pomeriggio dopo le 16.00 una ventina di detenuti di Tunisi e di Sfax si sono affrontati passando dalle parole alle vie di fatto. È scoppiata una mega rissa, all’interno della sezione, in cui i partecipanti hanno divelto i piedi dei tavoli in uso nelle proprie celle ricavandone bastoni. Bilancio: quattro agenti e due detenuti trasportati d’urgenza al pronto soccorso del locale nosocomio, al momento non si conosce la prognosi. Altri detenuti stanno ricevendo le cure del caso nell’infermeria del carcere". A darne comunicazione il Coordinatore Provinciale della Uil-Pa Penitenziari, Domenico Maldarizzi ed il Coordinatore Provinciale dell’Ugl Luigi Cardinale che aggiungono "Esprimiamo la nostra totale vicinanza e solidarietà ai colleghi feriti e sottolineiamo che, grazie al loro pronto intervento, hanno evitato che la maxi rissa avesse un bilancio ancora più drammatico. "Quanto accaduto è grave - affermano Maldarizzi e Cardinale. Da tempo stiamo denunciando la carenza di organico e di mezzi a disposizione del personale in servizio. Continuare così non è possibile anche perché siamo di fronte a penitenziari sempre più affollati e privi di strutture adeguate. Le condizioni afflittive, umilianti ed inumane della detenzione e del lavoro stanno trasformando, inesorabilmente, le nostre carceri in luogo di supplizio e tortura. Alla Dozza - concludono i sindacalisti - sono ristretti circa 840 detenuti su una capienza regolamentare di poco più di 400 mentre mancano circa 150 agenti di Polizia Penitenziaria. Chieti: Letteratura e carcere. Catia Napoleone "Gli incidenti di percorso… nuovo inizio" di Stefania Ortolano www.chietitoday.it, 17 maggio 2014 Per la settimana nazionale della letteratura in carcere la casa circondariale di Chieti ha ospitato la presentazione del libro "I profumi del cedro" di Catia Napoleone. Consegnati anche gli attestati ai detenuti che hanno partecipato al Premio Nazionale di Poesia Alda Merini organizzato da Donna Cultura. "Il cedro è il frutto che viene celebrato nella festa di Sukkot e rappresenta per la cultura ebraica il cuore dell’uomo. Solo se riusciamo a guardare con gli occhi del cuore, spegnendo i rumori che ci sono intorno e quel filo di razionalità che appartiene del mondo occidentale riusciamo trovare la nostra occasione positiva". Parla di vita, fallimenti e rinascita "I profumi del cedro", il libro presentato ieri mattina dalla scrittrice Catia Napoleone ai detenuti della casa circondariale di Chieti. Uscito due mesi fa, alla terza presentazione, l’autrice ha aperto cuore e anima alla popolazione detenuta, non senza qualche lacrima in apertura. La letteratura è entrata nell’istituto di Madonna del Freddo in occasione della settimana nazionale della letteratura in carcere (12-17 maggio) per iniziativa dell’associazione Donna Cultura di Veruska Caprarese che qui nei mesi scorsi ha tenuto un laboratorio di scrittura creativa. "Ho avuto modo di leggere i brani che avete scritto - ha detto Catia Napoleone, che è anche conduttrice televisiva e formatrice professionale - e sono riuscita a scoprire il senso della libertà attraverso i vostri scritti. I famosi incidenti di percorso non rappresentano mai la fine, ma solo un inizio". Così anche la direttrice del carcere di Madonna del Freddo, Giuseppina Ruggero: "Questa presentazione ci dà la possibilità di parlare di spiritualità e speranza, una parola che vi appartiene - ha detto ai detenuti - perché non si può mai dire basta, qui noi siamo di fronte a persone giovani che possono ricominciare". Sogni e speranze che accomunano la popolazione del carcere teatino che ieri ha dato vita a un vibrante dibattito. "Dagli errori che ho fatto ho imparato tante cose. Oggi sono orgogliosa di me, mi sento forte e pronta ad affrontare qualsiasi cosa" dice Katia. All’incontro di ieri sono stati anche consegnati gli attestati di partecipazione alla II edizione del Premio Nazionale di Poesia Alda Merini organizzato da Donna Cultura, sezione "In volo per la Libertà", a Elisabetta Sozio, Antonio Bigi, Katia Mantovani, Priscilla Leoci e ad altri quattro di cui non scriviamo i nomi perché nel frattempo hanno già spiccato quel volo per la libertà. Camerino (Mc): il Sindaco Conti "alla città serve una nuova struttura penitenziaria" di Monia Orazi www.cronachemaceratesi.it, 17 maggio 2014 All’uscita della Casa circondariale di Camerino parlando ai giornalisti Buemi ha ribadito la necessità della costruzione di un nuovo carcere: "Camerino ha bisogno di un nuovo carcere. La mia visita ha evidenziato una serie di criticità a cui il personale cerca di porre rimedio, ma dato che il progetto del nuovo carcere risponde a criteri di razionalizzazione, permettendo anche una rimodulazione della struttura ed un miglioramento delle condizioni operative della polizia penitenziaria che qui è sotto organico, va assolutamente portato avanti. C’è una presenza di detenuti maggiore del dovuto, con 11 persone in una stessa cella, servizi igienici da rifare, parti della struttura da riparare. La questione del carcere va affrontata con le fattibilità temporali disponibili, questo carcere è in una vecchia struttura, vanno bene tutte le attività positive che si effettuano, ma occorre migliorare la struttura di base". Ad aprire il convegno "Cultura in carcere, fucina delle opportunità", in cui sono state presentate le esperienze culturali rieducative realizzate all’interno degli otto istituti penitenziari marchigiani, è stato proprio il sindaco Dario Conti, il quale ha ricordato l’iter per il nuovo carcere di Morro da 450 posti, "che nel corso di un incontro con uno dei responsabili del ministero della giustizia, quando il guardasigilli era la Severino, ci era stato prospettato come compensazione per la perdita del tribunale. Ora ci hanno sfilato anche il carcere, noi stiamo preparando tutte le carte affinché la nuova amministrazione comunale possa portare avanti la battaglia per il nuovo tribunale ed il carcere". A seguire è intervenuta Ilse Runsteni, provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria, la quale ha sottolineato secondo un "sillogismo l’ipotesi che il carcere sia un’opportunità di cambiamento, con la cultura come leva del cambiamento. Il carcere deve essere un momento di passaggio, che accoglie chi ha violato la legalità, restituendolo alla comunità per il reinserimento sociale, che è il suo scopo ultimo". È intervenuta in rappresentanza della comunità montana la vicepresidente Tiziana Croce, la dottoressa Ilaria Capozzucca in rappresentanza degli assessori Pietro Marcolini e Luigi Viventi, Tommaso Pagliano presidente uscente della sezione regionale Aib (associazione italiana biblioteche). Sono state poi presentate le singole esperienze realizzate in carcere per mostrarne punti di forza e opportunità coordinate da Daniela Grilli, responsabile dell’ufficio detenuti e trattamento presso il provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria delle Marche. Al momento nelle carceri marchigiane ci sono 974 detenuti in totale, di cui 28 donne e 427 stranieri, in prevalenza provenienti da Albania, Magreb, Medio Oriente, paesi dell’Unione Europea. Sottolineata la possibilità di realizzare progetti formativi nei penitenziari marchigiani dalla docente Unicam Catia Eliana Gentilucci, delegata dal rettore ai rapporti con i penitenziari e Dap. Sono state presentate le attività legate alla lettura, borse lavoro presso le biblioteche, le attività teatrali, la pet therapy, l’officina di scrittura creativa, il giornalino in carcere ed il laboratorio radiofonico. La mattinata è terminata con lo spettacolo "Il Muro", a cura di Francesca Marchetti e dei detenuti della casa di reclusione Barcaglione di Pesaro. Poi è scattata per Buemi, accompagnato da Conti e Pupilli, Valerio Valeriani coordinatore dell’ambito sociale, Ilse Runsteni provveditore regionale Dap, la visita alla casa circondariale di Camerino, che dopo i quattro arresti delle ultime ore accoglie 56 detenuti di cui 8 donne. A fare da guida il comandante della polizia penitenziaria Luigi Tarulli e la direttrice del carcere. Sotto organico anche gli agenti, che in totale dovrebbero essere 21 uomini e 14 donne, in questo momento gli uomini sono solo otto, il turno mattutino che dovrebbe contare undici agenti è attualmente coperto da sole sette persone. Nella struttura servirebbero interventi di riparazione, lavori per poter riutilizzare al secondo piano quello che era l’appartamento del comandante, ormai chiuso da anni, in cui si potrebbero trasferire parte degli uffici, liberando spazi al piano terra, da destinare magari a spazi comuni per i detenuti. Dietro le sbarre ci sono molti poveri, persone a cui la carità dell’arcivescovo Brugnaro, cappellano del carcere che ogni domenica mattina e per le principali solennità celebra messa, dona vestiti e generi di prima necessità. Il presule, da sempre in occasioni pubbliche, chiede di poter fare di più, per i cinquanta cittadini "invisibili" del comune di Camerino, detenuti che in primis sono persone e non soltanto colpevoli di fronte alla legge. Catania: oggi un sit-in dei Radicali davanti alla Casa circondariale di piazza Lanza Italpress, 17 maggio 2014 Questa mattina, dalle 10.30 alle 12, davanti alla Casa circondariale di piazza Lanza, a Catania, avrà luogo un presidio a sostegno del Satyagraha radicale per l’Amnistia e la Giustizia. "La sentenza pilota dell’8 gennaio 2013, Torreggiani e altri, ha condannato l’Italia - spiegano i radicali - per ‘trattamenti inumani e degradanti’, cioè per violazione dell’articolo 3 della Cedu che va sotto il titolo di ‘torturà. Corte che ha dato all’Italia l’ultimatum del 28 maggio prossimo per porre fine a questi reati gravissimi da Stato criminale. La Corte di Strasburgo ha precisato che i trattamenti disumani e degradanti dovevano avere come parametri per essere valutati non solo i metri quadrati ma anche - e soprattutto - la possibilità di curarsi dalle malattie, le quali spesso si contraggono proprio in carcere, l’igiene, l’accesso alla luce e all’aria naturali, il trattamento rieducativo". Bologna: Intra Logos per formazione operatori call center, corso anche per sei detenuti Avvenire, 17 maggio 2014 Sono sei i detenuti della Dozza di Bologna che parteciperanno al corso di 300 ore di formazione per lavorare in un call center. Il progetto si chiama Intra Logos e prevede anche 150 ore di stage. Pronta ad accogliere i detenuti per i tirocini è Cup 2000, la società industriale della sanità elettronica che coordina il call center che gestisce le prenotazioni per le prestazioni sanitarie e i servizi ambulatoriali e diagnostici presenti sul territorio di Bologna e provincia. I detenuti, ancora da selezionare, inizieranno la formazione fuori dalle mura carcerarie a fine giugno sotto il coordinamento del Cefal, il consorzio europeo per la formazione e l’addestramento dei lavoratori. Tutto si concluderà entro l’anno. L’accordo nasce da un protocollo d’intesa firmato da Tribunale di Sorveglianza, Casa circondariale, Comune, Asp Città di Bologna e Cup 2000. "La rete che si è creata è un piccolo esempio di quello che dovrebbe sempre accadere - sottolinea la direttrice della Dozza Claudia Clementi -. Questo è uno strumento attraverso il quale possiamo rispondere alla condanna europea all’Italia per le condizioni delle sue carceri. La nostra speranza è che questa formazione porti successivamente a lavori veri". "La cosa importante di questo protocollo - spiega l’assessore a istruzione, formazione e lavoro della Provincia di Bologna Giuseppe De Biasi - è la rete che abbiamo creato. Il progetto poi costituisce un ponte verso la realtà occupazionale successiva". "Un percorso di formazione e accompagnamento alla libertà in un’ottica di salto di qualità - gli fa eco il presidente del Tribunale di Sorveglianza di Bologna Francesco Maisto. I detenuti che seguono questi corsi di formazione hanno una recidiva bassissima, dimostrata anche dai risultati del progetto Acero (nato da un accordo con la Regione per dare a 45 detenuti la possibilità di scontare fuori dal carcere la propria pena e di essere ospitati in comunità e case d’accoglienza). Roma: uno spettacolo contro la violenza sulle donne nell’Ipm di Casal del Marmo Adnkronos, 17 maggio 2014 Quarta replica il prossimo 19 maggio per lo spettacolo di teatro e danza "Ada e Fly Girls" sul tema della violenza contro le donne, cui seguirà il confronto tra i ragazzi e le ragazze sulle sue cause e le conseguenze. Dopo essere stato rappresentato in due teatri romani e nella sezione femminile dell’istituto penitenziario di Rebibbia, "Ada e Fly Girls" approda lunedì alle 16 all’istituto penale minorile Casal del Marmo in Via Giuseppe Barellai 140, a Roma. Ideato dai ragazzi e ragazze degli istituti di Istruzione Secondaria "Quarenghi Braschi" di Subiaco e "Giorgio Ambrosoli" di Roma, lo spettacolo è il momento saliente del progetto "Mai più violenza. Mai più complici" promosso dalla Consulta Femminile Regionale per le Pari Opportunità della Regione Lazio, dal Movimento "Se non ora quando?" e dagli Istituti "Quarenghi Braschi" e "Giorgio Ambrosoli", sostenuto dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, con il patrocinio della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Presidente del Senato e del Presidente della Camera. "Un appuntamento di particolare rilievo per la sua valenza educativa e di relazione tra ragazze e ragazzi che si inserisce nel valore sociale del carcere come luogo non solo di detenzione ma di rieducazione e di reinserimento alla vita sociale, ma anche della scuola come luogo di apprendimento e di preparazione alla vita". Lo ha affermato Donatina Persichetti, Presidente della Consulta femminile. "L’esperienza fatta nella Sezione femminile del carcere di Rebibbia- continua Persichetti- ha arricchito di notevole valore umano il dialogo tra le nuove generazioni e il contesto sociale in cui agiscono, il confronto con questa nuova realtà rappresenta un nuovo tassello nella formazione delle ragazze e ragazzi per maturare la consapevolezza sul significato delle proprie azioni". Massa: cani randagi raccolti da "Lega del cane" in carcere per essere educati dai detenuti Ansa, 17 maggio 2014 I cani randagi raccolti dalla Lega del cane di Massa Carrara arrivano in carcere per essere educati dai detenuti. Il progetto con la casa di reclusione coinvolgerà 15 detenuti e numerosi randagi adulti che fanno fatica ad essere adottati. Un educatore professionista, in questi mesi, ha insegnato ai detenuti del carcere di Massa alcune tecniche che, una volta a settimana, metteranno in pratica con i randagi che passeranno due ore negli spazi aperti del penitenziario. Il progetto, iniziato da qualche settimana, ha già visto un cane adottato da una famiglia massese, proprio grazie all’aiuto di un detenuto del penitenziario di Massa. Ventimiglia (Im): commerciante ambulante ad arresti domiciliari, riceve sfratto esecutivo Il Secolo XIX, 17 maggio 2014 Situazione paradossale per un commerciante ambulante di Ventimiglia, che mentre sconta gli arresti domiciliari per avere aggredito un medico riceve lo sfratto esecutivo. A denunciare il caso il fratello dell’uomo, Vincenzo Mercurio, detenuto per aver aggredito e ferito con una bastonata lo scorso marzo un oculista che riteneva colpevole per la perdita, già tempo fa, della vista da un occhio. Mercurio sta scontando una pena a 1 anno e 6 mesi di reclusione, che aveva patteggiato davanti al giudice monocratico, il quale, pur trattandosi di una persona incensurata, aveva deciso di non concedere la sospensione della pena, ritenendo sussistente la possibilità di una nuova aggressione nei confronti del medico. In seguito alla perdita della vista, Mercurio ha perso il lavoro e per questo motivo è iniziata la morosità, culminata nello sfratto. "Qualcuno mi spieghi come si può ingiungere lo uno sfratto esecutivo ad un detenuto ai domiciliari - si è chiesto Pino Mercurio. In questi giorni ho saputo che è stato notificato a mio fratello l’atto dall’ufficiale giudiziario ed entro il prossimo 26 giugno Vincenzo dovrà lasciare casa". Genova: il teatro necessario nel carcere di Marassi di Moni Ovadia (Musicista e scrittore) L’Unità, 17 maggio 2014 L’Italia è un Paese molto malconcio che nutre in sé fra le sue molte contraddizioni intollerabili che non cessano di perpetuarsi con deprimente inesorabilità: quella fra il main stream di una classe dirigente politica, e non solo, tendenzialmente malintenzionata nei confronti dei cittadini onesti e minoranze di singole persone o gruppi che con commovente generosità nuotano controcorrente per mantenere aperti spazi di civiltà, di cultura, di sapere, per aprire piccole-grandi luci di dignità e di speranza anche al Belpaese. Mentre la casta si esibisce mediocremente nella retorica e nella falsa coscienza di dichiarazioni fruste del tipo: "Siamo un grande Paese, siamo stati la quinta, (poi la sesta, quindi la settima e via discendendo) economia mondiale", i grandi osservatori internazionali da lustri segnalano i nostri deficit e le nostre paurose arretratezze in ambiti decisivi per stabilire la qualità di un tessuto sociale, come l’esercizio della giustizia, l’accesso ai diritti, la libertà di stampa, i conflitti di interesse il sistema carcerario. E proprio i tratti di barbarie di quest’ultimo sono la principale delle vergogne alle quali, l’Europa (oggi si dice così non è vero?) ci ha chiesto di mettere immediatamente fine. Fra essi spicca quella dell’esiguo spazio di vita concesso ai carcerati, meno di quello elargito alle povere bestie condotte al macello. Ora, mentre il nostro governo, con molta calma, si mette in moto per farci uscire dall’infamia, ma solo "perché ce lo chiede l’Europa", un manipolo di donne e uomini di teatro, "il teatro necessario", in alleanza con un coraggioso e lungimirante direttore di carcere ha dato vita ad un magnifico atto di civiltà dell’uomo che in un luogo di reclusione illumina l’orizzonte di un’altra Italia possibile. Il carcere Marassi di Genova non solo ospita da anni corsi di teatro e di didattica teatrale nei suoi aspetti artistici, propedeutici, ma promuove anche laboratori di illuminotecnica, di falegnameria scenotecnica aperti anche ad altre popolazioni carcerarie, ma ha compiuto il miracolo di fare nascere, nel recinto del carcere, un vero e proprio edificio teatrale, tutto in legno trattato con gli ultimi ritrovati in termini di sicurezza anche grazie ai contributi di Fondazioni bancarie e culturali, di teatri genovesi e delle istituzioni pubbliche liguri. Tutto ciò all’insegna della consapevolezza che chi si trova in carcere non sia un sepolto vivo ma sia parte comunque integrante della società, in attesa della piena titolarità per rientrarvi e che, inaugurare una relazione culturale ed emozionale fra chi sta "dentro" e chi sta "fuori" - il teatro sarà aperto alla città - crei per ciò stesso un agire sociale che trasforma la violenza in incontro e conoscenza. Un teatro così è davvero necessario. Baro: "Pagliacci" secondo Marco Bellocchio… così racconto il dramma del carcere di Fiorella Sassanelli La Repubblica, 17 maggio 2014 "Pagliacci", opera che da sola tramanda il nome del suo autore (di musica e libretto), Ruggero Leoncavallo, è una storia di passionalità violenta. Canio, attore girovago, alla fine di una rappresentazione comica, accecato dalla gelosia, uccide sua moglie Nedda e l’amante di questa, Silvio. "Canio è un folle, un violento, giornalisticamente parlando un personaggio d’attualità", ha spiegato ieri mattina Marco Bellocchio, nel foyer del Petruzzelli, per introdurre la sua visione di quest’opera "semplice ma perfetta" interamente prodotta dalla Fondazione Petruzzelli per la stagione lirica, e in scena dal 21 al 29 maggio (info biglietteria 080.9752840). "La violenza di Canio che ammazza una donna è un tema che s’innesta bene in un concetto manicomial-criminale", ha aggiunto Bellocchio, che in passato aveva condotto il suo occhio critico all’interno di istituzioni quali collegi, carceri e ambienti militari per denunciarne soprusi e ingiustizie. "Il mio atteggiamento verso la lirica non va al di là di un nobile dilettantismo - ha premesso il regista - eppure da tempo pensavo di girare un film con la storia di Pagliacci ambientato in un manicomio criminale. Qui il direttore, spinto da scopi musicoterapici, e per alleviare le pene di quello stato, decide di allestire l’opera di Leoncavallo. Forse questo film non si farà mai, ecco perché quando il Petruzzelli mi ha chiesto un’opera da dirigere non ho avuto dubbi". L’allestimento prevede inoltre l’uso di proiezioni legate alla presenza di telecamere poste all’interno delle celle. Ambientare Pagliacci tra le mura di un luogo di pena è una scelta che "può piacere o meno", ha ammesso il sovrintendente Massimo Biscardi, il quale riconosce che quella di Bellocchio resta comunque una "costruzione interessante". E si tratta, ha aggiunto, "della prima produzione integrale della Fondazione Petruzzelli". "Ci si lamenta spesso che l’opera è troppo lunga - ha proseguito Biscardi - ma non sarà così questa volta, perché Pagliacci va in scena senza la tradizionale Cavalleria di Mascagni cui viene molto spesso abbinata. Del resto così avvenne al debutto, a Milano nel 1892. E allora, dopo appena un’ora e venti, la sera del 21 maggio, chi vorrà restare ancora in teatro, potrà approfittarne per una bicchierata con vino e taralli pugliesi offerta da Eventi d’autore". La lettura anticonvenzionale dell’opera si è rivelata una stimolante opportunità di lavoro per il direttore d’orchestra Paolo Carignani, finalmente in Italia tra un peregrinare continuo all’estero. "Ho trovato interessante risolvere insieme al regista dei problemi scenici che non vengono affrontati nella routine. È stato come tornare a leggere un libro senza le annotazioni prese la prima volta". Nelle otto repliche si alternano due cast, "diversi, ma dello stesso livello", affiancati dal Coro del Petruzzelli diretto da Franco Sebastiani e dal coro di voci bianche "all’Ottava" diretto da Emanuela Aymone. Arienzo (Ce): con "Teatro itinerante per la legalità" laboratorio di scenografia e costumi www.campanianotizie.com, 17 maggio 2014 Un video di 10 minuti per raccontare l’esperienza dei detenuti della Casa Circondariale di Arienzo che hanno partecipato al laboratorio di scenografia e costumi. Il laboratorio è stato realizzato nell’ambito del progetto "Teatro itinerante per la legalità", finanziato con il bando della micro progettazione sociale 2013 del Csv Asso.Vo.Ce, presentato dall’Associazione di Volontariato Koinè. Il video sarà presentato ai detenuti del laboratorio nella Casa Circondariale dove lo visioneranno per la prima volta. Grazie al laboratorio, il 6 e 7 maggio, 4 detenuti del laboratorio sono usciti senza scorta, affidati agli operatori dell’area educativa, per allestire, presso Officina Teatro a San Leucio di Caserta, le scene di una rappresentazione teatrale dal titolo "Silvia e i suoi colori" incentrata sul tema della legalità e ispirata ad un fatto di cronaca: la morte di Silvia Ruotolo, vittima innocente della Camorra. Lo spettacolo è una produzione di Gaetano Ippolito, che ha realizzato e ideato il progetto, grazie alla sensibilità e la disponibilità della direttrice della Casa Circondariale di Arienzo, la dott.ssa Maria Rosaria Casaburo. "Il progetto", spiega Gaetano Ippolito, "mira ad offrire ai detenuti l’opportunità di essere testimoni della legalità. Questo rappresenta uno degli aspetti innovativi dell’intervento Il video realizzato all’interno della Casa Circondariale di Arienzo raccoglie le interviste dei detenuti e l’esperienza progettuale nelle attività laboratoriali. Essi raccontano il proprio desiderio di riscatto sociale. Il risultato atteso è rafforzare la volontà dei detenuti di ricominciare al di fuori dal carcere una nuova esistenza all’insegna della legalità. Il fatto di essere protagonisti e testimoni di un progetto a favore della legalità può suscitare la consapevolezza che un’esistenza dignitosa è possibile senza essere compromessi in azioni criminose". Gli stessi detenuti, insieme ad altri 7 compagni avevano precedentemente realizzato i costumi e le scenografie dello spettacolo teatrale, guidati dall’esperta del settore Teresa Papa. L’iniziativa si è svolta nel massimo della regolarità ed è stata di grande impatto emotivo e sociale per i ristretti, che hanno avuto la possibilità, grazie alla sensibilità del Magistrato di Sorveglianza competente, di presenziare venerdì 8 maggio anche alla prima dello spettacolo, che ha riscosso molto consenso tra gli spettatori. La rappresentazione, nell’ambito di un progetto di Teatro Itinerante, sarà portata su altri palcoscenici e, in una delle prossime tappe, si auspica possano assistere allo spettacolo anche i restanti detenuti che hanno lavorato alla creazione dei costumi e degli oggetti di scena. Le prossime date dello spettacolo si svolgeranno nei comuni di S. Felice a Cancello, S. Maria a Vico e Arienzo. Foggia: quando lo sport diventa solidale, il Foggia Calcio sfida i detenuti www.ilrestodelgargano.it, 17 maggio 2014 A Foggia scende in campo la solidarietà. Si è disputata mercoledì 14 maggio la partita di calcio tra il Foggia Calcio e detenuti del carcere Foggia. Due tempi da 30 minuti che finiscono con un 6 contro 6 nel segno dell’armonia. Socializzare e sconfiggere la solitudine dei detenuti con il calcio. Questo l’obiettivo della partita amichevole che si è disputata tra alcuni calciatori rossoneri e una rappresentativa del "Vecchio complesso". L’iniziativa che si chiama "Sportivamente2014" rientra nell’ambito delle attività per la rieducazione e il reintegro dei detenuti nella società di cui è promotore Luigi Talenti che nella vita fa l’avvocato ma che ha deciso di dedicarsi anima e corpo ai detenuti della casa circondariale di Foggia offrendo il suo contributo come insegnante. La manifestazione si è svolta nel campo di calcetto all’interno della casa circondariale di Foggia con il consenso della direttrice Mara Affatato, del comandante della penitenziaria Antonio Antonica e della responsabile dell’area trattamentale Eleonora Arena. "I detenuti non vedevano l’ora che si disputasse la gara - ha spiegato l’avvocato Talenti - molti sono tifosi del Foggia e per loro è stata una grande occasione per dimenticare per un attimo tutti i problemi". Entusiasmo anche tra calciatori del Foggia che ha confermato il forte impegno di carattere sociale della società rossonera. India: il partito nazionalista indù di Narendra Modi… deciderà sui marò di Stefano Magni L’Opinione, 17 maggio 2014 Come era stato ampiamente previsto, in India il Partito del Congresso (quello dei Gandhi) ha perso le elezioni nazionali. Vince il Bjp, il partito nazionalista indù di Narendra Modi, con una maggioranza molto ampia. Era quel che ci si aspettava, ma anche quello che si temeva. Se la cosa non ci riguardasse da vicino, potremmo stare anche molto più tranquilli. Ma la questione, purtroppo, ci riguarda da vicino. Perché è stato proprio a causa dell’ascesa del Bjp che il governo di Manmoan Singh (guidato ancora dal Partito del Congresso) ha tenuto in carcere i due marò italiani, giusto per non sfigurare di fronte al rivale nazionalista. Ed è stato proprio il Bjp, in questi due anni, a pretendere una "punizione esemplare" per i nostri due militari, a organizzare manifestazioni anti-italiane nello Stato del Kerala e a chiedere la pena di morte. Il comportamento ambiguo del partito di governo è stato dettato, appunto, dalla necessità elettorale di strappare voti al Bjp. Ma adesso che sono i nazionalisti al governo? Noi cosa ci dovremmo attendere? L’incognita è pesante, soprattutto considerando le grandi occasioni che abbiamo avuto di riportare a casa i nostri militari. In particolar modo va ricordata la famosa licenza del Natale 2012-2013, quando il ministro Terzi, contro il parere del premier Monti e del presidente Napolitano, era convinto di tenere Latorre e Girone in Italia. Nel nome degli impegni presi con l’India e del rispetto delle promesse, per dare un’immagine di rispettabilità internazionale, il premier Mario Monti, d’accordo con il presidente Napolitano, ha pubblicamente sconfessato il suo ministro degli Esteri e riconsegnato i due marò all’India. Purtroppo, a ignorare le regole, gli impegni presi e la rispettabilità internazionale, da quel momento in poi, è stata l’India. L’udienza per i due fucilieri di marina italiani si sarebbe dovuta tenere entro l’estate del 2013, ma tuttora è impantanata in vari labirinti politici e burocratici indiani. Ad oggi non abbiamo garanzie che i marò non vengano condannati a morte, non sappiamo se l’India consideri l’idea di trasferire il processo in Italia, considerando che il presunto reato (sempre che sia stato commesso) si sarebbe consumato su una nave italiana, dunque sul nostro suolo nazionale, in acque internazionali. Ma l’udienza non si è fatta, i fucilieri di marina hanno compiuto il loro secondo anno di prigionia indiana. Il rinvio è stato fortemente condizionato dai tempi politici. Inizialmente pareva coincidere, in modo molto sospetto, con le elezioni nello stato del Kerala. Poi si è capito che né i giudici, né il governo volevano prendere una decisione che fosse una fino alle elezioni nazionali. E il Bjp ha fatto a tempo a vincerle. E adesso? Sul futuro le analisi si dividono in previsioni positive e negative in egual misura. Secondo gli ottimisti, la vittoria di Modi potrebbe sbloccare la nostra vicenda. Perché a tenerla in stallo non era tanto il colore politico del governo, ma il fatto stesso che fosse in stallo, che il suo potere fosse conteso con un rivale forte. Ora, un governo sostenuto da una maggioranza stabile, lontano da scadenze elettorali, potrebbe di per sé sbloccare la situazione. Tanto più che Modi fa paura a molti (soprattutto a Cina, Pakistan e, di riflesso, anche agli Stati Uniti), dunque deve trovare un modo, facile e a costo zero, per accreditarsi agli occhi del mondo come leader affidabile e pragmatico. Forse però, queste sono solo speranze. Perché, se guardiamo allo storico di dichiarazioni e prese di posizione del Bjp sui due marò troviamo, appunto, una presa di posizione fortemente nazionalista, anti-italiana e pregiudizialmente colpevolista. Stati Uniti: ricerca dell’Università di Georgia, ecco perché gli ex detenuti vivono di meno di Grazia Musumeci www.benessere.guidone.it, 17 maggio 2014 Come si intreccia la medicina con la criminologia? Conosciamo tutti le imprese (televisive e reali) di Csi oppure degli italianissimi Ris. Sappiamo che la medicina aiuta a smascherare omicidi, che l’autopsia svela misteri su morti violente e così via. Ma non avevamo ancora visto la medicina applicata alla criminologia come diagnostica, prima che uscisse lo studio del criminologo americano William A. Pridemore. Professore presso l’Università di Georgia (Usa), Pridemore ha condotto una ricerca sullo stato di salute dei detenuti, prima, durante e dopo la prigionia e ha stabilito che la prigione inficia la salute delle persone al punto che gli ex detenuti (soprattutto gli uomini) muoiono molto prima rispetto a chi ha la fedina pulita. Persone che sono state arrestate e poi rilasciate hanno insomma il doppio delle probabilità di morire prematuramente. Le motivazioni sono leggibili sulla rivista "Journal of Health and Social Behavior" e riguardano infezioni, malattie mal curate, overdose e omicidio. Naturalmente le ultime due varianti si riferiscono principalmente alla vita del soggetto dopo il rilascio, mentre le prime due possono aver inizio in carcere, in base alle condizioni di igiene e di salute che ogni struttura carceraria pratica al suo interno. Le nuove cause di mortalità che si aggiungono a quelle già elencate includono il ritorno della Tbc e l’HIv, spettro mai sopito della malattia del secolo, e ovviamente anche una buona dose di stress che nasce dalla durezza dell’ambiente. Lo stress spesso segue il detenuto anche quando esce di prigione e stenta a reinserirsi nel mondo del lavoro, rendendo il suo sistema immunitario più debole e vulnerabile. Dunque, in questo caso, le schede mediche di un detenuto possono diagnosticare, prevedere -e prevenire- un peggioramento della sua salute e porvi rimedio non appena uscirà. Medio Oriente: prosegue protesta di detenuti palestinesi contro la "detenzione arbitraria" Aki, 17 maggio 2014 I detenuti palestinesi nelle carceri israeliane hanno deciso di estendere lo sciopero della fame intrapreso 23 giorni fa da un gruppo di prigionieri in regime di detenzione amministrativa a tutti i "volontari". È quanto ha riferito all’agenzia palestinese Maan il direttore del Centro studi dei detenuti, l’ex prigioniero Raafat Hamdouna. In una lettera pervenuta al Centro, i detenuti affermano di aver "deciso di dare la possibilità ai volontari che desiderano arruolarsi in questa battaglia di intraprendere lo sciopero della fame". La settimana scorsa 5.000 detenuti palestinesi avevano partecipato a uno sciopero di solidarietà con i prigionieri in regime di detenzione amministrativa nelle carceri israeliane che da 15 giorni stavano conducendo lo sciopero della fame in segno di protesta contro la loro "detenzione arbitraria e i maltrattamenti subiti". In quell’occasione, avevano minacciato di allargare la protesta se le autorità israeliane non avessero soddisfatto le richieste dei prigionieri entro una settimana. Egitto: la situazione dei giornalisti di Al Jazeera detenuti in attesa di processo www.internazionale.it, 17 maggio 2014 Il 15 maggio tre avvocati che rappresentavano due dei giornalisti di Al Jazeera detenuti in Egitto dal 29 dicembre 2013 hanno improvvisamente lasciato il caso. Per i tre legali l’emittente del Qatar sta utilizzando l’arresto dei loro corrispondenti per screditare l’immagine del paese. "Offende l’Egitto", ha dichiarato l’avvocato Farag Fathi nell’aula giudiziaria. Il corrispondente australiano Peter Greste e i suoi due colleghi egiziani Mohamed Fahmy e Baher Mohamed sono sotto processo per come hanno coperto gli eventi successivi al colpo di stato del luglio del 2013, quando le forze armate egiziane hanno destituito il presidente Mohamed Morsi. Raccontando la violenta repressione da parte dell’esercito delle proteste dei Fratelli musulmani, l’organizzazione islamista a cui appartiene Morsi, avrebbero "cercato di dare all’estero l’impressione che il paese stesse attraversando una guerra civile". Per questo l’imputazione da cui i giornalisti devono difendersi è di aver collaborato con un’organizzazione terroristica e di aver messo in pericolo la sicurezza dello stato. Il processo contro Greste, Fahmy e Mohamed è cominciato il 20 febbraio e coinvolge altre 14 persone, alcune processate in contumacia. Tra gli imputati ci sono anche studenti che si sono opposti alla cacciata di Morsi. I tre giornalisti di Al Jazeera dicono di non avere nessun legame con loro. La prossima udienza è fissata per il 22 maggio ma l’abbandono dei tre legali sembra ridurre le possibilità di un esito favorevole per gli imputati. È la prima volta che in Egitto dei giornalisti sono incriminati per reati legati al terrorismo, aveva scritto il quotidiano egiziano Al Ahram in un articolo uscito a inizio marzo. Per queste imputazioni rischiano pene dai 5 ai 15 anni di reclusione. Il caso Elshamy. Il 15 maggio c’è stata anche l’udienza di un altro processo che coinvolge un altro giornalista di Al Jazeera, Abdullah Elshamy, di 26 anni. Elshamy è stato arrestato dalla polizia egiziana il 14 agosto 2013, mentre stava seguendo l’azione delle forze di sicurezza contro un sit-in dei Fratelli musulmani nella moschea di Rabaa al Adawiya, in cui centinaia di persone hanno perso la vita. Due giorni dopo l’arresto il giornalista è stato accusato di far parte di un gruppo illegale, di aver attaccato pubblici ufficiali, di violenze e sabotaggio. Per denunciare il suo trattamento da parte del governo Elshamy ha cominciato uno sciopero della fame, che va avanti da più di cento giorni. Il 12 maggio è stato trasferito in una cella d’isolamento del carcere di massima sicurezza di Tora, ma prima è riuscito a girare un video, diffuso il 14 maggio. "Sono un giornalista di Al Jazeera", dice Elshamy nel video. "Sono rinchiuso in una prigione del Cairo dal 14 agosto, dopo aver seguito i fatti alla moschea di Rabaa al Adawiya. Stavo svolgendo il mio lavoro e le autorità lo sanno, ma nonostante questo sono in carcere da 266 giorni". Il giornalista ha aggiunto di aver chiesto assistenza medica al di fuori del carcere, ma che questa gli è stata negata. Sulla libertà di stampa. Da quando Morsi è stato deposto Al Jazeera - emittente controllata direttamente dalla famiglia reale del Qatar, che dagli anni novanta sostiene la Fratellanza musulmana - ha ripreso a criticare il crescente autoritarismo e la repressione della libertà di stampa nel paese, e molti dei suoi giornalisti sono stati arrestati, picchiati e intimiditi. Le sedi dei canali locali di Al Jazeera al Cairo sono chiuse dal 3 luglio del 2013, dopo un’irruzione delle forze di sicurezza. Solo per una delle sedfi, Al Jazeera Mubasher Misr, l’intervento degli agenti è stato autorizzato da un’ordinanza del tribunale. Negli ultimi mesi associazioni per la libertà di stampa e giornalisti di tutto il mondo hanno chiesto il rilascio degli imputati. In aula reporter al-Jazeera detenuto e in sciopero fame Abdullah Elshamy, un giornalista di al-Jazeera detenuto senza accuse in Egitto, è comparso in tribunale e ha annunciato che continuerà lo sciopero della fame iniziato più di 100 giorni fa, nonostante sia stato spostato in isolamento. Il 26enne era stato arrestato nelle repressioni del sit-in di sostenitori del presidente deposto Mohammed Morsi vicino alla moschea Rabaah al-Adawiya al Cairo il 14 agosto dell’anno scorso. Due giorni dopo l’arresto era stato accusato di appartenenza a un gruppo illegale, aggressioni a funzionari governativi e altri atti di violenza, ma non è mai stato formalmente incriminato. Elshamy ha riferito in tribunale che alcuni agenti hanno cercato di costringerlo a mangiare dopo averlo trasferito in isolamento lunedì. Secondo i suoi familiari, l’uomo soffre di grave anemia e ha problemi ai reni. La famiglia ha chiesto che il reporter venga trasferito in ospedale, mentre Amnesty International ha accusato le autorità di avergli negato una visita medica nonostante le sue ripetute richieste. L’ong ha fatto appello per il rilascio di Elshamy, affermando che l’uomo sia "imprigionato soltanto per il suo lavoro giornalistico". Secondo il gruppo per i diritti umani, il 26enne è stato picchiato dagli agenti durante trasferimenti da un carcere all’altro. Attualmente è detenuto nella prigione di Torah. Il governo ad interim egiziano accusa al-Jazeera di agire come piattaforma per i Fratelli musulmani, dichiarati un’organizzazione terroristica. L’emittente con sede in Qatar e i suoi giornalisti respingono l’accusa. Svizzera: nelle carceri elvetiche mancano 720 posti, avviati progetti di ingrandimento www.tio.ch, 17 maggio 2014 Le carceri svizzere continuano ad essere sovraffollate, in particolare in Romandia. A lanciare l’allarme è la Conferenza dei direttori cantonali di giustizia e polizia (Cddgp), che in un rapporto pubblicato oggi stima in 720 i posti mancanti in Svizzera per l’esecuzione delle pene in istituto chiuso. In molti stabilimenti carcerari del paese sono stati avviati progetti di ingrandimento che porteranno tuttavia solo circa 600 nuovi posti. "I cantoni devono quindi prevedere interventi supplementari", sottolinea in una nota la Cddgp, facendo notare come la situazione sia difficile anche per quanto riguarda le strutture per il trattamento dei criminali con turbe psichiche, dove mancano 209 posti. È in Svizzera romanda che appare più urgente correre ai ripari. Nei cantoni che aderiscono al Concordato latino mancano infatti circa 500 posti, stimano gli esperti consultati dalla Cddgp. Questi ultimi ricordano comunque che la maggior parte degli interventi pianificati - per un totale di 445 posti - verrà realizzata nei cantoni che aderiscono a questa convenzione, sottoscritta anche dal Ticino. Secondo la Cddgp, all’origine del sovraffollamento delle carceri c’è la tendenza da parte dei tribunali a pronunciare sempre più spesso sentenze che prevedono pene e misure da scontare in un istituto chiuso. "Parallelamente diminuisce il numero delle scarcerazioni". La carenza - precisa la Cddgp - è quindi da ricondurre in primo luogo alla modifica della giustizia penale e più in generale della percezione del concetto di sicurezza da parte della società. È chiaro che d’ora in poi la pianificazione deve andare oltre i limiti dei concordati, conclude la Cddgp, annunciando da parte sua la volontà di fare il punto della situazione ogni anno. Uruguay: il Paese accoglierà sei detenuti di Guantánamo, decisione di Presidente Mujica di Patrizio Cairoli www.america24.com, 17 maggio 2014 L’Uruguay è pronto ad accogliere sei detenuti di Guantánamo. È stato il Presidente dello Stato sudamericano, José Mujica - che pochi giorni fa ha incontrato l’omologo statunitense, Barack Obama - a rivelarlo in un’intervista. Washington, però, deve agire velocemente. "Non posso aspettare a lungo - si legge sul Washington Post - ho solo pochi mesi ancora di governo", visto che il suo mandato scadrà alla fine del prossimo febbraio. Mujica, infatti, ha dichiarato di aver acconsentito alla richiesta già quattro mesi fa. Obama ha promesso la chiusura del centro di detenzione sull’isola di Cuba subito dopo essere stato eletto, ma ha incontrato notevoli difficoltà. Il campo di prigionia è stato creato dopo gli attentati dell’11 settembre 2001 da George W. Bush, ma da anni vi sono rinchiusi molti presunti terroristi che non sono mai stati accusati formalmente di alcun reato. Washington sta cercando di rimpatriare i prigionieri o di consegnarli a Paesi terzi, nel caso fosse pericoloso farli tornare nel Paese di provenienza. Gli uomini che l’Uruguay ha deciso di accogliere fanno parte di un gruppo considerato particolarmente difficile da spostare: la disponibilità di Mujica dovrebbe permettere la liberazione degli ultimi quattro siriani detenuti, più un palestinese e un tunisino. Le associazioni dei diritti umani sperano che la mossa dell’Uruguay spinga altre nazioni ad aprire le loro porte ai prigionieri ancora rinchiusi a Guantánamo (al momento 154). Mujica, 78 anni, ex guerrigliero, è diventato famoso in tutto il mondo per lo stile sobrio e le posizioni liberali da presidente - in un Paese di tre milioni di abitanti - dal riconoscimento dei matrimoni tra persone dello stesso sesso alla legalizzazione della vendita di piccole quantità di marijuana. "Ho sempre pensato che fosse giusta la volontà di Obama di risolvere questa situazione" ha detto, definendo la prigione di Guantánamo una disgrazia per gli Stati Uniti, "che in una mano vogliono sventolare la bandiera dei diritti umani e si arrogano il diritto di criticare l’intero mondo, e poi si rendono colpevoli di questa vergogna". La decisione di assecondare la richiesta di Obama riflette anche l’esperienza vissuta dallo stesso Mujica, che ha trascorso da giovane 13 anni in prigione, in gran parte in isolamento, sotto la dittatura militare. "Conosco - ha detto - le prigioni dall’interno". Così, quando l’ambasciatore statunitense gli ha chiesto di accettare alcuni detenuti, ha immediatamente accettato, senza voler nulla in cambio. Spostare i prigionieri, però, non è semplice. Anche se il governo americano ha dato il via libera per il loro rilascio, il dipartimento di Stato e quello della Difesa devono approvare la loro destinazione finale; tra le altre cose, devono assicurarsi che le nazioni che li ospiteranno facciano in modo che i detenuti non diventino una minaccia per la sicurezza. Mujica ha però specificato che li considererà dei normali rifugiati e che non intende controllarli. "Non siamo i secondini del governo statunitense. Offriamo solidarietà - ha concluso - è una questione di diritti umani". Guatemala: 3 detenuti uccisi, ex capo della polizia Sperisen nega qualsiasi responsabilità www.tio.ch, 17 maggio 2014 L’ex capo della polizia nazionale guatemalteca Erwin Sperisen ha negato oggi qualsiasi responsabilità nell’esecuzione, da parte di membri delle forze dell’ordine, di tre detenuti evasi nel 2005 dal carcere "El Infiernito" in Guatemala. Al secondo giorno del processo intentatogli per questo motivo a Ginevra, il 43enne ha affermato di essere stato informato delle circostanze del loro decesso dopo essere giunto in Svizzera. "Non sapevo che uno degli evasi era stato arrestato il giorno prima della morte. Mi è stato detto che era stato ucciso perché si opponeva al suo arresto", ha dichiarato Sperisen ai giudici. La presidente del Tribunale criminale di Ginevra, Isabelle Cuandet, ha allora ordinato la diffusione di un video in cui è ritratto un uomo seduto in un veicolo, la testa chinata e le mani legate dietro la schiena, che subisce un interrogatorio. La persona in questione sarebbe il fuggiasco rinvenuto l’indomani in una vettura con il corpo crivellato di pallottole e un’arma fra le ginocchia. Il capo della polizia guatemalteca ha pure negato qualsiasi responsabilità nella morte di altri due evasi, catturati dopo un inseguimento durato giorni e i cui cadaveri sarebbero stati gettati da un elicottero su un campo di pallacanestro. Al riguardo, Sperisen ha indicato di essere stato informato che i fuggiaschi erano morti dopo uno scontro con la polizia. L’imputato ha anche affermato di non aver saputo di un’operazione clandestina che avrebbe avuto quale obiettivo di eliminare i detenuti fuggiti dal carcere. Come già ieri, le risposte evasive dell’imputato hanno irritato la presidente Cuandet: "O lei è una marionetta manipolata dai politici e non sapeva niente e non capiva niente, oppure gli ordini venivano da lei e spettava a lei sorvegliare la loro esecuzione", ha dichiarato. Secondo Sperisen era invece impossibile essere informato di tutto e sorvegliare ogni cosa. "Le ricordo che all’epoca si registravano in Guatemala da 4.000 a 5.000 omicidi all’anno, senza contare gli incidenti e i casi legati al traffico di droga", si è difeso. Il processo è proseguito nel pomeriggio con l’interrogatorio di Sperisen in merito all’intervento delle forze dell’ordine nel 2006 nella prigione di Pavon, volto a riprendere il sopravvento nel carcere, controllato dai detenuti. L’operazione era terminata con la morte di sette prigionieri. Sudan: no alla pena di morte per Meriam, la donna cristiana avrà un nuovo processo www.tgcom24, 17 maggio 2014 Meriam Yahia Ibrahim, la donna sudanese incinta condannata a morte per apostasia per aver sposato un cristiano "avrà un nuovo processo che esclude la pena capitale". Lo annuncia Antonella Napoli, presidente di "Italians For Darfur". "Il nuovo pronunciamento dei giudici è atteso a breve, tra poche settimane", conclude. Meriam era stata condanna a morte per impiccagione da un tribunale di Khartoum con l’accusa di apostasia, perché cristiana, pur avendo padre musulmano. La sentenza prevedeva anche 100 frustate per "adulterio", avendo sposato un cristiano. La donna è in carcere, con un altro figlio di 20 mesi, dopo essere era stata arrestata lo scorso febbraio in seguito alla denuncia di un parente. All’udienza il giudice Abbas Mohammed Al-Khalifa si è rivolto all’imputata chiamandola con il nome arabo, Adraf Al-Hadi Mohammed Abdullah e le ha chiesto se rifiutava di convertirsi nuovamente all’Islam. "Io sono cristiana e non ho commesso apostasia", aveva replicato la giovane. Da qui la sentenza. La notizia di oggi, confermata dalla Ong Sudan Change Now, arriva dopo la mobilitazione di tutto il mondo contro la decisione del giudice.