Giustizia: il detenuto più "pericoloso"? quello che conosce e fa valere i suoi diritti di Piero Sansonetti Gli Altri, 16 maggio 2014 "Ce lo chiede l’Europa", il mantra che i tutti i Governi che sono succeduti usano per giustificare le politiche di "lacrime e sangue". Questa è l’Europa del mercato unico, dei tecnocrati e dell’esautorazione del potere politico al quale gli rimane esclusivamente la gestione repressiva dello Stato. La crisi democratica è evidente, e per questo come reazione aumentano i nazionalismi e populismi di matrice xenofoba e securitaria. Ma c’è anche l’altro volto dell’Europa che mira però a difendere la concezione del diritto, e per questo, attraverso la Corte di Strasburgo, ci bacchetta e condanna in continuazione. In questo caso i nostri governanti, per questioni vigliaccamente elettorali, fanno orecchie da mercante o, nel caso migliore, prendono provvedimenti insufficienti. Adriano Sofri , in un suo prezioso scritto, cita un’intervista apparsa su Le Monde nei confronti di Jean-Marie Delarue, "Controllore generale dei luoghi di privazione della libertà", carica istituita in Francia nel 2008 (in Italia ancora stiamo aspettando l’istituzione del garante nazionale dei detenuti). Illustrandone il sesto rapporto, all’ultimo anno del suo mandato, Delarue spiega che il detenuto che oggi "bisogna far tacere a tutti i costi" è il "procedurista", quello deciso a far uso di tutte le procedure, consentite dalla legge, quello che presenta esposti e denunce contro tutto ciò che nella condizione del carcere viola i suoi diritti. In Italia, grazie soprattutto agli interventi dei Radicali, alcuni detenuti hanno imparato ad utilizzare l’arma non violenta: quella di rivendicare i propri diritti attraverso le vie legali. Sono loro i più pericolosi per il sistema visto che riescono a colpire la parte più sensibile dello Stato: i soldi dei contribuenti. E grazie alle loro denunce, il problema vergognoso delle nostre carceri è diventato una questione europea. In questo mese c’è una scadenza importante perché il 28 maggio termina l’anno concesso all’Italia dalla stessa Corte di Strasburgo per cancellare la condizione "inumana" delle sue 205 carceri. Nel maggio 2013 la Cedu aveva condannato l’Italia a risarcire con 100 mila euro ben sette detenuti a Busto Arsizio e a Piacenza, sottoposti a "condizioni inumane e degradanti, e assimilabili alla tortura": i reclusi disponevano di soli 3 metri quadrati a testa. L’allora governo italiano riuscì ad ottenere una proroga ottenendo la sospensione di altri 8mila ricorsi pendenti contro il sovraffollamento. Ora il tempo è scaduto e i dati sono sconfortanti visto che i decreti contro il sovraffollamento sono stati insufficienti (altro che svuota carceri come paventavano i giustizialisti creando allarmismo in cattiva fede) e recentemente il Consiglio d’Europa ha denunciato che l’Italia, quanto a sovraffollamento, è seconda solo alla Serbia. Questa è la nostra situazione vergognosa del sistema carcerario, e se vogliamo evitare l’ulteriore condanna (che ci andrà a costare dai 100 ai 300 milioni di euro) l’unica strada immediata è quella di varare l’amnistia e l’indulto, accompagnandoli con riforme strutturali: quando una situazione è in stato comatoso, prima si pensa a salvare la vita (amnistia) e subito dopo la terapia (riforme). Ma il Governo Renzi non lo farà mai, soprattutto quando c’è un’altra imminente scadenza: quella elettorale. E si sa, difendere le condizioni inumane delle persone confinate nelle celle, non porta voti. Giustizia: Napolitano; nelle carceri sovraffollamento e sofferenza umana intollerabili Tm News, 16 maggio 2014 Nelle carceri c’è una "critica, intollerabile situazione di sovraffollamento cui è urgente porre adeguato rimedio". Lo afferma il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nel messaggio inviato al Capo del Dipartimento della Amministrazione Penitenziaria, Giovanni Tamburino in occasione del 197° anniversario della costituzione del Corpo. Per il capo dello Stato occorre "un ripensamento del sistema sanzionatorio e una rimodulazione dell’esecuzione della pena, indispensabili per superare la realtà di degrado civile e di sofferenza umana riscontrabile negli istituti". Il Messaggio integrale del Presidente Napolitano "In occasione del 197° anniversario della costituzione del Corpo sono lieto di formulare, a nome di tutta la Nazione e mio personale, le più vive espressioni di gratitudine agli uomini e alle donne della Polizia Penitenziaria per il costante e generoso impegno che pongono nell’adempimento dei loro doveri istituzionali. La presenza vigile e la non comune professionalità del Corpo di Polizia Penitenziaria hanno consentito di mantenere l’ordine e la sicurezza negli Istituti nonostante la critica, intollerabile situazione di sovraffollamento - cui è urgente porre adeguato rimedio - e hanno contestualmente assecondato il percorso di rieducazione dei detenuti, contribuendo all’adempimento di precisi obblighi di natura costituzionale. Sono certo che il continuo sforzo di aggiornamento, lo spirito di servizio e il profondo senso dell’istituzione che connotano la Polizia Penitenziaria ne agevoleranno l’utile impiego anche nell’ottica di un ripensamento del sistema sanzionatorio e di una rimodulazione dell’esecuzione della pena, indispensabili per superare la realtà di degrado civile e di sofferenza umana riscontrabile negli istituti. Con il pensiero rivolto agli appartenenti al Corpo che hanno operato fino all’estremo sacrificio nell’assolvimento dei loro compiti, giungano a tutti voi, ai vostri colleghi non più in servizio e alle vostre famiglie i più fervidi voti augurali". Giustizia: Napolitano; le carceri sono umane, ripensare sanzioni ed esecuzione della pena di Eleonora Martini Il Manifesto, 16 maggio 2014 Sovraffollamento. L’appello del capo dello Stato: "Ripensare le sanzioni e l’esecuzione della pena". In attesa della Cassazione sui condannati con la legge Fini-Giovanardi. Questa volta il capo dello Stato non si è limitato a ripetere l’appello che rivolge - inascoltato - da quasi tre anni alla classe politica riguardo "l’intollerabile situazione di sovraffollamento" carcerario. Questa volta Giorgio Napolitano è andato oltre, indicando la via, evidentemente nascosta agli occhi degli organi legislativi di questo Paese: "Un ripensamento del sistema sanzionatorio e una rimodulazione dell’esecuzione della pena - ha scritto nel messaggio inviato al capo del Dap, Giovanni Tamburino, in occasione del 197esimo anniversario della Polizia penitenziaria - sono indispensabili per superare la realtà di degrado civile e di sofferenza umana riscontrabile negli istituti". Fin dal giugno 2011 il presidente della Repubblica si è schierato al fianco di Marco Pannella nella sua lotta nonviolenta per ripristinare lo stato di legalità nelle carceri italiane. Ma neppure la recente telefonata di Papa Bergoglio al leader radicale sembra aver smosso le sopite coscienze politiche. Ora l’appello del presidente della Repubblica diventa più incisivo in vista ormai della dead-line di fine mese imposta all’Italia dalla Corte europea dei diritti umani per trovare "soluzioni strutturali" alla condizione di vita dei suoi detenuti, ritenuta "inumana e degradante", a cui si aggiunge un’altra scadenza meno gravida di conseguenze ma pure decisamente importante. Il 29 maggio infatti, proprio quando potrebbero scattare le sanzioni europee assai pesanti per le casse dello Stato italiano, la Corte di Cassazione a Sezioni unite si dovrà pronunciare sulla rideterminazione delle pene in esecuzione a seguito di condanne definitive avvenute sulla base di leggi dichiarate incostituzionali dalla Consulta, anche nel caso in cui rimanga in vigore il quadro normativo generale da cui quelle leggi sono tratte. Se ne è parlato proprio ieri, mentre le parole di Napolitano rimbalzavano sui media, nella sala del Senato Santa Maria in Aquiro, in un convegno organizzato dalla Società della Ragione e dall’Unione delle camere penali, in collaborazione con Antigone, Cnca, Cgil e Forum Droghe, dal titolo "Eseguire una pena illegittima?". Il caso a cui le Sezioni unite della Cassazione sono chiamate a pronunciarsi riguarda l’incostituzionalità, dichiarata dalla Consulta con la sentenza 251 del 2012, di una norma contenuta nella cosiddetta ex Cirielli che faceva prevalere l’aggravante della recidiva sull’attenuante della lieve entità in caso di violazione della legge sugli stupefacenti (articolo 73 del testo unico). Nel frattempo - ma il quesito non cambia - l’ultimo decreto Severino, il cosiddetto "svuota carceri" convertito in legge nel febbraio scorso, ha trasformato l’attenuante del piccolo spaccio in fattispecie autonoma di reato. "Una norma - ha spiegato Luigi Saraceni, tra i tanti relatori del convegno coordinato dal garante dei detenuti della Toscana, Franco Corleone, e presieduto dal presidente di Antigone, Stefano Anastasia - che ha imposto anni di carcere anche solo per cessione di uno spinello, nel caso di reiterazione del reato. Una delle tante leggi indecenti e spietate, eredità delle legislature di centrodestra". Come la Fini-Giovanardi e il reato di "clandestinità", entrambi spazzati via dalla Consulta. Ed è proprio su questi due nodi - droghe e immigrazione - che si avranno le maggiori ricadute della sentenza della Cassazione attesa a fine mese, visto che, al di là del caso specifico, riguarda in via generale la possibilità di rimettere in discussione le condanne passate in giudicato - un totem di intangibilità, secondo una certa interpretazione giurisprudenziale - sulla base di norme dichiarate successivamente incostituzionali, sia pur parzialmente. È proprio il caso della legge Fini-Giovanardi che ha triplicato le pene minime e quasi quadruplicato le pene massime dello spaccio della cannabis portando in cella migliaia di persone: "Secondo i dati del Dap - racconta Corleone - nel 2013 su 59.390 ingressi in carcere, 20.718 erano per violazione dell’articolo 73 della legge sulle droghe. Alla fine di quell’anno, dei 62.536 presenti negli istituti penitenziari, più di 24 mila erano dentro per violazione di quella normativa incostituzionale". E se l’interpretazione giurisprudenziale della questione è assai complessa, e anche controversa - a giudicare dal dibattito apertosi durante il convegno, per esempio tra il procuratore aggiunto di Napoli, Nunzio Fragliasso, e il Gip del tribunale di Perugia, Luca Semeraro - tanto più è necessario l’intervento del legislatore. Non solo per non lasciare ai tribunali ciò che sarebbe compito della politica, ma anche per evitare la discrezionalità dei giudici davanti alle tante richieste di ricalcolo della pena già presentate in queste poche settimane. C’è poi un provvedimento che risolverebbe velocemente ed equamente la questione, come hanno sottolineato gli intervenuti al convegno. L’amnistia, specifica se non generalizzata. Ma è una parola che Napolitano ieri non ha pronunciato. Giustizia: Napolitano striglia il Dap; carceri ancora sovraffollate... servono rimedi urgenti di Dimitri Buffa www.italia-24news.it, 16 maggio 2014 Le carceri italiane rappresentano "un’intollerabile situazione di sovraffollamento, cui è urgente porre adeguato rimedio". Napolitano approfitta della celebrazione del 197esimo anniversario della formazione del corpo di polizia penitenziaria per rovinare la festa al ministro guardasigilli Andrea Orlando che va in tv (quasi ovunque) e nei consessi istituzionali a vendere il fatto che ormai l’emergenza del sovraffollamento delle galere italiane sarebbe un lontano ricordo e che non ci sarebbe nulla da temere il 28 maggio dalla Cedu. Cui però il ministro ha anche chiesto una proroga di sapore squisitamente burocratico. Napolitano comunque non ci sta e sceglie il giorno della festa della polizia penitenziaria per avvisare il direttore del Dap Giovanni Tamburino, e tramite lui il ministro, che ci sta ancora molta, troppa, strada da fare. E che occorre adeguare la normativa sanzionatoria e "ripensare e rimodulare l’esecuzione della pena". In pratica una sconfessione implicita di questo ottimismo ministeriale che arriva pochi giorni dopo un incontro ufficiale di Napolitano con Marco Pannella, Rita Bernardini e Maurizio Turco, vale a dire lo stato maggiore del partito radicale, transnazionale e non,ricevuti cortesemente per sentire le loro lagnanze tanto sulla situazione di illegalità perdurante nelle carceri quanto per contestare i dati e le affermazioni reiterate in diverse sedi, anche istituzionali, da Andrea Orlando. Non c’è dubbio che l’intervento odierno del Capo dello stato segni un punto a favore della "narrazione" pannelliana del caso Italia e del problema delle carceri e della giustizia. Per Orlando una bella gatta da pelare. Patriarca (Pd): incrementare misure alternative "Dobbiamo incrementare le misure alternative al carcere e spingere sul reinserimento dei detenuti. Questo ha funzionato in Europa e potrà funzionare anche in Italia". Lo afferma il deputato del Pd Edoardo Patriarca, componente della Commissione Affari Sociali. "Alla pena della detenzione non sovrapponiamo la pena del sovraffollamento - continua Patriarca - l’Europa ha già bocciato lo stato delle nostre carceri e l’eccessivo numero di detenuti in attesa di giudizio. E ricordiamoci che un ruolo importante lo può avere il volontariato che in questi anni si è dimostrato decisivo per risolvere tante situazioni difficili". Garante Lazio: politica ascolti appello Napolitano "Il nuovo appello del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano a trovare rimedi urgenti e adeguati al sovraffollamento delle carceri riporta al vertice dell’agenda politica una priorità di cui ciclicamente si parla molto, ma che stenta a trovare una efficace soluzione di sistema". Lo dichiara in una nota il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni, commentando il messaggio del Capo dello Stato in occasione del 197° anniversario della costituzione del corpo di Polizia Penitenziaria. "Quello delle carceri italiane è un problema serio - ha aggiunto Marroni - che non può scadere a motivo di scontro in campagna elettorale come ha fatto il governatore del Veneto Luca Zaia il quale, contestando le parole di Napolitano, ha auspicato invece la costruzione di nuove carceri e l’utilizzo delle caserme dismesse. Un atteggiamento sconcertante ed incomprensibile per un rappresentante delle istituzioni che mortifica quanti, invece, si adoperano quotidianamente per fare delle carceri dei luoghi vivibili". Secondo il Garante dei detenuti, in questi anni di emergenza gli agenti di polizia penitenziaria, pur con una situazione di fortissime carenze di organico, hanno svolto un ruolo fondamentale all’interno delle carceri. "Tale situazione di precarietà - ha concluso - non è più tollerabile e la politica deve tornare ad assumersi le proprie responsabilità. I recenti provvedimenti adottati dal Parlamento e le prese di posizione del ministro della Giustizia Orlando vanno per il verso giusto, prefigurando una nuova stagione all’insegna della tutela dei diritti dei detenuti. Ora, occorre affrontare con coraggio e senza preclusioni un dibattito sulla riforma complessiva del sistema penitenziario che preveda un maggiore ricorso alle pena alternative". Zaia (Veneto): risposta è realizzare nuove carceri e non fare scarcerazioni "Condivido il fatto che c’è un sovraffollamento delle carceri e che ci sono condizioni di disumanità ma la nostra posizione è chiara: si risponde con nuovi carceri e non con le scarcerazioni?". Lo ha detto il presidente della Regione Veneto Luca Zaia, a margine della Conferenza delle Regioni, riferendosi alle parole del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. "La parte debole del sistema non è rappresentata dai carcerati ma dalle vittime di violenza o omicidi - ha aggiunto. Le pene siano scontate in carcere e la funzione riabilitativa si fa con carceri nuove e usando, ad esempio, le caserme del demanio: escluse quelle nei centri delle città, le altre vanno dedicate a micro strutture per reati minori?". Mannone (Fns-Cisl): sovraffollamento gravissima piaga "Come Fns Nazionale, condividiamo il messaggio del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che ha nuovamente evidenziato la gravissima piaga del sovraffollamento delle carceri italiane, una situazione intollerabile alla quale si deve porre rimedio con grande rapidità". Lo dichiara in una nota il Segretario Generale della Federazione Nazionale Sicurezza della Cisl, Pompeo Mannone, commentando le parole del Capo dello Stato, in occasione del 197esimo anniversario dell’Istituzione del Corpo della Polizia Penitenziaria. "Di sicuro - continua Mannone - bisogna ripensare con una riforma organica il sistema sanzionatorio, accentuare le misure alternative alla pena in carcere e rimodulare l’utilizzo della custodia cautelare, indirizzi questi in linea con le proposte che la Fns Cisl ha lanciato al Ministro della Giustizia Orlando ma che ancora non trovano concreta applicazione. Ringraziamo il Presidente Napolitano per gli apprezzamenti che ha rivolto alla Polizia Penitenziaria per il lavoro che svolge all’Interno degli istituti di pena in condizioni proibitive. Auspichiamo che queste parole non rimangano inascoltate, speriamo che il Governo dedichi l’attenzione necessaria alle problematiche che investono il settore e valorizzi l’alta professionalità ed abnegazione della polizia penitenziaria tramite un potenziamento degli organici e l’adeguato riconoscimento anche retributivo del personale. Le risorse finanziarie necessarie per tali obiettivi si possono trovare tramite un vero processo riformatore della giustizia civile e penale e la depenalizzazione di alcuni reati. I risparmi che deriveranno da tali processi dovranno essere dedicati alla gestione dei servizi ed alla valorizzazione del personale. Noi siamo pronti se il Governo sarà disponibile ad un confronto di merito per una riforma organica dell’intero sistema carcerario. Ma purtroppo, ad oggi - conclude Mannone - su questo versante il Governo non dimostra ancora la propria convinta disponibilità". Moretti (Ugl): da Napolitano messaggio condivisibile "Un messaggio profondo quello lanciato oggi dal Presidente della Repubblica. Con le sue parole ha riconosciuto il valore delle donne e degli uomini della Polizia Penitenziaria che quotidianamente e con impegno svolgono i propri compiti, nonostante le gravi difficoltà dovute soprattutto dal grave sovraffollamento degli istituti". Lo dichiara il segretario nazionale dell’Ugl Polizia Penitenziaria, Giuseppe Moretti, che oggi sarà presente alle celebrazioni che si terranno nella sede della Scuola di Formazione della Polizia Penitenziaria intitolata a Giovanni Falcone in occasione del 197° anniversario dell’Istituzione del Corpo. "La situazione è critica - aggiunge - e servono interventi in tempi rapidi. Condividiamo dunque le parole del presidente Napolitano in merito alla necessità di una revisione del sistema penitenziario e una rimodulazione dell’esecuzione della pena. Ma soprattutto, è il ruolo di chi lavora che non deve essere calpestato: a tutti gli agenti va assicurato di poter svolgere i propri compiti, dalla gestione della sicurezza al recupero dei detenuti ristretti, nelle migliori condizioni possibili. Per questo riteniamo necessaria anche l’istituzione immediata di una Commissione bilaterale che, ridefinendo le esigenze in termini di uomini e mezzi, provveda a stilare un progetto per ricalibrare i compiti affidati al Corpo e per garantire un percorso di formazione professionale che sia idoneo rispetto a quanto l’Europa ci chiede". "Quella di quest’anno - conclude - è una ricorrenza davvero amara per le perdite incomprensibili che si sono registrate tra gli agenti e per lo stato di abbandono in cui si sente chi opera in prima linea. Sarebbe giusto pensare di istituire una medaglia al valore civile per l’impegno della Polizia Penitenziaria in questi anni: un riconoscimento che, ovviamente, non risolverebbe le gravi criticità del sistema, ma almeno renderebbe onore all’impegno di chi, affrontando gravi difficoltà, adempie alle proprie mansioni con grande spirito di servizio". Giustizia: Tamburino (Dap); in 1 anno 7mila detenuti in meno, ma siamo ancora lontani L’Unità, 16 maggio 2014 I numeri del Dap: il calo dell’ultimo anno grazie alle norme svuota carceri, ma ci sono ancora cinquemila persone in più rispetto agli obiettivi del Dipartimento. Dietro quelle mura arriva fino a un certo punto l’altalena dei numeri, drammaticamente riassunta ancora ieri dal capo del Dap Giovanni Tamburino - detenuti in calo, aumento di quelli che dispongono di più di tre metri quadri a testa ma ce ne sono ancora 10 mila che "vivono" in meno di quattro metri quadri. Certo, di base sono i numeri quello su cui la Corte europea il 28 maggio misurerà l’efficacia delle misure disegnate (e in parte attuate) dall’Italia in fatto di carceri, per ottemperare alle indicazioni della sentenza Torreggiani dello scorso anno e non incorrere in una marea di ricorsi di detenuti, per le condizioni "inumane" loro riservate. E allora sì, è bene ricapitolare i passi avanti fatti anche se l’impressione può essere quella di chi vede svuotare l’oceano con un cucchiaio. In un anno si è passati da oltre 66mila detenuti a 59.500, con un calo di 7 mila unità - ricorda Tamburino - che ci allontana almeno in parte dal triste primato del 2012, quando per sovraffollamento delle carceri peggio di noi in Europa faceva solo la Serbia. Siamo di nuovo di fronte a "un trend discendente", rispetto al 2010 la popolazione carceraria è diminuita complessivamente del 15%. Soprattutto il numero uno del Dap traccia un nuovo obiettivo, "arrivare a 50-55.000 detenuti". E questo dovrebbe essere possibile grazie alle ultime riforme, agli accordi siglati dal ministro Orlando perché gli stranieri scontino la pena nei paesi d’origine, e ancora per le conseguenze della bocciatura della legge Fini-Giovanardi da parte della Consulta - in Italia, annotano i radicali, dal 2006 al 2012 sono cresciuti gli ingressi in carcere per droga, i detenuti sono raddoppiati. Insomma "un primo obiettivo è stato aggiunto - nota Tamburino - oggi tutti i detenuti hanno a disposizione uno spazio superiore a tre metri quadrati. Ora è stata avviata la fase 2, per ridurre i casi di chi rimane confinato tra i tre e i quattro metri quadrati ovvero troppo vicino al margine di tollerabilità". Ma si tratta di ben "18mila detenuti", e il Dap prevede dunque che perché ogni detenuto possa usufruire di spazi tra i quattro e i cinque metri quadrati occorreranno almeno "uno-due anni". Sarà anche per questo che il Guardasigilli Andrea Orlando ha sottolineato, sempre ieri, come sia ancora "insufficiente" il ricorso a misure alternative (erano 12.455 a dicembre 2009, lievitate a 29.223 a fine 2013), su cui invece "occorra puntare in via preferenziale, per dare piena attuazione al dettato costituzionale. Solo così si potrà aggredire il dramma affollamento - e dunque rispondere in modo adeguato alle prescrizioni della Corte europea dei diritti umani, perché le ragioni del sovraffollamento carcerario "non dipendono soltanto dal numero di reati e di condanne e dall’insufficienza delle strutture". Intanto, ancora a febbraio i magistrati del tribunale di sorveglianza di Venezia hanno accolto i ricorsi di 15 detenuti costretti in celle troppo anguste, intimando al carcere di ampliare gli spazi o altrimenti di riconoscere loro un indennizzo di 100 euro al giorno. E però, qualunque sia il verdetto Ue, la vita dietro le sbarre rimane intollerabile per altri e tanti motivi. "Non è solo una questione di sovraffollamento" ragiona ad esempio Vito Totire, commentando a Bologna con il circolo Chico Mendes e l’associazione Papillon il secondo rapporto semestrale 2013 dell’Asl di Bologna sul carcere della Dozza. "Quel penitenziario andrebbe evacuato" e ricostruito, conclude senza mezzi termini. Perché al di là del puzzle che rappresenta il fare fronte ogni giorno alle esigenze di 892 reclusi, in spazi che ne dovrebbero accogliere 483, a fare la differenza su condizioni di vita dignitose o meno sono anche l’alto numero di malati (233 i tossicodipendenti), l’assenza di ricovero in isolamento per gli infettivi, le blatte per cui è in corso la disinfestazione, il guano dei piccioni che deturpa le zone aperte, la mancanza di un refettorio con il cibo consumato nelle celle a ridosso delle latrine. Insomma "se anche alla Dozza si arrivasse alla capienza di legge, rimarrebbe la totale insufficienza delle condizioni igienico sanitarie". Un quadro che non è certo isolato, e limitato alla sola Bologna. Giustizia: Pagano (Dap); il carcere si rinnova anche grazie alla condanna europea di Daniele Biella Vita, 16 maggio 2014 Il 28 maggio l'Italia dovrà dimostrare alla Corte dei diritti dell'uomo che ha aumentato lo spazio per i detenuti e migliorato le condizioni inframurarie, pena una multa salata. Il vicecapo del Dipartimento dell'amministrazione Penitenziaria: "Siamo ottimisti, con il rinnovamento in atto stiamo uscendo dal buio degli ultimi anni" "Siamo moderatamente ottimisti, speriamo la multa non arrivi". Luigi Pagano, vicedirettore del Dap, Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, ha l’impressione che lui e tutti i propri colleghi del mondo del carcere abbiano fatto tutto il possibile per scongiurare la condanna pecuniaria definitiva della Corte europea per i diritti dell’uomo inflitta al nostro paese l’8 gennaio 2013 con la sentenza Torreggiani (si tratta di 100mila euro da suddividere per i sette detenuti che hanno presentato denuncia a causa dello spazio di mobilità ridotta in cella, cifra che potrebbe lievitare ad almeno 150 milioni di euro se tutti i detenuti facessero denuncia): il prossimo 28 maggio il Governo italiano dovrà convincere i membri della Corte che le condizioni di detenzione "inumane e degradanti" sono mutate. Cosa è cambiato, nel concreto, per indurvi a pensare che la Corte potrebbe essere clemente con l’Italia? La sentenza ha velocizzato un processo che avevamo già in mente di portare avanti, e che in questo modo ha prodotto risultati positivi prima del tempo. Stiamo parlando di un aumento della capienza complessiva delle strutture, grazie all’apertura di nuovi istituti o nuove parti di quelli già esistenti (per esempio tre nuove strutture in Sardegna, tre nuovi reparti per 700 posti in tutto in Lombardia), nonché di una serie di provvedimenti legislativi, come quello sulla messa alla prova o il più recente sulle droghe, che fanno abbassare il numero della popolazione, oggi a 59 mila di fronte ai 66mila di un anno fa. In questo modo è stato possibile aumentare lo spazio vitale dei ogni detenuto e superare la violazione che ha causato la condanna all’Italia, ovvero l’essere scesi oltre il limite minimo di tre metri di spazio per ciascuno. Ancora, siamo arrivati a un minimo di otto ore di apertura delle celle ogni giorno, per ridurre al minimo la vita all’interno, e continueremo in questa direzione. Infine, è cambiato anche il nostro approccio organizzativo nel complesso. In che senso? Abbiamo iniziato una rivisitazione dell’ordinamento penitenziario portando al centro delle decisioni i circuiti regionali, riprendendo e valorizzando di conseguenza istituti di pena che erano rimasti in secondo piano. I recenti protocolli del ministro Andrea Orlando con le varie regioni vanno in questa direzione. Dopo parecchi anni di difficoltà, di recente sembra che il mondo del carcere stia uscendo dal buio, promuovendo investimenti attesi da anni: questo vento nuovo da dentro si sente eccome, la speranza è che nel tempo si possa avvertire anche fuori. ‘Fuori’ la percezione è dura da cambiare, anche per le notizie negative che arrivano. L’ultima, di fine aprile 2014, è la pubblicazione di un report del Consiglio d’Europa che vede l’Italia penultima, prima della serbia, nella qualità delle condizioni detentive… È vero, se ne parla quasi sempre male e per molti aspetti è lecito. Ma quello che vorrei sia noto all’esterno è che ci stiamo dando molto da fare per migliorare il sistema penitenziario. Avendo come base di partenza la Carta costituzionale, che parla di umanità e dignità della persona come aspetti fondamentali dell’esistenza, ancora più importante se si tratta di una persona reclusa. Ribadisco che la sentenza Torreggiani è stato un toccasana in tal senso, perché ha accelerato un processo che comunque era destinato a partire. Se la decisione finale della Corte sarà favorevole all’Italia, sarete soddisfatti? Di certo risparmieremo i soldi della multa, è questo è positivo. Ma per il resto cambia poco: la strada verso il rinnovamento è oramai iniziata e quello che serve ora è rimboccarsi le maniche e non indugiare. Il sovraffollamento rimane (la capienza è 48mila, oggi si è quindi a 11mila detenuti in eccesso) ed è un problema che va risolto, così come altri: i suicidi, che per fortuna per quest’anno stanno avendo percentuali minori del recente passato, così come la promozione del lavoro dietro le sbarre. In molte carceri italiane ci sono iniziative lodevoli di reinserimento lavorativo gestite dalla coperazione sociale o dalle stesse imprese… Sì, ma siamo ancora a livelli di nicchia. Si può e si deve fare molto di più. Bisogna investire, essere produttivi, attirare chi è disponibile a investire nel mondo del carcere, per esempio rendendo la burocrazia decisamente più elastica di come è adesso. Giustizia: rimpatrio detenuti, il ministro Orlando incontra l’omologo romeno Cazanciuc www.giustizia.it, 16 maggio 2014 Il Guardasigilli Andrea Orlando e il Ministro Romeno Robert Cazanciuc hanno avuto questa mattina, presso gli uffici di via Arenula, un approfondito incontro bilaterale per affrontare diverse questioni di comune interesse nel settore della giustizia. In merito alla Decisione Quadro europea sul trasferimento dei detenuti, i ministri hanno concordato di intensificare la collaborazione tra i due ministeri, per snellire la trattazione delle procedure di trasferimento verso la Romania di detenuti romeni nelle carceri italiane. In questo quadro, hanno incaricato i rispettivi uffici di accelerare tali trasferimenti e di valutare eventuali misure legislative che semplifichino l’attuazione della Decisione Quadro europea. Il ministro Orlando, inoltre, ha espresso forte preoccupazione per la vicenda del rilascio abusivo da parte di un’organizzazione romena, non riconosciuta da quelle Autorità, del titolo professionale di avvocato a cittadini italiani. Il ministro Cazanciuc ha assicurato che il Governo Romeno ha assunto a riguardo una posizione netta di condanna di tale abuso, sottolineando l’impegno a consolidare la normativa interna sulle professioni legali e a stabilire un sistema di validazione elettronica che garantisca l’appartenenza all’ordine professionale riconosciuto dalle Autorità. Il colloquio ha inoltre permesso di affrontare i principali temi dell’agenda europea, alla vigilia del semestre di presidenza italiana. Giustizia: dei diritti e delle pene… è importante che alle europee votino anche i detenuti di Alessio Scandurra www.today.it, 16 maggio 2014 L’associazione Antigone racconta che succede nelle patrie galere. L’art. 27 della "Costituzione più bella del mondo", afferma che le pene non devono essere contrarie al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato, ma intanto il sistema penitenziario italiano viene condannato dall’Europa per trattamenti inumani e degradanti e la recidiva di chi esce dal carcere è altissima. Qualcosa non quadra… Il 25 maggio ci sono le elezioni europee. L’Italia è, in Europa, uno dei paesi in cui i cittadini partecipano di più alle elezioni. Alle ultime europee del 2009 hanno votato in media il 43% degli aventi diritto in Europa. Da noi la media è stata dal 65%. Alle politiche del 2013 invece i votanti in carcere sono stati 3.426 in tutto. Hanno quindi votato poco più del 10% di quanti, secondo le nostre stime, ne avrebbero avuto diritto e, in generale, il 5% dei presenti. Dunque in Italia si vota molto, ma non in carcere. Perché? Forse da dietro le sbarre la partecipazione politica sembra avere poco senso? È possibile, dato il tradizionale disinteresse della politica per il mondo del carcere. Ma è pur vero che votare dal carcere è complicato. Per riuscirci è necessario che si attivino in ordine: il detenuto, il direttore del carcere, il sindaco del comune di residenza e il presidente di ciascuna sezione elettorale. È una catena lunga, ed è facile che qualcosa vada storto. Inoltre i detenuti raramente sanno come si fa. Abbiamo chiesto al Ministero della giustizia di poter distribuire nelle carceri una informativa in cui si spiega come si vota, ma non siamo stati per ora autorizzati. Abbiamo allora realizzato una versione audio di questa informativa, che abbiamo fatto girare in radio, e stiamo contattando detenuti ed operatori per spargere la voce. Ma perché insistiamo tanto? Perché per noi è importante che si voti in carcere? Anzitutto, ovviamente, perché si tratta di un diritto di tutti, anche di chi è detenuto, e non si può consentire che la detenzione limiti impropriamente l’esercizio di questo diritto. Ma anche perché crediamo che, se il carcere vuole davvero essere uno strumento di reinserimento sociale, se vuole davvero restituire alla società cittadini "migliori" di quelli che gli sono stati affidati, deve preoccuparsi di formare cittadini adulti, autonomi e responsabili. Ed i cittadini adulti, autonomi e responsabili, in Italia più che altrove, alle elezioni partecipano numerosi. Giustizia: Simspe; salute a rischio nelle carceri italiane, se ne parla in convegno a Torino Ristretti Orizzonti, 16 maggio 2014 Dal Congresso di Torino del 16-18 maggio l’invito ad omogeneizzare il sistema. Le leggi attuali delegano il sistema sanitario alle Asl locali, generando così sistemi organizzativi disomogenei nei 205 Istituti Penitenziari Italiani; il Congresso dovrà sensibilizzare proprio su questo, rilevando come si tratti di un problema comune. Le Asl, inoltre, non hanno né i mezzi, né il know how necessario per operare nei luoghi di restrizione della libertà. In epoca di spending review, con la sanità pubblica che subisce grossi tagli, le carceri appaiono come vittime predestinate ad appartenere ad un sistema sanitario di serie B se non di serie C. Serve dunque una cabina di regia nazionale e non una frammentazione delle organizzazioni. L’appuntamento di Torino è quindi un momento importante per portare avanti le iniziative sull’assistenza sanitaria nelle carceri. Il prossimo 28 maggio, inoltre, è un anno dalla sentenza Torreggiani, un richiamo della Corte Europea all’Italia per allinearsi a livelli comunitari. Alcuni risultati sono stati raggiunti: il sovraffollamento è sceso dal 50% al 20%, ma l’Europa vuole vedere riforme strutturali. Il passaggio della Sanità Penitenziaria dal Ministero della Giustizia al Sistema Sanitario Regionale è un evento epocale che ha comportato un enorme cambiamento nell’assistenza ai pazienti detenuti, purtroppo non sempre e non da tutti recepito. Il XIV Congresso Nazionale vuole sensibilizzare l’opinione pubblica e la politica fornendo nozioni di base, a medici non specialisti ed infermieri, sulle principali patologie carcerarie, con i Corsi Precongressuali, sia sviluppando temi di comune interesse, sia per il personale medico ed infermieristico, con le sessioni congressuali congiunte, sia per il personale della Polizia Penitenziaria, nelle sessioni dedicate alla documentazione clinica, alle responsabilità professionali, alla prevenzione del suicidio. Lo sforzo volto a fornire alla popolazione detenuta la migliore assistenza possibile, in coerenza con quanto offerto al cittadino "non detenuto" passa dalla conoscenza delle principali problematiche di salute, all’intesa con gli operatori penitenziari, all’integrazione con la società civile. In un’epoca caratterizzata da carenza di fondi e da frammentazione dei sistemi sanitari delle varie Regioni, che rende difficile ricreare modelli omogenei di assistenza, quale quello precedentemente garantito dal Ministero della Giustizia, quando unico erogatore del servizio. L’epilogo, lancio per il congresso del 2015, vedrà la costituzione di piccoli gruppi di lavoro, interprofessionali che, formati e stimolati dagli argomenti affrontati, vorranno lavorare nell’ottica dell’omogeneizzazione dell’offerta assistenziale nelle carceri italiane. La Simpse, da sempre impegnata come società scientifica, ma anche operativa, si sente investita da questo gravoso compito, che deve passare anche dalla progettazione di comuni linee operative da sperimentare e proporre nelle varie realtà penitenziarie italiane. La popolazione detenuta in Italia è cresciuta negli ultimi dieci anni dell’80%. Tuttavia, spazi e strutture sono rimasti sostanzialmente invariati, rendendo le condizioni dei carcerati ai limiti dell’invivibilità. La maggior parte delle carceri hanno dei tratti comuni: bagno e cucina nello stesso locale, cambio di lenzuola ogni 15 giorni, bagno alla turca o water separati gli uni dagli altri da un muretto alto appena un metro, strutture fatiscenti. Il personale è insufficiente, gli assistenti sociali sempre meno del necessario. L’assistenza sanitaria, come si può facilmente intuire da questo quadro, risulta di pessima qualità. A darne una spiegazione è Sergio Babudieri, Professore associato di malattie infettive all’Università di Sassari e Presidente della Società Italiana di Medicina e Sanità Penitenziaria (SIMSPE), una onlus che si occupa proprio di tutelare la salute dei detenuti. La Simspe è una società scientifica a livello nazionale, in cui le varie regioni danno un contributo in diversa misura. La Simspe elabora studi e numeri su questo tema; si occupa inoltre della formazione di infermieri, psicologi, medici che operano nei 205 istituti penitenziari italiani. Si tratta dunque di un’attività formativa: vengono, ad esempio, stese le linee guida per chi è affetto da HIV, da virus epatici o da malattie sessualmente trasmissibili. Chi capisce bisogni dei singoli sono proprio medici e infermieri, seconda categoria con cui i detenuti sono in contatto dopo gli agenti; vanno quindi preparati in maniera specifica. Le attività si svolgono sia a livello locale che nazionale, per poi coagularsi nel Congresso Nazionale, l’agorà penitenziaria, una piazza dove si confrontano tutti gli attori del settore penitenziario: operatori sanitari, agenti di polizia, dipendenti del dipartimento di polizia penitenziaria del Ministero della Giustizia, magistrati di sorveglianza e detenuti in attesa di giudizio. Si tratta pertanto di un ambito estremamente complesso. L’obiettivo principale è quello di divulgare il più possibile una conoscenza specifica della realtà carceraria italiana, far capire la specificità di questo ambito, dovuta ad una particolare complessità. Gli ostacoli sono molteplici: si pensi che talvolta la sanità penitenziaria neppure è riconosciuta. Ciò che sottolinea Babudieri è che ogni persona sana deve essere visitata e si deve certificare che stia bene. Ciò in carcere non avviene, facendo venire meno negli individui la consapevolezza dell’importanza della cura del proprio corpo proprio nel luogo che è un concentratore di patologie infettive. Chi entra in carcere più facilmente può contrarre malattie come Aids, tubercolosi, epatiti, malattie sessualmente trasmissibili e altre patologie infettive. I prigionieri sono spesso soggetti all’obesità, sono fumatori e costretti ad una cattiva alimentazione. L’attività della Simspe risiede pure nel creare consapevolezza negli individui, ponendoli di fronte ad eventuali terapie e diagnosi. A questo proposito, il carcere rappresenta un osservatorio straordinario per coinvolgere delle fasce di popolazione che altrimenti non terrebbero mai in conto il bene salute. "Il detenuto di oggi è il cittadino di domani; in carcere si riesce ad intercettarlo, fuori come si fa?" si domanda Babudieri per far capire quanto sia importante intervenire in questo contesto. "L’importanza di una simile azione è poi testimoniata dai numeri: vari studi dimostrano che i pazienti positivi all’Hiv non consapevoli trasmettono il virus sei volte di più di quelli che sanno di esserne infetti" ha proseguito Babudieri. Da non sottovalutare poi gli aspetti psicologici: l’inevitabile depressione di chi è detenuto, ma anche alcuni rischi specifici. Ad esempio, per alcune categorie vi è la necessità di un approccio tipo psichiatrico: è il caso dei sex offender, autori dei reati più ignominiosi, soggetti per una sorta di contrappasso a trattamenti massacranti da parte degli altri prigionieri; bisogna intervenire per tutelarli e curarli e per questo servono professionisti di altissimo livello. La Simpse è già intervenuta nel marzo scorso, in Senato al convegno "Salute in carcere oggi", con il quale si è chiesto con forza a livello politico un Osservatorio nazionale; servono infatti i numeri esatti per poter allocare efficientemente le risorse. La Simpse può avvalersi dei contributi di altre associazioni, come la Simit, la Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali, co-patrocinante dell’iniziativa. Elemento di raccordo tra le due entità è Roberto Monarca, Direttore Scientifico e coordinatore dei corsi di formazione nella Simspe, mentre in Simit è coordinatore per gli studi sulle malattie infettive in carcere. Il suo impegno ha dato anche una proiezione europea al problema: il 15 ottobre 2013, a Londra, ha contribuito alla fondazione della Federazione europea Hwb (Health Without Barriers) e ne è stato nominato presidente. Recentemente l’Hwb è stata inserita nel network Health Imprison Programme all’interno dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, assieme ad altre organizzazione come la Croce Rossa. "Il prossimo Convegno di Torino" spiega Monarca "servirà per fare il punto sulle principali problematiche del carcere, dalle malattie infettive alle questioni psichiatriche, passando per le numerose patologie che interessano questa realtà". All’interno del Congresso ci sarà anche il primo meeting internazionale: sarà votato il Consiglio Direttivo, si formeranno gruppi di lavoro su varie tematiche, saranno valutati i progetti europei che si stanno seguendo e quelli per cui si chiederanno finanziamenti; per il momento esistono una segreteria, un sito web in costruzione e sono stati compiuti i primi passi per una strategia di funzionamento. "Con questo meeting vanno distribuiti i compiti per portare avanti i progetti di federazione: fare salute in carcere, non solo per popolazione detenuta, ma per tutte le persone che lavorano in ambiente" afferma ancora Monarca. "Il carcere è generatore di patologie, come lo stress da lavoro correlato di molti poliziotti che lavorano in carcere. La polizia penitenziaria, infatti, è il corpo con la maggior incidenza di assenze per la patologia di lavoro correlata dovuta allo stress". Giustizia: Cassazione; stop a immotivate perquisizioni dei detenuti con denudamento Adnkronos, 16 maggio 2014 Stop alle perquisizioni con denudamento nei confronti dei detenuti se non ci sono "specifiche e concrete esigenze che determinino "la necessità" di fare una perquisizione straordinaria. Lo ricorda la Cassazione nell’accogliere il ricorso di un detenuto sottoposto al regime differenziato previsto dal 41-bis nel carcere di Cuneo, Giuseppe G., che veniva sottoposto a perquisizione personale con denudamento ogni volta che doveva fare un colloquio nella saletta del carcere con il suo difensore. La Suprema Corte ha accolto la tesi difensiva presentata dallo stesso detenuto volta a dimostrare che questo genere di perquisizione, tanto più su un recluso che non aveva "mai dato segno di pericolosità all’interno dell’istituto", era lesiva della "dignità". La Prima sezione penale, ricordando la giurisprudenza della Corte Costituzionale e della stessa Cassazione, ha osservato che nel caso in questione "non risulta dalla motivazione dell’ordinanza quali specifiche e concrete esigenze abbiano determinato la necessità di effettuare una perquisizioni" con denudamento "ogni volta che il detenuto doveva effettuare un colloquio con il proprio difensore, modalità che appaiono incomprensibili, se disposte senza una specifica motivazione, dovendosi considerare che il detenuto è sottoposto al regime di detenzione speciale 41-bis e che lo stesso, quando si reca a colloquio con il difensore, proviene da un reparto già sottoposto a controlli particolarmente severi". Da qui l’annullamento dell’ordinanza del giudice di sorveglianza di Cuneo poiché "non sono state indicate le specifiche e prevalenti esigenze di sicurezza interna in base alle quali, in casi specifici che devono essere adeguatamente motivati, può essere legittimo il ricorso alla perquisizione con denudamento". Ci sarà un nuovo giudizio davanti al magistrato di sorveglianza di Cuneo. 41 bis, vietato spogliare i detenuti al colloquio (Redattore Sociale) I detenuti non possono essere costretti a denudarsi completamente ed essere perquisiti prima di ogni incontro con il proprio avvocato, a maggior ragione se si tratta di condannati per mafia in regime di carcere duro che vivono sottoposti a severe e ulteriori limitazioni della libertà personale rispetto ai detenuti comuni. Lo sottolinea la Cassazione accogliendo il ricorso di Giuseppe G., 32 anni, detenuto al 41 bis nel supercarcere di Cuneo dopo la condanna per associazione mafiosa e tentato omicidio. "La misura del denudamento, in quanto particolarmente invasiva e potenzialmente lesiva dei diritti fondamentali dell’individuo - scrive la Cassazione - non può essere prevista, in astratto e in situazioni ordinarie nelle quali il controllo può avvenire senza ricorrere alla suddetta misura, ma deve essere disposta con provvedimento motivato, solo nel caso in cui sussistano specifiche e prevalenti esigenze di sicurezza interna o in ragione di una pericolosità del detenuto risultante da fatti concreti". I supremi giudici inoltre rimproverano al magistrato di sorveglianza di Cuneo, che aveva respinto il reclamo di Giuseppe G. contro questo tipo di costrizione, di non aver spiegato "quali specifiche e concrete esigenze abbiano determinato la necessità di effettuare una perquisizione con le suddette modalità" Le ragioni per cui si ricorre alla perquisizione con denudamento - insiste la Cassazione - devono essere "adeguatamente motivate" con richiamo a "specifiche e prevalenti esigenze di sicurezza interna". Giuseppe G., infine, ha fatto presente che "anche il suo avvocato, prima di accedere alla saletta colloqui, veniva sottoposto a controllo e il colloquio era monitorato da telecamere". Giustizia: Cassazione; niente applicazione del braccialetto elettronico al criminale seriale Il Sole 24 Ore, 16 maggio 2014 Il braccialetto elettronico non è adeguato a scongiurare il rischio di fuga del criminale abituale. La Cassazione, con la Sentenza 19836, depositata l’altro ieri, precisa che il braccialetto non è una nuova misura coercitiva ma solo una modalità di esecuzione di quella cautelare. Per questo rientra nella piena discrezionalità del giudice la scelta di applicarlo o meno, anche se viene espressamente richiesto dal diretto interessato. Nel caso esaminato l’abitudine al crimine lo sconsigliavano. Giustizia: 100mila bambini hanno genitori detenuti, fino al 18 una campagna per aiutarli di Silvia Manzani www.romagnamamma.it, 16 maggio 2014 "Non è un mio crimine, ma una mia condanna" è il grido dei 100.000 bambini che ogni giorno entrano nelle 213 carceri italiane per incontrare il proprio papà o la propria mamma detenuti. "Non un mio crimine, ma una mia condanna" è anche la campagna di raccolta fondi di Bambinisenzasbarre, che sostiene - con l’invio al 45507 di un SMS da 2 euro da cellulare e 2 o 5 euro da telefono fisso entro il 18 maggio - il consolidamento e l’estensione negli Istituti penitenziari italiani del Modello d’accoglienza Spazio Giallo, lo spazio e il sistema di Bambinisenzasbarre dedicato alle famiglie ed ai bambini che si preparano all’incontro con il genitore detenuto insieme alle psicologhe, psicopedagogiste e arte-terapeute e di strutturare il servizio nazionale di Telefono Giallo per rispondere alle famiglie di persone in una situazione di detenzione, agli operatori e, al contempo, per dare risposte concrete alle esigenze e alle difficoltà dei bambini. Finalità della campagna è sensibilizzare il grande pubblico sull’importanza del riconoscimento e visibilità di questi bambini e dei loro bisogni senza per questo stigmatizzarli, nel pieno rispetto del diritto di ogni bambino di essere tale. Al contempo, si intende far comprendere come la continuità e il rafforzamento del legame affettivo agisca in termini di prevenzione sociale: per il figlio che non rischia di ripetere l’esempio del padre da cui è forzatamente separato e, a causa dell’improvvisa "scomparsa", ne idealizza il comportamento ma, al contrario, ne comprende le debolezze e gli errori e, quindi, è in grado di scegliere un diverso stile di vita; mentre per il genitore detenuto il figlio con cui riesce a mantenere un legame diventa la motivazione forte per non ripetere il reato e ritornare ad essere per lui un modello. Giustizia: le finte auto blu comprate per la Polizia penitenziaria e usate per i dirigenti Dap di Martino Villosio Il Tempo, 16 maggio 2014 Le ferite del caso Scajola fanno male, come l’ennesimo affresco degradante sull’utilizzo della scorta squadernato dall’arresto dell’ex ministro. Dieci giorni fa "Il Tempo" aveva raccontato delle auto messe all’asta dal Dap per contribuire a gonfiare i numeri del grande spot renziano sulla riduzione del parco macchine in uso alla Pubblica Amministrazione. Veicoli comprati con i fondi destinati alla Polizia Penitenziaria per servizi di scorta e di polizia, utilizzati invece per anni come auto di rappresentanza per scarrozzare dirigenti e provveditori, adesso sacrificati come fossero auto blu invece di tornare al loro corretto impiego istituzionale. Ora si scopre che una robusta fetta di veicoli nel parco macchine del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria sta per essere "messa fuori uso". Ventiquattro auto, dodici in dotazione alla sede centrale del Dap, altre dodici finora in uso ai provveditorati locali. Nell’elenco figurano due Bmw, una Chrysler 300C Touring, sei Subaru Impreza 2.0 T, una Hyundai Terracan, una Citroen C5, quattro Alfa Romeo Twin Spark, due Fiat Croma, sette Lancia di cui sei blindate. Anche queste sono tutte auto immatricolate con targa Polizia Penitenziaria, ma hanno sempre viaggiato con targa di copertura civile per il trasporto dei dirigenti. E adesso finiranno parcheggiate nell’Autorimessa del Polo di Rebibbia "in quanto non più rispondenti alle esigenze attuali e funzionali dell’amministrazione", come recita la circolare interna al Dap. "È assurdo", denuncia però il Sindacato autonomo di polizia penitenziaria (Sappe), "disporre fuori uso auto che potrebbero essere ancora utilissime alla causa". Gli agenti citano l’esempio di un 2.500 turbo diesel con 154.000 chilometri alle spalle ma in perfette condizioni meccaniche, di carrozzeria e di interni. Arrugginirà in deposito, potrebbe invece essere finalmente reimpiegato per l’uso che gli è proprio. "Mentre i mezzi in dotazione alla Penitenziaria per svolgere i compiti istituzionali cadono in pezzi e nessuno si preoccupa di sostituirli", tuona il segretario del Sappe Donato Capece. "Si pensi che i mezzi blindati che servono per i trasferimenti dei detenuti hanno una percorrenza media di 300.000 chilometri, con punte di oltre 600.000. E il 70% dei mezzi - chiosa Capece - ha ormai superato i quattrocentomila chilometri". Giustizia: il deputato del Pd Francantonio Genovese in carcere, la Camera è un’arena di Andrea Fabozzi Il Manifesto, 16 maggio 2014 Brutta scena ieri dentro Montecitorio, con i deputati grillini che esultano per l’arresto del Pd Francantonio Genovese facendo il gesto delle manette. Brutta scena anche fuori, con Beppe Grillo nella parte del cane segugio che si fa riprendere mentre cerca le tracce del deputato: "Non deve scappare". E la camera autorizza l’arresto a furor di blog, trattasi di carcere preventivo. Per i grillini è "una vittoria", per i democratici un sollievo. Nel parlamento arena al Pd si chiede il fratricidio. Più utile sarebbe stata qualche parola autocritica sulla figura di Genovese. Raccontato a tinte fosche dalle quattrocento pagine del gip di Messina che sono a disposizione dei deputati, Genovese è stato scelto dal Pd prima come sindaco di Messina, poi come segretario del partito in Sicilia e due volte come deputato. Condannando lui, i democratici si autoassolvono. Renzi l’ha ordinato per sfuggire dalla propaganda grillina, veloce a fiutare la tentazione dei democratici di rimandare il voto a dopo le elezioni europee. Veloce e spregiudicata, al punto da rinunciare all’ostruzionismo sul decreto Poletti in cambio dell’esibizione rapida delle manette. Vista la voglia dei 5 stelle di provocare l’incidente, nel Pd si è diffusa la paura della trappola. Che cioè, grazie al voto segreto, qualche franco tiratore grillino (anche se con gli smart-phone in aula è sempre più difficile) potesse far ricadere sui democratici l’eventuale salvataggio di Genovese. Un sospetto che, visto com’è andata a finire, non era neanche tanto assurdo, dal momento che tra gli infervorati grillini si sono contati trenta assenti. Per accogliere la richiesta di arresto si poteva fare affidamento su tutte le loro urla, ma non sui loro voti. Lo scrutinio è stato allora palese. Al contrario di quello che prevede il regolamento della camera quando si vota sul destino di una persona. Una regola di civiltà alla quale si è deciso di derogare. Ma siccome il regolamento prevede anche che venti deputati possano comunque chiedere il voto segreto, tutti i gruppi si sono dovuti impegnare, guardandosi negli occhi, a tenere a freno i propri componenti. Un altro strappo che vale la pena segnalare, frutto anche questo del clima da elezioni. È vero che in passato i parlamentari hanno troppo spesso abusato sia del voto segreto che della garanzia dell’autorizzazione a procedere (che infatti hanno perso, conservandola solo per l’arresto). Ma tra il voto palese e il voto segreto e fuori di dubbio quale dei due lasci più spazio alla libertà di opinione. Come si può presentare la rinuncia a questa libertà - velocemente, perché fuori Grillo ruggisce - come una scelta di dignità del parlamento? Sembra piuttosto il contrario. Anche perché nella caos della propaganda si è completamente perso di vista il senso del voto di ieri. Che non era quello di giudicare la vicenda penale di Genovese - malgrado non pochi dei 5 stelle abbiano già emesso la loro sentenza di colpevolezza - ma quello di valutare se la richiesta di arresto poteva nascondere o meno una volontà persecutoria da parte della magistratura. Chi ha presente la condizione delle carceri italiane - non la maggioranza dei deputati, evidentemente - non può non verificare con scrupolo l’esigenza della custodia cautelare, in questo caso in carcere. Il giudice di Messina ha chiesto l’arresto perché teme che Genovese possa altrimenti reiterare i reati di riciclaggio, peculato e truffa dei quali è sospettato nell’ambito di una poderosa sottrazione di risorse pubbliche destinate alla formazione professionale. Nella dichiarazione di voto di Sel si è sentito un ragionamento convincente su quanto il rischio concreto della reiterazione del reato sia ormai passato, essendo riferibile soprattutto all’anno scorso, quando l’inchiesta divenne pubblica e la moglie di Genovese, assieme ad altri indagati, fu arrestata (nel frattempo è stata scarcerata). Poi però Sel ha votato, in modo palese, in favore dell’arresto, essendo troppo forte la canea grillina. E in effetti per due giorni i 5 stelle hanno accusato la sinistra di fare da stampella al Pd, solo perché insisteva nell’ostruzionismo contro il decreto Poletti. Allo stesso modo, la responsabile giustizia del Pd ha poco da dire a Grillo di asciugarsi la bava dalla bocca, se poi il suo partito non riesce a contrastare un solo argomento dei grillini per la paura di risultare impopolare. Certo, la corrente populista e indignata è assai forte, e il parlamento non fa che alimentarla rinunciando a qualsiasi indipendenza di pensiero. E invece prima o poi dovrebbe trovare il coraggio di nuotargli contro. Lettere: il nostro Paese ancora nel mirino della Corte Europea dei Diritti Dell’Uomo di Silvano Bartolomei Ristretti Orizzonti, 16 maggio 2014 Ancora una volta, il nostro paese nel mirino della Corte Europea dei Diritti Dell’Uomo, per trattamenti degradanti e inumani all’interno delle carceri. Ancora una volta, i Giudici di Strasburgo hanno riconosciuto trattamenti di tal fatta, in palese violazione dell’articolo 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Non prestare le necessarie cure mediche o ritardarle equivale a trattamenti inumani. Il riferimento è alla sentenza del 22 aprile u.s., n. 73869/10, con la quale l’Organismo Europeo ha condannato l’Italia al risarcimento di euro 25000,00 in favore di Castaldo Giovanni, detenuto nel carcere campano di Bellizzi Irpino. La sanzione è stata inflitta per un accertato, quanto comprovato ritardo nelle cure mediche. Come se ciò non bastasse, si avvicina sempre più la data del 28 maggio, scadenza ultima entro la quale la Corte di Strasburgo ha imposto all’Italia, con la sentenza Torreggiani, la cancellazione delle condizioni inumane in cui versano i detenuti in alcune strutture detentive, pena una valanga di ricorsi con risvolti economici, di certo, non prevedibili. Già nello scorso anno, la Corte Europea aveva condannato l’Italia ad un risarcimento di oltre 100.000 euro, in favore di alcuni detenuti ristretti nel carcere di Busto Arsizio, in condizioni di sovraffollamento equiparabili alla tortura. Sebbene con gli ultimi provvedimenti, gli Istituti di pena si sono notevolmente alleggeriti e l’indice di vivibilità sia migliorato, i numeri sono ancora alti, ma molto si può ancora fare, come, peraltro, riconosciuto dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. Infatti, a fronte di una capienza massima di 43.000 unità, se ne contano, ancora al 31 marzo, oltre 60.000. Ben vengano, allora, provvedimenti di amnistia ed indulto, di cui il Guardasigilli è recentemente tornato a parlare, e che, al momento, si trovano articolati in disegni di legge, presenti in Commissione Giustizia al Senato, posti all’ordine del giorno per i lavori del già decorso 13 maggio. Lettere: dai detenuti di Secondigliano l’annuncio di una articolata protesta di Fabio De Rosa www.ilfioreuomosolidale.org, 16 maggio 2014 Nelle ultime ore è in atto nel carcere di Secondigliano una pressante, se pur pacifica, protesta di tutti i detenuti che si protrarrà, pare, per molti giorni. La protesta è accompagnata da una lettera della quale riportiamo il testo integrale. "I detenuti di Secondigliano si rivolgono alle SS.VV.ill.me affinché la loro protesta pacifica venga portata a conoscenza della opinione pubblica e delle autorità competenti, nonché di molti politici "distratti" che si ricordano dei problemi della popolazione detenuta solo nell’avvicinarsi delle competizioni elettorali. Con la sentenza della Corte Europea "Torreggiani", preso atto dello stato di degrado dei carceri italiani, che mortificano la dignità umana, si è imposto all’Italia di adottare misure urgenti per ripristinare l’integrità fisica e la protezione delle persone private della libertà. Nonostante il lungo tempo già trascorso, e con l’avvicinarsi della scadenza del 27 maggio prossimo, poco o niente è stato fatto, anzi per certi aspetti la situazione è peggiorata nonostante vane ed ipocrite promesse. Per questo motivo abbiamo intrapreso un’iniziativa di protesta pacifica che si articolerà in varie fasi fino alla misura estrema dello sciopero della fame, se non interverranno serie e concrete modifiche del sistema carcerario, tali da rendere veramente rieducativa e risocializzante la pena, e non solamente uno stimolo alla devianza criminale. Il ripristino delle misure alternative per tutti. È assurdo che un detenuto che conservi una condotta irreprensibile ed ossequiosa dei regolamenti non possa accedere ai benefici penitenziari, nemmeno quelli della liberazione anticipata, subendo il ricatto morale della omessa collaborazione con la giustizia pretesa dagli organi inquirenti. È una violazione del principio di eguaglianza (art. 3 Cost.). Inoltre nello specifico si denunciano le seguenti Anomalie che rendono afflittiva e mortificante la condizione carceraria: 1- I locali di soggiorno e pernottamento in cui si svolge la nostra vita quotidiana sono privi di doccia ed acqua calda e addirittura ciechi, in quanto tali locali erano destinati originariamente a un solo detenuto. L’illuminazione è insufficiente ed addirittura quella elettrica è comandata dall’esterno. Tali condizioni appaiono allo stato non conformi a quanto stabilito dalla Corte Europea soprattutto se si tiene conto che siamo costretti a lavare la biancheria intima e tovaglie con acqua riscaldata con i fornelli perché il prelievo di acqua calda non è consentito pena rapporto disciplinare nonostante il regolamento penitenziario preveda lavabi per l’igiene e la pulizia della persona. 2- Il vitto che viene quotidianamente servito è sia non igienico sia inidoneo alla popolazione carceraria. A tale fine si segnala: - Il vitto viene somministrato quasi freddo e per tale ragione i primi piatti sono immangiabili e di scarsa qualità; - A causa dell’insufficienza di vitto la popolazione detenuta è costretta a ricorrere alla spesa settimanale e compensare con il pacco portato dai familiari. A tal proposito si rileva che i prezzi esercitati dalla ditta esterna sono raddoppiati rispetto a quelli pubblicizzati sui quotidiani locali e molto spesso i prodotti acquistati sono prossimi alla scadenza se non già scaduti. Tali fatti sono di una gravità inaudita, nonché moralmente inaccettabili ancor prima di essere illeciti. 3. Nel penitenziario in oggetto esistono spazi per lo svolgimento di attività sociali e sportive. Lo stesso è però incompleto ed assolutamente inutilizzabile, costringendo quindi i detenuti a ricorrere a forme artigianali di allenamento con rischi di sanzioni disciplinari e sequestro degli attrezzi ad ogni perquisizione. 4. I colloqui con i propri familiari sono regolati in modo tale da non assicurare scambio di affetto con la prole di minore età, infatti si segnala: a) non esistono ambienti idonei allo svolgimento dei colloqui a tal fine predisposti (ex area verde) b) i familiari sono costretti a lunghe ore di attesa prima di essere ammessi a colloquio c) è fatto immotivato divieto di portare prodotti acquistabili presso l’istituto di gradimento dei bambini. Tale situazione è divenuta insopportabile. 5. Segnaliamo alla S.V. che la fornitura dei prodotti di igiene dei locali è insufficiente se non inesistente. 6. Il servizio sanitario è carente ed insufficiente. Rilevato che tali richieste sono tutte contemplate e tutelate quali diritti inviolabili del detenuto dal nostro ordinamento penitenziario, la cui violazione è stata più volte ribadita anche dalla Corte Europea,La popolazione detenuta nel carcere di Secondigliano informa la S.V. che a partire dal giorno 9/05/2014 inizia una protesta pacifica che si svolgerà nel seguente modo: per i primi sette giorni battitura 3 volte al giorno; i successivi sette giorni sciopero della fame ad oltranza; nel seguito sciopero della spesa. Chiediamo inoltre lavoro, spazio di 7 mq a persona, area socializzazione e permanenza di 8 ore al giorno fuori dalla cella. tutto ciò quindi non costringa ad una permanenza forzata in cella, come previsto dalla corte europea con ricorso n. 22635/3, considerato che viviamo ogni giorno in condizioni disumane ed incostante e forte tortura psicologica. In attesa di un Vostro sollecito e gentile riscontro, porgiamo distinti saluti". I detenuti di Secondigliano Liguria: psicologi penitenziari "rottamati" dopo vent’anni di lavoro, i detenuti protestano di Katia Bonchi www.genova24.it, 16 maggio 2014 Rottamati dopo vent’anni di esperienza da una circolare del Dap, il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e sostituiti da giovani appena usciti dalle scuole di criminologia che si trovano, praticamente senza esperienza alle spalle, a valutare la pericolosità sociale e le effettive probabilità di recidiva o di suicidio di assassini, serial killer o, comunque, detenuti in carcere per gravi reati. È quanto sta accadendo in tutta Italia dei circa 100 psicologi e e criminologi penitenziari che lavorano nelle carceri italiane a partire dagli anni Ottanta. "Tutto è partito dalla circolare del Dap dell’aprile 2013 che ha stabilito che, al contrario di quanto avvenuto finora con contratti rinnovati annualmente, gli psicologi penitenziari non possano restare più di 4 anni presso lo stesso istituto" racconta Laura Ferro, classe 1965 e vent’anni di esperienza alle spalle soprattutto nelle carceri di Marassi e Chiavari. "A seguire alcuni provveditorati regionali, non tutti a dire il vero, si sono mossi emanando nuovi bandi per formare le graduatorie" spiega la psicologa genovese. In ogni regione le regole sono state diverse: "In Liguria sono stati attribuiti punteggi più alti ai laureati in criminologia o a coloro che abbiano conseguito master o tirocini dopo il 2005, mentre nessun punteggio a chi poteva vantare decenni di esperienza sul campo". Così su una decina di criminologi e psicologi "esperti" che lavoravano da sempre sul territorio solo una è entrata nella fantomatica graduatoria, gli altri sono stati lasciati a casa. Licenziati quindi, senza essere mai stati assunti perché per legge gli psicologi penitenziari possono lavorare solo come liberi professionisti a partita Iva per un massimo di 64 ore al mese e una "parcella" oraria di 17.63 euro (lorde). L’attività di "osservazione e trattamento" e le relazioni periodiche degli psicologi sono fondamentali per il parere che la direzione del carcere darà al magistrato di sorveglianza in merito alla concessione di permessi premio o misure alternative alla detenzione. Un lavoro difficile e insidioso anche se sottopagato e senza tutele. "Ovviamente, oltre a svariate interrogazioni parlamentari, ci stiamo muovendo a livello nazionale con alcuni ricorsi e per questo alcune regioni come la Toscana e le Marche hanno concesso una proroga dei nostri contratti per consentirci di lavorare finché il tribunale amministrativo non si sarà espresso in merito, ma in Liguria questo non è accaduto". Laura Ferro ha conosciuto e seguito praticamente tutti i casi più eclatanti che hanno riguardato la nostra regione, da Donato Bilancia a Bartolomeo Gagliano da Antonio Rasero a tanti criminali meno noti, ma altrettanto impegnativi: "Ho seguito tutti i casi di omicidio della Liguria ad eccezione di Delfino, e spesso mi sono ritrovata i detenuti passare da Chiavari a Genova potendo così proseguire il percorso educativo. E ora molti di loro stanno protestando, perché si ritrovano davanti facce nuove che non li conoscono e devono ripartire da zero. Che senso ha tutto questo? Addirittura un ragazzo mi ha scritto una lettera firmata e minaccia il suicidio se non sarà più seguito da me, ma in questa situazione noi siamo fuori, ci sentiamo abbandonati e siamo costretti ad abbandonare chi con noi aveva instaurato quel rapporto di fiducia che è alla base di qualunque percorso rieducativo". Rispetto alle motivazioni che hanno portato il Dap a una scelta quantomeno discutibile la psicologa genovese non ha dubbi: "Il ministero aveva evidentemente paura che dopo tanti anni di lavoro precario, sottopagato e senza tutele di alcun tipo molti gli facessero causa per chiedere la stabilizzazione. Ma ha sbagliato perché è proprio ora, che ci stanno lasciando a casa, che molti stanno avviando anche ricorsi individuali per chiedere il riconoscimento di tanti anni di lavoro". Intanto a Genova la disperazione e lo stress di aver perso il lavoro dopo vent’anni ha fatto registrare anche un episodio tragico: "Un nostro caro collega, Raimondo Solazzo, dopo vent’anni di lavoro soprattutto nel carcere di Pontedecimo, si è ritrovato a casa. È stato l’unico a rifiutare esplicitamente di presentarsi alle nuove selezioni e dal 1 di aprile ha smesso di lavorare. Venti giorni dopo è morto di infarto. I parenti mi hanno dato il permesso di raccontare la sua storia perché Raimondo era molto arrabbiato per il fatto di dover lasciare un lavoro a cui teneva molto". Campania: la Giunta regionale stanzia 9 milioni € per interventi di edilizia penitenziaria Corriere dell’Irpinia, 16 maggio 2014 Per interventi edilizia penitenziaria stanziati 9 milioni di euro. Si è riunita a palazzo Santa Lucia la Giunta regionale della Campania, presieduta da Stefano Caldoro. Su proposta del presidente, sono stati approvati due protocolli di intesa. Il primo, con il ministero dell’Interno, è volto a potenziare e a razionalizzare gli strumenti di prevenzione amministrativa della corruzione e dell’infiltrazione della criminalità organizzata nel settore della bonifiche ambientali in Campania. Il secondo, con il ministero della Giustizia, l’Anci e i Tribunali di Sorveglianza di Napoli e Salerno, punta a migliorare le condizioni del sistema carcerario regionale. A tal fine, per la realizzazione degli interventi di edilizia penitenziaria vengono stanziati 9 milioni di euro. Padova: arrivato in ospedale con peritonite perforata, detenuto muore dopo l’intervento Corriere del Veneto, 16 maggio 2014 Il pm Tonon apre un’inchiesta per far luce sul decesso di un 45enne, ricoverato per una peritonite perforante. In prigione era stato visitato da tre medici diversi. Il sostituto procuratore Francesco Tonon ha aperto un’inchiesta (al momento senza indagati) per far luce sulla morte di Francesco Amoruso, 45 anni di Crotone, detenuto in carcere al Due Palazzi dal 2006 e morto in ospedale a Padova l’8 marzo scorso dopo una lunga operazione a cui i camici bianchi dell’azienda ospedaliera l’avevano sottoposto, nel tentativo di salvargli la vita. Amoruso era arrivato in ospedale la mattina del 7 marzo dopo essere stato visitato in carcere per cinque volte e da tre medici diversi che però, fino alla visita del 7 marzo, non avevano ritenuto di fare approfondimenti, nonostante fosse diversi giorni che il detenuto lamentava dolori all’addome. Quando l’uomo è arrivato al Pronto Soccorso dell’azienda ospedaliera era già in choc ipovolemico. Durante l’operazione è stata confermata la diagnosi di peritonite stercoracea con perforazione del passaggio retto-pelvico per abnorme stasi fecale. L’operazione, nonostante sia andata a buon fine e l’impegno dei medici dell’ospedale, non è servita però a salvargli la vita. Detenuto muore in tre giorni a causa di una peritonite, di Cristina Genesin (Il Mattino di Padova) Ma nessuno se n’era accorto prima del trasferimento al Pronto soccorso. Il pm Tonon ha aperto un’inchiesta sulla fine del 45enne Francesco Amoruso. È morto in modo atroce Francesco Amoruso, 45 anni, originario di Crotone, detenuto nel carcere Due Palazzi di Padova. Aveva solo 45 anni e una condanna da scontare fino al 15 luglio 2023 per reati molto gravi. È morto in tre giorni a causa di una peritonite stercoracea, una perforazione di un tratto dell’intestino con infiammazione del peritoneo, la membrana che riveste gli organi addominali, dovuta alla presenza di materiale fecale e batteri. Eppure nonostante i laceranti dolori, le richieste d’aiuto e ben cinque visite da parte del personale sanitario dell’istituto di pena nell’arco di appena ventiquattr’ore, nessuno aveva ritenuto opportuno una rapida e più approfondita indagine, ritenendo sufficiente la somministrazione di qualche antidolorifico. Era il 6 marzo scorso. L’indomani (ma ormai era troppo tardi) il trasferimento del detenuto nel Pronto soccorso dell’Azienda ospedaliera a bordo di un’ambulanza. Tutto inutile, nonostante il tentativo dei chirurghi che hanno operato d’urgenza Francesco Amoruso, cercando fino all’ultimo di salvarlo. Non ce l’hanno fatta: le condizioni del 45enne erano compromesse oltre quel limite che non lascia più speranza. L’8 marzo il decesso. Sul caso è stata aperta un’inchiesta dal pubblico ministero Francesco Tonon. Al momento non risultano indagati ma il magistrato ha affidato una consulenza tecnica al dottor Matteo Corradin dell’Istituto di medicina legale di Bologna: l’esperto, sulla base della documentazione medica (la cartella clinica ospedaliera e il “diario” dell’infermeria del carcere) dovrà rispondere a una serie di interrogativi. In particolare, come mai non è stata compresa subito la gravità delle condizioni del 45enne? Come mai non è stato immediatamente trasferito in ospedale nonostante il forte stato di sofferenza? C’è stata, forse, una sottovalutazione tra il personale medico del carcere? Francesco Amoruso era stato trasferito dal carcere Rebibbia di Roma a quello padovano il 14 marzo del 2006. Stava scontando una condanna per rapina, omicidio e reati legati allo spaccio di droga. Il 6 marzo si rivolge al medico turno in carcere, lamentando un forte dolore al ventre che lo tormenta da qualche giorno: l’addome è “duro” e non riesce a evacuare. Quel giorno è visitato due volte e rispedito in celle con alcuni antidolorifici. Francesco Amoruso, però, sta sempre peggio. Tuttavia un detenuto, privo della libertà, non ha alcuna possibilità di andare in ospedale di sua iniziativa. Così il 7 marzo, tra la notte e la mattina, è visitato altre tre volte: alla fine verrà valutato da tre medici diversi dell’infermeria carceraria. Dopo il quinto controllo viene trasportato al Pronto soccorso dove arriva intorno alle 10. L’équipe dell’Azienda ospedaliera si rende conto che il caso è serio. Il paziente sta malissimo: è in shock ipovolemico (ha una riduzione acuta della massa sanguigna circolante), con problemi cardiaci e renali. È spedito in sala operatoria con urgenza. Subisce due arresti cardiaci durante la complessa operazione: Francesco risulta colpito da una peritonite stercoracea con la perforazione del passaggio retto-pelvico a causa di un’abnorme stasi fecale. Nel pomeriggio il trasferimento in Rianimazione, il giorno seguente la morte. Nella cartella clinica ospedaliera viene scritto che il paziente era già arrivato in condizioni gravi e si ipotizza che non ci sia stata una precedente adeguata valutazione. Sono gli stessi chirurghi a trasmettere una segnalazione alla direzione sanitaria dell’Azienda ospedaliera. Segnalazione che, quest’ultima, invia alla procura e alla direzione del carcere Due Palazzi. Livorno: morte di Marcello Lonzi, si discute il rinvio a giudizio dei sanitari del carcere di Ilaria Lonigro L’Espresso, 16 maggio 2014 L’uomo morì in una pozza di sangue nel penitenziario di Livorno. Il caso fu archiviato due volte, ma la madre non ha mai smesso di chiedere giustizia, denunciando per falso i medici Potrebbero riaprirsi le indagini sulle ultime ore di Marcello Lonzi, il ragazzo di 29 anni morto in una pozza di sangue, il corpo martoriato, nel carcere Le Sughere di Livorno, l’11 luglio del 2003. Secondo la giustizia italiana, che ha archiviato il caso per ben due volte, il decesso fu dovuto a "un forte infarto", come ha affermato il Gip della Procura di Livorno Rinaldo Merani. Che ha aggiunto: "Non ci sono responsabilità di pestaggio del detenuto Marcello Lonzi, né da parte della polizia penitenziaria, né di terzi". Non ci ha mai voluto credere la madre Maria Ciuffi. Che un anno fa ha sporto denuncia per falso nei confronti del medico legale che effettuò la prima autopsia e dei due medici del carcere. Al telefono con l’Espresso, la donna afferma: "Il medico legale scrisse che Marcello aveva 2 costole rotte, mentre con la riesumazione ne furono trovate 8. Non scrisse che il polso sinistro era rotto, né della vernice refertata in uno dei due buchi che ha in testa Marcello". Secondo Ciuffi, anche i due medici legali avrebbero detto il falso. "Scrissero - spiega la donna - che era morto entro le 20:14, mentre il mio perito, il professor Alberto Bellocco, disse che era morto tra le ore 15 e le 17:10 al massimo. Adesso, con elementi nuovi, il caso potrebbe essere riaperto". Così, sul suo profilo Facebook, Maria Ciuffi ieri ha annunciato che il suo legale, l’avv. Erminia Donnarumma, ha ricevuto una notifica del gip di Livorno. "Il 4 giugno - si legge su Facebook - si discuterà per il rinvio a giudizio dei due medici del carcere e il medico legale Luciani Bassi". E ha commentato così: "Una buona notizia, che sono scoppiata a piangere dalla gioia". Foggia: due detenuti tentano il suicidio impiccandosi, sono un foggiano e un barlettano www.foggiatoday.it, 16 maggio 2014 Si tratta di un 38enne di San Giovanni Rotondo e di un 32enne di Barletta. Entrambi hanno tentato di togliersi la vita provando ad impiccarsi con le lenzuola e un maglione. Due casi di tentato suicidio si sarebbero verificati in meno di 48 ore presso la casa circondariale di via della Casermette a Foggia. Il primo caso risale al mattino del 13 maggio quando all’interno della propria cella, un 38enne di San Giovanni Rotondo ha tentato di togliersi la vita con un pezzo di lenzuola a forma di cappio intorno al collo, che di lì a poco avrebbe legato alle inferriate della finestra del bagno. Gesto estremo scongiurato grazie all’intervento dei baschi azzurri che vigilano nel reparto. L’uomo, classe 1976, deve scontare una condanna per reati contro la persona e il patrimonio fino al 12 agosto del 2017. Il secondo episodio si è verificato questa mattina, intorno alle sette. Un 32enne di Barletta in attesa di giudizio contro la persona e il patrimonio ha tentato di impiccarsi nel bagno della stanza dov’era ristretto, con il proprio maglione e la stessa modalità con la quale nemmeno 48 ore prima aveva tentato di togliersi la vita un sangiovannese. La Polizia Penitenziaria del Reparto detentivo e soccorso ha evitato in extremis il peggio. Foggia: quando la vergogna è "europea"… i Radicali svolgono un’ispezione nel carcere di Stefano Campese www.lanotiziaweb.it, 16 maggio 2014 Andare in carcere. Senza aver commesso un reato, ma per evitare che se ne commettano. Non è un paradosso, ma la cruda realtà che sta dietro all’esigenza di visitare le patrie galere. I turisti dei diritti, quelli che visitano i luoghi di detenzione, sono persone coraggiose. E radicali. In tutti i sensi. Lo scorso 28 aprile, l’associazione Mariateresa Di Lascia, nelle persone del segretario Norberto Guerriero e di Ivana De Leo (accompagnati dal Consigliere regionale Giandiego Gatta), si è recata al carcere di Foggia per una visita ai detenuti e agli agenti di custodia. Intanto il 28 maggio scadrà il termine ultimo concesso dalla Cedu (Corte europea dei diritti dell’uomo) all’Italia, dopo la sentenza Torreggiani, per porre fine a tortura e trattamenti inumani. Una dead-line che, molto probabilmente, varcheremo dolosamente ancora una volta. Tre giorni prima, il 25 maggio, avremo votato per le Europee. Sarebbe bello capire che l’Europa ci parla e ci chiama più volte e in diverse occasioni. Per votare un Parlamento, ma anche per smetterla di torturare i nostri detenuti. Per mettere una croce su di un foglio elettorale nel primo caso, per toglierla, la croce, dalle spalle dei nostri carcerati, nel secondo. L’iniziativa radicale del 30 gennaio a Lucera, nel cui carcere è stato trovato il cadavere suicida di Alberico Di Noia. Italia - Serbia: non ci giochiamo l’Europeo, ma l’Europa. Le carceri italiane si confermano le più sovraffollate d’Europa, dopo la Serbia. A denunciarlo, ancora una volta, è il Consiglio d’Europa, l’organismo di Strasburgo che sovrintende alla difesa dei diritti umani e che ha da poco pubblicato il rapporto annuale sulle statistiche carcerarie riferito al 2012. In Italia ci sono 145,4 detenuti per 100 posti disponibili, contro una media di 98 su 100: è la situazione peggiore dell’Unione europea a 28 paesi, mentre fra i 47 paesi che fanno parte del Consiglio d’Europa solo in Serbia il sovraffollamento è maggiore. Nelle carceri italiane nel 2011 si sono suicidate 63 persone. Il nostro paese è secondo solo alla Francia, mentre siamo il primo paese con il maggior numero di detenuti stranieri nelle carceri. Fatti più là… sì, ma dove? I numeri del collasso del sistema carcerario sono disarmanti. Secondo i dati ufficiali del Dap, al 31.03.14, i detenuti reclusi nelle carceri italiane sono oltre 60mila a fronte di una capienza regolamentare di soli 48,309 posti. In questa tragica classifica la Puglia si colloca tra le prime regioni per sovraffollamento con 3.669 detenuti in 11 istituti che potrebbero ospitare massimo 2.431 detenuti. E Foggia si conferma degna provincia. Secondo l’Uil-Pa, nel 2013, su una capienza di 373 unità, i detenuti erano 570. Nelle ultime 48 ore sono stati ben due i tentativi d’impiccagione, sventati solo grazie al pronto intervento del personale penitenziario. Circa un mese fa un detenuto rumeno di 22 anni, nel Reparto Protetti Omosessuali, ha tentato anche lui il suicidio. A febbraio il Garante regionale dei detenuti, Pietro Rossi, ha fatto visita al carcere constatando la mancanza di acqua calda lungo tutta un’ala del carcere. E San Severo e Lucera (dove a gennaio si è tolto la vita Alberico Di Noia, 38 anni, impiccatosi in una cella d’isolamento) , seppur in percentuali più ridotte, vivono lo stesso fenomeno di sovraffollamento. Soluzione radicale. "Primo atto della prossima giunta dovrà essere quello d’ introdurre il garante comunale del detenuto - dichiara a lanotiziaweb il segretario dell’associazione Mariateresa Di Lascia, Norberto Guerriero - per rendere effettiva la funzione di garanzia di tale figura e sanare le inefficienze fisiologiche del garante regionale. Noi radicali ci batteremo per portare in campagna elettorale e, più in generale, nel dibattito della città, tali tematiche sui diritti civili non fermandoci alla sterile protesta ma avanzando concrete proposte". Da Papa a Papa, passando per Pannella. L’appello di Wojtyla difronte alle Camere in seduta comune del 2002 e la chiamata di Francesco a Pannella dello scorso 25 aprile. Sono i due momenti più forti ed incisivi (e mediatici) sulla questione. Da Papa a Papa con, in mezzo, sempre l’anziano leader radicale. I capi della Chiesa e il capo degli anticlericali. La questione carceri unisce preti e mangiapreti, carità cattolica e diritti laici ritrovano l’antico sentiero comune. In mezzo, tra un Papa e l’altro, c’è stato anche qualche tentativo di Stato (e, in verità, anche un altro Papa): indulti, sfolla carceri, implementazione delle misure alternative. 24 provvedimenti di amnistia e indulto dal 1948 ad oggi (secondo il rapporto dell’ottobre 2013 del Servizio Studi del Senato), però, non sono bastati. Ispezioni e denunce sono state fatte. A iosa. I numeri restano quelli. Irrimediabilmente vergognosi. Le condizioni pure. Irrimediabilmente schifose. La tabellina dei diritti, però, impone di mandarli a memoria, quei numeri. Un utile esercizio. Un esercizio che serve. Per ricordarci la condizione di tutti i ‘ristrettì. Per ricordarci che non tutti gli ammessi a misure alternative possono fare comizi e non tutti i condannati in via definitiva hanno in tasca un biglietto aereo per Beirut. Roma: Sindaco Marino; organizzare screening annuale tumore seno su detenute Rebibbia Agi, 16 maggio 2014 "Nella nostra città ci sono delle donne meno fortunate di altre, che vivono per motivi diversi nel carcere di Rebibbia: sarei molto felice se, insieme all’università Cattolica, dall’anno prossimo si potesse organizzare un momento annuale di screening anche per loro". Questa l’idea lanciata dal sindaco di Roma, Ignazio Marino, intervenuto oggi all’inaugurazione del nuovo Centro di Senologia del policlinico Gemelli. "Penso che all’interno del carcere gli aspetti di prevenzione e cura siano purtroppo ancora più difficili che al di fuori", ha aggiunto Marino, e pertanto "sono felice che la proposta che ho avanzato oggi e che lancerò nei prossimi giorni al capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Giovanni Tamburino, sia stata accolta al Gemelli molto favorevolmente: mi hanno detto che sono in grado di spostare un’unità mobile per poter effettuare mammografie alle detenute di Rebibbia". Roma: Sottosegretario Ferri; mancano dei custodi per il Colosseo? mandiamoci i detenuti di Massimiliano Lenzi Il Tempo, 16 maggio 2014 Un evento europeo, la Notte dei Musei, prevista per questo sabato, 17 maggio, e il Colosseo che rischia di restar chiuso per la mancanza di custodi. La ragione? In base ad accordi sindacali servirebbero dei volontari ma non si trovano. Una situazione surreale a cui il sottosegretario alla Giustizia del Governo Renzi, Cosimo Ferri, dice no. "Il Colosseo - spiega - è un patrimonio del nostro Paese, un simbolo di Roma e dell’Italia e non è un caso che questa bellezza monumentale ed artistica abbia anche attirato un imprenditore come Diego Della Valle, mecenate che ha deciso di restaurarlo, a conferma dell’importanza simbolica di questo posto". Sin qui nulla di nuovo, ma poi Ferri lancia la sua proposta: "Per risolvere il problema della mancanza di custodi e per aprire di notte il Colosseo, così come più in generale per l’apertura dei musei, si potrebbe ricorrere al lavoro di pubblica utilità previsto per i condannati nei processi penali". Sì, avete letto bene, i galeotti ad aprire e sorvegliare il nostro patrimonio artistico, soprattutto nei fuori orario. Quando gli chiediamo se è davvero sicuro di questa proposta il sottosegretario Ferri sottolinea che "questo tipo di sanzione è previsto per i reati di competenza del giudice di pace e per altri reati di lieve entità come quelli contemplati dal codice della strada. In base a queste norme, il giudice penale può stabilire che, al posto della pena detentiva o di quella pecuniaria, chi viene condannato svolga (se presta il consenso) una attività lavorativa a titolo gratuito anche a favore dello Stato. Inoltre il lavoro di pubblica utilità è stato previsto anche dalla recentissima legge 67/2014 sulla sospensione dei processi per la messa alla prova dell’imputato, per cui anche da questo punto di vista vi è una ulteriore possibilità di ricorrere a questa forma di lavoro". Insomma, la legge, spiega il sottosegretario Ferri ci sarebbe, perché non utilizzarla? Vittorio Sgarbi, critico d’arte da sempre in prima linea con le sue battaglie per la tutela e la valorizzazione del patrimonio artistico italiano, avverte invece che - per lui - "l’argomento dei custodi che non si trovano, non esiste, ed è l’ennesima forma di autolesionismo italiano. Il rapporto con i sindacati - annota Sgarbi - non è insanabile perché coi sindacati devi trattare per far sì che i custodi abbiano uno straordinario, pagato bene, che per cinque custodi ad esempio potrebbe essere di 100 euro a testa, che son più degli 80 euro di Matteo Renzi di cui parla mezza Italia. Faccio fatica a credere che per quella cifra i custodi rifiuterebbero di lavorare al Colosseo nella Notte dei musei. Lei che dice? E se non li trovano i soldi, 500 euro, sono disponibile ad offrirli io. In compenso il danno d’immagine della notizia, rimbalzata sui giornali di tutto il mondo, è di almeno 5 milioni di euro. Se questo è un Paese...". Per Sgarbi, insomma, la questione dell’apertura del Colosseo per la "Notte dei musei" di Roma sarebbe del tutto insensata e "la carenza di custodi non ne impedisce in alcun modo l’apertura". Sgarbi offre anche una seconda opzione: "Nella tanto conclamata relazione di partnership tra pubblico e privato che ha visto per il Colosseo, dopo un lunghissimo travaglio, l’intervento di liberalità di Diego Della Valle - secondo Sgarbi - il ministero dei Beni culturali può chiedere la collaborazione dello stesso Diego Della Valle, in nome di questo accordo, e al di là di qualunque tema di tutela, per contribuire, in accordo con il sindacato, a pagare lo straordinario a 5 custodi, che non dovrebbero avere alcuna ragione per sottrarsi a un impegno remunerato. In alternativa qualunque convegno o conferenza di un’azienda si autogestisce all’interno di uno spazio concesso a pagamento. Sarebbe sufficiente chiedere a Della Valle di organizzare una iniziativa della sua azienda, senza invadente pubblicità, in coincidenza della Notte Bianca". Detto in parole più semplici, "si tratterebbe di affittare per quella sera il Colosseo o qualcuno che si potrebbe portare i suoi custodi". Il ministro dei Beni e attività culturali e turismo, Dario Franceschini, ora ha tre opzioni prima di rinunciare ad aprire di notte il Colosseo: uno, la proposta del sottosegretario Ferri; due e tre le idee di Sgarbi. Ce la farà a farlo aprire? Modena: nell’ex Casa di Lavoro a Saliceta ora c’è solo degrado e bivacchi dei senzatetto di Vincenzo Malara Il Resto del Carlino, 16 maggio 2014 Bisogna conoscere i sentieri giusti e inoltrarsi dove l’erba sembra inghiottire tutto. La serpentina delle loro orme si snoda tra le case diroccate e il perimetro del vecchio deposito di artiglieria in via Giardini. I residenti della zona di Saliceta San Giuliano li chiamano "invisibili" perché fanno ritorno quando scende il buio ed escono dai loro nascondigli prima che gli abitanti della zona si sveglino per andare al lavoro. I bivacchi nel quartiere sono un puzzle in continua evoluzione e sono divisi per zone ed etnie: i nord africani entrano ed escono dalla ex Casa Lavoro di Saliceta in via Panni, chiusa dal ministero dopo il terremoto, mentre slavi e rumeni si rifugiano nelle case pericolanti che si erigono nelle campagne fino alla vecchia porcilaia in stradello Armenone a ridosso della tangenziale. I primi passano il giorno a chiedere l’elemosina nei parcheggi dei supermercati; i rumeni, invece, presidiano i semafori cittadini o si riciclano come posteggiatori abusivi al Policlinico. Il loro è un via vai silenzioso che ogni giorno segue lo stesso identico percorso di andata e ritorno, dalla periferia fino alla città. Il triangolo via Giardini, via Panni e via Contrada, è da anni al centro degli sgomberi delle baraccopoli da parte delle forze dell’ordine. "Da qualche tempo i mendicanti si sono divisi in gruppetti, mentre in passato si muovevano in gruppo e cambiavano rifugio dopo ogni sgombero - racconta Rino Fregni, residente storico di via Panni - Un mese fa la direzione del carcere S. Anna ha organizzato una pulizia dei locali e i detenuti coinvolti nella bonifica hanno raccolto quintali di rifiuti. Da allora il via vai degli stranieri è diminuito, ma qualcuno entra ancora indisturbato", dice il residente, mentre ci accompagna all’interno dei vecchi alloggi degli agenti penitenziari, mostrandoci i segni di un pasto frugale consumato in mezzo alla sporcizia. Per gli invisibili entrare nel complesso è facile: basta fare perno nelle fessure del muretto crollato su via Giardini e una volta percorsa una stradina sterrata si arriva nello spiazzo centrale. Il tour tra i bivacchi prosegue tra i casolari decrepiti lungo stradello Chiesa di Saliceta , dove i giacigli notturni sono testimoniati dai materassi luridi abbandonati per terra, le coperte avvolte su se stesse e i sacchetti di rifiuti ammassati qua e là. Stesso spettacolo desolante in stradello Armenone dentro una vecchia porcilaia inagibile: qui lo scenario parla di un rifugio di vecchia data, con vestiti logori sparsi ovunque, scarpe spaiate, cibo ammuffito e biciclette arrugginite. "Quando provo a fermarli mentre entrano nella ex Casa Lavoro mi fanno segno di stare zitto - confida ancora Fregni. Noi residenti non siamo razzisti, ma spesso queste persone passano sotto casa nostra ubriachi e se proviamo a dirgli qualcosa veniamo minacciati o presi a male parole. È una convivenza che da troppo tempo non ci fa dormire tranquilli". Avellino: ancora tensione nel carcere di Bellizzi Irpino, aggredito un agente penitenziario di Marco Ingino Il Mattino, 16 maggio 2014 Un detenuto salernitano di 50 anni, sottoposto a specifica terapia di psicofarmaci, ha aggredito ieri nel carcere di Bellizzi un sovrintendente capo di 53 anni originario del montorese. L’agente, stando a quanto ha denunciato all’autorità giudiziaria ed ai superiori, nel corso del giro di perlustrazione avrebbe invitato più volte il detenuto ad assumere le medicine che gli erano state prescritte. Al rabbioso e ripetuto diniego del 50enne, il sovrintendente capo della polizia penitenziaria ha deciso di aprire porta della cella, ignaro di quella che sarebbe stata, di lì a poco, la violenta reazione del detenuto. Senza accennare al minimo dialogo, infatti, il 50enne si è scagliato contro di lui, colpendolo con un pugno all’occhio sinistro. Benché stordito dall’improvviso dritto ricevuto in pieno volto, il sovrintendente capo è riuscito a difendersi alzando la guardia e limitando i danni della colluttazione, che è durata meno di un minuto. Allertati dalle grida, sono intervenuti due colleghi della vittima, che hanno neutralizzato l’aggressore. Il detenuto è stato denunciato all’autorità giudiziaria e nelle prossime ore potrebbe scattare nei suoi confronti il trasferimento ad un altro penitenziario. L’agente, il cui occhio è diventato inevitabilmente livido, ha fatto ricorso alle cure mediche ed è stato dichiarato guaribile in una settimana, dal momento che anche la visita oculistica a cui è stato sottoposto ha escluso ulteriori complicazioni. L’episodio, su cui è stata aperta anche un’inchiesta interna, non ha alcuna correlazione con il pestaggio avvenuto venerdì mattina a Grottolella ai danni di Giovanni Spiniello, altro sovrintendente capo di 45 anni in servizio a Bellizzi Irpino. L’uomo, che resta ricoverato al Moscati di Avellino, rimase vittima di un agguato, a colpi di bastone, da parte di due sconosciuti mentre era nel suo fondo agricolo alla località Pincera, zona tra i comuni di Altavilla e Grottolella. Tuttora ignari i motivi alla base del pestaggio. Varese: concorso letterario "Oltre il muro"… così i detenuti immaginano una nuova vita www.varesenews.it, 16 maggio 2014 Mercoledì pomeriggio si è svolta a Villa Recalcati la premiazione del quarto concorso artistico-letterario per persone in carcere. Torna, si consolida e si arricchisce l’annuale appuntamento cittadino del Concorso Artistico-Letterario per Detenuti, che tanto ha coinvolto negli anni scorsi, invitando così gli organizzatori a proseguire e riproporre l’iniziativa alla sua quarta edizione. È ormai una prassi consolidata all’interno delle carceri realizzare laboratori creativi tra le attività proposte per costruire il percorso della persona detenuta e favorire il suo possibile reinserimento nella società. "Molte sono le iniziative a livello nazionale, ma il nostro concorso si distingue - ci dice Maria Mongiello, Responsabile Area Trattamentale della Casa Circondariale di Varese e anima dell’iniziativa - perché si è sempre volutamente mantenuto a livello regionale, valorizzando la territorialità e dando voce ed espressione alle persone ristrette presso gli istituti lombardi: proprio perciò, è prevista la partecipazione alla serata di alcuni detenuti che hanno preso parte al concorso e che stanno scontando la loro pena in misura alternativa o in permesso premio". La partecipazione territoriale è cresciuta di anno in anno: in questa edizione, hanno partecipato 15 Istituti Penitenziari su 18, complessivamente sono state selezionate 167 opere tra racconti, poesie ed elaborati artistici realizzati da detenuti italiani e stranieri. Questi laboratori sono più strutturati e infatti una buona parte dei lavori provengono da attività interne agli istituti, come per esempio nel caso dell’Istituto a Custodia attenuata per donne madri (Icam) e San Vittore di Milano. "La Casa Circondariale di Varese, che è promotrice dell’iniziativa, ha realizzato due laboratori interni, ai quali hanno partecipato complessivamente circa 20 persone con provenienze, lingue e livello di istruzione molto eterogenei - ci racconta Sabrina Gaiera, Agente di Rete del Consorzio Sol.Co. Varese: nonostante ciò, il tema del bando, decisamente non facile, ha premiato l’originalità del pensiero e dello stile. Al centro di ogni realizzazione, un profondo lavoro su sé e sulla propria esperienza di vita, con un occhio rivolto alle speranze e alla paura per un futuro incerto. Ogni anno cerchiamo un nuovo tema stimolante, diverso dai precedenti e, in un contesto come quello carcerario, tutto fa contrasto e la precarietà si scontra con la costanza, con la tenacia e con le energie che quotidianamente si mettono in gioco. Anche quando tutto sembra ancora più difficile, si lotta per perseverare e andare avanti, comunque". Il "dentro" e il "fuori" del carcere s’incontrano, in un pomeriggio di primavera. La sala è affollata anche quest’anno, la costanza degli operatori paga. Si approfondiscono temi: la parola, la scrittura, la libertà, la fatica dello stare dentro e il desiderio intrigante di immaginare il fuori. Oltre il muro Francesco ha ritrovato la sua famiglia e dall’8 maggio immagina una vita possibile; oltre il muro Raphael, che è presente grazie ad un permesso premio, dopo la ribellione pensa alle responsabilità che lo aspettano. Oltre il muro Stefania ritroverà "lei", la libertà. Le parole, i colori e le forme delle opere si alternano a momenti di emozione e di celebrazione. La Casa Circondariale di Varese e i suoi operatori sono presenti in sala , la serata si anima in modo lineare, gli applausi non mancano e forse possono arrivare anche dentro il muro, dove qualcuno ora sta scrivendo una parola e tracciando una linea colorata per non essere dimenticato e per continuare a sperare. Oltre ai primi tre classificati nelle due sezioni, sono state attribuite menzioni speciali, due delle quali in ricordo di due personalità significative della cultura varesina e non solo, Bruna Brambilla e Giuseppe Romano. I riconoscimenti in cifre vanno da 200,00 a 300,00 euro per i primi classificati nelle diverse sezioni. Per la serata è prevista la presenza di diverse autorità pubbliche: oltre alla Provincia di Varese, padrona di casa, saranno presenti il Direttore del Carcere, il Comune di Varese e Asl. La quarta edizione del concorso artistico/letterario è realizzata da: Ministero di Giustizia - Provveditorato Regionale Lombardia; Ministero di Giustizia - Casa Circondariale di Varese; Consorzio Sol.Co. Varese; Auser Varese; Associazione Assistenti Carcerari di San Vittore Martire; UISP Varese. Con il patrocinio della Provincia di Varese e del Comune di Varese. Enti finanziatori: Regione Lombardia - Famiglia e Solidarietà Sociale - e Asl Varese, in qualità di finanziatori del progetto "AdR Nord", che vede Enaip Lombardia come capofila in continuità con precedenti interventi, tra cui il noto Agenti di Rete; e ancora Fondazione Comunitaria del Varesotto e Fondo Danilo Dolci. Si ringrazia per il contributo economico: BCC - Banca di Credito Cooperativo di Busto Garolfo e Buguggiate. Spoleto (Pg): detenuto espulso e scortato… in Cina, dagli agenti dell’Ufficio immigrazione Giornale dell’Umbria, 16 maggio 2014 Era uscito ieri dal carcere di Spoleto, dopo aver scontato cinque anni per aver usato violenza alla figlia. Riaccompagnato fino a Pechino e consegnato alla polizia cinese: un volo di molte ore, quello compiuto dallo scalo di Fiumicino alla capitale della Cina da due agenti dell’ufficio immigrazione della questura di Perugia, per rimpatriare un cinese di 45 anni, già domiciliato a Roma, che fino a ieri era rinchiuso nel carcere di Spoleto, dove ha scontato una condanna a cinque anni di reclusione. L’uomo era stato arrestato a Roma dalla polizia il 28 marzo 2010, poche ore dopo che la figlia 15enne si era recata al pronto soccorso per chiedere assistenza medica dopo una violenza sessuale che sarebbe stata perpetrata ai suoi danni proprio dal padre. Livorno: gli avvocati da tutta Europa si ritrovano a convegno sotto il segno di Beccaria di Maria Giorgia Corolini Il Tirreno, 16 maggio 2014 Convegno in occasione dei 250 anni della stampa di "Dei diritti e delle pene". Atteso l’intervento del ministro della giustizia Andrea Orlando. Un Convegno internazionale per ricordare e approfondire "Dei delitti e delle pene", l’opera di Cesare Beccaria che è pietra miliare del pensiero occidentale e che 250 anni fa fu pubblicata proprio a Livorno. La nostra città, che nei secoli è stata capace di esprimere un alto grado di civiltà e tutela dei cittadini, si pone oggi come punto di partenza- non solo ideale ma anche fisico- per la fondazione dell’Unione camere penali europee: sabato, infatti, al termine della due-giorni beccariana di approfondimento storico e giuridico (16 e 17 maggio presso l’auditorium della Camera di commercio), nel piccolo scrigno della Goldonetta avvocati penali provenienti da diversi paesi europei si riuniranno insieme al professore emerito di procedura penale Gustavo Pansini e al presidente del Consiglio europeo per la cooperazione nell’esecuzione penale del Consiglio d’Europa Mauro Palma per dare il là a un processo di costruzione internazionale. Lo scopo dell’iniziativa, a cui parteciperanno Spagna, Portogallo, Slovenia e Malta in quanto paesi già firmatari e Francia e Germania come prossimi aderenti (nonché la Turchia, che non può firmare perché esterna all’ Unione), ce lo riassume l’avvocato della Giunta dell’Unione camere penali italiane Ezio Menzione: "L’Europa si pone sempre di più come terreno giuridico e legale: lo sanno bene i magistrati - racconta - che si stanno già attrezzando tramite la figura del Procuratore europeo. E noi avvocati? Dobbiamo organizzarci - continua - per essere abbastanza forti da tenergli testa: l’avvocato, anche bravissimo, che sa muoversi solo su territorio nazionale non basta più". E insieme al presidente della Camera penale di Livorno Vinicio Vannucci, Menzione spiega: "Per adesso l’intervento del Procuratore europeo, che può incidere sulla libertà e sui beni dei cittadini, è limitato a reati di incidenza economica europea ma il modello è destinato ad allargarsi". Insomma, saremo giudicati sempre di più da istituzioni sovranazionali e oltreconfine e serve qualcuno che ci possa tutelare. Da qui l’esigenza di una rete che colleghi le realtà nazionali tra loro e che permetta agli avvocati di scambiarsi esperienze anche in direzione della riorganizzazione del diritto procedurale penale europeo. L’incontro, previsto per le 14:00, sarà aperto alla cittadinanza nei limiti dello spazio disponibile. Grande partecipazione invece- e posti ormai esauriti- per la giornata di Venerdì e per il Sabato mattina: si confronteranno sull’uomo Beccaria e sulle sue idee docenti di diritto provenienti dalle università di tutta Italia, avvocati ed esperti di procedura penale, nonché il Pg della Cassazione e Presidente del Consiglio consultivo dei Pm europei Antonio Mura che, con il Presidente dell’Unione camere penali italiane Valerio Spigarelli incontrerà i ragazzi della quarta del Liceo Classico. Ultimo ma non ultimo il Ministro della Giustizia Andrea Orlando, che interverrà alle 11 di Venerdì con contributi e proposte. Per gli appassionati, inoltre, dall’8 Maggio al 7 Giugno (e con apertura straordinaria Domenica 1) nei locali della Biblioteca labronica di Villa Fabbricotti si terrà una mostra dal titolo: "Bagliori di libertà: Cesare Beccaria e gli illuministi nella Livorno cosmopolita" per riscoprire gli uomini e le idee che ancora oggi possono rappresentare un baluardo per l’Europa del futuro. Verona: ieri si è tenuta la presentazione del progetto "Interazione tra i popoli in carcere" www.veronaoggi.it, 16 maggio 2014 Si è tenuta ieri pomeriggio, in sala Gozzi, la presentazione del progetto "Interazione tra i popoli in carcere. Indagine sulla percezione dell’altro nella reclusione: l’esempio Montorio". Erano presenti il Presidente del Consiglio comunale Luca Zanotto, l’assessore ai Servizi sociali Anna Leso e la Garante dei diritti delle persone private della libertà personale Margherita Forestan. Il progetto, realizzato da Alteritas in collaborazione con il Garante dei diritti delle persone private della libertà personale e la Direzione della Casa Circondariale di Montorio, è promosso da Provveditorato regionale all’Amministrazione penitenziaria per il Triveneto, Ufficio per l’Esecuzione penale esterna e Università degli Studi di Verona. Con questo progetto Alteritas ha raccolto ed elaborato dati di ricerca sulle interazioni tra i popoli, tema fondante e statutario dell’attività dell’associazione, per offrirli non solo al pubblico specialistico ma anche agli enti che operano attorno al carcere e alla comunità civile. "Un ringraziamento particolare va alla Garante Forestan - ha detto Zanotto - per l’impegno profuso all’interno del carcere, in particolare per tutelare i diritti della popolazione carceraria e risolverne le problematiche. Sono certo che questo studio sarà anche per altri istituti penitenziari uno strumento di riflessione". Sassari: dall’ex carcere di San Sebastiano nascerà il nuovo polo giudiziario della città di Pinuccio Saba La Nuova Sardegna, 16 maggio 2014 Firmata a Palazzo Ducale l’intesa inter-istituzionale. Il costo della cittadella, 12 milioni, a carico del ministero della Giustizia. Un polo giudiziario al cui interno verrà ricavato uno spazio per la realizzazione di un museo della memoria del carcere. Questa la destinazione del dismesso carcere giudiziario di San Sebastiano i cui lavori di riqualificazione saranno finanziati con 12 milioni di euro dal ministero della Giustizia. Ieri mattina, a Palazzo Ducale, è stato sottoscritto l’accordo inter-istituzionale per la "valorizzazione, razionalizzazione e riqualificazione del compendio demaniale dell’ex carcere di San Sebastiano. L’accordo è stato sottoscritto da Guido Sechi, commissario straordinario del Comune di Sassari; Pietro Fanile, presidente del tribunale di Sassari; Roberto Saieva, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Sassari; Rita Soddu, direttore regionale per la Sardegna dell’Agenzia del Demanio; Mariella Mereu, in rappresentanza del Provveditorato interregionale per le opere pubbliche per Lazio-Abruzzo- Sardegna; Francesca Casule, Soprintendente per i beni architettonici, paesaggistici, storici, artistici ed etnoantropologici delle province di Sassari e Nuoro e in rappresentanza della Direzione regionale per i Beni culturali e Paesaggistici della Sardegna; Giampaolo Cassitta, in rappresentanza del Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria; Francesco Milia, presidente del Consiglio dell’Ordine Forense di Sassari. La scelta di trasformare il vecchio carcere in una sorta di cittadella giudiziaria rispondeva all’esigenza di dotare gli uffici giudiziari di locali adeguati alle loro funzioni per dimensione e ubicazione, e adatti a ospitare in modo migliore l’attività di tutti gli operatori della giustizia e a dare servizi più efficienti ai cittadini. Al momento diversi uffici di tribunale, procura, tribunale di sorveglianza, giudice di pace e corte d’appello sono ospitati in strutture di privati distribuite in punti anche molto distanti fra loro il cui costo era sostenuto dal ministero della Giustizia che spende oltre un milione e 800 mila euro l’anno per gli affitti. Questo crea evidenti diseconomie e disagi, come più volte sottolineato anche dall’ Ordine Forense, che ha sostenuto l’idea della nuova destinazione dei locali dell’ex carcere. Il progetto, attualmente in fase di elaborazione, è stato affidato Provveditorato delle Opere Pubbliche per il Lazio- Abruzzo-Sardegna e, data la rilevanza storica, architettonica e culturale del complesso, è seguito anche dal ministero per i Beni e le Attività culturali, tramite la direzione regionale e la Soprintendenza di Sassari e Nuoro. I lavori, una delle più importanti opere pubbliche degli ultimi anni, dovrebbero durare due anni circa. Mail carcere di via Roma ha anche segnato per un secolo e mezzo la vita cittadina e per questa ragione il Comune ha chiesto che una parte dell’istituto di pena venga trasformato in una sorte di museo della memoria, una testimonianza storica del passato. Per questo lavorerà con la Soprintendenza allo scopo di individuare spazi e modi per rendere fruibile ai cittadini e ai visitatori quello che potrebbe diventare un nuovo centro museale da inserire all’interno dei percorsi culturali cittadini. San Sebastiano, quindi, non sarà più sinonimo di sofferenza ma diventerà un luogo di lavoro (si spera) il più razionale possibile, a tutto vantaggio dell’amministrazione della giustizia e di conseguenza dei cittadini. Un risultato raggiunto grazie alla collaborazione fra i tanti enti che - per svariate ragioni - hanno competenza sull’ex carcere giudiziario e a questo proposito va sottolineata la novità del tavolo inter-istituzionale che rappresenta un concreto modello di lavoro per le amministrazioni pubbliche, che risponde anche alle esigenze di revisione della spesa pubblica e che (aspetto da non trascurare) rappresenterà un’importante ricaduta economica su un territorio colpito da una crisi senza precedenti. I detenuti trasferiti a Bancali nel luglio scorso La vecchia struttura penitenziaria era stata dismessa nel luglio dello scorso anno. I detenuti, 148 uomini, 13 donne e un bambino, avevano lasciato la vecchia "galera" ed erano stati trasferiti nel nuovo centro di detenzione di Bancali la cui realizzazione era stata ipotizzata fin dal 1981. San Sebastiano era stato costruito nel 1871 nell’allora periferia della città, una struttura all’epoca moderna e funzionale. Teatro della clamorosa fuga di Graziano Mesina, San Sebastiano è poi diventato un simbolo negativo delle carceri italiane, tanto che con quello di Buoncammino veniva considerato un lager. Trapani: uno spettacolo per esprimere vicinanza e solidarietà ai detenuti del carcere www.tp24.it, 16 maggio 2014 Musica e risate per esprimere vicinanza e solidarietà ai detenuti del carcere di Trapani. Nel pomeriggio di venerdì 9 Maggio 2014, si è svolto presso il teatro dell’istituto di pena trapanese, uno spettacolo con l’obiettivo di offrire una opportunità di svago e socializzazione per i reclusi. A promuovere questo particolare genere di evento è stata l’Associazione l’Energia del Sorriso, presieduta da Angela D’Antoni, con sede legale a Marsala, d’intesa con i vertici della Casa Circondariale di Trapani, diretta da Renato Persico. Lo spettacolo è risultato molto partecipato, tanto intenso quanto simpatico. A questo evento, alla cui organizzazione hanno dato un grande contributo l’Educatore Palma D’Angelo dell’ Energia del Sorriso; l’Educatore Antonino Vanella, il comandante Giuseppe Romano e il personale amministrativo e di polizia penitenziaria del carcere, ne seguiranno molto probabilmente altri, considerata la richiesta esplicita da parte di tutti a ritornare, nello spirito di continuare formule di coinvolgimento e informazione sociale attraverso la cultura e, nel caso specifico, attraverso la musica e l’arte in genere. Tanti gli artisti che hanno preso parte allo spettacolo , si citano in particolare "Calandra e Calandra", il mago Vilar", la scuola di ballo dei maestri La Grutta, il cantante Paolo Salerno. Hanno presentato Angela D’Antoni e Baldo Russo, ha curato il service Giuseppe Ombra. A conclusione dello spettacolo, un momento conviviale offerto dalla Presidente dell’Associazione L’Energia del Sorriso, che ha dichiarato: È stato un lavoro meraviglioso, questa esperienza la conserverò, come uno dei ricordi più importanti della mia vita artistica. Vedere la gioia, quella che nonostante tutto era disegnata nei loro occhi. Per un pomeriggio hanno dimenticato, la loro condizione di detenuti e hanno riso e sorriso. Un plauso ai lavoratori del carcere, che se pur integerrimi nell’esercizio della loro funzione, agiscono nello stesso tempo, metodi umanitari e civili all’interno della casa circondariale. Milano: José Dalì, figlio di Salvador Dalì, visita detenuti della Casa Reclusione di Opera www.lombardiapress.it, 16 maggio 2014 José Dalì in occasione della sua mostra presso la Milano Art Gallery accompagnato dal manager Salvo Nugnes visita i detenuti del Carcere di Opera. Durante una recente visita nel contesto penitenziario di opera a Milano, il talentuoso artista José Dalì, figlio dell’esimio maestro Salvador Dalì, affiancato dal manager produttore Salvo Nugnes, ha elaborato sul momento con vivace fantasia e spiccata sensibilità creativa una serie di disegni di varie tematiche da lasciare in dono per i detenuti, come simbolico omaggio in ricordo della speciale occasione. Un gesto assai gradito e accolto con calorosi applausi. Attualmente, José Dalì è protagonista di una variegata mostra pittorica personale intitolata "La verità Surreale" allestita dall’11 al 26 maggio all’interno dell’esclusiva "Milano Art Gallery" in via Alessi 11 a Milano. L’esposizione sta ricevendo ottimi consensi ed è stata visitata anche dal noto critico vittorio sgarbi, che si è speso in commenti elogiativi e ha delineato un interessante parallelo di confronto tra José e l’inconfondibile filone del surrealismo perpetrato dal padre, individuando una sinergica e armoniosa connessione tra i due stili. La sorprendente originalità delle creazioni di José Dalì consiste nel coniugare i preziosi esempi provenienti dal padre e da altri illustri nomi, come Van Gogh, Kandinsky, Veermer, Mondrian, perseguendo una propria fonte ispiratrice personale, senza condizionamenti, guidato dal moto dell’anima e dal puro istinto artistico. Per lui il mondo dell’arte è a tutto tondo, con moderna visione. Va inteso con ampia e allargata proiezione e costituisce un virtuale ponte di collegamento dai molteplici campi applicativi e sperimentali. Cinema: "Delinquenti", un lungometraggio che racconta i detenuti dell’Ucciardone www.blogsicilia.it, 16 maggio 2014 Alte mura e sbarre dietro cui si nascondono vite costellate di errori, di reati. Dove il tempo scorre lento, mentre i condannati fanno il conto alla rovescia dei giorni che li separano dalla libertà. Sono i "Delinquenti" raccontati nel documentario della regista Tamara Von Steiner sul carcere Ucciardone di Palermo. La pellicola di 56 minuti, girata nel 2012 in presa diretta, è realizzata dall’associazione e casa di produzione no profit Cineanima con l’obiettivo di testimoniare l’emarginazione sociale. Troppo facile cadere nei pregiudizi, lo sottolinea Giuseppe Candura, presidente dell’associazione. La direzione della fotografia è curata da Irma Vecchio, il sound design da Aleksandar Protic e l’audio da Francesco Vitaliti. "Delinquenti" ha già vinto il Grand Prix all’International Documentary Film Festival di Sarajevo ed è stato trasmesso il 26 marzo su Diario Civile all’interno di Rai Storia. Un racconto senza filtri, quello della vita dei detenuti, con i loro dialoghi in siciliano, le lacrime, i momenti della giornata che scandiscono la permanenza in carcere. Le riprese sono durate tre settimane "e alla fine – spiega la regista Tamara Von Steiner – ho avvertito l’obbligo morale di rappresentare realmente ciò che ho vissuto, senza filtri". Il documentario ha ottenuto il patrocinio della Regione siciliana e del ministero di Grazia e Giustizia. L’associazione Cineanima è già al lavoro su un altro ambizioso progetto: un lungometraggio all’interno sull’ospedale psichiatrico giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto. Le riprese si sono già concluse, i montatori sono al lavoro. Tutto per raccontare un’altra drammatica realtà che spesso la società ignora. Immigrazione: rivolta al Cara di Roma Catelnuovo di Porto, protestano in centinaia Il Messaggero, 16 maggio 2014 Centinaia di immigrati in rivolta nel Cara vicino a Roma, un altro con la bocca cucita per protesta nel Cie alla periferia della Capitale. Nelle strutture di permanenza dei migranti la situazione resta tesa e difficile. Al Centro di accoglienza richiedenti asilo (Cara) di Castelnuovo di Porto, in provincia di Roma, oltre 200 ospiti sui 780 totali si sono "ammutinati" per protesta contro il mancato versamento della diaria di 2,50 euro. Hanno bloccato il cancello di ingresso al centro - hanno riferito polizia e operatori - e impedito il cambio turno del personale e l’accesso ai militari di guardia. I poliziotti sono intervenuti energicamente - dopo essere stati colpiti da dei sassi, secondo la questura - ma la protesta è proseguita per diverse ore. Sul posto anche i carabinieri, che hanno fermato 8 persone. Alcuni feriti tra gli agenti e due migranti soccorsi: uno è stato medicato sul posto, l’altro è stato trasportato in ospedale. In serata il cancello è stato riaperto e gli operatori si sono riuniti in assemblea con gli immigrati per trovare una soluzione. Il Cara è gestito dal 7 aprile scorso dalla Cooperativa Auxilium, che ha in carico anche i servizi all’interno del Centro identificazione ed espulsione (Cie) di Ponte Galeria, alla periferia di Roma. In quest’ultimo ieri un tunisino si è cucito la bocca per protesta, come molti suo compagni a più riprese nei mesi scorsi. Un episodio rivelato dall’ufficio del Garante dei detenuti del Lazio. Al Cara di Castelnuovo di Porto la gestione dei servizi è cambiata da poco più di un mese. Il direttore Vincenzo Lutrelli, oggi rimasto a lungo chiuso fuori dalla struttura, ha spiegato così l’origine della protesta: "Quando siamo arrivati ad aprile abbiamo trovato molti ospiti abusivi e illegali, che non dovevano stare nel Cara, e abbiamo iniziato a fare ordine - ha detto Lutrelli. Il contributo di 2,50 euro al giorno da spendere all’interno del centro prima veniva corrisposto in contanti e noi abbiamo pensato di introdurre una card. Si stava per risolvere tutto, avevamo detto agli ospiti di aspettare, invece oggi è scoppiata questa protesta". Dopo la violenza, in queste ore si prova a dialogare all’interno del centro. Immigrazione: nel Cie di ponte Galeria di nuovo una protesta cucitura della bocca Ristretti Orizzonti, 16 maggio 2014 Il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni: "I Cie sono veri e propri centri di detenzione, senza le garanzie che caratterizzano le carceri" Nuova protesta choc al Centro di Identificazione ed Espulsione (Cie) di Ponte Galeria. Ieri un cittadino tunisino si è cucito la bocca con un ago improvvisato costruito con un filo di rame. Lo rende noto il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni. A quanto appreso dai collaboratori del Garante l’uomo, un 35enne, è trattenuto nella struttura da oltre un mese e riferisce di essere affetto da un disagio psichico. Nel Cie è finito perché fermato in Lussemburgo era stato rimandato, in base al regolamento di Dublino, in Italia. "Un episodio che dimostra le ragioni che hanno portato lo stesso Ministro Alfano a dichiarare come il problema dell’immigrazione e dell’asilo politico debba essere affrontato da tutta l’Europa" - ha dichiarato Marroni. La protesta autolesionista, fortunatamente, è durata una sola ora. Grazie all’intervento degli operatori della Cooperativa e alla disponibilità mostrata dai funzionari dell’Ufficio Immigrazione l’uomo ha deciso di farsi rimuovere il filo dagli infermieri del Centro. La vita nel Cie, tuttavia, è sempre attraversata da tristi sorprese: oggi, infatti, è stato prorogato il trattenimento di una cittadina di origine bosniaca, nata in Italia, e madre di due figli minori. L’esito dell’udienza, che peraltro si è svolta in assenza dell’avvocato difensore di fiducia, ha comportato il prolungamento della permanenza nella struttura della donna, lontana dai suoi figli, per altri due mesi. "Il gesto di quest’uomo - continua Marroni - e la storia di questa donna provano che i CIE continuano ad essere veri e propri luoghi di disperata detenzione dove il riconoscimento dei diritti fondamentali è labile e lasciato nelle mani della discrezionalità e dove, quindi, è fatale che si verifichino episodi di questo genere". Siria: Ong; 850 morti nelle carceri di Assad in 4 mesi, tra loro anche 15 minori e sei donne Ansa, 16 maggio 2014 Circa 850 siriani, tra cui 15 minori e sei donne, sono stati uccisi dall’inizio dell’anno nelle prigioni del regime siriano: lo rivela un’indagine dettagliata condotta dall’Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria (Ondus), secondo cui i detenuti sono morti sotto tortura, giustiziati sommariamente, per le pessime condizioni igieniche o privati dell’assistenza medica. Secondo il rapporto, nelle carceri del regime siriano vi sono ancora oggi circa 18mila persone. Iran: violenze su detenuti nel carcere di Evin, Amnesty chiede un’inchiesta imparziale Aki, 16 maggio 2014 Amnesty International ha chiesto "un’inchiesta indipendente, scrupolosa e imparziale" sulle denunce di pestaggi subiti da alcuni prigionieri politici della "Sezione 350" del famigerato carcere di Evin, a Teheran, lo scorso 17 aprile, giorno ribattezzato dall’ong con sede a Londra per i diritti umani il "Giovedì Nero". "Finora le autorità hanno provato a nascondere sotto al tappeto i fatti del Giovedì Nero. La riluttanza mostrata a indagare e a punire i responsabili è inaccettabile. L’impunità è un problema di lunga data in Iran", ha dichiarato il vice direttore di Amnesty International per il Medio Oriente e il Nord Africa, Said Boumedouha. "Le autorità - ha aggiunto - devono cambiare le loro abitudini e lanciare immediatamente un’inchiesta indipendente, scrupolosa e imparziale sugli incidenti". Il mese scorso, alcuni siti iraniani di opposizione hanno denunciato i maltrattamenti subiti da alcuni detenuti nel corso di un’ispezione alle celle eseguita dalle guardie carcerarie a Evin. I vertici del penitenziario hanno negato i pestaggi, spiegando che diversi prigionieri si sono feriti alle mani rompendo i vetri delle finestre per protestare contro l’ispezione. Ieri il portavoce dell’esecutivo della Repubblica islamica, Mohammad Baqer Nobakht, ha annunciato che nei prossimi giorni il governo iraniano riceverà un rapporto elaborato dai ministeri della Giustizia e dell’Intelligence sulle violenze a Evin. Sudan: donna cristiana condannata a morte, non vuole convertirsi, sarà impiccata www.quotidiano.net, 16 maggio 2014 Il giudice: "Ti abbiamo dato tre giorni di tempo per rinunciare, ma insisti nel non voler ritornare all’Islam. Ti condanno a morte per impiccagione". Orrore in Sudan, dove una donna cristiana - incinta di otto mesi e con un bimbo piccolo - è stata condannata a morte per apostasia. Verrà impiccata, ma la pena prevede anche, prima, cento frustate. Meriam Yeilah Ibrahim, 27 anni, ha un figlio di 20 mesi che si trova con lei in carcere. Il magistrato di un tribunale di Khartum ha stabilito che ha abbandonato la sua fede, in quanto il padre era musulmano, e l’ha anche condannata a 100 frustate per adulterio in quanto sposata con un cristiano con un matrimonio che non è considerato valido dalla sharia. Il giudice le aveva chiesto di rinunciare alla fede per evitare la pena di morte: "Ti abbiamo dato tre giorni di tempo per rinunciare, ma insisti nel non voler ritornare all’Islam. Ti condanno a morte per impiccagione", ha detto il giudice Abbas Mohammed Al-Khalifa rivolgendosi alla donna con il suo nome musulmano, Adraf Al-Hadi Mohammed Abdullah. La giovane ha reagito senza tradire emozione quando la sentenza è stata letta. Poco prima, un imam era entrato nella gabbia degli accusati e le aveva parlato per circa 30 minuti. Al termine, lei si è rivolta al giudice e con calma ha detto: "Sono cristiana e non ho mai commesso apostasia". Secondo quanto ricostruito da un gruppo a tutela dei diritti umani, Christian Solidarity Worldwide, la donna è nata da padre sudanese musulmano e madre etiope ortodossa; abbandonata dal padre quando aveva 6 anni, Meriam è stata cresciuta nella fede cristiana. Ma poiché il padre è musulmano, è considerata tale dal diritto sudanese, il che rende nullo il matrimonio con chi non è musulmano. Secondo il portavoce del gruppo, Kiri Kankhwende, nei casi analoghi di donne incinte, il governo sudanese ha atteso che le donne partorissero prima di eseguire la sentenza capitale. Amnesty International ha definito "ripugnante" che una donna possa essere codannata a morte per la sua fede religiosa, o frustata perché sposata a un uomo di religione diversa. A difesa di Meriam, in attesa della sentenza, erano già scese in campo alcune ambasciate occidentali a Khartum. "Chiediamo al governo del Sudan - si legge in un comunicato diffuso in maniera congiunta dalle rappresentanze di Usa, Gb, Canada e Olanda - di rispettare il diritto di libertà di religione, compreso il diritto di ciascuno di cambiare la propria fede o le proprie credenze, un diritto che è sancito dal diritto internazionale e dalla stessa Costituzione ad interim sudanese, del 2005". Nel comunicato, si chiedeva anche "alla magistratura sudanese di affrontare il caso della signora Meriam con giustizia e compassione, in linea con i valori del popolo sudanese".