Giustizia: la regola del sistema Expo e l’improbabile meraviglia sulla corruzione di stato di Paolo Berdini Il Manifesto, 15 maggio 2014 Quando Frigerio e Greganti erano più giovani di 20 anni, sulla spinta dell’indignazione dell’opinione pubblica furono ricostruite le regole giuridiche per gli appalti. La legge approvata nel 1994 che prese il nome dall’allora ministro Merloni era un provvedimento rigoroso e si trattava solo di sperimentarla e - semmai - migliorarla. Si scelse la strada opposta. Fu subito accusata di rigidità e fu variata, emendata e stravolta: oggi siamo alla sua quarta stesura. A svincolare dalla legge l’aggiudicazione dei grandi appalti ci pensò il secondo governo Berlusconi. Approvando nel 2001 la "legge obiettivo" che con il convinto sostegno del mondo delle maggiori imprese forniva semplificazioni per i grandi appalti. Ancora peggio fecero nel 2002 i decreti attuativi e fu possibile così sperimentare la macchina della Protezione civile di Guido Bertolaso. Tutti i grandi appalti venivano aggiudicati con un sistema palesemente discrezionale: lo scandalo che seguì aveva dunque radici salde nella mancanza di regole. Ma anche il settore degli appalti minori è rimasto indenne. Da anni i comuni italiani possono appaltare a trattativa semplificata - senza una vera gara di evidenza pubblica - lavori di importo fino a 500 mila euro. Nel 2011, l’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici, Avpc, denunciava inascoltata che il 28% degli appalti pubblici per un valore di 28 miliardi veniva appaltato senza gara. I grandi lavori hanno beneficiato di un terreno legislativo speciale mentre quelli minori sono stati lasciati nella discrezionalità. Come meravigliarsi dunque dell’esplodere dell’ennesimo scandalo? Le radici stanno nell’assenza di regole: la politica affaristica tiene sotto controllo le imprese e le ruberie sono all’ordine del giorno, come denunciano la Corte dei Conti e la Trasparency International. Ha dunque ragione Livio Pepino che sulle pagine del manifesto di ieri affermava che "non siamo di fronte ad una corruzione nel sistema ma ad una ben più grave corruzione del sistema". La vera tragedia che stiamo vivendo sta però nel differente atteggiamento del legislatore e dei mezzi di comunicazione. Se vent’anni fa ci fu un innegabile scatto di dignità istituzionale, oggi siamo dentro ad un inaudito attacco alla "burocrazia" rea di ogni colpa. Due giorni fa a Milano a discutere del futuro di Expo 2015 c’era il ministro per le infrastrutture Maurizio Lupi. Non è soltanto la presenza del suo nome nelle intercettazioni della cricca dell’Expo a suscitare preoccupazione (come noto egli ha smentito ogni legame con i detenuti) quanto un gravissimo annuncio reso pubblico nell’audizione da lui tenuta l’11 marzo scorso presso la commissione ambiente della Camera dei Deputati. In quella sede ha infatti espresso il parere di sciogliere l’Autorità di vigilanza sui lavori pubblici e riportare tutte le competenze presso il ministero da lui diretto. L’attacco è stato motivato dalla necessità di "snellire e sburocratizzare". La realtà è diversa. L’Avcp - che pure ha un dirigente coinvolto nell’affare Expo e non è immune da critiche - aveva negli anni scorsi denunciato alla Magistratura inquirente molti appalti sospetti. I casi più clamorosi hanno riguardato l’appalto per la sede dell’Agenzia spaziale italiana (l’ex presidente Saggese è in carcere per tangenti) e l’ispezione compiuta sull’appalto della Pedemontana lombarda, opera tanto cara al sistema di potere smascherato dall’inchiesta Expo. Troppo per i nostri liberisti. Così, forse anche per la presenza presso il suo ministero in qualità di Capo di Gabinetto di Giacomo Aiello che era stato capo dell’ufficio legislativo della Protezione civile di Bertolaso, Lupi vuole sciogliere quell’organismo indipendente. La drammatica crisi di legalità che viviamo deriva dalla mancanza di organismi terzi indipendenti dalla politica e autorevoli sotto il profilo morale, delle competenze e della libertà di movimento. E invece il governo persegue la demolizione del residuo di legalità e di senso dello Stato che ancora non è stata spazzata via dal ventennio berlusconiano. Oltre a Lupi, anche il primo ministro Renzi sembra ossessionato dalla volontà di demolire quanto resta delle funzioni pubbliche, dalle Soprintendenze fino alla Magistratura. L’immagine dell’Italia infranta dell’Expo 2015 non si salva solo con la presenza di uomini del livello di Raffaele Cantone. Si recupera riscrivendo regole rigorose per gli appalti pubblici e restituendo dignità e autonomia alle funzioni pubbliche mortificate da venti anni. Nella migliore storia degli appalti pubblici - che pure esiste - c’è sempre stata una tensione culturale nel perseguire un futuro migliore. A furia di semplificare e di affrettarsi senza senso si consegna definitivamente il paese allo strapotere del peggiore affarismo politico e imprenditoriale. Giustizia: Orlando; sistema ora è sotto controllo, dopo Strasburgo ripensare piano carceri Ansa, 15 maggio 2014 "Vorrei aver già oggi una risposta", rispetto alla decisione che la Corte di Strasburgo prenderà nei confronti dell’Italia sulle carceri: "l’ultima parola spetta alla Corte". Ma "rispetto al 2010-2011, quando la crescita mensile del numero dei detenuti ci stava portando verso quota 70 mila, oggi il risultato si è stabilizzato ed è intorno a 59.700: quindi, anche ammettendo che il quadro resti questo, il sistema è sotto controllo, non c’è il rischio di una incontrollabilità del sistema". Lo ha detto il ministro della Giustizia Andrea Orlando, nel corso della conferenza stampa per la firma di protocollo sulle carceri con la Regione Lazio. A fine maggio scade il termine che la Corte europea dei diritti dell’Uomo ha dato all’Italia per individuare delle soluzione dopo la condanna per il sovraffollamento carcerario. "Siamo confidenti - ha detto Orlando - che i passi avanti fatti possano essere apprezzati: i numeri dei detenuti sono diminuiti, mentre sui posti disponibili avevamo aspettative migliori. Ora - ha aggiunto - la riforma del cautelare e le misure di recepimento della sentenza della Corte Costituzionale sulla legge Fini-Giovanardi sulle droghe si daranno una boccata d’ossigeno", perché avranno effetti deflattivi sulla popolazione carceraria. Il "Piano carceri" deve tornare al Dap, stop alla schizofrenia "Sul piano carceri bisogna superare la logica dell’emergenza e il piano va riportato in capo all’Amministrazione penitenziaria: non si può pensare a un piano carceri fuori dal Dipartimento, è una schizofrenia che crea problemi. Ora c’è il rush finale per rispondere alla Corte di Strasburgo entro fine mese sull’emergenza carceri, ma il giorno dopo bisogna aprire una riflessione". Lo ha detto il ministro della Giustizia Orlando. Attualmente alla guida del piano carceri c’è un commissario, il Prefetto Angelo Sinesio. La gestione, inoltre, dovrebbe prevedere una sinergia tra ministero della Giustizia e ministero delle Infrastrutture che nel tempo ha mostrato non poche difficoltà. "Nel nostro Paese - ha detto Orlando, che oggi ha firmato con la Regione Lazio un protocollo sulle carceri - la gestione straordinaria non ha mai portato risultati entusiasmanti. Sul piano carceri dobbiamo tornare a una gestione ordinaria. Al di là delle persone, che hanno messo tutto il loro impegno, si tratta di riportare in campo all’Amministrazione penitenziaria il piano. Ho ritenuto di non dover intervenire subito, perché le esigenze legate alla sentenza della Corte di Strasburgo" che ha condannato l’Italia per il sovraffollamento carcerario, "erano prioritarie e intervenire in questa fase sulla gestione del piano avrebbe provocato il pericolo di uno stallo". Giustizia: Orlando; serve collaborazione con Regioni, per fare fronte al sovraffollamento Agi, 15 maggio 2014 Nel corso della firma del protocollo per il miglioramento del sistema carcerario regionale firmato con il presidente della regione Lazio, Nicola Zingaretti, il ministro della giustizia Andrea Orlando ha detto che "la collaborazione tra ministero e regione, di fronte alla questione del sovraffollamento, per far scontare pene alternative, specie per tossicodipendenti, è una valvola di sfogo importante". Il ministro ha poi spiegato: "Ci stiamo sforzando perché Strasburgo non pone solo problema del sovraffollamento, ma anche della qualità del sistema penitenziario. Ciò che avviene all’interno degli istituti e l’efficacia della pena dal punto di vista rieducativo. Da questo punto di vista, a collaborazione con le regioni su questo fronte è fondamentale". "Le regioni hanno competenze sulla sanità - ha proseguito il ministro - ma anche nei temi del lavoro, formazione ed edilizia penitenziaria c’è un campo enorme di intreccio di competenze, che si può sviluppare solo dando sistematicità. Questo protocollo, come quello analogo sottoscritto ieri con la regione Umbria, è una ‘road map’ per dare risposte oggi, progettarne altre insieme per il futuro e avviare un’attività di monitoraggio nel tempo sui risultati da raggiungere. Penso che la firma del protocollo di oggi con la regione Lazio abbia una valenza fondamentale, perché ci troviamo di fronte alla realtà di una regione dove si concentra gran parte degli istituti penitenziari, con un’area metropolitana molto vasta, con le sue complicazioni in termini di sicurezza e di incidenza della tossicodipendenza. Oggi diamo risposta alla domanda di cooperazione tra Stato e regioni in questa materia. All’indomani della firma del protocollo, intendo proseguire l’interlocuzione costante tra regioni e ministero, per esempio per ripensare l’ubicazione degli istituti, le regioni possono avere un ruolo importante". Orlando ha quindi auspicato che i protocolli siano un presupposto per un tavolo permanente, "nel quale è naturale che il Lazio svolga una funzione centrale". Il ministro ha poi ricordato che il suo predecessore Annamaria Cancellieri ha siglato due protocolli analoghi con la regione Toscana e con l’Emilia Romagna. Orlando stesso ne ha siglati due con Umbria e Lazio e nelle prossime settimane saranno firmati accordi simili con le regioni Liguria e Campania. Giustizia: Polizia Penitenziaria; ministro Orlando a Festa 197° anniversario fondazione www.giustizia.it, 15 maggio 2014 Alle ore 17:00, presso la sede della Scuola di Formazione della Polizia Penitenziaria intitolata a Giovanni Falcone (via di Brava 99), il ministro della Giustizia Andrea Orlando presenzia alla cerimonia del 197° anniversario di fondazione del Corpo di Polizia Penitenziaria. Nel corso della manifestazione il guardasigilli consegna le ricompense di merito agli appartenenti al Corpo particolarmente distintisi in servizio. Il programma della giornata prevede inoltre due appuntamenti al Quirinale: alle ore 11:00, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano riceve il capo del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria Giovanni Tamburino e una rappresentanza di diciotto allievi e tutor degli istituti di Formazione di Roma e Sulmona; nel pomeriggio, alle ore 15:15, la cerimonia del cambio della Guardia d'Onore. Giustizia: il Sappe non parteciperà all’annuale Festa del Corpo di Polizia penitenziaria Il Velino, 15 maggio 2014 "È la festa dei dirigenti Dap, non dei poliziotti". Manifestazione di protesta e sit-in il 20 maggio a Roma davanti al Dap. Oggi 15 maggio, a Roma, alla presenza del Ministro della Giustizia Andrea Orlando, si svolgerà la cerimonia del 197° Anniversario di Fondazione del Corpo di Polizia Penitenziaria. Non parteciperà il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, il primo e più rappresentativo dei Baschi Azzurri del Corpo, e il segretario generale Donato Capece ne spiega le ragioni: "La cerimonia avrà luogo a Roma, ancora una volta, nel chiuso (perché inaccessibile ai cittadini) dell’Aula Magna della Scuola di Formazione della Polizia Penitenziaria intitolata a Giovanni Falcone in via di Brava. Il momento più solenne per un Corpo di Polizia dello Stato qual è la Polizia Penitenziaria, e cioè la sua Festa nazionale, non si svolgerà dunque, e per l’ennesima volta, in un luogo pubblico tale da favorire la più alta partecipazione dei cittadini, che invece devono sapere e conoscere quel che ogni giorno fanno le donne e gli uomini del Corpo in ragione di una trasparenza reale, anche e soprattutto per apprezzarne la professionalità, l’umanità, lo spirito di servizio ed il senso del dovere. L’Amministrazione Penitenziaria, i suoi vertici attuali, preferiscono dunque l’ennesima cerimonia autoreferenziale, a beneficio evidentemente dei vari dirigenti del Dap o della periferia che vi parteciperanno (con trattamento di missione). Per questo ci sembra più l’Annuale del Dap che non la Festa nazionale del Corpo di Polizia Penitenziaria!" Capece precisa che "A noi non piace fare come gli struzzi: non ci piace mettere la testa sotto la sabbia per non vedere tutto quel che non va in questa gestione dell’Amministrazione Penitenziaria a firma Tamburino & Pagano. Ma per rispetto alle colleghe e ai colleghi che saranno coinvolti nell’evento, per rispetto al Capo dello Stato Giorgio Napolitano che è sempre stato concretamente vicino ai poliziotti penitenziari e sensibile alle nostre istanze, abbiamo preferito differire ad altra data una nuova, ennesima, inevitabile manifestazione di protesta che si rende assolutamente necessaria visto lo stallo nel quale il Corpo e l’Amministrazione si trova da troppo tempo". Martedì 20 maggio 2014, dalle ore 9.00, il primo Sindacato della Polizia Penitenziaria, il Sappe, manifesterà davanti al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria per chiedere l’avvicendamento dei suoi vertici, nelle persone del Capo Dap Giovanni Tamburino e del suo vice Luigi Pagano. "A più di 2 anni dal loro insediamento" conclude Capece "entrambi non sono stati assolutamente in grado di risolvere i problemi e le criticità penitenziarie e, men che meno, quelle che più direttamente riguardano i poliziotti. Tamburino e Pagano continuano a inseguire la favola della "vigilanza dinamica" e l’autogestione delle carceri da parte dei detenuti. Ci siamo stufati a dire il perché siamo contrari, e solo chi è in malafede può sostenere il contrario. Le idee e i progetti che il capo del Dap Tamburino e il vice Pagano si ostinano a propinare non tengono conto della realtà delle carceri, che non sono collegi per educande, e rispondono alla solita logica "discendente" che "scarica" sui livelli più bassi di governance tutte le responsabilità. E ricadono sulle spalle di noi poliziotti, che stiamo 24 ore al giorno in prima linea nelle sezioni detentive. Intanto i poliziotti continuano a sventare suicidi, a gestire eventi critici come gli atti di autolesionismo, le aggressioni, le risse, a circolare su mezzi vecchi e fatiscenti, nell’indifferenza assoluta dei vertici del Dap che vorrebbero persino mettere il bavaglio alle nostre proteste e ai nostri comunicati stampa in una logica da Politburo sovietico. Una cosa chiederemo, martedì durante il nostro sit-in, al Presidente del Consiglio Matteo Renzi ed al Ministro della Giustizia Andrea Orlando: avvicendate dalla guida del Dap Tamburino e Pagano". Giustizia: l’Osapp non partecipa a Festa della Polizia penitenziaria e critica gestione Dap Il Velino, 15 maggio 2014 "È un miracolo che la Polizia Penitenziaria riesca a ancora sopravvivere come Corpo di Polizia e che, malgrado la gravissima penuria di mezzi e di organici, nonostante un Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria pressoché assente nei confronti del personale che lavora nelle carceri, mantenga tuttora costante il proprio apporto per la sicurezza dei cittadini in un sistema penitenziario comunque povero di progetti e privo di prospettive per chi ci vive come per chi vi opera": ad affermarlo in una nota è Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria) che preannuncia in tal modo la non partecipazione del sindacato alla festa nazionale del Corpo che si terrà oggi a Roma. Secondo l’Osapp, "quanto accaduto negli ultimi anni, una politica penitenziaria di sole promesse, in cui persino le decisioni contro l’Italia, per le condizioni di vita nelle carceri, della Corte europea dei diritti dell’uomo sono diventate un alibi per non realizzare alcuna riforma e per consentire che in molte strutture penitenziarie gruppi di detenuti si possano aggirare pressoché liberi e senza controlli a discapito del personale, comportano oggi che ben pochi poliziotti penitenziari si possano riconoscere nell’attuale amministrazione e nei Ministri della giustizia succedutisi nel tempo". "Non essere presenti ad un Festa Nazionale del Corpo - sottolinea il segretario generale dell’Osapp, volutamente in sordina, ed in cui, presenti i maggiorenti ben retribuiti dell’amministrazione, si parlerà pressoché esclusivamente dei detenuti e non dei rischi e dei sacrifici delle donne e degli uomini della Polizia Penitenziaria, che da soli ormai preservano una parvenza di legalità nella decrepita istituzione penitenziaria - conclude Beneduci - costituisce per noi una scelta ingrata ma necessaria affinché, senza indugio dopo le elezioni europee, il guardasigilli Orlando e il premier Renzi mettano mano a quella riforma della giustizia e delle carceri di cui il Paese non può più fare a meno ed in cui alla Polizia Penitenziaria sia finalmente riconosciuto il ruolo irrinunciabile di polizia dell’esecuzione penale e della giustizia". Lazio: intesa tra Orlando e Zingaretti per migliorare le condizioni del sistema carcerario Asca, 15 maggio 2014 Un protocollo d’intesa per il miglioramento delle condizioni del sistema carcerario del Lazio nella prospettiva di una sua più compiuta integrazione con il territorio e la comunità esterna. A siglarlo oggi a Roma nella sede del Dicastero di Giustizia la Regione Lazio con il Presidente Nicola Zingaretti, il Ministero di via Arenula con il Ministro Andrea Orlando, il Tribunale di Sorveglianza di Roma e l’Anci Lazio. Il principio ispiratore è l’implementazione di un modello virtuoso di collaborazione inter-istituzionale che si concentri su alcune delle più strategiche questioni in materia penitenziaria e sia finalizzato, anche con il contributo della Cassa delle Ammende e dei Fondi Sociali Europei e tramite progetti condivisi con la Regione, il Garante Regionale dei detenuti e gli Enti locali territoriali, all’ampliamento delle attività trattamentali con particolare riguardo ai soggetti tossicodipendenti che necessitano di specifici percorsi riabilitativi, rieducativi e di reinserimento sociale e lavorativo. Vengono inoltre previsti interventi in materia di edilizia penitenziaria con l’impegno ad avviare un tavolo tecnico tra Ministero della Giustizia, Regione Lazio, Agenzia del Demanio e Commissario straordinario dei Governo per l’edilizia penitenziaria, finalizzato a valutare l’ipotesi di utilizzo di beni immobili regionali da destinare a salvaguardia del disagio sociale. In linea con i recenti interventi normativi che hanno previsto la possibilità di’ lavoro all’esterno dei detenuti anche sotto forma di lavoro volontario, viene contemplato l’impegno a promuovere percorsi di formazione lavoro, a titolo volontario e gratuito relativi a progetti di pubblica utilità ai sensi dell’art.21 della Legge 26 luglio 1975, n. 354. Soddisfatto il ministro Orlando: "La firma di oggi ha una valenza fondamentale", ha spiegato, ponendo l’accento sulle peculiarità del Lazio, aspetto messo in evidenza anche dal Governatore Zingaretti. Il protocollo si basa su 9 articoli, dedicati ad affrontare i problemi della popolazione carceraria della nostra regione. In primo luogo le misure alternative per i detenuti tossicodipendenti. Per promuovere il recupero e il reinserimento dei detenuti con problemi legati alla tossicodipendenza (il 18,1% della popolazione carceraria del Lazio), la Regione Lazio si impegna a monitorare l’utilizzo delle misure alternative alla detenzione e promuoverne il ricorso. L’individuazione dei detenuti idonei all’avvio verso le comunità residenziali sarà condotta dal Ministero della Giustizia attraverso il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e la sua articolazione regionale (Prap). Altro aspetto l’edilizia penitenziaria. Viene aperto un tavolo tecnico con Regione Lazio, Agenzia del Demanio e Commissario straordinario del Governo per l’edilizia penitenziaria, al fine di individuare eventuali immobili di proprietà regionale da destinare ad attività per il recupero e reinserimento dei detenuti. La Regione si impegna a promuovere, nell’ambito del Protocollo sui beni confiscati siglato qualche tempo fa con Tribunale di Roma, Roma Capitale ed altri enti, a destinare parte di quei beni a progetti per il recupero detenuti. La Regione si impegna inoltre a potenziare i presidi sanitari negli istituti penitenziari del Lazio, anche attraverso l’utilizzo della telemedicina e a favorire percorsi di formazione e a potenziare il "Modello Lazio di inclusione socio-lavorativa", promosso dal Garante per i detenuti del Lazio. per i od sociali, e formazione. Previsti anche tirocini, formazione e inserimento, anche con incentivo alle imprese. La Regione si impegna a incoraggiare le aziende, anche pubbliche, con incentivi alla produzione di beni e servizi realizzati da cooperative e imprese sociali con soggetti svantaggiati e detenuti. Si prevede inoltre la possibilità di accordi tra Regione e piccoli Comuni con meno di 3.000 abitanti per l’utilizzo di detenuti per lavori di pubblica utilità. Per garantire l’attuazione del Protocollo, vengono istituiti: presso la Regione un Tavolo permanente operativo (con un rappresentante per Regione, Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, Anci, Magistratura di Sorveglianza e Garante detenuti): presso il Ministero della Giustizia una Cabina di regia (Ministero, Regione, Anci). Infine entro il primo bimestre dell’anno viene predisposto un piano congiunto e integrato per l’attuazione del Protocollo. Lazio: Garante Marroni; un plauso al protocollo che riconosce il nostro modello virtuoso Ristretti Orizzonti, 15 maggio 2014 "Il protocollo d’intesa firmato oggi dal presidente della Regione Nicola Zingaretti con il Ministero della Giustizia Andrea Orlando, l’Anci Lazio e il Tribunale di Sorveglianza di Roma rappresenta un atto importante per la politica penitenziaria regionale. Il sovraffollamento, la scarsità delle risorse, la carenza di organici, e tutti i problemi denunciati anche dal Presidente della Repubblica Napolitano rappresentano ancora situazione drammatica e complessa, tuttavia, la Regione Lazio, anche grazie al lavoro dell’Ufficio del Garante, è in grado oggi di offrire al Ministro di Giustizia una esperienza che sicuramente potrà essere messa a disposizioni di tutte le altre regioni italiane per far si che l’Italia possa, alla scadenza fissata dalla Commissione Europea dei diritti dell’Uomo del 28 di maggio, presentarsi con un pacchetto di proposte che consenta al nostro Paese di uscire dall’emergenza carceri". Lo ha detto il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni commentando la firma del Protocollo d’Intesa tra Regione Lazio e Ministero della Giustizia affinché il Governo italiano presenti alla Commissione Europea un piano di interventi strutturali tesi alla risoluzione delle criticità. "L’Ufficio del Garante - ha aggiunto Marroni - ha lavorato a stretto contatto con lo staff del Presidente Zingaretti per elaborare un testo che fosse ricco di tutte le esperienze maturate in questi anni dai nostri operatori nelle carceri della Regione, tanto da essere riconosciuto quale Modello Virtuoso. Progetti come la Telemedicina, la Carta dei Servizi Sanitari e il Modello Lazio di inclusione lavorativa, rappresentano un esempio a disposizione di tutte le atre regioni d’Italia" Tuttavia, secondo il Garante la situazione del sistema penitenziario regionale resta ben oltre il livello di guardia: secondo i dati aggiornati i reclusi nel Lazio, nonostante gli ultimi interventi legislativi, sono ancora 6.769 a fronte di una capienza regolamentare di 4.800 unità. "Ma tutto questo non basta per far dire che l’emergenza è passata - ha concluso Marroni. Il Lazio continua ad essere la terza regione italiana per numero di detenuti e in queste condizioni la stessa sopravvivenza quotidiana come testimoniano i 18 decessi registrati nel 2013 fra i detenuti, di cui 7 suicidi. Per umanizzare le carceri non bastano misure straordinarie, occorre una profonda riforma legislativa che preveda la pena carceraria come extrema ratio e privilegiando misure alternative o diverse dal carcere". Sicilia: Organi di garanzia senza Garanti… per detenuti, infanzia e adolescenza e disabili www.linksicilia.it, 15 maggio 2014 Sono il Garante per la tutela dei diritti dei detenuti; il Garante per l’infanzia e l’adolescenza e il Garante per i disabili Dopo le elezioni europee è auspicabile che il Governo di Rosario Crocetta nomini personalità di sicura indipendenza e competenza e non "trombati" della politica. Per assicurare il massimo della trasparenza e pubblicità si faccia intanto un avviso pubblico. Con due leggi regionali (la n. 5 del 2005 e la n. 47 del 2012) sono stati istituiti rispettivamente nella regione siciliana tre organi di garanzia: il garante per la tutela dei diritti fondamentali dei detenuti; il garante per l’infanzia e l’adolescenza; il garante della persona con disabilità. Attualmente le predette autorità sono senza garanti. Quello dei detenuti è scaduto da un anno (l’ex senatore forzista, Salvo Fleres, molto vicino all’ex senatore Marcello Dell’Utri, è rimasto in carica per ben sette anni), mentre il garante della persona con disabilità, Edoardo Barbarossa, poco dopo la sua nomina (nel 2013) è stato revocato. Nessuna notizia si ha riguardo al garante per l’infanzia la cui postazione, tuttavia, risulta, fin dalla emanazione della legge, "vacante". Non si capisce, a questo punto, per quale motivo non si provvede ad applicare leggi della Regione, soprattutto quando si tratta di tutelare diritti umani. Ci rendiamo conto che sotto campagna elettorale fare nomine è poco elegante, ma tutto ciò non esenta, intanto, il Governo regionale ad emanare un avviso pubblico, secondo il principio di trasparenza e pubblicità dell’azione amministrativa, per invitare i soggetti interessati, in possesso dei requisiti di legge, a presentare domanda e relativo curriculum per essere selezionati alla luce del sole. Con un’avvertenza, però: che non saranno prese in considerazione le istanze di "trombati" della politica e di soggetti privi di un minimo di indipendenza e di competenza specifica. L’opinione pubblica è stanca di vedere persone inadeguate e politicamente schierate ricoprire incarichi importanti con risultati negativi che sono sotto gli occhi di tutti. Effettuare nomine in maniera trasparente sarebbe un bel segnale di buon governo, anche per mettere a tacere le cornacchie che, a destra e a manca, sostengono che il presidente della Regione quelle postazioni vorrebbe coprirle con uomini fidati e politicamente vicini a lui o a quelli della sua cosiddetta maggioranza. Fare antimafia, la regola vale per Crocetta o per qualsiasi altra personalità che riveste pubblici incarichi, significa anche agire con rigore ed imparzialità, in una terra in cui il clientelismo ed il favoritismo sono pane quotidiano. Se, invece, Crocetta pensa che le citate autorità di garanzia siano inutili, non resta che cancellarle visto che (almeno una) dispongono di uffici e personale che per ora non si sa cosa effettivamente facciano. Un fatto intollerabile in tempo di spending review. Campania: se lo Stato vieta l’ultimo abbraccio tra un detenuto e un suo caro morente www.fanpage.it, 15 maggio 2014 Può capitare, in Italia, che anche l’ultimo abbraccio tra un detenuto e un suo caro venga negato. Come nel caso di Antonio e Vincenzo Annunziata, che non sono riusciti a vedere il padre per l’ultima volta. E non si tratta di un caso isolato. La funzione rieducativa e l’umanizzazione della pena sono princìpi sanciti dalla Costituzione. Parole al vento, nell’Italia pluricondannata per violazioni dei diritti umani. E può capitare, in questo Paese, che anche l’ultimo abbraccio tra un detenuto e un suo caro venga negato. Come nel caso di Antonio Annunziata, che non è riuscito a vedere il padre per l’ultima volta. Il giovane è rimasto dietro le sbarre del carcere di Sant’Angelo dei Lombardi (Avellino) mentre il papà, Carmine, moriva. Il tribunale di sorveglianza non gli ha concesso di recarsi al capezzale del padre. Aveva un tumore al fegato in fase terminale. E aveva tre figli in carcere, due dei quali per reati non gravi: furti, per lo più. Dal suo letto, qualche giorno fa, il signor Carmine ha voluto fare un appello perché "mezz’ora, un quarto d’ora, portatemi almeno Antonio, se la legge è uguale per tutti, se questa si chiama giustizia". Ma non è stato ascoltato. Dei tre figli in galera, è riuscito a vederne solo uno. La visita al padre è stata vietata anche a Vincenzo, il figlio minore, agli arresti domiciliari per un furto, a poche centinaia di metri dalla casa del papà. Le istanze presentate sono tre, racconta l’avvocato. Due per Antonio: una quando era detenuto nel carcere di Poggioreale e l’altra al tribunale di sorveglianza di Avellino, dopo il trasferimento nella casa circondariale di Sant’Angelo dei Lombardi. Una sola istanza, invece, per Vincenzo. Oggi, i figli hanno partecipato ai funerali. Ma è una magra consolazione. Una beffa, la definisce l’avvocato: "È stato loro negato l’ultimo incontro con il padre, ma si concede di andare ai funerali. Credo che occorra una normativa più stringente per evitare che ci siano decisioni difformi per casi uguali - afferma - La pena dovrebbe tendere alla rieducazione del condannato, ma dopo un affronto di questo genere, con uno Stato che nega a un detenuto di andare al capezzale del padre morente nonostante abbia commesso reati di scarso allarme sociale, come può non incancrenirsi il rapporto tra lo Stato e il cittadino?". L’avvocato Arienzo racconta poi di un altro ristretto, suo assistito, di tutt’altro genere: un boss detenuto in regime di 41bis. A lui, nel 2012, viene concesso di lasciare il carcere duro per fare visita al fratello gravemente ammalato. Il contrasto è stridente e amarissimo. Ma questa situazione è stata una tragedia annunciata e non un caso isolato, racconta Dora, la sorella di Carmine Annunziata: "Ma cosa aspettano, che mio fratello muoia? - domandava durante un’intervista, qualche giorno fa - Anch’io ho vissuto il carcere e anche a me è successa la stessa cosa. Mio padre è morto e io non l’ho visto". E così ora Antonio dietro le sbarre e Vincenzo a cento metri di distanza non hanno potuto guardare negli occhi il padre per l’ultima volta. "In questi contesti - spiega preoccupato Pietro Ioia, presidente dell’associazione ex detenuti napoletani. Con una notizia del genere, si può arrivare anche a suicidarsi. A me, nel 2005, è capitata la stessa cosa: non sono riuscito a fare visita a mia madre sul letto di morte". All’epoca, continua Ioia, "ebbi una reazione violenta e disperata: iniziai a dare di matto in cella e solo dopo un forte tranquillante riuscii a calmarmi. Perché non si interviene prima? Perché tanti ritardi?". Nel caso dei fratelli Annunziata, non si conoscono ancora le motivazioni che hanno portato al rigetto delle istanze. Più in generale, il problema dei permessi è molto sentito, spesso solca le vite dei detenuti e delle loro famiglie in maniera indelebile. "È necessaria una premessa: il rispetto dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura che decide in discrezionalità. Tuttavia, spesso ci vengono segnalate negazioni di permessi per i detenuti - spiega Mario Barone, presidente di Antigone Campania e membro dell’Osservatorio sulle condizioni di detenzione - che hanno diritto a mantenere, in base all’ordinamento penitenziario, un rapporto affettivo con le famiglie di origine". Un rapporto che deve essere mantenuto, a volte intensificato, in momenti drammatici come una grave malattia di un genitore o la sua morte. "Garantire questi rapporti - afferma Barone. È un altro modo di declinare la rieducazione. Lo Stato non deve aggiungere un supplemento di pena, ma l’obiettivo sarebbe quello di reinserire la persona nella società". Sarebbe. Toscana: il Garante propone un "porta a porta" per garantire il diritto di voto ai detenuti www.gonews.it, 15 maggio 2014 Salvaguardare i diritti fondamentali dei detenuti e, in questo particolare momento, di quello al voto. Il Garante regionale delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale Franco Corleone ha preso quest’impegno ricordando una circolare del Provveditore alle carceri, Carmelo Cantone inviata alle direzioni degli istituti penitenziari. Nel documento, di cui si è parlato questa mattina nel corso della riunione a Firenze del coordinamento dei garanti, regionali e territoriali, dei diritti dei detenuti, si chiede di attivare tutti gli interventi utili a garantire il diritto al voto dei carcerati. Corleone ribadisce la necessità di fornire un servizio porta a porta di informazione chiaro, di sensibilizzare e contattare i carcerati nelle loro stanze negli orari di chiusura delle attività. All’incontro hanno partecipato difensori e garanti di diverse parti d’Italia: Enrico Formento Dojot della Val d’Aosta, Italo Tanoni delle Marche, Vito Marighelli di Ferrara, Carlo Mele di Avellino, Alessandra Gaetani di Lecco, Armando Michelizza di Ivrea, Antonio Iannello in rappresentanza dell’Emilia Romagna, Ione Toccafondi di Prato, Marco Solimano da Livorno, Bruno Mellano del Piemonte, Carlo Fiorio dell’Umbria. Dalla riunione di questa mattina è emersa la fotografia di realtà territoriali diverse ma con molte problematiche comuni. Ad esempio, si è parlato del problema dei trattamenti crudeli e degradanti legati non solo allo spazio limitato delle celle ma anche alla difesa e all’esigibilità dei diritti. Un altro aspetto negativo comune a molte realtà riguarda la qualità della vita negli istituti penitenziari dove spesso mancano attività culturali, sportive, educative e condizioni sanitarie idonee. Tra le proposte condivise c’è quella di istituire un coordinamento nazionale dei garanti con un’assemblea in rappresentanza di tutto il territorio. Tra l’altro, è stato deciso un appuntamento comune che impegna tutti i garanti in una conferenza stampa a fine maggio. Entro il 28 maggio l’Italia dovrà conformarsi alla sentenza della Corte europea per i diritti umani, adottando rimedi strutturali capaci di ridurre la popolazione carceraria e di prevenirne la crescita. Infine, è stata concordata la richiesta di un incontro al Ministro Orlando per esaminare i problemi del mondo penitenziario e l’istituzione del Garante nazionale. Lazio: nasce il Coordinamento regionale dei gruppi che svolgono attività teatrale in carcere di Riccardo Vannuccini (Presidente Coordinamento Teatro e Carcere del Lazio) Ristretti Orizzonti, 15 maggio 2014 Si è costituito a Roma il "Coordinamento regionale dei gruppi che svolgono attività teatrale negli Istituti penitenziari del Lazio" denominato Ctcl (Coordinamento Teatro e Carcere del Lazio). Il coordinamento raccoglie al momento nove formazioni professionali fra quelle più attive e da più tempo nella nostra Regione nel settore del teatro e carcere. In particolare fanno parte del Ctcl la compagnia "Adynaton", di Emanuela Giovannini e Roberto Saura che lavora a Casal del Marmo; "Artestudio", di Alba Bartoli e Riccardo Vannuccini presente a Regina Coeli e a Rebibbia Femminile; "Rino Gaetano Stabile Assai" di Roberto e Antonio Turco da sempre a Rebibbia Reclusione; "La Ribalta", di Laura Andreini Salerno e Fabio Cavalli con progetti diversi a Rebibbia Nuovo Complesso; "Muses" di Daniele Cappelli, ancora a Regina Coeli, "Rodez" di Caterina Galloni e Lars Rohm che svolge attività sempre a Regina Coeli; "King Kong Teatro" di Maria Sandrelli e Cecilia Muti, che lavora al carcere di Latina, sezione maschile; "Il Teatro degli Incerti" di Mariella Sto presente a Viterbo Mammagialla e "Sangue Giusto" di Ludovica Andò Sarah Sammartino e Laura Riccioli e che lavora presso il carcere di Civitavecchia. La costituzione formale in forma di associazione del Ctcl rappresenta un fatto importante ed intende garantire la migliore professionalità degli interventi teatrali realizzati negli Istituti della nostra regione, come pure un coordinamento, un monitoraggio ed una armonizzazione delle azioni previste dai diversi progetti di teatro e carcere. In questo senso il Ctcl vuole avviare una collaborazione importante con il Ministero della Giustizia e il Garante dei diritti dei detenuti del Lazio, che da sempre hanno seguito con attenzione questa attività, come pure col Coordinamento nazionale Teatro e Carcere e le Istituzioni pubbliche e private tutte. Nel mese di Maggio sono già previsti alcuni incontri dedicati alla presentazione dei progetti di Teatro e Carcere che si intendono realizzare negli Istituti del Lazio. Roma: un Tavolo per valutare se posizione Regina Coeli se sia ancora attuale e opportuna Ansa, 15 maggio 2014 "L’ubicazione di Regina Coeli? Si può costruire un tavolo per valutare se sia ancora attuale e opportuna. Non solo per Regina Coeli, ma per le altre carceri situate nei centri di grandi città. È una riflessione che l’Amministrazione penitenziaria non può fare da sola: va fatta insieme a Comuni e Regioni". Lo ha detto il ministro della Giustizia Orlando. "Bisogna ricostruire un luogo in cui la progettazione delle carceri si incroci con le esigenze urbanistiche delle città e delle regioni". "Bisogna ricostruire un luogo in cui la progettazione delle carceri si incroci con le esigenze urbanistiche delle città e delle regioni", ha sottolineato Orlando, rispondendo a una domanda sulla posizione del carcere romano di Regina Coeli, che si trova in una zona centrale della Capitale. "I programmi di ubicazione delle carceri - ha sottolineato il guardasigilli - non vanno fatti a compartimenti stagni, è fondamentale trovare una sede in cui la programmazione nazionale e le esigenze territoriali si confrontino". Bisceglie (Ba): bilancio iniziativa di reinserimento promossa da Caritas e "Terre Solidali" www.bisceglielive.it, 15 maggio 2014 Si è tenuta ieri, mercoledì 14 maggio, presso le Vecchie Segherie di Bisceglie, la conferenza stampa di presentazione del progetto "Terre Solidali". All’evento hanno partecipato il Provveditore Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria di Bari, Giuseppe Martone, il Responsabile Area Nazionale della Caritas Italiana, Francesco Marsico, l’Arcivescovo della Diocesi di Trani-Barletta-Bisceglie, Mons. Giovan Battista Pichierri, il Direttore della Caritas Diocesana di Trani-Barletta-Bisceglie, don Raffaele Sarno, e l’educatrice dell’Impresa Sociale Terre Solidali, dott.ssa Angela Martiradonna. Inoltre sono intervenute la dott.ssa Musicco, la dott.ssa Linsalata e la dott.ssa Malcangi del Prap di Bari. Il progetto è stato avviato a settembre 2013 con un finanziamento di Cassa delle Ammende - Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria di Bari, del fondo 8xmille della Cei e dell’Agenzia per la lotta non repressiva alla criminalità organizzata del Comune di Bari, e ha come obiettivo il reinserimento socio-lavorativo dei detenuti e l’assistenza e integrazione dei migranti. Il progetto Terre Solidali è iniziato con un corso di formazione in funghicoltura e proseguito con l’attivazione di ingaggi nell’ambito della coltivazione e vendita di prodotti agricoli. Contemporaneamente, è proseguita l’attività dello sportello per l’assistenza e l’orientamento legale dei detenuti stranieri reclusi presso la Casa Circondariale di Trani. "L’origine del progetto - ha sottolineato don Raffaele Sarno - deriva dal lavoro all’interno del carcere di Trani, attraverso lo sportello per detenuti stranieri, attraverso il centro d’ascolto. Tra i tanti settori che potevamo scegliere, l’agricoltura ci è sembrato quello che offrisse più opportunità, nella consapevolezza che anche l’agricoltura nel nostro territorio non sta vivendo un periodo florido. La risposta dei detenuti è stata più che positiva. Sono convinto che la maggioranza dei detenuti, se avessero delle opportunità lavorative per sostenere le proprie famiglie, senz’altro ne approfitterebbero e si lancerebbero in questa scelta". La dott.ssa Angela Martiradonna ha sottolineato come "Terre Solidali non è soltanto un modo per permettere un inserimento sociale e lavorativo, ma è anche una messa alla prova per testare la capacità della persona di confrontarsi nuovamente con il mondo del lavoro, per la prima volta in alcuni casi, per l’ennesima volta in altri, per potersi reinserire nelle maglie della legalità, per non scendere a compromessi che possano ostacolare, invalidare il reinserimento e anche per smontare quella rete di diffidenza che spesso all’interno della società si costruisce di fronte alla persona che ha vissuto la detenzione". Il dott. Martone è intervenuto affermando: "immagino un affrancamento dall’assistenzialismo dello stato e una cooperativa che possa camminare con le proprie gambe, avendo come scopo un lucro che serva a dare un lavoro a tempo pieno e a tempo indeterminato a queste persone". Parole di elogio, infine, sono arrivate dal dott. Marsico, che ha detto che "la sfida è immaginare percorsi stabili di fuoriuscita dalla criminalità. Un progetto di questo tipo al sud è un’eccellenza". Aosta: “Brutti e buoni”: dal pane la speranza di un futuro costruttivo di Moreno Vignolini www.aostasera.it, 15 maggio 2014 Al carcere di Brissogne avviato il panificio interno “Brutti e Buoni”. Dieci detenuti protagonisti. Minervini “in atto il cambiamento delle carceri, grazie anche alla collaborazione con il territorio”. Enaip “ Passate parola e sostenete l’attività”. “Il carcere sta cambiando, si evolve e diventa davvero occasione per riscattarsi e per creare un percorso di espiazione della pena che abbia senso. Il processo di umanizzazione delle carceri è in atto e anche noi in Valle ne siamo protagonisti da tempo”. Una nuova visione di carcere emerge dalle parole di Domenico Minervini, direttore della Casa circondariale di Brissogne, in occasione della presentazione della nuova attività commerciale che da settembre 2014 arriverà, dopo la già avviata lavanderia, sul territorio valdostano. Si tratta del laboratorio di panificazione “Brutti e buoni”, un progetto che attualmente è in corso con la fase di formazione e che vede protagonisti 10 carcerati, provenienti dall’Italia e da Paesi extracomunicari. La progettazione e ristrutturazione dei locali del panificio sono stati finanziati da un progetto del Fondo sociale europeo, presentato dalla Cooperativa EnAIP e dalla Cassa delle Ammende, il salvadanaio del Ministero che raccoglie le sanzioni pecuniarie. I macchinari sono invece stati acquistati direttamente dall’Enaip, grazie a finanziamenti regionali. Presente all’incontro anche Enrico Sbriglia, provveditore regionale dell'Amministrazione penitenziaria del Piemonte e Valle d'Aosta, che ha voluto evidenziare l’importanza della collaborazione del territorio e delle associazioni, partendo proprio dal significato del pane e della parola compagno “condividere il pane” e così “intorno al pane si crea comunità”, un augurio dai molti significati tra cui la speranza che “il corso permetterà di trasformare il tempo in carcere in tempo utile, ma questo è possibile solo se questa attenzione del territorio alle carceri e a progetti come questo avrà continuità. L’obiettivo è di seminare bene raccogliere risultati seriali. Sarebbe un vero peccato se per qualche motivo venissero meno i fondi che sostengono tutto questo: sarebbe costruire un’immagine senza sostanza”. I risultati del corso, guidato dall’esperienza del panettiere Christian Trione, sono evidenti, anche al palato, e quando pani, grissini, dolci usciranno dal carcere, c’è l’auspicio che il territorio li accolga nelle proprie case, acquistandoli e gustandoli, permettendo così la sostenibilità di un progetto che dal pane parte per ridare speranza e un mestiere. Ne sono convinti anche i protagonisti di questa esperienza, i 10 carcerati che, affidando il compito ad un emozionato Giovanni, hanno voluto ringraziare i docenti del corso e il direttore del carcere, omaggiando tutti con un manufatto in pane, un cesto di fiori commestibile. “Speriamo che questo corso ci dia un indirizzo per il futuro - ha detto Giovanni - quando potremo guardare il sole senza avere davanti agli occhi le sbarre”. Luisa Trione, dell’Enaip ha ricordato che il laboratorio è stato allestito nel mese di gennaio 2014 permettendo così l’avvio del corso. “Comincia oggi la promozione di questa attività - ha evidenziato Trione - e chiediamo al territorio, una volta avviata la vendita, di sostenerla attraverso l’acquisto di questi prodotti e attraverso il passaparola”. Ragusa: la Cgil pronta a mobilitarsi contro la chiusura del carcere di Modica www.radiortm.it, 15 maggio 2014 Si sta consumando nell’indifferenza di tutti i soggetti istituzionali l’ennesima spoliazione del nostro territorio: la chiusura del carcere di Modica e il relativo trasferimento dei detenuti al già saturo carcere di Ragusa e ad altre carceri della Sicilia. È il Segretario Generale della Cgil di Ragusa Giovanni Avola a scendere in campo sulla vicenda. Una scelta, inspiegabilmente accelerata dall’Amministrazione Penitenziaria, collegata alla soppressione del Tribunale di Modica senza tener conto dei tentativi del Presidente Crocetta di mantenere in vita la struttura giudiziaria modicana. Una scelta che ignora l’emergenza sbarchi sulle nostre coste e che determina l’arresto di decine di scafisti che per competenza territoriale vengono trasferiti nel carcere di Ragusa. Una scelta che ignora i rigidi parametri della cosiddetta sentenza Torreggiani che hanno portato alla chiusura per inidoneità dei reparti di minorati psichici e femminile al carcere di Ragusa, struttura sprovvista di docce all’interno delle camere di pernottamento. Una scelta dettata dalla fretta del Provveditore Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria, dott. Veneziano. Perché questa fretta? Si preoccupa, forse, che anche per Modica possa accadere quel che è avvenuto per il carcere di Nicosia che è stato salvato da una telefonata in extremis dell’allora ministro Cancellieri? Una scelta che ignora l’iniziativa parlamentare delle ultime ore volta a trasformare la Casa Circondariale di Modica in Istituto a custodia attenuata. Insomma una scelta "ragionieristica" che non tiene conto delle condizioni oggettive delle Case Circondariali di Ragusa e Modica e che non prende in considerazione l’intreccio di soluzioni che nei fatti possono portare alla sospensione del provvedimento di soppressione del carcere di Modica. Tutti e nove i parlamentari iblei intervengano subito, prima dell’ennesimo requiem. La Cgil di Ragusa, conclude Avola, è pronta a mobilitarsi per la difesa della struttura modicana, per tutelare tutto il personale carcerario e per assicurare una dignitosa e non affollata sede ai detenuti. Bologna: Circolo "Chico" Mendes; condizioni igieniche insufficienti… la Dozza va chiusa Radio Città del Capo, 15 maggio 2014 "Condizioni igieniche sufficienti", ma con diverse "carenze sia strutturali che manutentive e gestionali". È la fotografia della Dozza scattata dall’Ausl dopo l’ultimo sopralluogo all’interno del carcere di Bologna, effettuato lo scorso 11 dicembre. Il Circolo "Chico" Mendes ha esaminato il rapporto, insieme all’associazione di detenuti Papillon, e invierà alla commissione europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo precise osservazioni. Secondo le due associazioni, la Dozza andrebbe "chiusa, evacuata e ristrutturata". Nonostante il sensibile calo dei detenuti, il carcere di Bologna è ancora in sovraffollamento. A fronte di una capienza ottimale di 483 persone, al momento ne sono presenti 892, di cui 530 stranieri. C’è una differenza tra la sezione giudiziaria in cui a fronte di 339 posti sono ospitati 730 detenuti, e la sezione penale che di posti ne conta 50 ma ospita 98 persone. Di conseguenza, celle di 10 metri quadrati previste per un occupante vengono utilizzate da due ospiti, con tutti i correlati problemi di vivibilità, privacy e di natura igienico-sanitaria, dovuti anche all’utilizzo del bagno come deposito di alimenti. Nella sezione femminile invece l’affollamento pare meno marcato. Con 64 persone contro una capienza ottimale che ne conterebbe 46, le celle sono quindi quasi tutte singole. Altro punto sottolineato fortemente dal circolo è la mancanza di un refettorio per i detenuti: questo rischia, secondo Vito Totire, di amplificare il livello di rischio biologico connesso ai problemi di salute dei detenuti. Si contano 223 uomini e 10 donne tossicodipendenti, 16 maschi e 4 femmine sieropositivi ed infine 2 maschi ed una femmina positivi all’epatite C. Si segnala inoltre un caso di tubercolosi, non bacillifera. Per quanto riguarda il personale sanitario della Dozza, il circolo Chico Mendez chiede che sia l’Ausl a gestire direttamente i compiti da svolgere all’interno del carcere, senza doversi appoggiare a nessun ditta esterna. Al momento infatti dei 25 infermieri presenti alla Dozza, 12 sono dipendenti Ausl e i restanti 13 di una cooperativa (per la maggiore immigrati). Secondo Totire poco o nulla è stato fatto rispetto agli interventi manutentivi segnalati nella precedente relazione del primo semestre 2013: dal problema dell’umidità e della muffa causata dall’accumulo di vapore alle infiltrazioni d’acqua. Torino: dal 18 al 20 maggio il Congresso Simspe, focus sull’assistenza sanitaria in carcere Asca, 15 maggio 2014 "Dalla teoria alla pratica: protocolli operativi in ambito penitenziario" è il tema del Congresso che la Simspe - Società Italiana di Medicina e Sanità Penitenziaria organizza a Torino dal 18 al 20 maggio alla luce del passaggio della Sanità Penitenziaria dal Ministero della Giustizia al Sistema Sanitario Regionale, "un evento epocale" che ha comportato un enorme cambiamento nell’assistenza ai pazienti detenuti, purtroppo non sempre e non da tutti recepito. Le leggi attuali delegano il sistema sanitario alle Asl locali, generando così sistemi organizzativi disomogenei nei 205 Istituti Penitenziari Italiani; il Congresso dovrà sensibilizzare proprio su questo, rilevando come si tratti di un problema comune. Le Asl, inoltre, non hanno né i mezzi, né il know how necessario per operare nei luoghi di restrizione della libertà. In epoca di spending review, con la sanità pubblica che subisce grossi tagli, le carceri appaiono come vittime predestinate ad appartenere ad un sistema sanitario di serie B se non di serie C. Serve dunque una cabina di regia nazionale e non una frammentazione delle organizzazioni. L’appuntamento di Torino è quindi un momento importante per portare avanti le iniziative sull’assistenza sanitaria nelle carceri. Alcuni risultati sono stati raggiunti: il sovraffollamento è sceso dal 50% al 20%, ma l’Europa vuole vedere riforme strutturali. La popolazione detenuta in Italia è cresciuta negli ultimi dieci anni dell’80%. Tuttavia, spazi e strutture sono rimasti sostanzialmente invariati, rendendo le condizioni dei carcerati ai limiti dell’invivibilità. A darne una spiegazione è Sergio Babudieri, professore associato di malattie infettive all’Università di Sassari e Presidente della Società Italiana di Medicina e Sanità Penitenziaria (Simspe), una Onlus che si occupa proprio di tutelare la salute dei detenuti: "Il detenuto di oggi è il cittadino di domani; in carcere si riesce ad intercettarlo, fuori come si fa?", chiede per far capire quanto sia importante intervenire in questo contesto. "L’importanza di una simile azione è poi testimoniata dai numeri: vari studi dimostrano che i pazienti positivi all’Hiv non consapevoli trasmettono il virus sei volte di più di quelli che sanno di esserne infetti", ha aggiunto. Da non sottovalutare poi gli aspetti psicologici: l’inevitabile depressione di chi è detenuto, ma anche alcuni rischi specifici. Ad esempio, per alcune categorie vi è la necessità di un approccio tipo psichiatrico: è il caso dei sex offenders, autori dei reati più ignominiosi, soggetti per una sorta di contrappasso a trattamenti massacranti da parte degli altri prigionieri; bisogna intervenire per tutelarli e curarli e per questo servono professionisti di altissimo livello. La Simspe è già intervenuta nel marzo scorso, in Senato al convegno "Salute in carcere oggi", con il quale si è chiesto con forza a livello politico un Osservatorio nazionale; servono infatti i numeri esatti per poter allocare efficientemente le risorse. All’interno del Congresso ci sarà anche il primo meeting internazionale: sarà votato il Consiglio Direttivo, si formeranno gruppi di lavoro su varie tematiche, saranno valutati i progetti europei che si stanno seguendo e quelli per cui si chiederanno. Velletri (Rm): Settimana Letteratura nelle carceri, incontro con scrittori Lugli e Ferrera www.castellinews.it, 15 maggio 2014 Sessanta scrittori, noti al grande pubblico, metteranno a disposizione il proprio tempo e il proprio sapere per dialogare con i detenuti. È la Settimana nazionale della Letteratura in carcere, promossa dal Ministro della giustizia Andrea Orlando per dare visibilità e concretezza alle tante esperienze che, in tempi e modi diversi, si svolgono nelle carceri italiane e al rapporto tra carcere e cultura. Gli scrittori che hanno aderito all’iniziativa daranno vita ad un progetto di grande visibilità sui percorsi risocializzanti dei detenuti, incentrati sull’importanza della lettura e della cultura in un momento particolarmente critico per il mondo carcerario. 60 autori che saranno impegnati in una serie di incontri in cui illustreranno ai detenuti le loro opere, il loro modo di scrivere, il genere letterario a cui si ispirano o più semplicemente presenteranno un capolavoro della storia della letteratura a cui sono molto legati. Inoltre, raccoglieranno e faranno proprie le impressioni vissute nel corso di questi incontri, trasformandole in un racconto corale da scrivere insieme ai detenuti che sarà poi pubblicato nel sito del ministero della Giustizia. L’iniziativa rientra fra le "attività trattamentali" che il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria intende rilanciare grazie a interventi tesi a formare o a consolidare nei detenuti quelle attitudini utili ai fini del loro reinserimento nella società civile. Nell’ambito del progetto, gli scrittori Lugli Massimo e Antonella Ferrera incontreranno le persone detenute a Velletri il 15 maggio alle 11, per parlare di "La cronaca nera tra fiction e realtà" e l’esperienza del premio letterario "Goliarda Sapienza". Lo scrittore Aurelio Picca incontrerà poi le persone detenute a Velletri il 16 maggio alle 15, per parlare di "Fuori dal conformismo, fedele alla giovinezza. Leggenda di un orfano diventato scrittore". Bologna: 80 persone rinchiuse nel carcere Dozza incontrano gli scrittori Fois e Tarabbia di Lorenza Pleuteri e Eva Pedrelli La Repubblica, 15 maggio 2014 Scrive un detenuto della Dozza, uno dei partecipanti al corso di narrazione autobiografica organizzato in carcere e sfociato nel libro "A mano libera": "La penna è la mia spada, il quaderno il mio scudo. Sono il cavaliere errante che nelle pagine della vita scriverà il proprio destino: combattere per aver un posto nella società". Un altro annota: "Lo Stato vuole da me quattro anni e sei mesi della mia vita, anzi, della mia gioventù. Giusto o non giusto, io non lo so.... Una giornata sembra un mese, un anno sembra un secolo". Un altro ancora: "Mi tengo il viso tra le mani. No, non sto piangendo. Mi tengo il viso tra le mani per tenere calda la mia solitudine". E una ragazza: "Sono la vostra pecora nera, anche se non mi considerate così. Mi dicevate sempre che sbagliare si può, ma che sono una fabbrica di sbagli". Ottanta persone rinchiuse in via del Gomito, uomini e donne che trovano nella scrittura e nei libri un modo per evadere con la mente e per conoscere meglio se stessi e gli altri, hanno avuto l’opportunità di confrontarsi con due autori di professione, Marcello Fois e Andrea Tarabbia. I due hanno dato la disponibilità a partecipare all’iniziativa nazionale "Uno scrittore, un carcere", voluta dal ministero di Giustizia, e hanno passato due ore intense in un luogo della città che, dichiaratamente, non avevano mai visto, ma intuito, immaginato. "Leggere e scrivere - premette la direttrice, Claudia Clementi, presentandoli - sono fondamentali per la vita, ancora di più dietro le sbarre. In alcuni Paesi, come il Brasile, la lettura è parte del percorso trattamentale e dà diritto a giorni di liberazione anticipata. Una proposta normativa in questo senso è appena stata votata dalla Regione Calabria. Vedremo...". Certo è che, al di là dei bonus possibili, "leggere giova gravemente alla salute", leitmotiv dell’intervento di Fois. Lo scrittore di origine sarda racconta del nonno, soldato sul fronte del Carso, narratore formidabile di storie di guerra. Parla delle radici, del suo maestro delle elementari che alla fine delle lezioni leggeva in classe brani de i Ragazzi della via Pal, di Ulisse e di Renzo e Lucia, del Conte di Montecristo e di Giulietta e Romeo. Ripete che "scrivere è meraviglioso, a prescindere dal talento", sostenendo che "un uomo è vero e completo quando non si lascia abbattere della difficoltà". Fa partecipi i detenuti - molti dei quali stranieri e meridionali, emigranti come lo è stato lui - di ciò che gli hanno insegnato i genitori e la vita: "I miei pensavano che la cultura mi avrebbe salvato. Leggere un libro in più aiuta a ragionare davanti ai bivi dell’esistenza". E ringrazia per l’opportunità avuta: "Questo scambio è alla pari, utile a tutti. Non si capisce perché i rapporti tra chi sta fuori e chi sta dentro debbano essere sbilenchi". Tarabbia esplora i confini tra romanzo, fiction e realtà. "Spero che abbiate voglia di leggere - auspica. Per imparare a scrivere bisogna leggere. La letteratura insegna a vivere le vite degli altri e a capire meglio la propria". I detenuti ascoltano, prendono appunti, chiedono indicazioni e suggerimenti. Fois, instillata la curiosità per l’Odissea e i Promessi sposi, raccoglie la richiesta di una ragazza lettone interessata al Novecento, da studentessa universitaria del polo interno, e le propone Elsa Morante, Cesare Pavese, Dino Buzzati, Carlo Emilio Gadda. Tarabbia aggiunge Paolo Volponi e Curzio Malaparte. Poi, per tutti gli uomini e le donne dentro, uno sprone: "Voi dovete scrivere, perché le cose che scrivete vi riguardano e ci riguardano". Trapani: dall’Associazione l’Energia del Sorriso arte e solidarietà, spettacolo per detenuti www.marsalaviva.it, 15 maggio 2014 Musica e risate per esprimere vicinanza e solidarietà ai detenuti del carcere di Trapani. Nel pomeriggio di venerdì 9 maggio 2014, si è svolto presso il teatro dell’istituto di pena trapanese, uno spettacolo con l’obiettivo di offrire una opportunità di svago e socializzazione per i reclusi. A promuovere questo particolare genere di evento è stata l’Associazione l’Energia del Sorriso, presieduta da Angela D’Antoni, con sede legale a Marsala, d’intesa con i vertici della Casa Circondariale di Trapani, diretta da Renato Persico. Lo spettacolo è risultato molto partecipato, tanto intenso quanto simpatico. A questo evento, alla cui organizzazione hanno dato un grande contributo l’Educatore Palma D’Angelo dell’Energia del Sorriso; l’Educatore Antonino Vanella, il comandante Giuseppe Romano e il personale amministrativo e di polizia penitenziaria del carcere, ne seguiranno molto probabilmente altri, considerata la richiesta esplicita da parte di tutti a ritornare, nello spirito di continuare formule di coinvolgimento e informazione sociale attraverso la cultura e, nel caso specifico, attraverso la musica e l’arte in genere. Tanti gli artisti che hanno preso parte allo spettacolo , si citano in particolare "Calandra e Calandra", il mago Vilar", la scuola di ballo dei maestri La Grutta, il cantante Paolo Salerno. Hanno presentato Angela D’Antoni e Baldo Russo, ha curato il service Giuseppe Ombra. A conclusione dello spettacolo, un momento conviviale offerto dalla Presidente dell’Associazione L’Energia del Sorriso, che ha dichiarato: È stato un lavoro meraviglioso, questa esperienza la conserverò, come uno dei ricordi più importanti della mia vita artistica. Vedere la gioia, quella che nonostante tutto era disegnata nei loro occhi. Per un pomeriggio hanno dimenticato, la loro condizione di detenuti e hanno riso e sorriso. Un plauso ai lavoratori del carcere, che se pur integerrimi nell’esercizio della loro funzione, agiscono nello stesso tempo, metodi umanitari e civili all’interno della casa circondariale. Immigrazione: "arrangiatevi"… questo è tutto l’aiuto europeo ai Paesi del Mediterraneo di Ernesto Galli della Loggia Corriere della Sera, 15 maggio 2014 Ci sono solide ragioni (si badi: solide ragioni non vuol dire affatto buone ragioni) per cui l’Unione Europea, nonostante tutte le promesse, continui a fare orecchie da mercante alle ripetute, sempre più pressanti, richieste avanzate da vari Paesi mediterranei suoi membri, e innanzi tutto dall’Italia, perché di fronte all’imponenza del fenomeno dell’immigrazione sia finalmente adottata una politica comune. Una politica comune fatta ad esempio di un aiuto in mare ad opera di navi di tutte le marine europee, di distribuzione concertata degli immigrati nell’intero territorio dell’Unione, e soprattutto di effettiva condivisione delle spese sempre più ingenti richieste dal meccanismo dell’accoglienza. Niente da fare. La sollecitudine per i diritti dell’uomo, che risuona con toni così alti quando viene proclamata a Bruxelles o a Strasburgo, sulle spiagge e tra i flutti del Mediterraneo diventa un sussurro impercettibile. Italia, Grecia, Spagna si arrangino: se decine di migliaia di immigrati si accalcano sulle coste africane e asiatiche per entrare in quei Paesi, non sono cose che riguardano l’Ue. Ci sono solide ragioni, ripeto, per questo comportamento dell’Europa. Le quali, tra l’altro, ci fanno capire che cos’è che nell’Unione non funziona. La verità è che mai come in queste settimane, nell’imminenza delle consultazione elettorali, le classi politiche di governo del continente specie della sua parte centro-settentrionale stanno toccando con mano quanto siano diffusi nei loro elettorati i timori legati alla sempre più ampia presenza di immigrati. Dalla Danimarca alla Francia, ai Paesi Bassi, la propaganda spregiudicata di vecchie e nuove formazioni politiche - di destra ma non solo: più spesso capaci di mettere insieme temi di destra e di sinistra - sta conquistando ascolto e consensi soprattutto negli elettorati popolari e operai dei centri urbani. Sono specialmente questi, infatti, che oltre a soffrire il disagio economico e ì tagli del Welfare causati dalla crisi, oggi, di fronte al mutamento etno-demografico sembrano avvertire sempre di più la questione lacerante della propria moderna identità socioculturale. Che per essi è generalmente legata in misura decisiva alla dimensione locale-nazionale, a differenza delle élite borghesi, della cultura e del denaro, ormai progressivamente avviate a un superficiale cosmopolitismo anglofono. In queste condizioni potete immaginare che voglia abbiano i governi europei di preoccuparsi di aiutare l’Italia e gli altri Paesi mediterranei facendosi carico di un problema che già li mette così in difficoltà a casa loro. E che voglia abbiano quelle opinioni pubbliche - realmente, non a chiacchiere - di occuparsi dei barconi che colano a picco tra la Libia e Lampedusa. Tutto ciò accade, come dicevo, a causa di un limite paralizzante di cui soffre la costruzione europea. E cioè che in sessant’anni non è nato nulla che assomigli in qualche modo a uno spazio politico europeo comune. Cosicché le vite politiche dei Paesi dell’Unione procedono ognuna per conto proprio, ogni partito e ogni governo europeo se la deve vedere unicamente con i propri elettori, e questi hanno problemi che a tutti gli altri non importano nella sostanza un bel nulla. Quello spazio politico comune manca perché la sua esistenza avrebbe significato un’evidente cessione di sovranità. Ebbene, è vero che finora di cessioni del genere ce ne sono state già molte, anzi moltissime, ma esse sono sempre avvenute per così dire "clandestinamente" (tranne quella a proposito dell’euro, dove era impossibile). Cioè senza che di tali cessioni ci fosse da parte dei cittadini europei alcuna percezione preliminare (e spesso neppure successiva!): dal momento che esse erano adottate al riparo da occhi indiscreti da una ristretta élite politica, perlopiù abituata ad amministrare in modo padronale sia l’europeismo che l’Unione (e anche per questo pronta, sia detto tra parentesi, a identificarsi conformisticamente con entrambi). Assai diverso è il caso che invece si presenta sempre più di frequente oggi. Dopo l’euro, infatti, la "clandestinità" delle decisioni è estremamente più difficile. Così com’è molto più difficile nascondere la cessione di sovranità che esse quasi sempre implicano. E d’altra parte a reali e consapevoli cessioni di sovranità nessun Paese è in cuor suo veramente disposto, mentre nessuna classe di governo, dal suo canto, è realmente disposta a farsene paladina a viso aperto. La costruzione europea si trova insomma in una situazione virtuale di stallo. Nessun leader o partito osa proporre alcunché di concreto per uscirne, e la campagna elettorale affoga così in un mare di pavidità e di chiacchiere. Gli immigrati, invece, loro continuano assai meno metaforicamente ad affogare nel mare vero. Droghe: torna la distinzione fra sostanze leggere e pesanti… siamo un Paese più civile di Jolanda Bufalini L’Unità, 15 maggio 2014 Dopo la bocciatura della Consulta sulla Fini-Giovanardi, ieri il decreto approvato con la fiducia al Senato. La Lega Nord ha messo in scena la protesta gridando "Renzi tossico" ma il nuovo decreto, che va a sostituire la Fini- Giovanardi, è legge. Il ministro Boschi, in Aula al Senato, ha posto la fiducia, si è votato alle 19 e la maggioranza ha retto: 155 sì contro 105 no. La scelta della fiducia è stata dettata dai tempi stretti (la conversione in legge doveva avvenire entro il 20 maggio) accompagnata da qualche preoccupazione sul possibile sfaldamento, se si fosse riaperta la discussione. In commissione il testo era passato senza modifiche, identico a quello della Camera ma, alla presidenza del Senato erano arrivati 76 emendamenti. Il contingentamento del dibattito ha suscitato la contrarietà anche dei cinque stelle e del gruppo Gal. Emilia De Biasi, presidente in commissione sanità, è intervenuta nel dibattito finale spiegando che "il decreto sulle droghe cercava un equilibrio delicato che è stato raggiunto, sono stati fatti passi in avanti su alcune urgenze. Non vi è nessun cedimento, ma un interesse a curare, riabilitare e prevenire, non solo a punire. Vogliamo finalmente entrare nella modernità dal volto umano". Sempre per il Pd è intervenuta anche la senatrice Nerina Dirindin per sottolineare che la questione delle droghe non può essere considerata come un problema prevalentemente giudiziario: "Sulle tossicodipendenze serve una normativa che tenga conto delle evidenze scientifiche e, soprattutto, che sappia tenersi lontana dalle strumentalizzazioni politiche ed ideologiche, perché proprio nel campo delle droghe, le strumentalizzazione ideologiche ci sono state e purtroppo ci saranno". Per la capogruppo Pd in commissione Sanità, "cavalcare la paura può servire a creare qualche consenso prima delle elezioni, però è estremamente colpevole nei confronti dei messaggi che diamo alle famiglie ed ai giovani. Il problema non è soltanto quello della definizione delle pene, né tanto meno quello di svuotare le carceri: è di fare in modo che chi può essere curato e trattato al di fuori delle carceri venga trattato da servizi effettivamente in grado di farlo". Dello stesso avviso Emilia De Biasi per la quale "I Sert devono tornare nell’alveo della sanità, non possiamo pensare che prevenzione, cura e riabilitazione siano solo un problema di carattere sociale". Molto critici verso la legge che ha sostituito il testo Fini-Giovanardi bocciato dalla Consulta, Sel e M5S, entrambi su posizioni antiproibizioniste. Per Peppe Di Cristofaro di Sel "L’impianto di questa legge è ancora profondamente influenzato dalla logica secondo cui la diffusione delle droghe si combatte con la penalizzazione. Da più parti si stanno dismettendo le teorie in voga negli ultimi venti anni, Giovanardi non si limiti ai paesi in cui ci sono regolamenti stringenti, guardi alle democrazia e agli stati americani che hanno aperto numerose brecce nel proibizionismo". Nicola Airola: "Per il M5S la depenalizzazione delle droghe leggere a scopo terapeutico ma anche per un principio libertario è un cardine. Pd e Sel hanno depositato diversi disegni di legge per la depenalizzazione, poi però si delega tutto a Giovanardi e si rinuncia a fare una discussione in questo senso". Per Forza Italia Gasparri ha è intervenuto contro la differenziazione, stabilita dalla nuova legge, fra sostanze leggere e pesanti. Giovanardi, che era relatore e che per questo è stato contestato, come uno che ha cambiato casacca, nei giorni scorsi si era detto soddisfatto "per la disponibilità del governo ad un approfondimento tecnico-scientifico sui principi attivi dei nuovi tipi di cannabis naturale e arricchita". Nel testo approvato anche misure che porteranno a rivedere l’elenco dei farmaci off label. Australia: Centro di detenzione per richiedenti asilo nel mirino di Amnesty International di Daniele Scopigno www.lettera35.it, 15 maggio 2014 C’è un solo Stato liberal-democratico ad applicare la rigorosa detenzione dei richiedenti asilo. È l’Australia. Proprio lì nella terra dei canguri, l’isola meta di emigranti e costituita dai figli di chi vi arrivò nei secoli da tutto il mondo. Australia, da australis, tutto ciò che è a Sud, direzione di speranza o forse di miraggio per la migrazione oceanica proveniente dall’Asia, con richiedenti asilo da Afghanistan, Iraq, Iran, Sri Lanka, Palestina e ora anche Siria. La monarchia del Commonwealth di Canberra non scherza però con l’immigrazione. Regole rigide e ben definite, anche per gli asylum seekers. "La nostra politica è a volte crudele, ma necessaria", dicono gli stessi esponenti politici aussie, sia dello schieramento labour che liberal-nazionale, ora di nuovo al governo, con Tony Abbott, dopo una stagione di centrosinistra. L’Australia è, quindi, l’unico Paese al mondo che prevede la detenzione, come afferma il rapporto sullo Stato della democrazia. Il governo ha deciso, infatti, la via della rigidità per due motivi: le frontiere sono incontrollabili integralmente con migliaia e migliaia di chilometri di coste; l’arrivo indisturbato dei boat people pronti a sbarcare mette a rischio anche la credibilità del Paese. La policy è contenuta nella Pacific solution e ha avuto inizio nel 2001 con il cosiddetto Tampa affair, ovvero lo scontro diplomatico tra Australia e Norvegia per una imbarcazione scandinava (la Tampa) piena di rifugiati e stoppata della forze militari speciali visto il rifiuto ad accogliere i migranti, per lo più afghani. Dopo quella vicenda si arrivò alla legge sulla protezione dei confini che prevede lo stop alle imbarcazioni e il reimbarco coatto verso le isole "satellite" (Christmas island, Cocos islands, Melville island…). Il concetto è: "solo l’Australia decide chi può entrare e risiedere in Australia". Il 90 per cento degli si disse favorevole alla decisione presa dal governo. La Pacific solution, partita con l’operazione "Relex", voluta dal centrodestra di John Howard, prevede il pattugliamento militare delle coste. Scaduta nel 2006 la prima missione, il governo liberal-nazionale l’ha rinnovata da pochi mesi con la nuova operazione "Sovranità dei confini" del 2013. Nel mezzo la politica dei governi, tra il 2007 e lo scorso anno, dei Labour con Kevin Rudd e Julia Gillard. Ed è quel periodo che va preso in considerazione per capire se il sistema-Australia funzioni, visto che gli esecutivi di centrosinistra allargarono le maglie e modificarono la normativa in maniera meno restrittiva. Prima, però, l’analisi della organizzazione. Manus island e Nauru, nomi esotici che fanno viaggiare la mente verso mete di mare cristallino sono in realtà le due isole dove sorgono i principali campi di detenzione cosiddetti off-shore che lo Stato australiano utilizza per arginare l’immigrazione. Il primo, situato sull’omonima isola appartenente alla Papua Nuova Guinea, è finito nel mirino di Amnesty International. Sorto grazie a un accordo con l’Australia per mettere un freno agli arrivi tra il 2001 e il 2003 e poi riaperto nel 2012, nel suo rapporto, l’organizzazione umanitaria lascia intendere che le condizioni di vita siano al limite della sopravvivenza. Un miliardo di dollari sarebbe la spesa affrontata per il campo di Manus per detenere circa duemila persone. Molti degli immigrati accuserebbero inoltre forme di disagi mentali a causa della detenzione e dei presunti maltrattamenti sull’isola. Il governo si difende dicendo che spetta alla Papua Nuova Guinea conferire un primo status di rifugiato per poi procedere a un eventuale reinsediamento in Australia. La domanda è quali risultati può dare una politica restrittiva. Il parlamento australiano mette a disposizione tabelle e dati. Nel 2001 sbarcano su navi non autorizzate 5.561 migranti. All’entrata in vigore della Pacific solution, l’anno successivo, si passa a un solo (1) migrante. Il trend resta lo stesso con un picco massimo di 60 persone. Nel 2007 però le proteste contro le modalità della Relex vengono messe a dura prova sul piano umanitario. Arrivano i governi Labour. Stop alla Pacific solution e leggi più permissive. Gli sbarchi schizzano dalle 161 persone dell’ultimo periodo di risoluzione ai 20.587 migranti dell’ultimo anno di governo di centrosinistra che sotto i colpi delle critiche degli australiani nel frattempo aveva scelto la riapertura dei centri di detenzione, mossa comunque politicamente tardiva. Il governo liberal-nazionale torna al potere e dà il via alla operazione Sovranità dei confini. Secondo un rapporto delle Nazioni Unite, i richiedenti asilo in 38 paesi industrializzati sono diminuiti in media del 5 per cento dopo eventi internazionali come la caduta dei talebani e la fine di altri conflitti. In Australia, il numero è sceso del 52 per cento. In pratica, sostengono gli esponenti del governo, nonostante eventi mondiali abbiano portato a un calo fisiologico degli arrivi, la politica di Canberra ha rappresentato a priori un deterrente anche psicologico. Per alcuni analisti ci sono anche altri fattori da evidenziare. Il 61 per cento di chi è stato reinsediato dai centri off shore è finito comunque a vivere in Australia e a dare una speranza ai migranti c’è anche la Nuova Zelanda, pronta ad accoglierli con una percentuale del 34. I dati mostrano un’ulteriore evidenza importante per valutare la policy australiana: il 30 per cento del totale degli arrivi ha fatto ritorno volontario in patria. Nigeria: Boko Haram ha lista detenuti da rilasciare per scambio con studentesse rapite Adnkronos, 15 maggio 2014 Boko Haram è pronto a presentare la lista dei detenuti di cui chiede la liberazione in cambio del rilascio delle oltre 200 studentesse nigeriane rapite esattamente un mese fa. Lo rivela il quotidiano britannico "The Telegraph", che cita fonti vicine al gruppo di militanti islamici, secondo cui un religioso del nord del Paese sarà incaricato di negoziare per conto loro con il governo di Abuja. Nigeria: il Presidente esclude uno scambio tra detenuti di Boko Haram e liceali rapite www.tgcom24.mediaset.it, 15 maggio 2014 Intanto le persone nei villaggi si difendono dagli attacchi dei Boko Haram: 200 gli estremisti islamici uccisi nel nord-est. Il Presidente della Nigeria, Goodluck Jonathan, ha escluso la possibilità di liberare prigionieri islamici in cambio delle liceali rapite da Boko Haram. Lo riferisce il sottosegretario per l’Africa britannico Mark Simmonds: "Il presidente mi ha detto chiaramente che non ci saranno negoziati con Boko haram che includano uno scambio". Intanto circa 200 Boko Haram sono rimasti uccisi in un attacco condotto contro tre villaggi del nord-est del Paese. Lo riferiscono media locali, la Bbc, e Al Jazeera citando propri testimoni. Secondo il quotidiano nigeriano Daily Trust che cita funzionari e abitanti dei villaggi, all’incirca "300 estremisti, con tutta probabilità dei Boko Haram, hanno preso d’assalto Rann e altri due villaggi adiacenti intorno alle quattro del mattino, hanno ucciso diverse persone e dato fuoco ad alcune case, ma hanno incontrato una forte resistenza da parte dei locali che li hanno respinti e ne hanno uccisi 200 con armi primitive". Un funzionario dello Stato di Borno, che è voluto restare anonimo, ha confermato l’attacco e ha aggiunto che "oltre ai 200 islamisti uccisi, in molti sono riusciti a fuggire, ma sono rimasti feriti gravemente". "La nostra gente - ha aggiunto - è anche riuscita a sequestrare 70 moto con le quali gli aggressori erano arrivati, due veicoli e un blindato". La stessa fonte ha poi precisato che "alcuni estremisti sono stati catturati", senza però precisarne il numero. Gli scontri sarebbero "durati diverse ore". Il Daily Trust ricorda che si tratta del secondo attacco contro Rann. Un mese fa lo stesso villaggio venne attaccato, ma in quel caso gli islamisti non riuscirono a penetrarvi. Libia: rappresentante Onu brevemente detenuto, seguiva processo contro pro-Gheddafi Ansa, 15 maggio 2014 Un rappresentante della Missione di sostegno dell’Onu in Libia (Unsmil) è stato fermato l’11 maggio mentre si trovava al processo degli esponenti del regime Gheddafi e brevemente detenuto dalle autorità libiche. L’egiziano Ahmed Ghanem seguiva il controverso processo quando è stato fermato. Tarek Mitri, rappresentante speciale del segretario generale dell’Onu in Libia, ha protestato con le autorità libiche che si sono poi scusate per l’accaduto, informa l’Unsmil. Stati Uniti: "pirata informatico" in carcere denuncia diffusione film piratati nelle prigioni www.zeusnews.it, 15 maggio 2014 Dove dovrebbero finire i pirati, almeno nei sogni più sfrenati delle major? In prigione, naturalmente. Dove si fa un uso spregiudicato della pirateria? Sempre in prigione. A sostenerlo è Richard Humphrey, condannato nel 2010 a 29 mesi di carcere per aver gestito diversi siti pirata, tra cui Usa Warez e Usa Torrents. Dopo essere tornato a visitare gli istituti di pena statunitensi quest’anno, avendo violato la libertà vigilata per un crimine non legato alla pirateria, Humphrey è stato incarcerato alla Lorain Correctional Institution, in Ohio. Lì ha scoperto che la prigione, per intrattenere i carcerati, è solita mostrare anche film piratati: per esempio Humphrey testimonia di aver visto Poliziotto in prova e The Wolf of Wall Street mentre ancora questi venivano proiettati nelle sale cinematografiche; inoltre, si trattava evidentemente di copie non originali. Dopo aver contattato il vicedirettore e il direttore della prigione, l’ex pirata s’è visto rispondere per iscritto che il problema era già stato sollevato in passato, "ma evidentemente questa attività continua". "Perché c’è gente che viene punita con la prigione per essere riabilitata quando è chiaro che il sistema non riesce a trattenersi dallo svolgere lo stesso tipo di attività?" s’è chiesto Humphrey durante un’intervista concessa al sito TorrentFreak. Al momento, la Lorain Correctional Institution sta investigando sulla faccenda, ma per il fondatore di Usa Torrents non si tratta dell’unica prigione in cui il fenomeno si verifica: lo stesso sarebbe accaduto nel carcere minorile dov’era stato imprigionato da giovane.