Giustizia: il mondo sociale, unito, chiede una riforma per il carcere italiano Vita, 13 maggio 2013 Un appello storico, perché riunisce tutte tutti i soggetti sociali che operano nel mondo del carcere, per chiedere una vera riforma del sistema penitenziario italiano a Renzi, Napolitano, Orlando, Van Rumpoy e Aguilar. "Ci rivolgiamo al Capo dello Stato, per la sensibilità unica dimostrata su questo difficile terreno, al Presidente del Consiglio, per il suo ruolo di straordinario rilievo in questa fase delicata ed al neo Ministro della Giustizia assicurando tutta la nostra disponibilità a sostenere questo difficile ma inevitabile percorso di cambiamento". Così recita un appello (in allegato la versione integrale), storico per il mondo penitenziario italiano, in cui tutti i soggetti sociali che operano nel mondo del carcere parlano con una voce sola. È rivolto al presidente Napolitano, al premier Renzi, al ministro della Giustizia Andrea Orlando, ma anche al presidente del Consiglio Europeo Hermann Van Rompuy e al presidente della commissione Libertà civili del Parlamento Europeo Juan Fernando Lòpez Aguilar. Appello che nasce dall’arrivo imminente della sanzione europea per le condizioni disumane dei nostri carceri. "Lo sguardo europeo sulle condizioni di detenzione in Italia", spiega il documento, "ha indotto un processo di piccole riforme legislative che hanno certamente prodotto una riduzione, molto limitata e non ancora determinante, del sovraffollamento carcerario. Sono comunque circa 4 mila i ricorsi di detenuti pendenti presso la Corte Europea per violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea sui diritti umani e le libertà fondamentali che proibisce la tortura e ogni forma di trattamento inumano e degradante. Ricorsi che comunque attendono una soluzione di carattere compensativo per coloro che tali condizioni hanno subito; ricorsi che ci si augura non si riproporranno poiché le misure adottate avranno modificato radicalmente quella realtà che nel passato ha portato a una condanna così umiliante per la nostra democrazia e la nostra civiltà umana e giuridica. Proprio al fine di poter chiudere questa pagina e confinarla al passato riteniamo che il semestre di guida italiana delle istituzioni europee debba costituire l’occasione di un ulteriore e decisivo stimolo affinché siano migliorate sostanzialmente e durevolmente le condizioni di vita nelle carceri italiane e ci si avvii lungo il percorso dell’adozione di un diverso modello di giustizia e di detenzione, meno passivizzante e più responsabilizzante, meno chiuso in se stesso e più aperto al ritorno nella società". L’appello propone sette richieste che nascono dalla "trentennale e variegata attività di impegno e di lavoro nel sistema penitenziario italiano". È assolutamente necessario fare ulteriori e più coraggiosi passi in avanti sul terreno delle riforme legislative dirette a diversificare il sistema sanzionatorio e a procedere sulla doppia via della depenalizzazione e della residualizzazione della pena carceraria. La qualità della vita nelle carceri dipende anche da pratiche operative e da modelli di gestione. Nel nostro sistema penitenziario, per prassi consolidata, si è finiti per ritenere che la pena dovesse consistere nella chiusura in cella con pochissimo tempo (a volte solo due ore giornaliere) a disposizione per la vita sociale. È questo il momento di produrre il massimo sforzo per cambiare un modello di gestione, fondato sulla soggezione, l’afflizione e l’umiliazione. Ci vuole un gruppo di regia forte, con anche doti di tipo manageriale e spirito innovativo, che renda prassi operativa in tutto il territorio nazionale ciò che proficuamente, il mondo ricco del volontariato, dell’associazionismo e della cooperazione sociale ha prodotto in questi anni con enorme sacrificio. Il Ministero della Giustizia non deve tardare ad aprirsi in maniera determinata a questo pezzo importante della società civile non avendo paura delle forti resistenze che provengono dall’interno. Nelle carceri italiane la gran parte dei detenuti è a basso indice di pericolosità e occorre evitare il rischio che l’attenzione legittima che si riversa alle poche migliaia di detenuti pericolosi finisca per condizionare il trattamento di tutti gli altri. Per evitare tale rischio la gestione dei detenuti non deve essere necessariamente affidata unicamente a chi ha nella sua biografia una storia, seppur meritoria, di investigazione giudiziaria, privilegiando anche l’apporto che può giungere da chi ha dimostrato un’attenzione continua ai modelli più avanzati di composizione dell’esigenza di sicurezza sociale con il necessario (obbligatorio per lo Stato) ritorno alla società della persona che ha sbagliato, attraverso un percorso rieducativo. Parallelamente la gestione del personale penitenziario (oltre 50mila persone, alcune delle quali di grande valore professionale) richiede un’attenzione particolare. Una gestione del personale dove al centro ritorni lo scopo per cui queste persone sono assunte, perché è proprio dal riacquistare il senso del proprio lavoro che cresce una serenità del personale da cui dipende molto di quello che, di bello o di brutto, accade negli istituti penitenziari. Un tema centrale per il miglioramento della qualità della vita interna è quello del lavoro dentro e fuori dal carcere ovvero per chi è in esecuzione penale esterna. Il tasso di disoccupazione nelle carceri Italiane è del 96%. Esiste una legge del 2000 (che va ricontestualizzata al momento presente), conosciuta come legge Smuraglia (il finanziamento straordinario del Cdm del 13 febbraio 2013 non ha ancora trovato regolare attuazione attraverso lo schema di decreto interministeriale), che pur costituendo una base normativa importante, ancor oggi fa fatica a funzionare a causa della ridotta copertura di spesa. Il lavoro qualificato è essenziale quale fattore di riduzione, pressoché totale, della recidiva e va concretamente incentivato, riducendo quegli intoppi burocratici che spesso non consentono il pieno funzionamento di pur positive leggi esistenti. Anche in questo ambito ci vuole una regia pubblico-privato forte, autorevole e di impronta manageriale. Un problema a cui serve dare immediata risposta riguarda i pochi bambini (40/50) ancora rinchiusi in carcere. Le centinaia e centinaia di case famiglia di varie associazioni presenti sul territorio nazionale sono da anni (con un costo di gran lunga inferiore a quello del carcere o dell’ICAM) disponibili ad accogliere queste mamme con i loro bambini in ambienti sicuramente, oltreché più economici, più adeguati. Va decisamente e definitivamente favorito l’invio in comunità di detenuti (ad esempio tossicodipendenti o malati mentali, ma non solo) in affidamento, sia provenienti dalla detenzione che dalla libertà. È necessario un riconoscimento istituzionale ed amministrativo attraverso una retta giornaliera. Le esperienze in atto, oltre ad abbattere in maniera drastica la recidiva (cosa che lo stato italiano oggi non è in grado di assicurare), hanno un costo decisamente inferiore a quello dello stato. Similmente vanno sostenuti i progetti di housing sociale. Infine, molte nostre organizzazioni sin dal 1997 hanno chiesto l’introduzione nel nostro Ordinamento giuridico del Garante nazionale delle persone private o limitate nella libertà. Nonostante ci fosse un obbligo derivante dalla ratifica da parte del nostro Paese di un Protocollo Onu (comunemente riportato con l’acronimo Opcat) in tal senso e nonostante molti Paesi europei abbiano già istituito figure analoghe, quantunque in vario modo denominate, solo da poco questa figura è stata inserita con legge nel nostro Ordinamento. La nomina dei tre componenti dell’autorità di garanzia - Presidente e due membri - spetta al Capo dello Stato previa delibera del Consiglio dei Ministri. Ci auguriamo che siano scelte persone di comprovata esperienza, non solo nazionale, sul tema dei diritti delle persone private della libertà e del monitoraggio delle condizioni di detenzione. È un incarico molto delicato che richiede indipendenza (ricavabile dalla propria storia professionale e di terzietà), autorevolezza morale, grande conoscenza, nonché lunga esperienza sul campo. Giustizia: il ministro Orlando presenta Risoluzione all’Onu contro il traffico dei migranti www.giustizia.it, 13 maggio 2013 Il ministro della Giustizia Andrea Orlando è intervenuto ieri mattina nella sede dell’Onu di Vienna ai lavori della 23esima sessione della Commissione delle Nazioni Unite per la prevenzione del crimine e la giustizia penale. Nel corso del suo intervento il guardasigilli ha illustrato all’assemblea le priorità italiane in tema di cooperazione internazionale nel settore penale. Si tratta, in particolare, di due proposte di risoluzione riguardanti il contrasto al traffico di migranti e la lotta al traffico di beni culturali: "Voglio ricordare - ha sottolineato Orlando nel suo discorso - la gravità dei tragici eventi che si verificano nel Mediterraneo e lungo le coste meridionali dell’Italia e dell’Europa, ove giungono quotidianamente centinaia di uomini, donne e bambini che rischiano la propria vita affidandosi a criminali senza scrupoli. E non posso non menzionare le gravissime ripercussioni provocate dalle attività illegali condotte dalla criminalità organizzata contro il nostro patrimonio culturale". Sul contrasto al traffico di migranti il guardasigilli è tornato successivamente nel corso dell’incontro bilaterale con il Direttore Esecutivo dell’Unodc (United Nations office on drugs and crime) Yury Fedotov, al quale ha ribadito l’importanza dell’approvazione della risoluzione italiana, ricordando il "deficit di cooperazione" sia a livello europeo che internazionale che ancora esiste in materia: "Anche oggi dobbiamo fare i conti con un tragico bilancio" ha detto il ministro riferendosi alle drammatiche notizie arrivate da Lampedusa. "Questo è un tema decisivo per l’Italia, ci attendiamo un segnale forte, serve subito un salto di qualità complessivo rispetto ad un’emergenza che non può riguardare solo l’Italia". Fedotov, nel ringraziare il ministro Orlando per l’attenzione che ha voluto riservare con la sua presenza ai lavori della Commissione Crimine, ha assicurato al ministro il suo impegno per favorire l’adozione delle due risoluzioni presentate dall’Italia. Intervento del ministro Orlando Mi unisco alle congratulazioni per la sua nomina alla Presidenza di questa Commissione Crimine. Desidero ringraziare l’Unodc e in particolare il Direttore Esecutivo Fedotov per il costante impegno nella lotta alla droga e al crimine organizzato, grazie al quale la comunità internazionale ha raggiunto importanti risultati. Porgo anche io le condoglianze del Governo italiano per la perdita di due valorosi funzionari dell’Ufficio caduti in Somalia mentre erano impegnati nella lotta alla pirateria e al terrorismo. Signor Direttore Esecutivo, Signori Ministri e Delegati, l’Italia è e resta fortemente impegnata nel contrasto ad ogni forma di criminalità, specie quella organizzata, in aderenza agli obiettivi complessivi di questa Commissione Crimine. Sappiamo bene che la crescente interdipendenza economica, gli scambi di beni e il movimento di persone su scala globale, quando sono associati a forme di criminalità, sempre più richiedono un forte impegno della giurisdizione a tutela della sicurezza e della legalità sul piano globale. Salutiamo quindi con favore la decisione di porre al centro del dibattito tematico di questa sessione della Commissione la cooperazione internazionale nel settore penale. Siamo sicuri che il dibattito ed i negoziati che animeranno questa sessione saranno l’occasione per verificare l’adeguatezza degli strumenti disponibili per il contrasto al crimine e per rafforzare le capacità degli Stati di prevenire e reprimere i fenomeni criminali. L’Italia intende contribuire attivamente a questo processo: siamo orgogliosi di essere stati riconfermati quale membro della Commissione Crimine anche per il prossimo mandato (2015-2017) e ringraziamo gli Stati membri per la fiducia accordata al nostro Paese. Con questo spirito, ancora, l’Italia ha presentato due proposte di Risoluzione su temi che noi consideriamo di particolare rilevanza per tutta la membership, ossia il contrasto al traffico di migranti - presentata con il Messico e l’Australia - e l’adozione delle linee guida sulla lotta al traffico di beni culturali - presentata con il Messico. Non occorre che io ricordi la gravità dei tragici eventi che si verificano nel Mediterraneo e lungo le coste meridionali dell’Italia e dell’Europa, ove giungono quotidianamente centinaia di uomini, donne e bambini che rischiano la propria vita affidandosi a criminali senza scrupoli. Così come non occorre ricordare le gravissime ripercussioni provocate dalle attività illegali condotte dalla criminalità organizzata contro il nostro patrimonio culturale: si tratta di crimini odiosi, che colpiscono al cuore l’identità storica di ogni Paese e che vanno combattuti con mezzi più strutturati ed efficaci sul piano multilaterale. Abbiamo sufficiente esperienza, a dieci anni dall’entrata in vigore della Convenzione di Palermo e dei suoi Protocolli, per capire che l’intera comunità internazionale deve assicurare una più incisiva ed effettiva cooperazione in questi ambiti. Auspichiamo pertanto che la Commissione possa adottare queste due Risoluzioni. Le sfide poste dal crimine organizzato e dalla corruzione - fenomeni spesso strettamente collegati tra loro - richiedono risposte ferme e decise da parte delle Nazioni Unite. Per questo ringrazio Unodc per il costante impegno nella promozione della universale e piena applicazione delle Convenzioni Untoc ed Uncac, così come ringrazio per il loro contributo scientifico gli istituti di studio che fanno parte della Rete delle Nazioni Unite per la Prevenzione del Crimine e la Giustizia Penale. Approfitto dell’occasione per ricordare l’esito positivo della revisione dell’Italia sotto il profilo della lotta alla corruzione, che ha dato atto dei progressi compiuti dal mio Paese nella applicazione della Convenzione di Merida. Siamo convinti del ruolo centrale del meccanismo di revisione dell’Uncac per rafforzare in modo completo e sistematico la cooperazione internazionale contro la corruzione. In tale contesto, non posso fare a meno di incoraggiare tutti gli Stati Membri a proseguire, con spirito pragmatico e costruttivo, la riflessione su come dotare anche la Convenzione sul Crimine Organizzato Transnazionale (Untoc) di un meccanismo di revisione, che ci consenta di valutarne l’effettivo grado di applicazione e di individuare le lacune esistenti. Il tutto con il dichiarato obiettivo di rafforzare ed utilizzare appieno tutti gli strumenti normativi e di cooperazione contro le organizzazioni criminali. Occorre infatti aggiornare costantemente tutti gli strumenti di prevenzione e contrasto a questo fenomeno. Abbiamo bisogno di affinare le indagini sui patrimoni illeciti, di estendere l’efficacia delle misure di sequestro e confisca dei beni, di favorire un utilizzo più dinamico delle risorse confiscate a beneficio della collettività. Chiudo evidenziando anche l’esigenza di una piena ed effettiva cooperazione internazionale nella lotta alla pirateria marittima, come segnalato anche dal rappresentante dell’Unione Europea. Siamo infatti convinti che la Commissione Crimine delle Nazioni Unite, con l’impulso di UNODC, possa utilmente incoraggiare e sostenere l’attività degli Stati membri nel contrasto della pirateria dal punto di vista della prevenzione del crimine e della giustizia penale. Signor Presidente, Autorità, Signore e Signori, desidero augurare buon lavoro a ciascuno di voi, con l’auspicio che la ventitreesima sessione della Commissione Prevenzione Crimine e Giustizia Penale faccia segnare significativi progressi verso i nostri comuni obiettivi. Giustizia: Decreto per superamento Opg verso la questione di fiducia in Aula alla Camera Public Policy, 13 maggio 2013 Il governo ha intenzione di porre la questione di fiducia sul decreto che proroga di un anno gli ospedali psichiatrici giudiziari. Lo ha riferito in aula alla Camera il relatore di minoranza del dl, Marco Rondini Relatore: proroga è fallimento, ma obiettivo è fine di una cultura "Il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari è un’esigenza che ci portiamo dietro da anni. Siamo chiamati a rendere irreversibile questa svolta. Le istituzioni europee hanno condannato questi luoghi e la Costituzione italiana traccia il solco sul quale il legislatore deve trovare delle soluzioni per la cura della malattia mentale e la protezione sociale. Il compito è quello di curare la persona malata e di proteggere chi subisce i reati. Prorogare è riconoscere un fallimento, che un ordine dato dallo Stato non è stato eseguito, ma non possiamo derubricare all’obiettivo di chiudere gli opg. Il Parlamento non intende chiudere gli opg sostituendoli con i Rems, ma vuole chiudere una cultura". Lo dice, in aula alla Camera, il relatore Davide Mattiello (Pd), all’inizio della discussione generale sul decreto che proroga di un anno (al 31 marzo 2015) la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari. "La linea che a mano a mano il legislatore ha perseguito - aggiunge - stabilisce non soltanto la chiusura degli Opg ma che il servizio sanitario nazionale debba farsi carico dei rei mentalmente infermi tramite i servizi territoriali e le aree protette". Ferri: Ministeri a lavoro con Regioni per futura apertura Rems "Il ministro della Giustizia ha già convocato i direttori degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, ha avviato un monitoraggio con la magistratura sorveglianza e, allo stesso tempo, con il ministero della Salute verrà avviato un coordinamento con le Regioni per la futura apertura delle Rems. Nel prorogare il governo poteva fare la scelta di non aggiungere nulla, ma invece il dl prevede che la scelta degli opg dovrà essere una scelta residuale in attesa della chiusura". Lo dice, in aula alla Camera, il sottosegretario alla Giustizia Cosimo Maria Ferri, nel suo intervento in discussione generale sul decreto che proroga di un anno (al 31 marzo 2015) la chiusura degli Opg. Binetti (Udc): sì a proroga, ma occorre realismo, un anno non basterà "Voteremo con convinzione a favore della proroga di un anno, ma sia chiaro che il problema della chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari non ammette soluzioni facili, né ideologiche. Su questo decreto occorre innanzitutto realismo. Ecco perché riteniamo necessario approfondire tutti gli aspetti che il provvedimento comporta, compreso il fatto che, per la Conferenza Stato-Regioni, questi 12 mesi sono pochi per poter centrare tutti gli obiettivi prefissati". Lo ha affermato in Aula la deputata Udc Paola Binetti durante la discussione sulle linee generali del decreto che proroga di un anno la chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (Opg). "Ben vengano i Rems sul piano sociale e terapeutico, purché - ha sottolineato Binetti - siano ispirati alla cultura dell’assistenza psichiatrica e dell’accoglienza, in grado cioè di prendere in carico i malati una volta terminata la cura, perché queste strutture le aspettiamo sin dai tempi della legge Basaglia: è dal 1978 che attendiamo soluzioni rispetto alle gravi lacune tuttora esistenti sia sul piano culturale che strutturale: dove curare i pazienti, come reinserirli nella società e nei territori e come evitare di abbandonare le loro famiglie al loro destino. Per sopperire agli errori legislativi del passato occorre dunque costruire anche canali della comunicazione culturale, il che comporta una maggiore formazione universitaria nel ramo dell’assistenza psichiatrica". Psichiatri a ministro Lorenzin: ok decreto ma rimangono criticità Anche una volta approvato il dl sugli Ospedali psichiatrici giudiziari (Opg) che inizia oggi il suo iter alla Camera rimangono alcuni punti che la politica deve affrontare, a partire da una maggiore assistenza nelle carceri e dal superamento del concetto di "pericolosità sociale". Lo affermano alcuni esperti in una lettera indirizzata al ministro della Salute Beatrice Lorenzin. "Mancano però un potenziamento dei dipartimenti di Salute Mentale, una migliore assistenza psichiatrica nelle carceri e il superamento del concetto di Pericolosità sociale, con l’abolizione della modifica apportata al codice penale - precisa Claudio Mencacci, past presidente della società italiana di Psichiatria e firmatario della lettera -. Queste cose non si possono mettere nel disegno di legge, ma hanno bisogno comunque di una partecipazione politica trasversale". Il testo arrivato alla Camera, fa notare il presidente attuale della Società Emilio Sacchetti, ha già recepito molte delle richieste degli esperti, a cominciare dall’obbligo, che era previsto dal testo originale, che imponeva la custodia cautelare all’interno delle strutture del servizio psichiatrico ospedaliero. "È importante che il testo ora venga approvato così com’è - spiega Sacchetti - perché contiene già diversi miglioramenti che avevamo indicato come necessari". Giustizia: riconoscere Comunità Educanti Carcerati come percorsi alternativi alla pena www.apg23.org, 13 maggio 2013 Chiedono il riconoscimento dei Cec (Comunità Educanti con i Carcerati) come percorsi alternativi alla pena. Solo attraverso un cammino di rieducazione è possibile un reale recupero. Un digiuno a staffetta da proseguire fino a quando lo Stato non adotterà misure veramente risolutive per il sistema carcerario italiano. È la proposta lanciata durante il pellegrinaggio nazionale con i carcerati "Fuori le sbarre" che si è svolto ieri a Rimini, organizzato dalla Comunità Papa Giovanni XXIII, con la collaborazione del Centro Nazionale per il volontariato, della Conferenza nazionale per il volontariato e giustizia, del gruppo di lavoro "La certezza del recupero". "Le condizioni in cui si vive all’interno delle nostre carceri sono uno scandalo. Perfino la Corte europea dei diritti umani ci ha pesantemente condannato - ha dichiarato Giovanni Ramonda, responsabile generale della Comunità. Abbiamo però bisogno di risposte durature, sostenibili e davvero mirate al recupero e al reinserimento, non delle solite misure d’emergenza che non risolvono i problemi". La risposta c’è, secondo l’associazione: è la Cec, Comunità educante con i carcerati. "Se nelle carceri la recidiva è del 70%, nelle Comunità educanti solo una minima parte, circa il 10%, torna a commettere reati - ha sottolineato Ramonda - È questa la vera soluzione e chiediamo che lo Stato riconosca finalmente queste Comunità come una risorsa su cui puntare per creare una vera alternativa al carcere". A sostegno di questa proposta partirà dunque un digiuno a staffetta e anche una petizione on line. Le informazioni per aderire saranno disponibili nei prossimi giorni sul sito dell’associazione www.apg23.org. "Il digiuno di un singolo, come quello portato avanti da Marco Pannella per lottare contro l’ingiustizia del nostro carcere ha un suo grande valore, ma vediamo che non è risolutivo - ha detto Ramonda spiegando le ragioni della proposta -. Per questo chiediamo a tutti di digiunare: pensate, se tante persone aderissero, quale potenza potremmo mettere in campo". Sono oltre 600 le persone che hanno attraversato ieri la città di Rimini per vivere insieme il pellegrinaggio di preghiera e di testimonianza, giunto alla quinta edizione, e portare all’attenzione dell’opinione pubblica e del mondo politico non tanto la difficile situazione del carcere, ma le soluzioni possibili al problema. Un appuntamento nazionale che si rinnova di anno in anno, organizzato dalla Comunità Papa Giovanni XXIII e sostenuto da tanti movimenti e associazioni che operano all’interno del mondo carcerario, perché, come ha ricordato Edoardo Patriarca, parlamentare e presidente della Cnv (Centro Nazionale Volontariato) "solo con la collaborazione tra le istituzioni e il terzo settore può dare risultati veri". Durante il percorso numerose testimonianze di detenuti ed ex detenuti, e gli interventi di Nicola Boscoletto, presidente del Consorzio delle cooperative Giotto, Francesco Soddu, direttore Caritas Nazionale, Marcella Reni, direttore del Rinnovamento nello Spirito. In conclusione della marcia dal palco di Piazza Cavour Teresa Marzocchi, assessore alle politiche sociali della Regione Emilia Romagna, ha raccontato dell’esperienza di questa regione, dove i percorsi alternativi Cec sono una proficua sperimentazione da diverso tempo. Giustizia: l’ex ministro Scajola dal carcere "io come Andreotti… dovranno scusarsi" di Fabrizio Caccia Corriere della Sera, 13 maggio 2013 Al senatore Barani: la richiesta d’arresto precede la presentazione delle liste elettorali. "Siamo in una dittatura, mi accusano del reato di amicizia". "Lo vuoi sapere? Io qua dentro sto attentissimo a tutto e mi curo meticolosamente. Mi curo il diabete e l’ipertensione. Sto attento perfino alle correnti d’aria e mi faccio la doccia, come si dice?, a pezzi e bocconi, insomma non sempre, non tutti i giorni. Perché ho deciso per prima cosa che qui a Regina Coeli non mi devo assolutamente ammalare, devo restare sano come un pesce. Perché mi dovrò difendere e mi difenderò. E se mi vogliono far fuori con la malattia, davvero s’illudono tutti quanti. Perché io uscirò da qui in forma. E a testa alta". Eccolo, Claudio Scajola. Ieri pomeriggio alle cinque è andato a trovarlo in galera il senatore suo amico più che ventennale Lucio Barani, 61 anni, del gruppo Grandi autonomie e libertà (Gal), membro della commissione Giustizia di Palazzo Madama, craxiano di ferro, vestito elegante e con un garofano rosso all’occhiello ("Perché sono stato e rimarrò per sempre socialista - racconta Barani. Quand’ero sindaco di Aulla decisi di dedicare un monumento alle vittime e ai martiri di Tangentopoli, Claudio all’epoca mi disse che era perplesso davanti all’iniziativa e invece adesso mi ha detto che avevo proprio ragione a tirar su quel monumento"). "Farò come Andreotti - annuncia battagliero Scajola fuori dalla cella, in corridoio, davanti al direttore del carcere Mauro Mariani e al comandante degli agenti della Penitenziaria, mentre lo ascoltano in silenzio anche gli altri detenuti -. Resisterò tenacemente a tutte le accuse e al fango, come il Divo Giulio. E alla fine tutti, dai magistrati ai giornalisti, mi dovranno chiedere scusa pubblicamente. Perché quello che leggo sui giornali e ascolto dalla televisione semplicemente non è vero. Il conto corrente alla Camera e tutto il resto". "Ma io l’ho capito perché sono finito dentro: la ragione è il 25 maggio, cioè le elezioni europee - si sfoga amaro l’ex ministro dell’Interno -. Ho letto gli atti che mi accusano e ho scoperto una cosa importante: la mia richiesta d’arresto era precedente alla data di presentazione delle liste elettorali. Capito? Volevano farmi fuori dalle elezioni ed infatti eccomi qua". Quinta sezione, Reparto primi ingressi, già cento ore di detenzione sono passate, la visita medica arriva tre volte al giorno, pasti regolari, cella pulita, "complimenti direttore Mariani, il suo personale è davvero efficiente", ripete Scajola anche davanti al senatore ligure-apuano Barani, che forse è uno dei pochi parlamentari a visitare con continuità e solerzia i penitenziari d’Italia per sincerarsi che ai detenuti vengano garantiti diritti e condizioni di vita ancora umane. "Ma qui ormai siamo in una dittatura, non è più democrazia, ormai si agisce con metodi da criminalità organizzata - cambia subito tono Scajola e torna al contrattacco. Arrestano la madre, la moglie (di Matacena, ndr) per farle parlare. Eccoli, i metodi. Ma io non soccomberò, anzi ne uscirò alla grande". Questa mattina, dopo 5 giorni di perfetto isolamento richiesto dal gip, l’ex ministro riceverà la visita dei suoi due legali, Elisabetta Busuito e Giorgio Perroni e insieme, naturalmente, cominceranno a studiare la linea difensiva in vista dell’interrogatorio dei pm. Quindi, forse già domani, mercoledì, dovrebbero andarlo a trovare sua moglie Maria Teresa e i figli Lucia e Piercarlo ("Per favore, qui con me ho solo un paio di scarpe strette - confessa l’ex ministro al senatore Barani. Ricordati di dire a mia moglie, quando viene, di portarmi le pantofole"). Le ore in cella passano lente. Scajola le trascorre leggendo gli atti giudiziari, poi guarda un po’ di televisione, ma soprattutto prega e trova conforto nelle pagine di Gesù di Nazareth, il libro di Joseph Ratzinger che all’ultimo momento ha voluto con sé. La visita di Barani è terminata. Un’ora abbondante è volata via. "Ma si può sapere che reato ho commesso?", ragiona a voce alta l’ex ministro, alludendo ai suoi rapporti con Chiara Rizzo e Amedeo Matacena, lei ora in prigione (a Marsiglia) come lui e il marito ancora a Dubai, in attesa di estradizione. "Reato di conoscenza, reato di amicizia, ecco che cosa ho fatto!", conclude sconsolato. E torna dentro. Giustizia: ora il Libano accelera per l’estradizione di Marcello Dell’Utri di Giuseppe Guastella Corriere della Sera, 13 maggio 2013 L’ex senatore interrogato in tribunale. La difesa: "Pressioni indebite dall’Italia". La magistratura libanese imprime un’accelerazione improvvisa alle procedure sull’estradizione e rafforza la convinzione che si prepari a dire sì in tempi stretti alla consegna all’Italia di Marcello Dell’Utri, condannato a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa, mettendo al più presto la parola fine ad una vicenda sempre più ingombrante. Il primo segnale del cambio di marcia è l’interrogatorio di ieri dell’ex senatore di Forza Italia. "Lo sentiremo dopo aver esaminato la richiesta di estradizione", aveva detto dopo l’arresto del 12 aprile il procuratore generale Samir Hammud. Solo che il grosso della documentazione italiana è arrivato in Procura appena giovedì scorso, integrato la sera del giorno dopo con il dispositivo della Cassazione. "Concluderemo in una settimana, poi tutto passerà alla politica", assicura una fonte autorevole che parla a condizione dell’anonimato. Sulla scrivania del sostituto Nada Al Asmar, alla quale Hammud ha assegnato il fascicolo, ci sono due copie rilegate con un nastrino del Tricolore, una in italiano l’altra in francese, della sentenza d’appello di Palermo confermata dalla Cassazione e il riassunto in arabo della vicenda. Per il trattato Italia-Libano del ‘70 è quanto basta per decidere con una sentenza definitiva. "In settimana la Procura trasmetterà il parere al ministro della Giustizia che lo manderà con il proprio al Consiglio dei ministri per la decisione finale", assicurano nel Palazzo di giustizia di Beirut, dove qualcuno ironizza: "Abbiamo casi molto più importanti di cui occuparci". Sei poliziotti armati fino ai denti ieri mattina hanno prelevato Dell’Utri nella stanza al quarto piano dell’ ospedale Al Hayat dove è ricoverato per problemi di salute dal 16 aprile. Il drappello scorta l’ex senatore ammanettato dietro la schiena fino nell’ufficio del pm Nada Al Asmar. Maglia blu e pantaloni dello stesso colore, ma più chiari, occhiali da sole, Dell’Utri mantiene senza difficoltà il passo spedito imposto dai poliziotti. In un’ora e mezza, assistito dall’avvocato libanese Akram Azoury e da un’interprete dell’ambasciata italiana, ripete che "si tratta di una sentenza politica", di non essere "un mafioso" e che non è fuggito dall’Italia, tanto che ha viaggiato usando il suo passaporto, la sua carta di credito e registrandosi in albergo con il suo nome. "Ha risposto alle domande con lucidità e precisione", dichiara Azoury che ha chiesto la scarcerazione ed è pronto all’appello in caso di estradizione e a un ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo. A Palazzo di giustizia, però, dicono che "è molto difficile che venga rimesso in libertà prima della decisione finale". Poi il legale definisce indebite le "pressioni sulla giustizia libanese" fatte dal Guardasigilli italiano Andrea Orlando, che ha chiesto "tempestività" sulla consegna di Dell’Utri. Se il Consiglio dei ministri libanese si dovesse occupare della vicenda, seppure per una prima valutazione politica tra giovedì o venerdì prossimi, come dice qualcuno, arriverebbe un’ulteriore spinta ad una questione che comincia a infastidire i politici. Dopo essere stata quasi ignorata, ora finisce sempre più spesso sulla stampa per le presunte connessioni tra Dell’Utri e Vincenzo Speziali, il cui nome appare nell’inchiesta dell’arresto dell’ex ministro Scajola, il quale a sua volta sarebbe legato al potente leader cristiano-maronita Amin Gemayel che in questi giorni è protagonista delle trattative per l’elezione del nuovo presidente della Repubblica. Dopo un’ora e mezza, finito l’interrogatorio, Dell’Utri risponde "arrivederci" ai cronisti italiani tenuti a distanza dalla polizia che lo riconduce in ospedale su un’autoambulanza scortata da due enormi suv lungo le strade caotiche di Beirut. Lettera aperta per il Satyagraha… abbiamo contato gli anni, ora contiamo i giorni di Donato Salzano, Segretario dei Radicali di Salerno www.gazzettadisalerno.it, 13 maggio 2014 Spesso mi capita, sempre più frequentemente di ricordare in questo Paese senza memoria, l’Enzo Tortora che amava recitare il Voltaire del “se vuoi giudicare la civiltà di un Paese visitane le carceri, non i palazzi ma le carceri". Bene, noi Radicali con tigna questo facciamo da sempre, anche lo scorso 8 marzo con i compagni siamo stati a far visita ai detenuti della Casa Circondariale di Salerno, soprattutto come ogni anno, ma non solo, per essere umanamente vicini alle donne ultime tra le ultime. Da tempo, dallo scorso 27 febbraio abbiamo deciso di attendere il 28 maggio in Satyagraha, più di mille persone tra militanti Radicali e familiari di detenuti in sciopero della fame, insieme nel dare corpo alla lotta nonviolenta e gandhiana con la fame di verità di Rita Bernardini e la sete di Diritto di Marco Pannella. Dialogando con le istituzioni e controllando giorno dopo giorno quali azioni concrete verranno messe in atto per porre fine alla continuata flagranza criminale in cui da più di trent’anni vive il nostra Repubblica. Ahinoi, 15 i giorni dalla data perentoria imposta dalla sentenza pilota della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, nota come la sentenza “Torreggiani", pena pesanti sanzioni comunitarie, decine e decine i milioni da risarcire ai detenuti a spese dei contribuenti italiani (sembrerebbe non basti una Comunitaria al mese). Appunto condanna definitivamente l’Italia per la violazione degli artt. 3 e 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, vale a dire elencati sotto il capitolo della “tortura" la pratica dei trattamenti inumani e degradanti nelle carceri ed ancora la più grave per taluni aspetti irragionevole durata dei processi, nonché chiaramente sul piano interno la violazione continuata degli artt. 27 e 111 della Costituzione. Nel messaggio al Parlamento dell’8 ottobre 2013 il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha richiamato la sentenza della Corte Costituzionale (n. 210 del 2013) con la quale è stato stabilito che, in caso di pronunce della Corte Europea dei diritti dell’Uomo che accertino la violazione da parte di uno Stato delle norme della Convenzione, come il caso appunto più che trentennale dell’Italia, per questi, “è fatto obbligo per i poteri dello Stato, ciascuno nel rigoroso rispetto delle proprie attribuzioni, di adoperarsi affinché gli effetti normativi lesivi della Convenzione cessino". Tanto più che le sentenze della Cedu per trattati internazionali sottoscritti sono alla stregua della stessa Costituzione, sono da ritenersi per chiunque un obbligo di legge. Intanto la nostra ultima visita a Fuorni ci ha portato alla sezione Alta Sicurezza, quella che una volta era dedicata ai tossicodipendenti, lì sono stipati, ammassati, come carne da macello, circa 130 uomini in 16 celle (da quattro posti) e 4 singole (Cubiculi), pensare che anche per scendere giù nell’ora d’aria, è necessario fare i turni nel piccolo cortile che prima era destinato ai pochi tossicodipendenti. Ieri il Consiglio d’Europa ha stilato il rapporto 2012 sulle carceri: siamo secondi soltanto alla Serbia per tasso di sovraffollamento, (145 ristretti per 100 posti contro 160/100 dei Serbi). A Fuorni su una media di circa 500 tra uomini e donne ci sono 280 posti legali (fate un po’ voi i conti), tolti i 130 di Alta Sicurezza e le 48 donne, il resto sono tutti ammassati come agnelli sacrificali nella 1° sezione destinata ai cosiddetti Comuni, senza dimenticare poi la costante sempre più preoccupante e crescente percentuale da record dei detenuti in attesa di giudizio, quando la legge prescrive l’extrema ratio per la custodia cautelare . Lo stesso Presidente della Repubblica, dopo aver elencato tutta una serie di provvedimenti in tema di decarcerizzazione e depenalizzazione, ammonisce nel suo messaggio che “tutti i citati interventi - certamente condivisibili e di cui ritengo auspicabile la rapida definizione - appaiono parziali, in quanto inciderebbero verosimilmente pro futuro e non consentirebbero di raggiungere nei tempi dovuti il traguardo tassativamente prescritto dalla Corte europea. Ritengo perciò necessario intervenire nell’immediato con il ricorso a “rimedi straordinari". Dunque il Presidente indica Amnistia e Indulto non solo per interrompere i trattamenti inumani e degradanti nelle carceri, ma anche per accelerare i tempi della Giustizia perché anche la giustizia “ritardata" (come ci ricorda il buon Cesare Beccaria, è giustizia negata) abbiamo un pregresso ultratrentennale di condanne europee per la violazione dell’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti Umani, senza dimenticare per l’appunto i dieci milioni di carichi pendenti tra penale e civile, che sono un vero e proprio default della Giustizia e dello Stato di Diritto. Per il Presidente Napolitano: non c’è da perdere nemmeno un giorno. E, invece, sono passati anni, vite umane martirizzate a migliaia, mentre lì nelle carceri si continuano ad ascoltare le urla provocate da un dolore insopportabile in questi corpi e in queste anime. La sofferenza inflitta per mano dello Stato che fa una strage di leggi per il cui rispetto è obbligato, leggi riguardanti i Diritti Umani fondamentali, scritte nella Costituzione italiana, nella Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, nella Dichiarazione universale dei Diritti Umani. Questo Papa, Francesco, da un po’ ci esorta a riflettere evangelicamente sulle beatitudini, tra esse sicuramente rilevante: “Beati i perseguitati per causa della giustizia perché di essi è il regno dei cieli". Lettere: le poche ore d’aria… e le molte ore di "asfissia" nelle carceri e negli Opg di Mario Iannucci* Ristretti Orizzonti, 13 maggio 2013 Fa piacere leggere, ogni tanto, le parole di qualcuno che si indigna per la situazione attuale delle carceri italiane. Già: ogni tanto un consigliere regionale toscano si accorge delle "inumane" condizioni di vita dei nostri penitenziari (raccogliendo le motivazioni con le quali la London Royal Court of Justice ha negato l’estradizione in Italia di un paio di condannati); un senatore italiano, ora sindaco di Roma e che ancora prima si occupava di trapianti di fegato, si indigna per lo stato degli Opg; un Presidente della Repubblica si associa all’indignazione del senatore e dichiara ripetutamente che gli Opg vanno "chiusi subito"; il figlio di una delle vittime di Kabobo, il ghanese che un anno e mezzo fa uccise per strada tre passanti casuali a colpi di piccone, si indigna perché la condanna dell’uomo a 20 anni di pena e 3 anni di Casa di Cura e Custodia (l’Opg, per dirla in soldoni), gli sembra indegna di un paese civile; l’ex sindaco di Venezia, Massimo Cacciari, si indigna paragonando le carceri attuali del Paese ai manicomi dell’epoca pre-basagliana. Tutti si indignano e quasi nessuno sa di cosa sta parlando. Proviamo a mettere un pò di ordine. A partire dall’affermazione di Cacciari. Una affermazione (inconsapevolmente?) pertinente. Già: le carceri italiane di oggi sono proprio come i manicomi prebasagliani, nel senso che ammassano al loro interno un disagio psichico "maggiore" che dilaga in quantità e profondità. Basta leggere gli studi più seri sull’argomento, che documentano come nelle carceri sia ospitato almeno il 40% di soggetti che presentano turbe mentali serie e preoccupanti (compresa una cronica dipendenza da alcool o da sostanze). Le carceri attuali, come i manicomi prebasagliani, non possono che fornire soluzioni semplici e inadeguate, prevalentemente custodiali, a problemi di salute mentale molto complessi. Si può dunque pensare che sia "civile" (non voglio dire che non sia "disumano") il trattamento che riserviamo nelle nostre carceri a persone colpite da un disagio psichico tanto profondo? Occorre infatti pensare che nel carcere ordinario è ristretto anche Kabobo, che ha massacrato a colpi di piccone, mentre era in preda a un patente disagio psichico, tre incolpevoli passanti. E il carcere, se verranno seguite le "logiche" dei "comitati Stop-Opg", nel prossimo futuro ospiterà un numero crescente di persone colpite da gravi disturbi psichici e che presentano, al contempo, una lapalissiana pericolosità sociale. Tendiamo ad essere molto ipocriti e tendiamo, come si dice in Toscana, a cavare i ragni con le mani degli altri. Secondo il figlio di una delle vittime di Kabobo, quest’ultimo dovrebbe stare in carcere a vita (io, che sono contrario all’ergastolo, mi auguro che qualcuno non riesumi la pena di morte). Ma se in carcere, per avere detenuto una modica quantità di hashish, finisse un mio giovane parente, mi farebbe piacere che lo mettessero in compagnia di Kabobo? Michele Vietti, Vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura, in un articolo pubblicato di recente sul Corriere della Sera, dopo avere riconosciuto la fondatezza dei rilievi sui profondi mali dell’apparato giudiziario italiano, auspica che la riforma di questo apparato "si nutra, oltre che del censimento della realtà, anche dell’ineludibile esigenza della coerenza e della razionalità, come pure di un’adeguata preparazione tecnica". La mia opinione, ahimè fondata su un adeguato "censimento della realtà", è che nelle proposte di modifica dell’apparato giudiziario/penitenziario italiano vi sia così poca "coerenza e razionalità", così poca "preparazione tecnica", da rendere assolutamente pericolosa l’adozione di tali proposte. Nel settore del "superamento dell’Opg" ad esempio, quello sul quale posso dire di avere una discreta "competenza tecnica", l’incoerenza, l’irrazionalità e l’impreparazione tecnica si sprecano. Rendendo del tutto impraticabili e pericolose le "soluzioni" proposte. Sarà un caso che, a distanza di oltre due anni dalla promulgazione della legge sul "superamento dell’Opg", tale superamento lo si sia dovuto procrastinare almeno fino all’aprile del 2015? Ma all’arrivo di quella data, lo posso dire per certo a partire dalla mia competenza tecnica, molto poco sarà cambiato rispetto alla situazione attuale. Lo sa bene Vietti: se non muteranno in maniera sostanziale (e, auspico io, coerente e razionale) le norme dei codici -penale e di procedura- relative all’imputabilità del folle-reo e all’applicazione delle misure di sicurezza, non ci potrà mai essere alcun autentico "superamento degli Opg". Si farà finta di avere mutato qualcosa, si chiameranno Rems gli ex Opg, si ammasserà ancora di più la sofferenza psichica nelle carceri ordinarie, ma di sostanziale, relativamente a un trattamento più giusto e umano a tale sofferenza, non si sarà fatto alcunché. Su un altro punto sono d’accordo con Vietti: una commissione che indichi la strada per riformare il sistema giudiziario/penitenziario è assolutamente indispensabile, così come è indispensabile che tale commissione sia snella, lavori in tempi brevi e che sia composta da persone preparate tecnicamente e che adottino soluzioni coerenti e razionali. Su un ultimo punto, però, Vietti non mi trova d’accordo: finché tale commissione non sarà istituzionale, fino a quando cioè le istituzioni politiche (che promulgano le leggi) non si affideranno a persone competenti, che studino soluzioni efficaci a partire da esperienze che funzionano, ogni lavoro prodotto da qualsiasi commissione cadrà ineludibilmente nel vuoto. Un simpatico collega, come me psichiatra, amava ripetere che due lavori tutti gli italiani sono in grado di svolgere: il commissario tecnico della nazionale di calcio e lo psichiatra. Nel campo del "superamento degli Opg" mi chiedo se non sarebbe stato meglio affidarsi al commissario tecnico della nazionale di calcio. Lui, almeno, una competenza "tecnica" per definizione ce l’ha. *Psichiatra dell’Asf, Fondatore e Responsabile a Firenze della Residenza "Le Querce", alternativa all’OPg, per pazienti psichiatrici autori di reato. Umbria: d’intesa tra Ministero, Regione, Tribunale Sorveglianza Perugia e Anci regionale Ansa, 13 maggio 2013 Realizzare e promuovere misure alternative alla detenzione attraverso azioni orientate al reinserimento del detenuto nel tessuto sociale ed economico-produttivo della realtà esterna: è questa la finalità del protocollo d’intesa che ministero della Giustizia, Regione Umbria, Tribunale di sorveglianza di Perugia e Anci Umbria sottoscriveranno oggi, martedì 13 maggio 2014, alle ore 12, presso la sede del ministero, in Via Arenula, a Roma. Lo riferisce un comunicato della Regione. L’accordo - è detto nel comunicato - è il primo di una serie di intese analoghe che il ministero si appresta a siglare con Regioni ed enti locali e punta a migliorare le condizioni del sistema detentivo, sia dell’area penale interna che esterna, in vista di una più accurata integrazione con il territorio. Alla firma del protocollo d’intesa interverranno il titolare del dicastero della Giustizia, la presidenza della Regione Umbria, il presidente del Tribunale di sorveglianza di Perugia e il rappresentante dell’Anci Umbria. Roma: il Garante regionale Marroni; a Regina Coeli emergenza docce nella III Sezione Adnkronos, 13 maggio 2013 "A Regina Coeli sta diventando un vero e proprio problema la gestione delle docce nella terza sezione. Fra danni, malfunzionamenti e rotture all’impianto, decine di reclusi stanno incontrano difficoltà". È da qui che parte la denuncia contenuta in una lettera del Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni, il quale chiede un intervento immediato. "I servizi igienici - ha detto Marroni - oltre ad essere in numero inadeguato, rappresentano un serio problema igienico-sanitario perché in queste condizioni rischiano di diffondere malattie da contagio a tutta la popolazione detenuta. Una situazione, questa, aggravata ulteriormente dalla mancanza di prodotti per la pulizia degli ambienti. Il fatto che da anni l’acqua calda non arrivi in maniera adeguata ai piani superiori, costringe i detenuti a scendere al piano terra, sostando in accappatoio ai cancelli e creando problemi di ordine e sicurezza. È evidente che la situazione descritta è lesiva del diritto di ogni detenuto di vivere la detenzione nel rispetto delle normali regole igienico sanitarie". "Al secondo e terzo piano della sezione, le docce sono guaste e inagibili da tempo. Al primo piano, da due docce, prive di erogatori, l’acqua sgorga direttamente dal muro mentre una postazione è guasta e inagibile. Infine, al piano terra una doccia ha la cipolla non fissata, una con il solo erogatore ed una da dove l’acqua esce direttamente dal muro. Tutte le postazioni - spiega la nota - sono prive di miscelatori e per aprire e chiudere l’acqua i detenuti fanno ricorso ad ogni tipo di strumento (dalle forbicine agli spazzolini da denti). Le vaschette sono inoltre sprovviste di filtri e l’acqua che non defluisce costringe i detenuti a manovre rischiose per stare in bilico sui bordi". Viterbo: Mazzoli (Pd); grazie alle nuove norme i detenuti calano, anche a Mammagialla www.newtuscia.it, 13 maggio 2013 "Le misure adottate negli ultimi cinque mesi in Parlamento hanno contribuito a ridurre la media dei detenuti nelle carceri italiane, senza per questo allentare la vigilanza della Stato. Lo dimostrano i numeri: nel Paese da 67mila reclusi (dato dello scorso anno) siamo passati a 59mila (dato odierno). Anche a Mammagialla il trend è in discesa: circa un anno fa la popolazione carceraria a Viterbo era in media di 740 detenuti, attualmente oscilla fra i 670 e i 680". Lo ha detto Alessandro Mazzoli, deputato del Partito democratico, a margine della visita alla casa circondariale di Viterbo avvenuta nei giorni scorsi. "In questi mesi, il Parlamento ha discusso - spiega Mazzoli - una serie di norme in materia di giustizia e condizione carceraria. Tra le novità introdotte ci sono: maggiore possibilità per lo straniero di espirare la pena nel paese di origine; attenuazione degli effetti della recidiva; depenalizzazione di una serie di reati, pene detentive non carcerarie e meccanismi di probation (messa in prova) da estendere agli adulti; nuova normativa in materia di droghe e tossicodipendenza che ridefinisce la distinzione tra leggere e pesanti. Infine, è stata avviata la discussione sulla riduzione dell’area applicativa della custodia cautelare in carcere, che però deve terminare la sua fase legislativa in Senato". Si tratta di misure avviate dopo il messaggio alle Camere del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, dell’ ottobre scorso. "Questa serie di provvedimenti - chiarisce il deputato - fin qui ha prodotto un decremento della popolazione carceraria, anche a Viterbo. Quindici giorni fa erano presenti 666 detenuti, mentre oggi sono 688. Ma comunque la media è sotto i 700". Nello specifico, 125 sono rinchiusi in alta sicurezza, 49 nel 41bis, 41 sono detenuti protetti, 473 quelli comuni (tra regime di reclusione e circondariale). La sentenza europea cosiddetta Torreggiani impone, tra i requisiti per evitare la procedura di infrazione ai danni dell’Italia a causa del sovrappopolamento, che ciascun detenuto abbia a disposizione più di tre metri quadrati. Per Mammagialla, questo requisito è ampiamente rispettato: i reclusi vivono in superfici superiori a quattro metri quadrati. Tra i numeri più significativi, conseguenza delle nuove norme, c’è la trasformazione da detenzioni in carcere a esecuzioni domiciliari: a Mammagialla hanno presentato domanda in 438, ne sono state accolte ed eseguite 142. Per la liberazione anticipata speciale, relativa a buona condotta e aumento dei premi introdotti, sono state presentate 268 richieste, ne hanno beneficiato in 16. "Naturalmente - specifica Mazzoli - questa è una tendenza ottenuta non a danno della sicurezza dei cittadini ma con meccanismi normativi che mantengono ferma la vigilanza e forte il presidio dello Stato, rendendo al contempo più efficienti alcune misure e riorganizzando le strutture carcerarie. Continueremo a seguire da vicino la vicenda sia in Parlamento sia in relazione al carcere di Viterbo, vedendo cosa accadrà il 28 maggio, quando Bruxelles valuterà se aprire o meno la procedura di infrazione contro l’Italia. C’è molto da fare, e per farlo serve la collaborazione tra istituzioni". "Questo trend positivo - conclude Mazzoli - non significa che manchino i problemi: il lavoro da fare è molto, e infatti l’impegno della direzione del carcere, d’intesa col dipartimento regionale, è costante. Siamo vicini al personale del carcere che ha sempre dimostrato grande professionalità, nonostante le difficoltà , e proseguiremo il nostro impegno per rendere le loro condizioni di lavoro più accettabili". Teramo: detenuto colpito da sgabellata esce dal coma, al via trasferimenti da Castrogno www.certastampa.it, 13 maggio 2013 È uscito dal coma ma resta in terapia intensiva al Mazzini di Teramo, Palladino Spallieri, il detenuto 27enne finito in Rianimazione il 6 maggio scorso dopo una rissa violentissima scoppiata nel carcere di Castrogno a Teramo. Il giovane detenuto della sezione Alta Sicurezza era stato aggredito furiosamente e colpito alla testa con uno sgabello, nel corso di una rissa che, stando a quanto confermato dalle primissimi indagini, sarebbe da interpretare come una "spedizione punitiva": un regolamento di conti, vero e proprio, interno a Castrogno tra un gruppo di detenuti appartenenti ad opposti clan camorristici del Casertano. Spallieri, di Maddaloni, avrebbe infranto alcuni codici comportamentali tacitamente validi all’interno della sezione che ospita detenuti condannati a scontare pene per reati per associazione a delinquere di stampo mafioso-camorristico,e non solo. Dopo un primissimo intervento chirurgico d’urgenza alla testa per rimuovere l’ematoma provocatogli dalla sgabellata, le condizioni del giovane detenuto casertano sono andate via via migliorando: è uscito dal coma e, come accordato dal direttore del penitenziario teramano Stefano Liberatore, ha potuto ricevere la visita dei familiari che sono arrivati a Teramo già nella serata del 6 maggio scorso, giorno della rissa a Castrogno. Come gli altri sei protagonisti della rissa, anche Palladino Spallieri è indagato per concorso in rissa aggravata. È stato identificato subito G.I., l’altro detenuto dell’Alta Sicurezza che avrebbe materialmente sferrato il violentissimo colpo alla testa di Spallieri, spedendolo in coma. In questo caso, fatte salve le ulteriori indagini in corso da parte della Squadra Mobile delegata dalla Procura teramana, non si esclude che il reato della rissa aggravata contestato anche all’aggressore materiale non si tramuti nell’accusa di tentativo di omicidio. Ma su questo vige il massimo riserbo. Intanto, la Commissione di Disciplina del carcere sta valutando quali e quanti eventuali provvedimenti di trasferimento emettere a carico dei 7 detenuti coinvolti nella rissa di inizio mese. Teramo: accordo tra l’Asl e l’Ufficio di servizio sociale per la riabilitazione dei minorenni Ansa, 13 maggio 2013 È stato firmato l’accordo operativo tra l’Azienda sanitaria locale di Teramo e l’Ufficio di servizio sociale per i minorenni dell’Aquila per l’assistenza ai minori in carico alla giustizia minorile. Il percorso offerto dal Servizio permette che la riabilitazione del minore venga effettuata attraverso le strutture territoriali riducendo significativamente il numero di minori destinati alla detenzione in carcere minorile, e inoltre, rappresenta opera di prevenzione della recidiva dei reati in età adulta. Di norma sono minori o giovani residenti nella provincia teramana, ma vengono assistiti anche minori di altre province o regioni che per ragioni penali sono in carico a servizi che operano nella provincia di Teramo. L’accordo operativo rappresenta un significativo passo in avanti nella direzione tracciata dalla riforma della Sanità Penitenziaria e rafforza e consolida la sinergia di lavoro tra procura della Repubblica, tribunale per i minorenni, Servizi sociali della Giustizia e Servizio psicologico dell’Unità operativa di medicina penitenziaria della Asl di Teramo. Siena: insegnanti da tutta Europa, per confronto sull’istruzione nelle carceri fino a sabato Agi, 13 maggio 2013 Da ieri fino al 17 maggio insegnanti di tutta Europa si confronteranno sull’istruzione in carcere a Poggibonsi ospiti dell’istituti comprensivo 1 di Poggibonsi (Siena). Una iniziativa che si inquadra nel progetto europeo Grundtvig "2nd Chance" a cui l’istituto scolastico senese ha aderito. Un progetto che riguarda tutto l’arco dell’istruzione scolastica in carcere, a partire dall’alfabetizzazione linguistica fino a termine degli studi secondari di I grado, e che offre l’opportunità agli insegnanti di confrontarsi con colleghi di vari paesi europei sui percorsi e le modalità di insegnamento in tale realtà. Oltre a dibattere i docenti visiteranno i carceri del territorio a partire da quello di Ranza nel comune di San Gimignano. Santa Maria Capua Vetere (Ce): giovedì lo scrittore Francesco Piccolo incontra i detenuti www.interno18.it, 13 maggio 2013 Sessanta scrittori, noti al grande pubblico, metteranno a disposizione il proprio tempo e il proprio sapere per dialogare con i detenuti. È la Settimana Nazionale della Letteratura in Carcere, promossa dal Ministro della Giustizia Andrea Orlando per dare visibilità e concretezza alle tante esperienze che, in tempi e modi diversi, si svolgono nelle carceri italiane e al rapporto tra carcere e cultura. Gli scrittori che hanno aderito all’iniziativa daranno vita ad un progetto di grande visibilità sui percorsi risocializzanti dei detenuti, incentrati sull’importanza della lettura e della cultura in un momento particolarmente critico per il mondo carcerario. Sessanta autori che saranno impegnati in una serie di incontri in cui illustreranno ai detenuti le loro opere, il loro modo di scrivere, il genere letterario a cui si ispirano o più semplicemente presenteranno un capolavoro della storia della letteratura a cui sono molto legati. Inoltre, raccoglieranno e faranno proprie le impressioni vissute nel corso di questi incontri, trasformandole in un racconto corale da scrivere insieme ai detenuti che sarà poi pubblicato nel sito del Ministero della Giustizia. L’iniziativa rientra fra le "attività trattamentali" che il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria intende rilanciare grazie a interventi tesi a formare o a consolidare nei detenuti quelle attitudini utili ai fini del loro reinserimento nella società civile. Nell’ambito del progetto, lo scrittore Francesco Piccolo incontrerà le persone detenute nel carcere di Santa Maria Capua Vetere il 15 maggio 2014 alle ore 11.00, per parlare di "Scrivere di sé". Milano: "Prova a sollevarti dal suolo", a Opera Festival di teatro per pubblico esterno Ansa, 13 maggio 2013 Si apre giovedì 15 maggio con lo spettacolo "Potevo essere io" di Renata Ciaravino il Festival di prosa "Prova a sollevarti dal suolo", che si tiene nel teatro del carcere di Milano-Opera. La Direzione della Casa di Reclusione, in collaborazione con l’Associazione Opera Liquida, apre infatti anche al pubblico esterno la sala teatrale da 350 posti all’interno del carcere di massima sicurezza. Il primo evento dello Stabile in Opera è il Festival in collaborazione con il Teatro della Luna, che vede in cartellone "I.P, identità precarie" di Ilinx Teatro con la drammaturgia della giovanissima Amanda Spernicelli (22 maggio), la compagnia Eco di Fondo con "Nato Ieri" per la regia di Giacomo Ferrau il 29 maggio. Il Festival si concluderà invece il 4 e 5 giugno presso i Frigoriferi Milanesi, con la produzione di Opera Liquida "Ma i sogni li ho presi?" di Roger Mazzaro, attore ex detenuto che sarà in scena con Maria Rosa Criniti per la regia e la drammaturgia di Ivana Trettel e le narrazioni video della Milano Scuola di Cinema e Televisione, che ha iniziato quest’anno la collaborazione con la compagnia. La Rassegna è patrocinata dal Ministero della Giustizia Dipartimento dell’amministrazione Penitenziaria Provveditorato regionale per le Lombardia Direzione Casa di Reclusione Milano-Opera. Firenze: "Partita del cuore 2014", Sottosegretario Ferri e Nazionale cantanti a Sollicciano Adnkronos, 13 maggio 2013 Oggi una delegazione della Nazionale cantanti e il sottosegretario alla Giustizia Cosimo Maria Ferri, saranno dalle 10 nell’Istituto penitenziario di Sollicciano, a Firenze in vista dell’evento "la partita del cuore 2014". É quanto si legge in una nota di Ferri. L’iniziativa vuole rappresentare un importante momento per i detenuti di sentirsi parte di una manifestazione di livello nazionale volta a puntare i riflettori su tematiche di grande rilievo sociale, in un’ottica di sensibilizzazione verso la cura degli interessi dei più deboli e dei meno fortunati. La visita all’istituto di pena rappresenta anche un’importante occasione fornendo ai rappresentanti della Nazionale cantanti la possibilità di portare un messaggio di speranza e di vicinanza in un’ottica di rieducazione del reo. Cremona: Sappe; Polizia penitenziaria sventa introduzione telefono cellulare in carcere Ansa, 13 maggio 2013 Hanno tentato di introdurre un telefono cellulare (completo di carica batteria e sim-card funzionante) in carcere a Cremona ma l’attenzione degli appartenenti alla Polizia Penitenziaria lo ha impedito. È accaduto alcuni giorni fa e a darne notizia è il segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe Donato Capece. "Il rinvenimento è avvenuto con le analoghe modalità delle volte precedenti: ovvero lo si è occultato in oggetti (in questo caso, un paio di scarpe da ginnastica) contenuti in un pacco postale indirizzato a un detenuto, con posizione giuridica definitivo e di nazionalità italiana. Lo scrupolo e l’attenzione dei poliziotti addetti ai controlli ha immediatamente rilevato l’anomalia e sono ora in corso le indagini per risalire al vero mittente del pacco", aggiunge il leader dei Baschi Azzurri del Sappe. "È un episodio inquietante, essendo il terzo caso in altrettanti mesi: un arco temporale assai ristretto. Tali situazioni dovrebbero far riflettere la nostra Amministrazione circa la vulnerabilità del nostro sistema penitenziario: eppure, poco o nulla viene fatto dal Dap, il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. Basti pensare ad alcune soluzioni rapide ed efficaci, come la possibilità di schermare gli istituti penitenziari per neutralizzare la possibilità di utilizzo di qualsiasi mezzo di comunicazione non consentito e la possibilità di dotare tutti i reparti di Polizia Penitenziaria di appositi rilevatori di telefoni cellulari per ristabilire serenità lavorativa ed efficienza istituzionale, anche attraverso adeguati ed urgenti stanziamenti finanziari, vengono trascurati dall’attuale dirigenza del DAP". A tal proposito il primo Sindacato della Polizia Penitenziaria annuncia che il prossimo 20 maggio scenderà in piazza a Roma per chiedere di avere un nuovo Capo della Polizia Penitenziaria e nuovi vertici al Dap: "Saremo sotto il Dipartimento per manifestare contro il capo dipartimento e questa politica assurda che anziché mettere mano a delle riforme del mondo penitenziario del carcere e rendere le carceri vivibili, si nasconde dietro un dito. È necessaria una rivoluzione pacifica del carcere - ha concluso Capece - andando ad individuare, attraverso delle riforme strutturali, un carcere che sia più vivibile sia per coloro che sono ristretti sia per gli stessi detenuti". Droghe: "Napolitano non firmi quella legge…", appello della Comunità di San Patrignano di Alessandra Arachi Corriere della Sera, 13 maggio 2013 Hanno preso carta e penna per scrivere a Giorgio Napolitano. I responsabili della Comunità di San Patrignano hanno chiesto ieri al presidente della Repubblica di non firmare per promulgare la legge numero 36, quella sulle droghe. Che ancora aspetta il via definitivo del Senato. È stata infatti approvata soltanto dalla Camera questa nuova legge sulle droghe che è diventata necessaria dopo che la Corte Costituzionale aveva bocciato la precedente, la cosiddetta Fini-Giovanardi. Ma questo nuovo testo non convince i responsabili della Comunità di recupero per tossicodipendenti di San Patrignano. Per questo scrivono al Capo dello Stato: "Gentile presidente siamo molto preoccupati per la recente approvazione alla Camera del decreto numero 36. Due aspetti di questa legge, in particolare, ci inquietano: l’inserimento della cannabis geneticamente modificata fra le cosiddette droghe leggere e la sostanziale depenalizzazione dello spaccio, in primis della cannabis e poi di tutte le altre sostanze". Con la nuova legge delle droghe vengono ripristinate le tabelle, quelle che distinguono le sostanze stupefacenti in leggere e pesanti. Quelle tabelle da sempre dividono i medici e gli esperti e che anche nell’ultimo dibattito hanno diviso i tossicologi, gli psichiatri e le Comunità terapeutiche. Secondo San Patrignano "la nuova legge sottovaluta i gravi danni provocati dalla cannabis, in particolare della sua versione geneticamente modificata, che presenta un principio attivo fino a 25 volte superiore rispetto a quella naturale". Insieme alla Comunità di San Patrignano ci sono anche altre strutture di recupero per tossicodipendenti. Ma contro San Patrignano e in favore del la nuova legge c’è in prima linea il Cnca, il Coordinamento nazionale delle comunità di accoglienza che raggruppa circa 200 strutture in tutta Italia. Spiega Don Armando Zappolini, presidente del Cnca: "Questa legge è un primo passo verso un nuovo modo di trattare la dipendenza dalle droghe. In questi anni con la Fini-Giovanardi siamo stati umiliati da un approccio che ha criminalizzato i tossicodipendenti e si è cavalcata la paura, come si è fatto con l’immigrazione. Non si può dire che le droghe sono tutte uguali, non si può riempire il carcere di tossicodipendenti". Accanto a San Patrignano alcune altre comunità. Come Mondo Nuovo di Civitavecchia. Dice infatti Alessandro Diostasi, responsabile della Comunità: "La divisione delle tabelle per le droghe è una grande stupidaggine. Oggi i ragazzini cominciano a fumare le canne a dodici anni e i semi di marjuana sono tutti Ogm. Non ha alcun senso definire per legge droghe leggere e pesanti". Simone Feder dirige la Casa del giovane di Pavia, una struttura di trenta letti tutti dedicati ai ragazzi di 18 anni. Spiega: "Ho fuori dalla porta due minori di 15 anni che fanno uso di cannabis e vorrei farveli vedere per capire. La cannabis è un esordio psichico. Dobbiamo dirlo chiaramente: la droga fa male, qualsiasi tipo di droga". Cina: "liberate Liu Xiaobo… per gli affari", l’appello dei principini rossi al partito di Giampaolo Visetti La Repubblica, 13 maggio 2013 "Liberate Liu Xiaobo". A sorpresa l’invito a porre fine alla detenzione del premio Nobel per la pace, simbolo del dissenso cinese, non arriva dalla comunità internazionale. Fonti riservate rivelano che nelle ultime ore è partito da un gruppo influente di "principini rossi", figli dell’élite del partito comunista. A poche settimane dal 25° anniversario della tragica repressione in piazza Tienanmen, i rampolli più in vista dei dirigenti di Pechino non hanno chiesto un atto di clemenza nel nome di una distensione democratica, ma per ragioni di business. Costringere Liu Xiaobo in carcere e sua moglie Liu Xia agli arresti domiciliari, secondo i pragmatici "principini", danneggia l’immagine globale della Cina e costa "milioni di dollari di contratti mancati". Non è noto se l’inedita "petizione politica dall’alto" sia stata presentata sotto forma di lettera, o solo oralmente. Ignoti anche i nomi dei promotori, tutti appartenenti alla seconda e alla terza generazione dei "principini", nati tra il 1960 e il 1970 e vicini al presidente Xi Jinping. Alti dirigenti del partito confermano che l’improvviso pressing e il fatto che la notizia sia filtrata attraverso le maglie della censura, rivelano come dentro il politburo il dibattito sulla liberazione di Liu Xiaobo, condannato a 11 anni per aver promosso "Charta 08", stia spaccando le fazioni del potere. Gli eredi dell’oligarchia rossa, reduci da studi all’estero, non concordano più con la repressione dei padri e degli zii. Sono giovani, istruiti e ricchi, hanno più interessi in Occidente che in patria e temono che l’eventuale morte di Liu Xiaobo in una cella della Manciuria, o un gesto disperato di sua moglie, possa ripercuotersi sui loro patrimoni. Israele: Shin Bet sventa piano per rapimento militare israeliano per scambio prigionieri Nova, 13 maggio 2013 La polizia penitenziaria israeliana e il servizio di sicurezza dello Shin Bet, la principale agenzia d’intelligence israeliana per gli affari interni, hanno sventato il piano di alcuni prigionieri palestinesi che prevedeva il rapimento in Cisgiordania di un militare israeliano come merce di scambio per ottenere il loro rilascio. I sospetti, detenuti per reati contro la sicurezza, sono stati interrogati dallo Shin Bet e portati nel tribunale militare di Salem, vicino alla città di Jenin in Cisgiordania. Secondo i servizi di sicurezza, a marzo e aprile, l’agenzia ha ottenuto informazioni riservate secondo le quali Abd al-Rahman Uthman, che sta scontando una condanna all’ergastolo per un attentato nel 2006, e il suo complice, Assam Zin al Din, stavano progettando questo piano insieme a un terzo prigioniero, di nome Abd al Haq. Siria: accordo fra ribelli e regime su scambio prigionieri, saranno liberate 1.500 famiglie Tm News, 13 maggio 2013 Un accordo fra il governo siriano e i ribelli su uno scambio di prigionieri è stato raggiunto nella regione di Damasco. Lo ha annunciato il quotidiano filo governativo al Watan sottolineando che potrebbe essere implementato in un futuro non lontano. L’accordo prevede la liberazione di famiglie detenute dai ribelli nella città operaia di Adra, località favorevole al presidente Bashar al Assad di 20.000 abitanti situata 35 chilometri a nord est di Damasco e assediata dall’esercito, in cambio dell’ingresso di viveri nella città, sempre secondo il giornale. La popolazione soffre di grave malnutrizione e manca di farmaci. "Oggi, un bambino è morto di fame. La situazione è drammatica", ha spiegato all’Afp Abu Barra, militante della città contattato via internet. "Un chilo di riso costa 8 dollari", ha aggiunto. In cambio dei viveri e della liberazione di oppositori detenuti nelle carceri governative, 1.500 famiglie tenute prigionieri dai ribelli a Adra saranno liberate, secondo al Watan. In un primo momento e in segno di buona volontà "una famiglia di otto persone sarà rilasciata in cambio di prodotti alimentari per i civili a Adra", si apprende dalla stessa fonte. Nigeria: Boko Haram chiede scambio prigionieri con ragazze rapite, ma governo rifiuta La Presse, 13 maggio 2013 Un video diffuso da Boko Haram mostra un centinaio di studentesse rapite il 15 aprile in Nigeria e il leader del gruppo estremista, Abubakar Shekau, che annuncia saranno trattenute sino a quando i militanti detenuti non saranno liberati. Nel filmato di 17 minuti, ottenuto dall’agenzia Afp e diffuso dai media internazionali, si vedono le ragazze recitare in coro, in quella che viene detta essere una preghiera perché si sarebbero convertite all’islam. Tre delle giovani, con indosso un velo che lascia visibile solo il volto, parlano davanti alla telecamera della conversione. "Dite che queste ragazze sono tenute prigioniere, invece le abbiamo liberate: sono diventate musulmane", afferma Abubakar Shekau. Governo respinge richieste scambio prigionieri Il governo nigeriano ha respinto le richieste del gruppo Boko Haram per il rilascio delle oltre 200 ragazze rapite. "Boko Haram non può porre condizioni", ha detto il ministro dell’Interno, Abba Moro, commentando il video con cui il leader dei ribelli Abubakar Shekau ha proposto uno scambio con alcuni prigionieri del suo gruppo detenuti in Nigeria.