Giustizia: Consiglio Europa prende atto di lettera Radicali che contesta dati Governo Ansa, 10 maggio 2014 Il Comitato dei ministri del Consiglio d''Europa ha pubblicato sul suo sito la lettera inviata dai Radicali in aprile, in cui gli stessi contestano le informazioni fornite dal governo sulla risoluzione del problema del sovraffollamento nelle carceri. Una questione che l''Italia deve riuscire a risolvere entro la fine di maggio, come indicato dalla sentenza Torreggiani, emessa dalla Corte europea dei diritti umani un anno fa. Nella lettera che è ora a disposizione, come documento ufficiale, di tutti i paesi membri del Consiglio d'Europa, e del dipartimento che si occupa di valutare come gli Stati eseguono le sentenze della Corte di Strasburgo, è sottolineato che i Radicali "ritengono che la situazione nelle prigioni italiane non sia cambiata nell'ultimo anno", e "che non esiste alcuna prospettiva realistica che la questione del sovraffollamento possa essere risolta entro il 28 maggio prossimo". I radicali contestano tra l'altro i dati forniti dal governo sulla capacità legale delle prigioni italiane. Giustizia: la galera non serve, per i giovani occorrono risposte educative e sociali Famiglia Cristiana, 10 maggio 2014 "Non possiamo utilizzare la repressione e gli strumenti penali come risposta a problemi che hanno bisogno di risposte educative e sociali", afferma don Armando Zappolini, presidente del Cnca, Coordinamento nazionale comunità d’accoglienza, "in questi anni la legge Fini-Giovanardi ha avuto un approccio ideologico nei confronti della tossicodipendenza provocando danni enormi". "Sia benedetto il ripristino della distinzione tra droghe leggere e droghe pesanti che prefigura un ritorno alla normalità ma la bocciatura della Fini-Giovanardi da parte della Corte Costituzionale è stata positiva perché si trattava di una legge espressione di un approccio solo punitivo verso il consumo delle sostanze che non ha portato nessun vantaggio dal punto di vista della prevenzione". Don Armando Zappolini, presidente del Cnca, Coordinamento nazionale comunità d’accoglienza, commenta così il dibattito al Senato sul decreto legge sulle tossicodipendenze dopo l’approvazione alla Camera il 29 aprile scorso. E sulla scelta del senatore Carlo Giovanardi come relatore a Palazzo madama sul provvedimento di conversione della legge ha commentato: "Siamo stupefatti. Al principale responsabile del fallimento italiano nel campo delle droghe, ispiratore tramite il Dipartimento politiche antidroga del blocco del sistema dei servizi per le tossicodipendenze, viene ora affidato un ruolo cruciale nella revisione della legge che porta il suo nome". C’è chi dice che aver reintrodotto la distinzione tra leggere e pesanti è un segnale negativo per la lotta alla droga. Concorda? "Con il proibizionismo non si risolve nulla. È inammissibile rispondere con il carcere al fallimento educativo dello Stato e degli adulti. Questo non vuol dire che vanno legalizzate le droghe leggere, si tratta di sostanze che fanno male. Né significa che drogarsi non è pericoloso ma i danni che ha fatto in questi anni quest’approccio fideistico, ideologico e punitivo nei confronti della tossicodipendenza sono pesanti e sarà difficile uscirne fuori in poco tempo. Ripeto: reprimere il consumo soltanto con l’azione penale non mi sembra efficace". Quindi cosa bisogna fare? "Affrontare il problema come è giusto affrontarlo, cioè dal punto di vista educativo e della prevenzione e tenendo conto della realtà concreta. C’è un’ipocrisia evidente da parte di uno Stato che promuove ad esempio il gioco d’azzardo e poi sbatte in carcere le persone che vivono il disagio di un rapporto sbagliato con una sostanza". Secondo lei c’è bisogno di una nuova legge quadro? "Intanto si dovrebbero ricreare le condizioni perché il sistema possa funzionare. Attivare il dipartimento antidroga, tornare alle politiche di prevenzione, vivacizzare il rapporto tra regioni e Stato su queste questioni che è stato messo in stand-by. Ritorniamo alla normalità, l’obiettivo è quello di sempre: affrontare il problema delle droghe con una visione più attenta alle persone e alla proposta educativa, a cominciare dalla scuole. Non usiamo il penale come risposta a problemi che hanno bisogno invece di risposte educative e sociali, questo è il punto. E poi guardiamoci cosa succede nel mondo: nei Paesi dove c’è stato meno proibizionismo non c’è stato un boom di consumo di sostanze né il cataclisma dipinto da questi profeti di sventura come il senatore Giovanardi. L’approccio ideologico non serve e peggiora il problema". Giustizia: Cassazione; niente ergastolo quando il giudizio è abbreviato di Enrico Bronzo Il Sole 24 Ore, 10 maggio 2014 Con la Sentenza n. 18821 depositata giovedì (23 pagine con annullamento senza rinvio dell’ordinanza impugnata), le Sezioni unite penali della Corte di cassazione hanno escluso l’applicabilità dell’ergastolo in seguito al giudizio abbreviato, legittimando il giudice a sostituirlo con 30 anni di reclusione. I fatti: nel 1998 la Corte di assise di Catania ha condannato all’ergastolo, con isolamento diurno, l’autore di due omicidi volontari. Poi, durante il processo d’appello, era entrata in vigore la legge 479/99, con la norma più favorevole all’imputato (i 30 anni al posto dell’ergastolo). Successivamente, il Dl 341/2000 (poi legge 4/2001) aveva ammesso la riduzione a 30 anni solo nei casi in cui la condanna non prevedesse anche l’isolamento diurno, presente invece nel caso specifico. Ma questa disciplina più rigorosa veniva dichiarata incostituzionale dalla sentenza 210/2013 per contrasto con l’articolo 117, comma 1, della Costituzione. A questa decisione si rifanno ora le sezioni unite. La Corte costituzionale aveva soprattutto considerato il fatto che la normativa non fosse conforme al principio di legalità convenzionale disciplinato dall’articolo 7 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Cedu), pilastro giuridico della sentenza Cedu 17/09/2009 - nota come sentenza Scoppola - sulla bocciatura dell’ergastolo con effetto "retroattivo". Giustizia: la libertà è un libro, così la letteratura per una settimana supera le sbarre di Angela Torrazza La Repubblica, 10 maggio 2014 Raccontare il mare, i viaggi, ma anche la capacità di guardarsi dentro, quella che in carcere è forse l’attività più facile da svolgere, visto che il tempo è tanto, e la solitudine altrettanto, anche se magari sei in una cella affollata. E se è vero che spesso il carcere porta a mettere nero su bianco la propria esperienza e i propri sentimenti, non sono mai abbastanza i momenti in cui un detenuto può "evadere" attraverso le pagine di un libro. O magari, specialmente se è straniero, imparare meglio la lingua, mettersi a studiare. La prossima settimana non saranno i libri, ma gli scrittori ad entrare nelle carceri italiane. Ci sono Valerio Massimo Manfredi e Gianrico Carofiglio, Marcello Fois e Aldo Cazzullo, Marta Morazzoni e Francesco Piccolo, Romana Petri e Marco Vichi: per 65 autori italiani, infatti, dal 12 al 17 maggio si apriranno le porte di altrettante prigioni italiane, per un incontro con i detenuti e le detenute. Loro, gli scrittori, parleranno dei loro libri e anche del come si scrive o - fondamentale - come si legge; dall’altra parte, la possibilità di chiedere, di confrontarsi. E poi, chissà. "È un’iniziativa nata tutta La Spezia, a pensarci bene" premette Marco Ferrari, scrittore e giornalista spezzino che ha coordinato l’organizzazione dell’iniziativa insieme allo staff del guardasigilli Andrea Orlando, spezzino pure lui. Si parte dalla necessità di insistere sulle pratiche di umanizzazione del mondo carcerario italiano, anche a fronte delle procedure d’infrazione avviate della Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo nei confronti dell’Italia. "Abbiamo cominciato con gli scrittori, considerando anche quanto tra i detenuti sia diffusa la necessità di usare la parola, nel leggere nello scrivere, come una difesa di sé - aggiunge Ferrari. E un incontro con gli scrittori può essere anche importante per il processo di rieducazione dei detenuti. Sia chiaro: è un’iniziativa a costo zero, tutti gli scrittori si pagano il viaggio, il treno, la benzina, l’autobus, la metropolitana. Così come è totalmente gratuita per lo stato la progettualità e l’organizzazione della settimana". La Settimana della Letteratura in carcere coinvolge 65 delle circa 150 carceri italiane. "È la prima edizione, ce ne saranno altre e vorremmo coinvolgere anche altre categorie di persone: dal mondo dello spettacolo a quello dello sport" avverte Marco Ferrari. In Liguria le carceri coinvolte sono cinque - sei se si considera Massa, che fa parte della giurisdizione ligure - con partecipazioni e temi diversi. A Marassi, vista la popolazione carceraria elevata, sono due gli incontri, con Carlo Martigli (autore dei romanzi storici L’ultimo custode e de L’Eretico) che il 14 maggio parlerà di "Inganni. Le bugie della storia") mentre Claudia Priano (Il cuore innanzitutto il suo ultimo titolo) il giorno seguente parlerà di come si va "in viaggio con i libri". Al carcere femminile di Pontedecimo Donatella Alfonso, giornalista di Repubblica, parlerà del suo ultimo libro Fischia il vento, raccontando storie di Resistenza (venerdì 16). E se il romanziere spezzino Marco Buticchi entrerà nel carcere della città dell’estremo levante (lunedì 12) raccontando "Come si costruisce un romanzo d’avventura" (il suo ultimo titolo è La stella di pietra), lo stesso giorno a Sanremo sarà lo scrittore e saggista Giuseppe Conte a proporre un tema provocatorio: "A cosa serve ancora leggere e scrivere libri". Nel carcere di Massa, infine, sarà proprio Marco Ferrari, grande narratore di storie di mare e di avventura (I sogni di Tristan, le nuvole di Timor, Alla rivoluzione su una due cavalli), a parlare su "Storie di mare: viaggi veri e viaggi immaginari). E poi, chissà quante altre storie nasceranno. Al via settimana lettura in carcere: 65 scrittori con detenuti (Tm News) Al via la Settimana Nazionale della Letteratura in Carcere. Da lunedì 12 a sabato 17 maggio, sessantacinque scrittori entreranno nelle carceri italiane per dialogare con le persone detenute sull’importanza della lettura, sui generi letterari, sulla scrittura autobiografica e sui grandi temi dell’esistenza. Il progetto, promosso dal Ministro della Giustizia Andrea Orlando, intende dare visibilità e concretezza alle tantissime esperienze di lettura e di scrittura che si realizzano in tutte le carceri, valorizzando il ruolo della cultura nei percorsi di risocializzazione attivati a favore dei detenuti. Agli scrittori che hanno aderito con entusiasmo all’invito e alle direzioni degli istituti penitenziari che hanno attivamente collaborato nel dare ospitalità all’evento va il ringraziamento del Ministro Orlando e dell’Amministrazione Penitenziaria. Giustizia: l’ex ministro Scajola non risponde al giudice e resta detenuto a Regina Coeli di Carlo Macrì Corriere della Sera, 10 maggio 2014 Una notte insonne, in isolamento, a ricordare dettagli e circostanze per difendersi dall’accusa contestata dalla Procura di Reggio Calabria di aver favorito la latitanza di Amedeo Matacena, ex deputato di Forza Italia, condannato in via definitiva a cinque anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa. Claudio Scajola ex ministro dell’Interno, si era preparato a rispondere al Gip, ieri pomeriggio, nell’interrogatorio di garanzia, ma il suo legale Giorgio Perroni l’ha frenato e consigliato di "avvalersi della facoltà di non rispondere". Perché, ha spiegato il legale, "è necessario fare un interrogatorio più completo e preciso la prossima settimana, non avendo avuto modo di parlare con il mio assistito e perché ci sono 38 faldoni da studiare". E deve essere stata dura convincere l’ex ministro vista la voglia di parlare, "sono tranquillo e riuscirò a chiarire tutto". Per i magistrati di Reggio Calabria c’è poco da chiarire. Ieri Silvio Berlusconi ha detto che "è assurdo e umiliante mettere in carcere una persona che ha fatto il ministro dell’Interno solo perché ha aiutato a trasferire un amico latitante". La Procura di Reggio Calabria la pensa in maniera diversa, tant’è che ha deciso di presentare ricorso al Tribunale del Riesame contro la decisione del Gip di rigettare l’aggravante dell’articolo 7, per aver favorito un’associazione mafiosa. Scajola - secondo il ragionamento della Procura reggina - favorendo la latitanza di Matacena avrebbe messo in atto una serie di comportamenti che avrebbero dovuto, nelle intenzioni, mascherare società e conti che altrimenti potevano essere sottoposti a sequestro". Un passaggio che il procuratore Cafiero de Raho considera determinante perché "ipotizza che le società di Matacena siano state utilizzate dalla ‘ndrangheta per arrivare ai salotti dell’alta finanza". Ieri Amedeo Matacena tramite il suo avvocato Enzo Caccavari ha detto di essere "fiducioso nell’operato della magistratura" e di "riuscire a dimostrare la mia innocenza". Il Gip Olga Tarzia scrive che Claudio Scajola si "è messo a disposizione" di Chiara Rizzo, moglie dell’armatore Matacena. I primi contatti telefonici tra i due risalgono al 2 agosto 2013. Scajola e Rizzo usano parole in codice per discutere di come spostare dagli Emirati Arabi al Libano il latitante Matacena. "C’era il timore che venisse emessa la sentenza nel procedimento pendente a Dubai, cui sarebbe potuta conseguire l’espulsione da quel Paese, con il rischio di essere tratto in arresto e trasferito in Italia", scrive il gip Olga Tarzia. Nel linguaggio criptico Amedeo Matacena è la "mamma". Scajola tranquillizza Chiara Rizzo riferendole di avere "contatti con un ministro in carico in quello Stato" (Libano). La Dia ha documentato che Claudio Scajola poteva contare sull’aiuto di Vincenzo Speziali, un calabrese residente a Beirut sposato con la nipote di Amin Gemayel, ex presidente del Libano. Giustizia: caso Dell’Utri; la Cassazione conferma la condanna, c’è ordine di carcerazione di Giovanni Bianconi Corriere della Sera, 10 maggio 2014 Ricorso rigettato, sentenza definitiva, condanna confermata. L’ex senatore Marcello Dell’Utri, braccio destro di Silvio Berlusconi prima nelle imprese edilizie e televisive e poi in quella politica, co-fondatore di Forza Italia, deve scontare sette anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa. Per quasi un ventennio, dal 1974 al 1992, è stato il mediatore e il garante di un accordo tra i boss di Cosa nostra e il suo capo, Berlusconi appunto, che ha portato soldi ai primi e protezione al secondo. Così ha stabilito ieri sera la quinta sezione penale della corte di Cassazione, pochi minuti prima delle 22, nella semioscurità del "palazzaccio" di piazza Cavour e nella stessa aula in cui fu pronunciata, quasi un anno fa, la condanna definitiva dell’ex presidente del Consiglio. Ora è toccato a uno dei suoi principali collaboratori, che però non era presente ma piantonato in una stanza d’ospedale di Beirut, dov’è stato arrestato il 12 aprile su richiesta italiana. Il ministero della Giustizia aveva già presentato la domanda di estradizione, ma ora cambierà il titolo della richiesta: una consegna non più per eseguire una "misura cautelare" di tipo preventivo, bensì per un ordine di carcerazione già emesso ieri sera dalla Procura generale di Palermo per dare corso a una condanna definitiva. Stamattina gli uffici del Guardasigilli invieranno la missiva con l’aggiornamento della situazione a Beirut, dove nei prossimi giorni si avvierà un’altra battaglia, dall’esito incerto. Con altre regole: quelle dei codici libanesi e della diplomazia. Il destino di Dell’Utri ora non dipende più dalla giustizia italiana, che ha dichiarato definitivamente la colpevolezza dell’imputato. Il quale, immaginando questo esito, s’era dato alla "latitanza preventiva" . Una scelta di cui ieri ha parlato ai giudici supremi uno dei suoi difensori, l’avvocato Massimo Krogh: "È un uomo provato, perché vent’anni di indagini e processi senza conclusioni tangibili fiaccano chiunque e possono far perdere la testa. Con un’iniziativa personale, che io non condivido ma posso comprendere, ha fatto quello che ha fatto...". E l’altro difensore, Giuseppe Di Peri, dopo la condanna aggiunge: "Per l’iter dell’estradizione non cambia molto, vedremo come andrà a finire". Considerazioni che non hanno inciso sul giudizio finale, dove si cristallizza una situazione di colpevolezza già pronunciata per tre volte nella sentenza di primo grado e nelle due di appello, inframmezzate da un annullamento in Cassazione, due anni fa. Resta intatta l’assoluzione per i fatti successivi al 1992, quindi nel rafforzamento di Cosa nostra assicurato dall’ex senatore non rientra la nascita di Forza Italia. Ma per il resto, attraverso il vero e proprio "accordo" stipulato grazie a lui tra Berlusconi e i boss, "Dell’Utri ha consentito che l’associazione mafiosa consolidasse il proprio potere". Il patto ha continuato a funzionare anche nel periodo, a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta, in cui il braccio destro dell’allora imprenditore milanese s’era formalmente distaccato dalle aziende del futuro premier. "Dell’Utri è sempre rimasto colui che garantiva Berlusconi da Cosa nostra e Berlusconi a Cosa nostra", ha ribadito nella sua requisitoria il sostituto procuratore generale Aurelio Galasso, chiedendo la conferma della condanna. Non solo con la vecchia mafia dei boss Bontate e Teresi, che s’incontrarono con Berlusconi nel maggio 1974, in un appuntamento organizzato proprio da Dell’Utri, ma anche con i Corleonesi di Totò Riina, che tra il 1980 e il 1981 spazzò la leadership palermitana e conquistò il potere dentro l’organizzazione criminale. Stabilendo nuove regole e decidendo lui che cosa fare con gli interlocutori interni e esterni a Cosa nostra. E così, quando nel 1984 i fratelli Pullarà, che si consideravano gli eredi di Bontate, cominciarono a pretendere un pò troppo da Dell’Utri (e quindi da Berlusconi, che materialmente pagava), il "mediatore" fece presenti le proprie rimostranze, che arrivarono al padrino corleonese. Il quale mise a tacere gli affiliati che avanzavano richieste eccessive, estromettendoli dalle tangenti. Anche questa storia è diventata una prova a carico di Dell’Utri: "Riina preferì tutelare lui rispetto ai suoi capifamiglia, i pagamenti pretesi raddoppiarono perché lo decise lui, ma non risulta che Berlusconi e Dell’Utri se ne siano lamentati", ha sostenuto il pm Galasso. E c’era un motivo non solo economico che spinse il "capo dei capi" a "tutelare" il rapporto con Dell’Utri, com’è scritto nella sentenza confermata: "Riina non aveva fatto mistero del fatto che l’interesse che lo spingeva a curare questo canale di approvvigionamento era anche quello di natura politica. Dell’Utri, per il boss mafioso, rappresentava un contatto determinante con Silvio Berlusconi e dunque, a suo avviso, con l’onorevole Bettino Craxi". Parole che ripropongono gli intrecci mai del tutto svelati tra mafia e politica, e che da ieri sera sono entrate in maniera definitiva nella storia giudiziaria d’Italia. Chiuso il capitolo processuale, ora se ne apre un altro, per tentare di far scontare la pena al condannato. Molise: le carceri stanno "strette"… non solo ai detenuti, ma pure a tutti noi di Claudio de Luca www.termolionline.it, 10 maggio 2014 Il 28 maggio scade il termine accordato all’Italia dalla Corte di Strasburgo per sanare le condizioni, ritenute inumane, in cui vivono i 60mila detenuti dei 205 istituti di pena, tra cui le case circondariali (e di reclusione) di Campobasso, di Isernia e di Larino. In caso contrario, verrebbe inflitta a tutti noi una sanzione dai 100 ai 300 milioni, oltre ai possibili ristori da corrispondere per i 12mila ricorsi pendenti dinanzi alla Corte europea per i diritti umani. Negli ultimi mesi la Presidenza della Repubblica ha continuato a sollecitare il Governo, e Napolitano ha dichiarato "ineludibili" gli interventi per superare le criticità del sistema carcerario. Si era pronunciato in proposito già nell’occasione del 193° anniversario della fondazione del Corpo di Polizia penitenziaria i cui appartenenti, compresi quelli molisani, con sensibilità, dedizione e competenza, contribuiscono al perseguimento delle finalità della pena delineate dalla Costituzione ed a fronteggiare le situazioni di disagio e di grave rischio affrontate quotidianamente. Tutto questo quando le carenze di organico e l’aumento della popolazione detenuta rendono più complesso l’esercizio dei compiti istituzionali. Se si vuole che il carcere non debba assolutamente tornare ad essere una sorta di accademia del crimine, al suo interno non deve più essere consentito di affermare, con intollerabili privilegi o con sopraffazioni, il rango criminale di certi ospiti. Purtroppo i controlli diventano rischiosi quando i detenuti facciano parte - come a Larino, che è la più grande casa circondariale e di reclusione del Molise - di consorterie criminali di tipo mafioso che, per loro stessa natura, tendono a mantenere forme di visibilità e di potere anche dietro le sbarre. Il piano-carceri per far fronte all’emergenza- sovraffollamento non ha toccato la 20esima regione. Altrove è andato avanti con la ristrutturazione di padiglioni preesistenti e sono stati creati quasi 2.300 nuovi posti. Degli istituti regionali quello di Larino, che è sempre il più affollato, è l’unico dove gli spazi liberi, presenti al di là delle mura esterne di recinzione, avrebbero permesso un adeguamento ed un potenziamento con la collocazione di prefabbricati "ad hoc". Purtroppo niente di tutto questo è stato previsto. Le carceri italiane sono considerate le peggiori del Continente. La custodia cautelare riguarda il 45% dei detenuti, ed addirittura il 65% degli stranieri. Il ricorso sistematico alla carcerazione preventiva per le persone in attesa di giudizio per spaccio, e l’utilizzo di metri di giudizio diversi dell’assegnazione delle misure alternative tra stranieri e italiani, sono i motivi che portano il Paese in cima ad una classifica veramente poco lusinghiera. Se si potesse tornare a gestire 43mila detenuti (tanti quanti sono i posti-letto effettivi), si risparmierebbe un miliardo e mezzo di euro, tenuto conto che il costo medio giornaliero di ogni ospite è di circa 160 euro/die, e che questa cifra totalizza quasi 4 miliardi per anno. L’indice di affollamento è del 157%; ciò vuol dire che i detenuti sono più di una volta e mezzo i posti-letto rispetto ad una media-Ue del 96%. L’Italia fa peggio anche di tutti i 47 Stati del Consiglio d’Europa, compresi Cipro, Serbia e Russia. Negli ultimi anni si è registrato un tasso di crescita della popolazione carceraria di quasi il 23%, mentre nello stesso periodo Paesi come il Portogallo hanno ridotto il numero degli ospiti introducendo pene e misure alternative nonché la depenalizzazione di reati considerati bagatellari. In Italia già solo carcerando i 3.500 imputati condannati per una contravvenzione (che non è quella del Codice stradale, ma una forma di reato minore) si avrebbe un forte effetto decongestionante. Il 37% dei detenuti è straniero; e si tratta di un’aliquota mai raggiunta prima. Alla fine del 2006, nonostante l’indulto (che però incise su pene brevi) potettero essere scarcerati più detenuti stranieri che italiani. Dopodiché i primi sarebbero ritornati ad essere il 34% del totale per poi crescere ulteriormente. Sicilia: oltre 1.000 detenuti in più rispetto ai posti nelle carceri, peggio di noi solo la Serbia di Oriana Sipala Quotidiano di Sicilia, 10 maggio 2014 Vicina la spada di Damocle della Corte europea: il 28 maggio scade il termine concesso all’Italia. La Legge 67/2014, che trasforma dei reati in illeciti amministrativi, è l’ennesimo palliativo. Quello del sovraffollamento delle carceri in Italia è un problema endemico, che si protrae da troppo tempo. Diverse voci si sono sollevate più volte sulla questione, ma finora non si è ottenuto nessun significativo risultato. Dagli appelli del Presidente Napolitano alle proteste di Marco Pannella, molto si prova a fare, ma poco si ottiene nel concreto. Ci si muove sempre sulla soglia di scadenze imminenti e di provvedimenti coi quali si spera di cambiare le cose. Nella fattispecie, la scadenza che si sta inesorabilmente avvicinando è quella del 28 maggio: con una sentenza dell’8 gennaio 2013, la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo ha condannato il nostro Paese per le condizioni degradanti in cui versano i detenuti all’interno dei penitenziari e ha dato tempo fino al 28 maggio per far sì che venga operata una svolta risolutiva. Se non verrà rispettato questo termine, l’Italia dovrà risarcire i condannati ristretti in meno di 3 mq. Ebbene, a poche settimane dalla scadenza i numeri sembrano ancora strabordare. Secondo i dati del ministero della Giustizia, aggiornati al 31 marzo 2014, son oltre 60 mila i detenuti nelle carceri italiane, ma la capienza complessiva supera appena i 48.300 posti. Il sovraffollamento si traduce quindi con l’impressionante numero di 11.888 "internati" in più. Nello specifico, in Sicilia la capienza regolamentare è di 5.462, ma i detenuti effettivamente presenti nei penitenziari dell’Isola sono 6.514, oltre mille persone in più. Peggio della Sicilia fa la Lombardia, con oltre 2.700 detenuti in esubero, ma anche il Lazio (+1.889), la Campania (+1.693) e la Puglia (+1.238). Solo Sardegna e Valle d’Aosta, in tale contesto, presentano il segno meno. A confermare la situazione poco invidiabile del Belpaese sono anche i dati del rapporto annuale sulle statistiche carcerarie, riferiti al 2012 e diffusi dal Consiglio d’Europa. Secondo tale statistica, solo la Serbia fa peggio dell’Italia. Nel nostro Paese il rapporto tra numero di detenuti e numero di posti nei penitenziari, nel 2012, è di 145 a 100. Nello stesso anno l’Italia è stato il Paese con il maggior numero di detenuti stranieri: questi erano infatti 23.773, cioè il 36% della popolazione carceraria. Altissimo è pure il numero di coloro che vengono trattenuti in prigione mentre sono in attesa di giudizio: l’Italia, con i suoi 12.911 soggetti, si piazza terza dopo Turchia e Ucraina. Sempre secondo il Consiglio d’Europa, i condannati per reati legati al traffico di droga sono il 38,8%, contro una media europea del 17,1%. Quelli che scontano una detenzione breve (un anno al massimo) sono inoltre il 20%: su questi si potrebbe intervenire adottando delle misure alternative al carcere. La media italiana è ben più alta di quella europea anche quando si parla di detenuti che devono scontare pene lunghe, di oltre 20 anni: parliamo del 4,8% contro una media europea dell’1,9%. In realtà il Dap prende le distanze da queste cifre, affermando che dal 2012 a oggi, anche in virtù delle misure adottate, qualche cambiamento c’è stato: la custodia cautelare è diminuita sensibilmente, così come sarebbero diminuiti i suicidi, che sono stati 57 nel 2012, mentre nel 2013 si sono attestati a 42 e nei primi mesi del 2014 a 13. In effetti numerosi sono stati i decreti "svuota carceri" e le misure attraverso cui si è cercato di dare una risposta al problema. L’ultima legge pubblicata in Gazzetta Ufficiale (legge 67/2014) risale proprio allo scorso 28 aprile. Con tale provvedimento si trasferisce al Governo, a partire dal 17 maggio, la delega sulla materia dei penitenziari e, nello specifico, sulle pene alternative al carcere. L’idea è quella di trasformare in illeciti amministrativi alcuni di quei reati per i quali è previsto il carcere. In altre parole, la condanna non sarebbe più la detenzione, bensì un’ammenda che sia congrua alla gravità del fatto commesso. Secondo le disposizioni della nuova legge, i reati destinati a scomparire dal codice penale sono l’ingiuria, la falsità in atti, la sottrazione di cose comuni, l’usurpazione, il danneggiamento, l’appropriazione di cosa smarrita, l’immigrazione clandestina. Le disposizioni della legge prevedono inoltre per l’imputato la possibilità di chiedere la sospensione del processo e di invocare la "messa alla prova", ovvero l’affidamento ai servizi sociali, mantenendo comunque inalterate le garanzie di risarcimento per chi ha subito il danno a opera dell’imputato stesso. Fleres, ex Garante diritti detenuti: intervenire nei quartieri e nelle famiglie disagiate Abbiamo chiesto a Salvo Fleres, ex garante per i diritti dei detenuti in Sicilia, se la legge 67/2014 secondo lui funzionerà o se si rivelerà come l’ennesima tentativo fallito: "La legge introdotta contribuirà a ridurre il sovraffollamento nelle carceri, ma non sarà risolutiva. Il problema dell’esecuzione penale nel nostro Paese è la conseguenza di un sistema normativo falsamente giustizialista. Per non affollare le carceri bisogna evitare di riempirle. Lo Stato dovrebbe agire nei settori in cui si forma la devianza: nei quartieri popolari, nelle famiglie disagiate, etc., facendo funzionare meglio i servizi sociali e utilizzando le scuole come camera di compensazione del disagio stesso. In questi settori si fa poco". Fleres parla poi della necessità di "rivedere due leggi che si sono rivelate cancerogene: la Bossi-Fini, in materia di immigrazione clandestina e la Fini-Giovanardi, in materia di droga". "Per gli immigrati bisogna pensare a un’azione congiunta con l’Europa e coi Paesi di provenienza, per i tossicodipendenti bisogna pensare alle comunità di recupero e alla depenalizzazione dell’uso delle droghe leggere, oltre che a una più efficace azione preventiva". "In ultimo - conclude Fleres, bisogna ridurre il fenomeno della recidiva, facendo sì che le carceri siano luoghi di rieducazione. In Sicilia, quando funzionava la mia legge sul lavoro ai detenuti, furono finanziati circa 140 reclusi che acquistarono mezzi e avviarono piccole attività, uscendo definitivamente dal circuito criminale. Oggi quei reclusi lavorano legalmente e hanno persino assunto persone. Purtroppo quella virtuosissima norma è stata abbandonata, così come non è stato ancora nominato il nuovo garante, facendo un grosso favore alla criminalità organizzata, rimasta l’unica interlocutrice dei reclusi a cui fornisce assistenza. Se non si scioglieranno questi nodi, dopo il 28 maggio, a parte un lieve calo di presenze nell’immediato, resterà tutto come prima". Toscana: Nardi (Sel); nelle carceri valorizzare ruolo degli "esperti" psicologi e criminologi www.valdelsa.net, 10 maggio 2014 Il problema carceri in Toscana è ancora al centro del dibattito. La deputata toscana di Sinistra Ecologia e Libertà, Martina Nardi, ha presentato un’interrogazione rivolta al Ministro della Giustizia sulla valorizzazione e sull’aumento delle "risorse destinate agli esperti carcerari, relegati in una condizione di precarietà incompatibile con il ruolo fondamentale che essi svolgono nel percorso di rieducazione e riabilitazione dei detenuti". "Gli esperti carcerari - spiega Nardi - rappresentano una risorsa importantissima nel recupero e nella riabilitazione dei detenuti, che dovrebbero essere gli obiettivi del nostro sistema carcerario. Con una circolare dello scorso mese di giugno, il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria ha definito il nuovo contratto di convenzione tra gli istituti penitenziari e gli esperti in psicologia e criminologia clinica, prevedendo un incarico non rinnovabile per più di quattro anni dalla data della sua sottoscrizione. La conseguenza è che si escludono dalla preziosa attività numerosissimi esperti qualificati, frammentando e depotenziando l’intervento di rieducazione". "Al Ministro - prosegue la deputata - chiediamo quindi se intenda prendere provvedimenti per sospendere la circolare, assicurando la continuità lavorativa degli esperti psicologi e criminologi, riconoscendone la professionalità e prorogandone gli incarichi assegnati nel 2013. Si tratta di valorizzarne il ruolo, anche e soprattutto in funzione della realizzazione degli obiettivi previsti dall’articolo 27 della nostra Carta costituzionale in tema di rieducazione e salute del detenuto, dalla legislazione vigente, dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e dalla normativa europea". Abruzzo: Di Paolo (Pd); massima attenzione a detenuti e operatori del carcere di Sulmona www.rete5.tv, 10 maggio 2014 "Massima attenzione per il carcere di Sulmona. La politica non può ritenere l’Istituto di pena una struttura chiusa e circoscritta". È quanto afferma Massimo Di Paolo, candidato consigliere del Pd Valle Peligna e Alto Sangro alle prossime elezioni regionali a sostegno del candidato presidente Luciano D’Alfonso. Di Paolo questa mattina ha incontrato Mauro Nardella, segretario provinciale e vice segretario regionale Uil Penitenziari, il quale ha esposto la situazione della Casa di reclusione peligna, caratterizzata da carenza di personale e sovraffollamento, con 246 agenti penitenziari per 494 detenuti in una struttura che dovrebbe ospitarne 300. Sono cominciati ieri i lavori per la costruzione di un nuovo padiglione che potrà contenere altri 200 detenuti, come ha spiegato Nardella. "Il numero dei detenuti ormai in aumento e il grado di pericolosità pongono un forte interrogativo e impongono un impegno politico istituzionale perché il personale sia integrato da nuove unità operative, sia per motivi di sicurezza, per una tutela dei lavoratori, sia per le caratteristiche delle mansioni e dei compiti sottoposti ad alti indici di stress. È indispensabile sollecitare un adeguamento del numero del personale" dichiara Di Paolo "La politica deve riflettere su due componenti fondamentali: il rischio della residenzialità di nuclei familiari con cultura e profili che potrebbero risultare delinquenziali e il rischio di rendere Sulmona e il territorio componenti dell’asse di penetrazione delle grandi organizzazioni criminali. Il problema" aggiunge Di Paolo "pone forti interrogativi e impone condivisione delle scelte e costante collegamento con il Ministro". Questione sicurezza che, secondo Massimo Di Paolo "apre l’interrogativo anche sull’impoverimento dei presidi di Polizia nel territorio dell’Alto Sangro". Il candidato Di Paolo afferma: "È fondamentale che si riconosca l’importanza del carcere sia economicamente sia culturalmente, in quanto elemento caratterizzante che va vissuto attraverso accettazione e condivisione di attività e progetti, come corsi di formazione, animazioni teatrali, opportunità di lavoro con contratti specifici. La comunità non può vivere con una dimensione espulsiva e di non riconoscimento della struttura detentiva. Gli aspetti specifici, inoltre" prosegue Di Paolo "che legano il carcere ai servizi giudiziari del tribunale, rendono la comunità carceraria un elemento determinante affinché il presidio giuridico peligno possa essere mantenuto a Sulmona. Appare impensabile la condizione dello spostamento degli uffici giudiziari" ribadisce Massimo Di Paolo, sottolineando che "questo aspetto, quando si è dibattuto riguardo la questione del Tribunale, è apparso poco evidente, mentre può rappresentare uno dei motivi cardine perché il Tribunale possa permanere per sempre sul territorio. Diversi i motivi: riduzione costi, Pubblica Amministrazione, motivi sicurezza, facilitazione dei processi organizzativi" Sardegna: Sdr; nuova beffa per ergastolano Mario Trudu, trasferito da Spoleto a Firenze Ristretti Orizzonti, 10 maggio 2014 "Nuova beffa del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria nei confronti di Mario Trudu, l’ergastolano di Arzana in stato di detenzione dal 1979. All’ennesima domanda di trasferimento del cittadino privato della libertà per lasciare Spoleto e continuare a scontare la pena in un Istituto della Sardegna, il Dap ha risposto traducendolo a Sollicciano (Firenze). Una decisione assurda che nega ancora una volta il diritto alla territorialità della pena e a un’umana espiazione". Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione "Socialismo Diritti Riforme", sottolineando come "un sistema inadeguato sia in grado di annientare i principi fondamentali a cui si ispirano le leggi dello Stato". "È opportuno ricordare insieme alla lunga detenzione di Trudu e alla sua età, che il Dipartimento continua a ignorare - osserva Caligaris - la reale attuale condizione del detenuto. Lo stato di salute, l’impossibilità di poter svolgere colloqui con i familiari, l’infondatezza di qualunque ipotesi su collegamenti con la criminalità organizzata locale. Trudu insomma sembra destinato a subire una forma di tortura in nome di una sorta di vendetta non prevista da alcuna legge e pertanto ingiustificabile". "Risulta poi del tutto incomprensibile il mancato trasferimento in Sardegna considerando inoltre che nell’isola - rileva ancora la presidente di Sdr - sono state inaugurate due strutture penitenziarie a Oristano-Massama e a Tempio-Nuchis con sezioni specifiche per l’Alta Sicurezza dove sono stati trasferiti decine di detenuti siciliani, calabresi, campani provenienti dalle strutture della Penisola considerati pericolosi". "Il Dap insomma sembra voler dimostrare con tutti i mezzi possibili che per quanto riguarda i trasferimenti di Mario Trudu non utilizza un’umana condivisa logica ma si affida al gioco delle caselle vuote da riempire. In questo caso ha trovato un letto libero a Sollicciano e non l’ha voluto lasciare inutilizzato. Che ciò sia in linea con quanto prevede l’ordinamento penitenziario, l’articolo 27 della Costituzione e perfino un recente dispositivo del Tribunale di Sorveglianza di Perugia è tutto da dimostrare ma intanto per l’ergastolano sardo e i suoi familiari - conclude Caligaris - una nuova amara delusione". Palermo: l’Osapp interviene dopo evasione ergastolano "Orlando cambi i vertici del Dap" Ansa, 10 maggio 2014 "Improvvisazione, dilettantismo, forse anche menefreghismo: non sapremmo come definire i provvedimenti assunti dall’Amministrazione penitenziaria centrale dopo l’evasione due giorni fa dell’ergastolano albanese dal carcere di Palermo-Pagliarelli". È duro il commento di Leo Beneduci, segretario generale Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria) alla notizia che il Dap ha disposto l’invio in distacco senza oneri di 50 poliziotti penitenziari al carcere palermitano. Per il sindacalista "il Pagliarelli ha una carenza di organico di non oltre il 12-15% (circa 120/150 unità) mentre negli istituti di pena siciliani si avvicina al 25%, con punte del 50% ad Augusta, Siracusa (con un nuovo Padiglione detentivo aperto senza personale), o Catania-Bicocca che non ha personale neanche per i turni notturni e a cui nessuno ha ritenuto di rimediare". "Peraltro - aggiunge Beneduci - numerosi sono i dubbi sulla clamorosa evasione dal Pagliarelli, ma pochi riguardano le pur esistenti carenze di organico. Valentin Frrokaj, già evaso nel 2013 dal carcere di Parma, era stato sottoposto al regime dell’art.14 bis dell’ordinamento, con misure quali la sorveglianza particolare in isolamento e gli assidui controlli. Misure inspiegabilmente revocate, tant’è che ha potuto raggiungere il muro di cinta con almeno 9 metri di corda rudimentale ricavata dalle lenzuola. Nell’attuale Amministrazione penitenziaria gli episodi gravi iniziano ad essere troppi, a partire dal preoccupante aumento delle risse tra detenuti, a riprova di una disfunzione che riguarda aspetti organizzativi più generali sull’intero territorio nazionale e non più a carattere locale - conclude Beneduci - per cui è quanto mai urgente che il Guardasigilli Orlando, finora troppo cauto e attendista, affronti l’emergenza penitenziaria anche in termini di integrale riforma del Dap e di completo rinnovamento degli attuali vertici". Reggio Emilia: la Garante Desi Bruno; se si vuol chiudere l’Opg servono Comunità esterne Ansa, 10 maggio 2014 Letto di contenzione eliminato anche nell’area dei socialmente pericolosi, almeno stando a quanto si dichiara; condizioni invariate a fronte, ad esempio, di lavori al tetto; 203 internati dei quali meno di 40 residenti in Emilia-Romagna e provenienti anche da regioni esterne al bacino previsto che comprende Marche, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Trentino Alto Adige. Sono alcune delle osservazioni della Garante regionale dei detenuti, Desi Bruno, dopo una nuova visita all’Ospedale psichiatrico giudiziario (Opg) di Reggio Emilia compiuta martedì scorso, accompagnata dal direttore Paolo Madonna e dal comandante di Polizia penitenziaria. Per rendere plausibile la chiusura dell’Opg entro l’aprile 2015, per la Garante bisogna fermare gli ingressi da altre regioni e aumentare le licenze finali di esperimento in strutture idonee, come la comunità di Sadurano nel forlivese, ora insufficienti. Dei 203 internati, 41 sono stranieri. Ci sono 27 minorati psichici, 5 in osservazione psichiatrica, 52 prosciolti per infermità mentale, 17 in sospensione della pena per sopraggiunta infermità, 27 in esecuzione provvisoria di misura di sicurezza, 32 in esecuzione di misura di sicurezza di casa di cura e custodia, 38 in licenza di esperimento finale e 30 in licenza a termine. A parte le celle chiuse del settore Centauro, che ospita le persone considerate non adatte alla comunità e un presidio di Polizia penitenziaria, negli altri reparti le celle sono aperte dalle 8 alle 20, è presente esclusivamente personale sanitario e gli agenti intervengono su richiesta in caso di bisogno. È il comandante di Polizia penitenziaria, fa sapere Desi Bruno, che ha dichiarato che il letto di contenzione è stato eliminato dalla struttura. In ogni modo, per la Garante è un’anomalia la presenza nell’Opg di 5 detenuti in osservazione psichiatrica, visto che alla sua visita di aprile è risultata vuota l’apposita sezione del carcere di Piacenza; analoga anomalia per le 32 persone destinate non all’Opg ma alla misura di sicurezza della casa di cura e custodia: a livello sanitario non esiste una gestione per loro. In genere, anche la gestione degli internati in Opg non dipende dalla patologia o dal reato, né dalla categoria giuridica, ma viene determinata solo in base al fatto se la persona mostra o meno comportamenti violenti nei confronti di se stesso o degli altri, venendo smistata tout court o al Centauro o al regime delle celle aperte. A breve la Garante conta di tornare a Reggio Emilia per visitare la Casa circondariale. Bologna: direttrice Dozza; gestire un carcere è come gestire città, qui c’è ambiente sereno Dire, 10 maggio 2014 Sono molte le donne che dirigono un carcere in Italia. Su 206 Istituti, le direttrici in quota rosa sono 86. Da nord a sud, senza differenze. È il caso di Francesca Vazzana del carcere Pagliarelli di Palermo, Anna Maria Cristina Visone della casa circondariale di Siena e di Francesca Gioieni che lavora a Brescia. Anche il San Vittore di Milano è gestito da una donna, Gloria Manzelli, così come a Vicenza la direttrice è Irene Iannucci, mentre a Vercelli è Tullia Ardito. Anche in Emilia Romagna su nove istituti, otto sono gestiti da donne (l’unico a conduzione maschile è quello di Reggio Emilia). Alla direzione di Piacenza c’è Caterina Zurlo, Rosalba Casella a Modena e Rimini, Palma Mercurio a Forlì, Carmela De Lorenzo a Ferrara e Ravenna e Anna Albano a Parma. Alla Dozza di Bologna dopo la direzione di Ione Toccafondi, c’è Claudia Clementi. Nata ad Ascoli Piceno nelle Marche 50 anni fa, ha una laurea in giurisprudenza e una specializzazione in criminologia. Dopo il concorso vinto nel 1995, Clementi è al lavoro dal 1997: la sua carriera è iniziata ad Asti, è proseguita ad Alessandria, poi a Torino. Nel 2008 le è stato affidato il carcere di Pesaro, che è ancora sotto la sua direzione, e lo scorso anno la Dozza di Bologna, il carcere costruito nell’84 che conta circa 850 detenuti. "Dirigere un carcere è come gestire una città - spiega Claudia Clementi - i compiti di un direttore sono molteplici. Dalle faccende amministrative a quelle contabili. Io però da sola non faccio nulla, più che una questione di compiti, è un fatto di responsabilità, fidandosi del lavoro che fanno gli altri. Non ci vuole una qualifica speciale per essere direttori, le lauree riconosciute per accedere al concorso sono le più diverse...". Modica (Rg): chiude carcere, iniziati trasferimento detenuti, poi toccherà al personale di Duccio Gennaro Corriere di Ragusa, 10 maggio 2014 Le famiglie ed i volontari hanno tentato il tutto per tutto per salvare il carcere rivolgendosi alle autorità ed agli esponenti istituzionali della provincia. Iniziato lo smantellamento della Casa circondariale di Piano del Gesù. Alcuni detenuti sono stati già trasferiti e nei prossimi giorni dovranno cambiare sede non solo i detenuti ma anche il personale della Polizia penitenziaria e gli amministrativi. Entro il mese il carcere di Piano del Gesù sarà solo un ricordo nonostante i tanti tentativi di tenerlo in vita. Tra le ultime iniziative quella della Cisl la cui segreteria regionale ha chiesto una deroga alla chiusura anche alla luce dell'emergenza sbarchi e della necessità di trasferire in un carcere vicino eventuali arrestati come, peraltro si è già verificato. I circa trenta detenuti di Piano del Gesù saranno trasferiti in altre carceri dell'isola cercando di rispettare la loro provenienza geografica in modo da favorire le famiglie per le visite. Proprio le famiglie ed i volontari hanno tentato il tutto per tutto rivolgendosi alle autorità ed agli esponenti istituzionali della provincia ma la spending review ha imposto la sua ferrea legge del taglio dei costi. Imperia: Sappe visita carcere; Istituto fatiscente, è ancora fermo al registro e alla matita www.puntoimperia.it, 10 maggio 2014 Continua il tour del Sappe nelle carceri liguri. Quello che mi ha lasciato perplesso - afferma il segretario regionale Lorenzo - che gli episodi negativi che hanno caratterizzato l’istituto non sono da esempio per i vertici del Provveditorato ligure affinché adottino delle precauzioni per una diversa organizzazione utile a fornire maggiori garanzie di sicurezza per il personale della Polizia Penitenziaria. Dopo Sanremo, Marassi e Laspezia, il Sappe ha verificato le condizioni dei luoghi di lavoro della Polizia Penitenziaria dell’Istituto imperiese. I dati forniti dal Sappe dicono che l’istituto ospita immigrati arrestati per reati connessi con l’emigrazione clandestina. Un istituto che dovrebbe ospitare 62 detenuti, ad oggi, se ne contato ben 105 dei quali 45 italiani e 60 stranieri. Tendenzialmente in opposizione è l’organico della polizia penitenziaria, in forte carenza specialmente nei ruoli apicali. 2 ispettori dei 7 previsti. Da un organico di 78 unità solo 56 sono i poliziotti in servizio che devono orbitare in turni di 24 ore continuative e garantire anche la sicurezza dei servizi ospedalieri ed anche presso altra struttura esterna. Un istituto che in precedenza è stato caratterizzato per alcune evasioni ed una serie di eventi critici, come circa 20 tentativi di suicidio dei quali, purtroppo 2 portati a termine. Quello che mi ha lasciato perplesso - afferma il segretario regionale Lorenzo - che gli episodi negativi che hanno caratterizzato l’istituto non sono da esempio per i vertici del Provveditorato ligure affinché adottino delle precauzioni per una diversa organizzazione utile a fornire maggiori garanzie di sicurezza per il personale della Polizia Penitenziaria. Come segreteria regionale - tuona Lorenzo - siamo indignati per l’assenza del Direttore, figura importante per la quotidianità dell’istituto. Il direttore è lo stesso che dirige il carcere di Sanremo e quindi riesce ad essere presente solo una volta alla settimana e la gestione del carcere avviene "telefonicamente" con il Comandante. Un carcere teleguidato quindi, con l’aggravante che il Provveditorato di Genova ha trasferito anche il vice comandante, quindi tutta la gestione è fortemente penalizzata e sull’argomento ci sarebbe molto da aggiungere - afferma il Sappe - pensavamo di avere a che fare con un’amministrazione penitenziaria attenta ai problemi del personale, invece così non è. Infine mi chiedo quale esito o iniziativa è mai pervenuta, per migliorare le condizioni dei ristretti e degli stessi agenti, dalle visite effettuate dagli innumerevoli politici e ministri che hanno visitato l’istituto. Vi sono 23 detenuti in attesa di giudizio e non si ancora fatto ricorso al braccialetto elettronico, le attività trattamentali e di lavoro a favore dei detenuti sono ridotte al minimo e questo ingenera ozio aumentando l’aggressività che sfocia in risse o aggressioni al personale di polizia come quello avvenuto il 15 febbraio scorso. La Casa circondariale di Imperia soffre il massimo del degrado proprio nei posti di servizio del personale di Polizia Penitenziaria; postazioni di appena 4 mq, dove la tecnologia è ferma ancora al registro ed alla matita. Cagliari: sit-in di Polizia penitenziaria e Sindaci contro trasferimento del Cpa a Monastir Il Democratico, 10 maggio 2014 Sindacati della Polizia penitenziaria, cittadini, sindaci e politici in sit-in davanti alla Scuola di Polizia penitenziaria di Monastir per protestare contro il trasferimento del Centro di prima accoglienza per i migranti Cpsa-Cara di Elmas nella struttura. Questa mattina tutte le sigle sindacali della Polizia penitenziaria, gli operatori dei centri commerciali e delle attività della zona, i primi cittadini di Monastir, Sestu, San Sperate e Ussana si sono presentati davanti alla Scuola Penitenziaria. È imminente, secondo quanto hanno spiegato i sindacati, il trasferimento del Centro di prima accoglienza di Elmas a Monastir, tanto che il 3 aprile scorso è stato effettuato un sopralluogo da parte del prefetto di Cagliari all’interno dello stabile. "Solo in quella occasione - hanno sottolineato le segreterie regionali dei sindacati - abbiamo preso atto della volontà del prefetto di trasferire il Centro Cpsa-Cara di Elmas e dei contatti intercorsi fra prefetto e vertici dell’Amministrazione Penitenziaria per le autorizzazioni". I sindacati si sono schierati contro il trasferimento "manifestando la loro ferma contrarietà alla soppressione della scuola di Monastir e ancor più alla sua riconversione in Centro di accoglienza". La struttura, secondo quanto sottolineano i sindacati, è dotata di un poligono che può essere utilizzato da tutte le forze di Polizia, può essere impiegata per la formazione interforze e, inoltre, con l’apertura del carcere di Uta potrebbe ospitare gli agenti della Polizia penitenziaria che arriveranno. Questa mattina durante il sit-in sono anche anche arrivati i parlamentari Mauro Pili (Unidos), Romina Mura (Pd) ed Emanuele Cani (Pd) ed il consigliere regionale Paolo Truzzu (Fdi) che, oltre ad aver dato loro solidarietà, hanno visitato la Scuola. La manifestazione di protesta si è conclusa nella tarda mattinata e ora i sindacati attendono risposte e si preparano per nuove manifestazioni. Pordenone: scegliere l’impresa che costruirà il nuovo carcere allo Stato costa 30 mila euro di Andrea Sartori Messaggero Veneto, 10 maggio 2014 Nuovo carcere di San Vito: ecco chi sono i commissari che stanno decidendo a chi andrà l’appalto e i relativi compensi stabiliti per legge, percepiti per questo specifico compito al di là delle paghe per le loro altre attuali occupazioni. Intanto, il loro lavoro prosegue: tutte le dieci offerte sono state ammesse alla gara. I commissari. Sono cinque, nominati dal commissario straordinario del governo per le infrastrutture carcerarie, prefetto Angelo Sinesio, visto il bando di gara per la progettazione definitiva ed esecutiva e la costruzione del carcere, per un corrispettivo di 25.568.100 euro, e considerato che, sulla base delle leggi vigenti. "Il responsabile del procedimento ha accertato la carenza di organico". Il termine per le offerte è scaduto il 17 marzo e la commissione giudicatrice si è insediata il 28 aprile, dopo due rinvii (oltre un mese di ritardo, che si conta di colmare con un numero maggiore di sedute). Il territorio regionale e provinciale può dirsi ben rappresentato nella commissione. Ne fanno parte il presidente Antonio Lazzaro, già magistrato di Cassazione ed ex presidente del Tribunale di Pordenone, Rosanna Palci, garante dei detenuti del Comune di Trieste, Eddi Dalla Betta, dirigente dell’area tecnica della Provincia di Pordenone, Gianfranco De Gesu, direttore generale Risorse materiali, beni e servizi del Dap, e Antonio Lucchese, dirigente prima divisione Servizio tecnico centrale del Consiglio superiore dei lavori pubblici. Quest’ultimo ha preso il posto in commissione, con un secondo atto firmato da Sinesio, di Giovanni Guglielmi (direttore generale Edilizia statale), che ha rimesso l’incarico. I compensi. Le spese per la commissione ammontano a 30 mila euro: sono inserite nel quadro economico del progetto, tra le somme a disposizione della stazione appaltante. Secondo le leggi di riferimento riportate nella determina firmata da Sinesio, il presidente percepirà 5 mila euro, gli altri quattro componenti 4 mila euro ciascuno, tutto compreso. I restanti 9 mila euro andranno "a suddividersi nella misura massima di 3 mila euro ciascuno tra i tre componenti fuorisede per l’eventuale rimborso delle spese vive sostenute nell’ambito dell’incarico e debitamente documentate". Imprese ammesse. Secondo quanto appreso, dopo l’ultima seduta della commissione tutte le imprese che hanno presentato le offerte, rese note la scorsa settimana, sono state ammesse alle fasi successive della gara, ovvero gli esami delle offerte tecnica ed economica. Si prevedeva una novantina di giorni di tempo, dall’insediamento della commissione, per arrivare all’aggiudicazione dell’appalto. Pistoia: i detenuti del "Santa Caterina" riqualificano la corte-giardino interna al carcere di Leonardo Soldati Il Tirreno, 10 maggio 2014 Dove sta scritto che il carcere dev’essere una realtà distaccata dalla città in cui si trova? Lo dimostra la Casa circondariale "Santa Caterina in Brana" di Pistoia, dove viene predisposto un progetto di riqualificazione della corte-giardino interna alla struttura, finanziato per 13 mila euro con bando dalla Fondazione Caript e condiviso dagli architetti volontari, Roberto Agnoletti e Nicoletta Boccardi, con Direzione, personale di Polizia penitenziaria, operatori dell’istituto ma anche con un gruppo di detenuti. La corte-giardino, di circa 132,60 mq, confina a sud con la sala colloqui ed è utilizzata nel periodo estivo per i colloqui dei detenuti con le loro famiglie, la finalità è di rendere gli ambienti più confortevoli anche per i familiari in visita, soprattutto se presenti bambini piccoli. Da qui il nome del progetto, "Oltre la corte", nato dall’idea di una socia del circolo Legambiente di Pistoia ed ampliatosi nel corso del tempo, sostenuto dalle fondazioni pistoiesi "Giorgio Tesi", "Un raggio di luce" "Michelucci", Comune e Cassa edile di Pistoia e associazione "Orto per orto". Da qui sono seguiti una serie di incontri nella Casa circondariale con tutte le parti interessate, i professionisti hanno informato sulle varie opzioni di scelta relative alle piante, pavimentazioni, arredi (sedute e tavoli) e via dicendo da installare nella corte, provvista di una zona gioco per i figli dei detenuti nella quale la pavimentazione sarà in piastrelle anti-trauma. Dall’idea iniziale di un luogo in cui si univano gli incontri con le famiglie con lo spazio ricreativo, i detenuti hanno invece optato per una maggiore riservatezza dei colloqui estivi, aspetto molto sentito nell’istituto, seppur collegati visivamente con l’area gioco. Scelte per il verde presente una vegetazione di tipo arbustivo ed erbaceo, con aiuole rialzate di piante anche aromatiche, previsti una fontanella ed abbattimenti di barriere architettoniche. Ai detenuti spetteranno i lavori di demolizione delle opere preesistenti, in parte gli interventi di riqualificazione, con la supervisione dei professionisti del progetto, oltre che la manutenzione della corte durante l’anno, sia la parte verde che architettonica, accrescendo così le attività dell’istituto nell’ottica del loro reinserimento nella collettività. Prevista la conclusione dei lavori entro la fine dell’anno. "Credo nell’idea di carcere in rapporto con la città - dichiara Tazio Bianchi, direttore della Casa circondariale - ringrazio il personale dell’area educativa e la Polizia penitenziaria per aver collaborato al progetto. Varese: nel febbraio 2013 tre detenuti evasero dai Miogni… chi li ha aiutati dal carcere? La Provincia di Varese, 10 maggio 2014 Tre detenuti in fuga dal carcere dei Miogni. A poco più di un anno di distanza dal fatto l’indagine potrebbe essere a una svolta. Al vaglio degli inquirenti potrebbe esserci la pista del favoreggiamento dall’interno della struttura carceraria. Qualcuno insomma potrebbe aver fiancheggiato Victor Sorin Miclea, Daniel Parpalia, Marius Geroge Bunoro, i tre romeni fuggiti nella notte tra il 20 e il 21 febbraio 2013, chiudendo un occhio (o forse su due) su quanto stava accadendo in quel momento. Sull’ipotesi non ci sono conferme, gli inquirenti mantengono il massimo riserbo. Ma nei giorni scorsi il magistrato titolare delle indagini è stato in più occasioni notato varcare le porte dei Miogni insieme ad una nutrita schiera di carabinieri. Gli accessi, alcuni dei quali eseguiti anche in orari notturni, non sono sfuggiti ai residenti in zona che, in occasione della visita nel cuore della notte, hanno persino temuto che qualcosa di strano stesse di nuovo accadendo nella casa circondariale. Gli inquirenti potrebbero aver eseguito dei sopraluoghi. Ci sarebbe stato anche un interrogatorio formale in occasione del quale un avvocato del foro varesino sarebbe stato chiamato d’urgenza. Altri colpi di scena? I tre evasi erano stati tutti arrestati entro 72 ore dalla fuga. Presi tra la Svizzera e l’Italia. Quindi non si tratta di cercare loro. Fidanzate e conviventi sono già state controllate: la compagna di uno dei tre era da subito stata indagata per favoreggiamento. Cioè per aver atteso i tre in auto fuori dal carcere e averli portati verso il confine svizzero. Cosa resterebbe da sviscerare se non una pista interna? Se non la ricerca di qualcuno che dall’interno del carcere, non da detenuto, potrebbe aver favorito la fuga? Tanto più che sin dalle prime battute dell’inchiesta era stato reso noto come la lima utilizzata dai tre per segare le sbarre della finestra del bagno dalla quale sono evasi era stata introdotta ai Miogni nascosta in una cintura. Come ci è entrata la lima nel carcere? Qualcuno non ha voluto vedere? Oppure ha trovato il modo di far entrare quella cintura senza che nessuno riuscisse a tracciarla? L’inchiesta potrebbe riservare colpi di scena. Lecce: il carcere "adotta" le aree verdi in via Paolo Perrone, saranno curate dai detenuti www.corrieresalentino.it, 10 maggio 2014 Da Piazza Mazzini a Viale Taranto, Lecce si rifà il look. L’assessorato ai Lavori Pubblici moltiplica le aree verdi grazie all’apporto dei privati. Oltre al "circuito verde", collegato come un grande giardino, che andrà da Parco delle Mura, attraversando il Parco degli agostiniani, fino al Parco di Belloluogo, stanno sorgendo tutta una serie di piccole aree verdi che contribuiranno a migliorare l’aspetto e la qualità della vita di Lecce. Anche l’Amministrazione Penitenziaria partecipa all’esperimento "adottando" le aiuole spartitraffico e la rotatoria insistenti in via Paolo Perrone. Saranno gli stessi detenuti a curare questi spazi. "Il direttore Antonio Fullone - si legge nella delibera - si impegna, tra l’altro, all’arredo della rotatoria con fornitura di essenze arboree e diverse essenze arbustive, fornite dal vivaio Eden Green e dal consorzio vivaistico Salentino, e la cui messa in dimora sarà ad opera di alcuni detenuti. Stesso sistema per l’aiuola di Piazza Ludovico Ariosto, dove il gestore del bar ha preso in cura un’area verde, e per la rotatoria di Viale della Repubblica/Via Taranto". "Il verde pubblico rappresenta uno degli elementi principali che contribuiscono al miglioramento della qualità della vita del cittadino - spiega l’assessore ai Lavori Pubblici, Gaetano Messuti - ed è proprio per questo che l’amministrazione comunale leccese ha puntato sullo sviluppo, cura e fruibilità del capitale verde, chiamando in campo i gestori di esercizi privati e le ditte, che adottando gratuitamente uno spazio verde danno un contributo importante alla sostenibilità e qualità della vita". Potenza: Cosp; in pochi giorni avvenute due risse tra detenuti e ferimento di agenti Ansa, 10 maggio 2014 Negli ultimi giorni nel carcere di Potenza si sarebbero verificati "due gravissimi episodi di risse" tra detenuti, e "ferimenti degli agenti": lo ha reso noto il segretario del Coordinamento sindacale penitenziario (Cosp), Domenico Mastrulli. Secondo il Cosp, "sarebbe opportuno poter pensare a un avvicendamento generazionale dei vertici nella sede penitenziaria", e a "una realizzazione della "Cittadella della giustizia lucana" con nuova costruzione di un penitenziario dagli standard europei". Mastrulli ha infine denunciato "l’insostenibile situazione strutturale del carcere di Potenza, con una popolazione detenuta ritenuta fuori dagli standard numerici tollerabili, che continua per una probabile discutibile gestione detentiva a creare continue fibrillazioni e consequenziali fatti di clamore mediatico". Terni: in carcere apre la moschea dedicata ai detenuti musulmani Il Messaggero, 10 maggio 2014 Una moschea dedicata ai momenti di preghiera per le persone detenute di religione musulmana è stata inaugurata all’interno del carcere di Sabbione. Da anni presta la sua assistenza presso l’istituto ternano, come ministro di culto, l’Imam - El Hachmi Mimoum responsabile dell’Associazione Islamica di Terni - che segue costantemente i gruppi di preghiera a cui partecipano numerosi i musulmani detenuti. Considerato che non esisteva uno spazio adeguato dove riunirsi - fino ad oggi è stata utilizzata una saletta destinata ai colloqui visivi dei detenuti - l’Imam ha proposto di individuare un locale e trasformarlo in una piccola moschea, proposta accolta positivamente dal direttore, Chiara Pellegrini e dal comandante della penitenziaria, Fabio Gallo. "Nonostante l’importante ed impegnativa trasformazione che l’istituto ternano sta affrontando in questo periodo, a seguito dell’assegnazione di popolazione detenuta appartenente al circuito detentivo Alta Sicurezza - sottolineano Pellegrini e Gallo - abbiamo comunque voluto mantenere l’impegno assunto da diverso tempo con l’Imam, mettendo a disposizione di coloro che confessano la religione mussulmana uno spazio adeguato". Roma: seminario a Rebibbia "Il senso della pena ad un anno dalla sentenza Torreggiani" Adnkronos, 10 maggio 2014 "Il senso della pena. Ad un anno dalla sentenza Torreggiani della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo". È questo il titolo del seminario che si svolgerà il 28 maggio nella Sala teatro della Casa circondariale di Rebibbia proprio in occasione della scadenza del termine dato all’Italia dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per risolvere il problema del sovraffollamento carcerario. Il seminario sarà un’importante occasione di confronto per fare il punto sulle misure adottate e da adottare al fine di fronteggiare la drammatica situazione delle carceri italiane. All’evento, organizzato dall’Associazione Italiana dei Costituzionalisti e dal Master di secondo livello "Diritto Penitenziario e Costituzione" dell’Università degli Studi Roma Tre, con il patrocinio del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, parteciperanno, tra gli altri, il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, il presidente della Corte Costituzionale, Gaetano Silvestri, un membro del Csm, Glauco Giostra, il presidente del Consiglio europeo per la cooperazione nell’esecuzione penale ed ex Presidente del Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura, Mauro Palma, l’ad di F2i, Vito Gamberale e il presidente dell’Associazione Italiana dei Costituzionalisti, Antonio D’Atena. Per partecipare al seminario, durante il quale si svolgerà anche un dibattito aperto alla partecipazione di una rappresentanza dei detenuti del carcere di Rebibbia, è necessario registrarsi, inviando entro il 18 maggio l’apposita scheda all’indirizzo alessia.cantarella@uniroma3.it. La scheda di partecipazione e informazioni ulteriori sull’evento, il cui curatore dell’organizzazione è il professore ordinario di Diritto Costituzionale presso l’Università Roma Tre, Marco Ruotolo, sono reperibili sul sito www.dirittopenitenziarioecostituzione.it. Ancona: diritti e situazione carceraria, se ne discuterà in due incontri a Jesi e Moie www.viverejesi.it, 10 maggio 2014 Lunedì 12 maggio si terranno due incontri in cui si parlerà di diritti e situazione carceraria, organizzati da Antigone - Marche, aperti alla cittadinanza. Il primo si svolgerà a Jesi alle 15.00 presso la Fondazione Colocci (sede dell’Università) ed è promosso insieme all’Associazione forense Jesina, oltre a Fondazione Colocci e Università di Macerata. Interverranno il prof. Stefano Anastasia (Università di Perugia), l’avv. Roberto Bruni (Unione camere penali), il prof. Andrea Tassi (Università di Macerata). Titolo dell’incontro: L’Europa ci guarda: condizioni di detenzione e Dl Carceri". Il secondo appuntamento è previsto per la serata, alle ore 21.00, presso la Biblioteca La Fornace di Moie, organizzato con la collaborazione del Gruppo Solidarietà. Stefano Anastasia presenterà il Rapporto annuale di Antigone sulle condizioni di detenzione in Italia (ed. Gruppo Abele) e il suo libro "Metamorfosi penitenziarie" (ed. Ediesse). In questo periodo particolare è di grande attualità la questione del carcere e più in generale la questione del rapporto tra cittadino e l’autorità pubblica; diverse volte l’Italia è stata condannata dalla Corte di giustizia europea e la legislazione di questi ultimi anni in materia di diritti della persona è stata a più riprese censurata dalla Corte costituzionale (droga, immigrazione); a ciò si aggiungano fatti di cronaca che hanno posto in drammatica evidenza la delicatezza delle questioni che riguardano il comportamento dei pubblici poteri nei confronti di cittadini e non, come pure la discussione attorno a riforme in atto - peraltro collegate a precisi impegni internazionali - quali l’introduzione del Garante nazionale dei detenuti e l’introduzione del reato di tortura. Avvocati, università ed associazioni intendono in questo modo sottolineare l’importanza delle questioni in discussione (per la salute della nostra democrazia e per la vita quotidiana di tutte le persone) e proporre alla cittadinanza alcuni elementi di riflessione per consolidare la conoscenza dei temi e le opinioni al riguardo. Verbania: inizia oggi il Corso di formazione "Dentro e fuori dal carcere, restiamo umani" www.verbanianotizie.it, 10 maggio 2014 Riceviamo e pubblichiamo, un comunicato dell’iniziativa formativa "Dentro e fuori dal carcere: Restiamo Umani", organizzato dall’Associazione Camminare Insieme, che si svolgerà presso il Centro S. Francesco di Verbania, nelle date del 10 e 24 maggio 2014. La situazione delle carceri italiane è al collasso sia per quanto riguarda le leggi punitive approvate nell’ultimo ventennio sia per l’incuria in cui sono mantenuti i luoghi di detenzione. È urgente e non più procrastinabile una consapevolezza della situazione carceraria sia da un punto di vista istituzionale, legislativo, culturale ma soprattutto umano. A tale scopo l’Associazione Camminare Insieme sente forte l’esigenza di istituire momenti di confronto e discussione sul tema della situazione carceraria italiana e si fa promotrice di un percorso formativo gratuito aperto non solo ai soli volontari, ma alla cittadinanza intera al fine di sensibilizzare la comunità verbanese in un processo di auto consapevolezza e responsabilizzazione.? "Dentro e fuori dal carcere: restiamo umani" è il titolo del Corso di formazione che si terrà nelle giornate di sabato 10 e 24 maggio, presso il Centro S. Francesco a Verbania. Nel corso della prima giornata verranno affrontati temi di carattere tecnico informativo sulla esecuzione delle pene dentro e fuori dal carcere e sulle novità legislative al riguardo. La seconda giornata invece verterà su temi di tipo relazionale, come il ruolo del volontario, il suo atteggiamento mentale e la gestione di brevi occasioni di relazione. Interverranno nelle vesti di relatori gli avvocati Daniela Ronco e Giovanni Torrente dell’Associazione Antigone e lo psicologo Ludovico Grasso dell’Ufficio per l’esecuzione penale esterna (Uepe) di Verbania. "Camminare insieme" si è costituita nel 2001 come Associazione di volontariato Onlus, su impulso dello scomparso Don Donato Paracchini, allora cappellano della Casa Circondariale di Verbania. L’elenco delle attività svolte dall’Associazione è vario ed è anche variato nel tempo a seconda delle necessità e della possibilità di fornire determinate prestazioni, sempre orientate sia al riscatto sociale e morale del singolo detenuto all’interno dell’Istituto di pena, sia incoraggiando il mantenimento dei legami familiari ed affettivi. L’Associazione, oltre a sopperire alle esigenze materiali immediate dei detenuti, ha anche curato la ristrutturazione ed il funzionamento della biblioteca interna ed ha promosso progetti di sostegno scolastico e universitario per persone con problemi di giustizia. Per info: camminareinsieme2011@gmail.com. Saluzzo (Cn): "Più stelle, meno sbarre", grandi chef in carcere per un’iniziativa benefica www.gamberorosso.it, 10 maggio 2014 Da Pino Cuttaia a Enrico Crippa, saranno otto in totale gli chef che sono stati reclutati dall’associazione Sapori Reclusi e che cucineranno, il 19 maggio, nella Casa di Reclusione Rodolfo Morandi a Saluzzo, in Piemonte. Otto grandi chef tra le sbarre, non si tratta di uno scoop di cronaca, ma di Più Stelle, Meno Sbarre, l’iniziativa benefica organizzata dall’associazione Sapori Reclusi nella Casa di Reclusione Rodolfo Morandi di Saluzzo, in provincia di Cuneo. In programma per il 19 maggio, quella che andrà in scena non sarà solo una cena, ma una concreta operazione che ha come obiettivo il reinserimento sociale dei detenuti. Ed è così che chef e detenuti lavoreranno insieme per creare una cena che sarà la sera e che servirà a finanziare un percorso di formazione e lavoro promosso dall’Associazione Sapori Reclusi: "Stampatingalera", un corso di stampa Fine Art attivato nei mesi scorsi presso la Casa di Reclusione di Saluzzo grazie al sostegno della Compagnia di San Paolo.Nel corso della giornata si terrà un vero corso di cucina in cui i detenuti si confronteranno con le competenze culinarie di Nicola Batavia, che presenterà "The egg marinato by Birichin", dal nome del suo rinnovato locale; Maurilio Garola, con un tributo al territorio come "Omaggio alla razza piemontese: millefoglie di filetto di fassone, burrata, la nocciola e il suo olio", il "Panino di fragola e fegato grasso" sarà l’opera di Davide Palluda, mentre Andrea Ribaldone proporrà un "Minestrone freddo di verdure". Pino Cuttaia, ospite siciliano, offrirà un’incursione nei profumi marini con il "Baccalà alla pizzaiola all’affumicatura di pigna", mentre Enrico Crippa propone il "Risotto al Castelmagno". I dolci saranno invece affidati a Ugo Alciati che presenterà la "Meringa con battuto di fragole" e a Paolo Reina con il suo "Micuit al profumo d’arance e cioccolato amaro". Anche per il servizio è stato previsto un intervento speciale: a occuparsi dei tavoli saranno i giovani studenti dell’Istituto Professionale Alberghiero Virginio Donadio di Dronero, capitanati dal loro professore di sala. Zanotto Vigneti offrirà l’Extra Brut per l’aperitivo che si terrà nelle sale del laboratorio birraio interno al carcere messo a disposizione dall’associazione Pausa Caffè. Mentre gli assaggi di piada fritta e la piccola degustazione di birre è curata da Fresco Piada, l’azienda riminese di piade artigianali. A Ceretto, Coppo, Milazzo, Oddero, Sordo il compito di accompagnare le ricette degli chef con i loro vini. Non solo: insieme ad altre aziende come Albino Rocca e Clerico offriranno alcune magnum di Barolo per l’asta di beneficenza finale condotta da uno dei più noti e poliedrici musicisti nostrani: il trombettista, musicista e cantante Roy Paci. "Non è la prima volta che partecipo a iniziative simili, sono spesso stato coinvolto in eventi che portavano la musica in carcere. Sono molto felice di poter dare il mio contributo anche a questo progetto. Penso di essere fortunato a riuscire a ritagliare fra i miei impegni dei momenti per potermi dedicare a chi vive delle difficoltà. Oltre a poter fare qualcosa per gli altri, queste si rivelano sempre esperienze che mi arricchiscono molto sotto il punto di vista umano". E ancora, piatti e posate biodegradabili saranno offerte da FoodParer, mentre i calici per il vino saranno quelli di Rastal. Gli oli saranno quelli del ligure Roi, che metterà a disposizione anche alcuni cru per l’asta, mentre La Granda fornirà le carni e Eataly Torino il pane. Tra le altre realtà che partecipano a questa iniziativa ci sono PlayAdv per l’allestimento grafico e fotografico della sala, ConGusto Catering che provvederà alle sedie e Palazzo Righini di Fossano che ospiterà alcuni degli invitati alla cena. A chiudere la serata, i liquori biologici di Laboratorio Origine, il primo produttore di Vodka italiana certificata da agricoltura biologica che metterà anche un Jeroboam di Vodka 0.1. Teatro: i detenuti di Marassi in scena, la presentazione di "Amleto" al Teatro dell’Arca di Alice Martinelli Il Secolo XIX, 10 maggio 2014 Saliranno sul palcoscenico del Teatro della Tosse dal 13 al 18 maggio. Sono i detenuti della compagnia "Scatenati" che questa mattina, si sono seduti sulle poltroncine blu del teatro dell’Arca, struttura interna al carcere di Marassi per la presentazione del loro spettacolo. "Amleto". "È uno spettacolo di qualità - ha commentato Salvatore Mazzeo, direttore della casa circondariale - come amministrazione abbiamo creduto molto al progetto del teatro in carcere, volevamo creare un ponte tra interno ed esterno. E ce l’abbiamo fatta, anche se ci sono state molte difficoltà". Lo spettacolo metterà insieme attori professionisti e detenuti, che replicheranno per i ragazzi dei licei di Genova, circa 3mila giovani in tutto, alle 11.30 della mattina e alle 16.00 di domenica 18 maggio. Lo spettacolo alla Tosse sarà invece alle 20.30. "Durerà un’ora e mezza, abbiamo cercato di sfrondare il testo di tutte le parti accessorie concentrandoci sulla tragedia - spiega Sandro Baldacci, direttore artistico - partendo dal monologo di Amleto e concentrandoci sul suo incubo che trascina tutti verso la fine". "È stata un’esperienza bellissima - ha commentato Igor Chierici, attore professionista nel ruolo di Amleto - con i ragazzi della compagnia prima ci siamo quasi un pò studiati, poi siamo diventati attori-amici. Il teatro è meraviglioso per questo perché rende amici, colleghi e complici"". L’iniziativa è promossa dall’Associazione Teatro Necessario Onlus, grazie al sostegno della fondazione Carige e San Paolo. Il Teatro dell’Arca è quasi completato mancano alcuni interventi e l’agibilità. "La settimana scorsa non c’erano nemmeno le poltrone - dice emozionata Mirella Cannata, presidente della Teatro Necessario Onlus - ce le ha date la parrocchia della Croce Fieschi e gli agenti le sono andate a prendere. Le abbiamo ripulite il 1 maggio, attori, detenuti, volontari. Credo che il teatro abbia questa potenza di creare famiglia". Amleto nasce in cella e vola in palcoscenico, Erica Manna (La Repubblica) Murad, la sera della prima, sarà un uomo libero. Però ha già deciso che tornerà in carcere: per le prove. "Non posso mica abbandonare i miei colleghi - sorride - e poi mi piace, recitare. Vorrei continuare". Le battute, Murad se le è imparate in cella: di notte, "recitavo allo specchio, andavo avanti e indietro e le guardie mi avranno preso per matto!". La cella a Marassi la divide con altri sei, però sul palco "ho il mio spazio. Solo mio". Per lui non sarà solo un debutto, quello di martedì 13 maggio, quando alle 20.30 si alzerà il sipario su "Amleto" di Fabrizio Gambineri e Sandro Baldacci al Teatro della Tosse - fino a domenica 18 maggio, alle 11 e alle 20.30 (domenica alle 16), la produzione di Teatro Necessario Onlus con la Compagnia Scatenati, 19 attori-detenuti e quattro professionisti per portare in scena i dilemmi del principe di Danimarca di William Shakespeare. Sarà l’inizio di una nuova vita: "Quando entri, è come se lasciassi la tua esistenza all’ingresso, congelata - racconta Murad - eppure, adesso, grazie al teatro, è ripartita. E pensare che nel mio Paese, in Palestina, non avevo mai nemmeno visto un palco". E invece eccolo qui: quello del teatro dell’Arca, costruito dagli stessi detenuti all’interno delle mura del carcere di Marassi, ormai quasi pronto. "Proprio dove c’era solo terra e spazzatura - sorride il direttore del carcere Salvatore Mazzeo - mentre adesso si potrà fare cultura: questo è un ponte verso l’esterno. Un luogo di crescita". La scommessa era impegnativa: portare in scena "Amleto", "l’apice della letteratura teatrale mondiale - spiega il regista, Sandro Baldacci - rappresentarne l’incubo, il suo gioco sadico che trascina tutti verso la tragedia finale". Con un gruppo di detenuti, quasi tutti stranieri, quasi tutti senza la minima esperienza, a confrontarsi con quattro attori professionisti: "Eppure, dopo pochi minuti, le differenze sono saltate - racconta Igor Chierici-Amleto, "outsider" insieme a Giordana Faggiano (Ofelia), Federico Luciani (Laerte) e Carola Stagnaro (Gertrude) - in un attimo eravamo diventati un gruppo di attori. E di amici". In scena non ci sono etichette: ci sono i "veterani", che hanno già recitato l’anno scorso in "Romeo e Giulietta", come Paolo (Polonio) e Ciro (il comico). C’è Andy, che interpreta il becchino e racconta come all’inizio fosse terrorizzato a salire sul palco, e poi Luca, il re, Pino, che fa il muratore e si è fatto in quattro. "Il gruppo è diventato una famiglia" dice Mirella Cannata, presidente di Teatro Necessario Onlus, anima dell’esperienza che ha portato alla costruzione del Teatro dell’Arca all’interno del carcere di Marassi. E si commuove. E dopo? I progetti sono tanti. "Un corso di cinematografia, con la realizzazione di un film da "Richiamo per fagiani" con i detenuti come protagonisti - spiega Igor Chierici - un po’ come "Cesare non deve morire". Intanto, il debutto. Per Murad, l’esame di maturità a giugno. E agli altri, restano le parole di Amleto: "Posso essere rinchiuso in un guscio di noce e sentirmi padrone di uno spazio infinito". Cinema: ieri a Rebibbia proiezione de "L’altra metà del cielo", di Maria Laura Annibali www.romatoday.it, 10 maggio 2014 L’Associazione DiGay Project (Dgp) ieri per la prima volta in un carcere maschile con il documentario realizzato dalla presidente Maria Laura Annibali, con la regia di Salima Balzerani. "L’altra altra metà del cielo", in cui l’autrice intervista se stessa e altre donne omosessuali. La proiezione, unica nel suo genere, nasce grazie al lavoro pregresso e presente di molte persone: la direttrice del Dipartimento dell’ormai scomparso Ministero per le Pari opportunità, la consigliera Patrizia De Rose, il direttore generale del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria (Dap) Giovanni Tamburino e il garante dei detenuti del Lazio, l’avvocato Angiolo Marroni - firmatari nel 2012 di uno specifico protocollo d’intesa per la prevenzione e il contrasto della violenza e discriminazione nei confronti delle persone lgbt in regime di detenzione. Alla proiezione sono intervenuti la presidente Dgp e autrice del docufilm Maria Laura Annibali, Imma Battaglia, consigliera Sel di Roma Capitale, Antonella Montano, psicoterapeuta, direttrice Istituto T. Beck, ed Edda Billi, presidente onoraria Associazione Federativa Femminista Internazionale. "Sono già due gli incontri che ho fatto nella sezione femminile del carcere di Rebibbia, rispettivamente il 7 novembre ed il 3 dicembre 2013 - dichiara l’autrice, Maria Laura Annibali - e portare questo documentario in una casa circondariale è per me un successo: ma farlo per la prima volta in un carcere maschile è un piccolo atto di coraggio. Indica che un percorso importante è stato avviato, grazie al lavoro di associazioni come la nostra e grazie soprattutto alla sensibilità delle tante figure che hanno sostenuto e permesso questa iniziativa. Da persona profondamente cristiana e da attivista volontaria per i diritti, voglio essere vicina a chi soffre col mio umile contributo di documentarista lgbt. Questa, unita alle precedenti occasioni, è certamente una delle più belle esperienze umane della mia vita, che mi commuove e allarga il cuore, seguendo quel filo sottile - come direbbe Edda Billi - che separa le nostre fragili libertà da quelle infrante dei detenuti. Perché parlare di lesbismo in un carcere maschile? Per restituire a questi uomini l’immagine della realtà di un mondo - il nostro - spesso sconosciuto anche fuori dal carcere e per questo carico di pregiudizi, che noi con queste iniziative vogliamo contribuire a dissipare, con l’auspicio, nel tempo, di riuscire a costruire una realtà più inclusiva rispetto a tutte le forme in cui possono declinarsi l’identità e la diversità". Cinema: "Le stanze aperte", di Francesco e Maurizio Giordano, un docu-film sugli Opg di Valentina Soria www.popoff.globalist.it, 10 maggio 2014 L’umanità e l’orrore degli Ospedali psichiatrici giudiziari in un racconto verità. Emozionante proiezione del docufilm di Francesco e Maurizio Giordano a Scampia. Le vite interrotte degli internati raccontati in un film. "Le stanze aperte", di Francesco e Maurizio Giordano, nasce da un lavoro durato sei mesi all’interno dell’Opg (ospedale psichiatrico giudiziario) di Secondigliano, dove nel 2009 ha avuto luogo il trasferimento dei detenuti dalla sede di S. Eframo, ritenuto inagibile. "Sono rimasta molto sorpresa. Non pensavo che dietro quelle persone, considerate "diverse" dal senso comune, ci potesse essere tanta profondità emotiva e umana". Queste le parole della giovane Stefania Fusco, una delle spettatrici che hanno affollato la sala del centro Caritas, visibilmente commossa ed emozionata. "È un film che tocca le nostre corde più profonde e stimola una riflessione che non finisce al termine della pellicola", così Ciro, un piccolo commerciante di Scampia. Nel film, la rappresentazione della realtà è affidata a immagini riprese da una macchina che guida l’occhio dello spettatore grazie ad un montaggio invisibile, ma onnipresente, fuori dal linguaggio convenzionale. Al centro l’uomo e le sue mutevoli sfaccettature, pur se si tratta di un’umanità "altra", quella degli internati. Unico attore professionista Vincenzo Merolla, che ha potuto lavorare insieme agli internati e con loro ha creato quasi una simbiosi, rendendo perfettamente la loro condizione. Il film nasce dall’idea di trasporre in immagini alcune storie, a testimonianza di esistenze ignorate o anonime, eppure straordinariamente vive e capaci di vivere ancora, magari in modo diverso. Racconta Francesco Giordano: "L’idea nasce proprio dalla chiusura per legge degli ospedali psichiatrici giudiziari italiani. Problematica che rappresenta ancora una piaga a causa del lento processo di dismissione delle strutture. Le strutture erano sei in Italia e a Napoli c’era quello di S. Eframo. Era un istituto altamente funzionante. Così, almeno fino al 2009, anno del provvedimento che programmava una dismissione progressiva degli Opg, con data ultima aprile 2014, termine prorogato a maggio 2015. Proprio nel 2009 i detenuti furono trasferiti nell’ala destra del carcere di Secondigliano, e proprio lì è stato girato il film ed è avvenuta la prima proiezione". La sceneggiatura è stata scritta da Giuliana Del Pozzo: "A telecamere accese, e in qualità di documentarista, mi sono introdotta nell’edificio entrando in contatto con i protagonisti, per poter apprendere le vicende quotidiane di una realtà separata dal reale da un perenne muro. Dalla testimonianza che ne ho raccolto ho costruito un filone narrativo che parte dall’apporto quotidiano dei detenuti all’interno del carcere, ma anche dalla possibilità di un ritorno a casa, con tutti i cambiamenti anche emotivi che ciò comporterà". Il protagonista del film è Enzo Arte, interpretato da Vincenzo Merolla. Un personaggio volutamente contraddittorio, nel quale convivono faticosamente sogno, realtà e follia. Egli vive in modo personale il legame tra la precedente struttura di S. Eframo e quella attuale di Secondigliano. Di qui l’inizio della storia attraverso la sua testimonianza. L’opera costituisce, quindi, un film di finzione girato con tecnica documentaristica: i personaggi del film, reali o costruiti, non possiedono una fisionomia psicologica e relazionale propria, ma sono identica espressione e manifestazione di più personalità, segno tangibile dell’anonimato a cui la loro condizione li condanna realmente. Il taglio documentaristico è poi avvalorato dal fatto che l’azione si svolge quasi tutta all’interno del carcere e che le linee guida del film, anche se lateralmente, suggeriscono agli spettatori interrogativi a cui la coscienza civile non può sottrarsi. Gli autori non lo hanno fatto. I registi sono stati in stretto contatto con le persone detenute. Hanno creato un laboratorio e hanno formato e individuato chi potesse lavorare per le riprese, le luci, l’audio e per la produzione del film. Gli attori, la troupe tecnica e i truccatori, a esclusione dell’attore protagonista e di quelli scelti per le scene esterne al carcere, sono detenuti e internati, infermieri, educatori, agenti di polizia penitenziaria e il frate cappellano. Un’opera certamente non convenzionale, che dal punto di vista filmico e del linguaggio tenta una strada alternativa al tradizionale film sulle carceri italiane. "Occorre sottolineare il merito di un lavoro che nei momenti più alti assume un aspetto onirico, spiazzante, inaspettato, dovuto anche all’uso di versi e di musiche sinfoniche classiche, in rapporto ad un contesto affatto armonico. Da Alda Merini a Shakespeare, dalla Genesi a Vivaldi, passando per Bob Marley". Così Francesco Giordano, visibilmente soddisfatto illustra gli aspetti tecnici e stilistici più caratteristici del film. "Il titolo è stato scelto da un internato, perché in questa struttura le celle sono aperte tutto il giorno e chi vuole può uscire e passeggiare nei corridoi come nei reparti ospedalieri. C’è poi il lavoro vero e proprio. Molti di loro si occupano della serra o di altre attività. Altri non ci riescono". Un’esperienza unica per gli autori del film, ma anche complessa, sia da un punto di vista burocratico, per ottenere i permessi, che psicologico. "Devo riconoscere la particolarità dell’approccio con i detenuti. La loro reclusione ha un qualcosa di singolare, caratterizzata in alcuni casi da un "fine pena mai". Lavorare con loro significa arricchirsi di un’esperienza umanamente incredibile, sotto tutti i punti di vista. Abbiamo assistito a racconti disarmanti di chi sa già, una volta a casa, di non poter essere considerato accettato dalla propria famiglia, chi ha provato sulla propria pelle il rifiuto, la discriminazione, l’impossibilità di sentirsi al sicuro, e che, una volta libero, ha bussato di nuovo a quelle stesse porte", aggiunge il regista. I registi napoletani Francesco e Maurizio Giordano, la sceneggiatrice Giuliana Del Pozzo e una fotografa dopo la premiazione del film, vincitore del premio "Parole, immagini, suoni. Squarciare i silenzi". Fondamentale il ruolo guida dell’attore protagonista Vincenzo Merolla, un punto di riferimento per tutti gli attori detenuti. "Quest’esperienza mi ha dato quel che mi mancava dal punto di vista umano e professionale. Ho trascorso molte ore del giorno con loro, nelle celle, concentrandomi su un internato in particolare e cerando di carpire il limite della loro libertà". Vincenzo, ha la voce rotta dall’emozione nel ripensare ai momenti vissuti durante le riprese del film. "Gli internati mi chiamavano "maestro". Mi trattavano con gentilezza. La loro naturalezza è disarmante. Io non so chi sono stati prima di entrare nell’Opg, né se riusciranno mai ad essere altro, né se diventeranno diversi da quello che sono oggi. Il ciclo della loro vita resta in parte aperto, a mio avviso, sempre. Quella realtà nuova mi ha riempito, e forse arricchirebbe umanamente molti altri, se solo avessero il coraggio di confrontarsi con l’alterità, che in quanto tale fa paura". La problematicità del diverso è una tematica centrale nel film. Sottolinea Giordano: "È un problema atavico siamo arrivati ad un bivio: o riconosciamo l’altro perché diverso da me o siamo destinati a sbranarci vicendevolmente, soprattutto oggi con un’interconnessione globale sempre più potente". Il docu-film, prodotto dalle associazioni Ved e Baruffa Film, ha ricevuto il premio "Parole Immagini Suoni. Squarciare i Silenzi", proprio per essere riuscito a porre l’attenzione su una tematica troppo spesso lasciata ai margini. Il film ha inoltre visto la diffusione in diversi circoli e cineclub. "È la prima volta che assisto a un film girato all’interno di un ospedale psichiatrico giudiziario e non pensavo potesse essere un’esperienza così umanamente stimolante", racconta Maria Gargiulo, educatrice nel carcere di Avellino, che ha assistito ad una delle proiezioni del film organizzate nel centro Caritas diocesiano di Scampia. "C’è troppo pregiudizio sui cosiddetti "malati di mente". Questo ci impedisce di squarciare il velo dell’ipocrisia che attanaglia la nostra società. I registi del film sono riusciti con sensibilità e professionalità a dar voce al silenzio". Cinema: un cortometraggio e un documentario realizzati nella Casa circondariale Padova www.nordest.news.it, 10 maggio 2014 "Coffee, Sugar and Cigarettes" e "A tempo debito", un cortometraggio e un documentario realizzati nella casa circondariale di Padova. Una mini troupe che entra nella casa circondariale di Padova per vivere a contatto con i detenuti e realizzare, con loro, un cortometraggio, "Coffee, Sugar and Cigarettes", e un documentario, "A tempo debito": è questo il progetto realizzato dalla casa di produzione padovana Jengafilm che ha coinvolto 15 detenuti della casa circondariale Due Palazzi. "Coffee, Sugar and Cigarettes": il cortometraggio Un vero e proprio viaggio, delicato e autentico, in una realtà umana e sociale poco nota: quella della casa circondariale, dove sono detenute le persone in attesa di giudizio, in condizioni psicologiche e logistiche molto più dure di quelle del carcere. "Coffee, Sugar and Cigarettes" è il risultato di un percorso didattico che ha coinvolto i detenuti selezionati in carcere con un vero e proprio casting. Il gruppo di lavoro, composto da 15 detenuti provenienti da 7 paesi, ha frequentato un corso di sceneggiatura e recitazione due volte a settimana a partire da ottobre: una vera full immersion nel mondo del cinema che ha dato loro un momento di distrazione, ma anche una formazione che potrebbe loro tornare utile, anche in considerazione di un talento autentico che alcuni di loro hanno scoperto di possedere. Il lavoro di scrittura è stato effettuato con la supervisione degli educatori e degli psicologi del carcere in modo da adeguare il lavoro alla personalità di ciascun detenuto. Il cortometraggio presentato oggi ai giornalisti, e visto in anteprima dai detenuti il 10 Aprile scorso, ha ottenuto un contributo dal Fondo Regionale per il cinema della Regione Veneto, come progetto di sviluppo cinematografico. "A tempo debito": il documentario Altro risultato di questa esperienza è il documentario "A tempo debito", 60 minuti per raccontare il dietro le quinte di questa produzione e l’incontro tra i ragazzi e il cinema attraverso 5 mesi di vita dietro le sbarre. Cinque mesi di vita di un gruppo. Il gruppo di detenuti che cresce lezione dopo lezione. La telecamera che racconta i momenti più divertenti, quelli più significativi, ma anche quelli più critici quando la realizzazione del corto sembrava una chimera. Il percorso segue le storie dei detenuti, la loro testimonianza da attori e da uomini. Con loro ci sono gli educatori che lavoreranno dietro le quinte per tarare il corso al meglio. Ci sono poi gli ospiti, non sempre abituati al carcere, che scoprono la gioia di condividere una mini esperienza con i detenuti, dimenticando subito di far lezione in carcere, perché quando inizia la lezione l’aula è sempre e solo l’aula. "A tempo debito" è Il making of del corto e racconta con umanità e a volte con ironia i momenti più belli di questo percorso condiviso. "A tempo debito" in alcuni dei più importanti festival italiani e stranieri. Dice Christian Cinetto, regista del documentario e del corto: "Per qualsiasi persona portare a termine un’impresa, anche piccola, rappresenta una sfida. In una casa di reclusione, terminare un percorso, ha il sapore della conquista. Non importa il valore del risultato, ma importa la costanza, il non cedere, il riuscire a dimostrare a se stessi giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, che ce la si può fare. Guardarsi indietro e sapere di avere concluso un percorso settimana dopo settimana, è un modo per dare speranza." Per sostenere economicamente la produzione del documentario "A tempo debito", Jengafilm ha deciso di approcciare uno strumento conosciuto e spesso utilizzato con successo nel campo del cinema: il crowd-funding. Si tratta di una raccolta fondi dal basso che mette in atto un vero e proprio finanziamento collettivo del documentario. I contributori riceveranno in cambio delle "ricompense" a seconda della cifra donata: l’entrata libera alla prima, il blue-ray o una maglietta di A tempo debito. La cifra necessaria per la realizzazione di "A tempo debito" è di 30.000 €: è possibile contribuire alla campagna attraverso l’indirizzo www.igg.me/at/atempodebito da oggi fino al 21 giugno. Il Regista Christian Cinetto nasce a Padova nel 1975, si forma cinematograficamente tra Roma, Bolzano, Berlino e Londra. Dal 2005 realizza come autore e regista opere di fiction, videoclip, pubblicità, documentari e nuovi format per la TV e il web. Nel 2009 fonda, con Marta Ridolfi, Jengafilm, casa di produzione di film e storie audiovisive. Ha collaborato tra gli altri con Red Bull, Sky sport, Comedy Central. Ha fondato il Festival di Cortometraggi Corti a Ponte di cui è stato direttore artistico dal 2009 al 2012 Ha tenuto corsi di filmmaking nelle scuole e, dal 2008 al 2012, all’Università dell’Insubria. I cortometraggi Legami di pezza, Parallels e il documentario l Ragazzi delle banche sono stati selezionati da diversi Festival nazionali ed internazionali. Il mini documentario realizzato alla casa circondariale di Padova nel 2012, Musica oltre le barriere, attualmente in distribuzione, è stato finora selezionato da 20 Festival, tra cui il Festival Internacional de Derechos Humanos y Cine, Venezuela. Docenti d’eccezione Al progetto presso la Casa Circondariale hanno partecipato tre ospiti di eccezione: Giovanni Covini, vincitore di un David di Donatello e un basto d’argento, filmmaker e docente alla scuola Paolo Grassi di Milano; Giorgio Sangati, attore e regista teatrale, diplomato al Piccolo di Milano e assistente di Luca Ronconi; e Angelica Leo, attrice, protagonista della serie Boris e, tra gli altri, Come Dio comanda di Salvatores. Venezuela: Human Rights Watch denuncia gravi abusi da parte delle forze di sicurezza Il Velino, 10 maggio 2014 Le forze di sicurezza venezuelane hanno usato illegittimamente la forza per rispondere alle dimostrazioni antigovernative delle scorse settimane, picchiando gravemente i manifestanti disarmati e sparando a bruciapelo. Questa l’analisi di Human Rights Watch, l’organizzazione non governativa internazionale che si occupa della difesa dei diritti umani, contenuta in un rapporto pubblicato lunedì. Le forze di sicurezza del paese hanno inoltre sottoposto i detenuti ad abusi fisici e psicologici gravi, compresa, in alcuni casi, la tortura. Il rapporto di 103 pagine "Puniti per aver protestato" documenti 45 casi che hanno coinvolto più di 150 persone, nei quali le forze di sicurezza hanno abusato dei diritti dei manifestanti e hanno anche permesso a bande armate filo-governative di attaccare i civili disarmati, in alcuni casi collaborando apertamente con le bande. Si tratta, ha spiegato Josè Miguel Vivanco, direttore regionale di Human Rights Watch, dei peggiori abusi "che abbiamo visto in Venezuela negli anni". Human Rights Watch ha effettuato un’indagine conoscitiva in Venezuela nel mese di marzo, visitando Caracas e gli stati di Carabobo, Lara e Miranda, e conducendo decine di interviste con le vittime di abusi, le loro famiglie, i testimoni, medici, giornalisti, avvocati e difensori dei diritti umani. Nel corso dell’indagine sono state anche raccolte ampie prove materiali, tra cui fotografie, filmati, referti medici, decisioni giudiziarie e rapporti governativi. L’ong rileva che "non c’è dubbio che alcuni manifestanti hanno usato violenza, anche lanciando pietre e bottiglie molotov contro le forze di sicurezza". Tuttavia "le forze di sicurezza venezuelane hanno ripetutamente usato la forza contro persone disarmate e non violente". Inoltre "la natura e la tempistica di molti degli abusi suggerisce che il loro scopo non era quello di far rispettare la legge o disperdere le proteste, ma piuttosto di punire le persone per le loro opinioni politiche". "È fondamentale per i leader dell’opposizione - ha aggiunto Vivanco - continuare a respingere qualsiasi atto di violenza da parte di manifestanti, e di farlo nel modo più chiaro possibile. Ma cerchiamo di essere chiari, nulla giustifica le azioni brutali da parte delle forze di sicurezza venezuelane". "Ai detenuti con feriti gravi - come ferite da proiettili di gomma o ossa rotte dalle percosse - è stato negato o ritardato l’accesso alle cure mediche, aggravando la loro sofferenza nonostante le loro ripetute richieste di vedere un medico" si legge ancora nel documento. "In diversi casi i detenuti sono stati sottoposti a gravi abusi psicologici, come minacce di morte e di stupro". Il Venezuela, ricorda Human Rights Watch, "dovrebbe porre fine a tutte le violazioni dei diritti umani commesse dalle forze di sicurezza nel contesto di proteste e assicurare indagini rapide, approfondite e imparziali sugli abusi che si sono verificati, portando i responsabili davanti alla giustizia". Il governo venezuelano dovrebbe poi "accettare le richieste in sospeso di visitare il paese" da parte degli osservatori delle Nazioni Unite, mentre l’Assemblea Nazionale del paese dovrebbe "ripristinare la credibilità e l’indipendenza della magistratura". Inoltre i governi latinoamericani appartenenti a Unasur, Mercosur e l’Organizzazione degli Stati Americani, dovrebbero mantenere i loro impegni per tutelare e promuovere i diritti fondamentali e per rispettare le istituzioni democratiche". Stati Uniti: Democratici presentano disegno di legge per cambiare l’isolamento carcerario Tm News, 10 maggio 2014 Gli Stati Uniti potrebbero presto cambiare le leggi che definiscono il regime di isolamento in carcere. Un deputato democratico della Louisiana, Cedric Richmond, ha infatti presentato alla Camera un disegno di legge per riformare la materia. Secondo la proposta, una commissione federale dovrebbe valutare caso per caso l’applicazione del regime detentivo, e approvarlo solo in "circostanze estreme e infrequenti". Un procuratore generale dovrebbe invece occuparsi di implementare standard più umani per la pena. Decine di migliaia di americani sono detenuti in isolamento ogni anno. Alcuni lo sono da decenni. Tra aprile e settembre lo stato dell’Ohio ha imposto circa 60.000 ore di prigionia solitaria a 229 ragazzi con problemi di salute mentale, riporta il sito progressista Mother Jones. "È questa pratica coerente con i nostri valori? Io non credo", ha detto Richmond. Il documento indica in trenta giorni consecutivi il periodo massimo di isolamento consentito, tranne in casi estremi di pericolo per il carcere o per lo stesso detenuto. "L’introduzione della proposta ci aiuterà a fare un passo in avanti verso prigioni più umane e a gettare una luce sulle migliaia di esseri umani che soffrono in isolamento prolungato", ha dichiarato Jasmin Heiss, rappresentate di Amnesty International. Stati Uniti: detenuto scarcerato per errore… 90 anni prima della fine della pena Tm News, 10 maggio 2014 Per un clamoroso errore, Rene Lima-Marin, condannato a 98 anni di reclusione nel 2000 per rapina a mano armata, è stato rilasciato nel 2008 in libertà condizionata. Lo sbaglio amministrativo è stato scoperto solo sei anni dopo: si era trattato di un errore nella trascrizione della pena da parte di un impiegato del tribunale. A quel punto Lima-Marin, che nel frattempo si era rifatto una vita, sposandosi e avendo un figlio, è dovuto tornare dietro le sbarre. La famiglia ha deciso di ricorrere in appello. Libia: approvato decreto che permette scambio jihadista con ambasciatore giordano rapito Nova, 10 maggio 2014 Il governo libico ha approvato un decreto che consentirà lo scambio di prigionieri richiesto dai rapitori dell’ambasciatore giordano a Tripoli, Fawz al Atiyani, da settimane in mano ad una milizia islamica. L’esecutivo libico ha infatti approvato l’accordo di scambio di detenuti tra la Libia e la Giordania che consentirà l’estradizione entro tre settimane del detenuto libico arrestato in Giordania e condannato all’ergastolo per terrorismo, la cui liberazione è stata chiesta come contropartita dai rapitori del diplomatico giordano per la sua liberazione. Secondo quanto si legge sul sito internet ufficiale del governo di Tripoli, "è stato approvato il protocollo d’intesa tra il ministero della Giustizia del governo libico e quello del regno della Giordania nel campo dello scambio dei detenuti". I rapitori dell’ambasciatore giordano hanno chiesto la liberazione da parte di Amman del detenuto libico Mohammed Said al Dursi, arrestato sette anni fa nel paese arabo perché coinvolto in un piano di attentati contro l’aeroporto di Amman. Tunisia: ergastolo commutato in pena 3 anni, ministro interno "era Ben Ali" torna libero Aki, 10 maggio 2014 Dopo tre anni di carcere con l’accusa di "omicidio premeditato" è tornato in libertà Rafik Belhaj Kacem, ex ministro dell’Interno all’epoca del rais tunisino Zine El Abidine Ben Ali. Lo ha annunciato il suo avvocato, Emad Bin Halima, nel corso di una conferenza stampa. Secondo l’avvocato, Kacem, che ha scontato la pena, è stato "subito trasferito in un ospedale" a causa delle sue condizioni di salute. Kacem era stato arrestato alla fine del gennaio 2011 per l’omicidio dei manifestanti della cosiddetta Rivoluzione dei Gelsomini, che portò alla caduta del regime di Ben Ali. L’ex uomo forte del rais era stato inizialmente condannato all’ergastolo, ma la pena era stata commutata ad aprile in tre anni di carcere. Lo "sconto" aveva scatenato la rabbia dei parenti delle vittime della repressione del regime.