Giustizia: riforma senza accordi sottobanco, il Guardasigilli nega “inciuci” con la destra di Liana Milella La Repubblica, 6 luglio 2014 Inciucio con Berlusconi? Risponde il Guardasigilli Andrea Orlando: “Domanda originale... ma pensate davvero che siamo ancora lì?”. E poi: “Non sarebbe meglio vedere il merito delle proposte che sono addirittura online?”. Il Guardasigilli uomo della mediazione? “No, Orlando ministro del confronto”. Il Pd e la giustizia? “Il partito sta con me”. Politica e corruzione? “Cantone è il primo passo”. La responsabilità civile? “Non vogliamo mettere sotto schiaffo le toghe”. Le intercettazioni? “Nessun limite alle indagini”. È preoccupato per la “sua” giustizia quando ha sentito del nuovo incontro tra Renzi e Berlusconi? “La nostra linea è rimasta la stessa, chiara dall’inizio. Un accordo alla luce del sole sulle riforme costituzionali e una proposta a tutto il Paese sulla giustizia. I 12 punti sono l’avvio del confronto. I testi on-line sono l’elaborazione collegiale del governo. Ci confronteremo con tutti. Ma non ci sono né tavoli separati, né accordi sotto banco. Se le forze di opposizione, che in alcuni casi abbiamo già incontrato, daranno indicazioni, le accoglieremo solo se le condivideremo, altrimenti manterremo le nostre posizioni di fronte al Paese”. Ha visto le polemiche? C’è già chi parla di inciucio e di un Berlusconi che si batte per norme favorevoli. “Dobbiamo stare ai fatti. Nei colloqui in Parlamento con Forza Italia abbiamo registrato, per ora informalmente, solo indicazioni di carattere generale, ma nessuna richiesta d’intervento specifico”. La sinistra del Pd è in allarme sull’Italicum. Questo peserà sulla giustizia? “Sulle riforme istituzionali inviterei a tenere in considerazione un aspetto. Renzi sta giocando, per conto dell’Italia, una partita europea difficilissima, dove da un lato mette sul piatto la determinazione a fare riforme e costruire un sistema istituzionale più moderno e, dall’altro, chiede un’attenuazione del rigore. La critica ai singoli punti delle riforme è legittima, ma si deve tener conto che, se salta il percorso riformista, s’indebolisce contestualmente la posizione del nostro Paese in Europa. Quanto alla giustizia, dal Pd, non ho mai registrato ripercussioni frutto delle polemiche sulla riforma costituzionale. Anzi, mi pare che gli schieramenti non siano sovrapponibili, e penso di poter dire che la stragrande maggioranza del Pd ritiene necessaria la riforma”. Non avete presentato le norme sulla giustizia per non ostacolare il cammino della riforma costituzionale? “Sarebbe un sospetto fondato se il Parlamento avesse avuto la possibilità di occuparsene dal giorno dopo. Ma le Camere sono gravate dai decreti al punto che si comincerà a discutere quello sulle carceri, necessario per rispondere a Strasburgo, dal 21 luglio. La riforma non si può fare per decreto e richiede tempo per la discussione. Abbiamo preferito una discovery on-line e useremo questi mesi per una consultazione che dia piena trasparenza alle riforme”. Renzi parla degli ultimi 20 di polemiche sulla giustizia come di un “derby ideologico”. Condivide? “La mia sintesi è che la giustizia sia stata usata come un campo di battaglia dalla politica. Sto ai risultati, l’efficienza è calata e tutti i problemi strutturali si sono aggravati. Paradossalmente, ad eccezione della geografia giudiziaria, non sono stati nemmeno risolti i nodi su cui c’era un accordo. Adesso bisogna ripartire da come si restituisce efficienza e funzionalità al sistema”. La lettura di altri è che si sia consumata una profonda aggressione da parte della destra, nella persona dell’ex Cavaliere, contro la magistratura. Si può andare oltre? “Credo di sì. Se finiscono le aggressioni e se si scende dalle barricate, si deve riconoscere che alcune riforme sono necessarie per difendere funzione e autorevolezza della giurisdizione. Molti segnali della magistratura vanno in questa direzione. Non mi illudo che saremo d’accordo su tutto, ma spero almeno che si discuterà solo sul merito”. Lei è un uomo della mediazione, anche con l’Anm. “Doroteo”, dice Renzi che critica le correnti della magistratura. Sbaglia? “Sono un uomo del confronto, non della mediazione a prescindere. Se per anni sono state lanciate grida a distanza, adesso bisogna discutere da vicino. Quando parlo di confronto non mi limito al rapporto con l’Anm. In questi mesi ho tentato di ricucire uno con l’avvocatura, con i magistrati onorari, con il personale amministrativo, con la polizia penitenziaria, tutta gente che ogni giorno fa funzionare la giustizia. Non mi illudo su soluzioni condivise su tutto e da tutti. Ma ridurre la distanza è necessario e possibile. I tempi li abbiamo definiti, poi si deve decidere”. Corruzione, inchieste come Expo e Mose, arresti come Milanese. Può bastare Cantone? O la politica dovrebbe dimostrare una sua grande rivolta morale? “La nomina di Cantone è il primo passo. Bisogna prosciugare il brodo di coltura della corruzione. Non sono sufficienti le norme penali, ma bisogna contrastare alcune prassi nella formazione del consenso, nella gestione del potere, nell’aver consentito la sclerotizzazione di pezzi della burocrazia, nel rispondere alla domanda “chi controlla i controllori”. Venezia ci dice che non c’era solo una politica corrotta, ma anche la corruzione di chi avrebbe dovuto controllare. Considero importante un disciplinare più trasparente per le magistrature speciali”. Le norme anti-corruzione, dalla prescrizione lunga al falso in bilancio, possono ancora aspettare? “No, tant’è che faranno parte del pacchetto, e nei prossimi giorni le proposte su falso in bilancio e auto-riciclaggio saranno messe on-line. Sulla prescrizione stiamo arrivano a una sua puntuale definizione”. Intercettazioni. C’è o non c’è una stretta? “Renzi è stato chiaro. Non si tratta in alcun modo di limitare l’uso delle intercettazioni nelle indagini, tant’è che la scelta del governo non è stata neppure quella di scrivere un testo sulla diffusione. Abbiamo lanciato un appello ai media per cercare insieme un punto di equilibrio tra diritto all’informazione e tutela della privacy”. Testi della riforma on-line, consultazione storica o presa in giro per prendere tempo? “I 12 punti stanno prendendo corpo, stiamo pubblicando i singoli progetti. Per la prima volta un iter normativo non sarà realizzato nel chiuso delle stanze ministeriali, ma sarà l’occasione per un grande processo democratico”. Custodia cautelare, scoppiano le polemiche per il divieto di arresto per pene presunte fino a tre anni. Si rischiano stalker liberi. Come se ne esce? “Con una riforma che valga per tutti. L’arresto preventivo non può essere un’anticipazione della pena e questo lo dice con chiarezza un testo già votato da Camera e Senato. Ma che non consentiva al giudice di verificare l’eventuale pericolosità del soggetto arrestato. Correggeremo la norma in questo senso”. La riforma del Csm influirà sul voto dei togati? Non si rischia di svuotare l’istituzione? “Assolutamente no. Il Csm si svuoterebbe se dovessero proseguire prassi come mantenere sedi vacanti un anno per via delle trattative tra le diverse componenti. Vogliamo dare piena funzionalità al Csm, che è presupposto dell’autonomia e indipendenza della magistratura”. Responsabilità civile. Riforma anti-toghe? “Non faremo norme per mettere sotto schiaffo nessuno, ma per garantire che se un cittadino subisce un danno, dev’essere certo che qualcuno lo risarcirà. Ricordo solo che quando sono state proposte regole che avevano il solo scopo di intimidire la magistratura, noi le abbiamo contrastate”. Giustizia: Orlando; pronto emendamento al decreto carceri, a magistrati potere di dire no Ansa, 6 luglio 2014 Sul decreto detenuti “è pronto un emendamento che restituirà subito al giudice la possibilità, anzi, l’obbligo, di valutare la pericolosità sociale del detenuto”. Lo dice il ministro della Giustizia Andrea Orlando al Secolo XIX in risposta al quotidiano che ha denunciato come il decreto faccia uscire dal carcere anche detenuti accusati di reati pericolosi. “Non è possibile lasciare una materia così complicata agli automatismi, è ovvio che solo il magistrato può comprendere la situazione e decidere per il meglio. Per questo il nuovo emendamento inserirà di nuovo un vaglio molto più attento e scrupoloso di ogni singola posizione”. “Bisogna però guardare - continua il Guardasigilli - anche alle cose nel loro complesso. In una situazione carceraria come quella italiana, dove un terzo dei detenuti è in attesa di una sentenza definitiva, intervenire è un imperativo categorico, anche considerando la situazione di sovraffollamento intollerabile”. Sul decreto per liberare le carceri dal sovraffollamento, spiega Orlando, “non potevamo più aspettare, siamo già riusciti a introdurre dei correttivi al volo, altri ne introdurremo in tempi rapidi per evitare” distorsioni. “Il decreto era l’atto finale della riforma della carcerazione preventiva e non poteva essere cancellato o modificato completamente”. “Il governo è già intervenuto in extremis e ha già inserito la possibilità che chi esce di cella possa andare agli arresti domiciliari”. Lega: governo svuota celle, porteremo vittime a Camere “Il governo sta svuotando le celle sulla pelle dei cittadini. Porteremo le vittime dei reati in parlamento, sono state tradite da Renzi”. Lo dice il deputato leghista Nicola Molteni, capogruppo del Carroccio in commissione Giustizia, commentando “follie e assurdità contenute nel decreto “libera stalker, ladri e rapinatori” operativo dal 28 giugno, che contiene anche il risarcimento dei detenuti. Basta regali ai delinquenti. Mentre aumentano i reati, il ministero taglia risorse a sicurezza e poliziotti - accusa il leghista - approva cinque svuota carceri, assicura oltre 20 milioni di risarcimenti ai criminali, lo sconto del 10% sulle pene e la garanzia di libertà per ladri e scippatori. è il peggior decreto in assoluto: la Lega è pronta ad impedire la conversione in legge di questa vergogna. Occuperemo aule e piazze, porteremo le vittime dei reati in parlamento: la misura è colma. Renzi ha toccato il fondo”, conclude Molteni. Giustizia: carcere inumano e processi infiniti, Marco Pannella scende ancora in battaglia di Marco de Francesco Corriere Veneto, 6 luglio 2014 Giacca anni Ottanta con spalline e bottoni di metallo, camicia portata fuori, jeans, cravatta a macchie di colori sgargianti, tratti approfonditi dall’età, codino incanutito; e poi, frasi ellittiche, il soggetto che scompare per riemergere dopo cinque subordinate, ricordi affioranti, nomi di cinquant’anni fa, buttati lì, come se tutti avessero il dovere morale di conoscerli. Anche a Padova, ieri pomeriggio, Marco Pannella ha dato spettacolo di sé, della propria cultura e del proprio impegno civile. Intervistato dal direttore del Corriere del Veneto, Alessandro Russello, ha parlato soprattutto dei temi che gli stanno più a cuore, e cioè quelli legati alla privazione dei diritti dei detenuti, e alla durata irragionevole dei processi; ma qualcosa di “locai” alla fine lo ha detto. Per esempio, ce l’ha con gli indipendentisti, i Veneti come i Catalani. A suo giudizio, “c’è una speranza contro l’esplosione dei nuovi nazionalismi, quelli che operano su scala provinciale, e che costituiscono un effetto della crisi economica: l’esempio del Dalai Lama (autorità spirituale del buddismo nonché, fino al marzo 2011, capo del governo tibetano in esilio; ndr)”. Sempre secondo Pannella, infatti, il Dalai Lama avrebbe “rinunciato all’indipendenza del Tibet dalla Cina; punta, invece, a democratizzare gli oppressori”. Che poi sono i Cinesi della Repubblica Popolare, che occupa, manu militari, Lhasa dal 1959. “Ora - ha continuato Pannella - i tibetani chiedono autonomia, tanto che han preso a modello lo Statuto del Trentino Alto Adige”. Altro tema riconducibile al Veneto, quello della corruzione. Sì, perché c’è l’Expo, con i soliti imprenditori e la solita classe dirigente, ma c’è anche il Mose. “Finché in questo Paese regna indisturbata l’anti-democrazia - ha spiegato Pannella - non se ne esce. Solo con una democrazia autorevole si può fare qualcosa”. E, per Pannella, la democrazia vera, da noi, non c’è, perché i diritti sono calpestati. In Italia “c’è continua strage di legalità”. Se ne era già parlato ieri mattina, alla conferenza stampa organizzata dal partito Radicale, di cui Pannella, classe 1930, è stato tra i fondatori nel 1955. In questo contesto, l’avvocato Olga Lo Presti del foro di Padova ha descritto la disciplina della legge Pinto per richiedere un’equa riparazione per il danno, patrimoniale 0 non patrimoniale, subito per l’irragionevole durata di un processo. “Il fatto è che i casi di ricorso, sia nel civile che nel penale, aumentano esponenzialmente”. Secondo in radicali, va peggio in altre cose: “In Italia - secondo il segretario nazionale del partito Rita Bernardini - c’è la tortura. In carcere si sperimenta la degradazione. Chi è detenuto ha la certezza che tra il 60% e l’80% dei casi si ammalerà in carcere, per infezioni ed altro”. Secondo Pannella sono “temi rispetto ai quali l’attuale premier Matteo Renzi è perfettamente disinteressato. Non gliene importa niente: sono temi scomodi, non portano consenso, e lui è sempre in tv. Era più interessato Berlusconi”. Un esempio è il caso di Bernardo Provenzano, criminale, dal 1995 al 2006 capo di Cosa Nostra. “Ora è incapace di intendere e di volere. Non riconosce i figli. Ma per la burocrazia deve morire in carcere. Ora: la Chiesa ha abolito l’ergastolo. Renzi no. L’ho incontrato in stazione, a Firenze, e gli ho chiesto se firmava i nostri referendum. Mi ha risposto che per questioni come queste c’è la Camera”. Giustizia: stalker a spasso o innocenti in galera? di Angela Azzaro Il Garantista, 6 luglio 2014 Stalker scarcerati per decreto (come titola il Corriere della sera) o l’ennesimo uso del serissimo tema della violenza sulle donne per aumentare l’allarme sociale? Il dato di partenza è il nuovo decreto per il risarcimento dei detenuti che, tra le altre misure, prevede che “non può applicarsi la misura della custodia cautelare in carcere se il giudice ritiene che, all’esito del giudizio, la pena detentiva da eseguire non sarà superiore ai tre anni”. In questa casistica rientrano anche le accuse di stalking. Il Corriere riporta un esempio. Il giudice chiede a un imputato, a cui non può applicare la custodia cautelare, di non avvicinarsi a casa della moglie, ma quello gli risponde picche perché non sa dove andare. Il risultato è così che l’accusato di stalking deve tornare a casa di colei che molto probabilmente perseguita. Prima andava in galera, adesso può tornare in libertà, colpevole o innocente sia. Si tratta di un caso estremo che però ci aiuta a ragionare. La domanda è infatti: l’unico modo che abbiamo di proteggere le donne è quello di mandare l’uomo in galera (in attesa di sentenza definitiva) oppure esistono altre strade che non siano quelle di una stortura del diritto? È una domanda complicata, perché come ben sappiamo ci sono in gioco le vite di tante donne. Ma proprio per questo il ragionamento va fatto. I magistrati di Milano, da cui parte l’allarme, propongono di modificare il decreto prima che diventi legge, escludendo una serie di reati, tra cui lo stalking. Chiedono cioè di considerare quel reato qualcosa di speciale che richiede una corsia preferenziale. La storia che abbiamo preso in prestito dal Corriere indica però anche un’altra strada: quel marito in attesa di giudizio potrebbe trovare alloggio in una casa famiglia o in una struttura specifica riservata a quel tipo di reati. O ancora, se quel marito vuole proprio tornare a casa perché si dichiara innocente e il giudizio definitivo non è ancora arrivato, si mette la moglie in condizioni di avere una nuova abitazione e, se è il caso, un lavoro che le dia reddito e la sottragga dalla dipendenza dal marito o compagno. Ma mentre sulla strada della custodia cautelare (applicata quindi su una persona che per la Costituzione è innocente) in pochi hanno dubbi, soprattutto a livello istituzionale, le altre due scelte vengono considerate pie illusioni. Eppure sono le due strade che davvero potrebbero intervenire per salvare vite umane e per tentare di cambiare la testa delle persone. Non punizione come vendetta, ma misure alternative che consentano di mettere le vite in salvo, dando anche un’opportunità di cambiare ai violenti. Questo approccio, che in altri Paesi viene perseguito, in Italia non ha spazio. Renzi continua ad ignorare il tema delle Pari opportunità, non tanto dal punto di vista ideologico (non ci interessa qui aprire il dibattito se siano giuste o meno) ma rispetto agli obiettivi che perseguono. Tra questi ci sono i soldi ai centri antiviolenza, di cui non si vede traccia e che pure erano stati stanziati con la legge sul “femminicidio”. Quei soldi dovrebbero servire anche a questo, a creare cultura e politiche concrete contro la violenza sulle donne, senza perdere di vista lo Stato di diritto. Giustizia: Roia (Tribunale Milano); con il “decreto detenuti” fuori anche colletti bianchi di Sandra Fichetti Ansa, 6 luglio 2014 Non solo fuori dal carcere gli stalker e chi si rende responsabile di reati di criminalità da strada. Con il decreto sui risarcimenti ai detenuti ristretti in condizioni inumane, che impone ai magistrati di non applicare la detenzione nei penitenziari se si ritiene che all’esito del giudizio la pena da eseguire non sarà superiore ai tre anni, le porte del carcere si spalancheranno anche per i colletti bianchi, e tutto questo in barba all’esigenza, ricorrente nei reati di corruzione e concussione, di impedire che si possano alterare le prove. A evidenziare anche questo aspetto del problema è il giudice Fabio Roia, presidente della sezione misure di prevenzione del tribunale di Milano, che assieme ad altri colleghi ha lanciato l’allarme sugli effetti della riforma in occasione della visita di tre giorni fa nel capoluogo lombardo del ministro della Giustizia: “anche per i reati contro la pubblica amministrazione, con queste norme, il carcere non si può più applicare e mi chiedo come tutto questo si possa contemperare con l’esigenza di evitare l’inquinamento delle prove”. Ma la preoccupazione principale resta un’altra: il ritorno in libertà di persone socialmente pericolose. Non solo gli stalker e responsabili di maltrattamenti e violenze, “che ora sanno che non andranno più in carcere”, ma anche i responsabili di reati di microcriminalità, che “destano allarme sociale”: a cominciare da scippi, borseggi, furti nelle abitazioni. Il problema è che “la norma è stata scritta male; ha limitato molto, anzi, ha escluso il potere di valutazione del giudice, stabilendo un principio incostituzionale: la mancanza di pericolosità sociale per i soggetti che commettono reati per i quali viene irrogata una pena non superiore a tre anni”. E visto che “gli arrestati in flagranza per reati di criminalità da strada sono soprattutto persone senza fissa dimora e clandestini, ai quali per ovvie ragioni non si possono applicare gli arresti domiciliari, il giudice è costretto a rimetterli in libertà”. Un discorso che si pone negli identici termini anche in caso di condanna in primo grado a una pena inferiore ai tre anni”. “Mi rendo conto del problema del sovraffollamento delle carceri, ma tutto questo determina una risposta giudiziaria non seria, allarma la cittadinanza e provoca frustrazione nelle forze di polizia che vedono vanificare il loro impegno”. Per questo Roia apprezza l’intenzione annunciata da Andrea Orlando di aggiustare la rotta, con un emendamento che cancellerà ogni automatismo, rimettendo al giudice la valutazione della pericolosità sociale del detenuto: “è assolutamente condivisibile, probabilmente al ministero si sono resi conto dell’errore compiuto. Credo peraltro - conclude- che non si debbano introdurre mai in un decreto legge norme sulla libertà personale perché si rischia di compiere scelte emergenziali e ,in caso di successive modifiche, di creare disparità di trattamento”. Giustizia: Garante Marroni; lavoro in carcere, modificare la Legge Fornero per i detenuti Dire, 6 luglio 2014 La denuncia del Garante del Lazio: le norme introdotte dalla riforma del mercato del lavoro (la legge Fornero) cancellano la possibilità di erogare l’assegno di disoccupazione ai detenuti che lavorano saltuariamente. Le norme introdotte dalla riforma del mercato del lavoro (la Legge Fornero) hanno cancellato la possibilità di erogare l’assegno di disoccupazione con requisiti ridotti ai detenuti che lavorano saltuariamente. Lo denunciano, in una lettera al sottosegretario al Welfare, Luigi Bobba, il provveditore dell’amministrazione penitenziaria del Lazio (Prap), Maria Claudia Di Paolo, e il garante dei detenuti, Angiolo Marroni. Ormai da anni, Prap, garante e Inps hanno siglato un protocollo d’intesa per assicurare, di concerto con i patronati, le prestazioni di welfare ai detenuti. Nell’ambito di tali attività, nelle carceri del Lazio è emersa, sempre più evidente, la difficile situazione causata dall’entrata in vigore delle norme della legge Fornero. Con l’introduzione della riforma sono, infatti, venuti meno tutti i requisiti di accesso, da parte dei detenuti, alle misure di sostegno al reddito. “L’assegno di disoccupazione con requisiti ridotti - scrivono il garante e il provveditore - ha rappresentato uno strumento fondamentale a disposizione del carcere per garantire, in assenza della possibilità di ammettere al lavoro tutti i detenuti, un livello di reddito accettabile e di sussistenza da attribuire a quanti vengono ammessi al lavoro saltuariamente. Ciò ha rappresentato, quindi, anche uno strumento idoneo a consentire che vi fosse la possibilità di governare la forte conflittualità tipica del mondo penitenziario”. In sostanza, con tale strumento le direzioni delle carceri hanno coinvolto, a turno, un buon numero di detenuti in varie mansioni lavorative alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria. Se prima della legge Fornero, nei momenti di inattività, veniva garantito, con la disoccupazione, un sostegno minimo ma fondamentale per la dignità delle persone e funzionale per il reinserimento del detenuto, oggi con le nuove norme ciò non è più possibile. “Tecnicamente - ha detto il garante dei detenuti, Angiolo Marroni- la MiniAspi prevede che il lavoratore/detenuto maturi un minimo di 13 settimane con un minimale contributivo settimanale di 200,92 euro. Un valore che oggi, con i tagli subiti dal capitolo di spesa destinato alle cosiddette mercedi (il corrispettivo per il lavoro svolto dai detenuti), è assolutamente irraggiungibile. Per comprendere la drammaticità della situazione basti pensare che negli scorsi anni, nel Lazio, è stato possibile sostenere con la disoccupazione oltre 1.000 persone, circa il 15% della popolazione detenuta. Una percentuale fondamentale a offrire una prospettiva di vivibilità della pena. Oggi, quasi nessuno avrà accesso al sostegno e il rischio concreto è quello di una conflittualità che appesantirà una condizione fortemente compromessa dalle condizioni in cui versano le carceri”. Per tali motivi, il garante e il provveditore hanno chiesto al sottosegretario al Welfare un intervento per sanare la situazione, adattando da un lato i criteri del minimale alle esigenze lavorative delle carceri e consentendo, dall’altro, agli istituti di attivare tipologie contrattuali (intermittenza e/o in somministrazione) che favoriscano il raggiungimento delle ore necessarie a conseguire il diritto alla disoccupazione. Giustizia: lo strano “suicidio” di Giuliano Dragutinovic nel carcere di Velletri di Francesco Lo Dico Il Garantista, 6 luglio 2014 Lei si chiama Francesca, ha 32 anni ed è Rom. Vive a Colleferro, un paesino vicino Roma, in una roulotte insieme a sette fratelli. Dalla tenera età di 13 anni, a causa della morte della madre, è costretta a lavorare duramente per mantenere tutta la famiglia. Suo fratello Giuliano, di 24 anni, è morto nel carcere di Velletri il 7 marzo del 2009. Ufficialmente suicidato con un laccio di scarpe. Un suicidio strano perché il corpo presentava ecchimosi da tutte le parti, come se fosse stato torturato. Per questo motivo, dopo due anni dalla denuncia, la procura di Velletri ha richiesto il rinvio a giudizio nei confronti dell’ex direttore del carcere e del medico legale che ha eseguito l’autopsia. Francesca, come è iniziata questa tragica storia? Mio fratello si chiamava Giuliano Dragutinovic, nel 2009 venne prelevato dagli arresti domiciliari per essere portato nel carcere di Velletri. Da subito mostrò uno strano malessere nel carcere, ma non mi diceva niente per non farmi preoccupare. Andavo a trovarlo quando potevo e ci scambiavamo le lettere. Ai colloqui mio fratello sembrava turbato, ma non mi dava mai spiegazioni finché un giorno mi mandò una lettera con scritto che nel carcere di Velletri era successo un casino e che molto probabilmente dovevano trasferirlo. Inoltre, aggiunse che non dovevo andare lì e che mi avrebbe avvertito lui quando lo avrebbero trasferito. È riuscita ad avere spiegazioni? Era il 17 febbraio quando spedì la lettera, chiesi spiegazioni ma non me ne diede. Mi scrisse che me ne avrebbe parlato a voce. Così rispettai la sua volontà e non andai più a trovarlo. Il 5 marzo mi chiamò una volontaria dal carcere dicendomi che Giuliano chiedeva se potevo mandargli dei soldi e dei francobolli. Mandai l’altro mio fratello alla posta per inviargli quello che aveva chiesto pensando che il martedì sarei andata da lui. Questo accadeva di giovedì, ma all’una e mezza di notte tra il sabato e la domenica, ovvero tra il 7 e l’8 marzo, ricevo una telefonata dal carcere di Velletri: era il comandante Quattrocchi che mi chiese se ero Francesca o Gabriella (l’altra mia sorella), risposi che ero Francesca. Usò queste precise parole “Qui è casa circondariale di Velletri, condoglianze! Suo fratello è morto, si è suicidato impiccandosi con un laccio di scarpa”. Il mondo mi crollò addosso, il fratello che avevo cresciuto da sola dalla morte di nostra madre era morto. Aveva 24 anni. È andata a riconoscere il corpo di suo fratello? Come dicevo, il mio Giuliano era morto nella notte tra sabato e domenica. Me lo fecero vedere addirittura il mercoledì senza aver fatto nemmeno il riconoscimento e solo dopo l’autopsia. Ha subito creduto al suicidio? Fino a quel momento ci avevo creduto. Ma quando il mercoledì lo vidi era irriconoscibile: pieno di tagli, graffi, e aveva le dita rotte in più punti. Inoltre aveva la parte destra della faccia ricoperta di lividi, compreso l’orecchio nel quale si trovava anche dell’intonaco. A quel punto realizzai cosa fosse successo: lo avevano ucciso. Gli feci delle foto e notai immediatamente un particolare: barba e capelli gli erano cresciuti, ma le unghie erano tagliate alla perfezione. E limate accuratamente fino alla pelle: ma mio fratello le unghie se le mangiava. Promisi che avrebbe avuto giustizia, per piangerlo avrei avuto tutta la vita a disposizione. Ha notato altre anomalie che mettono in discussione la verità ufficiale? Nel riprendere i vestiti di mio fratello, il medico mi disse “Sono i vestiti di tuo fratello, guarda ci sono le scarpe con entrambi i lacci “. Ufficialmente si sarebbe ucciso con un laccio di scarpe. Cosa è accaduto dopo? Il giorno stesso chiamai il suo avvocato di allora e lei mi chiese come stesse Giuliano e se fosse uscito. Rimasi interdetta. Non sapeva nulla della morte di mio fratello. Quando la informai, rispose che nessuno dal carcere l’aveva avvertita. A quel punto contattai due avvocati iscritti al foro di Velletri: uno mi disse di cercare un avvocato non iscritto e l’altro non prese la briga nemmeno di aprire il fascicolo. Come ha interpretato tutto ciò? Indifferenza e ambiguità. E non è stato l’unico episodio. Ad esempio il pm Dedola, colui che fece la prima archiviazione, convocò me e la mia famiglia. Ma stranamente quel giorno non era in tribunale e non si fece più sentire. C’è dell’altro? Sì. Andai in carcere a cercare il direttore per delle spiegazioni ma non ebbi mai l’onore di parlare con lui. Ma in compenso c’era il comandante delle guardie carcerarie il quale mi disse che era colpa mia se mio fratello era morto! Insieme a lui c’era il parroco del carcere che lo riprese con questa frase: “I colpevoli ci sono ma non è lei, non è stata lei!” A quel punto gli chiesi se sapesse qualcosa, mi rispose: “Chi ha fatto questo male se non sarà punito in terra lo farà in cielo”. Poi smise di guardarmi ed ebbi l’impressione che non voleva o poteva parlare. La stampa ha dato notizia della morte di suo fratello? Sì, ma solo dopo diciassette giorni e davano la notizia così: “Giuliano era molto malato e depresso e il suo posto non era il carcere ma un’altra struttura”. Chiamai i giornali chiedendo spiegazioni, mi dissero che era stato il direttore del carcere di Velletri a rilasciare quelle dichiarazioni. Dopo qualche giorno il direttore decise di andare in pensione anticipata. Suo fratello era davvero malato e depresso? Conosco mio fratello, l’ho cresciuto io. Non era pazzo, né tantomeno malato! Forse era un po’ depresso per il carcere, ma credo che ogni carcerato lo sia. Avete fatto opposizione alla prima archiviazione come suicidio? Sì, io e il mio avvocato Federici. Non si trovavano i fascicoli e per un pelo non venivano messi al macero: erano stati trasferiti a Milano. Sono trascorsi due anni e finalmente ci è arrivata la notifica della richiesta di rinvio a giudizio. Giustizia: Galan; io come Tortora, pronto a usare qualunque cavillo per non finire dentro di Fabio Tonacci La Repubblica, 6 luglio 2014 Onorevole Galan, tra cinque giorni la giunta della Camera potrebbe votare per il suo arresto. Si è rassegnato al carcere? “No! Io non sono mai rassegnato, ho grande fiducia nella natura degli uomini. E io come tale vorrei essere giudicato, come un uomo. Non come il politico Giancarlo Galan, non come il fedelissimo di Berlusconi o l’amico di Dell’Utri. Chiedo di essere giudicato in base ai documenti che ho portato”. Veramente si è appellato, con un cavillo giudiziario abbastanza fumoso, al decreto “svuota-carceri” per evitare la galera. “Per difendermi mi appello a tutti i cavilli giuridici che trovo. Ma se avessi voluto trovare veramente una scappatoia, mi sarei candidato alle Europee. E avrei ottenuto di sicuro un posto”. Giusto un mese fa la giunta ha votato, con voto palese, per l’arresto del deputato Pd Francantonio Genovese. Perché il suo caso dovrebbe essere diverso? “Calma con i paragoni, per Genovese le accuse erano ben diverse, associazione a delinquere, truffa…”. Ma la giunta non deve decidere se è innocente o colpevole, solo se c’è il “fumus persecutionis” contro di lei. Perché è così convinto di essere la vittima di questa storia? “Perché sono vittima delle dicerie di tre persone, che rispondono ai nomi di Giovanni Mazzacurati, Piergiorgio Baita e Claudia Minutillo. Belle persone, eh... hanno tutti già patteggiato la propria pena. Guardi, mi sento come...”. Come chi? “Come Enzo Tortora” Addirittura? “Per certi versi sì. Come lui vengo accusato da persone assolutamente inaffidabili, che hanno degli interessi per agire come hanno fatto. Come fa la procura a considerarli attendibili?” Sono stati interrogati in diversi momenti, e hanno dato tutti una versione coerente di quello che succedeva attorno al Consorzio Venezia Nuova. Per esempio Baita dice... “Basta! Mi sono rotto i coglioni di sentire “Baita dice”, “Baita dice”... Quello è un imbroglione, è la sua parola contro la mia”. Ma perché la sua ex segretaria Minutillo, il presidente del Consorzio e l’amministratore della Mantovani si sarebbero messi d’accordo per incastrarla? “Per tenersi i soldi delle sovra-fatturazioni. Milioni di euro. Baita mandava fatture false a San Marino alla Bmc di William Colombelli, quest’ultimo e la Minutillo si tenevano il 20 per cento. Lo dicono gli atti. Il resto dell’80 per cento dove è finito? Se li sono tenuti”. Veramente la procura sostiene che tra “stipendio fisso” annuale da 900mila euro e la ristrutturazione della casa i soldi siano finiti a lei. “Mai preso un euro, in tutte le 160mila pagine dell’inchiesta non c’è nessuno che dichiara di avermi dato in mano una sola banconota. Io sono entrato in politica, 22 anni fa, da uomo ricco. Avevo un reddito di 420milioni di lire. Potevo aver bisogno di soldi io, che tra l’altro sono sempre stato favorevole al Mose?”. Talmente favorevole che quando ha presieduto la Commissione di Salvaguardia di Venezia ha fatto votare senza nemmeno leggere i faldoni delle contestazioni all’opera. “Se ne discute da 20 anni! Cos’altro dovevamo aggiungere? La procura mi accusa anche di aver influito sulle commissioni regionali Via... le dico una cosa, nemmeno sapevo quando si riunivano”. È credibile che tre persone si mettano in testa di nascondere i loro fondi neri incastrando proprio la persona più potente del Veneto? “Certo che sì! Per tutti quei milioni serviva un pezzo grosso come ero io”. E lei, per 15 anni governatore, non si è mai accorto di niente? Nemmeno che Mazzacurati era il bancomat della politica di tutto il Veneto? “No, perché io a quel bancomat non ho mai attinto. E intanto però a me hanno sequestrato tutto. Tutto. L’ingiustizia è enorme. Vorrei essere trattato come sono stati trattati i miei tre accusatori. La Minutillo si fa fotografare mentre fa la doccia sulla plancia di una barca, Mazzacurati è in spiaggia a La Jolla nella villa che si è fatto costruire con i soldi del Consorzio, e Baita? Vabbè, lasciamo perdere...”. Baita cosa? “Una vergine, vero? Ha patteggiato un anno e dieci mesi e fa quello che faceva prima: va in giro nei cantieri a parlare di appalti. A loro i pm non hanno bloccato nessun bene, a me invece manca solo il carcere... ma ci riusciranno, lo so”. Come vive questi giorni? “Per la prima volta nella vita sto prendendo dei sonniferi per dormire. Non per ansia, né per paura. Per la rabbia, il nervoso. Mia moglie mi sta vicino, mia figlia di sette anni ancora non ha capito cosa sta per succedere. E oltretutto mi sono pure fratturato il perone”. Cosa le è successo? “Stavo tagliando un “pollone”, un ramo di una rosa e sono scivolato ingloriosamente, come un vecchietto. I giornali scrivono pure che ho quattro giardinieri in casa mia, pensi un po’”. Villa ristrutturata in parte anche con i soldi di Baita. “Non è vero. Baita nel suo interrogatorio sbaglia anche le date della ristrutturazione, dicendo che è finita nel 2011. Falsità. E poi sottolineo che la casa è a Cinto Euganeo, non a La Jolla in California, né a Portofino”. Sul suo conto corrente di San Marino qualcuno ha messo 50mila euro e poi li ha ritirati. Possibile che la banca non l’abbia avvertita? “Mai una comunicazione. Mai. Le mie firme sui fax, partiti da una azienda veneta a cui la Minutillo aveva accesso, sono palesemente false”. Paolo Venuti, il suo commercialista, in un’intercettazione sostiene di tenere per conto suo 1,8 milioni in Svizzera. Anche quella è una bufala? “Di questo parlerò solo con i magistrati”. Il suo partito, Forza Italia, che per Berlusconi è sempre stato ultra garantista, con lei come si è comportato? “Beh, ci sono quelli che sono garantisti sempre, e quelli che lo fanno solo quando gli conviene. Mi sono stati accanto Capezzone, la Carfagna, la Giammanco, la Santanché. La Gelmini e Romani, invece, sono della seconda specie”. Alla fine di tutta questa storia, qualcuno dovrà pur assumersi le proprie responsabilità e chiedere scusa. “Lo dovrebbe fare Mazzacurati, spero che abbia qualche sussulto di coscienza o rimorso, vista la sua età. Baita e la Minutillo nemmeno li considero. Ma non sono certo io quello che dovrà chiedere scusa, alla fine”. Giustizia: il Papa tra i detenuti di Isernia “camminare con fiducia Dio accoglie e perdona” Adnkronos, 6 luglio 2014 Papa Francesco tra i detenuti del carcere di Isernia, in Molise, rilancia il tema del reinserimento sociale e della speranza. “Questa è la sfida, - dice Bergoglio - come dicevo due settimane fa nella casa circondariale di Castrovillari: la sfida del reinserimento sociale. E per questo c’è bisogno di un percorso, di un cammino, sia all’esterno, nel carcere, nella società, sia al proprio interno, nella coscienza, nel cuore”. “L’importante - è il monito del Papa - è non stare fermi - quando l’acqua sta ferma marcisce - ma camminare, fare un passo ogni giorno, con l’aiuto del Signore. Dio è Padre, è misericordia, ci ama sempre. Se noi Lo cerchiamo, Lui ci accoglie e ci perdona, “non si stanca mai di perdonare”: è il motto di questa visita. Ci fa rialzare e ci restituisce pienamente la nostra dignità. Dio non si dimentica di noi. C’è un passo della Bibbia, del profeta Isaia, che dice: Se anche una madre si dimenticasse del proprio figlio - ed è impossibile - io non ti dimenticherò mai. Con questa fiducia si può camminare, giorno per giorno. E con questo amore fedele che ci accompagna la speranza non delude”. Il Papa ha salutato uno ad uno i detenuti. Detenuto a Papa: carceri italiane sovraffollate, serve clemenza “Santità lei è senz’altro a conoscenza dell’inumana situazione che offrono gli Istituti di pena italiani, pensiamo ci sia poco da sottolineare in merito al sovraffollamento, ma quello che ci induce a rivolgersi a Lei, è subordinato dal fatto che in un momento storico come quello attuale, dove i nostri politici sono intenti più a litigare in Parlamento, invece di risolvere i problemi del nostro Bel Paese e continuano ad illuderci sull’esito di emanare un atto di clemenza”. Così un detenuto della casa circondariale di Isernia si è rivolto a Jorge Mario Bergoglio nei discorsi introduttivi dell’incontro a porte chiuse con i carcerati. “Purtroppo questa decisione viene puntualmente disattesa, e se mai un giorno verrà, sarà soltanto per non dover pagare le salatissime multe agli Enti che vigilano sulle condizioni degradanti in cui versano i nostri Penitenziari. Santità, lanci in nostro favore un’ulteriore segnale che possa aprire uno spiraglio per un futuro migliore”. “Santità, Lei si è occupato di tante problematiche, dalla guerra al commercio delle armi, all’immigrazione; ha abolito l’ergastolo nella Città del Vaticano”, ha detto il detenuto. “Nella speranza che si ricordi anche di noi e animati dalla grande emozione oggi ha suscitato, noi detenuti ci riscopriamo figli del padre della misericordia, che ci ama nonostante la nostra fragilità, rendendoci testimoni della sua parola di salvezza”. Detenuti al Papa: ci perdoni e lanci un segnale I detenuti del carcere di Isernia chiedono a papa Francesco il “perdono” e di adoperarsi verso le autorità italiane per risolvere la situazione negli istituti di pena. Bergoglio ha varcato la soglia del carcere isernino poco dopo le sedici. Nel refettorio c’erano una settantina di persone, che gli hanno letto la lettera di benvenuto accogliendolo con un “Hola, Santità”. “La Sua visita - recita il testo - ha un sapore particolare per noi, perché ha voluto incontrare i peccatori, e noi siamo qui ai suoi piedi a chiederLe di perdonarci. Abbiamo sicuramente commesso degli errori, ma abbiamo la volontà di volerci rialzare e la Sua visita ci riempie il cuore di gioia, ma soprattutto di speranza, e in questo mare di speranza lei ci deve guidare, con la potenza del perdono. Lei, ci porta una grande emozione, comunicazione, innovazione, Lei dà entusiasmo anche a chi è lontano dalla Chiesa, ma soprattutto ci porta amore, e amore è la parola chiave del nostro incontro e noi oggi sperimentiamo la gioia di riceverla”. “Lei, ha una vocazione straordinaria, quella di portare un’esplosione di luce e di speranza anche dietro le sbarre; noi siamo anime imprigionate nella quotidianità di ciò che avviene nella spazio di una cella, ma per molti il carcere è considerato una discarica sociale, mentre invece dovrebbe essere reinserimento e riabilitazione, favorendo il pieno recupero della dignità umana di noi detenuti. Oggi però, innanzi a Lei che incontra la sofferenza, non vogliamo avere il volto di delinquenti, ma vogliamo essere i protagonisti di un incontro unico, con la dignità e la forza di chi vuole imboccare la strada maestra precedentemente perduta. Santità - si legge nella lettera -, lei è abituato alle grandi folle, qui siamo in pochi, ma ci siamo tutti! E virtualmente ne rappresentiamo 60000. Papa Giovanni XXIII era il Papa buono, Giovanni Paolo II era il simpatico e quello del perdono, lei, invece, è il nostro ‘papa rock!’”. “Santità - prosegue la lettera - Lei è senz’altro a conoscenza dell’inumana situazione che offrono gli Istituti di pena italiani, pensiamo ci sia poco da sottolineare in merito al sovraffollamento, ma quello che ci induce a rivolgersi a Lei, è subordinato dal fatto che in un momento storico come quello attuale, dove i nostri politici sono intenti più a litigare in Parlamento, invece di risolvere i problemi del nostro Bel Paese e continuano ad illuderci sull’esito di emanare un atto di clemenza. Purtroppo questa decisione viene puntualmente disattesa, e se mai un giorno verrà, sarà soltanto per non dover pagare le salatissime multe agli Enti che vigilano sulle condizioni degradanti in cui versano i nostri Penitenziari. Santità, lanci in nostro favore un’ulteriore segnale che possa aprire uno spiraglio per un futuro migliore. Noi, detenuti della casa circondariale di Isernia, in confronto ad altri molti disgraziati che si trovano ristretti in altrettanti Istituti in Italia, ci consideriamo privilegiati, in quanto stiamo soffrendo molto meno il problema del sovraffollamento, mentre altrove si dovrebbe affrontare e rivedere il Sistema Giustizia, che ignora le prigioni mal gestite e che dovrebbe dare una risposta più efficace alla privazione della libertà e dei diritti umani. Nella speranza che si ricordi anche di noi, animati dalla grande emozione oggi ha suscitato - concludono i carcerati di Isernia -, noi detenuti ci riscopriamo figli del Padre della Misericordia, che ci ama nonostante la nostra fragilità, rendendoci testimoni della sua parola di salvezza. Stile Bergoglio, effetto Francesco!”. Quadro detenuti Isernia, Francesco è Noè sull’Arca “Emozione, entusiasmo e orgoglio. I detenuti hanno subito attivato un laboratorio creativo per donare al Papa qualcosa di speciale”. è come rivela Paolo Orabona, volontario della Pastorale Carceraria, i detenuti regaleranno a Bergoglio un quadro dove Papa Francesco è ritratto nella figura di Noè dentro l’Arca con tutti gli animali. Il ritratto dell’Arca con Papa Francesco è ritratto dietro delle sbarre trasparenti che vogliono rappresentare il maggior contatto con l’esterno e il perdono necessario. “Nel carcere di Isernia ci sono circa una settantina di detenuti ed è considerato di “minima sicurezza”. Come spiega il volontario Paolo Orabona, la notizia della visita del Papa ha scatenato un fermento fuori dal comune. L’ideatore del quadro che verrà donato a Bergoglio si chiama Nelson Delgado ed è un portoghese detenuto per reati internazionali. La presenza dei volontari copre la mancanza di un effettivo cappellano del carcere ma, come spiega Paolo il volontario, “la nostra esperienza è assolutamente straordinaria e in questi giorni d’attesa per l’arrivo di Papa Francesco l’atmosfera che si viveva dietro le sbarre è stata straordinaria e ce la ricorderemo tutti perché certamente la vita dentro il carcere non sarà più la stessa”. Visita carcere Isernia per promessa detenuto Papa Bergoglio sarà nel carcere di Isernia per mantenere a una promessa fatta a un detenuto. La promessa era stata data in una lettera in risposta ad una missiva di un detenuto del carcere il quale raccontava a Papa Francesco il disagio, il sovraffollamento delle celle e la speranza di una vita diversa. Secondo quanto si è appreso da uno della Pastorale dei volontari Carceraria, il Papa avrebbe risposto tramite la Segretaria vaticana e avrebbe promesso che avrebbe fatto di tutto per venire a visitare il carcere. Lecce: omicidio detenuto in semilibertà; indagini a buon punto, indizi su due persone Ansa, 6 luglio 2014 Un solo killer ma con un complice. È quanto emerge dalle indagini sull’omicidio di Fabio Frisenda, il detenuto 33enne in semilibertà ucciso ieri a Copertino, probabilmente durante un regolamento di conti maturato nell’ambito dello spaccio di stupefacenti. La presenza dei due uomini appare nelle registrazioni delle telecamere di videosorveglianza dei due capannoni industriali attigui all’officina nella quale Frisenda, agli arresti domiciliari, aveva il permesso di lavorare. I fotogrammi, che in queste ore vengono analizzati dai carabinieri, mostrano l’arrivo in contrada Mollone di un auto con a bordo due uomini. Uno è colui che gli investigatori ritengono l’esecutore materiale del delitto, il ruolo del secondo è ancora da definire: di certo arriva e va via con l’assassino, come confermato anche da alcune testimonianze. I sospetti sull’esecutore materiale dell’omicidio si starebbero concentrando su un uomo, al momento irreperibile, già segnalato alle forze dell’ordine e che la vittima conosceva bene. Napoli: verso Poggioreale il direttore di Secondigliano? Il Mattino, 6 luglio 2014 C’è fibrillazione a Poggioreale. E questa volta non per l’ennesima emergenza di sovraffollamento carcerario, ma per il cambio della guardia ai vertici. Dopo l’annuncio, ad aprile, di trasferimento della direttrice Teresa Abate, direttrice negli ultimi due anni, resta sul filo del rasoio la designazione ufficiale di chi verrà posto a guida dell’istituto partenopeo, ma insistenti si fanno le voci sul presunto successore. Per ora si tratta di rumors interni agli ambienti dell’amministrazione penitenziaria. Bocche cucite che la dicono lunga sulla complessità delle trattative in corso, eppure si delineano i nomi di Liberato Guerriero, attuale direttore del carcere di Secondigliano, e di Gaetano Diglio, comandante di reparto della polizia penitenziaria anche lui a Secondigliano. L’idea di fondo, quindi, sembrerebbe quella di cambiare la gestione di uno dei penitenziari più critici d’Italia, puntando però sulle competenze di chi conosce già la difficile realtà napoletana. Siracusa: la Caritas accoglie i carcerati, in allestimento container nell’ex Saline Regina La Sicilia, 6 luglio 2014 La Caritas cittadina si prende cura dei carcerati e sta allestendo una dimora per accoglierli durante i periodi in cui essi godono dei permessi premio. Un container è stato allocato nell’area ex Saline Regina, nella porzione di terreno che appartiene alla Chiesa. Come riferisce padre Angelo Saraceno, coordinatore della Caritas che coinvolge tutte le parrocchie di Augusta, si attendono le autorizzazioni necessarie per rendere fruibile questo nuovo alloggio acquistato per essere destinato ai detenuti. In realtà la Caritas dà già ospitalità a coloro i quali stanno scontando una pena nella casa di reclusione di contrada Piano Ippolito, nei locali di via Alabo in Augusta Isola, dove vengono accolti anche i parenti dei condannati che per buona condotta vengono autorizzati di vivere fuori dal carcere per 4 giorni a mese. Ad assisterli sono i volontari delle parrocchie. Intanto prosegue il progetto “Carcere aperto” che prevede l’assunzione dei detenuti aventi diritto ad attività lavorative. Come si ricorderà si tratta di un’iniziativa promossa dalla Caritas di Augusta e avviata nell’autunno del 2010. “Usufruendo del contributo dell’8 per 1000 - rammenta padre Angelo Saraceno - continuiamo ad assumere, secondo una turnazione indicata dalla direzione della Casa di reclusione di Augusta, a tempo determinato (un anno) part time (20 ore settimanali da distribuire secondo le necessità) con contratto sacrista factotum, il carcerato che lavora per due mesi nelle singole parrocchie, secondo un piano di lavoro preventivamente definito e ben dettagliato”. Le singole parrocchie hanno il compito di prelevare e ricondurre nel penitenziario i detenuti, seguirli durante il lavoro ed impegnarsi, nei limiti del possibile, a far sì che essi possano ottenere una più stabile occupazione presso altri enti, ditte che si propongono anche in virtù degli sgravi fiscali di cui potranno usufruire assumendo detenuti. Trascorsi due mesi, il detenuto passa alla parrocchia successiva Un progetto che è partito come una sperimentazione e che non si ferma da oltre tre anni. L’iniziativa è nata dalla speranza di inserire i detenuti nel mondo lavorativo. Per quanto concerne l’accoglienza dei carcerati durante i permessi premio la Caritas cittadina da cinque anni li ospita, nei locali di via Alabo 100, presi in affitto e pagati sempre con i proventi dell’8 per mille destinati alla Chiesa. E a beneficio di quanti lasciato temporaneamente il carcere, non sanno dove andare (stranieri tra i quali extracomunitari, ma anche siciliani le cui famiglie risiedono dall’altra parte dell’isola), si è attivata creando un’altra struttura, quella appunto allocata nell’ex campo container, zona che per circa un ventennio ha accolto i terremotati e che in gran parte è stata riqualificata. All’interno della stessa area 5 mila metri quadrati sono di proprietà della Chiesa. Il container riservato ai detenuti è attualmente sottoposto a interventi necessari per renderlo più accogliente. Novara: non gli passano libri in cella, boss fa causa al Tar Il Secolo XIX, 6 luglio 2014 Boss mafioso sì, ma anche amante delle buone letture. È il caso di un detenuto nel carcere di Novara, numero uno di una cosca siracusana che sta scontando una lunga pena detentiva, di cui è stato diffuso solo il nome di battesimo, Alessio: e che, per alleviare le sue pene, vorrebbe poter godere della compagnia dei libri di una grande della letteratura contemporanea, Isabel Allende. E per di più in lingua originale. Se già il condannato, e bibliofilo Marcello Dell’Utri, a sua volta in carcere a Parma per associazione mafiosa, fa sapere di sentire la mancanza degli amati libri (al massimo può averne due per volta), il boss di Novara ha ingaggiato un vero braccio di ferro con l’amministrazione penitenziaria. Già l’anno scorso si era rivolto all’ufficio di sorveglianza con un reclamo e cinque richieste. La prima di queste, a luglio, venne accolta: i due testi di Isabel Allende potevano varcare i cancelli del penitenziario. Passarono le settimane e i mesi, ma i libri non arrivarono. A quel punto, con l’assistenza dell’avvocato Stefania Gottero, il detenuto si è rivolto al Tar del Piemonte. Ma i giudici amministrativi hanno liquidato la pratica in poche battute: non è di loro competenza. Deve decidere il tribunale di sorveglianza. Non è la prima volta che Alessio balza agli onori delle cronache. Oltre a difendersi tenacemente dalle accuse che gli vengono mosse, ha fama di saper scrivere da solo i suoi ricorsi alla giustizia. Lo scorso ottobre, grazie a un ergastolano che da Padova cura su un blog una specie di “radio carceri”, è finita su Internet la storia della sua lettera (con posta prioritaria) a papa Francesco, bloccata dall’Ufficio Censura del penitenziario novarese. Una prassi consueta, visto il regime di 41 bis cui Alessio è sottoposto. Un “trattenimento temporaneo” che, a quanto risulta, dopo l’indispensabile trafila burocratica, si è poi trasformato nell’invio del documento alla sua destinazione: Città del Vaticano. Ma prima è stato necessario tradurlo. Perché Alessio lo aveva scritto in spagnolo. Proprio come i libri di Isabel Allende che vuole leggere. Perugia: Girella (Ugl); sicurezza pubblica a rischio per le scelte del governo www.orvietonews.it, 6 luglio 2014 “Per risolvere il problema delle carceri sovraffollate si rimettono in libertà ladri, spacciatori e rapinatori; contemporaneamente si chiudono i presidi delle forze dell’ordine e della magistratura; così si mette si mette a rischio la sicurezza dei cittadini e purtroppo il comprensorio di Orvieto rischia di essere tra i territori più penalizzati dai progetti governativi”. È la denuncia di Filippo Girella, segretario nazionale dell’Ugl Polizia di Stato e sostituto commissario in servizio presso il commissariato di Orvieto, dopo l’approvazione del decreto legislativo n. 92 entrato in vigore il 1 luglio che modifica le norme sugli arresti. “La strada che il governo sta prendendo sul tema della sicurezza - prosegue Girella - non ci piace per niente in quanto i segnali che vengono mandati sembrano andare nella direzione opposta a quella chiesta dai cittadini. Da una parte il governo ha messo in piedi un progetto che prevede la chiusura di centinaia di presidi delle forze di polizia e dall’altra vengono approvate delle norme che rimettono in libertà i colpevoli di pericolosi reati, come spaccio di droga, rapine, furti, maltrattamenti, ed altro. Purtroppo il comprensorio orvietano non sarà immune da questi progetti disastrosi. Solo per parlare di Orvieto città, sono a rischio importanti presidi delle forze dell’ordine: dapprima è stata avviata la chiusura della stazione dei carabinieri di Orvieto Scalo ed ora il governo prevede di eliminare anche il posto di polizia ferroviaria, per non parlare poi del tribunale la cui soppressione non ha certo reso più facile il lavoro delle forze dell’ordine. “Inoltre - aggiunge - per effetto di questo decreto legge entrato in vigore il 1 luglio, la misura cautelare del carcere non può essere prevista nei casi in cui il giudice possa prevedere, in caso di condanna, una pena inferiore ai tre anni. Faccio un esempio: se domani viene arrestato sul fatto un ladro d’appartamento, senza fissa dimora cosa succede grazie alle nuova legge? Succede che, siccome per questo reato raramente si arriva a condanne sopra i tre anni, il giudice non disporrà l’arresto in carcere e neanche i domiciliari, quindi l’arrestato, seppur colpevole, rimarrà libero. Questa legge nefasta segue poi il cosiddetto “decreto svuota carceri” di maggio che ha già ridotto le pene ed ha permesso ai piccoli spacciatori di andare agli arresti domiciliari, ma poiché si tratta soprattutto di persone senza dimora molti di essi sono liberi. Il provvedimento contro il sovraffollamento delle carceri parte da una motivazione nobile ma un provvedimento del genere non risolve il problema. La soluzione, conclude Girella, è opposta: certezza della pena e costruzione di nuove carceri; Consentire che persone condannate possano uscire senza avere pagato il debito con la società è un grande regalo alla criminalità è un danno ai cittadini onesti”. Perugia: detenuti diventano giardinieri e danno vita a un orto botanico in carcere www.palermotoday.it A Perugia un gruppo di detenuti si diploma al corso di botanica della Caritas diocesana. Così visto che ne hanno le competenze danno vita a un "orto ristretto". Un esame orale e un attestato poi tutti a coltivare "l'orto ristretto" a disposizione di tutti i detenuti. Questa è una storia che comincia nel carcere Capanne di Perugia, dove un gruppo di ristretti ha frequentato il corso di botanica organizzato dalla Caritas diocesana, che da più di trent'anni opera negli istituti penitenziari. Tutti i partecipanti hanno studiato e imparato e poi hanno deciso di mettere all'opera le loro competenze: si è avviata la realizzazione di un piccolo “Orto botanico” nell’aria dell'istituto penitenziario con il contributo del CesVol, centro di servizi al volontariato della città. Pronte le piante per dare avvio alle coltivazioni. Entusiasti i partecipanti (una decina dei quaranta detenuti che avevano fatto richiesta di ammissione al corso) e soddisfatti i volontari dell’Apv, in primis il docente, professor Mauro Roberto Cagiotti, e tutor-coordinatore del progetto, Feliciano Ballarani. Il progetto rivolto alla risocializzazione-educazione dei ristretti in attesa dell’espletamento della pena. A ottobre 2014 inizierà il nuovo anno di corso, che prevede l’approfondimento delle conoscenze di utilizzo delle piante poste in vaso, le loro proprietà alimentari e fitochimiche, fitoterapia e delle melissoflora. Biella: agente aggredito in carcere da un detenuto nel carcere di via dei Tigli www.laprovinciadibiella.it, 6 luglio 2014 Un detenuto ha aggredito un agente della Polizia Penitenziaria, è successo nei giorni scorsi nel carcere di via dei Tigli, a Biella. Le informazioni trapelate in merito sono pochissime: dal carcere non giunge alcuna comunicazione ufficiale, l’intera vicenda è ancora al vaglio degli inquirenti. Tutto, comunque, è successo all’inizio di questa settimana durante la scorta di un detenuto. Si tratta di un carcerato comune, non di uno di quelli dell’alta sorveglianza. Un agente lo stava accompagnando da un reparto all’altro della casa circondariale. Ad un tratto l’uomo, apparentemente senza alcun motivo, è andato in escandecenza. Completamente fuori di sè ha iniziato a divincolarsi, poi a colpire a calci e pugni l’agente di Polizia Penitenziaria. L’aggressione è durata pochi istanti, l’agente è riuscito da solo a contenere il detenuto, che non appena si è calmato è stato portato in infermeria per le cure del caso. Anche il poliziotto è dovuto ricorrere alle cure dei medici. Accompagnato all’ospedale "Degli Infermi" di Biella gli sono state medicate le ferite e le contusioni riportate. Fortunatamente le sue condizioni non sono gravi: dovrebbe guarire nell’arco di pochi giorni. Salerno: blitz al carcere di Fuorni, trovati in una cella lettori mp3, cavetti usb e telefonini www.salernotoday.it, 6 luglio 2014 Scoperti strumenti della più alta tecnologia all’interno della casa circondariale di Salerno. Indaga la Polizia Penitenziaria Cellulare e strumenti della più alta tecnologia ritrovati all’interno di una cella del carcere di Fuorni a Salerno. A scoprirlo - rivela il quotidiano Metropolis oggi in edicola - dopo un’accurata perquisizione, gli agenti penitenziari del complesso salernitano, che hanno denunciato il caso all’autorità di competenza. La scoperta è stata fatta lo scorso 17 di giugno, quando due addetti alla sicurezza durante un normale controllo di routine hanno trovato (ben occultati) due cavetti Usb, un telefonino cellulare con carica batteria compatibile con l’apparecchio telefonico e due lettori Mp3 dalla lunghezza di due centimetri di cui uno contenente una memory Sim (utile per conservare una fitta agenda di contatti telefonici). Ora è caccia ai proprietari degli strumenti dei quali - a quanto pare - uno avrebbe già confessato di esserne il proprietario. Tutto comunque è al vaglio della procura, che avrebbe in mano la documentazione arrivata dal carcere di Fuorni ed ha aperto l’inchiesta a carico dei componenti del locale. Nella cella oggetto di ispezione da parte delle guardie carcerarie - scrive Metropolis - sono detenuti il salernitano Peppino Amato (violazione dei domiciliari) più altri quattro: l’ebolitano Tiziano Alacqua, lo scafatese Giulio Montefusco, il napoletano Antonio Esposito e il marocchino Lak-Lak Taybi. Treviso: la “Bottega grafica” dell’Ipm al Festival di Pergine con il video Kaleydoscope di Cristina Di Pietrantonio (curatrice del Festival) Ristretti Orizzonti, 6 luglio 2014 Gli Enti Formativi Préface di Marsiglia ed Engim di Treviso, il carcere di Massima Sicurezza di Arles e la Bottega Grafica dell’Istituto Penale Minorile di Treviso sotto la guida di Marco Ambrosi e di Christine Gaiotti sono al Festival di Pergine con il video Kaleydoscope e sei grandi “tondi”. Le teste mascherate, e le animazioni che le vedono protagoniste, sono il risultato di più mani e occhi “speciali”: i soggetti sono detenuti. I protagonisti sono infatti alcuni ospiti del carcere di Arles in Provenza - un istituto di massima sicurezza in cui si praticano politiche innovative e sperimentali - che hanno partecipato a un workshop di fotografia espressiva tenuto da Marco Ambrosi per conto dell’Ente Formativo Préface - e i giovani reclusi del Carcere Minorile di Treviso - che seguono corsi professionali di grafica organizzati da Engim Veneto Cfp Turazza. Le fotografie sono state prese a in Francia con un fish-eye, un obiettivo che produce prospettive allucinate. Trucco e distorsione rendono le fisionomie irriconoscibili e sono la sola condizione che permette di pubblicare fotografie di soggetti in stato di detenzione. Queste immagini, realizzate in stop-motion in serie di 20-25, sono state in seguito lavorate con programmi di elaborazione e di montaggio video dai giovani detenuti di Treviso i quali - coordinati da Christine Gaiotti, formatrice Engim, partecipano al progetto Bottega Grafica, uno studio grafico all’interno del carcere minorile che produce comunicazione per il mondo del volontariato - in questa occasione si sono prestati ad una collaborazione a distanza con i loro “colleghi” francesi. “Abbiamo selezionato questo lavoro perché si inserisce perfettamente nello spettro tematico dell’edizione 2014 del Festival. Il conflitto è spesso causa di rifiuto, esclusione e marginalità. Al rapporto tra arte e marginalità Pergine Spettacolo Aperto dedica inoltre, dal 2007, un approfondimento particolare, inaugurato con il recupero degli spazi e della memoria storica dell’ex Ospedale psichiatrico e proseguito negli anni con diversi progetti specifici. Uno dei presupposti della linea artistica del Festival è il principio secondo il quale la cultura debba essere un’opportunità di avvicinamento, una dichiarazione di appartenenza sociale, un luogo di inclusione laddove la vita genera isolamento e disuguaglianze. E l’arte è un’occasione per abolire il marchio della “diversità”, uno spazio di libertà per ogni talento espressivo”. Israele: sempre alta la tensione nel campo di detenzione di Holot Agenzia Fides, 6 luglio 2014 Rimane alta la tensione intorno al centro di detenzione di Holot, nel deserto del Negev, dove nell’ultima settimana il malessere dei detenuti ha dato vita a diverse iniziative di protesta e mobilitazione, represse dalle forze di polizia israeliane. L’insofferenza per le condizioni di vita degli ospiti del campo e per l’incertezza del loro destino è riesplosa il 27 giugno, quando circa cinquecento richiedenti asilo detenuti a Holot hanno lasciato il centro dirigendosi in marcia verso la frontiera egiziana, con l’intenzione di attraversarla e di entrare in Egitto. Bloccati dall’esercito israeliano a un chilometro dal confine, i detenuti si sono fermati nel bosco di Nizana, dove hanno eretto un accampamento, chiedendo l’intervento e il soccorso dell’Alto Commissariato per i rifugiati dell’Onu. Nei giorni successivi l’accampamento è stato sgomberato con la forza, e gran parte dei richiedenti asilo sono stati riportati nel campo di detenzione dove molti di loro hanno iniziato uno sciopero della fame. Altri, dopo aver subito violenze negli scontri con le forze di polizia israeliane, sono stati arrestati e trasferiti presso la prigione di Saharonim. Secondo quanto appreso dall’Agenzia Fides, nella giornata di sabato 5 luglio i richiedenti asilo hanno organizzato una dimostrazione di protesta davanti alla prigione. Quello di Holot, nel deserto del Negev, è un centro di detenzione con più di 2.300 detenuti, in gran parte di fede cristiana. Nel centro vengono rinchiusi gli uomini eritrei e i sudanesi che giungono in Israele dopo essere fuggiti dai rispettivi Paesi d’origine. Ordinariamente i detenuti vengono contati 3 volte al giorno e la libertà di movimento concessa loro durante il giorno rimane del tutto teorica, visto che il centro si trova in un’area desertica, lontana da centri abitati, e i detenuti non possono usare mezzi di trasporto per muoversi. I reclusi dormono in stanze con dieci posti letto. La stragrande maggioranza di loro appartiene alla Chiesa copta ortodossa eritrea, e tra loro operano tre sacerdoti. Il caldo soffocante, il vuoto delle giornate, le carenze dal punto di vista alimentare e sanitario confermano l’impressione di trovarsi in un campo di prigionia. La gran parte di loro teme il rimpatrio forzato in Eritrea o in Sudan, che porrebbe a rischio la vita di molti.